Numero 42 - Dicembre 2016

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ISSN 2499-6890

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anno XI - numero 42

dicembre 2016

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Poste Italiane spa . Spedizione in abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. In L.27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, LO/BS

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Editoriale

Prof. Roberto Frassine, Presidente Assocompositi

Agreement liaison between CEN and EuCIA for composites standards

Accordo tra il CEN ed EuCIA per la normazione dei compositi

EuCIA has recently signed a cooperation agreement with CEN (European Committee for Standardization). CEN, in accordance with EU Regulation 1025/2012, provides a platform for the development of European standards and of other technical documents related to several categories of products, materials, services and processes, supporting the standardization activities for a wide range of fields and sectors. The objective of this agreement is to allow EuCIA to contribute to CEN activities at technical level, ensuring the high quality of the issued documents. EuCIA will also have the opportunity to be part of the Working Group 4 of the CEN/TC250, which works on the composites sections of the Eurocodes. The latter are 10 European standards covering exhaustively all the major building materials, the major fields of structural engineering and a wide range of structural typologies and products. With this agreement we aim to bring composites within the Eurocodes by 2020. This step will bring a major contribution to the spread of composite materials in the construction industry and will enable us to contribute technically and practically to the development of our industry regulations.

EuCIA ha di recente firmato un accordo di collaborazione con il CEN (Comitato europeo di normazione). Il CEN fornisce, in conformità con il regolamento UE 1025/2012, una piattaforma per lo sviluppo di norme europee e altri documenti tecnici in relazione ai vari tipi di prodotti, materiali, servizi e processi, sostenendo l’attività di normazione per una vasta gamma di campi e settori. L’obiettivo di questo accordo è quello di facilitare il contributo di EuCIA alle attività del CEN a livello tecnico, garantendo un’alta qualità dei documenti tecnici prodotti. Ad EuCIA viene inoltre concessa l’opportunità di far parte del Gruppo di Lavoro 4 del CEN/TC250, che si occupa della parte inerente ai compositi all’interno degli Eurocodici. Questi ultimi sono 10 standard europei che coprono in modo completo tutti i principali materiali da costruzione, i principali campi dell’ingegneria strutturale e una vasta gamma di tipologie strutturali e di prodotto. Questo accordo, con il quale ci proponiamo di portare i materiali compositi all’interno degli Eurocodici entro il 2020, costituisce un grande contributo alla diffusione dei materiali compositi all’interno del settore delle costruzioni e ci consentirà di contribuire dal punto di vista tecnico-applicativo allo sviluppo delle normative di settore.

Compositi

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Sommario

Anno XI – Numero 42 Year XI – Issue 42 Dicembre 2016 December 2016 Periodicità trimestrale Quarterly review abbonamento Italia € 25,00 abbonamento Estero € 50,00 una copia € 7,00

EDITORIALE

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VITA ASSOCIAZIONE

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La dismissione nel settore nautico 7 Un sistema integrato di smaltimento sostenibile

The disposal in the marine industry A sustainable integrated system of recycle Davide Telleschi

Mètis naviga verso lo scafo riciclabile!

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VETRINA

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Fibre sintetiche nelle cime d’ancoraggio per piattaforme petrolifere Una valutazione delle proprietà meccaniche

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Synthetic fibers in the mooring ropes or oil platforms An evaluation of mechanical properties Felipe Vannucchi de Camargo, Carlos E. M. Guilherme, Cristiano Fragassaz

Porosity characterization of glass split tape lay-up using micro-tomography F. Montagnoli, M. Cardone

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Polycaprolactone-luffa fibre composites: flexural tests Angelina Muzzu, Carlo Santulli, Francesco Aymerich

Nanocomposite electrodes for polymer electrolyte fuel cells Leonardo Giorgi, Elena Salernitano

Pubblicità e Marketing via Delle Foppette, 6 20144 Milano – Italy tel. +39 0236517115 fax. +39 0236517116 e-mail: marketing@tecneditedizioni.it Impaginazione Layout Andrea Mantica

È vietata la riproduzione, anche parziale, senza l’autorizzazione della casa editrice Reproduction even partial is forbidden, without the permission of the publisher Direttore responsabile Publishing manager Liliana Pedercini

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Research and development of sustainable highly fire-resistant composite materials

Metodi ottici interferometrici per l’industria aerospaziale

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Ispezione scafo con tecniche termografiche

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CRFP: analisi post impatto mediante tomografia industriale

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Global composites industry set to soar Elysium chair and the zero gravity sensation

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Optical interferometric methods for the aerospace industry Vito Pagliarulo, Pietro Ferraro

Boat hull inspection by thermographic techniques U. Galietti, V.E. Palasciano, D. Palumbo

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Registrazione al tribunale di Milano n. 189 del 20/03/2006

Stampa - Printed by Grafteam - Brescia

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Elettrodi nanocompositi per celle a combustibile ad elettrolita polimerico

Ricerca e sviluppo di materiali compositi sostenibili ad alta resistenza al fuoco

BB GREEN The commuter ferry constructed from carbon sandwich

Caratterizzazione della porosità tramite micro-tomografia di laminati in fibra di vetro

Low-velocity impact response of hemp fibre reinforced bio-based epoxy laminates Claudio Scarponi, Luca Lampani, Paolo Gaudenzi, Fabrizio Sarasini, Jacopo Tirillò, Teodoro Valente

Policaprolattone con fibre di luffa: 40 prove di flessione

Mètis is sailing straight to a recyclable boat! Fabrizio Medeossi, Alessandro Pera, Andrea Paduano, Andrea Lazzaretto

BB GREEN Il traghetto passeggeri costruito con sandwich in carbonio

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Impatti a bassa velocità di laminati epossidici rinforzati con fibra di canapa

Fabrizio Rosi, Marco Salvador e Nicola Guidolin

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Coordinamento di redazione Editing Co-ordination Anna Schwarz Sandra Sisinni Ufficio Commerciale Sales office Sara Sturla Comitato Tecnico – Scientifico Technical Scientific Committee Luigi Ascione Andrea Benedetti Roberto Frassine Alfonso Maffezzoli Orazio Manni Mario Marchetti Claudio Migliaresi Carlo Poggi Marino Quaresimin Andrea Ratti Giuseppe Sala Antonino Valenza Maurizio Vedani A questo numero hanno collaborato Contributors Francesco Aymerich M. Cardone Pietro Ferraro Cristiano Fragassa U. Galietti Paolo Gaudenzi Leonardo Giorgi Nicola Guidolin Carlos E. M. Guilherme Luca Lampani Andrea Lazzaretto Fabrizio Medeossi F. Montagnoli Angelina Muzzu Andrea Paduano Vito Pagliarulo V.E. Palasciano D. Palumbo Alessandro Pera Fabrizio Rosi Elena Salernitano Marco Salvador Carlo Santulli Fabrizio Sarasini Claudio Scarponi Davide Telleschi Jacopo Tirillò Teodoro Valente Felipe Vannucchi de Camargo

Compositi

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JEC World 2017 (Parigi, 14-16 marzo)

Assocompositi collabora all’organizzazione dell’area italiana a JEC World 2017 coordinata per la prima volta da ICE (l’Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane). Il Padiglione Italia di 100 mq è in una zona centrale della Hall 5A con un allestimento personalizzato da ICE e stand a costi convenzionati. Per informazioni: ICE- Ag. Roma Tecnologia Ind., Energia e Ambiente, Tel. 06 5992 9238, tecnologia@ice.it

Nuovi Soci

Siamo lieti di dare il benvenuto tra i nostri Soci Sponsor alla M.M. di Udine (www.mmgrigliati.com) che opera da oltre trent’anni nel settore della vetroresina PRFV, producendo grigliati, profili e strutture composite di elevata qualità e al nuovo Socio Ordinario Work In Progress (wipsrl.info), società di Bergamo specializzata nella formazione e nella ricerca di personale anche per il settore dei materiali compositi.

A Düsseldorf per Composites Europe 2016

Assocompositi e Reed hanno coordinato il Padiglione Italia nell’ambito di Composites Europe 2016 che si è svolto a Düs­seldorf dal 29 novembre al 1º dicembre. La collettiva, situata nella Hall 8A, ha ospitato le seguenti 8 aziende: Comec Innovative, Maroso, Marte Resine, Italmatic, Multicom, Pro-System, Carmon@Carbon e Panini. Informiamo che è già partito anche il re-booking del Padiglione Italia per l’edizione 2017 che si terrà a settembre a Stoccarda.

Compositi a Birmingham

Dal 2 al 3 novembre, Assocompositi ha preso parte con uno stand al Composites Engineering Show 2016 di Birmingham. L’evento, che ha registrato oltre 700 espositori, è sempre in grande crescita ed è l’unico nel panorama britannico a promuovere tutti i livelli della catena di fornitura per i settori aerospaziale, automotive, trasporti, motorsport e ingegneria civile.

Atti Scuola estiva compositi 2016

Sono disponibili gli atti dell’ultima edizione della Scuola estiva Assocompositi 2016. I documenti completi sono riservati solo ai partecipanti e ai nostri Soci. Per tutti gli altri interessati a ricevere una presentazione in particolare è possibile inviare una richiesta alla nostra Segreteria: info@assocompositi.it

LCA materiali compositi: tool online gratuito

Da luglio scorso è online l’Ecocalculator di EuCIA, tool dedicato al calcolo dello LCA dei compositi cradle-to-gate. È disponibile online gratuitamente fino alla fine di quest’anno. La versione di prova contiene i dati per quattro tecnologie (pultrusione, infusione, RTM e SMC/BMC) e per una grande varietà di materiali. Vi invitiamo ad utilizzare lo strumento, inviando ad EuCIA un feedback sulla vostra esperienza. L’obiettivo a breve termine è aumentare le tecnologie disponibili: se interessati a partecipare allo sviluppo di questo strumento, non esitate a contattare EuCIA. L’accesso al tool avviene dal sito www.eucia.eu

CALENDARIO PROSSIMI EVENTI FIERE

CONFERENZE

Wind Turbine Blade manufacturing 12-14 dicembre, Germania

International Composites Conference by Composites Germany 28-29 novembre, Germania

ICERP 10-12 gennaio, India Composite-Expo 2017 28 febbraio - 2 marzo, Russia JEC World 2017 14-16 marzo, Francia

SikaFast®-4261 NUOVA GENERAZIONE DI ADESIVI PER INCOLLAGGIO STRUTTURALE ́ ́ ́ ́ ́

Elevate prestazioni meccaniche Flessibilizzato Tixotropico Spessore di incollaggio fino a 40 mm Eccellente adesione su un’ampia gamma di substrati

Cyclitech 6-7 dicembre, USA ICCM 2017 23-24 gennaio, Francia


Davide Telleschi – Scuola di dottorato Architettura e Design XXVIII ciclo. Corso di Design per la nautica e il prodotto sostenibile

La dismissione nel settore nautico Un sistema integrato di smaltimento sostenibile

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ell’ambito del design nautico, in particolare per ciò che riguarda la sostenibilità del prodotto barca, si è riscontrata, negli ultimi anni, una grande problematica sul disuso delle imbarcazioni, dei relativi stampi e degli sfridi di lavorazione in materiali compositi, in primis, data la quantità, quelli in vetroresina. Il problema è ormai sotto gli occhi di tutti ed urge una soluzione, soprattutto in questo periodo di grande contrazione delle vendite sia del nuovo che dell’usato, che ha trasformato il diporto in una “scocciatura” per la maggior parte degli armatori.

Così tonnellate di vetroresina abbandonata riempiono i cantieri nautici, le marine, le banchine tanto da mettere a repentaglio il loro galleggiamento che in alcuni casi viene meno, de-localizzando il fenomeno sul fondo del mare, azione maggiormente da disincentivare. Un’imbarcazione, un natante o una nave da diporto, porta con sé un grande impatto ambientale, non solo dovuto alla vetroresina ma soprattutto a tutti quegli elementi a bordo che aumentano esponenzialmente il fattore inquinante. A dimostrazione dell’interesse sul tema sono innumerevoli i convegni e gli incontri dove si dibatte sulla portata del feno-

meno, sui risvolti ambientali ma anche economici e soprattutto sulla possibilità di rilancio della nautica, partendo proprio dallo smaltimento delle unità obsolete. Come oggetto di questa ricerca si è voluto investigare e proporre una soluzione più sostenibile sul tema del fine vita delle barche, comprendere al meglio la natura e la reale portata del fenomeno, attingendo a studi e ricerche già sviluppate, ma anche ripercorrendo la storia dei materiali plastici, le loro tecniche costruttive, le normative di riferimento sulla possibilità di industrializzare un processo integrato di smaltimento sostenibile sia a livello economico che ambientale.

Fig. 1: Ciclo di vita

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- La dismissione nel settore nautico L’oggetto barca è in realtà un “sistema barca” dove il guscio esterno non è altro che un contenitore eterogeneo di materiali eterogenei e, proprio per questa ragione, ne risulta difficile uno smaltimento totale se non a fronte di costi importanti, spesso ben superiori al valore del bene. All’interno del ciclo vita del prodotto barca è emersa una carenza di sperimentazioni nelle pratiche di riciclo o riutilizzo dei materiali compositi che compongono gran parte del manufatto. La costante richiesta di sostenibilità dei settori produttivi non può ignorare il bisogno di soluzioni innovative anche per quei settori, come la nautica, che, seppur considerati di nicchia, urgono un rinnovamento ed una maggiore sensibilità ambientale. Per verificare la reale possibilità di sviluppo di un sistema integrato di smaltimento si è manifestata la necessità di testare a livello sperimentale l’utilizzo di nuove tecnologie, opportunamente ottimizzate, nella speranza di ottenere dati utili e perseguibili finalizzati allo smaltimento dell’unità da diporto. Questa fase di ideazione ha voluto vagliare e valutare quali strade fossero percorribili e quali metodi attuativi si dovessero intraprendere per arrecare il minor impatto ambientale possibile, minimizzare i costi e facilitare il corretto trattamento del bene “barca”. Attraverso il trasferimento tecnologico è emersa la possibilità di utilizzare un processo termico sostenibile sia dal punto di vista ambientale che economico e di possibile attuazione a livello industriale: la pirolisi. La prima fase attuativa della ricerca riguarda il campionamento dei materiali. Per verificare la composizione materica del materiale vetroresina nelle sue più svariate applicazioni si è voluto suddividere la campionatura in base a provenienza, anno di costruzione, funzione, tecnologia costruttiva. • La provenienza: vuole specificare da quale unità la pezzatura è stata prelevata (militare diportistica o di trasporto pubblico), definendo di conseguenza se la fattura rispondeva a esigenze estetiche piuttosto che funzionali. • Anno di costruzione: definisce l’anno di produzione del campione, determinante per avere un’idea di un eventuale degrado o una resa diversa all’interno del processo. Inoltre, un collocamento temporale potrebbe svelare tecniche costruttive e materiali di diversa natura rispetto a quelli utilizzati oggi. • Funzione: in base al suo utilizzo o ubicazione, si può constatare la presenza di agenti inquinanti, come ad esempio residui di carburanti nel caso di serbatoi, residui di verniciatura o gelcoat se il campione proviene da parti di opera viva o morta, presenza di impianti o giunzioni nel caso si trovi negli interni o nelle strutture.

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Fig. 2: Sviluppo processo • Tecnologia costruttiva: il fattore più rilevante. La tecnologia costruttiva offre un’immediata panoramica sul tipo di campione che andremo a prelevare e, in particolare, le percentuali fibra-matrice contenuti al suo interno. Essendo la pirolisi un processo termico con la funzione di valorizzare al massimo il materiale ed essendo finalizzato all’estrazione, quanto più possibile, di materiali economicamente pregiati, avremo ipoteticamente come risultato una formula inversa: quanto più pregiata è la tecnologia costruttiva, meno riusciremo a valorizzare il materiale e viceversa. Questo perché, una tecnologia in grado di controllare la quantità di resina rispetto alla fibra cercherà di diminuire la parte matrice del manufatto e mantenerla il più costante possibile al suo interno, così da ottenere un oggetto il più omogeneo possibile e con un rapporto peso-capacità meccaniche più alto possibile. Essendo proprio la parte matrice a favorire nel processo di pirolisi un alto rendimento e allo stesso tempo ridurre la produzione di inerti, è intuitivo comprendere che tecniche di stesura manuale garantirebbe-

ro una risposta economicamente più vantaggiosa del processo. I test sui campioni effettuati presso il Dipartimento di Chimica dell’Università di Pisa hanno simulato il processo di pirolisi in micro-scala. Questi test dimostrano una certa omogeneità dei materiali, siano essi di nuova produzione con tecniche del vuoto che in single skin, realizzati in passato con tecnica manuale. L’altro dato importante estratto riguarda le percentuali di composizione del materiale: la quantità di resina rispetto alla fibra è notevolmente superiore a quella che si era ipotizzata. I risultati ottenuti nelle prove di laboratorio hanno dimostrato la possibilità di effettuare uno “scale up” del processo a scala dimostrativa. In particolare si vorrà approfondire il tema dello sviluppo su scala superiore per estrarre dati utili al conseguimento di un processo industriale. La sperimentazione in scala opportuna è utile al rilevamento di dati altrimenti impossibili da estrarre a livello laboratoriale. Analizzando e studiando impianti sperimentali si è iniziato a progettare un impianto attuabile nelle strutture a nostra


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- La dismissione nel settore nautico -

Fig. 3: Processo completo

Fig. 4: Vetroresina pre e post pirolisi

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disposizione, in grado di trattare qualche kg di materiale e con la possibilità di essere molto flessibile a materiali di diversa natura e di essere facilmente ottimizzabile. L’impianto è equipaggiato da un reattore centrale in cui viene immesso il materiale da trattare, da riscaldatori elettrici per il raggiungimento della temperatura d’esercizio, e da una colonna d’acqua per garantire un controllo sulla pressione interna, che consente il passaggio di stato del materiale. Un successivo essiccatore elimina il vapore d’acqua in eccesso e la parte gassosa viene quindi stoccata in provette. L’intero ciclo chiuso evita il rilascio in ambiente di polveri sottili ed inquinanti, mentre la parte solida viene ripulita riportando le fibre ad uno stato iniziale e nuovamente reimpiegabili come materia prima o seconda. Il “sistema barca” deve subire un cambiamento profondo che si concretizzi in una nuova concezione dell’unità già dal momento della sua progettazione, come un bene duraturo ma non eterno, per consentirne un ciclo vita corretto, dalla sua ideazione fino a giungere al suo disuso. Il bene dovrà quindi essere pensato seguendo le logiche del DFD (Design For Disassembling) che consentirebbe al prodotto non solo di essere disarmato in maniera più agevole e corretta, ma, come accaduto in altri prodotti, diminuirne i tempi e i costi di produzione e l’impatto ambientale nel suo ciclo di vita. Il natante, l’imbarcazione o la nave deve mantenere un alto grado di rintracciabilità attraverso l’identificazione di tutte le sue parti, degli accessori e degli impianti mediante una catalogazione da parte del produttore. Potrà successivamente essere presa in considerazione la possibilità di utilizzare materiali di nuova natura, meno impattanti a livello ambientale e che possano garantire un alto grado di riciclo o riuso una volta smantellati.


Davide Telleschi – Scuola di dottorato Architettura e Design XXVIII ciclo. Corso di Design per la nautica e il prodotto sostenibile

Disposal in the marine industry A sustainable integrated system of recycling

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n the context of nautical design and in particular what concerns the sustainability of the boat product, it has been found in recent years, a significant problem on the disuse of boats, relative molds, and scraps in composite materials, first of all because of the amount, those in fiberglass. The problem is now evident for all and a solution is needed, especially in this period where the sales have suffered a decline either for new or used products, which has turned pleasure boating in a nuisance for most ship owners. Thus tons of abandoned fiberglass fill the shipyards, marinas, docks so as to endanger their buoyancy, which in some cases is outsourcing less the phenomenon on the sea floor, but surely the action to mostly disincentive. A boat, a small boat or a pleasure boat, brings with it a major environmental impact, not only due to fiberglass but also by all the elements normally found on board that increase exponentially the pollution factor. As demostration of the interest on the topic, there are a lot of debates and conferences about the extent of the phenomenon, the Environmental and Economic implications but mostly on the possibility for a boating’s relaunch, starting with the disposal of obsolete units. The objective of the research is to investigate and analyse the state of art and identify a more sustainable solution in order to offer a proper end of life to the boat demonstrating, both theoretically and experimentally, the ability to insert them all inside of an integrated disposal system, economically and environmentally sustainable. A boat is a system where the external shell is a heterogeneous container of heterogeneous materials and, for that reason, a complete disposal is hard to put into practice without a huge patrimony investment, higher than the asset’s nominal value. Inside the boat’s life cycle, has emerged a shortage of experiments in the practice of recycling or re-use of composite materials that make up a large part of the article, the constant demand for sustainability of the productive sectors can not ignore the need for innovative solutions even for those sectors such as boating which, although considered niche, urgently needed a renovation and greater environmental sensitivity.

To verify the real possibility of development of an integrated system of disposal, it has manifested the need to test experimentally the use of new technologies, properly optimized, hoping to get useful information and actionable finalized the disposal of ’recreational’ craft. This concept stage wanted to sift and evaluate which roads were passable and implementing such methods were to embark causing the least possible environmental impact, minimize costs, facilitate the proper treatment of the good ”boat“. Through technology transfer, it showed the possibility of using a thermal process, sustainable from an environmental and economical point of view, possible for industrial implementation: the pyrolysis. The first phase of the research implementing, regards the sampling of materials. To verify the material composition of the fiberglass material in its various applications, it was decided to split the sample on the basis of origin, year of construction, function, construction technology. • Origin: it is used to specify which unit the size was taken (Military, pleasure boating or public transport), and defining, as a result, if the workmanship were to meet aesthetic requirements

rather than functional. • Year of construction: It is used to defines the year of the sample production, therefore we will have an idea of a possible degradation or a different yield inside the process. In addition, a temporal placement, could unravel construction techniques and materials of different nature than those used today. • Function: according to its use or location, you can see the presence of pollutants. Residual fuel in the case of tanks, paint residues or gelcoat if the piece comes from parts of hull or dead opera, the presence of installations or joints if the piece comes from the interior or in the structures. • Construction technology: the most important factor. The construction technology offers an immediate overview on the type of sample that we are going to take and in particular the percentages fiber-matrix contained in its interior. • The pyrolysis is a thermal process with the function of enhancing, as much as possible, the material and is aimed at the extraction, as much as possible, of economically valuable materials. We will have (hypothetically) as a result, an inverse formula: the more valuable

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- Disposal in the marine industry -

ULTIMATE PROTOTYPES

is the construction technology, the less we’ll be able to enhance the material and vice versa. This because a technology capable of controlling the amount of resin compared to the fiber will try to decrease the matrix part of the manufact and keep it as constant as possible in it, to obtain an object as homogeneous as possible and with a weight- mechanical ratio highest possible. The matrix facilitates a high yield in the process of pyrolysis and at the same time reduce the production of aggregates; it is intuitive to understand that the manual drafting techniques would ensure a better economic process response. The sample testing performed, simulating the pyrolysis process in micro-scale at the Department of Chemistry of the University of Pisa, show a certain homogeneity of materials, whether they are of new production with vacuum techniques, or single skin made with manual technique (like in the past). The other important result regards the percentages of material composition: the amount of resin compared to the fiber is significantly higher than that hypothesized. The results obtained in the laboratory tests have demonstrated the possibility to carry out a “scale-up� in the demonstration scale process. In particular, will be explored the theme of the upper-scale development to extract useful data and to provide an industrial process. In the appropriate scale testing is useful to data achievement, otherwise impossible to extract at laboratory level. By analysing and studying experimental systems, it was started the design of an implant capable of treating a few kilograms of material, viable in the structures at our disposal. The implant can be very flexible to different materials and easy optimization. The plant is equipped by: a central reactor in which is introduced the material to be treated, electric heaters for the attainment of the operating temperature and a water column to ensure a control over the internal pressure that allows the passage of state of the material . A subsequent dryer eliminates the excess water vapour, and then storage in test tubes of gas. The entire closed loop avoids the release in the environment of fine dusts and pollutants, while the solid part is cleaned bringing the fibers to an initial state, and then again re-usable as a secondary raw material. The marine industry needs a profound change in all phases of the life cycle starting from a conscious and careful design, production methods, use and maintenance of the boat mostly well-oriented to sustainability, to arrive at its disposal through consistent practices with the new concept of end of life products. The product must be designed following the logic of the DFD (Design For Disassembling) that would allow the product not only to be disarmed more easily and correctly, but, as happened in other products, decrease the time and costs of production and the environmental impact in its life cycle. A boat, a small boat or a ship, must maintain a high degree of traceability through the identification of all its parts, accessories and of systems through the cataloguing by the manufacturer. It can then be taken of the possibility of using new types of materials, with less impact on the environment and that can ensure a high degree of recycling or reuse once dismantled.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: The life cycle Fig. 2: Process Fig. 3: Completed process Fig. 4: Fiberglass pre e post the pyrolysis


Fabrizio Medeossi, Alessandro Pera, Andrea Paduano, Andrea Lazzaretto – Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università degli Studi di Padova

Mètis naviga verso lo scafo riciclabile!

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l gruppo di studenti universitari MètisVelaUnipd (www.metisvela.dii.unipd.it), nato nel 2008, si inserisce all’interno del progetto 1001VelaCup (www.1001velacup.eu), che prevede la progettazione, realizzazione e conduzione di scafi a vela da regata per un confronto tra vari atenei italiani ed europei sulla base di un regolamento che impone la lunghezza fuori tutto (4.6 m), la superficie velica complessiva (33 m2) e i materiali utilizzabili, lasciando liberi gli altri parametri di progetto, e favorendo quindi la ricerca di nuove soluzioni creative. La regola principale e più restrittiva riguarda i materiali: il 70% in peso dello scafo deve avere origine animale o vegetale. Le prime due imbarcazioni del gruppo padovano, Argo (2008) e Aura (2009), sono state costruite in legno mentre le due successive, Areté (2012) e Ate (2016), sono prodotte con un composito con fibra di lino e core in balsa. DESIGN E TECNOLOGIA ll progetto di Ate, l’ultima nata, rappresenta un’evoluzione dei progetti delle imbarcazioni precedenti, sia come linee d’acqua, sia per il processo tecnologico di costruzione. L’opera viva è stata studiata per ridurre la superficie bagnata mantenendo allo stesso tempo adeguata stabilità in ogni condizione di vento e un passaggio “morbido” sull’onda. Nella costruzione, per minimizzare i pesi in gioco e rispettare il regolamento di 1001VelaCup, è stato confermato l’uso di fibre naturali per il materiale di rinforzo e la tecnica di infusione denominata V.A.R.T.M. (Vacuum Assisted Re-

Fig. 2: Verifica strutturale svolta con il software commerciale ANSYS©: a) massima pressione d’onda e b) verifica paratie con massimo momento sbandante

Tab. 1: Proprietà meccaniche di provini di lino ricavate da prove di trazione secondo BS EN ISO 527-5:2009 sin Transfer Molding) per il processo di stampaggio. L’infusione permette infatti di ottenere alti rapporti peso fibra/peso laminato (Wf ), massimizzando quindi la percentuale di materiale naturale contenuto nell’imbarcazione. Il confronto tra varie fibre naturali offerte dal mercato (fig. 1) ha suggerito di optare per il lino, viste le migliori caratteristiche meccaniche, la maggiore facilità di stesura e la maggior varietà di grammature.

Fig. 1: Confronto tra le proprietà di diverse fibre naturali: a) resistenza a trazione (MPa) e b) modulo elastico (GPa)

Il fasciame, dati gli ottimi risultati già ottenuti con Areté, è stato realizzato in sandwich con anima in legno di balsa e pelli in fibra di lino. Le varie grammature e soprattutto le diverse tessiture sono state caratterizzate nei laboratori del Dipartimento di Ingegneria Industriale. Il dimensionamento delle strutture interne e il piano di laminazione sono stati definiti preliminarmente secondo le indicazioni del registro A.B.S. (American Bureau of Shipping) nel documento Guide For Building and Classing Offshore Racing Yachts e in seguito verificati tramite analisi agli elementi finiti. Il criterio di verifica utilizzato per il laminato è quello di Tsai-Wu, comunemente impiegato per i compositi. Il piano di laminazione di Ate presenta una preponderanza di aree in sandwich alternate a zone monolitiche. Lo scopo è quello di sfruttare la rigidezza geometrica di alcune parti dello scafo, di evitare infiltrazioni d’acqua attraverso l’attrezzatura di coperta e, ancora una volta, di contenere i pesi. Inoltre, a valle dell’ottimizzazione del piano di laminazione e per minimizzare i costi di materiale, si è deciso di favorire l’utilizzo di basse grammature per la coperta e l’opposto per lo scafo.

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- Mètis naviga verso lo scafo riciclabile! -

Fig. 3: Realizzazione del composito e imbarcazione completa (foto di Paolo Bartolotta) Per evitare l’assorbimento di resina da parte del core si è deciso di impermeabilizzare la balsa prima di eseguire l’infusione. Ciò è stato ottenuto grazie all’applicazione di due leggere pelli di vetro biassiale tramite incollaggio a vuoto; la successiva foratura ha favorito il passaggio di resina dalle pelli interne a quelle esterne durante la singola infusione del sandwich completo. Il processo di infusione della coperta e dello scafo rappresenta un’evoluzione di quello impiegato nella costruzione di Areté. In quel caso per la realizzazione del sandwich completo era stata infusa dapprima la pelle esterna, poi incollato il core e successivamente infusa la pelle interna. Con questo ultimo sviluppo (sandwich completo ottenuto con singola infusione) sono stati ridotti drasticamente i tempi e i costi di produzione nel rispetto della leggerezza della barca. Una volta stampati scafo e coperta, sono state realizzate le strutture interne di compensato marino, articolate in paramezzale centrale e quattro ordini di paratie, e assemblate tramite incollaggio con adesivo strutturale commerciale. CONCLUSIONI E SVILUPPI FUTURI Le regate di settembre a Venezia hanno visto Ate concludere al secondo posto, ad un mese dal varo. Questo risultato conferma l’efficacia delle fibre naturali per la costruzione di imbarcazioni da regata ad alte prestazioni. Un miglioramento del piano di laminazione e un conseguente alleggerimento della struttura, uniti ad un’ottimizzazione del processo di lavorazione, hanno permesso di ottenere uno scafo leggero (73 kg coperta e terrazze inclusi) e soprattutto hanno ridotto drasticamente tempi e costi di produzione. Si ritiene tuttavia possibile un ulteriore abbattimento del peso nell’ordine del 20% (per avvicinare la soglia dei 50 kg) con lo sviluppo di un nuovo concetto di piano di laminazione (re-design del composito) e strutture interne non convenzionali. In futuro vediamo uno scafo altamente performante e totalmente riciclabile.


Fabrizio Medeossi, Alessandro Pera, Andrea Paduano, Andrea Lazzaretto – Department of Industrial Engineering, Università degli Studi di Padova

Mètis is sailing straight to a recyclable boat!

M

ètisVelaUnipd (www.metisvela.dii.unipd.it) is an academic student sailing team founded in 2008 to compete in the 1001VelaCup regatta (www.1001velacup.eu). The project consists in designing, building and sailing high performance skiffs to compete against various groups from different European universities. Maximum overall length (4.6 m), sailing area (33 m2) and admissible materials are imposed by the class rules whereas other design parameters are kept completely free to promote innovative solutions. The most challenging rule is about boat materials: at least 70% of hull weight must have vegetal or animal origins. The first two boats of the team, Argo (2008) and Aura (2009), were build using marine plywood. For the following ones, Areté (2012) and Ate (2016), a new sandwich composite made by flax fiber and balsa wood core was employed. DESIGN & MANUFACTURING TECHNOLOGY Ate, the last project developed by the team, represents an evolution of the previous boats both from the design point of view and building technologies. The design of the hull was studied in order to reduce the wetted surface and ensure a good stability of the boat in every wind and sea condition. The use of vegetal fibers and the Vacuum Assisted Resin Transfer Molding (V.A.R.T.M.) process were chosen to minimize the total weight of the boat complying with the R3 class rules (http://www.1001velacup.eu/regolamento). V.A.R.T.M. technology ensures high fiber/laminated weight ratios (Wf ), maximizing the percentage of natural material used for the boat. The comparison between the main properties of various natural dry fibers offered by the market suggested us to use flax because of the high mechanical properties and availability of different fiber weights. The planking was realized with a sandwich made of a balsa wood core, flax fibers and epoxy resin. The mechanical characterization of all different textures and fiber weights was developed in the laboratories of the Department of Industrial Engineering at the University of Padova. After the mechanical characterizations of fibers and composites, the internal struc-

tures and lamination plan were preliminary calculated according to the American Bureau of Shipping guidelines (Guide for building and classing offshore racing yachts) and additionally verified with finite element methods. As commonly done in composite materials, Tsai-Wu failure criteria was chosen for the verification of the structure. Ate’s lamination plan included a combination of sandwich and single skin zones. The combination of different lamination zones ensures higher geometrical stiffness of the boat, avoids any water seepage in the assembly of deck equipment and minimize the weight of the boat itself. Furthermore, to minimize also the manufacturing costs, lower fiber weights were chosen for the deck, and higher fiber weights for the hull. Two lightweight biaxial fiberglass layers were vacuum glued to the balsa core to minimize the resin absorption. Several holes were then created in this core by drilling to ensure the flux of resin from the inner skin to the outer one during the molding of the sandwich in a single step. The molding process represents a technological revolution with respect to the previous boat Areté. In that case the sandwich was built in three different steps: firstly, the external layer was infused, then the core was glued and finally the internal layer was molded above the two previous layers. Molding of the entire sandwich in one single step instead of three different steps, results in a huge reduction in production costs and entire process

time. Finally, all the internal structures and deck and hull were glued together using a structural bonder. CONCLUSION AND FUTURE DEVELOPMENTS A month after launch, Ate catches the second position at the end of the regatta session in Venice. This great result confirms the efficacy of natural fibers in the construction of high performance sailing boats. Lamination plan improvements, combined with manufacturing process optimizations, allowed to obtain an extremely lightweight hull (73 kg – deck and terraces included) and to reduce drastically production time and costs. The next challenge will consist in reducing the total weight of an additional 20% by developing a new concept of lamination plan (composite re-design) and non-conventional bulkheads. A highly performing and totally recyclable hull: that is the future we believe in.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Comparison between different natural fibers: a) ultimate tensile strength (MPa) and b) Elastic Modulus (GPa) Tab. 1: Tensile properties of the flax test specimens (BS EN ISO 527-5-2009) Fig. 2: Structural verification using commercial ANSYS code: a) maximum wave pressure and b) internal structures verification with maximum capsizing moment Fig. 3: Plies lay down and final product during performance tests (ph. Paolo Bartolotta)

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BB GREEN Il traghetto passeggeri costruito con sandwich in carbonio

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upportato dall’Unione Europea all’interno del progetto del 7º Programma Quadro BB GREEN, un team di 7 aziende europee, guidate dalla norvegese Effect Ships International AS (ESI)/SES Europe, ha sviluppato una soluzione rivoluzionaria per il trasporto veloce per via d’acqua. Il team ha recentemente varato un’imbarcazione dimostrativa a sostentamento pneumatico in scala naturale (Air Supported testand demonstrator Vessel, ASV), costruita con compositi avanzati. Nota come l’inventrice della tecnologia ASV, nel 2008 ESI ha presentato alla Commissione una nuova concezione di imbarcazione passeggeri veloce – BB GREEN – progettata per trasportare passeggeri in città e comunità con accessi navigabili (vie d’acqua costiere e interne). Un grande numero di comunità candidate soffrono di gravi problemi di congestione del traffico e di un serio inquinamento, specialmente nelle ore di punta. BB GREEN ha proposto una via d’uscita, spostando il traffico dai mezzi di trasporto via terra. In termini di preoccupazioni ambientali, l’asta si è alzata ben oltre lo standard industriale. L’idea proposta riuscirebbe non solo a ridurre le emissioni di funzionamento (CO2, NOX, SOX e particolato) di alcuni punti percentuali, ma anche a offrire un’alternativa a emissioni zero. Il progetto utilizzerebbe energia elettrica da

sorgenti energetiche rinnovabili, accumulate a bordo nelle nuove, migliorate batterie all’ossido di titanato di litio. I primi traghetti alimentati a batterie sono stati introdotti più di un secolo fa. Tuttavia la velocità e la durata erano limitate a tragitti molto brevi e lenti (meno di 10 km/h). Per converso, il nuovo servizio BB GREEN offrirà vere prestazioni da XXI secolo, una velocità di punta di quasi 60 km/h, e altri utili vantaggi per gli utenti finali. Sarà disponibile uno spazio sulla plancia di poppa per portare con sé la propria bicicletta e usarla per parte del proprio tragitto, per esempio tra casa e il luogo di lavoro. Nella sua essenza, la filosofia innovativa che è alla base del progetto BB GREEN è stata fondere le migliori idee, tecnologie, sistemi e materiali, cercando soluzioni robuste, affidabili ed economiche con un’efficienza ai migliori livelli di mercato e a basso peso. Quando non esistevano soluzioni direttamente disponibili, sono stati modificati sistemi esistenti per essere adattati e integrati nel nuovo prodotto. Con un budget di proporzioni davvero modeste, per un ammontare di 3.2 milioni di euro, l’obiettivo principale della squadra BB GREEN è stato dimostrare, in scala naturale (20 x 6 m) e in condizioni operative reali, la fattibilità della nave a sostentamento pneumatico e alimentata

a batteria, inclusa la dimostrazione delle performance e funzionalità prestabilite, con una verifica “su strada” e in uno scenario operativo tipico. Al seguito di studi sui requisiti operativi e prendendo atto delle considerevoli possibilità di mercato per il tipo di imbarcazione BB GREEN proposto in Europa e Paesi limitrofi, è stato condotto un processo di sviluppo della forma dello scafo, sfociato in un ampio programma di test del modello, eseguito nel rinomato centro SSPA Sweden di Gothenburg. Un fattore chiave per ottenere un’efficienza elevata, assicurandosi le performance prefissate e l’alta velocità, è stato uno scafo in grado di offrire una resistenza significativamente minore rispetto a quella delle altre imbarcazioni veloci convenzionali. Per la taglia dell’imbarcazione scelta, 20 x 6 m, e una velocità di progetto di 25 – 35 nodi, test oggettivi mostrano chiaramente che la tecnologia ASV rappresenta lo stato dell’arte, con una documentata riduzione della resistenza dello scafo pari a circa il 40% per l’ASV mono rispetto a controparti convenzionali, in condizioni di progetto. Semplificando, un ASV mono può essere descritto come un hovercraft senza involucro in gomma. Dall’esterno, un ASV appare come una normale imbarcazione monoscafo. L’impronta idrica è un po’ maggiore, con una preponderanza della

Fig. 1: Fotografia subacquea dei test sul modello BB GREEN nella vasca della SSPA Sweden, che mostra l’imbarcazione a una velocità di 35 nodi in acque calme

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- BB GREEN -

Fig. 2: Il varo del BB GREEN cavità d’aria, una struttura di propulsione e appoggio su ognuno dei lati del cuscino d’aria, e uno speciale flap di chiusura del cuscino d’aria alla poppa. Posizionato nella prua, un sistema di eliche per la spinta verticale inietta aria pressurizzata nella cavità, così da reggere quasi l’80% del peso dell’imbarcazione. Questo sistema brevettato permette di intrappolare molto bene l’aria e riduce la superficie bagnata al minimo. Un altro effetto del cuscino d’aria è la forte riduzione della scia, di importanza fondamentale per

operare ad alta velocità in acque vicine alla costa e con denso traffico. In parallelo allo sviluppo della forma dello scafo, il team di progetto di BB GREEN ha preparato gli altri sistemi e soluzioni di bordo, come la tecnologia delle batterie, le linee di trasmissione, il sistema di eliche per la spinta verticale, così come l’integrazione complessiva di tutti i sistemi tecnologici. La progettazione del ponte e degli interni del dimostratore BB GREEN è stata eseguita dallo Studio Sculli, Italia. Il ca-

poprogettista Mauro Sculli ha realizzato un design moderno e snello, con una prevalenza di pannelli piatti. Grazie allo stile scelto, è stato possibile realizzare tutti i pannelli della sovrastruttura in modo economico tramite infusione in vuoto su un supporto piano, senza la necessità di creare stampi dedicati. Una richiesta della Commissione era l’apertura di una gara pubblica, in cui ai costruttori europei è stato richiesto di presentare offerte d’appalto per la costruzione e l’allestimento della nave. Hanno partecipato diversi cantieri, ed è stato infine selezionato il Latitude Yacht/BJB Ltd di Riga, Lettonia. La costruzione di tipo lightweight era un altro fattore chiave per il team BB GREEN. Il partner del progetto Diab AS (Norvegia) è stato responsabile della parte di ingegneria dei compositi e della supervisione della costruzione in composito. Per lo scafo, le sovrastrutture e i principali elementi interni si è scelta una tecnologia sandwich interamente in carbonio. Per la costruzione dello scafo fino al livello del ponte principale è stato realizzato uno stampo completo, seguito da un lay-up a secco di pelli interne ed esterne in carbonio e di Devinycell come materiale di base. È stata utilizzata un’infusione

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in vuoto con resina vinilestere. Anche tutti i pannelli delle sovrastrutture sono stati realizzati per infusione in vuoto, usando un supporto piatto, e successivamente assemblati sopra al ponte principale. Dopo un modesto lavoro di carenatura, all’intero scafo sono stati applicati fondo e vernice fino a una finitura completa, usando prodotti Jotun Paint (Norvegia). La squadra BB GREEN ha stimato che la costruzione in carbonio scelta determini un risparmio in peso di circa 3 tonnellate rispetto a una costruzione convenzionale tramite lay-up manuale in GRP o alluminio. Una riduzione di 3 tonnellate può essere figurata come la possibilità di trasportare altri 35-40 passeggeri (carico aggiuntivo), lavorando con 3 tonnellate in meno di peso totale operativo (con una resistenza e un consumo energetico fortemente minori), o permettendo all’imbarcazione tragitti maggiori. Per un’imbarcazione veloce ad alimentazione a batterie l’ultima possibilità è della massima importanza. I traghetti BB GREEN avranno tipicamente batterie con una capacità di 400 kWh, sufficiente ad assicurare il raggiungimento di alte velocità (25 – 30 nodi) tra gli intervalli di ricarica delle batterie, di approssimativamente 14 NM (25 km). Questa batteria unica nel suo genere è stata sviluppata dalla Leclanche (Svizzera), ed è progettata per una ricarica rapida (80% della capacità in meno di 20 minuti) e un lungo ciclo di vita (15000 ricariche o più). Nel dimostratore BB GREEN è stata installata una batteria di dimensioni dimezzate. La nave ha due linee di trasmissione a propulsione elettrica da 280 kW e un sistema di eliche per la spinta verticale, che richiedono 40 – 70 kW di potenza che dipendono dalle condizioni operative. Echandia Sweden è stata responsabile dell’integrazione di questo sistema e fornirà anche i sistemi di ricarica veloce delle batterie. Il team BB GREEN ha riscontrato un considerevole interesse per l’iniziativa non solo in Europa, ma anche in Estremo Oriente e USA. “Ora stiamo cercando un supporto finanziario per dimostrare e disseminare la nuova tecnologia in Europa, permettendo a proprietari/gestori, politici e altre parti interessate di provare e ’assaporare’ l’idea”, ha affermato il project manager Tor Livgard della ESI. In seguito ai test iniziali nel cantiere lettone dove è stato costruito il prototipo, le prime dimostrazioni organizzate avverranno in Svezia (Stoccolma e Gothenburg), Norvegia e Paesi Bassi, ma il team BB GREEN spera che il “road show dimostrativo” possa essere esteso a includere molti altri Paesi europei.

Fig. 3: Lay-up a secco di carbonio e Devinycell nello stampo del BB GREEN

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BB GREEN

The commuter ferry constructed from carbon sandwich

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THE CUTTING EDGE

KOMET Utensili S.R.L. Via Massimo Gorki n. 11 20098 S. Giuliano Mil. Tel. +39 02 98 40 28 1 Fax +39 02 98 44 96 2 info.it@kometgroup.com www.kometgroup.com Contatto diretto: kometita@tin.it

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Peak performance in lightweight construction

upported by European Union (EU), under 7th Framework project BB GREEN, a team of 7 European companies, headed by Effect Ships International AS (ESI)/SES Europe AS from Norway, has developed a ground-breaking new waterborne fast ferry solution. A full scale Air Supported test- and demonstrator Vessel (ASV), constructed from advanced composites, have recently been launched. Known as the inventor behind the ASV technology, ESI presented in 2008 to the Commission a new fast passenger vessel concept – BB GREEN –, designed to transport passenger in cities and communities with waterway access (coastal and inland waterways). A large number of candidate communities are suffering significantly traffic congestion problems and severe pollution, particularly during peak hours. BB GREEN proposed a way out; shifting traffic away from land based modes of transport. In terms of environmental concern the bar was raised far beyond the industry norm. The new concept would be able to not only cutting operational emissions (CO2, NOX, SOX and Particulates) by a few percent, but deliver a zero emission alternative. The project would use electric energy from renewable energy sources, stored on-board in new improved Lithium Titianate Oxide batteries. The first battery powered ferries were introduced more than a century ago. However speed and endurance were limited to very short crossings at slow speed (less than 10 km/h). The new BB GREEN service on the other hand will deliver true 21st Century performance, a top speed of almost 60 km/h, and other favourable benefits for the end users. There will be allocated space on the aft deck to bring along your own bicycle and use it for part of your total travel from i.e. home to work. The main innovation philosophy behind the BB GREEN project has been to merge best concepts, technologies, systems and materials; seeking robust, reliable and cost efficient solutions with market leading efficiency and low weight. If not directly available over the counter existing systems have been modified for adaption and integration in the new product. On a very modest budget of Euro 3,2 mill, the BB GREEN team’s main objective has been to prove, in full scale (20 x 6 m size) and under actual operational conditions, feasibility of the new Air Supported, battery powered vessel; including demonstrating targeted performance and functions, tested “on route” and in a typical operational scenario. Following investigations on operational requirements; and concluding on considerable market possibilities for the proposed BB GREEN type of vessels across Europe and beyond, an extensive hull form development process was carried out, cumulating in a broad model testing program carried out at the renowned test centre SSPA Sweden in Gothenburg. A key factor for obtaining market leading efficiency, securing targeted performance and high speed has been a hull offering significantly lower resistance than other conventional fast vessels. For the targeted vessel size of 20 x 6 m and with a design speed of 25 – 35 knots, impartial tests clearly show ASV technology to represent State of the Art, with a documented hull resistance reduction of approx. 40% for the ASV mono over conventional counterparts, at design conditions. Simplified, an ASV mono may be described as a hovercraft without rubber enclosures. From the outside an ASV looks like a normal mono-hulled vessel. The water footprint is somewhat larger, with a dominating air cavity, a propulsion/planing body on either side of the air cushion, and a special air cushion enclosure flap closing the


air cushion chamber to the stern. In the bow of the vessel a lift fans system is located, feeding pressurised air into the air cavity, enough to support almost 80% of the vessels weight. The patented concept entraps the air very well and reduces wetted surface areas to a minimum. Another effect of the air cushion system is the largely reduced wash wake; of major importance for high speed operation in waters close to the shoreline and with dense traffic. In parallel to the hull form development, the BB GREEN project team prepared the other on-board systems and solutions, like the battery technology, the drivelines, the lift fan system as well as the overall technical systems integration. The topside- and interior arrangement design of the BB GREEN demonstrator have been prepared by Studio Sculli from Italy. Chief designer Mauro Sculli has produced a contemporary and stealthy looking topside design; dominated by flat panels. With the selected stile all superstructure panels could be produced cost efficiently on a flat vacuum table, without the need to first produce dedicated moulds. A requirement from the Commission was to launch a public tender, where builders from Europe was asked to present tender offers for construction and outfitting of the vessel. Several yards competed and Latitude Yacht /BJB Ltd from Riga, Latvia was finally selected. Light weight construction was another key factor for the BB GREEN team. Project partner Diab AS (Norway) has been responsible for the composite engineering and supervision of the composite construction. For the hull, superstructure and main inside elements, a full carbon sandwich engineering was selected. For the construction of the hull, to main deck level, a full mould was produced; followed by dry lay-up of the outer and inner carbon skins and the Devinycell core material. Vacuum infusion with Vinylester resin was used. All the superstructure panels were also infused, on a vacuum table, and later assembled on top of the main deck. Following minor fairing work, the whole vessel was primed and painted to a high finish, using Jotun Paint (Norway) products. The BB GREEN team estimated the selected carbon construction to result in a weight saving of approx. 3 tons compared with a conventional GRP hand lay up or aluminium construction. A 3 tons weigh saving can be described as carrying 35-40 passengers extra (added payload), operating at 3 tons less total operational weight (with considerably less resistance and energy consumption) or for giving the vessel added range. For a battery powered fast vessel the latter is of utmost important. BB GREEN vessels will typically have a 400 kWh battery capacity, enough to secure a high speed (25 – 30 knots) range between recharging of the batteries of approx. 14 NM (25 km). The unique battery has been developed by Leclanche (Switzerland), designed for fast recharge (80% of capacity in less than 20 minutes) and a long cycle life (15.000 cycles or more). In the BB GREEN test vessel a half size battery is fitted. The vessel has two 280 kW electrical propulsion drivelines, and a lift fan system, demanding 40 – 70 kW of power depending on the operational conditions. Echandia Sweden has been responsible for the system integration. They will also deliver Supercharger systems for fast recharging of the battery pack. The BB GREEN team reports considerable interest for the BB GREEN initiative not only from Europe, but also from the Far East and USA. “We are now seeking financial support to demonstrate and disseminate the new technology across Europe, allowing owners/operators, politicians and other stakeholders to test and ’feel’ the concept”, expresses project manager Tor Livgard from ESI. Following initial tests at the construction yard in Latvia, the first planned demonstrations will take place in Sweden (Stockholm and Gothenburg), Norway and the Netherlands, but the BB GREEN team hopes the planned “demonstration road show” could be extended also to include several other European countries. C

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All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Under water picture from BB GREEN model tests in the towing tank at SSPA Sweden, showing the vessel at 35 knots speed in calm waters Fig. 2: The BB GREEN vessel launch Fig. 3: Dry carbon, Devinycell lay-up in the BB GREEN mould

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SIKA

L’adesivo strutturale ad alte prestazioni Sika è un’azienda fondata nel 1910 con sede a Baar, Svizzera, attiva in tutto il mondo nella chimica integrata applicata all’edilizia e all’industria, specializzata nello sviluppo e nella produzione di sistemi e prodotti per incollaggio, sigillatura, smorzamento acustico, impermeabilizzazione, rinforzo e protezione. È presente in 95 Paesi con filiali e stabilimenti di produzione. La sede italiana ha base a Milano ed è attiva nei principali settori industriali, specializzata nella produzione nautica e navale. La ricerca negli ultimi anni si è concentrata sullo sviluppo di chimiche destinate alla costruzione in materiale composito. Il lavoro ha portato alla formulazione di matrici epossidiche per impregnazione tessuti e adesivi strutturali, dedicati al composito avanzato. Pensato per il composito, ma in generale per tutte le applicazioni strutturali del mondo nautico, Sika presenta il SikaFast ® -4261. verificare che la miscela abbia sempre la giusta catalisi in tutta la massa lavorata), come ad esempio l’incollaggio di un ragno strutturale o l’accoppiamento scafo – coperta. SikaFast ® -4261 nell’applicazione tipica della nautica svolge il duplice compito di adesivo strutturale e di giunto in grado di sopperire alle tolleranze non sempre millimetriche tipiche dei grandi manufatti. Incollare in nautica ha molteplici vantaggi, sia che sia composito che metalli, sia che le parti da collegare siano dello stesso materiale oppure no.

…dato che è possibile…

e quindi…

…distribuire su tutta superficie …eliminazione dei problemi di di contatto gli sforzi ovalizzazione dei fori e punti di innesco cricche Nelle applicazioni nautiche, attualmente si possono differenziare gli adesivi strutturali, ossia quelli che generano continuità e trasferiscono le sollecitazioni tra le parti collegate, in due macro sistemi: rigidi ed elastici. Un adesivo rigido di solito ha elevate caratteristiche meccaniche, basso allungamento a rottura – <3% – e consente giunti di limitatissimo spessore, quasi a contatto. Quindi trasferisce il carico rendendo solidali le due parti collegate. Un adesivo elastico consente la realizzazione di giunti ad elevato spessore, >10 mm, ha un allungamento a rottura elevato (~100%) e garantisce il trasferimento del carico, pur ammettendo spostamenti differenziali tra le parti collegate. SikaFast ® -4261, proposto da Sika, è un Acrilato Uretanico catalizzato con MEKP; è utilizzabile fino a 40 mm di spessore e ha un modulo elastico di 650 MPa, che permette di ottenere un giunto più resistente del substrato in resina del composito sottostante. Inoltre la flessibilità e l’allungamento del giunto consentono di sopportare sollecitazioni a fatica di elevata intensità (19 MPa). Dal punto di vista applicativo, il viracolor ed il lungo pot-life di 65 min effettivi permettono lavorazioni che richiedono tempo ed elevate quantità (il viracolor permette all’operatore di

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Compositi

…avere flessibilità nelle modifi- …non c’è bisogno di predisporche in fase di allestimento re infrastrutture che consentano fissaggi meccanici …incollare materiali diversi

…eliminare i problemi relativi agli accoppiamenti galvanici o alla incompatibilità dei due substrati, metalli differenti, composito a matrice differente

…modificare il comportamen- …possibilità di smorzamento to globale in frequenza del ma- vibrazioni. Disaccoppiamento nufatto delle masse (adesivo flessibile) Collegamento rigido (adesivo rigido) …unire metalli, anche differen- …possibilità di eliminare le salti, in modo semplice dature in fase avanzata di allestimento, no stress termico e no deformazione lamiere, quindi riduzione dei problemi estetici …ottenere giunti ad elevato …compensare le tolleranze dei spessore componenti da assemblare …eliminare la fase di prealle- …ridurre i costi di processo stimento del composito, e risparmiare il tempo e le risorse per la preparazione della struttura al passaggio degli impianti ed al supporto dei dispositivi


DIAB

Un traghetto passeggeri per viaggi sostenibili La nave lunga 40 m e larga 15 m percorre il tratto di mare tra Flåm e Gudvangen, in Norvegia, con una capacità di 400 passeggeri. Il traghetto alimentato a batterie attraversa lo splendido Nærøyfjord in un nuovo, e più sostenibile, approccio turistico. Costruito nel 2016 dai cantieri Brødrene Aa i Hyen per la compagnia di navigazione norvegese The Fjords, il catamarano ibrido-elettrico Vision of the Fjords è in grado di portare i turisti lungo la splendida costa della Norvegia in un modo silenzioso e sostenibile. Il design unico, con il marchio Seasight, mette in risalto una nave da turismo premium che utilizza le più recenti tecnologie pulite per preservare l’antico e prezioso tesoro naturale dei fiordi norvegesi. Le sue passerelle, che ricordano il percorso a zig-zag su una montagna, consentono ai passeggeri di camminare ed avere sempre un’ottima prospettiva per ammirare il paesaggio. Con una velocità massima di 19,5 nodi, Vision of the Fjords ha un motore diesel, ma l’idea è quella di utilizzare il più possibile un sistema ibrido di propulsione elettrica sviluppato da ABB e alimentato da Mancraft diesel o da batterie ZEM. L’idea è quella di utilizzare solo i motori diesel per le distanze più lunghe di transito ed alimentare a batterie durante le escursioni nel Nærøyfjord, un ambiente naturale delicatissimo e patrimonio mondiale dell’UNESCO. Le batterie possono essere ricaricate sia in stazionamento in banchina che dal motore diesel. Per ridurre il consumo energetico e le capacità delle batterie necessarie, la nave deve essere la più leggera possibile, motivo per cui Vision of the Fjords è stata costruita con materiali compositi in fibra di carbonio. Il design elegante non è solo piacevole per gli occhi, la leggerezza riduce l’impatto ambientale. Inoltre, il materiale offre una grande libertà di costruzione, consentendo un design che riduce efficacemente la generazione di onde e quindi l’erosione delle coste vulnerabili del Nærøyfjord.

Diab ha lavorato con Brødrene Aa fin dal 1974 ed è stato un partner nello sviluppo della tecnologia sandwich composito. Brødrene Aa ha prodotto diverse navi veloci usando pannelli rinforzati in vetroresina in Divinycell. Brødrene Aa apprezza il peso ridotto e la maggiore resistenza del materiale composito. Rispetto al sandwich di vetroresina e alluminio, quello in fibra di carbonio fornisce rigidità quattro volte superiore a quella tradizionale in fibra di vetro, così come da due a tre volte in più di resistenza alla trazione. Vision of the Fjords è stata costruita utilizzando Divinycell H. Il materiale offre eccellenti proprietà meccaniche e basso peso, è compatibile con la maggior parte delle resine liquide, è facilmente reperibile ed è ampiamente usato in tutte le aree di applicazione sandwich: nautica, trasporti, energia eolica e ingegneria civile. La bassa conducibilità termica lo rende particolarmente adatto come isolante termico. Vision of the Fjords è anche ufficialmente un vincitore. Brødrene Aa ha ricevuto il prestigioso premio “Nave dell’anno 2016”promosso da International Maritime Trade Fare SMM ad Amburgo nel corso dello scorso settembre.

WS MARINE

Adesivi, vernici, sigillanti e stucchi La WS Marine è il distributore esclusivo per l’Italia dei marchi West System, Pro-Set, Epifanes, Teakdecking Systems, RMC. La resina base West System 105, miscelata nel corretto rapporto di catalisi con un indurente a scelta (a seconda della temperatura di lavoro e dal tipo di lavoro), è un adesivo eccellente. È progettata specificamente per l’impregnazione e l’incollaggio di legno, vetroresina e di altri materiali compositi, nonché per la primerizzazione e incollaggio di diversi metalli. A seconda dell’applicazione e dell’utilizzo, esistono diversi additivi/ addensanti, ad alta e bassa densità, da miscelare con la resina che la rendono molto duttile per diversi e molteplici impieghi.

Epifanes, storico colorificio olandese apprezzato in tutto il mondo per la qualità delle vernici mono e bicomponenti, ha nella propria gamma anche ottimi smalti mono e bicomponenti. Le sue vernici sono spesso abbinate a lavorazioni realizzate con i prodotti West System. Teakdecking Systems, negli USA, è un’azienda esperta nella realizzazione delle coperte in Teak e nella produzione degli adesivi e dei sigillanti usati a tale scopo. I suoi prodotti sono costantemente controllati e perfezionati, si applicano senza primer, migliorando notevolmente il risultato di adesione, sia nell’immediato che nel tempo. Teakdecking Systems offre la stessa ottima qualità del suo sigillante nero anche nei colori bianco e grigio. Rodoero Marine Coating ha prodotto dal 1952 ad oggi, per conto di importanti aziende chimiche nazionali e multinazionali, oltre sette milioni di litri di stucchi epossidici, pari ad oltre 1,5 milioni di mq di superfici modellate, e molti altri prodotti vernicianti. RMC offre i propri stucchi in apposite guaine di polimeri plastici poliestrusi, imballate in pratici e robusti cartoni. Queste “salsicce” si possono utilizzare tradizionalmente, svuotandole a mano, oppure con una “Mixing Machine” appositamente progettata. In questo modo i vantaggi economici per gli applicatori e i cantieri sono considerevoli. Il “sistema RMC” ha ottenuto il Qualitec Award 2015 al Seatec tenutosi a Marina di Carrara e la menzione ADI di IBI al Salone Nautico di Genova 2015.

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Forature coniche di compositi perfettamente eseguite con PCD Nell’esecuzione di tutti i fori la profondità costituisce un problema da affrontare e risolvere. Particolarmente nelle forature coniche, dove la dimensione non consente l’utilizzo di bareni. Utilizzando un alesatore a doppio tagliente conico, con doppio riporto in PCD, è possibile ovviare a questi inconvenienti.

Evidenza del profilo compensato

La lunghezza totale del tagliente non genera problemi, pur essendo composta da diverse sezioni saldate in modo da risolvere anche la questione della fragilità del tagliente. Perché? La particolare affilatura eseguita con macchine Laser di ultima generazione è in grado di effettuare la compensazione della conicità nonostante le microscopiche imperfezioni di saldatura, generando un filo tagliente rettilineo in grado di produrre efficacemente ed efficientemente fori conici perfettamente eseguiti secondo le specifiche richieste dal Cliente.

Per info: Antonella Mazzoccato

Foto dalla sala metrologica C.R.M. con evidenza della rettilinearità microscopica del tagliente

C.R.M. di Mazzoccato Arturo & Figli s.r.l. Via S.S. dei Giovi, 44 22073 FINO MORNASCO (CO) info@crmtools.it www.crmtools.it

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Felipe Vannucchi de Camargo, Carlos E. M. Guilherme – Policab Stress Analysis Laboratory, Universidade Federal do Rio Grande, Brazil Cristiano Fragassa – Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Bologna

Fibre sintetiche nelle cime d’ancoraggio per piattaforme petrolifere Una valutazione delle proprietà meccaniche

I

l settore petrolifero ha trovato in alcune delle fibre sintetiche di maggior uso la risposta a una sfida fondamentale: rendere significativamente più leggere le chilometriche linee d’ancoraggio di piattaforme petrolifere offshore. Lo sforzo ingegneristico per l’ancoraggio di una piattaforma di estrazione petrolifera posta su di un bacino di petrolio a grande profondità sottomarina, unito alle barriere in termini di peso e costo imposte dalle linee d’ancoraggio realizzate con catene di anelli in ghisa, ha fatto nascere l’idea di utilizzare come soluzione cime prodotte con fibre sintetiche. Nel corso degli anni questo approccio, adottato per la prima volta nei bacini petroliferi brasiliani all’inizio degli anni 2000, ha implementato la tecnologia dei compositi per poter sfruttare le caratteristiche di alcuni materiali sintetici come fibra per le cime di ancoraggio. Il poliestere (PET) ha sempre avuto un ruolo di ri-

lievo a questo scopo, grazie al suo basso costo e alle sue buone proprietà meccaniche, sebbene materiali più sofisticati, come il polietilene (PE), l’aramide (AR) e i polimeri a cristalli liquidi (LCP), siano intervenuti a fornire altre proprietà in termini di resistenza allo scorrimento viscoso, di assorbimento dell’acqua e di peso, aumentando così la competitività di questo settore di mercato. In aggiunta al rinnovo dei materiali, è cambiato anche il sistema di ancoraggio: per sostituire la configurazione a catenaria è stato introdotto il sistema taut-leg. Questa nuova configurazione permette di diminuire la lunghezza delle linee d’ancoraggio, così da ridurne il peso. Sostanzialmente si tratta di una configurazione in cui le cime sono costantemente in tensione e ancorate a un angolo di 45° rispetto al fondale. Si può dunque inferire che poiché le fibre sono sempre in tensione, sia a favore di corrente che con-

Fig. 1: Piattaforma petrolifera semi-sommergibile della Petrobras

Fig. 2: Configurazioni di ancoraggio a catenaria (A) e Taut-leg (B) trocorrente, esista un effetto del vento e del sistema di posizionamento dinamico della piattaforma. Tale sistema ciclico di sforzi rende la conoscenza del comportamento meccanico di queste fibre sintetiche un tema importante. Nell’intento di prevedere e confrontare il comportamento dei quattro materiali prima menzionati quando soggetti a sforzi meccanici quali trazione, creep e fatica, filati realizzati con queste fibre utilizzati in applicazioni di compositi sono stati sottoposti a test sperimentali per la valutazione delle loro proprietà. Un effetto collaterale delle proprietà dei materiali è una grande resistenza sotto sforzo meccanico. Perciò, per poter eseguire i test sperimentali e ottenere risultati significativi, le prove sono state condotte nelle condizioni di carico massimo, in modo da garantire un’analisi in tempi ragionevoli. PROVA DI TRAZIONE Sulla base della normativa ASTM D885 [1], il test è consistito in un pretensionamento per ridurre gli effetti di logoramento da impatto e in una rampa di carico statico a velocità controllata fino alla rottura di ognuno dei campioni. In tutti i test eseguiti in questo lavoro si sono usati campioni lunghi 500 mm con una rampa di carico funzione di questa lunghezza: 50% per l’aramide (velocità 250 mm/ min) e 100% per le altre fibre (500 mm/ min). Lo scopo di questo test è stato determinare la massima forza media che un filato può sopportare prima di rompersi, rappresentata dallo Yarn Breaking Load (YBL, carico di rottura del filato).

Compositi

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- Fibre sintetiche nelle cime d’ancoraggio per piattaforme petrolifere -

Tab. 1: Risultati di tutti i test meccanici esclusi quelli a fatica

PROVA DI SCORRIMENTO VISCOSO Sulla scorta dei parametri critici di carico, i test sono stati condotti all’80% e 90% del carico di rottura (CR) medio del filato per ognuno dei materiali, preceduti da un pretensionamento e quindi con una rampa di carico statico esattamente come per la prova a trazione. TENACITÀ LINEARE Attraverso prove di densità lineare condotte secondo la normative tecnica ISO 139 [2] e ISO 2060 [3] è possibile determinare la Tenacità Lineare (TL) come il rapporto tra carico medio di rottura del filato e densità lineare (DL) media di ogni materiale. I valori di densità lineare sono espressi in unità di tex (g/km). La tenacità lineare risulta non essere una misura di forza per unità di area, ma piuttosto una misura quasi-adimensionata analoga alla forza specifica, poiché non sarebbe preciso definire un’area della sezione trasversale per ogni filato dal momento che i diametri non sono costanti sulla lunghezza, e dipendono dal processo di produzione per estrusione.

Tab. 2: Resistenza a fatica espressa in numero di cicli necessari per la rottura

I risultati di tutte le prove descritte finora sono mostrati in tabella 1. FATICA Sono stati eseguiti test ciclici considerando un carico di picco fisso pari al 90% del YBL e un carico minimo nel range tra il 10% e l’80% del YBL, variato ogni volta con un aumento del 10% del carico. Come mostrato dalla figura 3 e dalla tabella 2, è stato possibile determinare sperimentalmente che ogni fibra presenta un andamento specifico di rottura che dipende dall’ampiezza della gamma di carico (considerando il carico di picco costante a 90% del YBL). I materiali hanno mostrato una forte differenza nei valori di resistenza al creep, misurata in ore, nella quale aramide e poliestere hanno resistito molto di più all’applicazione del carico rispetto al polimero a cristalli liquidi e al polietilene. L’aramide ha mostrato chiaramente grandi valori di resistenza per tutte le proprietà misurate, aspetto di cui è bene tenere conto considerando che è il materiale più pesante. Il polietilene ha lo stesso peso del LCP,

sebbene la resistenza a trazione del PE sia considerevolmente più alta, che si traduce in una tenacità superiore. D’altro canto, esso ha la peggior resistenza allo scorrimento viscoso tra tutti i materiali testati. Ciò è esemplificato del comportamento che la fibra presenta sotto carichi ciclici di bassa ampiezza (che sono simili alle condizioni di creep): dopo un’ampiezza ottimale di circa il 20% del YBL, quando l’ampiezza decresce la resistenza a fatica peggiore con un tasso rilevante. Il poliestere, che è la fibra più utilizzata per cime di ancoraggio oceaniche, ha un peso medio e la peggior resistenza a trazione a confronto degli altri materiali, che comporta la peggior tenacità. Tuttavia, la sua resistenza al creep è molto alta. La completa comprensione delle proprietà meccaniche di una cima è un compito che implica molte variabili: il materiale di cui è fatta la fune, il suo processo di produzione, il suo layout costruttivo (fibre, filati, trefoli e corde di cui è composta), a quale livello questi sottocomponenti sono ritorti o intrecciati tra loro, eccetera. Allo stesso tempo, non è stato sviluppato molto lavoro sperimentale, specialmente riguardo alla fatica, perché fattori come il sovradimensionamento in fase progettuale e il basso costo della materia prima hanno finora supplito a questa esigenza del settore. Perciò, la presente analisi mira ad aprire la strada a futuri sviluppi su ricerche sperimentali concernenti l’applicazione di fibre sintetiche usate nei compositi per cime di ancoraggio offshore. BIBLIOGRAFIA/REFERENCES

Fig. 3: Diagramma a fatica.

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[1] ASTM D885, Standard Test Methods for Tire Cords, Tire Cord Fabrics, and Industrial Filament Yarns Made from Manufactured Organic-Base Fibers, West Conshohocken, 1998, www.astm.org. [2] ISO 139, Textiles: Standard atmospheres for conditioning and Testing, Geneva, 2005, www.iso.org. [3] ISO 2060:1994. Textiles – Yarn from packages – Determination of linear density (mass per unit length) by the skein method.


Felipe Vannucchi de Camargo, Carlos E. M. Guilherme – Policab Stress Analysis Laboratory, Universidade Federal do Rio Grande, Brazil Cristiano Fragassa – Department of Industrial Engineering, University of Bologna

Synthetic fiber mooring ropes for oil platforms An evaluation of mechanical properties

T

he oil industry found on some of the most used synthetic fibers for composites the answer to a relevant challenge: making kilometric mooring lines for offshore oil platforms substantially lighter. The engineering endeavor to anchor an oil extraction platform upon high depth undersea oil basins, coupled with the barriers in terms of weight and cost imposed by mooring lines made out of cast iron chain links; arose the concept of using ropes build with synthetic fibers as a solution. Over the years, this approach, pioneered in Brazilian oil basins in early 00’s, embraced the technology of composites to use some of its characteristic synthetic materials such as fibers for the anchoring ropes. Polyester (PET) always had a prominent role for this purpose due to its low cost and good mechanical properties, although more sophisticated materials such as Polyethylene (PE), Aramid (AR) and Liquid Crystal Polymer (LCP) came to offer other aspects in terms of creep resistance, water absorption and weight, increasing the market competitiveness. Along with the material substitution, the anchoring system has also changed: to replace the catenary layout, the taut-leg system was introduced. This new configuration allows reducing the length of the mooring lines, therefore decreasing their weight. It is basically a configuration in which the ropes are constantly under stress and anchored at a 45 degree angle with the seabed. So, it is possible to infer that since the fibers are constantly tensioned, whether in favor whether against the stream, the wind and the vessel’s dynamic positioning system influences; this cyclic force routine makes the proper knowledge of the mechanical behavior of those synthetic fibers an important topic. Aiming to foresee and compare the behavior of the four aforementioned materials when subjected to mechanical efforts such as tension, creep and fatigue; yarns composed by this fibers used in composite applications were submitted to experimental tests for evaluating their properties. A side effect of the materials qualities is the high endurance when mechanically demanded. Thus, to enable the performance of experimental tests and achievement of substantial results, the tests were conducted under utmost loading conditions in a way to grant a timely feasible analysis.

TENSILE TEST Backed up by the standard regulation ASTM D885 [1], the test consisted of a pre tension to soften impact wear effects and a static loading ramp with controlled velocity which rose until the failure of each specimen. These specimens were 500 mm long in all the tests performed in this work, and the loading ramp is a function of this length: 50% for Aramid (velocity of 250 mm/min) and 100% for the other fibers (500 mm/min). The intent of this test is to determine the average maximum force a yarn can withstand before rupture, represented by the Yarn Breaking Load (YBL). CREEP TEST Following the premise of severe loading parameters, tests to evaluate the Creep Resistance (CR) were carried out at 80% and 90% of the average Yarn Breaking Loads of each material, preceded by a pre tension and a static loading ramp just like for the tensile test. LINEAR TENACITY Through linear density tests, performed according the ISO 2060 [3] and ISO 139 technical standards [2], it is possible to determine the Linear Tenacity (LT) with the ratio of the average Yarn Breaking Load by the average Linear Density (LD) of each material. The linear density results are expressed in units of tex (grams per kilometer). The linear tenacity turns out to be not a measure of force per unit area, but rather a quasi-dimensionless measure analogous to specific strength, once it would not be precise to define a cross-sectional area for each yarn because the fibers diameters are not constant over their length, and dependent of the extrusion manufacturing process. The results of all tests so forth described are exhibited in table 1. FATIGUE Cyclic tests were conducted considering a fixed peak load of 90% YBL and a trough load that ranged from 10% to 80% YBL varying by a 10% load increase. As figure 3 and table 2 show, it was possible to experimentally determine that each fiber presents a particular failure trend depending on the loading amplitude (considering the peak load as a constant of 90%YBL). The materials showed a marked contrast among their creep resistances, measured in hours, in which

Aramid and Polyester have resisted way longer to the load application then Liquid Crystal Polymer and Polyethylene. Clearly, Aramid showed a prominent resistance to all properties evaluated, which should be taken in account considering that it is the heaviest material. Polyethylene has the same weight as LCP, although PE’s tensile resistance is considerably higher, resulting on an increased tenacity. On the other hand, it has the worst creep resistance of all materials. This can be exemplified by the behavior this fiber presents under low-amplitude cyclic loads (which are similar to a creep condition): after an optimum amplitude of about 20% YBL, as the amplitude decreases the resistance to fatigue gets worse under a remarkable rate. Polyester, which is the most used fiber for oceanic mooring ropes, has a medium weight and the worst tensile resistance when compared to other materials, resulting in the worst tenacity. However, its creep endurance very is high. Understanding entirely a rope’s mechanical properties is a task that involves many variables: which material the rope is made of, the manufacturing process, the rope construction layout (fibers, yarns, strands, sub ropes), in which level these subassemblies are twisted or braided among each other, and so on. At the same time, not much experimental work have been developed, especially regarding fatigue, because factors such as oversized designs and low cost of raw material have supplied the industry concerns so far. Thus, the present analysis aims to open a path to forthcoming developments on experimental researches regarding the application of synthetic fibers used in composites on offshore anchoring ropes. Acknowledgments This investigation was supported and funded by the Brazilian oil state company Petrobras.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Semi-submersible oil platform from Petrobras Fig. 2: Catenary (A) and Taut-leg (B) mooring configurations Tab. 1: Results of all mechanical tests except fatigue Fig. 3: Fatigue diagram Tab. 2: Fatigue resistance expressed in number of cycles to failure

Compositi

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F. Montagnoli, M. Cardone – Leonardo Elicotteri, Inspections and Analysis

Caratterizzazione della porosità tramite micro-tomografia di laminati in fibra di vetro

O

ltre alle ben note applicazioni strutturali e critiche di compositi rinforzati con fibre di carbonio, vi sono alcuni componenti che sono progettati con compositi rinforzati in fibra di vetro, sfruttandone la loro migliore tenacità [1]. I ”vuoti” intesi come “porosità” costituiscono la più tipica discontinuità produttiva che può essere generata da molteplici cause [2]. Essi riducono la resistenza meccanica del materiale [3] in funzione della loro dimensione, posizione e forma. Riferendosi al caso di una stratificazione “split tape”, il metodo radiografico viene impiegato per la valutazione della porosità. Non essendo disponibile uno standard internazionale di immagini radiografiche, se ne è creato uno con gradi crescenti di severità. Scopo di questo studio è quantificare volumetricamente il contenuto in vuoti dello standard radiografico tramite micro-tomografia a raggi x. L’analisi distruttiva è svolta su parti produttive. Successivamente si sono confrontate le valutazioni radiografiche produttive su una selezione di parti per verificare l’applicabilità dello standard radiografico.

Grade

Voids (%)

1

1,71

2

2,90

3

3,44

4

5,18

5

4,80

6

3,60

7

4,88

8

5,36

Tab. 1: Contenuto in vuoti dello standard radiografico Per meglio comprendere i dati volumetrici, si riportano alcune rappresentative sezioni (figura 2 e 3). I gradi da 1 a 4 sono caratterizzati da un incremento di vuoti che si intensificano e si distribuiscono nel volume, mentre dal grado 5 al grado 8 vi è una tendenza alla formazione di vuoti sempre più grossolani con un maggior effetto intaglio. L’anomalia che si apprezza è relativa al gra-

RISULTATI E DISCUSSIONE Quantificazione dei vuoti nello standard radiografico I campioni usati per la creazione dello standard radiografico di parti in fibra di vetro sono stati investigati mediante micro tomografia con una risoluzione spaziale (voxel) di 34µm. Il contenuto in vuoti è calcolato con il modulo “Defect Detection” del software VG StudioMax 2.2. Per la quantificazione del contenuto in vuoti sono disponibili diversi algoritmi; si è utilizzato quello più complesso (VGDefX ) che ha permesso di raggiungere risultati più affidabili riducendo il rumore, computando i vuoti affioranti in superficie (Internal Cleaning e Surface Sealing) e iterando l’analisi con un criterio di probabilità che considera il contrasto, la dimensione del vuoto e la sua sfericità. Si riportano in tabella 1 le percentuali del volume di vuoti dello standard radiografico.

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Compositi

Fig. 1: Contenuto in vuoti dello standard radiografico

do 6, la cui severità è dovuta alla concentrazione di molteplici vuoti fini. L’andamento del contenuto in vuoti entro lo standard radiografico è schematizzabile con: • una legge in prima approssimazione lineare fino al grado 4 con un coefficiente di determinazione (R2 ) di circa 0.93 • una tendenza asintotica ad un valore di circa 5.5% dal grado 5 fino al grado 8 (vuoti concentrati, grossolani e affioranti). L’analisi micro-tomografica è la sola possibile per la caratterizzazione del contenuto in vuoti dello standard radiografico. La valutazione comparativa tra micro-tomografia e tecniche distruttive viene svolta nella successiva fase. Quantificazione dei vuoti nelle parti produttive È stata sezionata una serie di parti produttive sulle quali era dichiarata una certa severità di vuoti. Si riporta in tabella 2 l’elenco delle parti e la valutazione radiografica espressa con il grado di severità relativo allo standard.


Productive Component

Zone 1

Zone 2

Zone 3

A

6

4

7

B

6

4

//

C

4

4

7

D

2

1

//

E

3

2

//

F

5

5

7

G

5

4

//

H

4

5

//

Tab. 2: Parti esaminate

Fig. 2: Distribuzione vuoti da Grado 1 a Grado 4.

Fig. 3: Distribuzione vuoti da Grado 5 a Grado 8

Tutte le zone sono state tomografate con il medesimo set-up prima definito e sono state caratterizzate per contenuto in vuoti. I risultati micro-tomografici sono stati confrontati con quelli ricavati dai seguenti metodi distruttivi: • analisi d’immagine sulle sezioni lucidate di estremità tramite software Image Pro Plus utilizzando il microscopio elettronico a scansione (SEM) • calcinazione eseguita secondo ASTM D2734 e relativa specifica tecnologica di processo di Leonardo Elicotteri. L’analisi d’immagine è basata sulla differenza in tonalità di grigio tra fibra/matrice ed i vuoti affioranti. Svariate cause possono contribuire ad un’errata stima della quantificazione dei vuoti, per cui è importante osservare il campione a diversi ingrandimenti e acquisire un elevato numero d’immagini in alta definizione (HD) selezionando un adeguato filtro e soglia per ottenere una valutazione più affidabile. La calcinazione misura la differenza di massa del campione prima e dopo il test. Per differenze di volume, si ottiene il contenuto in vuoti del campione e così la percentuale di porosità in esso presente. È un’analisi distruttiva e la stima del contenuto in vuoti è viziata da molteplici incertezze: la conoscenza dei valori reali delle densità dei costituenti, la presenza di residui di aggrappanti sulle fibre, l’esistenza di vuoti affioranti e di forma grossolana e l’incertezza sulla misura dello spessore, variabile da punto a punto. A differenza della calcinazione, l’uso dell’analisi d’immagine limitata alla sola superficie fornisce una prima valutazione del contenuto in vuoti con informazioni approssimative, dando indicazioni sommarie circa la posizione, la forma e la distribuzione dei vuoti [4]. Dopo opportuna lucidatura tutti i campioni sono stati osservati al SEM a 50X. Si è scelto di non osservarli al microscopio

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Grade

Voids SEM (%)

Voids Calcination (%)

Voids MicroTomography (%)

- Caratterizzazione della porosità tramite micro-tomografia di laminati in fibra di vetro -

1

1,65

1,85

2,01

2

1,71

2,46

2,99

3

2,30

1,17

2,80

4

3,12

3,92

4,54

5

3,89

4,01

4,72

6

2,78

3,17

3,79

7

3,07

3,98

4,62

te mostra un coefficiente angolare prossimo all’unità con un coefficiente di determinazione (R2 ) di 0.90, indice di una buona correlazione sperimentale tra la valutazione degli operatori e lo standard. CONCLUSIONI Possono essere formulate le seguenti conclusioni: • il contenuto in vuoti dello standard ha un andamento crescente col crescere dei gradi: inizialmente lineare (da grado 1 a grado 4) e successivamente asintotico (oltre il grado 5). Tale evidenza è dovuta alla differente distribu-

zione dei vuoti. • Dal confronto tra le tecniche di quantificazione, la micro-tomografia misura con maggior affidabilità e ripetibilità il contento in vuoti rispetto all’analisi di immagine (SEM) e alla calcinazione. Tali differenze si fanno più marcate al crescere del contenuto in vuoti. • Un buon allineamento è sperimentato tra le valutazioni radiografiche degli operatori e lo standard radiografico. Come sviluppo, sarebbe interessante poter valutare se il set-up di computo qui utilizzato è applicabile ad altri materiali compositi e stratificazioni.

Tab. 3: Contenuto in vuoti a confronto tra tecniche ottico a causa del basso contrasto tra fibra e matrice epossidica e della necessaria planarità dei campioni che rende più difficoltosa la messa a fuoco. Sulla base di queste considerazioni, l’osservazione al SEM risulta la più adatta potendo acquisire un maggior numero di immagini a parità di tempo. Si riportano in tabella 3 e in figura 4 i valori medi del contenuto in vuoti per ogni grado di severità. I dati sperimentali evidenziano un andamento del contenuto in vuoti simile a quello dello standard radiografico (fig.1): lineare fino al grado 4 e successivamente asintotico. Si conferma la poca rappresentatività del grado 6. Confrontando i dati sperimentali ricavati dalle tre tecniche, si rileva una marcata sottostima del contenuto in vuoti del grado 3 con la calcinazione (ellisse gialla in figura 4). Purtroppo l’analisi di un solo caso non ha permesso di verificare questa evidenza sperimentale. I restanti dati mostrano globalmente una quantificazione sempre superiore da parte della micro-tomografia rispetto alla calcinazione che tende ad aumentare nel caso di vuoti affioranti (gradi più alti). L'analisi micro-tomografica consente inoltre di determinare la dimensione, forma e distribuzione dei vuoti presenti nell’intero volume, fornendone una più completa caratterizzazione. I valori ricavati mediante analisi d’immagine (SEM) sono delle decise sottostime in virtù dell’analisi superficiale. Affidabilità delle valutazioni produttive L’adeguatezza delle valutazioni fatte dal personale qualificato Livello 2 RT è stata verificata per confronto rispetto allo standard. In figura 5 si riportano i contenuti in vuoto ottenuti con micro-tomografia tra lo standard e le parti produttive: la regressione interpolata linearmen-

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Fig. 4: Contenuto in vuoti in parti produttive con tre tecniche

Fig. 5: Corrispondenza tra i vuoti “produttivi” e i vuoti dello standard


F. Montagnoli, M. Cardone – Leonardo Elicotteri, Inspections and Analysis

Porosity characterization of glass split tape lay-up using micro-tomography

I

n addition to the well-known structural ad critical application of composite materials reinforced with carbon fibers there are other components designed and made using materials reinforced with glass fibers due to their improved toughness [1]. The “voids” such as “porosity” are the typical production discontinuity that can be detected due to several reasons [2]. They reduce the mechanical strength of the composite [3] depending on their size, position and shape. Referring to a split tape lay-up, x-ray method is used to evaluate the porosity content. Not being available an international standard of radiographic images, such as on metallic castings, it was necessary to create one, characterized by increasing degree of severity. Purpose of this study is to quantify volumetrically the void content of the radiographic standard using the x-ray micro-tomography. The destructive analysis was performed only on component coming from production. In order to verify the applicability of the radiographic standard, the radiographic evaluations performed in Production were compared with the results got by micro-tomography. RESULTS AND DISCUSSION Quantification of voids on the radiographic standard The samples used to create the radiographic standard of the glass fibers parts have been investigate with x-ray micro-tomography, achieving a spatial resolution (voxel) of 34µm. The void content has been calculated with the software VG StudioMax 2.2, using the “Defect Detection” module. Several algorithms are available to quantify the void content; in this study the most complex algorithm (VGDefX ) was used achieving the best reliable results while reducing noise, counting voids open to the surface (Internal Surface Cleaning and Sealing) and iterating the analysis using a probability criterion that considers the contrast, the void size and its shape. The table 1 and the figure 1 show the voids content of the radiographic standard. To better understand the volumetric data, some representative sections are shown in figure 2 and figure 3.

The grades from 1 to 4 are characterized by an increase of voids that are intensified and distributed inside the volume, while from the grade 5 to grade 8 there is a formation of more and more coarse voids with a greater notch effect. The anomaly found is related to the grade 6 and its severity is due to the concentration of many fine voids. The trend of the voids content inside the radiographic standards can be described as: • a linear trend up to grade 4 with a determination coefficient (R2 ) of about 0.93 • An asymptotic trend to a value of about 5.5% from grade 5 up to grade 8 (voids concentrated, coarse and open to the surface). The micro-tomographic analysis is the only one possible to characterize the void content of the radiographic standard. The comparison between the x-ray micro-tomography and the destructive analysis has been performed in a second time. Quantification of voids on the components coming from production Some productive components have been characterized using the radiographic standard to evaluate the void severity and after that they were cut. The table 2 shows all selected parts and their radiographic evaluation. All the zones are scanned by micro-tomography using the same set-up defined for the radiographic standard and they have been characterized for void content. The micro-tomographic results have been compared with the results got by the following destructive methods: • Image analysis on the polished secGrade

Voids (%)

1

1,71

2

2,90

3

3,44

4

5,18

5

4,80

6

3,60

7

4,88

8

5,36

Tab. 1: Voids content of the radiographic standard

tions of the parts inspected by scanning electron microscope (SEM) using the software Image Pro Plus; • Calcination, the ASTM D2734 specification and the Leonardo Helicopters’ process specification. The image analysis is based on the difference in the gray scales between the fiber / matrix and the voids outcropping. There are several reasons that can contribute to an incorrect estimation of the quantification of the voids, so it is important to observe the sample at different magnifications and to acquire a large number of high-definition (HD) images selecting an appropriate filter and threshold to obtain a more reliable assessment. The calcination measures the difference between the weight before and after the test. For differences in volume it is possible to obtain the void content of the sample and so the percentage of porosity present in it. This is a destructive analysis and the estimation of the void content suffers from several factors: the knowledge of the densities values of the constituents, the presence of gripping traces on the fibers, the huge voids open to the surface and the thickness measurement of the sample, variable from point to point. Unlike the calcination, the image analysis is limited only to the sample surface and it provides a first evaluation of the voids content with approximate information about the position, the shape and voids distribution [4]. After lapping, all samples are observed at SEM at 50X. The optical microscope observation was not carried out due to low contrast between fiber and epoxy matrix and due to necessary perfect planarity of each sample that makes more difficult to focus. Following these considerations the SEM observation is the most suitable being able to acquire a greater number of images in the same time. The table 3 and the figure 4 show the medium value of the void content obtained for each grade of severity. The experimental results show a void content trend similar to what achieved on the radiographic standard (fig.1): linear up to grade 4 and subsequently asymptotic. This confirms the lack of representativeness of the grade 6. Comparing the experimental results obtained with all three methods it is possible to note an underestimation of the void content of the grade 3 by calcina-

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- Porosity characterization of glass split tape lay-up using micro-tomography tion (yellow ellipse in figure 4). Unfortunately the analysis of a single case does not allow verifying this experimental evidence. The other results globally show a higher quantification by the micro-tomography compared to the calcination which tends to increase when there are voids open to the surface (higher degrees). The micro-tomographic analysis can also determine the size, shape and distribution of the voids inside the entire volume together with a more complete characterization. The values obtained with image analysis (through SEM) are always lower due to the investigation limited to the surface.

Great thinking drives great performance bighead.co.uk

Reliability of the radiographic evaluations during production The reliability of the evaluation performed by the Level 2 RT personnel was verified by comparison with the standard. The figure 5 shows the void content obtained with the micro-tomography between the standard and the productive parts: the interpolated linear regression shows an angular coefficient near the unit with a coefficient of determination (R2) of 0.90, indicating a good correlation between the experimental evaluation of the personnel and the standard. CONCLUSION The following conclusions can be reported: • The void content of the standard has an increasing trend with the increase of the degree: initially linear (from grade 1 to grade 4) and then asymptotic (more than grade 5). This evidence is due to the different distribution of the voids. • From comparison of all three methods, the micro-tomography evaluates with better reliability and repeatability in the void content respect to the image analysis (SEM) and the calcination. These differences become more pronounced with increasing the void content. • There is a good correlation between the experimental evaluation of the personnel and the radiographic standard. As future development, it would be interesting to evaluate if the set-up used to calculate void content in this study is applicable to other composite materials and lay-up. REFERENCES

1. Costa, M. L., De Almeida, S. F. M., e Rezende, M. C., 2001, “The influence of porosity on the interlaminar shear strength of carbon/ epoxy and carbon/bismaleimide fabric laminates”, Composites Science and Technology, 61, 2101-2108; 2. Liu, L., et al., 2005, “Effects of cure cycles on void content and mechanical properties of composite laminates”, Composite Structures, 73, 303-309; 3. ZHU Hong-yan, LI Di-hong, ZHANG Dong-xing, WU Bao-chang, CHEN Yu-yong, “Influence of voids on interlaminar shear strength of carbon/epoxy fabric laminates”; 4. Harry J. Barraza, Youssef K. Hamidib, Levent Aktasb, Edgar A. O’Rear and M. C. Altan, “Porosity Reduction in the High-Speed Processing of Glass-Fiber Composites by Resin Transfer Molding (RTM)”, Journal of Composite Materials 2004; 38; 195.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Void content of the radiographic standard Fig. 2: Void distribution from Grade 1 to Grade 4 Fig. 3: Void distribution from Grade 5 to Grade 8 Tab. 2: Components analyzed Tab. 3: Comparison of voids content obtained with all methods Fig. 4: Voids content of productive parts obtained with all methods Fig. 5: Correspondence between “productive” voids and voids inside the standard


Claudio Scarponi, Luca Lampani, Paolo Gaudenzi – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale, Sapienza – Università di Roma Fabrizio Sarasini, Jacopo Tirillò, Teodoro Valente – Dipartimento di Ingegneria, Chimica, Materiali, Ambiente, Sapienza – Università di Roma

Impatti a bassa velocità di laminati epossidici rinforzati con fibra di canapa

I

l crescente uso di materiali compositi in applicazioni automotive e aeronautiche/aerospaziali, unito alla diminuzione delle risorse petrolifere, sta stimolando la ricerca di materiali e prodotti dall’impronta ambientale il più possibile ridotta, con una particolare attenzione alle materie prime rinnovabili. Questa accresciuta consapevolezza ha innescato uno spostamento verso l’uso di materiali naturali in sostituzione delle fibre sintetiche non rinnovabili, come il vetro, in compositi basati su polimeri sia termoindurenti che termoplastici [1]. Per applicazioni strutturali o semistrutturali si preferisce l’uso di matrici termoindurenti perché la loro alta flessibilità permette di modellarne le proprietà finali desiderate, così da ottenere alti valori di modulo elastico, resistenza, durevolezza, resistenza termica e chimica grazie alla loro alta densità di reticolazione. Come primo passo, si è ottenuta la riduzione dell’impatto ambientale dei materiali compositi basati su termoindurenti tramite la sostituzione delle fibre sintetiche con quelle naturali. Oggi, le ricerche più recenti sono basate sulla sostituzione dei componenti petrolchimici della matrice con equivalenti rinnovabili di origine biologica. Le risorse rinnovabili possono offrire un’interessante piattaforma sostenibile per la sostituzione parziale, e in qualche misura anche totale, dei polimeri di origine petrolifera per mezzo della progettazione di polimeri biologici che possono competere o addirittura sorpassare i materiali a base petrolifera esistenti su una base costi-prestazioni aggiungendo valore in termini di ecocompatibilità [2]. Nel caso dei materiali termoindurenti, le risorse rinnovabili più largamente sfruttate includono gli oli vegetali, che sono trigliceridi (triesteri del glicerolo con acidi grassi a catena lunga) con composizione variabile di acidi grassi dipendentemente da pianta, raccolto, stagione e condizioni di crescita. Studi recenti si sono concentrati sullo sviluppo di polimeri a base di oli vegetali e loro derivati per l’applicazione a materiali termoindurenti come rivestimenti e resine [3]. Polimeri termoindurenti di origine biolo-

gica possono essere utilizzati come matrici nei compositi con fibre sia sintetiche che naturali. È chiaro che l’obiettivo è l’adozione di matrici termoindurenti biologiche nella produzione di materiali completamente biodegradabili, usando quindi un materiale biodegradabile anche come filler/rinforzo. I rinforzi naturali rappresentano attualmente circa l’11% del volume totale di fibre usate nei compositi, con stime del 22% previste per il 2020. Tra le fibre naturali, quella di canapa è una delle rafie naturali più economiche e più prontamente disponibili in Europa. È caratterizzata da alte proprietà meccaniche specifiche insieme a un alto contenuto in cellulosa, il che la rende il materiale d’elezione come rinforzo nei compositi a matrice polimerica [4]. Gli oli vegetali, pur essendo eccellenti materie prime per i biopolimeri termoindurenti grazie alla loro disponibilità ed economicità, riportano generalmente proprietà termiche e meccaniche limitate a causa della bassa reattività dei gruppi alifatici epossidici, che si traduce in materiali scarsamente reticolati [5]. In questi termini, l’aggiunta di fibre naturali potrebbe parzialmente attenuare le loro insoddisfacenti prestazioni meccaniche. Attualmente, a dispetto delle ricerche in aumento, non si conoscono matrici termoindurenti biodegradabili utilizzabili per applicazioni strutturali. Tuttavia, resine non biodegradabili, ma con un contenuto significativo di componenti provenienti da materiali vegetali rinnovabili e con buone prestazioni, sono già commercializzate (per esempio da Entropy Resins Inc., Eco Green Resins, LLC). Alcuni studi si sono concentrati sul comportamento fisico-meccanico di compositi realizzati con fibre naturali e queste resine biologiche [5-8], ma le loro proprietà e le loro potenzialità d’uso nella produzione di compositi in fibra naturale non sono state studiate a fondo. In particolare, la risposta di tali compositi a carichi da impatto a bassa velocità non è ben nota; perciò l’obiettivo dell’articolo presente è la determinazione del comportamento di questi materiali a ca-

richi da impatto. Questa proprietà è molto importante, perché durante il ciclo di vita delle strutture in composito possono avvenire impatti a bassa velocità di oggetti estranei, in fase di realizzazione, manutenzione, operazione, eccetera. Il danno interno prodotto da carichi da impatto può influenzare fortemente le loro proprietà meccaniche visibili anche quando avviene un danno da impatto appena visibile (BVID, Barely Visible Impact Damage). Infatti i BVID possono produrre danni interni come delaminazioni e rottura sulla faccia posteriore, che possono ridurre la resistenza residua fino al 60%. La variabilità intrinseca delle proprietà della fibre naturali ancora limita la diffusione dei compositi con fibre naturali nelle applicazioni semistrutturali, anche a causa di una comprensione non chiara del loro comportamento meccanico, soprattutto per quanto concerne la resistenza al danno da impatto e la tolleranza al danneggiamento. Il lavoro presente è dedicato alla valutazione della soglia per BVID in laminati epossidici biologici rinforzati con tessuto in canapa e della loro resistenza residua a flessione. Per completezza è stata condotta una campagna sperimentale simile su compositi equivalenti ma basati su matrice epossidica tradizionale, così da evidenziare differenze e potenziali limitazioni delle matrici epossidiche biologiche. MATERIALI E METODI Come rinforzo si è usata una tela di canapa con peso della fibra per unità di superficie di 400 g/m2 (AssoCanapa srl), mentre come matrice è stata utilizzata una resina epossidica biologica con un contenuto in carbonio del 21% in peso (Super Sap ® CLR con indurente lento CLS02, forniti da Entropy Resins Inc.). La matrice Super Sap ® CLR è una resina epossidica modificata trasparente liquida che, diversamente dalle resine epossidiche tradizionali composte principalmente da materiali a base di petrolio, contiene materiali bio-rinnovabili ottenuti come co-prodotti o flussi di scarto di altri processi industriali, come la

Compositi

35


- Risposta a impatti a bassa velocità di laminati epossidici biologici rinforzati con fibra di canapa Peak force (N)

Maximum displacement (mm)

Absorbed energy (J)

Damaged area (mm2)*

5

2098.09±62.03

3.84±0.10

2.5±0.06

250

10

2188.92±63.39

6.18±0.03

8.32±0.10

630

15

2214.77±49.33

8.60±0.13

14.54±0.01

860

20

2340.26±74.42

11.02±0.49

19.94±0.04

980

40

2706.91±37.28

15.13±0.62

29.33±0.08

1860

Impact Energy (J)

*Evaluated from ultrasonic C-scans

Tab. 1 Parametri ottenuti da test di impatto sui laminati epossidici in fibra di canapa ­ roduzione di polpa di legno e biocomp bustibili. Il contenuto di carbonio di origine biologica è dell’ordine del 18.2-25.4% (ASTM D6866, da datasheet tecnico del fornitore). Sono state impilati otto strati di tessuto in canapa in una configurazione [(±45)/ (0/90)] 2S così da ottenere lo spessore desiderato di 5(±0.1) e una frazione volumica di fibra dello 0.42(±0.01). I campioni sono stati realizzati tramite lay-up manuale e sacco da vuoto, e sono stati sottoposti a curing a temperatura ambiente per 12 ore e poi a post-curing a 80ºC per 15 ore. I provini (tre per ogni valore di energia) sono stati sottoposti a impatto a temperatura ambiente secondo le norme ASTM D7136, per diverse energie di impatto così da provocare BVID e perforazione. Più nello specifico, i cinque valori di energia di impatto usati per il te-

sto sono stati 5 J, 10 J, 15 J, 20 J e 40 J (perforazione). Ai fini di un confronto, laminati simili in termini di sequenza di stratificazione, frazione volumica di fibra e spessore sono stati realizzati con una resina epossidica tradizionale SR1700 con un indurente lento SD2713 fornito da Sicomin Epoxy Systems. In questo caso i campioni sono stati sottoposti a impatti da 5 J, 10 J, 15 J, 18 J e 40 J (perforazione). Per questo scopo è stata usata una torre di caduta strumentata (Ceast/Instron 9340. Il danno è stato impartito tramite un impatto concentrato fuori piano (perpendicolarmente al piano della laminazione), usando un peso con un percussore a punta emisferica liscia dal diametro di 16 mm. I provini rettangolari (100 x 150 mm) erano sorretti da una base rigida con un’apertura di 75 x 125 mm. Dopo l’impatto,

la profondità dell’ammaccatura di ogni campione è stata misurata usando il profilometro a contatto Taylor Hobson – Talyscan 150 e l’area danneggiata è stata misurata usando un C-scanner ultrasonico (OmniScan MX con sonda phased array standard, 3.5 MHz). Sono stati eseguiti test di flessione a quattro punti in accordo con le norme ASTM D 6272 su di una macchina di prova universale Zwick/ Roell Z010 equipaggiata con una cella di carico da 10 kN. Sono stati usati un rapporto 16:1 tra lunghezza di scansione e profondità e una velocità della testa di 2.5 mm/min. I campioni sono stati testati a flessione o dopo la realizzazione (provini non impattati) o dopo le prove di impatto a bassa velocità per misurare la resistenza a flessione residua. Le superfici di frattura dei compositi sono state analizzate tramite microscopia elettronica a scansione (Scanning Electron Microscopy, SEM, Philips XL40). Le superfici sono state rivestite tramite sputtering d’oro prima dell’osservazione. RISULTATI E DISCUSSIONE Questo studio segue la metodologia consolidata per la valutazione della tolleranza al danneggiamento, che consiste in una sequenza di quattro passaggi principali, ovvero: (i) test da impatto, (ii) caratterizzazione del danno, (iii) determinazione della resistenza statica residua e (iv) valutazione della tolleranza al danneggiamento. Per valutare il danno da impatto del composito, si considerano solitamente l’energia di impatto (Ei) e l’energia assorbita (Ea). L’energia di impatto è l’energia cinetica del percussore prima che avvenga il contatto con i provini, mentre l’energia assorbita è l’energia dissipata dal sistema at-

Bio-epoxy

Traditional epoxy

Fig. 1: Resistenza a flessione e rigidezza residue normalizzate in funzione dell’energia di impatto per matrici epossidiche biologiche e tradizionali

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Compositi


traverso i vari meccanismi che occorrono al contatto con il percussore, come la deformazione elastica, l’attrito, la deformazione plastica e, cosa più importante, quelli caratteristici del materiale, come la fessurazione della matrice, il distacco, il pull-out e la rottura di fibre. I parametri chiave dell’impatto quali la forza di picco, l’energia di impatto, lo spostamento massimo e l’energia assorbita sono riassunti in tabella 1. Fino a 20 J, nei campioni sottoposti a prova non avveniva penetrazione e il percussore rimbalzava con un’energia che è la differenza tra Ei e Ea. I compositi studiati hanno mostrato un comportamento piuttosto soddisfacente, che permette ai campioni di assorbire energia attraverso la deformazione complessiva e i danneggiamenti sulle interfacce come distacco e pull-out. Si è riscontrato che rispetto ai materiali equivalenti tradizionali di origine petrolchimica questi meccanismi di interfaccia sono leggermente attenuati dalla migliore adesione tra fibre e matrice grazie al contenuto di origine biologica della resina. Tutte le curve (con l’eccezione dell’impatto a 40 J) hanno mostrato un pattern chiuso, confermando che una par-

te dell’energia elastica è stata recuperate, causando il rimbalzo del percussore. È evidente che l’area sotto le curve aumenta con l’energia di impatto, il che indica un aumento sia dell’energia assorbita che dei danni nel laminato e suggerisce dunque che questi compositi possono dissipare una grande quantità dell’energia di impatto. La tenacità di questi compositi è stata confermata anche dalla soglia relativamente alta per il BVID, che si è riscontrata per 15 J e corrisponde a una profondità di ammaccatura permanente di 308.67±10.32 μm, dove 0.3 mm di profondità di ammaccatura è la soglia di rivelazione comunemente adottata negli standard aeronautici. Questa soglia era di 18 J per la matrice epossidica tradizionale. Nel lavoro presente sono state misurate le proprietà residue a flessione, e la figura 1 riassume la resistenza (o rigidezza) residua a flessione normalizzata di ogni campione in funzione dell’energia di impatto. All’energia di BVID i compositi biologici hanno evidenziato diminuzioni di rigidezza e resistenza rispettivamente del 30% e 40% circa, che si dimostrano minori di quelle riscontrate in laminati basati su resine epossidiche convenzionali.

CONCLUSIONI I risultati dimostrano che i compositi epossidici biologici rinforzati con tessuto in canapa offrono proprietà a flessione (resistenza e rigidezza) simili, se non superiori, e di tolleranza al danno comparabile, rispetto a quelle di materiali basati su resine epossidiche tradizionali. Perciò tali laminati rappresentano potenziali candidati per materiali di nuova generazione in applicazioni semistrutturali, fornendo miglioramenti in termini di fine del ciclo di vita del prodotto nonchè proprietà meccaniche adeguate una volta che siano stabiliti sia un più stretto controllo sulle materie prime utilizzate, una valutazione della loro affidabilità e insieme un’ottimizzazione dell’interfaccia fibra/matrice bio-epossidica così da bilanciare i due requisiti in competizione, ovvero un’alta tolleranza al danneggiamento e alti valori delle proprietà meccaniche quasi-statiche.

Presentato alla 5th Conference on Innovative Natural Fibre Composites for Industrial Applications, Roma 2015


Claudio Scarponi, Luca Lampani, Paolo Gaudenzi – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale, Sapienza – Università di Roma Fabrizio Sarasini, Jacopo Tirillò, Teodoro Valente – Dipartimento di Ingegneria, Chimica, Materiali, Ambiente, Sapienza – Università di Roma

Low-velocity impact response of hemp fibre reinforced bio-based epoxy laminates

T

he increasing use of composite materials in automotive and aeronautical/aerospace applications, coupled with the depletion of petroleum resources, is stimulating the search for materials and products with the lowest possible environmental ’footprint’ with a focus on renewable raw materials. This enhanced awareness has triggered, especially in Europe, a shift towards using natural materials as a substitute for non-renewable synthetic fibres, like glass, in composites based on both thermosetting and thermoplastic polymers [1]. For semi- or structural applications the use of thermosetting matrices is preferred due to their high flexibility for tailoring desired ultimate properties, leading to their high modulus, strength, durability, thermal and chemical resistance as provided by high cross-linking density. At a first step, the reduction of the environmental impact of composite materials based on thermosets was obtained by the substitution of synthetic fibres with natural ones. Nowadays, recent researches are based on the replacement of petrochemical components from the matrix with biobased renewable equivalents. Renewable resources can provide an interesting sustainable platform to substitute partially, and to some extent totally, petroleum-based polymers through the design of bio-based polymers that can compete or even surpass the existing petroleum-based materials on a cost-performance basis with high eco-friendliness values [2]. In case of thermosetting materials, the most widely applied renewable resources include plant oils, which are triglycerides (tri-esters of glycerol with longchain fatty acids) with varying composition of fatty acid depending on plant, crop, season and growing conditions. Recent reviews have focused on the development of cross-linked plant oils and their derivatives for thermosetting applications, such as coating and resins [3]. Bio-based thermosetting polymers can be used as matrices in composites, both for synthetic and natural fibres. It is clear that the goal is the adoption of bio-

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Compositi

based thermosetting matrices in the production of fully biodegradable materials, hence using biodegradable material also as filler/reinforcement. Natural reinforcements currently account for about 11% of the total volume of fibres used in composites, with forecasts estimating 22% by 2020. Among natural fibres, hemp fibre is one of the most inexpensive and readily available bast natural fibre in Europe. It is characterized by high specific mechanical properties together with high cellulose content, which make it a material of choice as reinforcement in polymer matrix composites [4]. Vegetable oils, despite being excellent raw materials for thermosetting biopolymers, due to their availability and inexpensiveness, are usually reported to have limited thermal and mechanical properties because of the low reactivity of aliphatic epoxy groups, which result in poorly crosslinked materials [5]. In this regard, the addition of natural fibres could also partially mitigate their disappointing mechanical performance. At present, despite the growing research studies, available thermoset biodegradable matrices for structural applications are not known; however, not biodegradable resins but with a significant content of components coming from renewable vegetable materials, having good performance are already marketed (e.g., by Entropy Resins Inc., Eco Green Resins, LLC). Some studies have addressed the physico-mechanical behaviour of composites made with natural fibres and such biobased resins [5-8], but their properties and their potential use for the manufacturing of natural fibre composites have not been investigated in depth. In particular, the response of such composites to low velocity impact loads is not well known; so, the purpose of the present paper is the determination of the behaviour of such material under impact loads. Such property is very important, because low-velocity impacts by foreign objects during composite structures life may occur during the phase of manufacturing, maintenance, operation and so on.

The internal damage produced by impact loads can largely affect their residual mechanical properties even when barely visible impact damage (BVID) is produced. In fact, BVID can result in internal damage such as delaminations and back-face splitting, which can reduce the residual strength by as much as 60%. The inherent variability in natural fibre properties is still limiting the diffusion of natural fibre composites in semi-structural applications, also due to a non reliable understanding of their mechanical behaviour, in particular as regards their impact damage resistance and damage tolerance. The present work addresses the evaluation of the BVID threshold for hemp woven fabric reinforced bio-based epoxy laminates and their residual strength in bending. For the sake of completeness, a similar experimental campaign has been performed on equivalent composites but based on a traditional epoxy matrix, in order to highlight differences and potential limitations of bio-based epoxies. MATERIALS AND METHODS A plain weave hemp fabric was used with a fibre areal weight of 400 g/m2 as reinforcement (AssoCanapa srl), while a bio-based epoxy resin with a bio-based carbon content of 21 wt% (Super Sap ® CLR with slow hardener CLS02, provided by Entropy Resins Inc.) was used as matrix. Super Sap ® CLR matrix is a clear modified liquid epoxy resin that, as opposed to traditional epoxies composed primarily of petroleum-based materials, contain bio-renewable materials sourced as co-products or from waste streams of other industrial processes, such as wood pulp and bio-fuels production. The bio-based carbon content is in the range 18.2-25.4 % (ASTM D6866, as per supplier’s technical datasheet). Eight plies of hemp fabric were stacked in a [(±45)/(0/90)] 2S configuration, in order to achieve a target thickness of 5(±0.1) mm and a fibre volume fraction of 0.42(±0.01). The specimens were manufactured by hand lay-up and vacuum bagging and were cured at room temperature for 12 h


were sputter coated with gold prior to observation.

and then post-cured at 80ºC for 15h. Coupons (three for each energy level) were impacted at room temperature, according to ASTM D7136 at various impact energies to achieve BVID and perforation. In particular, 5J, 10J, 15J, 20J and 40J (perforation) are the five levels of impact energy used for testing. For comparison purposes, similar laminates in terms of stacking sequence, fibre volume fraction and thickness were manufactured with a traditional epoxy resin SR1700 with a slow hardener SD2713 supplied by Sicomin Epoxy Systems. In this case the coupons were impacted at 5J, 10J, 15J, 18J and 40J (perforation). An instrumented drop tower (Ceast/Instron 9340) was used for this purpose. Damage was imparted through out-of-plane, concentrated impact (perpendicular to the plane of the laminated plate), using a drop weight with a smooth hemispherical striker tip with a diameter of 16 mm. Rectangular specimens (100 × 150 mm) were supported on a rigid base with a cut-out of 75 × 125 mm. Post-impact, the dent depth of each coupon was measured using the contact profilometer Taylor Hobson – Talyscan 150 and the damaged area was measured using an ultrasonic C-scanner (OmniScan MX with standard phased array probe, 3.5 MHz). Four-point bending tests have been performed in accordance with ASTM D 6272 on a universal testing machine Zwick/Roell Z010, equipped with a 10 kN load cell. A span-to-depth ratio of 16:1 and a crosshead speed of 2.5 mm/min have been used. Specimens have been tested in bending either after their production (unimpacted samples) or after the low-velocity impact tests to measure their residual flexural strength. Fracture surfaces of composites were investigated by means of Scanning Electron Microscopy (SEM, Philips XL40). The surfaces

RESULTS AND DISCUSSION The present investigation follows the established methodology for damage tolerance assessment, which consists of four major sequential steps, namely: (i) impact testing, (ii) damage characterization, (iii) determination of static residual strength and (iv) damage tolerance evaluation. To assess composite’s impact damage, it is common to refer to the impact energy (Ei) and absorbed energy (Ea). Impact energy is the kinetic energy of the impactor right before contact with samples takes place, whereas absorbed energy is the energy dissipated by the system through the several mechanisms occurring after the impactor’s contact, like elastic deformation, friction, plastic deformation and, most importantly, those peculiar to the material, such as matrix cracking, debonding, pull-out, fibre breakage. Key impact parameters like peak force, impact energy, maximum displacement and absorbed energy are summarized in Table 1. Up to 20J, in the tested samples, penetration did not occur and the impactor rebounded with an energy that is the difference between Ei and Ea. The composites investigated exhibited a quite high compliant behaviour which enabled the specimens to absorb energy through high overall deformation and interface failures such as debonding and pull-out. These interfacial mechanisms were found to be slightly mitigated by the better fibre/matrix adhesion due to the bio-based content of the resin in comparison to traditional petrochemical equivalent. All the curves (with the exception of 40J-impact) showed a closed pattern, confirming that some elastic energy has been recovered causing the impactor’s rebound. It was evident that the area under the curves increased with impact energy, indicating an increase of both absorbed energy and damages in the laminate, thus suggesting that these composites can dissipate a high amount of the impact energy. The toughness of such composites is also confirmed by the relatively high BVID threshold which was found to be equal to 15 J, corresponding to a permanent indentation depth of 308.67±10.32 μm, being 0.3 mm of dent depth the threshold of detectability commonly adopted by aeronautical standards. Such threshold was 18J for traditional epoxy matrix. In the present work the residual properties were evaluated in bend-

ing and Fig. 1 summarizes the normalized residual flexural strength (or stiffness) of each specimen as a function of the impact energy. At the BVID energy, the bio-based composites exhibited a decrease in stiffness and strength of approximately 30% and 40%, respectively, which were found to be lower than those suffered by laminates based on conventional epoxy. CONCLUSIONS The results demonstrate that hemp fabric reinforced bio-epoxy composites offer similar if not superior flexural properties (strength and stiffness) and damage tolerance compared to those based on traditional epoxy resin. Therefore such laminates can be potential candidates for next generation materials in semi-structural applications, providing end-of-life improvement for products and adequate mechanical properties once established both a stricter control over the raw materials used, an assessment of their reliability along with an optimization of fibre/ bio-epoxy interface to balance two competing requirements, namely high damage tolerance and high quasi-static mechanical properties. Presented at 5th Conference on Innovative Natural Fibre Composites for Industrial Applications, Roma 2015 REFERENCES

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All the mentioned figures refer to the Italian version Tab. 1: Parameters obtained from impact test on hemp fibre laminates based on bio-based epoxy Fig. 1: Normalized residual flexural strength and stiffness as a function of impact energy for bio-based and traditional epoxy matrices

Compositi

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Angelina Muzzu – Luna di Coros Carlo Santulli – Scuola di Architettura e Design, Università degli Studi di Camerino Francesco Aymerich – Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Chimica e dei Materiali, Università di Cagliari

Policaprolattone con fibre di luffa: prove di flessione È stato effettuato un primo tentativo di introdurre fibre di luffa dalla Sardegna in una matrice biodegradabile, in particolare policaprolattone (PCL), a temperatura relativamente bassa.

L

e fibre di luffa, estratte dallo stroma spugnoso di alcune piante della famiglia delle Cucurbitacee, sono state considerate di recente come un possibile rinforzo per matrici polimeriche. Alcune difficoltà si frappongono a questa possibilità, in particolare l’applicazione di matrici polimeriche convenzionali sia termoplastiche, come il polipropilene [1], o termoindurenti, come poliestere [2-3] o epossidica [4-5], richiederebbero in entrambi i casi l’applicazione di trattamenti chimici sulle fibre per portare ad una sufficiente resistenza del composito ottenuto. Un altro problema, che appare cruciale per migliorare le possibilità delle fibre di luffa nel loro uso almeno in pannelli semi-strutturali, sarebbe la possibilità di disporre di prodotti tessili: a questo proposito, anche trattamenti enzimatici sono stati tentati con qualche risultato con l’obiettivo di rendere le fibre di luffa più morbide e più adatte ad essere ritorte facilmente per la tessitura [6]. In questo contesto, è degna di attenzione la possibilità di usare matrici biodegradabili, per evitare il trattamento e possibilmente portare ad una più facile fabbricazione dei compositi: in particolare, un tentativo promettente è stato effettuato usando una matrice a base di amido termoplastico [7]. In questo lavoro, le spugne di luffa sono state inserite in una matrice di policaprolattone così da verificare il potenziale di questo materiale per future applicazioni come composito biodegradabile. PARTE SPERIMENTALE Le spugne di luffa hanno delle significative cavità al loro interno (fig.1), che permettono l’accumulo d’acqua, il che è utile per il loro impiego tal quali. Per studiare la loro applicazione nei compositi, la polpa delle luffe è stata tagliata lungo i loro assi longitudinali dal centro alla periferia, secondo quanto suggerito in [3], poi affettata e compressa applicando una pressione di 0.05 MPa calandrandola tra due rulli finché il suo spessore non si è ridotto ad 8-10 mm e ruotandola leggermente per orientarla: il risultato è mostrato nella figura 2a. Per produrre il composito, è stato usato un policaprolattone (PCL) CAPA 6400 Perstorp, portandolo alla sua temperatura di rammollimento

40

Compositi

Fig. 1: Dettaglio di una spugna di luffa con porosità

a)

di 60°C, poi applicato per compattazione con spatole su ambo i lati del tappetino e pressurizzato ancora a 0.05 MPa. Il composito è stato poi tenuto per circa 15 minuti a 40°C sotto un getto di aria calda per consolidarlo. Dei pannelli di dimensione media 100x100x10 mm sono stati ottenuti, come illustrato in figura 2b. I pannelli presentavano tuttavia dei significativi difetti di planarità, così da non rendere semplice ricavarne dei provini di flessione. Infine sono stati ottenuti due provini, con dimensioni planari di 100x100 mm e spessore di 10±1 mm. Le prove di flessione a tre punti sono state condotte in controllo di spostamento (velocità della traversa intorno a 3 mm/minuto) con un braccio di 80 mm ed utilizzando supporti cilindrici di 12.7 mm di diametro. RISULTATI Le curve carico-deformazione ottenute dai due provini testati sono riportate in figura 4. Si può notare che il materiale mostra un comportamento plastico con grandi deformazioni a flessione. Un’altra considerazione che crea una certa preoccupazione è la grandissima differenza di comportamento tra i due provini. Questa può essere attribuita alla non uniforme distribuzione delle fibre nei provini, che è anche osservabile dal pannello rappresentato in figura 2b. La resistenza a flessione σ è stata ottenuta dall’equazione:

b)

Fig. 2: a) Stuoia di luffa dopo calandratura e prima dell’inserimento in una matrice polimerica; b) pannello composito in policaprolattone (PCL) e fibra di luffa

dove F è il carico massimo in N, L è il braccio di flessione (80 mm) e b e d sono rispettivamente larghezza e spessore dei provini, entrambi uguali a 10 mm. Dall’equazione si può chiarire che i valori della resistenza a flessione sono dell’ordine di 18 MPa e di 14 MPa per i due provini, rispettivamente. Un’ulteriore considerazione è che i compositi hanno inevitabilmente un allungamento molto inferiore alla matrice stessa. Dai dati riportati in [8] CAPA 6400 ha un comportamento gommoso con 660% di allungamento massimo. Questo è un effetto atteso e contribuisce alla più alta rigidità dei compositi: tuttavia, la variazione di proprietà


degradabile lavorabile a temperatura relativamente bassa, in particolare nel policaprolattone (PCL), suggerisce che, a causa della non facile preparazione e della non uniforme distribuzione delle fibre nei compositi, la variabilità attesa è molto alta. Prove preliminari hanno indicato una resistenza a flessione ridotta rispetto alla pura matrice ed una considerevole variazione dimensionale, che si riflette in un’altrettanto variabile deformazione dei campioni. Questo viene considerato preparatorio rispetto a successivo lavoro di caratterizzazione meccanico e termico. Fig. 3: Due momenti del caricamento a flessione dei provini in PCL-luffa rende la deformazione del materiale non molto controllabile. In confronto con altri dati di flessione su questo polimero, che sono stati riportati in [9] ed indicano un valore nella regione di 26±2 MPa, si può suggerire che l’introduzione di tappetini di fibra riduce la resistenza meccanica, specialmente in conseguenza della loro non molto controllabile orientazione. CONCLUSIONI Il primo tentativo di introdurre fibre dalle luffe della Sardegna in una matrice bio-

Presentato alla 5th Conference on Natural Fibre Composites, Roma 2015. BIBLIOGRAFIA/REFERENCES

[1] H. Demir, U. Atikler, D. Balköse and F. Tihminliog˘lu, Compos Part A Vol. 37, 2006, pp. 447–456. [2] L. H. Ghali, M. Aloui, M. Zidi, H. Ben Daly, S. Msahli and F. Sakli, Bioresources Vol. 6, 2011, pp. 3836-3849. [3] V.O.A. Tanobe, T.H.S. Flores-Sahagun, S.C. Amico, G.I.B. Muniz and R.G. Satyanarayana, Def Sci J Vol. 64, 2014, pp. 273-280. [4] N. Mohanta and S.K. Acharya, Int J Eng Sci Technol Vol. 7, 2015, pp. 1-10. [5] N. Mohanta, and S.K. Acharya, Int J Macromol Sci Vol. 3, 2013, pp. 6-10.

Fig. 4: Curve carico-deformazione ottenute da due provini [6] N. Merdan, E. Sancak, D. Kocak and M. Yuksek, Asian J Chem Vol. 24, 2012, pp. 975-980. [7] K. Kaewtatip, and J. Thongmee, Mater Des Vol. 40, 2012, pp. 314–318. [8] CAPA ™ 6400 Perstorp data sheet (accessed 10th September 2015). [9] I. Ahmed, A.J. Parsons, I.A. Jones, G.S. Walker and C.D. Rudd, ICCM-17, 27-31 July 2009, Edinburgh, UK. [10] C.A. Boynard, J.R.M. D’Almeida, Polymer-Plastics Technol Eng Vol. 39, 2000, pp. 489-499.


Angelina Muzzu – Luna di Coros Carlo Santulli – Scuola di Architettura e Design, Università degli Studi di Camerino Francesco Aymerich – Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Chimica e dei Materiali, Università di Cagliari

Polycaprolactone-luffa fibre composites: flexural tests A first attempt of introducing luffa (sponge gourd) fibres from Sardinia into a biodegradable matrix workable at relatively low temperature, namely polycaprolactone (PCL) has been performed. A panel has been obtained and flexural tests have been performed, which clarified a large variation of results, due to the non uniform distribution of the fibres in the composites. This is considered preparatory to further characterisation work.

L

uffa fibres, extracted from sponge gourds which constitute the pulp of fruits of some plants from the Cucurbitaceae family, have been recently considered as a possible reinforcement for polymer matrices. A number of difficulties are opposed to this possibility, in particular the application of conventional polymer matrices either thermoplastic, such as polypropylene [1], or thermosetting, such as polyester [23] or epoxy [4-5], would in both cases require the application of chemical treatments to the fibres to lead to a sufficient strength of the obtained composite. Another issue, which appears to be crucial to improve the possibilities of luffa fibres in their use at least in semi-structural panels, would be the possibility to dispose of textile products: in this respect, also enzymatic treatments have been attempted with some results in order to make luffa fibres softer and more easily twisted [6]. In this context, it is particularly worth attention that biodegradable matrices could be used, to avoid treatment and possibly lead to an easier fabrication of composites: in particular, a promising attempt has been performed recently by using thermoplastic starch as the matrix [7]. In this work, luffa sponges have been inserted in a polycaprolactone matrix so to verify the potential of this material for prospective applications as a biodegradable composite. EXPERIMENTAL Luffa sponges have substantial cavities in their core (fig. 1), which allow the accumulation of water, which is useful in terms of their application as such. To study their application in composites, the luffa pulp have been cut along their longitudinal axis from their core to their periphery, according to what suggested in [3], then sliced and compressed by applying a pressure of 0.05 MPa, calendered between two rolls until their thickness was reduced to around 8-10 mm and slightly pulled manually so to orient them: the result is depicted in figure 2a.

42

Compositi

To produce the composite, a CAPA polycaprolactone (PCL) grade 6400 by Perstorp was used, which was brought at its softening temperature of 60°C, then applied by compaction with large knives on both parts of the mat, and pressurised again at 0.05 MPa. The composite has been kept then for around 15 minutes at 40°C under warm airflow to consolidate it. Panels of average dimension of 100x100x10 mm have been then obtained, as illustrated in figure 2b. The panel presented significant unevenness though, therefore it was not obvious to remove from it some flexural beams for testing. Finally two samples were obtained, with areal dimensions 100x10 mm with thickness of 10±1 mm. Three-point flexural tests have been conducted in displacement control mode (crosshead speed around 3 mm/min) with a 80 mm span and using 12.7 mm anvils. RESULTS Load-deflection curves obtained from the two samples tested are reported in figure 4. It can be noticed that the material shows a plastic behaviour with large flexural deflections. Another consideration that creates obvious concern is the very large difference in behaviour between the two samples. This can be attributed to the non uniform distribution of fibres in the samples, which is also observable from the panel, as represented in figure 2b. The flexural strength σ has been obtained from the equation:

where F is the maximum load in N, L is the span (80 mm) and b and d are respectively width and thickness of the samples, which are both equal to 10 mm. From the equation above, it can be clarified that the values of flexural strength are in the region of 18 MPa and of 14 MPa for the two samples, respectively.

Further evidence is that the fabrication of the composites leads inevitably to a much reduced elongation of the matrix. As from the data reported in [8] CAPA 6400 has a rubbery behaviour with 660% of maximum elongation. This is expected and contributes to the higher rigidity of the composites: however, the variation in properties makes the deflection of the material not very controllable. Comparing with other flexural tests on this polymer, which were reported in [9] and indicate a value in the region of 26±2 MPa, it can be suggested that the introduction of fibre mats does also reduce the mechanical strength, especially in view of their not very controllable orientation. CONCLUSIONS The first attempt of introducing luffa sponge gourd fibres from Sardinia into a biodegradable matrix workable at relatively low temperature, namely polycaprolactone (PCL) suggested that, due to not easy preparation and non uniform distribution of the fibres in the composites, inherent variability is very high. Preliminary tests indicated a reduced flexural strength with respect to the pure matrix and large dimensional scattering, reflected in variable deflection of the samples. This is considered preparatory to further mechanical and thermal characterisation work. Presented at the 5th Conference on Natural Fibre Composites, Rome 2015.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Detail of a luffa sponge with porosities Fig. 2: a) Luffa mat after calendering and before inserting in the polymer matrix; b) PCL-luffa fibre composite panel Fig. 3: Two moments during flexural testing of PCL-luffa samples Fig. 4: Load vs. deflection curves obtained from two samples


Leonardo Giorgi – Scienza dei Materiali & Elettrochimica Elena Salernitano – ENEA, Laboratorio Tecnologie dei Materiali

Elettrodi nanocompositi per celle a combustibile ad elettrolita polimerico

N

egli ultimi anni, vista l’attuale crisi energetica ed il rischio di esaurimento delle fonti di energia tradizionali, sono di grande interesse ed attualità tutte le tematiche attinenti all’ingegneria dei materiali e delle materie prime connesse al settore energetico. La necessità di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili e di diminuire la generazione di calore da parte delle sorgenti di energia è sempre più accentuata. A causa delle continue fluttuazioni del prezzo del petrolio, del problema dello smaltimento dei rifiuti e dell’inquinamento, l’uso di fonti alternative ed ecosostenibili è un argomento di ricerca molto attuale. In questo filone si inseriscono le celle a combustibile. In particolare, quelle ad elettrolita polimerico sono generatori elettrochimici capaci di convertire, direttamente ed in modo continuo, l’energia chimica di un combustibile (H 2 o metanolo) e di un ossidante (O 2 o aria) in energia elettrica, con acqua e calore come prodotti finali. L’erogazione di energia elettrica prosegue finché la cella viene alimentata con il combustibile all’anodo e con il comburente al catodo [1]. I due reagenti non entrano in contatto direttamente fra loro, ma le reazioni avvengono sui singoli elettrodi, anodo e catodo, attraverso la mediazione dell’elettrolita, una membrana polimerica (Nafion), conduttrice di protoni (fig.1). Tali celle, possono essere alimentate all’anodo con idrogeno (PEFC - cella a combustibile ad elettrolita polimerico) o metanolo (DMFC - cella a combustibile a metanolo diretto) e funzionano secondo le reazioni riportate in tabella 1. Attualmente sono impiegate in veicoli spaziali, sottomarini, sistemi di potenza fino a 200 kW (PEFC), e per micro-applicazioni nella telefonia, nell’informatica ed in generale nell’elettronica portatile. Tali dispositivi hanno avuto un notevole impulso negli ultimi anni grazie alla loro

Fig. 1: Rappresentazione schematica del funzionamento di una cella a combustibile ad elettrolita polimerico che utilizza come combustibile idrogeno o metanolo leggerezza e compattezza, elevata densità di potenza erogata, semplicità di assemblaggio e funzionamento e rapidità nell’avviamento. Il loro sviluppo e la commercializzazione sono però tuttora limitati dal costo eccessivo, principalmente dovuto a problemi legati alla cinetica catodica di riduzione dell’ossigeno quando si usa aria a pressione atmosferica come comburente, e all’avvelenamento del catalizzatore anodico quando si utilizza come combustibile idrogeno prodotto da reforming di idrocarburi o metanolo. Inoltre, è di cruciale importanza riuscire a ridurre il carico di elettrocatalizzatore, che è a base di platino, per contenere i costi degli elettrodi a parità di prestazioni. Per aumentare l’efficienza delle celle a combustibile ad elettrolita polimerico si possono seguire le seguenti strade: • aumentare l’attività catalitica di anodo e catodo modificando la struttura nanofasica del catalizzatore • aumentare l’utilizzo del Pt nell’elettrodo attraverso un’elevata dispersione del catalizzatore

Tipo cella

Anodo

Catodo

PEFC

H 2→2H +2e

DMFC

CH 3 OH+H 2O→CO 2 +6H +6e

+

Globale

1/2O 2 +2H +2e →H 2O

H 2 +1/2O 2→H 2O+calore

3/2O 2 +6H +6e → 3H 2O

CH3OH+3/2O2→CO2 +H2O+calore

+

+

• migliorare la struttura dello strato catalitico modificandone la morfologia. L’impiego dei nanomateriali compositi per la realizzazione degli elettrodi può contribuire al superamento di tali criticità. In figura 2 sono mostrati gli strati che costituiscono un elettrodo: • substrato macroporoso di carbon paper o carbon cloth (spessore 100 500 µm) • strato diffusivo microporoso di carbone/PTFE (spessore ~100 µm), che consente il passaggio dei gas di alimentazione e dei prodotti di reazione • strato catalitico microporoso (spessore ~50 µm), su cui avvengono le reazioni elettrochimiche. Negli elettrodi preparati in maniera convenzionale, un inchiostro di carbone e PTFE viene spruzzato sul substrato di carbon paper, andando a costituire lo strato diffusivo, e un inchiostro di carbone, Nafion e catalizzatore/carbone, spruzzato nella stessa maniera, forma lo strato catalitico, come schematizzato in figura 3. In tale inchiostro, la polvere catalitica di

+

Tab. 1: Reazioni elettrochimiche, agli elettrodi e complessive, in PEFC e DMFC

Compositi

43


- Elettrodi nanocompositi per celle a combustibile ad elettrolita polimerico -

Fig. 2: Rappresentazione schematica e micrografia FESEM di un elettrodo (a: strato catalitico, b: strato diffusivo, c: substrato di carbon paper) platino supportato su carbone viene preparata mediante il metodo di impregnazione-riduzione chimica a partire da una soluzione di un precursore del catalizzatore, secondo lo schema del dettaglio di figura 3. I catalizzatori più frequentemente utilizzati sono particelle di platino o sue leghe supportate su carboni ad elevata superficie specifica (ad es. carbone Vulcan, carbone poroso, particelle grafitiche cave, ecc.). I due elettrodi vengono infine assemblati con la membrana elettrolitica (spessore 50-300 µm). L’attività di ricerca condotta ha portato allo sviluppo di elettrodi innovativi basa-

ti su nanofibre di carbonio (CNF) [2,3] e nanoparticelle catalitiche bimetalliche di platino e oro [4,5]. Le CNF sono state cresciute direttamente sul substrato di carta di grafite mediante deposizione chimica da fase vapore assistita da plasma (PECVD), processo che si basa sulla dissociazione in fase gassosa dell’idrocarburo precursore, catalizzata da metalli di transizione e loro leghe, e sulla deposizione degli atomi di carbonio così ottenuti sulla superficie del substrato. Il processo è stato messo a punto ed ottimizzato in modo da consentire un accurato controllo della morfologia delle CNF at-

traverso i parametri operativi. La crescita diretta delle nanofibre sul substrato ha consentito di non utilizzare il processo convenzionale di spruzzatura dello strato diffusivo dell’elettrodo. Le nanoparticelle metalliche sono state poi elettrodepositate sulle CNF mediante deposizione galvanostatica a singolo impulso. L’utilizzo dell’elettrodeposizione come tecnica per realizzare lo strato catalitico dell’elettrodo ha ulteriormente semplificato il processo, eliminando la fase di spruzzatura e ha consentito di localizzare il catalizzatore solo sulla superficie esposta dell’elettrodo stesso, con grande risparmio in termini di quantità di catalizzatore e con un considerevole miglioramento delle prestazioni e dell’utilizzo del Pt. Lo sviluppo, infine, di catalizzatori bimetallici ha determinato un incremento nella tolleranza del platino all’avvelenamento, con un guadagno in termini di stabilità a lungo termine ed invecchiamento. SETUP SPERIMENTALE Fogli di grafite, precedentemente catalizzati con nanoparticelle di nichel mediante elettrodeposizione, sono stati usati come substrati per la crescita delle CNF. La crescita della CNF è stata effettuata con un reattore PECVD, variando le condizioni operative (temperatura, pressione, rapporto H 2 /CH 4 ) per ottenere le CNF della morfologia desiderata.

Fig. 3: Rappresentazione schematica del processo di realizzazione degli elettrodi mediante spruzzatura

Fig. 4: Schema della struttura dell’elettrodo prodotto per PECVD+ELD (a). Micrografie FESEM di nanofibre di carbonio tipo pCNF (b) e dell’elettrodeposito PtAu su pCNF (c)

44

Compositi


PRODUCTION » Cutting disCs » Milling Cutters » Band saws » MaChine files » hand files » needle files » wheels on shank » speCial wheels » grinding wheels » hole saws » CustoM’s tools

L Pt /μg cm –2

EAS/m2g –1

MSA/mC mg –1

PtAu/CNF

11

49

302

Catalizzatore commerciale PtRu/C Vulcan

150

54

166

PRODUZIONE » disChi da taglio » frese speCiali » laMe a nastro » liMe per MaCChina » liMe a Mano » liMette ad ago » Mole a gaMBo sagoMate » Mole speCiali » Molette per rettifiCa interni » seghe a tazza » utensili speCiali su riChiesta

Tab. 2: Parametri elettrocatalitici dopo 200 cicli MOR (L Pt : carico di Pt; EAS: superficie specifica elettrochimicamente attiva; MSA: attività elettrochimica specifica in massa per l’ossidazione del metanolo) L’elettrodo è stato poi realizzato mediante co-elettrodeposizione galvanostatica (GED) di platino ed oro sulle CNF (fig. 4a), utilizzando come precursori H 2PtCl 6 (2.5÷5 mM) e AuCl 3 (1÷5 mM) in H 2SO4 1 M. La scelta dell’Au come co-catalizzatore del Pt è dovuta al basso costo rispetto al rutenio, normalmente utilizzato negli elettrocatalizzatori commerciali PtRu per l’anodo delle DMFC. Le caratteristiche chimico-fisiche degli elettrodi sono state studiate mediante microscopia elettronica ad emissione di campo (FESEM), analisi spettrofotometrica UV-VIS, spettroscopia fotoelettronica a raggi X (XPS). Il comportamento elettrocatalitico è stato valutato analizzando la reazione di ossidazione del metanolo (MOR) mediante voltammetria ciclica (CV) in CH3OH 0.5 M + H2SO4 1 M, ripetendo la misura per 200 volte in modo tale da effettuare un test accelerato di invecchiamento [6]. DISCUSSIONE DEI RISULTATI La micrografia FESEM in figura 4b mostra nanofibre di elevata qualità con morfologia platelet (pCNF) e diametro nel campo 100-120 nm. Tale tipo di nanofibre risulta essere la migliore da usare come substrato per elettrocatalizzatori [3]; la caratterizzazione XPS ed elettrochimica ne ha infatti evidenziato una più elevata superficie e la presenza di gruppi funzionali contenenti ossigeno che ne incrementano la stabilità a lungo termine. Le nanoparticelle bimetalliche PtAu depositate su pCNF mostrano una localizzazione solo sulla superficie esposta degli elettrodi (figure 4a e 4c) con una elevata riduzione del carico di catalizzatore e quindi dei costi rispetto al metodo tradizionale. La morfologia particolare delle pCNF determina inoltre un forte ancoraggio delle nanoparticelle di catalizzatore, formando un nanocomposito con ridotti fenomeni di coalescenza. Le proprietà elettrocatalitiche per l’ossidazione del metanolo

ionali

i eccez

tazion lle pres

. ntati da azioni.. c i l p p a svariate ù i p e l r ls pe ond too m a i d s mance . l perfor a n ations.. c io i t l p p e c p x a .e .. aried

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) 000 mm 0.5 to 1 e r e ic t v e r iam d se asive est: (from d lity an er-abr Our b ur sup ce, qua atform l o n p y e t t g e e e p in m r » com es to ufactu and siz le man styles f » flexib o y ery t n y deliv st varie r desig in read » wide d s r d n a e e d o you n n s l a g t o s e in o s l h ol ot too ecial t e of to close t s of sp e rang it to as rt time g o in h » larg s r o in rest azion ls and ible » realiz sed too u is poss g s a in s t n a l p io e t r a » ific al spec origin

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Fig. 5: Evoluzione dell’attività specifica rispetto alla massa di catalizzatore (MSA) per PtAu/pCNF e PtRu/C Vulcan

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- Elettrodi nanocompositi per celle a combustibile ad elettrolita polimerico-

Fig. 6: Rappresentazione schematica del processo innovativo di produzione di un elettrodo nanocomposito mediante PECVD e GED sugli elettrodi PtAu/pCNF evidenziano prestazioni migliori rispetto a quelle di un catalizzatore commerciale PtRu/C [6] (tab. 2). Il catalizzatore PtAu/pCNF presenta un aumento della tolleranza all’avvelenamento da parte di CH 3 OH e dei suoi prodotti di reazione (CO, aldeide, acido formico), con un guadagno in termini di stabilità a lungo termine, ampio aumento dell’attività specifica rispetto alla massa dell’elettrocatalizzatore (MSA), considerevole diminuzione del carico di catalizzatore. In particolare, la figura 5 mostra che il catalizzatore PtAu/pCNF presenta sia una elevata attività catalitica che un’elevata stabilità nel tempo rispetto al catalizzatore commerciale PtRu/C. In aggiunta alle prestazioni elettrocatalitiche, un altro aspetto considerato è stato il confronto fra i costi del processo di produzione innovativo (PECVD+GED, fig. 6) e quello tradizionale (impregnazione/riduzione chimica, fig. 3). Considerando la

produzione di 100 elettrodi da 60 cm2, si ricava che la tecnica PECVD+GED consente una riduzione dei costi del 75%. Questo è un risultato importante considerando che circa 1/4 del costo totale di una cella a combustibile polimerica è relativo allo strato catalitico. Pertanto, lo scaling-up del composito catalizzatore/CNF può essere molto promettente in quanto offre una serie di vantaggi quali: nessuna necessità di trattamento termico in idrogeno, assenza di residui di precursori, processo più semplice grazie al basso numero di step operativi, presenza di un singolo strato con funzione diffusiva e catalitica. CONCLUSIONI La combinazione della crescita di CNF mediante PECVD con l’elettrodeposizione di nanoparticelle di catalizzatore ha consentito la sintesi di un elettrodo composito per celle a combustibile di tipo PEFC/DMFC con migliorate prestazioni e ridotto costo di produzione.

Acronimi • CNF: nanofibre di cabonio • CV: voltammetria ciclica • DMFC: cella a combustibile a metanolo diretto • EAS: superficie elettrochimicamente attiva • GED: elettrodeposizione galvanostatica • FESEM: microscopio elettronico a scansione ad emissione di campo • L pt : carico di platino • MOR: reazione di ossidazione del metanolo • MSA: attività specifica in massa • pCNF: nanofibre di carbonio tipo platelet • PECVD: deposizione chimica da fase vapore assistita da plasma • PEFC: cella a combustibile ad elettrolita polimerico • UV-VIS: spettrofotometria ultravioletto-visibile • XPS: spettroscopia fotoelettronica a raggi X

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Leonardo Giorgi – Scienza dei Materiali & Elettrochimica Elena Salernitano – ENEA, Laboratorio Tecnologie dei Materiali

Nanocomposite electrodes for polymer electrolyte fuel cells

I

n the last few years great interest is addressed to all the issues related to materials engineering and raw materials for energy, due to the current energy crisis and the risk of traditional energy sources depletion. The need to reduce the dependence on fossil fuels and to decrease the heat generation by energy sources is more and more accentuated. The use of alternative and sustainable sources is therefore a very current research topic, because of the problem of waste disposal, pollution and the oil price fluctuations. The fuel cells fit this field. In particular, polymer electrolyte fuel cells are electrochemical generators able to convert, directly and continuously, the chemical energy of a fuel (H2 or methanol) and an oxidant (O2 or air) into electrical energy, with water and heat as the only by-products. The supply of electric power goes on until the cell is fed with fuel at the anode and with oxidant at the cathode [1]. The two reagents remain separated and the reactions take place on the specific electrodes, the anode and cathode, through the electrolyte, i.e. a polymer membrane (Nafion) protons conductor (fig.1). These cells may be fed at the anode with hydrogen (PEFC) or methanol (DMFC) and operate according to the reactions shown in table 1. They are currently used in space vehicles, submarines, power systems up to 200 kW (PEFC), and for micro-applications in telephony, in computing and generally in portable electronics. These devices have had a major boost in recent years due to their lightness and compactness, high power output density, easy of assembly and operation and starting speed. Their wide commercialization, however, is still limited by the high cost, mainly due to problems related to the kinetic cathodic oxygen reduction when using air at atmospheric pressure as oxidant, and the poisoning of the anode catalyst when using as fuel the hydrogen produced by hydrocarbon reforming or methanol. Furthermore, it is crucial to be able to reduce the load of Pt-based electrocatalyst, in order to contain the electrodes cost while maintaining the same performance. To increase the efficiency of the polymer electrolyte fuel cells, three different approaches can be followed: • to increase the electrodes catalytic activity by varying the nanophase structure of the catalyst • to increase the Pt utilization through a better dispersion of the catalyst

• to improve the catalytic layer structure acting on its morphology. The use of composite nanomaterials for the electrodes realization can contribute to overcoming these problems. The layers constituting an electrode are shown in figure 2: • macroporous carbon paper or carbon cloth substrate (100-500 µm thickness) • microporous carbon/PTFE diffusion layer (~100 µm thickness), allowing the diffusion of feed gas and reaction products • microporous catalytic layer (~50 µm thickness), on which the electrochemical reactions take place. In the conventional electrodes, a carbon/ PTFE ink is sprayed onto the carbon paper substrate, thus forming the diffusion layer; while an ink made of carbon, Nafion and catalyst/coal is sprayed in the same manner, forming the catalytic layer, as shown in figure 3. In the latter ink, the catalytic powder is prepared by the impregnation-chemical reduction method from a solution of a catalyst precursor, according to the insert of figure 3. The catalysts most frequently used are particles of platinum or alloys supported on high specific surface area carbons (eg. Vulcan carbon, porous carbon, hollow graphitic particles, etc.). The two electrodes are finally assembled with the electrolyte membrane (50-300 µm thickness). Our research activity led to the development of innovative electrodes based on carbon nanofibers (CNF) [2,3] and bimetallic platinum/gold catalytic nanoparticles [4,5]. The CNF were directly grown on the graphite paper substrate by plasma assisted chemical vapour deposition (PECVD) process, that is based on the dissociation of hydrocarbon precursor, catalysed by transition metals and their alloys, and the deposition of the obtained carbon atoms on the substrate. The process was optimized to allow an accurate control of the CNF morphology through the operating parameters. The direct growth of nanofibers on the substrate allowed to eliminate the conventional ink spraying of the electrode diffusion layer. The metal nanoparticles were then electrodeposited on CNF through single pulse galvanostatic electrodeposition, further simplifying the process avoiding the step of catalytic layer spraying as well. This technique also allowed to localize the catalyst only on the exposed surface of the electrode with great gain in terms of catalyst amount and utilization and per-

formance improvement. Finally, the use of bimetallic catalysts resulted in an increase in poisoning tolerance and, consequently, of long-term aging and stability. EXPERIMENTAL SETUP Graphite sheets, catalysed with electrodeposited nickel nanoparticles, were use as substrates. The CNF were grown in a PECVD reactor, by varying the operating conditions (temperature, pressure, H 2 /CH 4 ratio) to obtain the desired morphology. The electrode was carried out by galvanostatic co-electrodeposition (GED) of platinum and gold on the nanofibers (fig. 4a), using H2PtCl6 (2.5÷5 mM) and AuCl3 (1÷5 mM) in H2SO4 1 M as precursor. The choice of Au as Pt co-catalyst was due to its low cost respect to the ruthenium, normally used in the commercial PtRu electrocatalysts for the DMFC anode. The electrodes physical-chemical characterization was performed by field emission scanning electron microscopy (FESEM), UV-VIS spectrophotometric analysis, X-ray photoelectron spectroscopy (XPS). The electrocatalytic behaviour was investigated by analysing the methanol oxidation reaction (MOR) through 200 cycles of cyclic voltammetry (CV) in CH 3OH 0.5 M + H2SO4 1 M, to simulate an accelerated ageing test [6]. RESULTS AND DISCUSSION The FESEM micrograph in figure 4b shows high quality nanofibers with a platelet morphology (pCNF) and a diameter in the range of 100-200 nm. Such type of nanofibers resulted to be the most performant as electrocatalyst substrate [3]. Indeed, the XPS and electrochemical characterization highlighted a higher surface and the presence of functional groups containing oxygen that increase the long term stability. The PtAu bi-metallic nanoparticles, deposited on pCNF, showed a localization only on the exposed electrode surface (figure 4a and 4c) with a high reduction of the catalyst load and therefore of the costs, comparing to the traditional method. Besides, the pCNF morphology determined a strong anchorage of the catalyst nanoparticles, building up a nanocomposite with reduced coalescence phenomena. The electrocatalytic properties for the methanol oxidation on the PtAu/pCNF electrodes also showed better performance compared to those of a commercial PtRu/C electrode [6] (tab.2). The

Compositi

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- Nanocomposite electrodes for polymer electrolyte fuel cells PtAu/pCNF catalyst revealed an increase of the tolerance to poisoning by CH 3 OH and its reaction products (CO, aldehyde, formic acid), with a gain in terms of long term stability, wide increase of the mass specific activity (MSA) and remarkable decrease of the catalyst load. Particularly, the Figure 5 shows that the PtAu/pCNF catalyst has both a high catalytic activity and a high long term stability compared to the commercial PtRu/C catalyst. In addition to the electrocatalytic performance, another aspect to be considered in the comparison between the innovative (PECVD+GED, fig. 6) and the conventional (impregnation/chemical reduction, fig. 3) process is the production cost. Considering the production of 100 electrodes with a surface of 60 cm2, the combination of PCVD and GED technique leads to a four times cost reduction. This is an important result, since nearly a quarter of the whole fuel cell cost is related to the catalytic layer. Consequently, the scaling-up of the composite catalyst/ CNF can be very promising as it offers a number of other advantages such as the no need to perform hydrogen treatment, the absence of precursors reduction residues, a much greater process simplicity due to much lower number of steps and the presence of a single layer with both the diffusive and catalytic function. CONCLUSIONS The combination of CNF growth by PECVD and electrodeposition of catalyst

nanoparticles allowed the synthesis of an electrode for PEFC/DMFC with high performance and low production cost. Acronyms • CNF: Carbon NanoFiber • CV: Cyclic Voltammetry • DMFC: Direct Methanol Fuel Cell • EAS: Electrochemical Active Surface • GED: Galvanostatic ElectroDeposition • FESEM: Field Emission Scanning Electron Microscope • L pt : platinum load • MOR: Methanol Oxidation Reaction • MSA: Mass Specific Activity • pCNF: platelet Carbon NanoFiber • PECVD: Plasma Enhanced Chemical Vapour Deposition • PEFC: Polymer Electrolyte Fuel Cell • UV-VIS: Ultraviolet-Visible spectrophotometry • XPS: X-ray Photoelectron Spectroscopy REFERENCES

[1] Giorgi L., Leccese F., “Fuel Cells: Technologies and Applications”, The Open Fuel Cells Journal, 2013; 6; 1-25 [2] Lee K., Zhang J., Wang H., Wilkinson D.P., “Progress in the synthesis of carbon nanotube and nanofiber supported Pt electrocatalyst for PEM fuel cell catalysis” Journal of Applied Electrochemistry, 2006; 36; 507-522 [3] Salernitano E., Giorgi L., Dikonimos Th., “Direct growth of carbon nanofibers on carbon-based substrates as integrated gas diffusion and catalyst layer for polymer electrolyte fuel cells”, International Journal of Hydrogen Energy, 2014; 39; 15005-15016

[4] Giorgi L., Giorgi R., Gagliardi S., Serra S., Alvisi M., Signore M. A., Piscopiello E., “Platinum-Gold Nanoclusters as Catalyst for Direct Methanol Fuel Cells”, Journal of Nanoscience and Nanotechnology, 2011; 11; 8804-8811 [5] Giorgi R., Giorgi L., Gagliardi S., Salernitano E., Alvisi M., Dikonimos Th., Lisi N., Valerini D., De Riccardis F., Serra E., “Nanomaterials-based PEM electrodes by combining chemical and physical depositions”, Journal of Fuel Cell Science and Technology, 2011; 8; 041004-1 – 041004-6 [6] Giorgi L., Salernitano E., Dikonimos Th., Gagliardi S., Contini V., De Francesco M., “Innovative electrodes for direct methanol fuel cells based on carbon nanofibers and bimetallic PtAu nanocatalysts”, International Journal of Hydrogen Energy, 2014; 39; 21601-21612 All the mentioned figures refer to the Italian version

Fig. 1: Schematic representation of the operation of a polymer electrolyte fuel cell, fed by hydrogen or methanol as fuel Fig. 2: Schematic representation and FESEM micrograph of an electrode (a: catalytic layer, b: diffusive layer, c: carbon paper substrate) Tab.1: Electrochemical reactions, at electrodes and overall, in PEFC and DMFC Fig. 3: Schematic representation of the electrode assembly by spray technique Fig. 4: Structure of the electrode produced by PECVD+ELD (a). FESEM micrographs of pCNF type carbon nanofiber (b) and PtAu nanoparticles electrodeposited on pCNF (c) Tab.2: Electrocatalytic parameters of 200 MOR cycles. (LPt : Pt load; EAS: electrochemical specific active surface; MSA: mass specific activity for methanol oxidation) Fig. 5: Evolution of the catalyst mass specific activity (MSA) for PtAu/pCNF and PtRu/C Vulcan Fig. 6: Schematic representation of the innovative production process of a nanocomposite electrode by PECVD and GED.

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Ricerca e sviluppo di materiali compositi sostenibili ad alta resistenza al fuoco L’obiettivo chiave del progetto PYROS è la ricerca e sviluppo di materiali compositi sostenibili con grande capacità di resistenza al fuoco con applicazioni tecnologiche nei settori dei trasporti pubblici e delle costruzioni. In entrambi i settori considerati dal progetto esiste un’ampia gamma di materiali comunemente utilizzati che potrebbe essere sostituita da compositi sostenibili e ignifughi, con prestazioni di resistenza al fuoco e di eco-compatibilità migliorate. Nei decenni scorsi il settore dei compositi è cresciuto rapidamente con la produzione di fibre ad alta robustezza, lo sviluppo di nuovi materiali polimerici e il miglioramento di tecniche e processi produttivi. Questa rapida crescita dei materiali è stata sostenuta principalmente dai settori aeronautico, automotive, dei trasporti e delle costruzioni, e in molte applicazioni questi materiali hanno dimostrato di poter offrire prestazioni di gran lunga migliori rispetto ai materiali convenzionali. Il progetto PYROS mira a sviluppare nuovi materiali compositi sostenibili con proprietà di resistenza al fuoco attraverso i seguenti mezzi: • ricerca e sviluppo della matrice polimerica che formerà il composito e che sarà addizionata con prodotti chimici

ignifughi per renderla resistente al fuoco. Saranno compiuti sforzi di ottimizzazione di matrici polimeriche sia termoplastiche che termostabili. • Ricerca e sviluppo della matrice tessile che formerà il rinforzo composito. Si svolgerà un lavoro di applicazione di processi di finitura del tessuto con prodotti chimici ignifughi atti a renderlo resistente al fuoco. • Ricerca e sviluppo di compositi sostenibili con alta resistenza al fuoco a par-

Research and development of sustainable highly fire-resistant composite materials 50

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tire dai materiali ottimizzati di cui sopra, nella prospettiva di un’applicazione dei risultati alla creazione di compositi per i settori delle costruzioni e dei trasporti pubblici. Riguardo al miglioramento delle prestazioni funzionali delle nuove strutture in tessuto, AITEX si sta concentrando sullo sviluppo di fibre resistenti al fuoco. L’istituto sta svolgendo una ricerca sui processi produttivi inerenti le fibre termoplastiche di polipropilene (PP) e solfuro

The core objective of PYROS “Research and development of sustainable highly fire-resistant composite materials” is the research and development of sustainable highly fire-resistant composite materials with technical applications in the field of public transport and construction. In both sectors considered by the project, there is a wide range of commonly-used materials which could be replaced by sustainable, fire-resistant composites with enhanced fireproofing performance and environmental-friendliness. In recent decades the composites industry has grown rapidly through the manufacture of high-strength fibres, the development of new polymer materials and improved manufacturing techniques and processes. This rapid growth in materials has been mainly driven by the aerospace, automotive and transport and construc-


di polifenilene (PPS) che siano state addizionate di composti ignifughi. Nel suo stabilimento sperimentale di miscelazione ed estrusione, AITEX sta ricercando la massima concentrazione di composto ignifugo che si può aggiungere al polimero termoplastico. Le particolari condizioni di estrusione richiedono un’attenta selezione del composto ignifugo adatti, poiché la dimensione del particolato del composto e la sua compatibilità con il polimero saranno cruciali per il corretto trattamento del polimero nella fase di miscelazione. Inoltre, AITEX sta contemporaneamente lavorando sulla funzionalizzazione chimica di fibre naturali come lino e iuta per sviluppare strutture di rinforzo ibride leggere e sostenibili ai fini delle applicazioni studiate all’interno del progetto. Usando la facility di finitura del filato dell’AITEX, si sta svolgendo una ricerca sulla massima concentrazione di ritardante di fiamma incorporabile e un’analisi del tipo più adatto di agente ritardante. Al momento attuale, si è ottenuto un apprezzabile successo nella funzionalizzazione della fibra di lino, incrementando significativamente la sua resistenza al fuoco. L’indice limite di ossigeno (LOI, Limiting Oxygen Index) di un materiale è usato nello sviluppo di materiali plastici con buon comportamento di resistenza al fuoco. È una procedura che si basa sul principio chimico della combustione, che richiede un materiale combustibile, una sorgente di innesco e la presenza di ossigeno. La procedura è centrata sul tentativo di dare fuoco al materiale e mantenere una fiamma a diverse concentrazioni di ossigeno, così da scoprire la soglia oltre la quale il tessuto può bruciare, e sotto la quale la combustione non avviene. L’atmosfera terrestre contiene ap-

prossimativamente il 21% di ossigeno, e qualsiasi materiale che possegga un LOI superiore a questa concentrazione è considerato con un buon comportamento al fuoco (e tanto migliore quanto maggiore l’indice), mentre quelli con un LOI sotto il 21% bruceranno prontamente in condizioni normali. Usando la procedura di prova descritta, con una leggera modifica alla procedura di supporto e l’introduzione del cam-

pione nella camera di combustione, si è eseguito un confronto iniziale dei diversi trattamenti applicati alla fibra di lino e di iuta. Nel caso della fibra di iuta, la funzionalizzazione ignifuga ha avuto successo e ha aumentato il LOI dal valore iniziale di 22 a 37. Questo rilevante incremento colloca il materiale risultante a pari livello rispetto a fibre ad alte prestazioni come clorofibra, fibra fenolica e polibenzimidazolo.

tion industries and the materials have proved to have vastly improved performance when compared to conventional materials in many applications. The PYROS project aims to develop new sustainable fire-resistant composite materials by the following means: • Research and development of the polymer matrix which will form the composite and which will be additivated with fire retardant chemicals to make it fireproof. Work will be undertaken into the optimisation of both thermoplastic and thermostable polymer matrices. • Research and development of the textile structure which will form the composite reinforcing. Work will be undertaken into the application of textile finishing processes with fire retardant chemicals to make it fireproof. • Research and development of high-

ly fire-resistant sustainable composites from the above optimised materials with a view to applying the results to the creation of composites for the construction and public transport industries. With regards to enhancing the functional performance of the new textile structures, AITEX is focusing on the development of fire-resistant fibres. The Institute is researching the manufacturing processes involved in thermoplastic fibres of polypropylene (PP) and polyphenylene sulfide (PPS) which have been additivated with fire-retardant compounds. AITEX is researching the maximum concentration of fire retardant that can be additivated to the thermoplastic polymer on its compounding and extrusion experimental plant. The special extrusion conditions require careful selection of the correct FR compound

as the particle size of the compound and its compatibility with the polymer will be crucial to the correct processability of the polymer in the melt-spinning stage. AITEX is also working concurrently on the chemical functionalisation of natural fibres such as linen and jute, to develop lightweight, sustainable hybrid reinforcing structures for the applications being studied by the project. Using the yarn finishing facility at AITEX, research is being undertaken into the maximum concentration of FR agent that can be incorporated and an analysis of the most appropriate type of FR agent. To date, notable success has been achieved in the functionalisation of linen fibre, increasing its resistance to fire significantly. The Limiting Oxygen Index (LOI) of a material is used in the development of plastic materials with good fire behaviour. It is a

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- Ricerca e sviluppo di materiali compositi sostenibili ad alta resistenza al fuoco Il progetto PYROS è iniziato nel primo trimestre del 2016, e la sua conclusione è prevista per il dicembre 2017. I collaboratori all’ iniziativa sono AITEX (Istituto di Ricerca Tessile) e AIMPLAS (Istituto di Tecnologia Plastica). PYROS è finanziato dalla Conselleria d’Economia Sostenible, Settori Produzione, Commercio e Lavoro attraverso IVACE, ed è cofinanziato dal Fondo di Sviluppo Regionale dell’Unione Europea, all’interno del Programma Operativo FEDER del La fibra naturale funzionalizzata così risultante sarà usata da AITEX nello sviluppo di filati ibridi lino-termoplastico che saranno intessuti in compositi termoplasti-

ci. Il progetto sta anche considerando lo sviluppo di compositi termostabili rinforzati con la struttura a fibra naturale vegetale ad alta resistenza al fuoco.

Governo Regionale Valenciano 2014-2020.

Per maggiori informazioni: Asociación de Investigación de la Industria Textil (AITEX) Plaza Emilio Sala, 1 03801 Alcoy (Alicante) Tel: +34 965542200 Fax: +34 965543494 www.aitex.es

procedure which is based on the chemical principal of combustion which requires a combustible material, a source of ignition and the presence of oxygen. The procedure centres on attempts to make the sample material ignite and maintain a flame in varying concentrations of oxygen to discover the threshold above which the fabric can burn, and below which combustion does not occur. Earth’s atmosphere contains approximately 21% oxygen, and any material which possesses an LOI above this concentration is said to have good fire behaviour (and the greater the better), while those with an LOI below 21% will burn readily in normal conditions. Using the test procedure described above, with slight adaptation of the support procedure and the introduction of

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the sample into the combustion chamber, an initial comparison was performed of the different treatments applied to the linen and jute fibre. In the case of the jute fibre, FR functionalisation was successful and increased LOI from an initial value of 22 to 37. This notable increase puts the resulting material on a par with high-performance fibre such as chlorofibre, phe-

nolic fibre and polybenzimidazole. The resulting functionalised natural fibre will be used by AITEX in the development of hybrid linen-thermoplastic yarns which will be woven into thermoplastic composites. The project is also considering the development of heat-stable composites reinforced with the highly fire-resistant natural vegetable fibre structure.

The PYROS project began in the first quarter of 2016, and is expected to end in December 2017. The collaborators on the initiative are AITEX (Textile Research Institute) and AIMPLAS (Plastics Technology Centre). PYROS is funded by the Conselleria d'Economia Sostenible, Sectors Productius, Comerç i Treball through IVACE, and is co-funded by the European Union Regional Development Fund, within the FEDER Operative Programme of the Valencian Regional Government 2014-2020.


Vito Pagliarulo, Pietro Ferraro – Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti, Consiglio Nazionale delle Ricerche

Metodi ottici interferometrici per l’industria aerospaziale

I

metodi di controlli non distruttivi (CND) sono definiti come un insieme di tecnologie atte a verificare processi e prodotti secondo opportuni requisiti di controllo qualità. Qualunque metodo di CND dovrebbe preferibilmente garantire alcuni importanti prerequisiti tecnici come ad esempio la non invasività e la possibilità di effettuare misure senza contatto a pieno campo. Esiste una grande varietà di CND impiegati in settori molto differenti, dalla medicina ad esempio, al campo dei beni culturali. I CND tuttavia sono riferiti maggiormente a processi e prodotti industriali. A tal proposito, alcuni esempi di applicazioni possono essere: la verifica dell’integrità di materiali e componenti, la misura di caratteristiche geometriche, la rivelazione e valutazione di danni e difetti o anche il monitoraggio di parametri di processo. I diversi metodi di CND sono stati sviluppati per rispondere a diverse esigenze. Tra i tanti, le tecniche ottiche interferometriche, basate sull’uti-

lizzo di laser, hanno trovato impiego per il controllo di materiali compositi di varia natura. La Shearografia, ad esempio, è stata inclusa tra le norme dell’industria aeronautica e aerospaziale (ASTM E2581-07) per “Polymer Matrix Composites, Sandwich Core Materials and Filament Wound Pressure Wessel’s” e ad oggi è una tecnica di CND essenziale in importanti programmi aeronautici. Questo tipo di tecnologia, grazie soprattutto all’evoluzione dei sensori, al miglioramento delle capacità di calcolo ed alla migliore efficienza e compattezza delle sorgenti laser, offre la possibilità di controlli in tempo reale e a pieno campo su superfici articolate, ponendosi come analisi complementare ad altre tecniche, come ad esempio quelle basate su ultrasuoni, tipicamente impiegati in campo aeronautico. L’ispezione veloce (fast inspection) è ottenuta laddove invece mediante tecniche convenzionali è necessario un intervento più lun-

go e complesso. Inoltre le tecniche ottiche interferometriche rappresentano un metodo di CND che permette di ispezionare materiali compositi riempiti con materiali schiumosi dove è difficile applicare gli ultrasuoni. Le tecniche interferometriche sono basate sul fenomeno dell’interferenza ed in particolare sul cosiddetto “speckle”. Lo speckle, che dà il nome ad une delle tecniche più utilizzate, ovvero l’Electronic Speckle Pattern Interferomery (ESPI), è un fenomeno che trae origine dalla natura coerente della luce utilizzata (ovvero il laser) che incidendo su una superficie scabra compie un salto di fase casuale senza perdere appunto la sua coerenza. Questa genera un effetto di interferenza che può essere costruttiva o distruttiva dando origine ad immagini composte da “puntini” scuri e luminosi. Questo modello di puntini viene sfruttato per rilevare variazioni delle superfici con una sensibilità inferiore alla lunghezza d’onda del

Fig. 1 Schema base del setup ottico di un sistema ESPI ed immagine del laboratorio CND del CNR-ISASI

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laser impiegato (ovvero nel visibile di alcune centinaia di nm). Il principio di funzionamento è concettualmente semplice. La superficie di interesse viene illuminata dalla sorgente laser ed attraverso un opportuno sistema ottico, utilizzando una comune camera basata su CMOS o CCD, viene acquisito un’interferogramma speckle ovvero un’immagine dello speckle sovrapposta ad un fascio, detto di riferimento, derivato dallo stesso laser. L’immagine viene quindi registrata come matrice di punti da un computer. Lo schema di base del setup ottico è illustrato in figura 1 insieme ad un’immagine del laboratorio CND presso il CNR-ISASI (www.isasi.cnr.it). Se la superficie è sottoposta ad una perturbazione, ad esempio attraverso un riscaldamento o una compressione, cambia le sue caratteristiche geometriche e di conseguenza il modo in cui riflette la luce ovvero il suo speckle. Il sistema ESPI acquisisce due immagini dello stesso speckle, rispettivamente prima e dopo la sollecitazione. Il confronto tra le due immagini acquisite (ovvero la sottrazione numerica delle due) porta alla creazione di un’immagine che mostra una serie di frange, dette di correlazione, sovrapposte sullo schermo alla superficie in esame. È la cosiddetta interferometria olografica, metodo utile anche per l’analisi dei fenomeni di vibrazione attraverso acquisizioni multiple. Tali frange evidenziano la deformazione fuori dal piano che la superficie ha subito a seguito della perturbazione. Osservando la forma e la direzione delle frange è possibile evidenziare le discontinuità della superficie causate da danni, delaminazioni, imperfezioni, inclusioni, ecc… Con differenti setup ottici è possibile inoltre studiare anche le deformazioni nel piano dell’oggetto osservato, anche se tali configurazioni sono meno utilizzate in ambito CND. Nel caso della shearografia, quello che è possibile misurare è la derivata della deformazione fuori dal piano. Ciò è conseguenza del fatto che l’interferogramma ottenuto con tale tecnica è realizzato dalla sovrapposizione di due speckle della superficie in esame distanziati da un fattore noto e ha come vantaggio il fatto che i sistemi shearografici sono molto meno sensibili alle vibrazioni e sono per questo più facilmente impiegabili “sul campo”. Esaminiamo un caso concreto per capire come lavora questo tipo di tecnica. Una delle caratteristiche dei materiali compositi è la complessità dei danni che si sviluppano a seguito di un evento distruttivo. Una situazione particolarmente interessante avviene quando una parte in composito subisce un danno, ad esempio a seguito di un impatto, ma il danno stesso è appena visibile se non del tutto invisibile ad occhio nudo. In campo aeronautico questo tipo di danneggiamento può essere causato dalla grandine o da un impatto con un volatile ed avere conseguenze importanti anche se il danno in apparenza è minimo. Per i test effettuati in laboratorio presso il CNR-ISASI, sono state impiegate piastre in fibra di carbonio e resina epossidica certificata per uso aeronautico di dimensioni 10x15 mm e spessore 2.5 mm. Le piastre sono state impattate con un impattatore emisferico a diverse energie d’impatto. La piastra mostrata in figura 2 è stata impattata con un’energia d’impatto di 6J. Come si evince dall’immagine il danno non è visibile. Utilizzando per i test non distruttivi un sistema ESPI con una sorgente laser di lunghezza d’onda di 532 nm è stato possibile rivelare la dimensione reale del danno. Uno stimolo termico è stato applicato al campione attraverso una lampada ad incandescenza. La superficie ha subito solo un piccolo gradiente di temperatura, inferiore a 1°C. Tuttavia, lo stimolo termico è stato sufficiente ad indurre una deformazione tale da evidenziare nell’ologramma speckle qualsiasi danno dovuto all’impatto. Il risultato mostrato in figura 3 consente di individuare facilmente il danno da impatto. Le frange mostrano in maniera inequivocabile la presenza di una zona danneggiata (delaminata) a seguito dell’impatto. Per meglio evidenziare la zona discontinua, vengono utilizzate di-


- Metodi ottici interferometrici per l’industria aerospaziale -

Fig. 2 Piastra impattata con energia 6J

Fig. 4 Mappa a contrasto di fase “svrappata” del lato impattato

Fig. 3 Frange di correlazione sul lato impattato

Fig. 5 Mappa a contrasto di fase “svrappata” del lato posteriore

verse tecniche numeriche sull’immagine che rimuovono il rumore e “filtrano” le frange che riguardano la deformazione attesa della piastra a seguito del riscaldamento. In particolare le tecniche utilizzate vengono dette di “unwrapping”. Il risultato è un’immagine che evidenzia meglio la zona danneggiata e consente di valutarla in maniera più accurata (vedi figure 4 e 6). Può essere interessante studiare come l’energia di impatto si sia scaricata lungo lo spessore del composito. A tale scopo si può investigare anche il lato posterio-

Fig. 6 Dettaglio del danno elaborato in 3D

re della piastra. Come evidenziato in figura 5, il danno sul lato posteriore è diverso e si è propagato lungo una direzione preferenziale. CONCLUSIONI La forza delle tecniche ottiche interferometriche risiede sul fatto che è possibile indagare superfici a pieno campo, senza contatto e in tempo reale. Inoltre, esse consentono di ottenere analisi quantitative del danno. Sono quindi tecniche complementari per ispezioni veloci. Inoltre si prestano a sposare molto bene le future

tendenze delle tecnologie dei CND che vedranno nei prossimi anni lo sviluppo di controlli non distruttivi automatizzati, grazie all’utilizzo sempre più diffuso dell’intelligenza artificiale e dei robot. BIBLIOGRAFIA/REFERENCES

V. Pagliarulo et al. “Impact damage investigation on composite laminates: comparison among different NDT methods and numerical simulation” Meas. Sci. Technol. 26, 085603 (9pp) (2015) V. Pagliarulo et al. “Evaluation of delaminated area of polymer/carbon nanotubes fiber reinforced composites after flexural tests by ESPI” IEEE MAS Proc. 6865922, 211– 215 (2014) Antonucci, V. Caputo, F Ferraro, P. Langella, A. Lopresto, V. Pagliarulo, V. Ricciardi, M.R. Riccio, A. Toscano, C. “Low velocity impact response of carbon fiber laminates fabricated by pulsed infusion: A review of damage investigation and semi-empirical models validation” Prog. Aerosp. Sci 81, 26-40 (2016) M. P. Georges “Comparison between thermographic and holographic techniques for nondestructive testing of composites: Similarities, differences and potential cross-fertilization” Proc. Of SPIE 9660, 966002 (2015) D. Francis, R. P. Tatam and R. M. Groves “Shearography technology and applications: a review” Meas. Sci. Technol. 21, 102001 (29pp) (2010)

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Vito Pagliarulo, Pietro Ferraro – Istituto di Scienze Applicate e Sistemi Intelligenti, Consiglio Nazionale delle Ricerche

Optical interferometric methods for the aerospace industry

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on Destructive Testing (NDT) are defined as a set of technologies designed to verify processes and products according to appropriate quality control requirements. Any NDT approach should preferable guarantee, some important technical prerequisites, i.e. it should be not-invasive, non-contact and full-field. There is a wide variety of NDT techniques useful in many different fields, from medicine, for example, to the field of cultural heritage. The NDT however are more related to industrial processes and products. In this regard, some examples of applications include verification of the integrity of the materials and components, the measurement of geometric characteristics, the detection and evaluation of defects or damage and also the monitoring of the process parameters. Different NDT methods have been developed to meet various requirements. Among others, optical interferometry techniques, based on the use of lasers, have found application for the control of composite materials of different nature. Shearography, for example, has been included among the standards of the aviation and aerospace industry (ASTM E2581-07) for “Polymer Matrix Composites, Sandwich Core Materials and Filament Wound Pressure Wessel’s” and nowadays it is an essential NDT technique for important aircraft programs. This type of technology, thanks to the evolution of the sensors, the improvement of computing power and better efficiency and compactness of the laser sources, offers the possibility of monitoring in real time and in full-field mode complex surfaces, acting as a complementary analysis to other techniques, such as those based on ultrasonic, typically employed in the aeronautical field. Fast inspection is assured where instead by conventional techniques it is necessary a longer and more complex operation. Moreover, optical interferometric techniques represent a NDT method that allows inspection of composite filled by foam materials where ultrasounds are difficulty to apply. Interferometric techniques are based on phenomenon called ”speckle“. Speckle, which gives its name to each of the most common techniques, namely the Electronic Speckle Pattern Interferometry (ESPI), is a phenomenon that originates from the coherent nature of the light used (i.e. the laser) hitting a rough surface that makes a jump of random phase without losing its coherence. This generates an interference effect that can be constructive or destructive, giving rise to images composed of ”dots“ dark

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Compositi

and bright. This speckle phenomenon is exploit to detect variations of the surfaces with very high sensitivity comparable to the wavelength of the laser (i.e. in the visible of some hundreds of nm). The principle of operation is conceptually simple. The surface of interest is illuminated by the laser source. Thanks to a suitable optical system and commercial CMOS or CCD camera a speckle image, superimposed to a reference beam coming from the same laser, is recorded. The image is then stored as an array of bits in a computer. The basic scheme of the optical setup and an image of NDT lab at CNR-ISASI (www.isasi.cnr.it) are shown in figure 1. If the surface is subjected to a perturbation induced through a heating or a mechanical compression, it changes its geometrical characteristics and therefore the speckle pattern varies at the surface. The ESPI system acquires two images of the same speckle pattern, before and after the perturbation respectively. The comparison between the two registered images (i.e. the numerical subtraction of the two) leads to the creation of an image that shows a series of fringes, named correlation fringes, superimposed on the screen to the tested surface. These fringes show the deformation out of the plane that the surface has suffered as a result of the perturbation. Observing the shape and direction of the fringes is possible to highlight the surface discontinuity caused by damage, delamination, flaws, inclusions etc. With different optical setup is also possible to study the in-plane deformation but these configurations are used less in the field of NDT. Instead in the case of shearography the derivative of the deformation out of the plane can be measured. This is a consequence of the fact that the interferogram acquired with this technique is obtained by the superposition of two speckle of the examined surface spaced by a known factor and has the advantage that the shearography is much less sensitive to vibrations and is therefore more easily usable ”on the field“. Let us examine a real case for understanding how works this type of techniques. One of the characteristics of composite materials is the complexity of the damages, which develop as a result of a destructive event. A particularly interesting situation occurs when a composite part suffers damage, for example as consequence of an impact, but the damage itself is barely visible or completely invisible by naked-eye. In the aeronautics field, this type of damage can be caused by hail or by an impact with a volatile and

may have important consequences even if the damage is minimal in appearance. For the tests reported in the laboratory at CNR-ISASI, plates in the carbon fiber and certified epoxy resin for aeronautical use were used, with dimensions of 10x15mm and 2.5mm thickness. The plates were impacted with a hemispherical impactor at different impact energies. The plate shown in figure 2 has been impacted with energy of 6J. As it can be seen from figure 2, the damage is not visible. By applying the non-destructive testing using ESPI system with 532nm wavelength laser the real-size of the damage can be revealed. A thermal stimulus was applied to the object through an incandescent lamp. Surface suffered only a small temperature gradient lower than to 1° C. Nonetheless, the thermal stimulus was able to induce deformation and thus highlight any damage due to the impact in the holographic speckle patterns. The result shown in Figure 3 allows to detect easily the impact damage. The fringes show unequivocally the presence of a damaged area (delaminated) by the impact. To better highlight the discontinuous area, different image numerical techniques are employed to remove the noise and ”filter“ the fringes that regard the deformation of the entire plate as result of the heating. In particular, the techniques used are named of ”unwrapping“. Processing the fringe-images by appropriate numerical algorithms improves the visualization of the damage that can be better evaluated (see figure 4 and figure 6). It may be interesting to study how the impact energy has been drained along the composite thickness. For this purpose, it can be investigated also the backside of the plate. As shown in Figure 5, the damage on the backside is different and has propagated along a preferential direction. CONCLUSIONS The powerfulness of the optical interferometric techniques is a consequence of the fact that it is possible to investigate the surfaces at full field, without contact and in real time. Furthermore a quantitative analysis of the damage can be also accomplished. Therefore, they are complementary techniques for fast inspections. Moreover, they lend themselves very well to marry the future tendency of the technologies of the NDT, which will see in the next years the development of automated non-destructive tests thanks to the trend of the artificial intelligence and robots. All the mentioned figures refer to the Italian version

Fig. 1: Basic diagram of the optical setup of ESPI system and image of NDT lab at CNR-ISASI (www.isasi.cnr.it) Fig. 2: Impacted plate with 6J energy Fig. 3: Correlation fringes on the impacted side Fig. 4: Unwrapped phase-contrast map, impacted side Fig. 5: Unwrapped phase-contrast map, back side Fig. 6: Detail of the damage processed in 3D


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U. Galietti, V.E. Palasciano – Diagnostic Engineering Solutions srl D. Palumbo – Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management, Politecnico di Bari

Ispezione scafo con tecniche termografiche

I

materiali compositi presentano elevate prestazioni meccaniche in relazione al loro peso il che li rende diffusamente utilizzati in diversi campi dell’ingegneria, dall’aeronautico, al navale fino al settore automotive [1]. In particolare, varie applicazioni riguardano il settore navale dove i materiali compositi sono utilizzati per la costruzione dello scafo essendo richiesto, in questo caso, un elevato valore del rapporto resistenza/peso e buone caratteristiche meccaniche [2]. Le tecniche termografiche si rivelano uno strumento assai utile per il controllo non distruttivo di strutture in materiale composito grazie ad alcune peculiarità tipiche della tecnica, quali la possibilità di eseguire misure senza contatto e la capacità di acquisire immagini a campo intero [3-6]. La tecnica termografica fornisce, di un oggetto fermo o in movimento e posto a qualunque distanza, un’immagine termica, senza richiedere alcun contatto fisico e senza influenzare in alcun modo la temperatura di superficie della sorgen-

te irradiante [4]. In letteratura, la termografia viene classificata come stimolata (attiva) e non stimolata (passiva) a seconda che si utilizzi una sorgente di calore esterna per eccitare termicamente il materiale. In realtà, la stessa termografia passiva molto spesso si avvale di sorgenti di eccitazione esterne che consentono l’ispezione. Questo è il caso, ad esempio, dell’eccitazione solare utilizzata per l’ispezione di murature o delle pale eoliche. In questo lavoro la termografia non stimolata è stata utilizzata per ispezionare lo scafo di una barca, con particolare riferimento all’opera viva, per la diagnosi della presenza di acqua incapsulata o altre anomalie derivanti da osmosi profonda. In particolare, le eventuali discontinuità sono visibili grazie alle loro proprietà termo-fisiche differenti rispetto al resto del materiale. In tal senso, ad esempio, la presenza d’acqua è facilmente rilevabile in quanto quest’ultima presenta una differente capacità termica rispetto alle zone asciutte.

SET-UP DI PROVA I test sono stati eseguiti su uno scafo di un’imbarcazione. Lo scafo si trovava a secco nel cantiere e l’ispezione è stata eseguita in una giornata soleggiata dopo alcune giornate di piogge abbondanti. Per le misure termografiche è stata utilizzata una termocamera sc640 con sensore microbolometrico 640x480 pixel e sensibilità termica NETD< 30 mK. Ai fini del calcolo dei valori corretti di temperatura, per le misure di umidità e temperatura ambiente è stato utilizzato un termo-igrometro Velleman DVM8010. Per l’ispezione ci si è concentrati nella ricerca di zone umide con presenza di acqua incapsulata o evidenza di osmosi profonda. Le analisi sono state condotte mediante i software IRTA® (by DES srl) e RIR Max (by Flir).

Fig. 1: Immagine nel visibile ed immagine termica zona poppiera, mura a dritta

Fig. 2: Immagine nel visibile ed immagine termica zona poppiera, mura a dritta

Fig. 3: Immagine nel visibile ed immagine termica ottenuta, zona chiglia a tribordo rispetto alla linea d’asse verso la mezzeria dello scafo

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Compositi

RISULTATI E DISCUSSIONE La figura 1 mostra una zona dello scafo e la comparazione tra l’immagine ottenuta nel visibile e l’immagine termica. In tale


zona, dove non vi era sole battente, i parametri oggetto inseriti per ottenere l’immagine termica sono stati: • temperatura ambiente: 20.6 °C • umidità relativa ambientale: 53% • emissività: 0.92 • temperatura riflessa: 23.0 °C. La temperatura riflessa è stata valutata con metodo ISO 18434-1. Dai dati termografici si notano i differenti materiali superficiali utilizzati con la presenza di stucco in corrispondenza delle discontinuità. In questa zona non è stata rilevata alcuna presenza di acqua incapsulata o fenomeno di osmosi profonda. In figura 2 sono mostrate le immagini relative sempre alla zona poppiera della mura a dritta in una zona dove non è presente il sole battente. Focalizzando l’immagine termica, anche in questo caso nell’area delimitata dal gesso che dovrebbe risultare quella ad alta probabilità di osmosi, non è stata rilevata alcuna evidenza di acqua incapsulata. In figura 3 è stata analizzata la zona chiglia a tribordo della linea d’asse verso la mezzeria dello scafo. Nell’immagine termica è visibile una discontinuità che indica la presenza d’acqua stagnante all’interno della barca. Si è stimata in questo caso una dimensione della discontinuità di circa 16 cm2. La figura 4 è riferita sempre alla chiglia ma verso la poppa dello scafo. Anche in

Fig. 4: Immagine nel visibile ed immagine termica, zona chiglia a tribordo rispetto alla linea d’asse verso la mezzeria dello scafo

questo caso è presente dell’acqua stagnante all’interno dello scafo che da origine a una discontinuità di area 10 cm2. La figura 5 mostra 2 immagini termiche acquisite in corrispondenza della zona chiglia a babordo rispetto alla linea d’asse verso la punta e la mezzeria dello scafo. In particolare, nella prima immagine in alto è presente una discontinuità che indica la presenza di umidità dovuta al canale di scolo. In figura 6 sono mostrate due immagini riferite alla mura a sinistra. In entrambe, sono ben visibili aree dove è presente lo stucco ma non ci sono discontinuità dovuti a presenza d’acqua. CONCLUSIONI Si è valutata mediante la tecnica termografica la presenza di acqua incapsulata e altre anomalie da osmosi profonda all’interno dello scafo di un’imbarcazione. Dalle analisi termografiche, su tutta la parte inferiore dello scafo, con strumenti e tecniche di elaborazione consoni allo stato dell’arte attuale, non c’è evidenza di zone dell’opera viva dello scafo ove sia possibile individuare la presenza di acqua incapsulata per processo osmotico profondo. Le zone in cui è stata rilevata dell’umidità sono in corrispondenza di acqua stagnante all’interno dello scafo. Tali zone sono di dimensione prossima a circa 10-12 cm2 per l’intero scafo analizzato e si possono reputare non rilevanti per l’integrità

Fig. 5: Immagini termiche, zona chiglia a babordo rispetto alla linea d’asse

strutturale complessiva dell’opera viva. L’analisi con tecnica termografica ha permesso di ottenere in breve tempo informazioni circa lo stato dello scafo dell’imbarcazione. In particolare, la possibilità di ottenere immagini IR a campo intero consente di rilevare con una rapida analisi le aree dove sono presenti delle discontinuità. BIBLIOGRAFIA/REFERENCES

[1] Hosur, M.V., Murthy, C. R. L., Ramamurthy, T. S., Shet, A. (1998) Estimation of impact-induced damage in CFRP laminates through ultrasonic imaging, NDT&E International, 31-5, 359-374. [2] Palumbo D., Ancona, F., Galietti, U. (2015) Quantitative damage evaluation of composite materials with microwave thermographic technique: feasibility and new data analysis, Meccanica, 50, 443-460. [3] Tamborrino R., Aversa P., Tatì A., Luprano V. A., Galietti U., Palumbo D. (2014) Ultrasonic and thermographic analisys of composite adhesive joints subjected to accelerated aging, ECNDT 2014, Prague. [4] Maldague, X. P. V. (2001) Theory and practice of infrared technology of non-destructive testing, John Wiley & Sons, Inc, ISBN 0-471-18190-0. [5] Palumbo, D., Galietti, U., (2016), Damage Investigation in Composite Materials by Means of New Thermal Data Processing Procedures, Strain, 52(4), 276-285. [6] Palumbo, D., Tamborrino, R., Galietti, U., Aversa, P., Tatì, A., Luprano, V.A.M., (2015), Ultrasonic Analysis and lock-in thermography for debonding evaluation of composite adhesive joints. NDT & E International, 78, 1-9.

Fig. 6: Immagini termiche, zona mura a sinistra

Compositi

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U. Galietti, V.E. Palasciano – Diagnostic Engineering Solutions srl D. Palumbo – Dipartimento di Meccanica, Matematica e Management, Politecnico di Bari

Boat hull inspection by thermographic techniques

C

omposite materials have high mechanical performance in relation to their weight which makes them widely used in various engineering sectors from aeronautics, marine to auto motive [1]. In particular, various applications concern the marine industry where composite materials are used for the construction of hulls as in this case a high value of resistance/ weight ratio and good mechanical features are requested [2]. Thermographic methods will prove very useful for the nondestructive testing of composite structures thanks to some typical characteristics such as the ability to perform non-contact measurement and the ability to capture full-field images [3-6]. Thermography provides – for a still or moving object placed at any distance – a thermal image, without requiring any physical contact and without having any effect on the surface temperature of the radiating source [4]. In literature, thermography is classified as stimulated (active) and non-stimulated (passive) depending on whether you are using an external heat source for thermally exciting the material. In fact, the same passive thermography very often makes use of external excitation sources which allow for inspection. This is the case, for example, with solar excitation used for the inspection of masonry or of wind turbine blades. In this work, non-stimulated thermography was used to inspect the hull of a boat, with particular reference to the underwater body, for the diagnosis of the presence of encapsulated water or other anomalies resulting from deep osmosis. In particular, possible discontinuities are visible due to their thermo-physical properties which are different from the rest of the material. In this sense, for example, the presence of water is easily detectable because the latter has a different thermal capacity to the dry areas. TEST SET-UP The tests were performed on a hull of a boat. The hull was ashore in the yard and the inspection was carried out on a sunny day after several days of heavy rains. For thermographic measurements we used an sc640 thermal camera with 640x480 pixel microbolometer detec-

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Compositi

tor and NETD< 30 mK thermal sensitivity. For the purpose of calculating correct values of temperature, for moisture and environmental temperature, we used a Velleman DVM8010 thermo-hygrometer. For the inspection, the focus was on the research of wet areas with the presence of encapsulated water or evidence of deep osmosis. Analyses were conducted using IRTA® (by DES srl) and RIR Max (by Flir) software. RESULTS AND DISCUSSION Figure 1 shows an area of the hull and the comparison between the image obtained with a visible camera and the thermal imaging. In this area, where there was no direct sunlight, the object parameters inserted to obtain the thermal imaging have been • environmental temperature: 20.6 °C • relative humidity: 53% • emissivity: 0.92 • reflected temperature: 23.0 °C. Reflected temperature has been assessed by ISO 18434-1. Thermographic data show the different surface materials used with the presence of putty in correspondence with the discontinuities. In this area, no traces of encapsulated water or deep osmosis were found. Figure 2 shows the images related to the stern area on the starboard in an area where there is no direct sunlight. Focusing the thermal imaging, even in this case in the area defined in chalk – which should prove that with high probability of osmosis – there was no trace of encapsulated water. In Figure 3 we analyzed the keel area starboard side as to the axle line towards the center line of the hull. The thermal imaging shows a discontinuity that indicates the presence of stagnant water inside the boat. In this case, the estimated size of the discontinuity is approximately 16 cm2. Figure 4 still refers to the keel towards the hull stern. Also in this case, there is some stagnant water inside the hull which gives rise to a 10 cm2 discontinuity. Figure 5 shows two thermal images acquired in correspondence with the keel

area port side as to the axle line towards the end and the center line of the hull. In particular, in the first image at top there is a discontinuity that indicates the presence of humidity due to the drainage duct. Figure 6 shows two images referred to the starboard. In both, areas where putty is present are well visible but there are no discontinuities due to the presence of water. CONCLUSIONS In this work we evaluated – using the thermographic technique – the presence of encapsulated water and other anomalies due to deep osmosis inside the hull of a boat. Thermographic analyses on the whole lower part of the hull, with tools and processing techniques suitable for the current state of the art, did not highlight areas of the hull underwater body where it is possible to detect the presence of water encapsulated for deep osmosis The areas where we detected humidity are in correspondence with stagnant water inside the hull. These areas have a size of about 10-12 cm2 for the entire hull analyzed and can be deemed not relevant for the overall structural integrity of the underwater hull. The analysis with the thermographic method has allowed us to obtain information about the state of the boat hull in a short time. In particular, the possibility of obtaining IR full-field images allows for detection of the areas where there are discontinuities with a rapid analysis.

All the mentioned figures refer to the Italian version Fig. 1: Visible imaging and thermal imaging of stern area, on the starboard Fig. 2: Visible imaging and thermal imaging of stern area, on the starboard Fig. 3: Visible imaging and thermal imaging obtained, keel area starboard side as to the axle line towards the center line of the hull Fig. 4: Visible imaging and thermal imaging, keel area starboard side as to the axle line towards the center line of the hull Fig. 5: Thermal imaging, keel area on the port side as to the axle line Fig. 6: Thermal imaging, port gybe



CFRP: analisi post impatto mediante tomografia industriale Fabrizio Rosi – TEC Eurolab Srl Marco Salvador e Nicola Guidolin – STEP Lab Engineering Snc L’interesse per la risposta ad impatto dei materiali compositi è cresciuto notevolmente dopo la seconda metà degli anni ’60, fenomeno determinato dall’introduzione dei materiali compositi rinforzati con fibra di carbonio. Diversamente dai GFRP, che mostrano una buona risposta meccanica quando sottoposti a test di impatto, i CFRP necessitano di indagini più approfondite, data la natura fragile della fibra di carbonio. Poiché la principale causa di danneggiamento di strutture in composito viene determinata dall’impatto di corpi estranei, come nel caso della superficie alare di velivoli, l’impatto di un grave su di una superficie piana rappresentativa del materiale è stato adottato come metodo di test principale per valutare i danneggiamenti da impatto. Tuttavia, il test di impatto non restituisce direttamente informazioni correlabili al meccanismo di danneggiamento del componente testato. Pertanto, un insieme di metodi di indagine post impatto si rende necessario per potere determinare le modalità di propagazione della rottura e di fallimento del componente. Di seguito viene riportato un esempio di valutazione del danneggiamento occorso mediante tomografia industriale. Le prove di impatto sono state realizzate mediante torre d’impatto DW 1000 realizzata da Step Lab. La macchina permette di eseguire prove con altezza di caduta da 0.05 a 1.25 m. Modulando opportunamente il peso dell’impattatore, è possibile ottenere energie di caduta che spaziano da 5 a 750 J. Le prove sono state eseguite in accordo alla normativa ASTM D7136 / D7136M-12. I provini vengono vincolati su un supporto dedicato, l’operatore imposta l’energia di impatto nel softwa-

Fig. 1: Torre di caduta DW 1000 utilizzata per i test

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Compositi

Fig. 2: Impattatore a testa emisferica 16 mm, Holder e sequenza di montaggio del campione di prova e volume tomografico del campione A testato re di controllo, e un sistema pneumatico preleva automaticamente l’impattatore e lo porta all’altezza corrispondente. L’impattatore viene quindi rilasciato in caduta libera fino a colpire il provino con la sua testa emisferica avente diametro 16 mm. Generalmente, la sequenza di prova proposta viene identificata come metodo CAI (Compression After Impact). Durante l’esecuzione di un test di impatto vengono acquisite posizione, velocità ed accelerazione dell’impattatore. A partire dai dati acquisiti viene calcolata la resistenza ad impatto del materiale: il profilo di accelerazione, moltiplicato per la massa dell’impattatore, fornisce infatti la forza sviluppata durante l’urto. Il software integra la curva forza-spostamento ed ottiene l’energia assorbita dal provino durante l’impatto, ovvero la sua resilienza. Lo scopo delle prove eseguite è stato quello di sottoporre il provino ad un impatto di energia predefinita, in funzione del suo spessore, e di studiarne suc-

Voltaggio

220kV

Corrente

1000µA

FSP (Focal Spot Size)

209µm

FSM (Focal Spot Mode)

Microfocus

Tab. 1

cessivamente i meccanismi di cedimento attraverso la tomografia computerizzata. Le curve di posizione, velocità, forza ed accelerazione possono quindi essere utilizzate per una valutazione diretta delle caratteristiche del materiale o possono servire come strumento utile per l’integrazione di informazioni all’interno di un modello, che può essere validato mediante un software di simulazione ad elementi finiti. Il software di acquisizione e di elaborazione è in grado di analizzare urti di brevissima durata (6-7 ms), tipici di provini in materiale composito, caratterizzati da elevata rigidezza. La figura 3 riporta le curve ottenute dall’impatto su uno dei provini. Si noti la breve durata dell’urto e l’elevata forza sviluppata durante l’impatto. Le figure 4 e 5 documentano il risultato degli impatti sulle due tipologie di campioni testati. Le medesime tipologie di danneggiamento rilevate da un’indagine visiva superficiale sono presenti anche all’interno del campione, come è possibile vedere dall’indagine tomografica. I campioni testati sono stati sottoposti a scansione tomografica prima e dopo l’impatto. Sono state analizzate due tipologie di campioni realizzati con differenti sequenze di laminazione e dimensione di trama ed ordito. Il tomografo sfrutta la capacità della radiazione x di attraversare la materia, generando una serie di radiografie che vengono ricomposte, tramite uno spe-


Sample ID

Spessore medio (mm)

Energia Impatto (J)

Forza Max (N)

A

5,6

39,3

7942

B

7,6

50,7

11658

Fig. 3: Esempi di curve di posizione, velocità, accelerazione e forza ottenute dall’impatto del campione di prova B e dati relativi ai due campioni analizzati

Fig. 4

cifico algoritmo, nel volume interno ed esterno dell’oggetto analizzato. In tal modo, diventa possibile valutare approfonditamente dei danneggiamenti interni di componenti, senza alterare in alcun modo il componente analizzato. Il test è stato realizzato mediante un tomografo NSI X5000, impostando i parametri elettrici ed operativi riportati in tabella 1. Dalle immagini tomografiche è possibile analizzare i diversi tipi di difetti sviluppatisi e classificarli in accordo alla normativa ASTM D7136/D7136M-12. A livello visivo, è stato possibile rilevare la presenza di una depressione superficiale post impatto, accompagnata da varie fratture combinate di grandi dimensioni con rottura delle fibre. L’analisi tomografica consente di indagare la propagazione della rottura attraverso i diversi strati del provino. Nella figura 6 sono riportate quattro sezioni progressive del campione A analizzato dopo l’impatto. Come risulta evidente, l’indagine tomografica permette di andare a valutare puntualmente le modalità di propagazione della frattura, contribuendo sensibilmente ad incrementare la comprensione dei meccanismi di danneggiamento, senza alterare permanentemente lo stato del campione.

Fig. 5

Fig. 6

Compositi

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Global composites industry set to soar “The global composites industry is set to soar. There are plenty of opportunities emerging in various industries,” said Dr. Sanjay Mazumdar, CEO of Lucintel at the CAMX session on the Global State of the Composites Industry in Anaheim, California on Sept. 27, 2016. “We have been on the runway for a long time, but now we’re ready to take off,” said Dr. Mazumdar. Speaking at the CAMX session, Dr. Mazumdar said that innovation and partnership will be necessary if the industry is going to achieve that growth potential. He stated that the demand for composites looks very promising in various sectors; growth is driven by light weighting, performance, and aesthetic trends. In the automotive market alone, the opportunity for lightweight materials is expected to reach $350 billion in 2025 and composites can play a significant role in that. Similarly, there is an influx of composites opportunities in consumer goods, such as in cell phone cases, purses, luggage bags, umbrellas, walking sticks, tripods, and sporting goods. These opportunities are worth about $200 billion. Dr. Sanjay Mazumdar said that future market will be highly innovative in various industries and composites will be a big enabler to drive innovations in various applications. He emphasized that the same composites used in bulletproof applications might have utility protecting cell phones from breakage. For example, his middle school daughter cracked her cell phone twice in a year because her phone cases were not strong enough, and he’s s certain that she’s not the only one. Every year, roughly 1.5 billion cell phones are sold, and every year, the composites industry misses out on this tremendous opportunity. Not only can phone cases be made shatterproof, but suitcases can also be made tearproof to increase longevity. These are just a few examples of markets that the composites industry can expand into in with significant results. Lucintel is a management consulting and market research firm (www.lucintel. com).

Elysium chair and the zero gravity sensation For those of us who spend hours glued to our seats in front of a computer, getting a comfortable chair can seem a never-ending battle. But one chair designer claims to have created the ultimate design that can make users feel like they are weightless – the only catch is it will set them back £20,000 ($26,000). The designers claim the Elysium uses a combination of electronic joints and bearings that work together to help to create the sensation of floating in zero-gravity as they decline. Made from a carbon fibre skeleton and milled aluminium, the chair can also

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be controlled using hand gestures. The chair was created by David Hugh Ltd, a Cambridge-based design firm which claims it is the most luxurious and technologically advanced chair ever created. Dr David Wicket, a bioengineer who founded the company and invented the pricey piece of furniture, said the technology that controls the movement of the Elysium chair is based on a mathematical model. Users can manipulate it into the ideal position by shifting their weight in the same manner a motorcycle rider might do to change direction. A system of roller bearings provides an almost frictionless movement as it changes position. Dr Wicket claims the movement of the chair can help to improve posture by aligning the joints in the pelvis and spine. He said: “The zero gravity sensation is the result of a variety of things. The body is suspended at a point of frictionless balance giving a sense of perpetual motion.” A lot of the technology is invisible. The skeleton involves ergonomically engineered carbon fibre and aluminium parts bonded together using advanced aerospace adhesives. “The user is connected to the outer frame via only six custom roller bearings that follow a specific path defined by my mathematical model. This is what effectively creates the weightlessness.” The real question, however, is whether all this is worth the hefty price tag.




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