Tekneco #16

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Tekneco Numero 16 | 2014

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Editoriale

Invece di Marco Gisotti

A leggere le cronache di queste ultime settimane, e il pensiero corre da Nord a Sud, dall’Ilva di Taranto al Mose di Venezia, ci si accorge quanto l’ambiente sia considerato l’affare su cui mettere le mani, o per inquinarlo o per modificarlo per speculazione. Né cosa diversa ci raccontano le inchieste di Iacona o della Gabanelli, che spesso diventano anche inchieste della magistratura. A leggere le cronache, dunque, sembra che l’ambiente sia esclusivamente la nuova frontiera di una finanza disumana o di una criminalità che ha trovato nuovi filoni su cui lucrare. Il nuovo Rapporto Ecomafie di Legambiente uscito in giugno ne è la puntuale rassegna. Si dice che noi giornalisti abbiamo una sola regola, quella delle tre “esse”: Sesso, Soldi e Sangue. Per dire che queste sono le uniche tre tipologie di argomenti di cui vale la pena scrivere, gli unici tre interessi di cui i nostri lettori vorrebbero leggere. E, escluso il sesso (per il momento), le ecomafie ne centrano almeno due. Più difficile, meno in voga, raccontare quello che va bene. Gunter Pauli, il guru della blue economy, mi ha fatto notare qualche settimana fa che non esistono bicchieri vuoti. «Vedi – mi ha spiegato –, questo bicchiere è pieno solo per metà di acqua, ma l’altra metà non è affatto vuota. È piena di aria. Ora, noi possiamo resistere anche quattro cinque giorni senza bere, ma senza aria moriamo nell’arco di pochi secondi». Quando allora ci sforziamo di raccontare le buone pratiche, le storie di successo, le novità tecnologiche della green e della blue economy non facciamo altro che riempire di aria quel mezzo bicchiere che pensavamo vuoto. Non facciamo altro che ribaltare quella visione, pur vera e che è necessario continuare a denunciare, secondo la quale l’ambiente è l’ambito in cui solo la criminalità possa far affari. Perché questo passa nelle cronache dei grandi quotidiani come della televisione. Invece: l’intento di questa rivista – e del lavoro di molti di noi che hanno scelto il giornalismo ambientale come professione – è quello di dimostrare che l’ambiente è un affare molto più etico e conveniente se fatto dalla parte giusta. Immaginateci, quando ci leggerete, come la vostra mezz’ora d’aria. Pulita.


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Sommario

Novità assoluta: Hoval UltraGas® caldaia a condensazione in versione scomposta

PRIMO PIANO

Dalle Alpi abbiamo trovato la migliore soluzione contro il maltempo: un riscaldamento eccellente.

I Verdi mestieri per l’edilizia di Sergio Ferraris a pagina 6

Overview 4

Efficienza e sicurezza fra i banchi di scuola di Gianluigi Torchiani

Energia 40 44

News 11 12

La migliore caldaia a condensazione a gas è ora disponibile anche in versione scomposta e saldabile sul posto, per Esecuzione scomposta completa di tutti gli accessori e componenti

Non c’è comune senza “sole” di Sergio Ferraris Londra su due ruote di Gian Maria Brega

Se dieci anni vi sembrano troppi... di Gianluigi Torchiani

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Nucleare senza casa di Sergio Ferraris

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L’efficienza si incontra a Verona di Gianni Parti

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Il marketplace ecologico di Gian Maria Brega

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Un tavolo per disegnare il futuro di Gianni Parti

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Case vecchie, case da ricostruire di Andrea Ballocchi

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L’aereo a energia solare è pronto al giro del Pianeta di Sergio Ferraris

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Tutto incluso, parcheggio compreso di Sergio Ferraris

La casa dei nostri sogni di Sergio Ferraris L’elettricità intelligente di Sergio Ferraris

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La sfida del caldo e del freddo di Sergio Ferraris

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L’ecosistema urbano diventa più furbo di Sergio Ferraris

Hoval S.r.l. Grassobbio (BG), Tel. 035.6661111 www.hoval.it In copertina: Illustrazione di Anna Maria Mangia

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Speciale Smart Energy Expo

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Questo caldo è per tutti di Gianluigi Torchiani

Una bolletta da 48mila miliardi di dollari di Andrea Ballocchi

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La miglior soluzione per centrali termiche con accessi

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Edilizia Bio

Saldatura e montaggio sul posto

Il futuro è della bassa entalpia di Gianluigi Torchiani Il calore spinge dal sottosuolo di Gianluigi Torchiani

Speciale Klimahouse 36

Bolzano chiama Bari di Andrea Ballocchi

Ecologia 56 60

Sulla rotta di un capo “verde” di Veronica Caciagli e Letizia Palmisano Vita nuova per la lana toscana di Veronica Caciagli

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La conceria che non ti aspetti di Veronica Caciagli

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L’occasione fa l’uomo, ma anche la donna, “green” di Letizia Palmisano

Rubriche 1

Editoriale - di Marco Gisotti

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Vedogreen - di Gianni Parti

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Progetti - di Marco Gisotti

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Shop

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Internet & Apps - a cura di V. Caciagli e L. Palmisano

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Libri - a cura di Marco Gisotti

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Aziende citate


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Overview

Le scuole del futuro? Con materiali sostenibili e rinnovabili

300 MILIONI PER RIQUALIFICARE GLI EDIFICI SCOLASTICI

Efficienza e sicurezza fra i banchi di scuola

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Oltre alla riqualificazione del patrimonio scolastico esistente, c’è ovviamente anche la possibilità e la necessità di costruire nuove scuole. A questo proposito lo scorso anno il Ministero dell’Istruzione ha rilasciato delle linee guida molto avanzate, che toccano da vicino anche gli aspetti dell’efficienza e della sostenibilità ambientale. Ad esempio, si legge come i materiali di una moderna scuola devono avere una durata appropriata, essere protetti dalle intemperie o dall’uso se la durata può essere critica, avere una manutenzione facile o almeno possibile, un costo adeguato all’investimento. Secondo il Miur, inoltre, “non devono rilasciare sostanze tossiche, non devono derivare da una filiera produttiva inquinante, devono privilegiare una provenienza locale a favore della sostenibilità e della reperibilità futura, devono consentire assemblaggi e montaggi sostenibili, favorire un comportamento di contenimento energetico dell’edificio responsabile …”. Altro punto importante, visto il numero di ore trascorse tra queste mura da professori e alunni, è la qualità dell’aria. Il ministero fa una cauta apertura ai sistemi di ventilazione naturale “in determinate condizioni climatiche od orografiche”. Decisamente più spinta è, invece, la valorizzazione della luce naturale, delle sorgenti luminose a basso consumo, dei sistemi di controllo della luminosità dei locali e dei sensori di presenza persone. Grande fiducia, infine, nelle rinnovabili che sono ritenute addirittura “fattori positivi e pedagogici”.

di Gianluigi Torchiani

Secondo il Censis 24.000 edifici hanno impianti da sostituire. Molti lavori effettuati in passato sono serviti a poco. Cosa potrà fare il piano del Governo?

hiunque sia entrato di recente in una scuola ha potuto constatare quanto le aule e i corridoi in cui i nostri figli passano buona parte delle loro giornate siano degradati e talvolta persino pericolanti, con sprechi e costi enormi dal punto di vista energetico (in particolare per il riscaldamento) e ambientale. Una sensazione che è confermata dalle cifre ufficiali: una recente indagine del Censis ha messo in luce come, degli oltre 41.000 edifici scolastici statali, in ben 24.000 gli impianti (elettrici, idraulici, termici) non funzionano, sono insufficienti o non sono a norma. Sono 9.000 le strutture con gli intonaci a pezzi, mentre per 7.200 edifici occorrerebbe rifare tetti e coperture. 3.600 sedi, addirittura, necessitano di interventi sulle strutture portanti (tra queste mura pericolanti studiano 580.000 ragazzi) e sono 2.000 le scuole che espongono i loro 342.000 alunni e studenti al rischio amianto. Il problema fondamentale è che i nostri edifici scolastici sono in buona parte vetusti: più del 15% è stato costruito prima del 1945, una percentuale identica tra il 1945 e il 1960, il 44% risale all’epoca 1961-1980, e solo un quarto degli stabili è stato costruito dopo il 1980 (ossia dopo le

prime normative sull’efficienza nell’edilizia). Eppure anche in questi edifici vecchi, secondo una recente ricerca di Rse (Ricerca sul sistema energetico), sarebbe possibile ottenere un risparmio del 35% sui consumi energetici, attraverso alcuni semplici interventi. Ad esempio, attraverso la sostituzione delle lampadine con modelli ad alta efficienza e basso consumo, il ricambio degli infissi e la coibentazione di pareti e solai, oltre al controllo delle temperature di esercizio degli impianti, si potrebbe ottenere un risparmio medio di 13.000 euro annui per istituto, su una bolletta energetica media che oggi si aggira sui 40.000 euro l’anno. Il tema è, insomma, ineludibile, tanto che il Governo, nell’ambito del Decreto Ambiente Protetto dello scorso giugno, ha provato ad affrontarlo, almeno da un punto di vista economico. In particolare, sono stati introdotti finanziamenti a tasso agevolato per un importo complessivo di oltre 300 milioni di euro, attraverso il fondo rotativo “Kyoto”, con l’obiettivo di incrementare l’efficienza energetica degli edifici scolastici e universitari. Ai fondi si applica un tasso di interesse dello 0,25%, dimezzando così il tasso previsto dalla legge per i finanziamenti del

fondo Kyoto che è dello 0,50%. Questi interventi dovranno portare a risultati concreti nel miglioramento del parametro di efficienza energetica dell’immobile di almeno due classi in tre anni. Se questo obiettivo non sarà raggiunto e certificato, il finanziamento sarà revocato. La misura si aggiunge al Decreto (al momento in cui scriviamo soltanto annunciato dal Governo) che per il 2014 e il 2015 escluderà dal Patto di Stabilità le spese per la realizzazione degli interventi di riqualificazione e messa in sicurezza degli edifici scolastici. In questo modo dovrebbe essere possibile attivare questa estate (a partire dal primo luglio) il piano estivo da 7mila interventi di manutenzione straordinaria e ripristino degli impianti nelle scuole, con altri 1.200 interventi che saranno completati nel 2014; altri 11mila dovrebbero essere avviati all’inizio del 2015. Decoro e ripristino funzionale sono le parole d’ordine, quindi innanzitutto si interverrà su tinteggiature, impianti idraulici ed elettrici, la sistemazione di aree verdi, serramenti e vetri rotti. La nuova Anagrafe dell’edilizia scolastica che il Governo sta mettendo a punto dovrebbe, poi, permettere di programmare le risorse previste dal

Fondo sviluppo e coesione 2014-2020. La domanda è, ovviamente, se tutto questo basterà a riqualificare le scuole italiane. Anche perché programmare (ma persino realizzare) iniziative spesso non basta. Secondo le valutazioni dei dirigenti scolastici interpellati dal Censis, che hanno considerato la qualità degli interventi realizzati in più di 10.000 edifici scolastici pubblici negli ultimi tre anni, sono più di un quarto le strutture in cui sono stati effettuati lavori ritenuti scadenti o inadeguati. Come da tradizione italiana, poi, esistono notevoli ritardi nell’attuazione. Dei 500 milioni di euro attivati con le delibere Cipe del 2004 e del 2006 a metà del 2013 ne erano stati utilizzati 143, relativi a 527 interventi sui 1.659 previsti. Per gli stanziamenti successivi, tutti i progetti sono ancora in attuazione o addirittura ancora in fase di istruttoria. Un po’ meglio va, invece, con l’impiego dei fondi strutturali, ma l’indicazione che arriva dalla ricerca Censis è che occorrerà vigilare anche su questi ultimi stanziamenti voluti dal Governo Renzi, per verificare se i soldi saranno spesi bene o meno. LEGGI

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PRIMO PIANO

GREEN JOBS

I Verdi mestieri per l’edilizia La ricerca fatta dall’Associazione Bruno Trentin-IRES-ISF su come siano cambiati i mestieri dell’edilizia rivela che l’innovazione tecnologica ha dato un impulso nuovo alle competenze del settore. Una rivoluzione che riguarda dagli elettricisti ai carpentieri, dai costruttori di tetti agli ispettori dei cantieri

di Sergio Ferraris

era una volta il sindacato. Così verrebbe da dire vedendo alcune pubblicazioni e studi dei decenni passati nei quali si trovavano analisi sul mondo del lavoro e sui processi di produzione che lasciano stupefatti per la profondità d’analisi e, alcune volte, per il fatto che questi studi possiedano ancora oggi una forte carica d’attualità. Una delle cose che più ha colpito chi scrive è quella di aver trovato di recente un documento dell’allora Flm, Federazione Lavoratori Metalmeccanici la sigla che raggruppava Fiom, Fim e Uilm -, datato gennaio 1980, che criticava in maniera netta e decisa la svolta nucleare del Governo italiano, quando il Piano energetico nazionale del 1975 prevedeva ben 20 GWe d’energia atomica entro il 1985, redatto a un solo anno dall’incidente di Harrisburg e con sei anni d’anticipo rispetto all’esplosione di Chernobyl. Scorrendo quelle pagine e confrontandole con quelle più recenti delle cronache sindacali ci si chiede se il sindacato oggi sia ancora in grado di produrre analisi di questo tipo, specialmente in relazione ai grandi cambiamenti introdotti nel mondo delle imprese e del lavoro negli ultimi decenni, in modo particolare sotto la spinta dell’innovazione informatica e delle reti. A prima vista, si direbbe di no, ma in realtà, grattando l’opaca patina mediatica fatta di politica superficiale, alcune volte si fanno scoperte interessanti, come quelle che dimostrano che il sindacato si occupa non solo di retribuzioni, cassa integrazione, pensioni e quant’altro, ma che è ancora in grado di percepire e analizzare le criticità del nuovo. È il caso della ricerca fatta dall’Associazione Bruno Trentin-IRES-ISF su commissione della FILLEA-CGIL (Federazione Italiana Lavoratori Legno, Edili e Affini), coordinata da Serena Rugiero, “Nuovi modelli di abitare e di produrre”, nella quale ci si interroga su come si trasformi il lavoro all’interno delle dinamiche che stanno portando allo sviluppo dell’edilizia sostenibile.


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PRIMO PIANO DOVE SI SPOSTA IL LAVORO

Il caso del legno

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La premessa è che in edilizia siamo di fronte a una trasformazione profonda, un vero e proprio punto di svolta che si regge su due cardini. Il primo è il fatto che ormai l’oggetto stesso dell’edilizia, così come l’abbiamo conosciuta, oggi non esiste più. Le grandi infrastrutture e la nuova edilizia residenziale, infatti, possiedono percentuali di nuovo realizzato sempre più basse, mentre lo sviluppo è legato alle ristrutturazioni e all’efficientamento. E anche nelle nuove edificazioni del settore residenziale la trasformazione è radicale, con cambiamenti che coinvolgono sia le figure professionali, sia il concetto stesso di cantiere, che non è più centrale nella dinamica del lavoro e delle imprese. Per quanto riguarda le figure professionali, nel panorama dell’edilizia si sta verificando un fenomeno inedito per il settore, ossia quello della qualificazione del capitale umano in relazione all’innovazione tecnologica e produttiva. Il perché è presto detto. L’arrivo di tecnologie e pratiche innovative come quelle legate all’efficientamento energetico e alla domotica - e domani alle smart cities - sta profondamente cambiando il “prodotto edilizio” - inteso come edificio - con l’apporto di una serie quasi infinita di innovazioni che devono essere imple-

mentate a livello di singolo edificio, perché comunque il “prodotto” finale in edilizia è, e rimane, qualcosa di “sartoriale” spesso rappresentato da un pezzo unico. In questo quadro, secondo gli autori, i profili professionali rappresentano delle entità dinamiche, in continuo mutamento, che rispecchiano il quadro evolutivo del sistema. In questo scenario, quindi, si pone in essere una relazione d’influenza tra l’agire dell’impresa e il ruolo dell’azione professionale, cosa che mette gli individui al centro della scena del cambiamento. Più nello specifico, l’analisi condotta dai ricercatori ha portato a formulare una serie di suggerimenti per supportare l’azione dei protagonisti nei processi costitutivi del green building. In primo luogo, per le imprese dell’edilizia, caratterizzate negli anni passati da dinamiche estremamente conservatrici, sarà necessario misurarsi con le continue evoluzioni e le previsioni dei propri bisogni professionali, pena il non poter soddisfare le richieste di una clientela sempre più esigente all’interno di uno scenario che sarà caratterizzato da una elevata competizione. Andranno anche ripensati radicalmente la formazione e l’aggiornamento, sia per gli occupati, sia per coloro che si apprestano a essere inseriti nel settore,

indipendentemente dal fatto che vi abbiano già lavorato o meno, poiché sarà necessario un confronto con le nuove mansioni insite nei processi di mutamento tecnologico. Mentre gli attori della formazione dovranno fornire non solo know how specifico, ma anche conoscenze atte a favorire lo sviluppo dell’occupabilità e dell’adattabilità degli addetti, al fine anche di aumentare la competitività delle imprese. Trovare in una ricerca prodotta dal sindacato l’attenzione alla competitività delle aziende non è cosa da poco e dovrebbe far riflettere. Nello specifico, secondo un rapporto del “Center for American Progress”, le professioni dell’edilizia maggiormente coinvolte nello sviluppo dell’economia sostenibile sono: elettricisti, installatori di impianti di climatizzazione, carpentieri, addetti al movimento terra, costruttori di tetti, addetti all’isolamento, dirigenti, ispettori. Ma ciò che caratterizza queste figure, per così dire “mutate”, è in realtà l’alto grado d’intersettorialità che dovranno acquisire, o mantenere, per reggere la sfida. Secondo il “National center for O*Net Development” degli Stati Uniti, sono ben ventinove le figure professionali che dovranno essere caratterizzate da una forte intersettorialità, specialmente con l’industria manifatturiera.

Uno dei casi di trasformazione più evidente del settore edile, nel quale si tocca con mano il cambiamento, è quello dell’edilizia sostenibile in legno. Poco diffusa nel nostro Paese, l’edilizia in legno sta conoscendo grande sviluppo sia per il suo utilizzo in realizzazioni architettoniche particolari, sia per la costruzione di interi edifici in legno. In entrambi i casi è presente un alto tasso d’innovazione, anche se sembrerebbe il contrario, visto che il legno è un materiale associato, nell’immaginario collettivo, all’antichità. Le grandi luci di edifici collettivi, come palestre, auditorium, teatri e così via, sono sempre più realizzate utilizzando legno lamellare dalle caratteristiche tecniche innovative, così come gli edifici. Si è arrivati a realizzarne alcuni in Italia di otto piani sempre più prefabbricati. Il fatto di realizzare parti importanti degli edifici in legno al di fuori del cantiere ha ridotto la “centralità” dello stesso, spostando una buona parte del lavoro in fabbrica, dove si progettano e si costruiscono - utilizzando macchine a controllo numerico - sezioni importanti degli edifici, i cui limiti dimensionali sono circoscritti dalla logistica del trasporto, come mezzi e strutture viarie. Si riduce, quindi, l’importanza del cantiere come luogo di realizzazione dei manufatti e di parziale elaborazione concettuale dell’edificio, ma non solo. Con il legno si riducono i tempi di cantiere poiché, una volta terminato l’assemblaggio di una sezione, o un piano dell’edificio, si può immediatamente proseguire con l’installazione dell’impiantistica, violando quello che fino a poco tempo fa era un dogma: evitare le fasi di sovrapposizione di cantiere. Dal punto di vista dell’occupazione la trasformazione è chiara. Si aumentano gli addetti specializzati nella progettazione e nella realizzazione in fabbrica e diminuiscono le ore di lavoro/uomo più dequalificate di cantiere.

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PRIMO PIANO

News

Il perché è presto detto. Nell’edilizia saranno sempre più presenti sistemi complessi che arriveranno già semifiniti in cantiere e che necessiteranno di montaggi e realizzazioni ad hoc. I sistemi a energie rinnovabili sono uno degli esempi più chiari di ciò. Nel fotovoltaico, per esempio, si coinvolgono gli addetti ai tetti, mentre gli elettricisti devono fare i conti con gli agenti atmosferici e le alte temperature, due elementi che non hanno mai riguardato gli impianti elettrici tradizionali, visto che sono all’interno dell’edificio. Stesso discorso per il solare termico, mentre è ancora più pressante l’aspetto tecnico per i serramentisti che sono, per la prima volta nella loro storia, tenuti a garantire la tenuta sia all’aria, sia energetica, non solo dei serramenti, ma anche della loro posa in opera. Un capitolo molto interessante e inedito della ricerca è quello relativo ai rischi per le salute e la sicurezza nell’edilizia sostenibile. Anche perché non è detto che un green job sia anche un good job e bene fa il sindacato a interrogarsi su ciò. Le ricerche sulla questione non sono ancora approfondite e

risultano essere di carattere generale, ma alcune questioni da affrontare sono già emerse. La prefabbricazione, per esempio, farà diminuire il rischio nei cantieri, ma saranno tutte da affrontare le nuove problematiche interne alle fabbriche, mentre sarà necessario verificare attentamente i potenziali rischi relativi alle nuove sostanze - non bisogna dimenticare il fatto che l’amianto è, dopotutto, un materiale naturale - e alle combinazioni tra le stesse. L’utilizzo maggiore di macchinari e dell’automazione spinta, sia in fabbrica, sia in cantiere, offrirà nuove opportunità, ma anche nuovi rischi. Molto importanti sono le tematiche legate alle ristrutturazioni dei vecchi edifici, che rappresenteranno sempre più una fetta di mercato più ampia. Gli interventi di questo tipo, infatti, saranno caratterizzati da un alto rischio d’infortuni, visto lo stato di molti edifici, e di un altrettanto alto grado di rischio sul fronte della salute dei lavoratori in quanto spesso, in queste tipologie edilizie, sono stati impiegati materiali dannosi come l’amianto che necessitano di bonifiche specifiche e devono es-

sere affrontate in un quadro stringente di competenze e legalità. Altra questione importante legata alla bioedilizia è quella del ciclo, o riciclo, dei prodotti edilizi, una delle caratteristiche peculiari della sostenibilità in edilizia, che comporta, di fatto, la creazione di una nuova filiera, con tutte le incognite e i rischi potenziali del caso. Un esempio è quello dell’utilizzo, sempre più massiccio, delle nanotecnologie in edilizia, specialmente quella sostenibile. La conoscenza dei rischi legati a queste sostanze da parte dei lavoratori è molto bassa. Se il 54% dei cittadini europei non conosce il significato della parola, ben il 75% dei lavoratori e degli imprenditori, secondo uno studio dell’EU-OSHA, non è nemmeno consapevole di lavorare con nanomateriali. Circa le considerazioni da fare per avviare una seria riflessione sulle condizioni di lavoro, la ricerca consiglia d’inserire il dibattito e i contenuti sulla salute di lavoratori e cittadini nello scenario della green economy, promuovere la prevenzione attraverso un sistema continuo e partecipato e considerare la prevenzione lungo tutte le fasi delle nuove filiere. Non meno importante l’aspetto formativo, che deve contenere tutte le tematiche su salute e sicurezza, nonché il rafforzamento della ricerca sui nuovi processi. Infine, per il sindacato è necessario considerare la salute di lavoratori e cittadini all’interno dei sistemi di certificazione, anche favorendo l’integrazione tra le diverse certificazioni. Nessuna chiusura al nuovo, quindi, ma molta attenzione ai nuovi processi della bioedilizia, oltretutto senza chiusure anti-industriali che spesso si trovano ancora nel dibattito italiano. Il sindacato, quindi, si pone il problema dell’innovazione, dando un’immagine che contrasta con quella classica che vede le organizzazioni sindacali “guidare” il mondo del lavoro guardando solo nello specchietto retrovisore.

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ENERGIA

Non c’è comune senza “sole” di Sergio Ferraris

La crisi economica e i problemi energetici italiani devono trovare risposta proprio attraverso un modello di generazione distribuito, efficiente e da fonti rinnovabili

el 100% dei comuni italiani sono installati nel proprio territorio impianti alimentati da fonti rinnovabili. Questo è il principale dato emerso dal Rapporto “Comuni Rinnovabili 2014” di Legambiente, realizzato con il contributo del Gse, che è stato recentemente presentato a Milano. «I risultati raggiunti dalle rinnovabili nel nostro Paese in termini di produzione e distribuzione nel territorio erano semplicemente inimmaginabili solo dieci anni fa - afferma Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente - e dimostrano come gli impianti siano affidabili e competitivi. Ora, però, non dobbiamo fermarci, perché la crisi economica e i problemi energetici italiani devono trovare risposta proprio attraverso un modello di generazione distribuito, efficiente e da fonti rinnovabili». Gli oltre 700mila impianti a fonti rinnovabili presenti in ogni parte del Bel Paese nel 2013 hanno prodotto 104 TWh, garantendo il 32,9 % dei consumi elettrici e il 15% di quelli complessivi. Il trend di perva-

sività della generazione distribuita è alto, se si pensa che nel 2006 i comuni con impianti a fonti rinnovabili erano solo 356. La prova di ciò la si trova nel fatto che ben 2.629 comuni sono autonomi sul fronte della generazione elettrica, mentre in 79 l’autonomia energetica delle famiglie è anche sul fronte termico. Per quanto riguarda i premi, quello “Comuni Rinnovabili 2014” è stato assegnato a un gruppo di otto comuni, con oltre 10mila abitanti, delle Valli di Primiero e Vanoi, in Provincia di Trento, di cui fanno parte Canal di San Bovo, Fiera di Primiero, Imèr, Mezzano, Sagron Mis, Siror, Tonadico e Transacqua, nei quali, con un mix di cinque tecnologie diverse, si soddisfa l’intero fabbisogno termico ed elettrico del territorio. Il premio “Buona Pratica” è stato assegnato sia alla comunità del Parco Eolico di Rivoli Veronese (Verona) per un impianto eolico sul Monte Mesa, in un’area Sic tutelata per l’habitat di prati aridi e orchidee, composto da quattro aerogeneratori da 2 MWe ciascuno, sia al

comune di Albino (Bergamo), che con un investimento di 1,6 milioni di euro ha installato 552 kW di pannelli solari fotovoltaici. I comuni del solare in Italia sono 8.054, erano 7.937 lo scorso anno, e sono Casaletto di Sopra (Cremona) e Seneghe (Oristano) quelli che hanno il record di impianti per abitante, rispettivamente per il fotovoltaico e per il solare termico. Quelli dell’eolico sono 628 per una potenza installata di 8.650 MWe, cresciuta di 450 MWe in un anno. I comuni del mini idroelettrico sono 1.123, per una potenza di 1.323 MWe, mentre quelli della geotermia sono 372, per 814 MWe, 257th e 3,4 frigoriferi. Quelli delle bioenergie sono 1.529, per 2.924 MWe, 1.307 MWth e 415 kW frigoriferi. Sono, infine, 317 i comuni in cui gli impianti di teleriscaldamento utilizzano fonti rinnovabili, soddisfacendo in larga parte il fabbisogno di riscaldamento e di acqua calda sanitaria. LEGGI

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PISTE CICLABILI

FONTI FOSSILI

Londra su due ruote

Una bolletta da 48mila milardi di dollari

di Gian Maria Brega

di Andrea Ballocchi

Una specie di “rampicante” tecnologico in grado di ridare ossigeno e vitalità ad una metropoli ormai asfittica con un progetto di piste sopraelevate

La IEA ha fatto i conti in tasca agli investimenti necessari da oggi al 2035 per sostenere le fonti fossili

na mega-pista ciclabile sospesa sui cieli di Londra: è questo il sogno di Norman Foster, archistar britannica che ha recentemente presentato il progetto Skycicle. Foster, che si dichiara appassionato ciclista, definisce l’iniziativa “un approccio laterale per trovare spazio in una città congestionata”. Skycicle promette di rivoluzionare e migliorare la vita di milioni di pendolari che ogni giorno faticano a raggiungere il proprio posto di lavoro. “Usando i corridoi sopra le ferrovie suburbane – dice al Guardian – potremmo creare piste ciclabili che sarebbero in posizione ideale per i pendolari”. Il progetto presenta tre livelli e sarebbe costituito da 10 piste ciclabili che collegherebbero i vari quartieri di Londra. L’accesso alla mega-pista sarebbe garantito attraverso ben duecento punti di ingresso, con rotte di 15 metri. Verrebbero costruite delle piattaforme verticali accanto alle stazioni ferroviarie già presenti. La prima tratta in programma (Liverpool Street – East London) sarebbe di sei kilometri. E costituirebbe anche il “test” per verificare al meglio la fattibilità dell’avveniristico progetto. Costo? Circa 220 milioni di sterline. L’intera rete di tratte ciclabili sopraelevate misurerebbe circa 210 kilome-

tri e – una volta ultimata e in funzione – ospiterebbe ben 12 mila ciclisti l’ora, riducendo drasticamente i tempi di percorrenza tra periferia e centro nella capitale inglese e abbattendo altresì l’inquinamento da smog. La rete ciclabile avrebbe anche un impatto ridotto in termini di presenza e immagine, essendo costituita di strutture tubolari in vetro che andrebbero a sfiorare i tetti di edifici e vecchie linee ferroviarie. Una specie di “rampicante” tecnologico in grado di ridare ossigeno e vitalità ad una metropoli ormai asfittica. La struttura potrebbe anche generare energia “green”, attraverso l’impianto di pannelli solari o la raccolta di acqua piovana. Se approvato, Skycicle impiegherebbe 20 anni per essere ultimato. Sam Martin di “Exterior Architecture”, tra le aziende coinvolte nella costruzione dell’impianto, auspica l’esportazione del modello anche su

altre città europee: “Se il tasso di crescita di Londra resterà immutato, tra vent’anni sarà improbabile viverci e la città si trasformerà in un ghetto di persone in giacca e cravatta. Lavoriamo per proporre un altro modo di accedere al centro della City”. Lo stesso Martin già vede il progetto a Parigi, sopra la Gare du Nord. L’idea iniziale è nata quasi per gioco da uno dei dipendenti della Exterior Architecture, Oli Clarke, che ha immaginato “ciclisti rampanti” sopra la stazione di Battersea. Mostrata all’assessore ai trasporti, l’idea è stata immediatamente apprezzata. Per Londra e in particolare per il sindaco Boris Johnson non si tratta della prima esperienza avveniristica, basti pensare alla torre Orbit di Anish Kapoor… LEGGI

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l mondo ha un crescente bisogno di energia, in modo particolare per soddisfare il crescente fabbisogno dei Paesi emergenti, ma anche per migliorare e decarbonizzare la generazione dell’Occidente. Ma quanto costa questa corsa all’allaccio? Secondo le stime della Iea, l’International Energy Agency, per saziare la fame energetica del mondo sono necessari investimenti spropositati, pari a oltre 48 mila miliardi di dollari da oggi fino al 2035. In buona sostanza, nelle prossime due decadi, gli investimenti per soddisfare la domanda di energia primaria saliranno dai correnti 1.600 miliardi l’anno a 2 mila miliardi. L’aspetto meno esaltante è che, come da previsioni, le fonti fossili continueranno ad assorbire buona parte dei volumi di spesa. Infatti, della tranche di circa 40 mila miliardi destinati all’approvvigionamento della materia prima e alla generazione/trasmissione di energia elettrica, oltre la metà degli investimenti saranno assorbiti da petrolio, gas e carbone. Altri 23 mila miliardi di dollari saranno necessari per sostenere le attività di estrazione, trasporto e raffinazione e saranno così ripartiti: 13.600 miliardi di dollari per petrolio, circa 9 mila miliardi per gas e 1.000 miliardi per carbone. Il rapporto, in particolare, sottolinea lo sforzo richiesto per incrementare la capillarità della rete di rigassificatori. Come spiega Assoelettrica, di fatto, questo sforzo finanziario è indispensabile per mantenere i correnti livelli di produzione energetica in una prospettiva

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di produttività declinante dei giacimenti. In poche parole, il Pianeta sta raschiando il fondo del barile e lo sta facendo a caro prezzo. Ulteriori 2.600 miliardi di dollari serviranno per il rinnovo del parco di impianti convenzionali. Molti meno fondi, invece, saranno destinati agli investimenti per la generazione di energia elettrica a bassa emissione di carbonio, con circa 6 mila miliardi di dollari per le rinnovabili. Altri 1.000 miliardi di dollari saranno destinati, invece, al nucleare. Investimenti di pari entità saranno dedicati all’ammodernamento della capacità di trasmissione e distribuzione. Un aspetto positivo risiede nell’accelerazione della spesa per l’efficienza energetica, che passerà dai 130 miliardi di dollari annui attuali agli oltre 550 miliardi di dollari del 2035. Tuttavia questi valori sono ritenuti insufficienti per contenere la stabilizzazione del surriscaldamento globale entro i 2 gradi centigradi. Secondo la Iea, invece degli stimati 8 mila miliardi complessivi, gli investimenti in efficienza dovrebbero arrivare a 14 mila miliardi di dollari per ottenere al 2035 una contrazione della domanda di energia primaria del 15% rispetto alle proiezioni. Dunque lo scenario ritenuto più probabile è quello definito “New Policies”, non certo confortante, perché ci condurrebbe verso un aumento di temperatura di 3,6 °C rispetto ai livelli preindustriali. LEGGI

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LA FINE DELLE SCORIE

LOGISTICA INTELLIGENTE

Nucleare senza casa

Il marketplace ecologico

di Sergio Ferraris

L’ISPRA ha pubblicato la guida tecnica con i 15 criteri per gestire le scorie radioattive

l problema è di quelli che scottano nel vero e proprio senso della parola: che fine far fare all’eredità del nostro nucleare e alle scorie radioattive prodotte ogni anno dagli usi non energetici, come quelli medicali, dell’atomo? Il problema, del quale si discute da decenni, non è più procrastinabile, anche perché i depositi provvisori sparsi per il Bel Paese nei quali ci sono 90mila metri cubi di rifiuti radioattivi da smaltire, distribuiti in ben 23 siti, versano in condizioni sempre più precarie. In questo quadro si è fatto il primo passo avanti. È arrivata, finalmente, la Guida tecnica, realizzata dall’Ispra, che contiene i quindici criteri d’esclusione delle aree su cui potrà essere costruito il deposito all’interno di un Parco tecnologico, nella quale si afferma che l’opera non si potrà realizzare in aree vulcaniche attive o quiescenti, nelle località che si trovano a quote superiori ai 700 metri sul livello del mare o ad una distanza inferiore a cinque chilometri dalla costa. Sono escluse, inoltre, le aree a sismicità elevata, a rischio frane o inondazioni e le fasce fluviali, dove c’è una pendenza maggiore del 10%, escluse anche le aree naturali protette, che non siano ad adeguata distanza dai centri abitati, quelle a distanza inferiore di un chilometro da autostrade e strade extraurbane principali e ferrovie. Oltre a questi criteri che consentono le aree potenzialmente idonee. se ne aggiungono altri tredici per un’identificazione ancora più stringente rispetto alle raccomandazioni degli organismi internazionali. «I dati tecnici - spiegano dall’Ispra - contribuiscono a definire la documentazione da allegare all’istanza per il rilascio dell’autorizzazione alla realizzazione del deposito, così come previsto dalla Direttiva europea

di Gian Maria Brega

2011/70 Euratom, recepita recentemente dall’Italia. Nel documento sono riportati i requisiti fondamentali e gli elementi di valutazione che devono essere tenuti in conto da parte della Sogin, (la società di Stato che si occupa della gestione dei rifiuti radioattivi. n.d.r.), nel processo di localizzazione del deposito nazionale, dalla definizione della proposta di Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee sino all’individuazione del sito idoneo». Oggi, anche con questo documento, si punta alla massima trasparenza nei confronti delle popolazioni, per evitare il ripetersi del caos di Scanzano Jonico, che fu indicato come sito per il deposito nel 2003 dal Governo Berlusconi per fare poi marcia indietro sotto la spinta della protesta. E i tempi di realizzazione del deposito nazionale sono comunque stretti. Oltre alle precarie condizioni dei siti di stoccaggio provvisori, infatti, tra il 2019 e il 2025 è previsto il rientro delle scorie radioattive che sono state inviate a Sellafield in Inghilterra e a La Hague in Francia, dove il materiale è trattato per prepararlo allo stoccaggio definitivo. L’Inghilterra potrebbe procrastinare i tempi, in cambio di salate penali, ma non la Francia, poiché la legge francese prevede che le scorie radioattive estere possano sostare sul territorio solo per il tempo strettamente necessario al trattamento di vetrificazione.

Un’innovativa piattaforma virtuale che mette in contatto chi ha l’esigenza di spedire articoli ingombranti con autotrasportatori, corrieri e aziende di traslochi

econdo statistiche della Commissione europea, sulle nostre strade il 25% dei camion viaggia completamente scarico e oltre il 50% dei mezzi in circolazione ha ancora spazio disponibile per altra merce: si tratta, molto spesso, di veicoli che, dopo aver consegnato della merce, effettuano il viaggio di ritorno a vuoto. Promuovendo l’incontro tra domanda e offerta, Spedingo consente di recuperare tale capacità di carico inutilizzata, generando vantaggi per l’autotrasportatore, che realizza in tal modo dei guadagni extra, per il cliente, che può beneficiare di sconti significativi sul prezzo della spedizione e per l’ambiente, grazie alla riduzione delle relative emissioni di CO2. Spedingo.com è un’innovativa piattaforma virtuale che mette in contatto chi ha l’esigenza di spedire articoli ingombranti con autotrasportatori, corrieri e aziende di traslochi. Si tratta di un marketplace totalmente nuovo in Italia che consente a privati ed aziende di risparmiare fino al 70% sulla spedizione di pacchi, arredamenti, auto, moto, merci su pallet ed in generale qualsiasi altro oggetto, macchinario o veicolo ingombrante. Chi necessita del servizio può pubblicare, gratuitamente, la propria richiesta e ricevere così dei preventivi, senza impegno, da aziende di trasporto che hanno ancora spazio disponibile all’interno dei propri mezzi: loro realizzano guadagni extra e l’utente risparmia sul costo del trasporto. Ogni trasportatore, proprio come su eBay, ha un rating con le varie recensioni degli utenti che così hanno modo di confrontare i preventivi ricevuti e il livello di servizio offerto. Tutti i trasportatori devono essere comunque in regola con le normative vigenti: Spedingo.com offre un ulteriore livello di “controllo” segnalando i “vettori verificati”. «Siamo felici – afferma Marco Tamanti, cofondatore del progetto insieme a Marco Tontini – dei risultati conseguiti nei primi 18 mesi di attività (settembre 2012-marzo 2014): abbiamo avuto 300 mila visitatori unici al portale; 400 aziende di trasporto iscritte; 55 mila offerte di spedizione transitate sul portale; 400 mila Kg di CO2 risparmiati grazie al matching tra domanda e offerta di Spedingo (evitati 3.000 “trasporti dedicati” per un totale di 2 milioni e 100 mila chilometri “non-percorsi” ad hoc)».

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EDILIZIA: L’ASSEMBLEA DELL’ANDIL

Case vecchie, case da ricostruire

La svalutazione del mattone

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di Andrea Ballocchi

Agli aspetti legati alla dispersione energetica va aggiunta la svalutazione nel tempo del patrimonio immobiliare: secondo i dati Istat, a fine 2013 il prezzo delle abitazioni esistenti ha registrato un – 12,02% rispetto al 2010. Una brutta notizia per le famiglie italiane, dato che il patrimonio immobiliare residenziale rappresenta il loro maggiore investimento: non farà certo loro piacere sapere che la propria abitazione stia costantemente perdendo valore, a una media del 4% l’anno. Un problema grosso e ampio se si considera che in Italia le famiglie proprietarie raggiungono il 68,7% della popolazione complessiva (dati BCE), ben superiore rispetto alla media europea (60,1%).

L’Associazione nazionale degli industriali dei laterizi lancia una proposta per rivalutare il patrimonio immobiliare, per il 55% costruito più di 40 anni fa

uarant’anni e non sentirli. Beh, non è sempre vero: basti pensare a più della metà delle case degli italiani. Infatti, il 55% dei 7 milioni di edifici del nostro Paese risale agli anni Settanta del secolo scorso. Ciò comporta degli “effetti collaterali”, il primo e più evidente, guardando alla bolletta, è la dispersione energetica, dato che case così datate consumano mediamente il triplo rispetto alle nuove costruzioni efficienti. «In Italia, a differenza di Paesi come Germania e Regno Unito, non si costruisce in quantità sufficiente per rispondere ai bisogni di ammodernamento dell’edilizia residenziale e pubblica». Ad affermarlo è Heimo Scheuch, Presidente della Tiles and Bricks of Europe (Tbe), la federazione europea dei laterizi, durante l’assemblea generale congiunta di Andil, l’Associazione nazionale degli industriali dei laterizi e Tbe. Sempre dall’assemblea congiunta Andil-Tbe (intitolata “L’Europa da costruire”) è emersa la necessità di

far acquisire nuovo valore al patrimonio residenziale attraverso un piano di riqualificazione, incoraggiato e sostenuto dallo Stato. Per parte sua, l’industria dei laterizi è pronta con nuovi materiali e soluzioni costruttive mirati a una maggiore sicurezza, a una più lunga durabilità e a una migliore efficienza energetica. Ma urgono rimedi. Il presidente Luigi Di Carlantonio ha detto, a voce dell’intera Andil, cosa si rende necessario per «dare nuovo valore al nostro patrimonio immobiliare, la maggiore ricchezza degli italiani e dell’Italia, ma anche di numerosi altri Paesi europei, Slovacchia, Spagna e Slovenia, in primis. La soluzione che proponiamo è “ricostruire l’esistente”. Si tratta di riqualificare quanto esiste, se necessario abbattendo per ricostruire ex novo, all’insegna della sostenibilità e della sicurezza, ovvero, della durabilità dei sistemi edilizi e delle loro prestazioni, in particolare sia quelle “antisismiche” che di maggiore efficienza energetica.

In questo modo, oltre a dare nuovo valore agli immobili, si avrebbero ricadute positive per l’ambiente, sottraendolo al degrado e non consumando ulteriormente il territorio. La diffusione di questa pratica riattiverebbe, inoltre, l’industria delle costruzioni, traino per l’intera economia. A sostegno di un piano sicuramente ambizioso, ma ormai ineludibile, sono necessari investimenti pubblici e politiche che stimolino la responsabilità di ogni proprietario». È concorde con lui Scheuch, affermando che «nel progetto più ampio di “ricostruire l’esistente” è importante che il Governo italiano, così come quelli degli altri Paesi dell’Unione, si concentri anche su un rilevante intervento a supporto di un vasto piano di edilizia sociale, per sostenere le categorie meno abbienti e dare, così, nuova spinta alla ripresa economica generale. Ogni euro pubblico investito nell’edilizia, infatti, genera un immediato effetto leva, stimolando ulteriori investimenti, pubblici e privati, per più di 60 cen-

tesimi, con conseguente rilevante incremento dell’occupazione». Per passare dalle parole ai fatti, rimarca ancora Di Carlantonio, servono misure propedeutiche per la riuscita del piano “ricostruire l’esistente”: le detrazioni fiscali e la diminuzione delle imposte sulla casa, la semplificazione burocratica, lo sblocco dei pagamenti e le facilitazioni per l’accesso al credito e per l’acquisto della prima casa. Da qui la richiesta di un’azione che parta dal Governo, che pure - sottolinea il vertice Andil - «ha iniziato a far bene, ad esempio, attraverso le iniziative a sostegno dell’edilizia scolastica. Adesso è necessario che continui su questa strada, sostenendo anche fiscalmente i processi di riqualificazione urbana e favorendo, quindi, la “rottamazione dei vecchi fabbricati”. Nel frattempo, bisogna ridimensionare le imposte sulla casa, che gravano come un macigno sul mercato immobiliare. È altrettanto rilevante, inoltre, semplificare la burocrazia e facili-

tare l’accesso al credito per aziende e imprese. In aggiunta a questi interventi è indispensabile istituire un fondo di garanzie per l’acquisto della prima casa, a vantaggio delle fasce deboli della popolazione». Anche Innocenzo Cipolletta, Presidente del Fondo Italiano d’Investimento e di AIFI, intervenuto all’assemblea Andil/Tbe, ha sostenuto l’importanza del piano di riqualificazione e ricostruzione dell’esistente, evidenziando, in particolare, il ruolo cruciale dello Stato: «In generale, è auspicabile che lo Stato, con apposite leggi, stimoli i proprietari a sentirsi responsabili del mantenimento e ammodernamento dei loro beni, attraverso interventi focalizzati all’incremento della sicurezza, a una sempre maggiore efficienza energetica e anche al miglioramento estetico». Diversi i benefici previsti, a suo dire: la riqualificazione delle città e una continuità di domanda per il settore edilizio. A guadagnarci sarebbe anche lo Stato, grazie all’IVA raccolta su queste attività.

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TRASPORTI SOSTENIBILI

CAR SHARING

L’aereo a energia solare è pronto al giro del Pianeta

Tutto incluso, parcheggio compreso

di Sergio Ferraris

l trasporto aereo è un’attività indispensabile alla circolazione delle merci e delle persone, ma fortemente inquinante. Ma volare senza utilizzare combustibili fossili è possibile: lo dimostra il successo di Solar Impulse 2, un aereo svizzero a propulsione elettrica e alimentato a energia solare che all’inizio di giugno ha completato il suo primo volo inaugurale, un test durato due ore e 17 minuti che ha portato il velivolo a raggiungere la quota di 5.500 piedi (1.670 metri). Ma non si

Il successo del Solar Impulse 2 dimostra come si può volare senza combustibili fossili tratta che dell’antipasto: Solar Impulse 2 è, infatti, stato concepito per essere il primo velivolo elettrico a compiere il giro del mondo, anche con una decina di tappe e una durata di 5 mesi (da marzo a luglio del 2015). Il Solar Impulse 2 sembra attrezzato per questa sfida. Ha un peso di 2.300 kg, di cui 633 derivanti dalle batterie al litio con una capacità di 165 kWh necessarie a immagazzinare l’energia generata dalle oltre 17.000 celle solari ultrasottili che ricoprono la parte superiore delle enormi ali dell’ae-

reo lunghe 72 metri, 4 metri più lunghe di quelle di un Boeing 747. I quattro motori elettrici di cui l’aereo è dotato hanno una potenza di 13 kW l’uno. Le batterie hanno elettroliti innovativi e permettono di raggiungere una densità di energia di 260 Wh/kg. Per affrontare la trasvolata intercontinentale saranno necessarie, nei prossimi mesi, ancora diverse ore di collaudo, ma l’aereo ha tutte le carte in regola per superare gli 8 record mondiali stabiliti negli scorsi anni dal predecessore Solar Impulse (record di permanenza in volo, record di altitudine raggiunta, percorrenza, ecc.). Anche perché dietro il progetto del Solar Impulse, avviato dagli elvetici Bertrand Piccard e André Borschber, ci sono nomi importanti del settore elettrico e dell’automazione, tra cui Schindler, ABB e Solvay. L’obiettivo di queste aziende, oltre all’aspetto di marketing, è anche di avere ricadute positive su altri settori importanti correlati al volo elettrico, tra cui lo storage, la potenza dei pannelli fotovoltaici, ecc. LEGGI

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RINNOVABILI

Tutto da rifare sugli oneri di sbilanciamento

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Gli operatori delle rinnovabili, in particolare quelli dell’eolico, a inizio giugno hanno messo a segno una vittoria importante. Il Consiglio di Stato, respingendo gli appelli dell’Autorità per l’energia, ha annullato definitivamente le delibere nn. 281 e 493 del 2012 in materia di sbilanciamenti. L’Aeeg, all’inizio del 2013, aveva infatti stabilito che i produttori di elettricità da fonti rinnovabili dovessero pagare i cosiddetti “oneri di sbilanciamento”, ossia i costi che il gestore della rete deve sostenere per sanare le differenze tra il programma di immissione e la produzione oraria effettiva di un impianto. Una scelta che non era mai andata giù agli operatori del settore, che hanno sempre sostenuto la tesi della non programmabilità delle fonti intermittenti. La sentenza definitiva ha dato loro ragione, stabilendo che gli oneri di sbilanciamento, così come concepiti dall’Aeeg, sono da annullare in quanto ritenuti discriminatori per gli impianti alimentati da fonti rinnovabili non programmabili. Ora l’Authority è chiamata a un nuovo intervento in materia.

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di Sergio Ferraris

Il boom del settore. Si tratta di un fenomeno che la dice lunga sul potenziale inespresso delle nuove forme di mobilità nelle nostre città

bastato far diventare “liquido” il car sharing per farlo uscire da una nicchia nella quale era relegato da anni. Semplicemente è cambiato il metodo di fruizione: le auto non sono più utilizzabili da e per un parcheggio predefinito, ma sono disperse per la città e si possono trovare tramite un’App o su internet. Ciò è stato sufficiente per fare esplodere il fenomeno a Milano, Roma e Firenze: ora si può trovare un’auto nei pressi del proprio punto di partenza e lasciarla all’arrivo, magari passando per una zona a traffico limitato, a una tariffa oraria tutto incluso, parcheggio compreso. Una semplificazione nelle modalità d’utilizzo che ha favorito un vero boom al servizio: sono 90mila gli iscritti a Milano, mentre a Roma in due mesi si è arrivati a 35mila, numeri che hanno sorpreso gli operatori i quali erano sì ottimisti, ma non fino a questo punto. Il primo operatore sbarcato nella Capitale, Car2Go, registra oltre 10mila noleggi a settimana, con le sue 500 Smart sparse in un’area “limitata” di 100 chilometri quadrati, mentre a Milano ha registrato incassi dieci volte più alti rispetto al fatturato previsto. Si tratta di un fenomeno che la dice lunga sul potenziale inespresso delle nuove forme di mobilità nelle nostre città, con i cittadini schiacciati nella tenaglia di un servizio di trasporto pubblico spesso inefficiente e distratto rispetto alle esigenze dei cittadini e una congestione sempre più crescente del trasporto privato. A Milano, oltre

Car2Go, sono presenti Enjoy, che utilizza le Cinquecento Fiat e consente, quindi, di viaggiare in cinque, ed è recentemente sbarcato nella città meneghina Twist, che utilizza le Volkswagen Up. Con più operatori, ovviamente, è guerra sulle tariffe: Car2Go ha un costo di 29 centesimi di euro al minuto, Enjoy di 25 centesimi e Twist, in posizione intermedia, di 27 centesimi. Si tratta, in linea di massima, di una differenza di circa 2,5 euro l’ora tra la tariffa minima e quella massima, ragione per la quale, probabilmente, la vera differenza la si vedrà sulla qualità del servizio e sulla reperibilità delle vetture. A questo proposito la novità per chi viaggia è quella di poter accedere al servizio in un’altra città con la propria tessera, caricando la tariffa sul proprio conto, senza nessuna complicazione burocratica o amministrativa. Effettuando l’upgrade dell’account Car2Go alla piattaforma

Moovel, diventa possibile noleggiare un’autovettura del servizio in tutte le città d’Europa, sono 13 con un totale di 5.500 Smart, con un’unica App dal proprio smartphone. In un prossimo futuro tramite Moovel sarà possibile accedere a una serie di servizi, come prenotare un taxi, una bici in modalità bike sharing, organizzare un carpooling, oppure approfittare dei servizi offerti dalle aziende di trasporto pubblico locale. Significativo il fatto che sia Car2Go, sia Moovel siano due iniziative della Daimler, uno dei più grandi costruttori d’auto al mondo, che forse ha capito che l’era dell’auto di proprietà nelle grandi città volge al termine e che il vero business del futuro è quello dei servizi evoluti legati alla mobilità. LEGGI

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1,7mld

la capitalizzazione di mercato dell’indice green

Il giorno degli investitori di Gianni Parti

L’innovazione tecnologica come filo conduttore del mondo della finanza verde al “Green Investor Day” tenutosi all’ultimo Solar Expo

a III edizione del Green Investor Day tenutasi giovedì 8 maggio e dedicata all’incontro tra industria verde e finanza si è rivelata un grande successo, con la partecipazione di oltre 300 persone tra investitori istituzionali, aziende e istituzioni. Per il secondo anno consecutivo VedoGreen, la società del Gruppo IR TOP specializzata nella finanza per le aziende green, ha organizzato la manifestazione all’interno di “The Innovation Cloud – Solarexpo”, la fiera internazionale dedicata alle energie rinnovabili, tecnologie per smart cities, mobilità elettrica e ibrida ed efficienza energetica, tenutasi a Fiera Milano Rho dal 7 al 9 maggio. L’evento è stato realizzato in collaborazione con Websim e con il supporto di Borsa Italiana e AIFI. Main sponsor è stato IDEA Capital Funds (Gruppo DeAgostini). Il filo conduttore del Green Investor Day di quest’anno è stato l’innovazione tecnologica, tema affrontato nel corso delle 2 tavole rotonde che si sono susseguite nella giornata. Anna Lambiase, Amministratore Delegato di VedoGreen, ha ricordato che l’obiettivo del Green Investor Day coincide con la mission

di VedoGreen, ossia “permettere a società di eccellenza nei rispettivi settori di riferimento di mettersi in luce e valorizzare il proprio business davanti ad un pubblico di investitori interessati a contribuire alla crescita ed allo sviluppo dell’azienda sui mercati internazionali”. Lambiase ha, inoltre, presentato l’attività dell’Osservatorio VedoGreen, che monitora nel database proprietario oltre 3.000 aziende non quotate, appartenenti a 10 settori della Green Economy. “Dalle analisi condotte – ha commentato l’AD di VedoGreen - si evidenzia come l’industria verde italiana abbia continuato a creare valore anche nella difficile congiuntura economica del 2012: in particolare, tra i settori da segnalare per una variazione molto positiva dei ricavi vi sono Smart Energy (182 milioni di euro il fatturato medio, in crescita del 52%, EBITDA margin del 12%), Green Chemistry (fatturato medio di 202 milioni di Euro, in crescita del 38%, EBITDA margin del 10%) e Agribusiness (fatturato medio di 157 milioni di euro, in crescita del 17%, EBITDA margin del 9%).” L’apertura della tavola rotonda mattutina dedicata alle aziende, dal titolo “Innovazione e tecnologie gre-

en”, è stata affidata a Greenitaly1, la prima SPAC tematica green, rappresentata dal Consigliere Delegato Anna Lambiase, che ha fatto il punto sui primi 5 mesi di attività della società veicolo e sulla ricerca in corso del target oggetto di investimento. A seguire, sono intervenute 8 aziende di spicco della Green Economy, di cui 4 quotate (Biancamano, Kinexia, TerniEnergia e Terna) e 4 private (iCASCO, Ladurner Ambiente, Plastica Alfa e Tholos), che hanno illustrato alla platea di istituzioni finanziarie, banche e investitori presenti in sala il proprio modello di business, le strategie e i progetti innovativi che contraddistinguono le diverse realtà. Le principali linee guida strategiche emerse dalle presentazioni sono state l’internazionalizzazione verso i mercati emergenti attraverso la crescita per linee esterne, gli investimenti diretti e/o la stipula di partnership industriali e commerciali, gli investimenti in innovazione di prodotto e di processo, la diversificazione del portafoglio attività in segmenti di business contigui, l’integrazione lungo la catena del valore e il miglioramento dell’efficienza operativa anche attraverso sinergie industriali.

La tavola rotonda del pomeriggio dedicata al “Capitale” ha visto illustri esponenti del mondo finanziario confrontarsi su temi di rilievo quali potenzialità di sviluppo del settore, accesso al capitale per finanziare l’innovazione, tendenze dell’M&A e nuovi mercati emergenti. Tra gli investitori intervenuti alla discussione, moderata da Marco Gaiazzi, giornalista di Class CNBC, figurano Advam Partners, Idea Capital Sgr, Integrae Sim, Quadrivio Sgr, Synergo Sgr, Wise Sgr e Xenon Private Equity. Inoltre, Massimo Guasconi, presidente di Dintec, il Consorzio per l’innovazione dell’Unione delle Camere di Commercio, ha portato un punto di vista tecnico-istituzionale sull’innovazione. In occasione del Green Investor

Day, VedoGreen ha presentato una fotografia dell’andamento dell’indice green calcolato ogni sera alla chiusura dei mercati: rispetto alla scorsa edizione dell’evento, il paniere di titoli si è ampliato con l’ingresso di 8 nuove società quotate, per una raccolta complessiva di 87 milioni di euro. Le aziende del panel VedoGreen, che capitalizzano circa 1,6 miliardi di euro (+63% rispetto a maggio 2013), sono 22: Alerion CleanPower, Ambienthesis, Biancamano, EEMS, Enertronica, Ergy Capital, Falck Renewables, Fintel Energia Group, Frendy Energy, Gala, GreenItaly1, Gruppo Green Power, Industria e Innovazione, Innovatec, Isagro, K.R. Energy, Ki Group, Kinexia, Landi Renzo, Sacom, TE Wind, TerniEnergia.

A giugno l’indice green si è ulteriormente ampliato con le IPO sul mercato AIM Italia di Agronomia, Ecosuntek, Energy Lab e PLT Energia, e ha così raggiunto quota 26 titoli per una capitalizzazione di mercato di circa 1,7 miliardi di euro (al 5 giugno 2014).

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Rivoluzione domotica

PER LA TUA CASA IN LEGNO SCEGLI CHI DA 50 ANNI COSTRUISCE CON PASSIONE.

Case speciali, uniche, che rispettano la natura e vi fanno anche risparmiare energia. Sono le case in legno costruite da Rubner con tecnologie innovative, per farle durare centinaia d’anni e resistere anche alle sollecitazioni sismiche. Sono oltre 15.000 le case che Rubner in questi 50 anni ha costruito in tutt’Italia, con tempi e costi di realizzazione certi, stabiliti al momento del preventivo. Scegli di vivere in una casa veramente speciale, scegli una casa in legno Rubner.

La tua casa nasce qui. Tutto il processo produttivo si svolge nello stabilimento di Chienes. È qui che la tua casa comincia a prendere forma. Qui arriva la materia prima, il legno, e sempre qui viene lavorata con passione e con impegno, trasformandosi nella casa che desideri.

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Il legno, fresco d’estate e caldo in inverno. Il legno si distingue per il suo eccezionale isolamento termico, che si traduce in minori consumi per il riscaldamento in inverno e il raffrescamento in estate. Il comfort abitativo è garantito dal perfetto isolamento delle strutture realizzate da Rubner, che associa al legno materiali naturali ad elevata capacità coibentante come la fibra di legno e il sughero.

PASSIONE LEGNO


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Edilizia Bio | Rivoluzione domotica

COME CAMBIERÀ LA VITA DEGLI ITALIANI

La casa dei nostri sogni di Sergio Ferraris

orrevano i primi anni Novanta. I telefoni cellulari, mattoni del peso di circa un chilogrammo, erano definiti “telefonini” e i personal computer “viaggiavano” ancora a una velocità che si misurava in decine di megahertz, mentre oggi siamo alle migliaia di megahertz, e già all’epoca serpeggiava tra gli addetti ai lavori la parola “domotica”, ossia l’applicazione dell’informatica e dell’elettronica nelle abitazioni e più in generale negli edifici. Erano gli anni in cui si era appena compiuta la “rivoluzione” informatica nel mondo del lavoro, con le fabbriche che scoprivano e usavano i robot, le imprese tessili nostrane diventavano globali grazie alle prime reti informatiche e, più in generale, si scopriva il valore dell’informatica distribuita, anche nelle piccole realtà del terziario. Così si pensò, a ragione, che anche dentro le mura di casa potesse arrivare questa rivoluzione, complice la miniaturizzazione sempre più spinta dell’elettronica di consumo. L’Italia all’epoca aveva i numeri per fare ciò, se si pensa che era tutta italiana la

Wi-Fi, efficienza energetica, smart cities e altre espressioni di questo tipo stanno diventando sempre più frequenti nella nostra vita quotidiana. E ormai anche i luoghi di lavoro, di svago e persino le nostre case stanno subendo una trasformazione tecnologica senza pari. Saprà l’industria italiana tenere il passo? prima azienda che, nel 1994, propose il primo sistema integrato tra personal computer e abitazione, avevamo ancora un’industria informatica di primo livello come l’Olivetti, mentre il principale fabbricante mondiale di circuiti integrati per le telecomunicazioni produceva alle porte di Milano. Eppure mentre l’informatica andava avanti, passando dalle decine alle centinaia di megahertz in pochi anni, la rete informatica mutava pelle, diventando il web come lo conosciamo oggi e i sistemi operativi abbandonavano definitivamente la linea di comando, le promesse della domotica rimanevano sulla carta, le tecnologie c’erano - a

dire il vero i prezzi sia degli apparati, sia delle installazioni erano e probabilmente sono ancora troppo alti - così come anche le applicazioni, ma c’era poco, anzi pochissimo, sviluppo. Al punto che alcuni produttori hanno, all’inizio degli anni Duemila, tirato il freno, rimanendo sul mercato, ma aspettando qualche cambiamento di scenario. I motivi di questo fenomeno sono sostanzialmente tre. Il primo è di sicuro legato al prezzo del cablaggio interno delle abitazioni che, fino a quando è stato fatto con il rame, la rete Lan per intendersi, ha avuto dei costi non indifferenti che hanno rappresentato una barriera d’ingresso di sicuro importante. Il secondo motivo è da ricercarsi in uno sviluppo di servizi la cui utilità, fin quando sono rimasti isolati l’uno dall’altro, è stata giudicata dalle famiglie poco più che un gadget. Il terzo, infine, è relativo alla scarsa percezione circa l’importanza degli impianti elettrici che spesso hanno, nelle abitazioni, una vita media più che doppia rispetto a quelli idraulici, cosa che ha trascinato con sé anche la domotica. A ciò dobbiamo

aggiungere anche una componente squisitamente tecnologica legata al fatto che si è combattuta, e si combatte ancora oggi, una “guerra” legata agli standard di connessione che, anziché imporre un cartello di grandi produttori, ha in realtà frenato il mercato. Così come, di sicuro, non hanno fatto bene alla domotica le comunicazioni su prodotti mirabolanti e futuribili, quali il Wc che fa le analisi delle urine e le trasmette automaticamente, via e-mail, al medico e tutta una serie di gadget simili. Oltre a ciò, bisogna dire che spesso, a parte dispositivi particolari, l’esigenza di accendere una luce da una stanza a un’altra, oppure di creare diverse “atmosfere” negli ambienti grazie a un tablet, non è esattamente un’esigenza prioritaria per la maggioranza delle famiglie che si affidano ancora oggi al buon vecchio interruttore, magari collegato a un relè, per le accensioni multipunto. Ma negli ultimi anni due fattori stanno cambiando le cose. L’efficienza energetica e la comunicazione wireless, o meglio lo standard Wi-Fi che

non essendo proprietario si sta diffondendo a macchia d’olio. L’efficientamento energetico degli edifici, infatti, non passa solo ed esclusivamente dal miglioramento delle caratteristiche “passive” degli edifici, come l’isolamento termico, ma anche dall’ottimizzazione dei sistemi che, più diventano intelligenti, integrando le varie fonti e rendendo disponibili servizi quando servono realmente, più consentono di risparmiare. E su questo fronte la domotica domestica seguirà, presto o tardi, ciò che sta succedendo nelle industrie, dove l’integrazione dei processi è già avanzata, ma saranno necessarie nuove figure professionali in grado di fare vera integrazione di sistemi sotto il profilo energetico. Non sarà facile far lavorare il termoidraulico con l’elettricista, interfacciandosi magari con il bioarchitetto. Il rischio, infatti, sarà quello di privilegiare un aspetto a discapito di un altro a seconda delle professionalità predominanti. Per esempio, si potrebbe essere portati a sovradimensionare un impianto fotovoltaico per utilizzare il riscaldamento elettrico, quando magari si

potrebbero ottenere migliori risultati riservando una porzione del proprio tetto al solare termico, oltre che al fotovoltaico. E gli esempi di questo tipo potrebbero essere svariate decine. Sul fronte del Wi-Fi, invece, arriverà l’abbattimento dei costi legati alla stesura delle linee Bus, con un grande incremento di flessibilità. I device di controllo Wi-Fi, infatti, non sono più legati a una linea Bus, ma possono essere autonomi dall’allaccio fisico alla linea dati e, sempre più spesso, anche dalla rete elettrica se non devono, come nel caso delle valvole termostatiche, gestire potenza elettrica. Oltre a ciò, il Wi-Fi consente di interfacciare qualsiasi dispositivo per il controllo, come tablet e smartphone, consentendo anche un controllo agevole da qualsiasi punto dell’abitazione. Ma non basta. Alcuni sistemi di controllo permettono di accedere ai sistemi interni all’abitazione anche dall’esterno, attraverso la rete internet, consentendo settaggi, comandi e regolazioni da remoto. Il Wi-Fi dovrebbe, il condizionale è d’obbligo, portare verso soluzioni open source con un unico


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protocollo di comunicazione, svincolando gli utenti dall’utilizzo di periferiche di una determinata azienda che magari ha prodotto tutto il sistema. Inoltre, c’è da considerare il fatto che l’utenza in questo campo è poco influenzabile dalle mode e bada più alla sostanza, tendenza che è stata poco seguita dai produttori di sistemi che da oltre un decennio puntano sul “life style” per la diffusione dei sistemi domotici, ignorando il fatto che le famiglie hanno premiato ciò che hanno ritenuto più utile, come i sistemi di sorveglianza intelligenti e consultabili da remoto, rispetto ai giochi di luce comandati da un touch screen. L’efficienza energetica “intelligente” dovrebbe, quindi, dare un’utilità anche economica ai sistemi domotici, accelerandone lo sviluppo già in atto, anche se a macchia di leopardo. L’integrazione di sistema di un singolo pezzo

della gestione energetica di un’abitazione, infatti, dovrebbe “dialogare” con tutta una serie di sistemi, integrati o integrabili, che tengano conto di una lunga serie di parametri rilevabili sia all’interno che all’esterno dell’edificio. Decidere che esiste potenza termica sufficiente dai pannelli solari, evitando di accendere una caldaia a condensazione e mettere tutto ciò in relazione al fatto che in quelle ore l’edificio non è abitato - e quindi procedere all’accumulo - non è cosa da poco, e parliamo “solo” di termico. Altro grande problema della domotica è quello delle interfacce, spesso diverse a seconda dei sistemi che si utilizzano, che buona parte dei fruLa scommessa è quella di rendere comprensibile una serie di parametri tecnici ai quali molti utenti non sono nemmeno lontanamente abituati

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le tecnollogie digitali consentiranno una domotica “su misura”

itori ritengono complesse, al punto da rappresentare una vera e propria barriera per l’introduzione di queste tecnologie, specialmente quando si parla delle fasce di popolazione come gli anziani. L’introduzione di device sufficientemente standard, come smartphone e tablet, per la gestione dei sistemi domotici dovrebbe, anche in questo caso il condizionale è d’obbligo, semplificare il problema rispetto ai display Lcd dedicati e proprietari. La scommessa è quella di rendere comprensibile una serie di parametri tecnici ai quali molti utenti non sono nemmeno lontanamente abituati. Già la differenza tra kW e kWh è un aspetto sul quale molti cadono, ma quando ci si addentra in dati come MJ o kcal/Nm³ la situazione si complica. Si tratta, infatti, di far coesistere, in un’unica interfaccia, dati tra i più disparati che devono essere

settati almeno una volta l’anno, e se ci sono già difficoltà nella programmazione di un normale cronotermostato figuriamoci cosa succede con i sistemi più complessi. Una soluzione potrebbe arrivare dalla gestione da remoto da parte delle utilities fornitrici d’energia, grazie a quello che è considerato da tutti gli analisti del mondo dell’energia un grande plus dell’Italia: la diffusione massiccia dei contatori elettronici. In Italia, infatti, siamo un passo avanti rispetto alle smart cities proprio grazie all’installazione massiccia che si è fatta negli scorsi anni dei contatori elettronici in oltre trenta milioni di abitazioni. Per ora si parla “solo” di utilizzo di questi sistemi in funzione dei servizi di rete per il suo bilanciamento, ma in parecchi pensano alla possibilità di poter avere un accumulo diffuso di potenza per la ricarica delle auto elettriche quando queste non sono utilizzate, oppure di gestione intelligente della generazione distribuita da fotovoltaico o da microcogenerazione. Di sicuro la cosiddetta “internet of things” favorirà un salto qualitativo alla domotica, anche se

la relazione con la sostenibilità sarà comunque problematica. La tentazione di sfruttare la domotica domestica per indurre in nuovi consumi sarà comunque molto alta, come, del resto, quella di introdurre innovazioni un poco alla volta per far “consumare” dispositivi e servizi con una dinamica simile a quella dell’informatica di massa degli anni passati. Si tratta di uno sviluppo che potrebbe portare i possibili utenti a non installare sistemi che, nelle configurazioni più comIl problema vero è se plete, ancora si troverà un’azienda, oggi costano o meglio una serie di svariate deciaziende, che sposeranno ne di migliaquesta filosofia. ia di euro. La L’Italia potrebbe essere chiave per una in pole position buona penetrazione dei sistemi domotici potrebbe essere quella dello sviluppo in chiave totalmente aperta, sia per quanto riguarda i protocolli e i software, sia per l’hardware, e qui alcune proposte interessanti arrivano dal mondo dell’open source che sta facendo sperimentazioni con il microcontrollore Arduino che ha il vantaggio di essere

completamente configurabile senza dover pagare royalties e brevetti. Intorno ad Arduino potrebbero muoversi i makers digitali del 3D per “vestire” la domotica su misura del cliente. E non si tratta di implementazioni dilettantesche o sperimentali. Arduino, infatti, è utilizzato da molte piccole e medie imprese in tutto il mondo: è entrato, infatti, nel decimo anno di vita, mentre i makers digitali 3D si stanno imponendo nella realizzazione di piccole serie di qualità che hanno ottimi riscontri di mercato. Il problema vero è se si troverà un’azienda, o meglio una serie di aziende, che sposeranno questa filosofia. L’Italia potrebbe essere in pole position, considerando che Arduino è una creazione tutta nostrana, mentre molte aziende sparse per lo Stivale già realizzano la componentistica per la domotica. Il problema, però, è il solito: fare sistema e rete.

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i risparmi che si potranno ottenere in bolletta

RISPARMIO ED EFFICIENZA

L’elettricità intelligente di Sergio Ferraris

Dall’illuminazione agli elettrodomestici, adesso parlano fra loro e fanno risparmiare sui consumi domestici

lettroni di potenza. Si può riassumere in questo paradigma l’applicazione della domotica negli edifici legata alla gestione dell’elettricità che coinvolge, in realtà, non pochi aspetti della vita quotidiana e che consente un risparmio dovuto alla gestione razionale dell’energia. Come abbiamo visto negli articoli precedenti, però, l’integrazione deve essere spinta al massimo perché molto spesso, è l’interazione tra diversi aspetti a determinare la formula vincente per quanto riguarda l’accoppiata domotica ed efficienza. Nel caso dell’elettricità, prima di tutto, è necessario distinguere, quando si parla di gestione domotica dell’efficienza, l’aspetto dei dati da quello della potenza. I dati, in questo caso, sono per la maggior parte quelli rappresentati dall’input dell’utente e non, come nel caso della climatizzazione, quelli ottenuti dalla sensoristica, tranne pochi casi. Naturalmente a valle dell’input dell’utente tutto è possibile. Fondamentalmente abbiamo due grandi settori di gestione dell’elettricità, quello legato all’illuminotecnica e quello

legato agli elettrodomestici di vario tipo che si suddividono, a loro volta, in due grandi macroaree: i dispostivi privi di capacità di comunicazione detti legacy device e quelli che la possiedono detti smart device. Per quanto riguarda l’illuminotecnica le potenzialità di gestione sono limitate solo dalla fantasia dei progettisti. Si va dalla gestione intelligente della luce senza necessità di input da parte degli utenti, come accensione e spegnimento automatici, alla variazione della temperatura colore su richiesta, passando per il dimmeraggio dei punti luce e il tutto può essere combinato per creare diversi effetti di luce, predisposti in precedenza, che possono modificare in meglio la percezione ottica degli ambienti attraverso la variazione delle curve d’attuazione relative ai dispositivi illuminanti. Uno degli effetti più utilizzati, per esempio, è l’accensione e lo spegnimento graduale dell’illuminazione di un ambiente, mentre con altre curve e un sensore dedicato è possibile combinare in maniera armoniosa la luce naturale con quella artificiale, sia sul fronte della

potenza illuminante, sia su quello della temperatura colore. Per quanto riguarda gli elettrodomestici, ad oggi, abbiamo la stragrande diffusione dei legacy device che consentono “solo” l’attivazione e lo spegnimento se sono collegati a una “presa intelligente” detta anche smart plug, che, però, può avere anche altre funzioni. Le prese intelligenti, infatti, sono comandabili da remoto, ma possono monitorare i consumi dell’utenza alla quale sono collegate, inviando i dati a un elaboratore centrale. Così facendo è possibile, per esempio, attivare carichi importanti in maniera non contemporanea, come lavatrice, asciugatrice, lavastoviglie, forno elettrico e condizionatori senza dover fare un upgrade del proprio contratto

elettrico. Il sistema, infatti, sfrutterà la capacità di carico della fornitura, “spalmando” l’utilizzo della potenza elettrica ammissibile nel tempo e magari dando delle priorità, come accendere il condizionamento a ridosso del rientro in casa degli abitanti. Un sistema di questo tipo consente di avere un livello di comfort elevato pur evitando di dover accedere a forniture elettriche di potenza più elevata, che sono notoriamente costose. Gli elettrodomestici smart device, invece, hanno la caratteristica di dialogare con il sistema e consentono una gestione più evoluta rispetto al sistema on/off, sia pure intelligente. Basti pensare al fatto che questi dispositivi possono comunicare il proprio profilo energetico, ossia le esigenze di poten-

za e, sopratutto, la variabilità durante il funzionamento. Una gestione di questo tipo consente interventi molto più sofisticati rispetto a quelli precedenti, poiché l’interazione e il funzionamento dei diversi elettrodomestici possono essere pianificati con precisione all’interno del ciclo operativo degli stessi. Lavatrice e lavastoviglie, per esempio, possono funzionare nello stesso periodo temporale poiché la fase di riscaldamento dell’acqua, quella più energivora, dei due elettrodomestici non si può sovrapporre visto che la gestione dei due processi viene ottimizzata dal sistema. Si tratta di una gestione che non attiene solo ai consumi, ma anche alla produzione d’energia elettrica che deriva da eventuali sistemi fotovol-

taici o cogenerativi. Nel caso del fotovoltaico, per esempio, è possibile incrociare la curva di consumo degli elettrodomestici con quella di produzione dell’impianto solare, magari interrompendo le attività se si verifica un calo produttivo improvviso, come nel caso di un repentino aumento di nuvolosità. Oppure si può sostituire l’insufficienza della produzione fotovoltaica con l’utilizzo della microcogenerazione, aumentando al massimo l’autoconsumo e, quindi, il risparmio in bolletta. Oltre all’aspetto ingegneristico e i conseguenti risparmi indotti dall’ottimizzazione dei sistemi in una logica di processo, si deve tenere conto anche degli aspetti legati al “risparmio” indotto da una maggiore consapevolezza circa i consumi energetici. L’aumento della conoscenza di come si utilizza l’energia elettrica produce benefici, ossia risparmi, fino al 12% in bolletta. Ciò significa un risparmio di circa 80 euro sui conti annuali delle famiglie. Il tutto semplicemente grazie alla visualizzazione di parametri, come il consumo istantaneo al contatore o, ancora meglio, quello parzializzato per elettrodomestico o per singola presa, che consente di visualizzare l’assorbimento di piccoli dispositivi come gli stand by che se sono sommati, possono arrivare a far consumare elettricità per qualche decina di euro l’anno. Tutte le letture relative ai consumi si possono, poi, leggere aggregate sul display di gestione del sistema, avendo così una panoramica completa e dettagliata in un solo colpo d’occhio circa i consumi della propria abitazione.

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COME GESTIRE IL CALORE

La sfida del caldo e del freddo di Sergio Ferraris

In attesa che siano economicamente competitive le tecnologie all’avanguardia, ecco accorgimenti, tecniche e prodotti per la climatizzazione delle nostre case a gestione del calore interno agli edifici è una delle sfide più complesse che la domotica può affrontare, specialmente se si vogliono ottenere dei risultati importanti sotto il profilo dell’efficienza e del comfort abitativo. L’efficientamento degli edifici, infatti, presuppone un radicale ribaltamento delle logiche alle quali siamo abituati, specialmente se non si vogliono percorrere delle “facili” alternative, come quella del ricorso alle rinnovabili, per supplire a mancanze sul fronte dell’efficienza delle strutture. La filosofia di massima è quella della “sottrazione” d’energia e non dell’addizione della stessa, anche se, magari, non utilizziamo le fonti fossili. Utilizzare sistemi attivi in luogo di quelli passivi, infatti, porta ad avere un dispendio d’energia, e di risorse, che potrebbero essere destinate ad altro e il delta energetico aggiuntivo può essere gestito attraverso le moderne tecnologie in maniera efficiente, anche se è necessario prestare molta attenzione ai processi. Essenzialmente gli edifici, oggi, necessitano, al netto delle soluzioni passive come quelle naturali, di raffrescamento

estivo, riscaldamento invernale, ventilazione, produzione d’acqua calda sanitaria e controllo dell’umidità, evitando il più possibile sia gli sprechi, sia il formarsi di ambienti malsani a causa di muffe e altri agenti patogeni o allergizzanti. I primi sistemi da prendere in considerazione, quando si progetta o si ristruttura in maniera radicale un edificio, sono quelli che possono integrarsi alla climatizzazione naturale. In questo quadro, si possono realizzare canalizzazioni per la ventilazione - che diventa necessaria quando si utilizzano infissi efficienti che per loro natura hanno chiusure ermetiche – che possano attingere l’aria dalle zone fresche dell’edificio in estate, o da quelle calde in inverno, scambiando calore, o frigorie, che altrimenti andrebbero dispersi. Si tratta di una metodologia che non è per niente nuova, visto che la si trova in una realizzazione di oltre un secolo fa di Gaudì, precisamente in Casa Batilò a Barcellona, dove si trovano dei cavedi lungo tutta l’altezza dell’edificio predisposti per portare luce e aria fresca negli ambienti più interni. Queste tecniche possono essere completate con la predisposizione di appositi

pannelli posti all’esterno dell’edificio, in grado d’accumulare calore, o frigorie, per utilizzarli quando servono, come il calore immagazzinato di giorno e reso disponibile di notte. Inoltre, è possibile gestire in maniera appropriata anche le superfici trasparenti. In attesa che siano disponibili - e a prezzi ragionevoli - i vetri che cambiano opacità grazie ai cristalli liquidi, un’altra tecnologia già utilizzabile con profitto è quella della gestione intelligente delle tapparelle che possono essere abbassate quando l’insolazione è diretta in estate, oppure alzate in inverno. E non si creda che si tratti d’economie di poco conto. Con una gestione di questo tipo, infatti, è possibile ridurre del 30% le necessità di climatizzazione di un ambiente, a fronte dei pochi watt/ora necessari per movi-

mentare le tapparelle. Se poi gli ambienti sono dotati di una sensoristica evoluta ecco che un ambiente non occupato può passare a una modalità di basso consumo energetico oscurandosi da solo, con il vantaggio di poter destinare quelle risorse energetiche a un altro utilizzo. Questi sono solo alcuni degli esempi possibili sul fronte “passivo”, mentre i margini di manovra sono molto più ampi su quello “attivo”. Un impianto domotico efficiente sotto il profilo della gestione del calore, infatti, può gestire in “coro” diverse fonti e tecnologie, quali il solare termico, la geotermia a bassa entalpia e il raffrescamento a pompa di calore, anche con caldaia a condensazione, tutti sistemi che dovrebbero fare gioco di squadra, coordinati da una sensoristica evoluta e da altrettanto evoluti siste-

mi di controllo. Sotto a questo profilo è necessario spendere qualche parola. La tecnologia Wi-Fi, infatti, sta rendendo molto meno dispendioso l’utilizzo diffuso negli edifici di sensori e attuatori, ragione per la quale, oggi, ha molto più senso di ieri installare sensori ambientali in ogni stanza e attuatori, come le valvole termostatiche a controllo remoto, per ogni utenza energetica. Non si tratta di una cosa di poco conto. Incrociando i dati ambientali con le esigenze degli utilizzatori, è possibile arrivare a una gestione accurata degli utilizzi energetici in grado di abbattere ulteriormente i già bassi consumi di abitazioni efficienti alimentate da fonti rinnovabili, anche se è necessario porre una grande attenzione al dimensionamento dei sistemi, sia sotto il profilo della produzione, sia dei consumi. È necessario calcolare attentamente le esigenze energetiche, senza precludersi le future opportunità di retrofit e di upgrade. Facciamo un esempio. Se un’abitazione è occupata da una giovane coppia potrebbe essere utile non esagerare con il dimensionamento del solare termico, magari installando le predisposizioni per un eventuale potenziamento quando la famiglia crescerà, così come è inutile dotarsi di potenze superiori ai 3-4 kWp di fotovoltaico se l’esigenza è l’autoconsumo in assenza di un sistema d’accumulo che può spostare il consumo dell’energia prodotta nelle ore notturne. Considerazioni di questo tipo si devono fare quasi per tutti i sistemi, perché anche se l’energia delle fonti rinnovabili non ha un costo, gli impianti lo hanno e sovradimensionare un sistema per non utilizzarlo pienamente rappresenta uno spreco di risorse che potrebbero essere destinate ad un altro utilizzo, magari per maggiorare l’efficienza dell’illuminazione. L’ottimizzazione della gestione del calore, quindi, deve essere fatta utilizzando competenze trasversali e valutando tutte le componenti. Ragionando per compartimenti stagni, infatti, ci si troverebbe con un sistema disorganizzato e di difficile gestione che non potrà sfruttare al 100% le possibilità della domotica applicate alla gestione del calore. LEGGI

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SMART CITIES

L’ecosistema urbano diventa più furbo di Sergio Ferraris

La domotica oltre la porta di casa: energia, trasporti, efficienza e tempo libero cambieranno il nostro stile di vita in città

na volta cablata tutta l’abitazione, con sistemi integrati tra i vari tipi di climatizzazione e mentre il frigorifero dialoga con la lavatrice, ed entrambi interrogano l’impianto fotovoltaico per sapere quando c’è maggiore disponibilità d’elettricità, cos’altro può succedere? È semplice. La casa domotica diventa un pezzo, attivo, delle smart cities e può assumere un ruolo attivo nella gestione sia dell’energia, sia delle attività quotidiane, grazie alla sensoristica presente nelle abitazioni e grazie alla collaborazione con altre abitazioni o edifici. Le infrastrutture tecnologiche di telecomunicazione, infatti, possono far lavorare in maniera “intelligente” le varie unità, formando dei cluster energetici e non solo. Punto cardine di questo sistema è di sicuro la generazione distribuita essenzialmente da due fonti: il fotovoltaico e la micricogenerazione, ma non è detto che in un prossimo futuro non si vedano applicazioni come quelle del piccolo solare termodinamico. Ma restiamo all’oggi, che riguarda essenzialmente l’elettricità. Già il fo-

tovoltaico e la microcogenerazione possono lavorare in “tandem”, fornendo elettricità in forma modulabile a seconda dei bisogni dei cittadini e con un alto grado di sicurezza e continuità. Ovviamente, questo tipo di generazione non può, se la si vuole sfruttare al meglio, rimanere confinata all’interno di un singolo edificio, ma deve essere ceduta, quando è in eccesso, all’esterno, alla rete in generale, oppure ai propri vicini, siano altri edifici residenziali o piccole imprese. E qui entra in gioco la gestione dell’information tecnology, in parallelo con la gestione della potenza. In un cluster energetico, infatti, si dovranno gestire esigenze diverse come quelle delle famiglie, il cui picco relativo al consumo elettrico è, al netto del raffrescamento estivo, concentrato all’inizio e alla fine della giornata, mentre quello delle imprese riguarda le ore centrali. Una serie di consumi “programmati” o, meglio, “programmabili” come quelli legati alle lavatrici/asciugatrici potranno essere gestiti in blocco, come se fossero un’unica utenza, in un momento di bisogno della rete interna al

cluster, così come per brevi periodi si potranno disconnettere condizionatori e frigoriferi. Il tutto per dare una grande flessibilità alle reti interne che, in questa maniera, riusciranno a gestire al meglio l’intermittenza delle rinnovabili e la relativa imprevedibilità dei consumi. Tutto ciò è possibile con le odierne tecnologie, ma grandi potenzialità potrebbero arrivare dallo sviluppo della mobilità elettrica, che potrà essere utilizzata anche come un enorme dispositivo d’accumulo diffuso. Le autovetture, infatti, nelle città sono utilizzate al massimo per un paio d’ore al giorno, dopodiché, anche nel caso dell’elettrico, il resto del tempo sono ferme, magari attaccate alla rete. In questa fase le batterie dell’auto possono fornire servizi alla rete sia sotto il profilo della potenza, che della qualità del servizio elettrico. L’architettura sarà resa possibile proprio dall’information tecnology che è in grado, visto che lo fa già ora con Internet, di gestire decine di migliaia di dispositivi diversi. In questo quadro, però, c’è chi perde. O meglio potrebbe perdere se non

innova. Sono le utility energetiche che vedranno, in realtà lo vedono già ora e i principali analisti finanziari hanno già lanciato l’allarme, perdere importanti fette di mercato se non avvieranno importanti ristrutturazioni del loro business che oggi è fondato su una logica di mercato vecchia e basata su una dialettica unidirezionale tra il fornitore d’energia e l’utente finale. La soluzione per le utilities, e non solo, sarebbe quella di trasformare il proprio business da quello della fornitura d’energia a quello della fornitura di servizi legati alla gestione dell’energia, anche se in questo quadro le cose non sono così semplici. Da un lato, infatti, i sistemi gestionali si stanno sempre più evolvendo, mentre per quanto riguarda l’aspetto finanziario, indispensabile per chi vuole operare sul larga scala con la funzione di Energy Saving Company (ESCo) al fine di fornire servizi “chiavi in mano” a 360 gradi, i problemi legati all’accesso al credito potrebbero “tagliare le gambe” ai soggetti più piccoli, che spesso sono quelli più dinamici e innovativi. Lo sviluppo delle tecnologie, ma sopratutto l’ideazione di utilizzi innovativi, sarà di sicuro un elemento che influenzerà, in positivo e in negativo, i modelli di business. I contatori elettrici intelligenti dotati di schede Sim simili a quelle dei telefonini consentiranno di acquistare energia a condizioni predefinite, esattamente come si fa con i cellulari, e permetteranno di cambiare all’istante fornitore, in base alla convenienza, magari anche oraria. E chi produce elettricità da fotovoltaico, per ora negli Usa, può far decidere in automatico a un tablet, istante per istante, se sia più conveniente usare l’elettricità prodotta per azionare la lavatrice oppure cederla alla rete, il tutto in base al prezzo di mercato che il dispositivo è in grado di leggere. Insomma anche la gestione finanziaria dell’energia, sia in entrata, sia in uscita, potrà venire automatizzata in base alle personalizzazioni volute dall’utente che in questa maniera potrà muoversi agevolmente in un mercato ritenuto fino ad ora complesso e ad appannaggio dei soli esperti. I prezzi in discesa, sia degli impianti di produzione energetica diffusa, sia dei sistemi domotici, faciliteranno di-


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namiche di questo tipo, riducendo le barriere d’ingresso e anche i tempi per l’affermazione di questi fenomeni si accorceranno. Non bisogna dimenticare, infatti, che in soli cinque anni, dal 2007 al 2012, sono stati installati oltre 500mila piccoli impianti fotovoltaici da famiglie e piccole e medie imprese, mentre sul fronte delle telecomunicazioni abbiamo uno dei più alti tassi di penetrazione, circa i telefoni cellulari prima e gli smartphone ora, del mondo. Il tutto con ostacoli e barriere di ogni tipo, con legislazioni caotiche e restrittive per quanto riguarda le rinnovabili e l’assenza quasi totale di banda larga per ciò che attiene alle telecomunicazioni. L’aspetto energetico sarà, con ogni probabilità, l’apripista di un fenomeno che si preannuncia di più vasta portata. La gestione digitale della vita quotidiana, infatti, sta aprendo scenari impensabili fino a pochi anni fa, migliorando anche la gestione di pratiche consolidate come quelle del car sharing, che dopo anni di stasi sta esplodendo proprio grazie alla possibilità di renderlo “liquido”, ossia di prendere e lasciare l’auto dove si vuole, eliminando i parcheggi di scambio, introdotto dall’Information Technology mobile. Sempre in tema di mobilità, con una serie di App sul proprio cellulare è possibile verificare il passaggio di mezzi pubblici, la disponibilità di taxi e auto a noleggio e anche d’effettuare car pooling, condividendo le spese di viaggio. E il prossimo passo sarà quello della cosiddetta “inter-

mila i piccoli impianti fotovoltaici “domestici” montati fra il 2007 e il 2012

net of the things” nella quale il dialogo sarà tra gli oggetti e all’utente saranno presentati i risultati finali. Le auto elettriche, per esempio, propongono al conducente in automatico sia i percorsi più efficienti sul fronte energetico, sia le soste con possibilità di ricarica, mentre sono allo studio “parcheggi intelligenti” in grado di comunicare la propria disponibilità di posti, ma la domotica delle cose non si limiterà solo a energia e trasporti. Tutto il lato della logistica è già stato rivoluzionato, si pensi ai droni di Amazon che hanno cambiato radicalmente gli acquisti, mentre anche il lavoro e la formazione si stanno trasformando attraverso piattaforme sempre più “smart” che consentono modalità di fruizione innovative che consentono usi dal lato utente impensabili fino a pochi anni fa. La cosa interessante è che in tutte queste innovazioni il dato ambientale è sempre presente e la salvaguardia delle risorse e il risparmio di energia sono centrali, a dimostrazione della pervasività degli elementi “green” all’interno di tutte le attività che si rinnovano. Ci troviamo in una situazione dove la società italiana sembra essere più ricettiva dei decisori per quanto riguarda energia e telecomunicazioni. Un quadro che non potrà durare a lungo, pena una ulteriore perdita di competitività dell’intero sistema Paese. LEGGI

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Speciale | Klimahouse Puglia

LA FORMULA VINCENTE DI KLIMAHOUSE PUGLIA

Bolzano chiama Bari di Andrea Ballocchi

Al via nel Capoluogo pugliese la terza edizione della mostra-convegno su efficienza energetica e risanamento in edilizia promossa da Fiera Bolzano per il mercato del Sud Italia

erza edizione per Klimahouse Puglia, che dal 2 al 4 ottobre apre i battenti all’insegna di continuità e innovazione. La continuità è espressa dall’idea portante di una formula nata a Bolzano circa dieci anni fa e poi divenuta anche itinerante. Una formula di successo testimoniata dai positivi riscontri già oggi ottenuti e previsti anche dalla mostra-convegno a Bari: 3.200 mq di esposizione, 20 eventi speciali, 70 aziende espositrici – di cui un terzo della Puglia -, 20 partner locali, oltre 3.000 visitatori attesi. L’innovazione è insita nella iniziativa stessa che ogni anno riesce a proporre le novità più significative del mercato, specie in tema di ristrutturazione. «Il futuro stesso è all’insegna delle ristrutturazioni – sottolinea Marsoner, direttore di Fiera Bolzano – se pensiamo che in Italia abbiamo 2.300.000 appartamenti vuoti, senza essere impiegati, con un grande spreco di materiali e un inutile e dannoso consumo del territorio. Quindi, prima va utilizzato bene quello che già c’è». Altri temi d’interesse che troveranno

spazio in convegni e workshop: gli edifici NZEB, il risanamento edilizio oltre, naturalmente, alla filosofia CasaClima. E poi le visite guidate a costruzioni CasaClima sul territorio. Quest’anno sarà la volta di due complessi residenziali a Bisceglie (BAT) e a Capurso (BA), ossia Case di Luce e Solaria (di cui trattiamo nello spazio specifico). UN PUBBLICO ATTENTO ED ESPERTO

Prima di entrare nel vivo della manifestazione 2014, è bene fare un breve riassunto di quanto accaduto nell’edizione 2013, quando 3.300 operatori del settore, oltre 50% in più rispetto all’edizione precedente, hanno varcato i cancelli della fiera. Chi ha visitato Klimahouse Puglia 2013 per il 95% ha valutato positivamente la manifestazione, secondo un’indagine condotta da Fiera Bolzano. La formula piace, tanto che l’88% dei visitatori-campione ha espresso l’intenzione di tornare a visitare l’edizione 2014. Sempre dalla “istantanea” scattata in fiera, emerge un pubblico composto per lo più da esperti del settore: l’83,6% ha

Visite guidate: Case di Luce e Solaria

dichiarato di visitarla per motivi professionali. L’EDIZIONE 2014

Continuità e innovazione, dicevamo. L’innovazione è una matrice di Klimahouse, improntata com’è sulla proposta di novità “fresche” e sostanziali dal mercato. Idee, tecnologie, progresso: tre concetti che rimandano alla scienza e non è un caso che l’edizione pugliese venga ospitata presso la Cittadella Mediterranea della Scienza di Bari (altro elemento di continuità innovativa). Una vicinanza sottolineata da Ida Maria Catalano, presidente della stessa Cittadella, la cui «mission è divulgare la cultura scientifica, non solo come scienze matematiche e fisiche naturali, ma anche tutte le tecnologie più avanzate da esse derivate. Proprio perché Klimahouse Puglia è una manifestazione dedicata alla divulgazione delle tecnologie vocate al risparmio energetico e alle energie alternative che rispecchia la mission della Cittadella». La terza edizione della mostra-convegno dedicata all’efficienza energetica

e al risanamento in edilizia promossa da Fiera Bolzano per il mercato del Sud Italia vedrà rinnovata la collaborazione con le associazioni di categoria e le istituzioni più dinamiche della Puglia, con un ricco programma di eventi. Ma, soprattutto, offre agli operatori del settore del Centro e Sud d’Italia l’opportunità di informarsi sui sistemi, necessità e vantaggi del risparmio energetico nell’edilizia. Inoltre, si propone quale occasione per allacciare interessanti contatti e scambiare idee con altri operatori del settore. Propone idee e soluzioni per risparmiare e tutelare l’ambiente per chi intende: risanare e/o costruire, ridurre la vostra bolletta energetica, aumentare il benessere abitativo, contribuire attivamente alla tutela dell’ambiente, incrementare il valore dell’immobile, garantire una maggior durata di vita dell’edificio.

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Si tratta di due edifici CasaClima dalle caratteristiche innovative quanto a consumi energetici, uso di materiali ecocompatibili/riciclabili e ricorso a fonti rinnovabili (solare termico e fotovoltaico). Partiamo da “Case di Luce”, progetto di rigenerazione urbana sostenibile ed architettura zero energy con 61 alloggi a standard passivo ed eco-parco attrezzato, a Bisceglie (BAT). Realizzato dallo studio Pedone Working, si tratta del primo cantiere sperimentale in Muratura Vegetale. È, questa, una nuova tecnologia costruttiva in “biocemento” Natural Beton in calce-canapa: un materiale che, oltre a essere eco-compatibile, presenta elevate proprietà di isolamento e massa termica, ha bassissima conduttività termica e si caratterizza per una elevata riciclabilità e regolazione igroscopica. L’intervento progettuale prevede anche la riqualificazione sostenibile dell’area urbana circostante: un’operazione di restyling urbano che punta al risparmio di suolo grazie alla bonifica di aree dismesse, a proporre uno spazio dove il verde urbano è un elemento di mitigazione delle emissioni di gas serra e dell’isola di calore. Segnaliamo anche l’uso di serre solari e strategie bioclimatiche quali il raffrescamento naturale, l’efficiente gestione dell’acqua con recupero delle acque meteoriche e dell’intero ciclo dei rifiuti con compostaggio condominiale. Il complesso Solaria, a Capurso (BA), è un edificio costituito da 25 unità abitative in classe energetica A+ che impiega un sistema energetico composto da pompa di calore, solare termico e fotovoltaico. Realizzato dal Gruppo Stolfa Edilizia, costituisce un caso studio pilota di applicazione del nuovo protocollo edilizio nazionale. All’attenzione costruttiva fa seguito l’attenzione per il riciclo, il riuso dei materiali e l’attenzione per l’ambiente circostante: il verde preesitente è stato, infatti, recuperato e ripiantumato ed è stata realizzata una cisterna per la raccolta dell’acqua meteorica per usi irrigui.


Soluzione geotermia


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Energia | Soluzione geotermia

PIÙ EFFICIENTE IL CALORE DELLA TERRA

Il futuro è della bassa entalpia di Gianluigi Torchiani

Gli obblighi sulle rinnovabili, le detrazioni fiscali e la facilità di impiego delle tecnologie stanno favorendo la crescita della risorsa geotermica

el 2013 si è festeggiato in Italia il centenario della geotermia ad alta entalpia, che permette lo sfruttamento del calore della terra ad alte temperature, così da assicurare la generazione elettrica. Una realtà diffusa in Italia unicamente in Toscana, ma il salto di qualità atteso negli scorsi anni, quando sembrava possibile un’espansione degli impianti su buona parte del territorio nazionale, non c’è stata, tanto che, a differenza delle altre fonti rinnovabili, il contributo della geotermia alla produzione elettrica nazionale è sostanzialmente stazionario da diversi anni. Invece, mai come oggi, appare concreta la possibilità di sfruttare il calore terrestre a fini termici, assicurando il riscaldamento e il condizionamento di case private, uffici, condomini e persino industrie. Stiamo parlando della geotermia a bassa entalpia, ossia della tecnologia che permette uno scambio di calore con il sottosuolo a bassissima temperatura (a differenza della geotermia classica, che può essere praticata soltanto in limitate aree geografiche). Da un

punto di vista tecnico, nelle applicazioni geotermiche a bassa entalpia, il sottosuolo viene utilizzato come serbatoio in cui trasferire il calore in eccesso durante il periodo estivo e da cui trarre quello necessario durante l’inverno. Il principio di funzionamento è facilmente intuibile: già dalla profondità di qualche decina di metri la temperatura del suolo, infatti, diventa sostanzialmente stabile, risentendo solo in minima parte delle fluttuazioni della temperatura dell’aria in superficie, con una temDa un punto di vista tecnico, peratura che nelle applicazioni geoin Italia oscilla termiche a bassa entalpia, fra i 12 e i 14 il sottosuolo viene uti°C, mentre al lizzato come serbatoio di sotto dei 100 in cui trasferire il calore metri la temin eccesso durante il periodo estivo e da cui peratura inizia trarre quello necessario a salire intordurante l’inverno no ai 3 gradi per ogni 100 metri di profondità. Quindi, poiché in inverno il terreno è più caldo dell’aria esterna e in estate è più freddo, lo scambio termico, effettuato

con una pompa di calore, risulta energeticamente conveniente. Gli impianti geotermici si distinguono in due gruppi in funzione della diversa sorgente termica esterna utilizzata: la forma più diffusa è quella degli impianti a circuito chiuso, dove lo scambio di calore avviene direttamente con il terreno attraverso sonde geotermiche (verticali o orizzontali). La seconda opzione è quella dagli impianti a circuito aperto, nella quale lo scambio di calore si ha con l’acqua di falda presente nel sottosuolo attraverso pozzi di emungimento.

Concentrandoci sulla prima tipologia, l’analisi del Rse (Ricerca sul sistema elettrico) mette in evidenza come un impianto di questo tipo sia composto da tre elementi tecnologici: innanzitutto le sonde geotermiche, che devono “raccogliere” il calore del suolo. La profondità a cui vanno collocate varia da regione a regione e dipende dal tipo di suolo. In Germania, ad esempio, per legge non si può scendere sotto i 100 metri, mentre in Svizzera, Paese con la maggiore densità di scambiatori verticali nel mondo, si va dai 50 ai 350, con la tendenza ad

aumentare la profondità per sfruttare al meglio le temperature più elevate del terreno, visto che le necessita di raffrescamento sono meno marcate rispetto ad altre situazioni climatiche. In Lombardia (dove questo tipo di soluzione è molto adottata) la profondità normalmente raggiunta è di 100-150 metri. Una sonda geotermica ha una vita media di diversi decenni, poiché è realizzata in materiale plastico (polietilene ad alta densità) caratterizzato da un’elevata resistenza alle tensioni e alla corrosione. Pertanto, la rottura di una sonda è alquanto im-

probabile. Di norma vengono, inoltre, effettuati collaudi di flusso e di tenuta sia prima che dopo l’installazione della sonda stessa. Altro elemento chiave dell’impianto geotermico è la presenza di una o più pompe di calore: quelle a compressione sono basate su un ciclo frigorifero inverso, funzionalmente identico a un ciclo frigorifero, solo che sono utilizzate anche per ottenere l’effetto opposto. Mentre nel ciclo frigorifero per raffrescare un edificio si riversa nell’ambiente esterno il calore, nel caso del ciclo in pompa di calore si riscalda l’edificio assorbendo


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Energia | Soluzione geotermia

La composizione di un impianto geotermico

Lo sviluppo degli usi diretti fino al 2030 Scenario 1 TJ/a 0

2010 2012 2015

20.000

40.000

60.000

80.000

Scenario 2 100.000

Competenze professionali

12.600 12.600

2030

26.350 30.660

16% 40.500

Idraulici qualificati

51.700 65.200

24%

Pompa di calore

90.000

Fonte: Ugi

il calore dall’aria esterna o dal sottosuolo (o “cedendo” freddo). Il terzo elemento portante della geotermia a bassa entalpia è la presenza di un sistema di accumulo e distribuzione del calore: gli impianti geotermici sono particolarmente adatti per lavorare con terminali di riscaldamento/raffrescamento funzionanti a basse temperature (30-50 °C) come, ad esempio, i pannelli radianti a pavimento e i ventilconvettori. In particolare, i pannelli radianti sono la soluzione ideale, poiché in inverno fanno circolare acqua calda a 30-35 °C e in estate acqua fredda a 18-20 °C, riscaldando e raffrescando con il massimo grado di comfort e risparmio energetico. La presenza di un serbatoio di accumulo per l’acqua calda risulta indispensabile per immagazzinare il calore e distribuirlo successivamente all’edificio, sia per il riscaldamento che per gli usi sanitari, quando vi è richiesta. Al di là degli aspetti più tecnici, è certo che la climatizzazione degli edifici mediante sistemi geotermici rappresenti ormai una delle soluzioni più interessanti dal punto di vista tecnico, economico e ambientale. Negli edifici residenziali il riscaldamento e la climatizzazione estiva costituiscono, infatti, importanti voci di costo. Le soluzioni che si basano su energie rinnovabili, in particolare quelle geotermiche, sono investimenti che garanti-

Geosondatori qualificati

Altre attrezzature e materiali

17.930 19.040

2025

36%

15%

14.430 14.700

2020

9%

Fonte: Centro Studi Consorzio GeoHp

scono negli anni risparmio economico e una forte riduzione delle emissioni di CO2, fino al 50%. Il massimo vantaggio si ottiene nell’installare un impianto geotermico in edifici nuovi sia per il riscaldamento invernale che per il raffrescaIn particolare, i pannelli mento estivo. radianti sono la soluIn taluni casi zione ideale, poiché in le perforazioinverno fanno circolare ni per le sonde acqua calda a 30-35 °C g e o te r m ic h e e in estate acqua fredda possono essere a 18-20 °C, riscaldando e raffrescando con eseguite conil massimo grado di testualmente comfort e risparmio alle fondamenenergetico ta, con ulteriore ottimizzazione di tempi e costi. Inoltre, in quasi tutti gli edifici residenziali di recente costruzione è prevista l’adozione di un sistema radiante a bassa temperatura a pavimento che, come abbiamo scritto in precedenza, è il sistema ottimale per la tecnologia a pompa di calore geotermica a bassa entalpia. Anche in caso di ristrutturazioni importanti è vantaggioso sostituire l’impianto precedente a gasolio o metano con un impianto geotermico a bassa entalpia. I sistemi radianti a pavimento, la cui installazione in abitazioni esistenti non predisposte è piuttosto costosa, possono trovare

un valido sostituto in fan-coil a convezione progettati per riscaldare con rese termiche elevate anche con acqua calda a bassa temperatura, prodotta da pompe di calore geotermiche. “La geotermia a bassa entalpia riscuote in questo momento un grande interesse, in particolare per la costruzione di nuove abitazioni, anche grazie all’obbligo di inserire le energie rinnovabili (il riferimento è al Dlgs 28/2011 che ha introdotto nuovi obblighi per le rinnovabili a copertura dell’intero fabbisogno energetico dell’edificio, ndr ). Senza contare che questa tecnologia si sta rivelando la meno complessa nella fase di gestione successiva all’installazione. Inoltre, la geotermia a bassa entalpia non solo riscalda, ma raffredda anche l’aria e questo la rende particolarmente vantaggiosa nelle aree meridionali, dove è prioritaria l’esigenza di raffrescamento”, spiega Fabio Roggiolani, vice presidente di Giga, Gruppo informale per la geotermia e l’ambiente. Certo, esiste un problema di costi: un impianto geotermico ha un costo iniziale superiore a quello di una caldaia a gas e di un condizionatore elettrico. “L’investimento iniziale, rispetto a un impianto a metano, è più del doppio – ammette Roggiolani -. Poi, però, occorre tenere conto della detrazione fiscale del 65%, che permette di recuperare ampiamente

la spesa iniziale. Quando si realizza un impianto simultaneamente alla costruzione di un’abitazione nuova i costi si abbattono notevolmente”. In effetti, secondo una stima di Legambiente, una macchina geotermica da 10 kW, adatta a soddisfare il riscaldamento invernale di un appartamento di 120 metri quadri a Milano, consente un risparmio annuo dei costi del 40% rispetto al gas metano, del 50% rispetto al Gpl, del 66% rispetto al gasolio. Il vantaggio è, ovviamente, maggiore se l’impianto geotermico è progettato per la climatizzazione (invernale ed estiva) di un condominio. In questo caso, la spesa per ogni appartamento è persino più bassa rispetto a quella che andrebbe affrontata per installare una caldaia tradizionale con l’aggiunta di un condizionatore per ogni singola abitazione. “C’è poi da considerare il risparmio sul metano, grazie alla nuova tariffa elettrica sperimentale introdotta dall’Autorità (che taglia gli oneri di sistema per i consumi elettrici elevati, ndr), che può garantire un risparmio clamoroso. In un condominio, inoltre, i costi sono ancora più bassi, perché la geotermia assicura una flessibilità di utilizzo da riscaldamento autonomo, con una semplicità di gestione e la quasi totale assenza di spese di manutenzione. Insomma, nel caso di una

ristrutturazione edilizia o della costruzione di un nuovo palazzo, è davvero inconcepibile non usare la geotermia. La casa geotermica si vende bene perché, accoppiandola poi con il fotovoltaico con accumulo, si può davvero arriUn altro aspetto da vare vicini al considerare è che l’elisogno di una minazione del ricorso bolletta zero”, alla combustione per il aggiunge il vice riscaldamento invernale e la produzione di acqua presidente di Giga. calda per scopi igienici e sanitari, soprattutto Un altro aspetnei grandi centri abitati, to da consicontribuisce al miglioderare è che ramento della qualità l’eliminazione dell’aria grazie all’elidel ricorso alla minazione di emissioni combustione di gas inquinanti quali NOx, SOx e del particoper il riscaldalato di combustione mento invernale e la produzione di acqua calda per scopi igienici e sanitari, soprattutto nei grandi centri abitati, contribuisce al miglioramento della qualità dell’aria grazie all’eliminazione di emissioni di gas inquinanti quali NOx, SOx e del particolato di combustione. Altro punto di forza è l’eliminazione dell’impatto architettonico e acustico degli impianti di condizionamento, visto che le geosonde sono interrate e quindi ‘invisibili’, mentre le apparecchiature a pompa di calore,

di per sé intrinsecamente silenziose, vengono installate in locali tecnici interni agli edifici. Ma dove vanno a finire i soldi investiti in queste soluzioni? Vero è che i produttori di pompe geotermiche sono in gran parte esteri, ma nella parte relativa allo scavo dei pozzi e all’installazione delle sonde, che assorbono la gran parte delle spese, dominano le competenze italiane, tanto che si stima che oltre l’80% dell’investimento nella geotermia a bassa entalpia abbia ricadute dirette sul sistema economico nazionale. Insomma, se sinora il mercato italiano della geotermia a bassa entalpia è stato lontano dai livelli raggiunti nel Nord Europa, molti elementi fanno pensare a una riduzione del gap nei prossimi anni.

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Energia | Soluzione geotermia

UNA SPINTA DA INCENTIVI E NORMATIVA

Il calore spinge dal sottosuolo di Gianluigi Torchiani

no dei fattori che più sta spingendo la crescita di questa tecnologia è, senza dubbio, la normativa in vigore. Il punto di riferimento principale della normativa in materia è il Dlgs 28/2011, il cosiddetto Decreto Rinnovabili che, all’Art. 11 e nel relativo Allegato 3, ha introdotto l’obbligo, al fine di ottenere il rilascio del titolo edilizio per nuovi edifici o edifici sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, che gli impianti di produzione di energia siano progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso a energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e del 35% di quelli energetici complessivi quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è presentata dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016 (tale percentuale sarà portata al 50% dal 1 gennaio 2017). Per quanto riguarda, invece, gli edifici esistenti la geotermia a bassa entalpia è favorita dal programma di detrazioni fiscali per la riqualificazione edilizia: con la Legge di Stabilità 2014 (Legge 27 dicembre 2013 n. 147) sono stati prorogati, per tutto il 2014, gli sgravi fiscali sulle ristrutturazioni edilizie e gli interventi di risparmio energetico. Per l’anno in corso continuano, quindi, a essere usufruibili sia la detrazione fiscale del 50% sulle ristrutturazioni edilizie (ex 36%), prorogata per tutto l’anno, sia quella del 65% sugli interventi di risparmio energetico (che è quella da utilizzare per la geotermia

a bassa entalpia). Ambedue sono state addirittura prorogate per tutto il 2015, pur se in misura ridotta. Più precisamente, e salve ulteriori modifiche, la detrazione del 65% su interventi di risparmio energetico si abbasserà al 50% con esclusione degli interventi eseguiti su parti comuni condominiali o che interessino tutte le unità immobiliari di cui si compone il condominio, per i quali resterà al 65% fino al 30 giugno 2015, per poi ridursi anch’essa al 50% fino al 30 giugno 2016. Le detrazioni fiscali non costituiscono, però, l’unica modalità di sostegno: la sostituzione dei tradizionali sistemi di climatizzazione invernale con impianti dotati di pompe di calore geotermiche è ammessa agli incentivi del Conto termico, erogati dal GSE in 2 annualità. Oltre i 35 kW di potenza, il contributo è spalmato su 5 anni. Per richiederlo occorre presentare domanda al GSE entro 60 giorni dalla conclusione dei lavori. Altra novità destinata a supportare notevolmente la geotermia a bassa entalpia è l’introduzione, a partire dal primo luglio 2014, della nuova tariffa D1. Il consumo elettrico aggiuntivo derivante dall’utilizzo delle pompe di calore era, infatti, sfavorito dalla tariffazione vigente. La nuova tariffa D1 sarà quindi non progressiva, cioè le componenti variabili in funzione dell’energia elettrica consumata avranno un costo ben definito (in €/kWh) non crescente all’aumentare dei consumi come oggi avviene per le tariffe D2 e D3. Dunque, sostanzialmente, il costo medio della fornitura sarà decrescente all’aumen-

Gli obblighi sulle rinnovabili in edilizia, le detrazioni fiscali e le nuove tariffe elettriche spingono la geotermia a bassa entalpia tare del fabbisogno, perché i costi fissi si spalmeranno su un numero maggiore di chilowattora consumati. A partire dal 2016, con la fine della fase sperimentale, la D1 dovrebbe applicarsi a tutte le utenze domestiche. Incredibilmente, anche da un punto di vista autorizzativo, non esistono particolari complessità: il panorama normativo italiano riguardante l’autorizzazione alla realizzazione di sonde geotermiche a circuito chiuso è sì piuttosto diversificato, ma, in generale, si sta indirizzando alla massima semplificazione, come già avviene in Lombardia, dove è sufficiente una semplice registrazione informatica per sonde di profondità inferiore ai 150 metri (DGR 11383 del 10 febbraio 2010). In molte altre regioni è sufficiente l’utilizzo della S.C.I.A (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Nel caso di impianto a sonde orizzontali la profondità massima di scavo non supera, normalmente, i due metri e, quindi, non è necessario richiedere alcuna autorizzazione. Per quanto riguarda le installazioni geotermiche che sfruttano come sorgente

l’acqua di falda, la normativa che in Italia regola il settore fa riferimento alla legge nazionale in materia di acque e tutela del sottosuolo (testo unico ambientale D.lgs 152/2006). Passi avanti sono stati fatti anche per rendere la geotermia il più possibile sicura, efficiente e funzionale, salvaguardando nel contempo i vari risvolti ambientali, grazie all’adozione di una serie di norme tecniche da parte del CTI (Comitato termoLa nuova tariffa D1 sarà tecnico italiano). Si quindi non progressiva, tratta della UNI cioè le componenti varia11466:2012 - Rebili in funzione dell’energia elettrica consumata avran- quisiti per il dimensionamento e la no un costo ben definito (in €/kWh) non crescente progettazione - che all’aumentare dei consumi definisce i criteri come oggi avviene per le di progettazione tariffe D2 e D3 e le procedure di calcolo per la determinazione delle prestazioni di progetto degli impianti a pompa di calore geotermica. La norma, inoltre, permette di determinare le temperature medie mensili del fluido termovettore lato terreno, che servono per determinare le prestazioni energetiche delle pompe di calore ai fini della certificazione energetica degli edifici. La seconda norma è la UNI 11467:2012 - Requisiti per l’installazione - che definisce le metodologie di perforazione, le procedure di realizzazione delle geosonde e dei test di risposta geotermica, i requisiti di scelta, di installazione e i limiti di funzionamento delle pompe di calore e delle altre apparecchiature

dell’impianto; le caratteristiche dei fluidi di geoscambio e di perforazione, dei materiali di riempimento e di geoscambio; i macchinari, gli utensili, le attrezzature di realizzazione delle geosonde e per i test di risposta geotermica; la stesura della documentazione e dei rapporti di realizzazione. La terza è la UNI 11468:2012 - Requisiti ambientali - che stabilisce una procedura di valutazione del livello di compatibilità ambientale degli impianti geotermici a pompa di calore. Il CTI ha pubblicato anche la UNI 11517:2013 - Sistemi geotermici a pompa di calore - che mette nero su bianco i requisiti per la classificazione delle imprese che realizzano scambiatori geotermici - la norma definisce anche i requisiti per la qualificazione delle imprese che realizzano scambiatori geotermici. La norma, in particolare, descrive i requisiti, le capacità tecniche, organizzative, gestionali, economiche e finanziarie che un’impresa deve possedere per poter eseguire le attività peculiari presso i propri clienti. Infine, c’è la UNI TS 11487:2013, che riguarda l’installazione di impianti a espansione diretta: questa specifica norma definisce i requisiti per l’installazione degli impianti a espansione diretta con scambiatori di calore orizzontali.

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Energia | Soluzione geotermia

NUOVI PROGETTI E RISTRUTTURAZIONI

Questo caldo è per tutti di Gianluigi Torchiani

L’utilizzo della geotermia a bassa entalpia nell’edilizia è ormai una realtà consolidata, tanto che sono numerosi i progetti già realizzati, con vantaggi economici per gli utenti

utilizzo della geotermia a bassa entalpia nell’edilizia non è solo un’utopia, ma qualcosa di estremamente concreto ormai da alcuni anni. Oltre al comparto residenziale, anche gli edifici del settore terziario sono particolarmente adatti all’utilizzo di pompe di calore geotermiche per via degli elevati fabbisogni, non solo di riscaldamento, ma soprattutto di raffrescamento estivo. Un caso esemplare è quello di Ikea Italia che, in linea con la sua politica tradizionalmente “green”, ha realizzato nel nostro Paese alcuni punti vendita dotati di impianti di geoscambio a bassa entalpia tra i più grandi d’Europa. Più nel dettaglio, cinque punti vendita sono equipaggiati con un impianto di geoscambio, tre a ciclo chiuso e due a ciclo aperto. I negozi con impianti a ciclo chiuso sono Corsico (MI), Parma e Rimini; quelli a ciclo aperto, Collegno (TO) e San Giuliano (MI). Entrambe le tipologie sono in grado, attraverso l’ausilio di pompe di calore, di estrarre o cedere calore da/a un sistema (sottosuolo o acqua) per riscaldare o raffrescare il negozio, in funzione delle condizioni climatiche. Nel caso degli impianti a ciclo chiuso, lo scambio termico viene veicolato attraverso l’acqua contenuta in tubi chiusi inseriti nel terreno fino a decine di metri di profondità. Negli impianti a ciclo aperto, invece, lo scambio termico avviene con l’acqua prelevata direttamente dal suolo, tramite l’ausilio di idonei pozzi di emungimento. Ciascun impianto è in grado di coprire quasi completamente le necessità di raffrescamento e riscaldamento dei grandi punti vendita della

Casa svedese. Soltanto in casi estremi, come in estati particolarmente calde, entrano in funzione impianti ausiliari, così da mantenere sempre una temperatura gradevole all’interno dello store. Altri progetti interessanti in ambito terziario sono quello di Conselice, in provincia di Ravenna, dove nel settembre 2013 è stato inaugurato il supermercato InCoop dalla Coop Adriatica, capace di contenere del 40% i consumi energetici e di ridurre del 40% le emissioni inquinanti, proprio attraverso un sistema di riscaldamento e condizionamento tramite pompa di calore geotermica, in grado di prevedere differenti zone climatiche in funzione delle attività che si svolgono nelle diverse aree del negozio. Passando all’estero, in Austria, nella regione meridionale della Carinzia, nel 2007 è stato realizzato Atrio, definito “il centro commerciale più sostenibile del mondo”, tanto da aver ricevuto tra il 2007 e il 2011 ben sette premi internazionali per la sostenibilità e la responsabilità sociale. Nel complesso austriaco il calore della terra viene reperito attraverso 652 pali trivellati che sostengono le fondamenta della struttura. Il calore è raccolto dal terreno e accumulato per poterlo sfruttare durante tutto l’anno: nei mesi freddi per il riscaldamento e nei periodi più caldi per il raffrescamento dell’edificio. Grazie all’impiego della geotermia, Atrio copre circa la metà del proprio fabbisogno energetico, evitando così l’immissione in atmosfera di 500 tonnellate di anidride carbonica ogni anno. Per quanto riguarda l’ambito residenziale, a Roma c’è da segnalare il

caso del complesso immobiliare Rinascimento Terzo, realizzato dal Gruppo Mezzaroma. Già da due anni 266 appartamenti sono serviti da un impianto di ultima generazione (definito dall’azienda come il più grande d’Europa), mentre al termine dei lavori saranno ben 20 gli edifici alimentati, per complessivi 950 alloggi. All’interno del Rinascimento Terzo l’impiego della geotermia fornisce alle abitazioni il riscaldamento e il raffrescamento, attraverso un campo di geoscambio composto da 190 geosonde che raggiungono i 150 metri di profondità senza interferire con la falda acquifera. Il caso è importante perché dà un’idea dei vantaggi economici garantiti dal geotermico alle famiglie: nei primi due anni di vita della residenza c’è stato un risparmio economico in bolletta del 40% rispetto a edifici di analoghe dimensioni che non utilizzano energia verde. Assumendo che la domanda energetica degli appartamenti tradizionali abbia un costo medio in bolletta di 1.770 euro l’anno, quella degli inquilini del Rinascimento Terzo si aggira intorno ai 1.000 euro. Non si deve, però, pensare che il geotermico sia riservato solo all’edilizia “di lusso”: nei mesi scorsi a Brescia, in località Sanpolino, è stato realizzato il complesso residenziale Bird, un progetto di edilizia residenziale promosso da Regione Lombardia, Aler di Brescia e Comune di Brescia per rispondere alle esigenze abitative degli anziani. Per riscaldare in inverno, raffrescare in estate e produrre acqua calda sanitaria per i 52 alloggi e il centro servizi, è stato installato un parco di 86 speciali sonde a spirale a servizio di

Nelle foto, la struttura “Il Giardino dei Piccoli”, nel centro storico di Figline Valdarno (Fi): lavori per la realizzazione dell’impianto geotermico

tre centrali geotermiche, per una potenza termica di 113,4 kW e 290.531 kwh di energia prodotta annualmente; grazie all’abbinamento con il fotovoltaico, si evita ogni anno l’immissione in atmosfera di 75 tonnellate di anidride carbonica. Il geotermico, però, è adatto non solo alle nuove abitazioni, ma anche alle ristrutturazioni edilizie: nel centro storico di Figline Valdarno (FI), una serie di edifici antecedenti al 1900 sono stati riconvertiti nella struttura “Giardino dei piccoli”, per un totale di 39 unità abitative di varie metrature. La geotermia gioca un ruolo molto importante: l’impianto qui realizzato è costituito da 48 sonde verticali inserite nel terreno a una profondità di 126 metri e un locale tecnico contenente due pompe geotermiche, una da 195 kW per la climatizzazione (riscaldamento/ raffrescamento), una da 33 kW per la produzione di acqua calda sanitaria e relativi accumulatori a puffers. L’impianto è stato ideato per poter fornire il 100% di riscaldamento, raffrescamento/deumidificazione e acqua calda sanitaria durante le varie fasi climatiche annuali. Il comfort abitativo è garantito dal sistema radiante a pavimento installato, mentre il risparmio economico nella gestione dell’impianto è assicurato principalmente dal COP (Coefficient of Performance) della macchina geotermica, ma anche dai contabilizzatori e dai termostati delle unità abitative.

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Speciale

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Energia | Soluzione geotermia

Smart Energy Expo

L’OSTACOLO DEI COSTI D’INVESTIMENTO

Se dieci anni vi sembrano troppi... di Gianluigi Torchiani

Secondo Alex Fabbro, product manager della Hoval, il mercato maggiore per la geotermia a bassa entalpia è soprattutto nel Nord Italia

n’azienda da tempo impegnata nel settore della geotermia è Hoval, la società di Grassobbio (Bergamo) attiva in diversi rami del riscaldamento e del comfort abitativo. Ne abbiamo parlato con Alex Fabbro, product manager Hoval. All’interno della vostra variegata offerta per il riscaldamento domestico, che importanza ha la geotermia a bassa entalpia? Il segmento delle pompe di calore a bassa entalpia ha già da anni un trend positivo di vendita. Confrontando però la crescita esponenziale delle pompe di calore ad aria, si nota che, per via del clima favorevole che abbiamo in Italia e per gli elevati costi di investimento di un impianto geotermico, la tendenza è di premiare soprattutto le pompe di calore aria/acqua, mentre sistemi con pompa di calore a bassa entalpia sono richiesti soprattutto su grandi impianti. Si tratta di un settore che affrontate da diversi anni? Che evoluzione avete riscontrato nel tempo? La nostra azienda costruisce già dagli anni Settanta pompe di calore e la richiesta aumenta ogni anno. Pompe

di calore a bassa entalpia sono state installate all’inizio principalmente per l’uso domestico, poi, con il passare degli anni e con l’aumento dell’affidabilità e l’incremento della potenza, è aumentata anche l’installazione di queste macchine su impianti più grandi come condomini e industrie. Quali sono i motivi principali che spingono i consumatori a scegliere una soluzione di questo tipo? Un grosso passo, che ha fatto aumentare notevolmente l’interesse all’installazione di pompe di calore in generale, è stato il Decreto n. 28 del 3 marzo 2011, che prevede, per le nuove costruzioni, l’obbligo di una quota minima del consumo che deve essere soddisfatta da fonti rinnovabili. Attualmente una nuova costruzione deve soddisfare il fabbisogno complessivo per riscaldamento, raffrescamento, se presente, e produzione di acqua calda sanitaria con una percentuale del 35% e in contemporanea il 50% della produzione di acqua calda sanitaria da fonte rinnovabile. Proprio grazie a questo decreto anche la sensibilità delle persone a installare impianti ecosostenibili sta aumentando sempre

di più. Oltre al Decreto Rinnovabili, anche il Conto termico e le detrazioni fiscali hanno dato un notevole contributo allo sviluppo positivo e all’aumento dell’interesse verso le pompe di calore. Per quanto riguarda il costo d’investimento iniziale, secondo voi rappresenta una vera barriera per il cliente? In quanti anni si ha il payback? Il costo dipende molto dalla tipologia di costruzione e dalla coibentazione, ma in media si aggira intorno ai 20.000 euro, dunque è elevato. Il tempo di ammortamento di un impianto con pompa di calore geotermica dipende da molti fattori. Fondamentale è con quale altro generatore di calore viene confrontato il sistema e se viene usato anche per il raffrescamento estivo. Per dare un’indicazione di massima, confrontando la pompa di calore per riscaldamento e raffrescamento con un impianto a gas e solare termico, necessario per coprire il fabbisogno prescritto dal decreto, l’impianto si ammortizza in 8-10 anni. LEGGI

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Energia | Speciale Smart Energy Expo

SMART ENERGY EXPO DALL’8 AL 10 OTTOBRE 2014

L’efficienza si incontra a Verona I patrocini dell’Expo

di Gianni Parti

Torna l’evento più importante sull’efficienza energetica. Tre giorni per operatori ed esperti di settore che avranno respiro internazionale, ospitando anche gli Stati Generali dell’Efficienza Energetica

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Ph. E. Di Donna

anca ancora qualche mese, ma le date sono già state fissate e i preparativi in corso. Dall’8 al 10 ottobre prossimi, infatti, tornerà a Verona lo Smart Energy Expo con la sua seconda edizione. Chi c’era, o ha seguito anche sul nostro canale youtube (http://www.tekneco.it/archivioeventi/smart-energy-expo-2013/) la manifestazione, sa già che si tratta della prima manifestazione internazionale dedicata all’efficienza energetica e alla “white-green economy”. Smart Energy Expo parla soprattutto agli operatori professionali e si caratterizza come fiera “B2B” o, in altri termini, come una piazza altamente professionalizzata in cui domanda e offerta possono incontrarsi: professionisti e operatori di settore, certo, ma non solo perché, come ricordano gli organizzatori, si tratta anche di «un luogo dove consumatori finali, industriali, privati cittadini e pubbliche amministrazioni possono conoscere, valutare, scegliere strumenti e intraprendere

azioni concrete e convenienti per fare efficienza». Organizzatori che poi si concretizzano nell’ente fieristico veronese vero e proprio, Veronafiere, che si avvale di una partnership tecnica con EfficiencyKNow e di un comitato scientifico di rilievo, fra i quali Edoardo Battisti, Roberto Benato, Cristina Corazza, Luigi De Paoli, Claudio Di Mario, Tullio Fanelli, Alessandro Ortis, Marco Pezzaglia, Fausta Rosaria Romano e Federico Testa. Senza considerare i numerosi patrocini istituzionali e scientifici. Con Smart Energy Expo Veronafiere intende «affermarsi come punto di riferimento nel mercato della white-green economy, la cui crescita è destinata a proseguire fino al 2020 nel breve termine (per effetto delle direttive europee e della Strategia Energetica Nazionale) e fino al 2050 nel lungo termine (per effetto della roadmap dell’Unione Europea)». La manifestazione, continuano dalla Fiera, guarda all’efficienza energetica attraverso le due leve principali

i numeri del 2013

9000 Operatori 120 Espositori 150 Marchi rappresentati 140 Giornalisti accreditati 95% degli Operatori e degli Espositori sono soddisfatti o molto soddisfatti di Smart Energy Expo 2013 51% degli Operatori in visita sono decisori finali di acquisto: Direttori Responsabili, AD o Presidenti

che possono permettere di raggiungerla: la prima è quella della diminuzione degli sprechi nei processi di trasformazione e nei consumi finali e la seconda riguarda la produzione di sempre più energia in modalità diffusa, con rendimenti crescenti, privilegiando un impiego delle fonti che sia economicamente vantaggioso e rispettoso dell’ambiente. I protagonisti di questa filiera sono perciò soggetti che intervengono in molteplici punti del sistema energetico e agiscono in maniera pressoché trasversale: sistemi di monitoraggio e gestione intelligente di elettricità, calore e acqua, isolamento degli edifici, cogenerazione ad alto rendimento, biomasse e auto elettriche. Anche se solo al secondo anno, l’obiettivo che Smart Energy Expo intende raggiungere non sembra davvero così distante, anzi, possiamo tranquillamente affermare che molti operatori già guardano al prossimo appuntamento di ottobre come un punto di riferimento nazionale ed europeo per tutte quel-

le tecnologie, prodotti o soluzioni di processo improntati ad una moderna politica energetica razionale, dalla produzione alla distribuzione, fino all’utilizzo intelligente dell’energia. «Smart Energy Expo punta alla creazione di una rete che metta a sistema tutti i soggetti coinvolti dalle nuove politiche del Governo in materia di efficienza energetica, con un focus specifico sul tema dei finanziamenti, attraverso il coinvolgimento degli attori interessati, anche in vista della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Unione Europea nel secondo semestre del 2014, di cui Smart Energy Expo sarà interlocutore attivo». L’altro elemento importante della manifestazione sarà il Verona Efficiency Summit, forum internazionale che aprirà, come l’anno scorso, il Salone nella giornata inaugurale. Mentre il 9 ottobre Smart Energy Expo ospiterà gli Stati Generali dell’Efficienza Energetica, momento conclusivo della consultazione pubblica promossa da Enea. «L’obiettivo della consultazione è di

La manifestazione ha ricevuto il patrocinio di: Commissione Europea, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, Ministero dello Sviluppo Economico, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Regione del Veneto, Provincia di Verona, Comune di Verona, ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani), ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile), GSE (Gestore dei Servizi Energetici), RSE (Ricerca sul Sistema Elettrico), Politecnico di Milano, Università degli Studi di Padova e Università degli Studi di Verona.

chiamare a raccolta tutti gli attori interessati all’efficienza energetica per contribuire a definire le politiche e le misure necessarie alla crescita di un settore fondamentale per il recupero della competitività del Sistema Paese, anche sulla base delle esperienze già positivamente acquisite da operatori pubblici e privati». LEGGI

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Energia | Speciale Smart Energy Expo

Gli eventi di avvicinamento

AL VIA ANCHE IL VERONA EFFICIENCY SUMMIT

Un tavolo per disegnare il futuro

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di Gianni Parti

Torna l’incontro internazionale in cui saranno all’opera i policy maker nazionali e internazionali per confrontarsi sul tema dell’efficienza energetica Ph. E. Di Donna

d aprire la prima edizione del Verona Efficiency Summit lo scorso anno erano stati niente di meno che il premio Nobel per la Fisica Steven Chu e David Sandalow della Columbia University, entrambi passati per la poltrona di sottosegretario all’Energia degli Stati Uniti, e per il 2014 non ci si aspetta nulla di meno. L’evento, come del resto anche nel 2013, apre lo Smart Energy Expo e si terrà proprio nella giornata inaugurale dell’8 ottobre. Attraverso la partecipazione di importanti stakeholder nazionali ed esteri, il Summit – spiega Veronafiere, l’ente organizzatore – mira a sviluppare proposte concrete di policy sull’efficienza energetica, partendo dall’analisi dello stato dell’arte del settore. Si tratta di un momento cruciale in cui riflettere sulle best practice dell’industria italiana, sulle politiche internazionali e sul futuro energetico del nostro Paese. Il Verona Efficiency Summit sarà, quindi, un’occasione unica in cui vedere all’opera, insieme, i policy ma-

ker nazionali e internazionali che si confrontano sul tema dell’efficienza energetica. Il Summit si propone come un laboratorio interdisciplinare per l’innovazione e come uno strumento di indirizzo, volto a creare un network di alta competenza in vista della presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea nel secondo semestre del 2014; all’Italia spetterà, infatti, un ruolo essenziale nel proporre e negoziare pacchetti legislativi sui principali dossier di policy. Nello stesso periodo, è previsto un importante check-up sullo stato di avanzamento verso il raggiungimento degli obiettivi del Pacchetto Clima-Energia “20-20-20” e il recepimento in Italia della Direttiva europea 2012/27/UE sull’efficienza. D’altronde il successo della prima edizione non è solo nel nome di illustri partecipanti stranieri, ma anche di quelli italiani fra i quali, per esempio, c’è stata Claudia Canevari, vice direttore dell’Unità per l’efficienza energetica della Direzione generale energia della Commissione europea;

i numeri del 2013

300 Operatori partecipanti accreditati 90% dei partecipanti ha valutato il Summit come un momento buono o molto buono per le relazioni di business ed il networking 90% dei partecipanti ha valutato i relatori buoni o molto buoni 83% dei partecipanti ha valutato i contenuti buoni o molto buoni 8 primarie aziende sponsor: A2A, Acotel, Edison, Enel, E.ON, Fiamm, Rebuilding Network, Siemens

Giovanni Lelli, commissario ENEA; Sara Romano, direttore generale per l’energia nucleare, le energie rinnovabili e l’efficienza energetica del ministero dello Sviluppo economico; Andrea Tinagli, capo della divisione infrastrutture, enti locali ed energia Italia e Malta della Banca europea per gli Investimenti; Massimo Mucchetti, presidente della Commissione industria del Senato . Nella scorsa edizione, infatti, è stata messa a punto un’agenda concreta per l’efficienza energetica, definendo alcune azioni prioritarie: maggiore efficienza nell’uso di fondi disponibili e reperimento di nuove risorse, sicurezza delle reti, attuazione di un piano di ristrutturazione antisismica del patrimonio edilizio nazionale, gestione efficiente degli immobili della Pubblica Amministrazione, promozione di un uso più efficiente del suolo e politiche per la valorizzazione e il riutilizzo dei rifiuti. Il Verona Efficiency Summit ha fornito un quadro completo di riferimento dello stato dell’arte del settore e una chiave interpretativa per orientarsi

Il percorso che porterà alla prossima edizione dello Smart Energy Expo e del Verona Efficiency Summit è già cominciato e ricercatori, amministratori pubblici, politici, industriali ed esperti di settore hanno iniziato un fitto lavoro fatto di incontri, tavole rotonde e seminari per disegnare una mappa che porterà alla futura geografia energetica del Paese. Il primo è stato a pochi mesi dalla chiusura dell’Expo del 2013, a dicembre dello scorso anno, con il convegno “Obiettivo 2014: efficienza energetica e sviluppo. Un nuovo modello industriale”, svoltosi alla Camera dei deputati a Roma. «L’efficienza energetica – ha spiegato in quella occasione Ettore Riello, presidente di Veronafiere – rappresenta uno dei pilastri su cui costruire una moderna politica industriale sostenibile. Attraverso Smart Energy Expo e il Verona Efficiency Summit, Veronafiere si fa soggetto attivo nel riunire i più importanti stakeholder del mondo dell’energia e nel fare chiarezza all’interno di questo settore». Il 19 febbraio 2014, poi, è stata la volta del convegno “Rinnovabili termiche ed efficienza energetica, un nuovo modello possibile”, svoltosi proprio durante l’evento fieristico di Verona Progetto Fuoco. L’appuntamento di febbraio aveva come obiettivo quello di far luce sui meccanismi di incentivazione dell’efficienza energetica delle rinnovabili termiche, coinvolgendo, oltre ai protagonisti dello Smart Energy Expo, quelli di Legno Edilizia, del Salone delle bioenergie all’interno di Fieragricola e, ovviamente, di Progetto Fuoco. Il 15 aprile si è, poi, approfondito il recepimento della Direttiva europea sull’efficienza energetica. Agenda dei lavori, percorso istituzionale e politiche di sviluppo. Il 6 maggio si è dato il via alla consultazione via web sugli Stati Generali dell’efficienza energetica, attraverso un convegno che ha coinvolto il Politecnico di Milano ed ENEA. Il 13 giugno si è aperto un tavolo con l’industria dell’alluminio, i cui processi produttivi, incluso il riciclo, costituiscono la più importante risorsa per la competitività del settore e possono garantire una riduzione del 79% delle emissioni di CO2 dirette e indirette del settore entro il 2050. Il tema è stato trattato nell’ambito di Metef, fiera di riferimento in Italia per l’intera filiera dell’alluminio e i metalli tecnologici, durante il convegno “Comparto dell’alluminio ed evoluzione dell’efficienza energetica”. Infine, ma solo per il momento e per noi che dobbiamo andare in stampa, (ma per chi vuole saperne di più in diretta c’è lo speciale sul nostro sito: http://www.tekneco.it/ archivio-eventi/smart-energy-expo-2014/) il 27 giugno scorso a Legnaro (PD) è stato il momento di affrontare “L’efficienza delle filiere agroforestali e agroalimentari”.

nell’individuazione degli strumenti tecnico-normativi più adatti alle proprie esigenze e ai diversi profili di business. Il Summit ha creato un network interdisciplinare tra imprese, operatori finanziari, mondo scientifico e istituzionale, approfondendo alcuni aspetti tecnico-normativi ed economico-finanziari che verranno sviluppati nell’edizione 2014.

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Ecologia | Tessile sostenibile

IL CICLO DI VITA DI UN PRODOTTO

Sulla rotta di un capo “verde” di Veronica Caciagli e Letizia Palmisano

I capi d’abbigliamento e, più in generale, i tessuti per essere concretamente sostenibili devono attraversare un lungo ciclo di verifiche, dalla loro nascita come filati fino al loro smaltimento

L’industria tessile è una delle industrie con la più lunga e complicata catena di produzione industriale – si legge in apertura del report dell’Unione europea “Environmental Improvement Potential of Textiles (IMPRO-Textiles)” –. Impiega operatori dei settori agricoli delle fibre chimiche, tessili e abbigliamento, commercianti di vendita all’ingrosso e al dettaglio, servizi, trattamento dei rifiuti. È un’industria frammentata ed eterogenea, dominata da piccole e medie imprese, che compongono più dell’80% del mercato”. Il Dipartimento dell’Ambiente, dell’Alimentazione e degli Affari Rurali (Defra) ha calcolato in oltre 500 miliardi di sterline il valore del comparto abbigliamento a livello globale, con oltre 26 milioni di persone impiegate. Questa storia di successo nasconde, però, il suo lato oscuro: l’alto impatto ambientale e sociale lungo il ciclo di produzione e dopo l’uso. Combinata con l’aumento dei consumi, appare chiaramente la necessità di rendere più sostenibile quest’importante fetta della nostra economia. Cosa significa rendere quest’industria

più sostenibile? Idealmente, occorre minimizzare gli impatti ambientali e sociali negativi lungo tutto il processo. Il ciclo di vita inizia nella fase di produzione: dalla materia prima, ad esempio nella coltivazione del cotone, per arrivare alla fibra, al filo, al tessuto e, infine, alla produzione del capo di abbigliamento. Seguono poi la distribuzione e l’utilizzo, con l’impatto dei lavaggi, asciugature e stirature. Per ultimo, il fine vita del prodotto, con l’eventuale riuso o riciclo, oppure il conferimento in impianto di incenerimento o discarica. Ci sono, quindi, diverse maniere per cui un capo di abbigliamento può dirsi sostenibile, o, almeno, più sostenibile. Ad esempio, con la produzione con tessuti in cotone biologico, ottenuto senza l’utilizzo di prodotti chimici nell’agricoltura; oppure con la canapa, che non richiede l’uso di pesticidi ed erbicidi; con l’utilizzo di macchinari, come lavatrici ed asciugatrici, nella produzione che consumano meno energia. Per gli aspetti di carattere sociale, si possono scegliere vestiti a marchio Fair Trade, che garantisce eque condizioni

lavorative. La sostenibilità dell’abbigliamento è, quindi, un fenomeno complesso e variegato, con catene della produzione che spesso travalicano i confini nazionali e continentali e, perciò, rendono difficoltosa la trasparenza dei processi. Dal punto di vista ambientale, secondo il già citato report IMPRO-Texiles dell’Unione europea, le fasi che incidono di più, causando conseguenze negative sull’ambiente, sono la produzione e l’utilizzo: in particolare, gli impatti ambientali maggiori sono associati alla coltivazione del cotone, sia per la quota di produzione di tessuti che per la natura della sua produzione. La sostituzione del cotone con altre fibre, come lino e canapa, rientra tra le 13 azioni prioritarie selezionate per ridurre gli impatti ambientali del settore abbigliamento in Europa. Le analisi suggeriscono che è possibile un significativo miglioramento degli impatti: il Defra ha elaborato anche un piano di azione, la Sustainable Clothing Roadmap, finalizzato a migliorare la performance ambientale e sociale del settore dell’abbiglia-

mento, costruendo sulle iniziative già esistenti un percorso di azioni coordinate con vari stakeholder della filiera produttiva. Una semplice azione per ridurre l’impronta ecologica dell’abbigliamento è a disposizione di tutti: il riciclo. LA RACCOLTA DIFFERENZIATA DEL TESSILE

Cosa avviene ai vestiti dismessi gettati nei secchi della raccolta? Spesso il nostro interesse finisce con il conferimento, ignorando così l’esistenza di un mondo, quello dell’abbigliamento usato, che vive un periodo di profonda evoluzione. Tale mercato è, infatti, profondamente legato a quello dei vestiti nuovi e, in anni di crisi economica, la riduzione del ricambio degli abiti ha come conseguenza una diminuzione del conferimento dei prodotti tessili di seconda mano. DIFFICILE CHIAMARLO RIFIUTO

Di solito un abito usato non viene considerato un rifiuto - come posto in evidenza da Edoardo Amerini, presidente del CONAU (Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati), nell’in-

tervento al Forum La Moda Sostenibile 2012 [http://www.youtube.com/ watch?v=Al1rUL5J6MY] – e quindi, invece di buttarlo, si dà in beneficenza. “Il tessile usato viene definito rifiuto per esigenza normativa, - ha specificato Amerini - ma la sua storia è differente. Per questa ragione in Italia e in tutti i Paesi occidentalizzati sono presenti cassoni per la raccolta separata degli indumenti usati”. Tra quelli conferiti, ben il 70% è idoneo al riutilizzo. Il materiale non riutilizzabile è impiegato quale materia prima seconda per realizzare pezzame, materiali per l’imbottitura e materiale fonoassorbente. Solo una parte residua, quindi, è destinata allo smaltimento. In Europa è posta grande attenzione al riciclo di quel che il DM 5 febbraio

1998 definisce “materiale costituito da indumenti, accessori di abbigliamento ed altri manufatti tessili confezionati di lino, cotone, lana, altre fibre naturali, artificiali e sintetiche, non impregnati da oli, morchie, non contenenti materiali impropri”. In tal novero rientrano indumenti ed accessori di qualsiasi materiale, scarpe, guanti, borse, ecc., ma anche altri manufatti (lenzuola o tovaglie) di materiale tessile. Grazie ai dati forniti dal Consorzio Nazionale dell’Abbigliamento Usato e dal Rapporto “Italia del Riciclo 2011”, emerge che in Europa sia stimabile un consumo medio annuo pro-capite di 10 kg di abbigliamento e accessori e una intercettazione di rifiuto di queste frazioni merceologiche di circa il 70%. In Italia tale stima si attesta


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Ecologia | Tessile sostenibile

Il settore tessile rispetto agli impatti e alla fase del ciclo di vita Uso 100

Trasporto

Produzione

27

48

Analisi del Ciclo di Vita (Life Cycle Assessment, LCA) della produzione e del consumo del tessile

Fine vita

42

80

Primo uso del prodotto

2 72

60

5

5 48

40

Riuso Produzione e lavorazione del prodotto finale

54

20

Riciclo

Distribuzione

Smaltimento (Inceneritore, discarica)

0

-1

-1

Uso di seconda mano

-2

-20 Salute umana

Biodiversità

Disponibilità di risorse

Fonte: susproc.jrc.ec.europa.eu

su circa 14 kg l’anno e i dati della raccolta, anche se in crescita negli ultimi anni, non sono soddisfacenti. La frazione tessile copre circa l’1% dei rifiuti organici avviati al riciclaggio. Se nel 2008 venivano differenziate solo 80.000 tonnellate di tessile (pari a 1,3 kg pro-capite) nel 2012, secondo il Rapporto Rifiuti Solidi Urbani 2013 dell’ISPRA, si è saliti a 99.900 tonnellate, arrivando a 1,7 kg pro-capite, pari a circa il 12% del totale riciclabile e nelle città con più di 200.000 abitanti il dato sale a 1,81 kg. Al Nord si sono registrati 2.0 kg nel 2011 e 1.9 kg nell’anno successivo, al Centro si è passati da 1.9 a 2.1 kg, mentre al Sud il dato è stabile a 1,1 kg, anche se la regione regina di questa classifica è la Basilicata con 2.7 kg. Per quanto attiene le grandi città, Verona è la prima con 3,56 kg, seguita da Roma con 2,97 (dati 2011). In relazione alla presenza o meno nei comuni di una raccolta differenziata organizzata per il tessile nel 2011, i dati si attestavano al 61,2% nei comuni del Nord, 57,5% del Centro e 41,1% del Sud. Secondo “L’Italia del riciclo 2011”, l’obiettivo da raggiungere dovrebbe essere tra i 3 e i 5 kg, arrivando a raccogliere 240.000 tonnellate di frazione tessile che garantirebbe un risparmio annuo sui costi di smaltimento dei rifiuti urbani di 36 milioni di euro e una forte riduzione delle emissio-

Fonte: susproc.jrc.ec.europa.eu

ni di CO2 grazie all’immissione nel mercato di materie prime seconde e al risparmio di materie vergini. Uno studio condotto nel 2008 dall’Università di Copenaghen evidenzia che il riciclo di 1 kg di vestiti garantirebbe, in media, 3,6 kg di CO2 non emessi, un risparmio di 6.000 litri di acqua e la riduzione di 0,3 kg di fertilizzanti e di 0,2 kg di pesticidi. GLI ATTORI DELLA RACCOLTA DEL TESSILE

I sistemi di raccolta - come evidenziato dal “Rapporto Nazionale sul Riutilizzo 2012” stilato dall’Occhio del Riciclone - sono nati per scopi di beneficenza con sistemi porta a porta. Da 20 anni, invece, il sistema utilizzato è quello dei classici cassoni gialli. Alle Onlus e agli enti caritatevoli sono andati affiancandosi cooperative sociali. In alcuni casi la raccolta di indumenti è curata direttamente dalle aziende di igiene urbana. La più grande realtà del settore a livello nazionale è Humana, che gestisce 15.000 tonnellate (circa il 15% del totale nazionale) grazie a 3.600 cassoni ubicati in Piemonte, Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, Marche ed Abruzzo. Una quota minore, ma significativa, è intercettata da reti abusive che trattano tali merci a scopi commerciali, sebbene dichiarino spesso di agire per beneficenza. Le reti di raccolta donano i capi a chi

ne ha bisogno, gestiscono direttamente negozi vintage o producono pezzame. Nel resto dei casi le merci vengono vendute agli intermediari. In Italia la maggior parte degli intermediari e dei grossisti di tessile usato si trova nella zona di Prato ed Ercolano. Le attività si sviluppano dalla semplice commercializzazione dei prodotti così come acquisiti, anche verso mercati esteri, al trattamento (igienizzazione inclusa), classificazione e distribuzione finalizzati alla rivendita attraverso i venditori (ambulanti) italiani o per realizzare pezzame o altri prodotti derivati. In merito alla vendita al dettaglio, secondo i dati dell’Occhio del Riciclone, il numero degli ambulanti in questo settore oscilla tra le 4.000 e le 6.000 unità, i negozi in conto terzi che trattano l’abbigliamento usato dovrebbero essere sui 4.000, mentre quelli senza formula conto terzi intorno agli 800. Numeri importanti sono quelli delle esportazioni: l’Italia si colloca al settimo posto a livello mondiale, con flussi rivolti in particolar modo verso Paesi a reddito pro-capite basso.

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Come migliorare la sostenibilità

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Nel report dell’Unione europea “Environmental Improvement Potential of Textiles (IMPRO-Textiles)” sono state identificate 52 azioni potenziali di miglioramento dell’impatto ambientale del ciclo di produzione dei tessuti e dell’abbigliamento, che è stata poi ridotta a 13 azioni selezionate in base a rilevanza, potenziale di impatto, legislazione esistente, disponibilità e affidabilità dei dati di impatto ambientale. Le azioni afferiscono alle fasi del ciclo di vita del prodotto: 1. Produzione: riduzione dell’uso di prodotti chimici in agricoltura; sviluppo di produzioni agricole alternative al cotone, come canapa o lino; riduzione del consumo di “sizing chemicals”; sostituzione di prodotti chimici con enzimi; uso di tecniche di maglieria alternative; utilizzo di tinture e macchine per la tintura; riutilizzo dell’acqua. 2. Distribuzione: riduzione del trasporto aereo. 3. Utilizzo: diminuzione delle temperature di lavaggio; riduzione nell’utilizzo delle asciugatrici; ottimizzazione del carico dei macchinari; miglioramento dell’efficienza energetica di lavatrici/asciugatrici. 4. Fine vita: promozione del riuso e riciclo.


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Ecologia | Tessile sostenibile

LA RICERCA INCONTRA LA PRODUZIONE

Vita nuova per la lana toscana di Veronica Caciagli

Un progetto che fonde ricerca e mercato per garantire prodotti di qualità, recuperando la lana di scarto per darle nuova vita

a senso oggi mettere in atto una politica produttiva sostenibile da applicarsi al settore tessile, per la produzione di prodotti tessili naturali radicati nel territorio di riferimento e confezionati recuperando le tecniche tradizionali della sartoria artigianale? Da questa domanda è nato in Toscana il progetto Tessile & Sostenibilità, promosso da IBIMET– CNR e dalla Fondazione per il Clima e la Sostenibilità (FCS) per la costruzione di una microfiliera del settore tessile. Un progetto affascinante, che lega allevamenti, tecnologia e design: ci è stato raccontato da Francesca Camilli dell’IBIMET. Come è nato il progetto Filiera del Tessile Sostenibile? Ogni anno in Toscana vengono prodotte circa 500 tonnellate di lana grezza, di cui circa l’80% da razza sarda, di cui solo una parte viene utilizzata nella produzione di tappeti rustici e riempitivi di materassi. Infatti, una quantità significativa di lana grezza è considerata materiale

di scarto e viene smaltita come rifiuto speciale, con un notevole costo economico, o indirizzata verso filiere non nazionali, o smaltita non correttamente con danni ambientali. Proprio con l’obiettivo di dare un nuovo valore a questa risorsa è nata, alcuni anni fa, la proposta di verificare la fattibilità di una filiera laniera toscana che parta dal recupero di lane locali e arrivi alla confezione di prodotti tessili. Successivamente, la proposta si è evoluta nel progetto Filiera del Tessile Sostenibile (FTS), un’iniziativa che ha riunito mondo scientifico, istituzioni e partner imprenditoriali: è finanziato dal Dipartimento di Scienze Bioagroalimentari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, con un partenariato composto da Unioncamere Toscana, IBIMET-CNR (Istituto di Biometeorologia del Consiglio Nazionale delle Ricerche), la Fondazione per il Clima e la Sostenibilità, l’Istituto di Ricerca sull’Impresa e lo Sviluppo, il Centro Interdipartimentale di Biometeorologia, l’Università degli Studi di Firenze.

In che modo sono coinvolti gli artigiani toscani? L’output finale atteso dal progetto Filiera del Tessile Sostenibile sono i prototipi tessili: perciò, nelle diverse fasi di realizzazione dei tessuti, sono state coinvolte aziende della manifattura tessile industriale e artigiana pratese e toscana con competenze e conoscenze specifiche nella produzione di tessuti e nella confezione di capi di abbigliamento che più si adattano alla natura dei tessuti. Va tenuto conto, infatti, che la particolare struttura delle fibre delle lane locali, in particolare la lana da razza sarda allevata in Toscana utilizzata nel progetto, consente di ottenere dei tessuti che presentano determinate caratteristiche di “mano”, riconducibili a quella di tessuti quali il loden o il tweed. Inoltre, nell’evento finale che si è tenuto il 27 marzo scorso a Firenze, è stata organizzata un’esposizione nella quale sono stati coinvolti artigiani, designer, stilisti che hanno messo a disposizione le proprie competenze nella valorizzazione dei

tessuti prototipali prodotti nel progetto. Qual è stato il ruolo di IBIMET? Già da diversi anni IBIMET-CNR si occupa di progetti di valorizzazione di risorse agroambientali dei territori rurali non abbastanza “sfruttate”, attraverso lo studio di possibili costruzioni o ricostruzioni di processi produttivi e di economie locali sostenibili. Nella prima fase del progetto, nel 2011, IBIMET si è occupato della caratterizzazione delle fibre di queste lane, soprattutto delle lane sarde toscane, e dell’analisi sensoriale applicata ai tessuti, i cui risultati sono stati messi a confronto con analisi di laboratorio. Nella seconda fase, che riguarda gli anni 2012-2014, IBIMET si è concentrato sullo studio dell’uso e del riuso dei residui di lavorazione delle lane locali, al fine di valutare come utilizzare tutti i materiali utilizzati nella filiera. In particolare, si è occupato di una prima valutazione dell’impiego in agricoltura di scarti di lavorazione laniera, utilizzati se-

condo diverse modalità e tipologie di dispositivi agro-tessili, al fine di valutarne la funzionalità ammendante-concime e pacciamante nel settore floro-vivaistico. Le attività di studio sul reimpiego di scarti sono state rivolte anche al settore dei biocompositi, in collaborazione con ISTEC-CNR di Faenza. Una filiera di produzione di capi di abbigliamento che utilizzino lane locali sarebbe economicamente sostenibile? Questo è un progetto che ha portato ad una produzione prototipale, per cui ancora non c’è una produzione “a regime” di questi tessuti, ma tra le finalità c’è proprio quella di valutarne l’aspetto economico. Perciò sono state fatte delle stime sia rispetto ai costi di produzione che ai possibili mercati interessati a capi di abbigliamento confezionati con questa filiera. Riguardo ai costi complessivi di produzione di capi di abbigliamento realizzati con queste lane, si può dire che sono comparabili ai costi di lavorazione di altre lane. Rispetto ai

mercati potenzialmente interessati, una ricerca condotta dal partner CERIS-CNR ha stimato che in Italia esiste un mercato aperto e interessato all’acquisto di capi prodotti con lane locali: il campione, costituito da oltre 900 intervistati, si è dimostrato aperto all’acquisto di un prodotto certificato italiano. Secondo la ricerca, sono fondamentalmente due i fattori che più di tutti influenzano l’acquisto di capi di abbigliamento: il costo e il design. http://www.tessilesostenibilita.it/ it/nuovo-progetto

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Ecologia | Tessile sostenibile

DALLA CHIMICA PERICOLOSA ALLE SOLUZIONI GREEN

La conceria che non ti aspetti di Veronica Caciagli

Più del 50% della materia prima usata nella conceria diventa scarto, senza contare la grande quantità di prodotti chimici che un tempo venivano dispersi nell’ambiente. Oggi esistono nuovi modi di conciare le pelli, più sostenibili e convenienti

uando si parla di green economy si pensa immediatamente ad alcuni settori, come quello delle energie rinnovabili o del biologico. La green economy è in realtà un concetto più ampio, una riconversione del sistema produttivo e industriale che attraversa tutte le produzioni di beni e servizi, anche e soprattutto quelle più inquinanti. Ecco allora che uno dei settori che negli ultimi anni ha compiuto più progressi dal punto di vista della riduzione dell’impatto ambientale è un settore che non ti aspetti: quello dell’industria conciaria. Chi, come me, è nato nel “Comprensorio del Cuoio”, il distretto industriale compreso tra Santa Croce sull’Arno, Castelfranco di Sotto e San Miniato, conosce bene l’importanza economica dell’industria del pellame sul territorio. Negli anni ‘70 e ‘80 chiunque nella zona avesse a disposizione un fondo commerciale o persino un garage avviava la sua piccola attività collegata alla pelle: nacquero così decine di calzaturifici, solettifici, tomaifici,

tacchifici, guardolifici, stamperie e ogni altra piccola fabbrica per la lavorazione della scarpa. Ad alimentare tutti i processi di trasformazione che avevano un’unica finalità: le concerie. A quei tempi non si parlava di protezione dell’ambiente e i processi produttivi, frammentati tra centinaia di piccoli e piccolissimi imprenditori, non avevano la benché minima velleità di controllo degli impatti. Intanto, nell’Arno non si poteva più andare a pescare e a fare il bagno, ma era un sacrificio accettato per il nuovo benessere economico. Sull’industria conciaria l’Italia conserva una leadership indiscussa a livello mondiale: secondo il report “GreenItaly – La concia: reti, territori e sostenibilità”, del 2011, realizzato dalla Camera di Commercio di Pisa, Unioncamere e Symbola, nonostante la crisi economica e la concorrenza internazionale, in Italia si realizza ancora il 66% della produzione conciaria europea e il 16% di quella mondiale (dati dell’Unione Nazionale Industria Conciaria). Inoltre, a caratterizzare il nostro Paese è anche una propensio-

ne all’esportazione, con una quota sul valore dell’export mondiale del 27%: quasi una pelle su tre è made in Italy. Circa il 90% della produzione deriva dai tre maggiori distretti industriali: ad Arzignano in Veneto, a Solofra in Campania e nel ”Comprensorio del Cuoio” in provincia di Pisa. Nella concia vengono utilizzate sostanze che si fissano alle fibre della pelle per impedirne la decomposizione e permettere, così, le lavorazioni successive che portano alla produzione di capi di abbigliamento e calzature. Il processo di conceria più diffuso è quello al cromo, che utilizza dei “bottali”, ovvero delle macchine simili a grandi lavatrici, con l’utilizzo di prodotti chimici concianti. Forse proprio le profonde conseguenze degli impatti delle concerie sull’ambiente e sulla salute umana hanno spinto il Comprensorio del Cuoio e gli altri principali distretti italiani a un lento e progressivo cambiamento, con una nuova cultura ambientale che sta trasformando il settore conciario. Una cultura della sostenibilità che si sta diffondendo soprattutto per i maggiori impatti, ovvero gestione delle acque, produzione di rifiuti ed emissioni in atmosfera. Secondo il report GreenItaly, dal 2002 al 2010 l’incidenza dei costi ambientali sul fatturato è passato dall’1,9% del 2002 al 4% del 2010, dato che conferma il crescente impegno ambientale delle concerie, soprattutto nella gestione delle acque. La conceria, infatti, impiega grandi quantitativi di acqua, che a fine processo devono essere avviati alla depurazione: in azienda solitamente si procede a un pre-trattamento, mentre nei principali distretti sono stati istituiti dei consorzi per la depurazione degli scarichi che trattano la maggior parte delle acque reflue. Le concerie inviano, quindi, le acque utilizzate ai depuratori, che separano i fanghi di risulta. I fanghi vengono poi trattati in altri impianti, come l’impianto di Ecoespanso di Santa Croce sull’Arno. Ancora, nel Comprensorio del Cuoio opera un altro consorzio, il Cuoiodepur, che con la collaborazione delle Facoltà di Agraria di Pisa e Piacenza, conduce sperimentazioni sul riutilizzo in agricoltura dei fanghi

prodotti dalle aziende che conciano al vegetale, basato su concianti naturali come i tannini, estratti dalla corteccia delle piante: dalla sperimentazione è stato avviato il progetto Fertilandia per la produzione di un nuovo fertilizzante di natura organica, il cosiddetto “pellicino integrato”. Per quanto riguarda i rifiuti, occorre considerare che solo il 20-25% della materia prima in entrata diventa prodotto finito; il resto è scarto, che viene differenziato in alte percentuali: le percentuali di raccolta differenziata, dal 2002, non sono mai scese al di sotto del 91% dei rifiuti prodotti, fino a toccare, nel 2010, il massimo storico, ossia il 98% (fonte: Unione Nazionale Industria Conciaria - Rapporto Ambientale relativo al periodo 20022010). Alcuni sottoprodotti sono riutilizzati, come il pelo, che può essere recuperato e riutilizzato come feltro, e il carniccio, utilizzato per la produzione di saponi o in agricoltura. Inoltre, anche al fine di limitare i costi collegati alla depurazione, negli ultimi A Santa Croce sull’Arno è attivo il Consorzio Recupero Cromo, un impianto centralizzato per il recupero del cromo trivalente dalle acque esauste del processo conciario

anni si sta investendo nella riduzione dell’impatto a monte del ciclo produttivo, ovvero nella diminuzione del consumo di acqua, che è stato ridotto del 23,5% dal 2002 al 2010, e nella riduzione del livello di inquinanti negli scarichi idrici. Ad esempio, a Santa Croce sull’Arno è attivo il Consorzio Recupero Cromo, un impianto centralizzato per il recupero del cromo trivalente dalle acque esauste del processo conciario. Il cromo recuperato è poi riciclato nei processi produttivi aziendali, sostituendo il 20-35% del sale di cromo fresco, con un vantaggio sia di tipo economico che ambientale. http://www.symbola.net/assets/files/ concia.7novembre_1320771150.pdf LEGGI

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LA NUOVA FILIERA DEGLI ABITI DI SECONDA MANO

L’occasione fa l’uomo, ma anche la donna, “green” di Letizia Palmisano

Il mercato degli abiti usati è in crescita ed ecosostenibile. Con un successo senza precedenti nel settore infanzia. I dati di Leatron

egli ultimi anni, il flusso degli abiti usati è stato intercettato, in percentuale sempre crescente, dai “mercatini dell’usato”. Organizzati come negozi di vendita in conto terzi, sono luoghi ove, da un lato, un numero sempre maggiore di persone preferisce orientare i propri acquisti di oggetti usati per la “minore sensazione di screditamento” data dal poter far compere all’interno di un negozio anziché, ad esempio, presso una bancarella e, dall’altro, sono meta crescente di persone che portano beni che non usano più per rivenderli. All’interno di tali spazi l’abbigliamento riveste una quota significativa. Ad esempio, in due tra le principali catene italiane, Mercatopoli e Baby Bazar, come conferma Alessandro Giuliani - direttore della Leotron, società proprietaria dei due brand - “la categoria di prodotti abbigliamento/calzature raggiunge percentuali di vendita vicine, o addirittura superiori, al 40%” dei beni venduti. Giuliani conferma, inoltre, che in

questo momento storico “aprire un negozio di abiti usati può essere un’ottima opportunità imprenditoriale, in particolar modo dato il periodo di trasformazione che vede la società diventare, giorno per giorno, meno consumistica e più ecosostenibile”. “Secondo la mia opinione - ci ha spiegato Giuliani - la crisi economica ha portato alla necessità di una Con il cambio di mentalità sociale, l’usato è sempre più “metabolizzato” nel tessuto economico e diffuso in tutte le fasce sociali

maggiore attenzione alle varie possibilità e il negozio dell’usato viene scelto sia da coloro che necessitano di risparmiare, sia da quelli che desiderano guadagnare dalle cose che non utilizzano più”. Oltre a ciò, un’altra spinta - ci conferma il direttore - è sicuramente data dalla accresciuta consapevolezza ecologica tra la popolazione. All’aumento del numero di compratori e venditori, si è affiancata an-

che la crescita della qualità dei capi e quindi anche del prezzo medio dei prodotti venduti. “I più belli si vendono più in fretta e ciò consente di sostenere un po’ di più il prezzo”, continua Giuliani il quale ha poi precisato che nelle due catene, a garanzia degli acquirenti, sono previsti dei criteri di selezione da superare quali pulizia, stagionalità e, ovviamente, l’essere alla moda. Ci sono poi dei prerequisiti da rispettare: “l’acquirente oggi predilige un luogo pulito e luminoso, impostato come negozio. Vuole un’attività con regole chiare e assoluta trasparenza”. Con il cambio di mentalità sociale, l’usato è sempre più “metabolizzato” nel tessuto economico e diffuso in tutte le fasce sociali, “anche le più abbienti, proprio come avviene in tutti gli altri Paesi europei” e ognuna con le proprie esigenze, tanto che oramai è difficile individuare un profilo medio degli acquirenti, ma anche dei venditori. Basti pensare che anche la principessa norvegese Mette-Marit ha venduto i

propri abiti usati nel mercatino on-line più diffuso della Norvegia, bloppis.no, per beneficienza. “E se lo fa una principessa può, ovviamente, farlo chiunque”, sottolinea Giuliani. I vestiti che vanno per la maggiore sono quelli firmati, soprattutto nella fascia baby ove il numero di capi, anche nuovi, è davvero alto, anche in considerazione del fatto che, grazie alla rapida crescita dei pargoli, gli indumenti vengono indossati spesso in pochissime occasioni. Vanno molto anche gli abiti da donna e le scarpe “come nuove”, ovvero portate in vendita per un acquisto errato

o perché non piacciono o non sono facilmente abbinabili. Il settore dei mercatini ha registrato un andamento positivo negli ultimi anni, ma gli operatori intravedono dei limiti ad un pieno sviluppo del settore, quali - ci specifica Giuliani - alcune incongruenze legislative, come il fatto che non vi sia un codice Atecofin dedicato, il 22% di IVA sulla provvigione e la tassa sui rifiuti spesso equiparata a quella delle attività commerciali tradizionali, nonostante i negozi dell’usato operino fattivamente nella riduzione dei rifiuti.

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COME APRIRE UN NEGOZIO DI ABBIGLIAMENTO USATO

Ecco le regole da rispettare

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Volete aprire un mercatino dell’usato dedicato all’abbigliamento? Ricordatevi che l’impostazione del locale, la qualità dell’esposizione e la comunicazione pubblicitaria definiranno il target della clientela. Ecco i consigli di Alessandro Giuliani. Il negozio deve essere aperto in un comune di almeno 70.000 abitanti, perché nei piccoli comuni le persone si conoscono più facilmente tra loro e ciò disincentiva, per ragioni sociali, l’acquisto di capi usati. In un comune più popoloso, invece, è più facile che le persone accettino lo stile “seconda mano”. L’estensione del negozio dovrebbe essere di almeno 200 mq, dovrebbe trovarsi possibilmente vicino a un supermercato alimentare e poter utilizzare un parcheggio comodo nelle immediate vicinanze. L’immagine del negozio dovrà poi essere curata in ogni dettaglio, garantendo uno spazio luminoso, pulito, ordinato e alla moda. Va poi superato il concetto del “non si butta via niente” in favore di una selezione attenta degli abiti, che dovranno essere assolutamente perfetti, stirati, profumati e di stagione - come accade in ogni negozio di vestiario - con un occhio particolare alle griffe. L’offerta dovrà, poi, essere completata con gli accessori, in primis borse e scarpe. L’obiettivo? Il ceto sociale medio-alto, sensibile al risparmio, ma anche all’ecosostenibilità. Caratteristiche che non potranno mancare saranno, infine, passione, costanza e caparbietà. Linkografia utile: http://bloppis.no/ http://www.leotron.com/

Progetti


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PROGETTO

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Dal tabacco alla green economy: come rinasce un territorio Progetto: Kengo Kuma

Il Progetto Manifattura di Borgo Sacco nasce per sviluppare nuove idee di impresa e far collaborare in rete esperienze, competenze e attività diverse. Sulle ceneri di una fabbrica di tabacchi nasce oggi la Green Innovation Factory

I dati del progetto

TRENTINO ALTO ADIGE

San Siro

Bolzano

di Marco Gisotti Trento Borgo Sacco

Immaginate una società, insediata fra i monti del trentino, che si regga sull’economia della seta, sulla bachicoltura. Immaginate quella stessa economia all’improvviso venire meno. Immaginate, allora, l’impero austroungarico del tempo rimboccarsi le maniche e decidere di fondare tutta una nuova filiera basata sull’industria del tabacco. Per grandi linee è quello che è successo nell’area di Rovereto – più precisamente a Borgo Sacco – alla metà dell’Ottocento. Qui il tabacco si lavorava già da tre secoli e l’intera industria era andata a svilupparsi attorno alle masere. Quando un’epidemia di pebrina colpì i bachi da seta di tutta Europa rendendoli incapaci di produrre la loro preziosa bava, l’intero settore fu spazzato via nel giro di brevissimo tempo. Fu così che divenne necessario ricostruire il tessuto socio-economico del territorio e il 20 marzo del 1851 fu sottoscritta la convenzione tra il Regio Ministero delle Finanze austriaco ed il Comune di Sacco. Il costo complessivo per l’epoca fu enorme: 175.000 corone. Borgo Sacco mise a disposizione il terreno e le materie prime, ma anche la vicina Rovereto partecipò, donando del denaro (4.000 fiorini) e due spine d’acqua potabile (del valore di 1.600 fiorini). In appena tre anni lo stabilimento Manifattura Tabacchi fu inaugurato. Qui trovavano lavoro quasi mille donne (arriveranno a duemila all’inizio del Novecento), le cosidette “zigarane”, da “zigaretta”. Si tratta, di fatto, del più grande esperimento di industria tessile femminile non tessile.

Chi pensasse che si trattava di un lavoro poco qualificato e poco salariato sbaglierebbe. Le lavoratrici dovevano seguire un corso di formazione di un anno intero prima di apprendere il mestiere e un asilo interno consentiva di non dover abbandonare i figli a casa. Il salario era buono al punto che sposare una zigarana era considerato un vero colpo di fortuna. Il declino cominciò già negli anni Venti: nel 1935 il numero di addetti era di 700. Nonostante l’ammodernamento della struttura nei decenni successivi, l’avvicinarsi degli anni Duemila non portò nulla di buono. Se nel 1999 la fabbrica dava lavoro a 270 persone, cinque anni dopo, nel 2004, il numero era sceso ancora ad appena 154. Il 31 marzo 2008 Manifatture Tabacchi chiude. PROGETTO MANIFATTURA GREEN INNOVATION FACTORY

«L’idea in fondo è la stessa che ebbero gli Asburgo all’epoca – spiega Gianluca Salvatori, che è stato prima l’ideatore del Progetto e poi l’amministratore delegato –: quella di ricostruire un’economia partendo dal basso. Loro avevano messo il management, il prodotto e creato il mercato, noi qui oggi abbiamo messo il terreno su cui sorgerà il Progetto Manifattura, il materiale edile per costruirlo e il lavoro». Un immenso incubatore d’impresa – e d’impresa green occorre aggiungere – che recupera i vecchi spazi storici della Manifattura Tabacchi e che prevede, al posto dei vecchi capannoni ormai demoliti, lo sviluppo di un’area dove pro-

PROGETTISTA Kengo Kuma & Associates COMITATO DI INDIRIZZO Giulio Andreolli, Fondazione Caritro; Paolo Cagol, CGIL, CISL, UIL Trentino; Daria de Pretis, Rettore, Università degli studi di Trento; Gianni Lazzari, Amministratore delegato, Distretto Tecnologico Trentino S.c.a r.l.; Luca Libardi, Coordinamento provinciale imprenditori; Andrea Miorandi, Sindaco, Comune di Rovereto; Alessandro Olivi, Assessore all’Industria Artigianato e Commercio, Provincia autonoma di Trento; Francesco Salamini, Presidente, Fondazione Edmund Mach; Andrea Simoni, Segreteria generale, Fondazione Bruno Kessler PROGETTO FINANZIATO DA Fondi FAS UBICAZIONE Progetto Manifattura Srl Piazza Manifattura 1 38068 Rovereto, Italia TIPOLOGIA INTERVENTO Ristrutturazione DESTINAZIONE D’USO Edilizia pubblica ANNO DI REALIZZAZIONE 2009-2015 CONTATTI Telefono +39 0464 443313 Fax +39 0464 443312 e-mail info@progettomanifattura.it www.progettomanifattura.it

muovere la cultura d’impresa, praticare il trasferimento tecnologico, esercitare la formazione universitaria e ospitare le attività produttive. Un lavoro colossale reso possibile dall’uso di Fondi FAS e che dal 2009, anno della sua ultimazione, segue un rigoroso master plan realizzato da una squadra di realtà diverse (Arup, Kengo Kuma & Associates, Carlo Ratti Associati, Kanso) con competenze di analisi economica ed aziendale, progettazione strategica, progettazione urbanistica ed architettonica. La stesura del master plan, che definisce le linee-guida del progetto, ha coinvolto una pluralità di soggetti, a partire dal Comitato di indirizzo della società, ed è stata discussa in diversi incontri pubblici, con l’obiettivo di promuovere la formazione di una comunità locale di specializzazioni nell’ambito della clean technology e del green building, che costituiscono le due aree prioritarie di Progetto Manifattura. «Il master plan presenta la visione generale di una nuova Manifattura - spiegano i documenti ufficiali del Progetto – incardinata su due elementi principali: sostenibilità e innovazione. Sostenibilità: il master plan definisce i criteri per rendere l’ex Manifattura Tabacchi un caso esemplare di utilizzo di soluzioni e tecnologie “pulite”. Sia il restauro degli edifici storici sia la costruzione delle nuove strutture, che sostituiranno i capannoni degli anni ‘50, risponderanno agli standard più avanzati di efficienza energetica e di riduzione dell’impatto ambientale, conseguendo la certificazione LEED. L’architettura della Manifattura avrà il compito di promuovere uno stile di lavoro e di vita ecosostenibile. Innovazione: il master plan individua un criterio di uso degli ambienti che mira ad incoraggiare creatività e interazione. La progettazione degli spazi di lavoro e delle aree pubbliche è prioritariamente orientata all’obiettivo di favorire, ospitare e rappresentare pubblica-

mente quei processi di open innovation ai quali Progetto Manifattura si ispira, congiuntamente ad una forte identità architettonica».

Una foto storica del complesso; in basso, il nuovo logo

CHI VIVE NEL PROGETTO MANIFATTURA?

Casa anche del Green Building Council di Habitech e del Centro di ricerca bioinformatica Cosbi, attualmente il Progetto Manifattura punta sulle due aree Greenhouse e Green Innovation Factory dove le idee di impresa nascono e si trasformano in start up. Una quarantina di imprese che occupano circa 150 persone, alcune strutturate e ormai ben avviate, altre costituite da singoli professionisti con un’idea da sviluppare. Ciò che accomuna tutte le storie che qui sono presenti è quella di professionisti già affermati che, ad un certo punto della loro carriera, hanno deciso di rimettersi in gioco e diventare imprenditori nel senso più pieno del termine. C’è Claudio Peroni, 33 anni, ingegnere elettronico, “ditta individuale” che nell’area Greenhouse, la “serra” delle idee del Progetto Manifattura, dopo sette anni di lavoro conto terzi ha trovato il suo ufficio dove investire in proprio per lo sviluppo di sistemi di semplificazione della gestione energetica. Ci sono Melina Benetton (nessuna parentela…) e Nicola Dorosz, argentini arrivati da molti anni in Italia, che nella Greenhouse stanno sperimentando da un anno la loro idea di un progetto manifatturiero che utilizzi come materia prima esclusivamente prodotti di scarto. Circa un terzo delle idee di impresa ospiti della Greenhouse diventano imprese vere e proprie. La “master class” è la Green Innovation Factory. Qui si è più strutturati, l’azienda è a tutti gli effetti partita e al lavoro. Come Oros, Alessandro Pezzani e Nadia Manfredi, che nel settore degli infissi hanno capito quanto sia preziosa la flessibilità di realizzazione dei progetti e sono oggi impegnati in molteplici attività anche di grande importanza (la ristrutturazione di un

liceo di Lucca, di cui raccontiamo più avanti in questo numero di Tekneco, ne è un esempio). C’è la Witted, un’azienda di sette soci, età media 32 anni, che hanno investito nel greentech. Oppure MDS - Macro Design Studio che svolge attività di consulenza in materia di sostenibilità energetico-ambientale. Citarle tutte sarebbe lungo, ma un aspetto interessante, che le accomuna tutte, è quello di aver trovato non solo un luogo che le ospiti e le assista nei momenti di evoluzione dell’impresa, migliorando cioè i progetti o aiutandoli ad emergere, ma il fatto stesso che tante realtà diverse lavorino in un “condominio” le induce inevitabilmente e proficuamente a collaborare. Si creano scambi di idee e di esperienze e, non è insolito, si possono sviluppare progetti più complessi dove occorrono le competenze di tutti. LEGGI

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PROGETTO

Ph. F. Badocchi

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Un tetto verde dopo le demolizioni

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Nell’autunno 2012 sono iniziati i lavori di demolizione degli edifici produttivi collocati nell’area dell’ ex Manifattura adiacente al Lungoleno, quella che il master plan definisce “ambito B”. Queste opere hanno concluso la fase di sistemazione del sito in previsione degli scavi e della successiva realizzazione dei nuovi moduli produttivi progettati da Kengo Kuma. Le demolizioni hanno riguardato quasi 130.000 metri cubi di volumi edificati rappresentati dai fabbricati industriali costruiti negli anni ’60 per ospitare i grandi macchinari per la produzione industriale delle sigarette. Tali fabbricati lasceranno spazio ad un ampio parcheggio sotterraneo e a otto nuovi moduli in legno e alluminio, moderni, sostenibili e connessi fisicamente all’ambiente circostante grazie alla loro copertura verde accessibile al pubblico. Gli edifici previsti sul Lungoleno ospiteranno, invece, un mix di funzioni di servizio alle imprese ed al pubblico (tra cui un auditorium polifunzionale, spazi per la ristorazione, un centro fitness e un centro per la formazione). Il progetto prevede di ottenere, primo in Italia, la classe “Platinum” di certificazione LEED NC Italia per un insediamento produttivo. Ma non sono solo le nuove costruzioni ad essere progettate secondo i più alti standard di sostenibilità: anche i lavori di demolizione sono stati progettati per ridurre al minimo l’impatto sull’ambiente. Habitech, consulente LEED del progetto di demolizione, ha previsto, infatti, nel Piano per il Controllo dell’Erosione e della Sedimentazione una serie di misure da adottare anche in fase di abbattimento degli edifici. Ad esempio, per limitare al massimo la diffusione delle polveri causate dalle demolizioni, il braccio telescopico dell’escavatore verrà attrezzato con un dispositivo che permetterà di irrorare acqua nebulizzata in corrispondenza del punto di produzione delle polveri. Per evitare, invece, il formarsi di possibili sedimenti nelle reti di smaltimento delle acque meteoriche verranno installati dei teli protettivi nei tombini. Al fine di impedire l’asportazione di terreno dal sito e di preservare la pulizia delle strade circostanti, verrà costruito un impianto di lavaggio ruote dei camion con un serbatoio per le acque nere. Un altro punto molto importante riguarda il tema dei rifiuti e del riciclo. I materiali di scarto derivanti dall’abbattimento delle vecchie strutture saranno, infatti, riciclati per almeno il 75%, con l’obiettivo ambizioso di arrivare al 95%, in accordo con i requisiti necessari per la certificazione LEED. Va, infine, ricordato un ulteriore elemento dell’approccio sostenibile adottato, ovvero il recupero di tutte le componenti impiantistiche ed edili che possono essere reimpiegate quali,

Nelle foto, scorci degli interni; accanto, il plastico del nuovo progetto

ad esempio, controsoffitti, corpi illuminanti, trasformatori, pompe antincendio, generatori, ecc. IL PROGETTO PRELIMINARE La progettazione preliminare dell’intero intervento è firmata dallo studio Kengo Kuma & Associates. Il progetto dei moduli produttivi si prefigge di ottenere la classe “Platinum” di certificazione LEED, primo esempio in Italia di conseguimento di tale obiettivo in edifici industriali. Nelle strutture di copertura si ricorrerà ampiamente all’uso del legno, per un collegamento diretto ad una delle vocazioni costruttive territoriali. L’area nel suo insieme sarà di 32.000 mq, di cui 24.000 dedicati ad attività d’impresa e 8.000 ad uso pubblico, e sarà caratterizzata da un’impostazione che privilegia flessibilità d’uso e facilità di riconfigurazione, adattandosi rapidamente alle esigenze delle imprese insediate. Un grande parcheggio interrato occuperà l’area sottostante ai nuovi edifici. Al di sopra dei nuovi capannoni, le coperture piane saranno contraddistinte da un tetto verde in larga parte praticabile, che fungerà da raccordo pedonale tra il fronte lungo il torrente Leno e gli edifici storici del lato settentrionale, fornendo spazi ricreativi agli abitanti e ai lavoratori della zona. COME SARÀ UTILIZZATO IL PROGETTO MANIFATTURA L’area produttiva di Progetto Manifattura avrà diverse funzioni: il 77% delle costruzioni sarà utilizzato dalle imprese che operano nel mercato della green economy e del green building, il 23% sarà adibito ad uso pubblico (negozi, un bar, una palestra e un training center). È previsto un auditorium con una capienza massima di 700 posti a sedere, molto flessibile e dotato di diversi servizi (come cabine di traduzione e studi di registrazione, spogliatoi e locali di deposito) al fine di ospitare una vasta gamma di attività, tra cui conferenze, spettacoli, mostre e fiere. Inoltre, un tetto verde, che copre il 70% dell’area produttiva, fornirà in modo naturale il raffrescamento per gli edifici sottostanti e offrirà un piacevole percorso dal Lungoleno agli edifici storici di Progetto Manifattura e a Borgo Sacco. Questo tetto sarà irrigato con acqua piovana. Le terrazze sul Lungoleno e di fronte agli edifici storici offriranno un posto per incontrarsi e rilassarsi. Piccoli spazi adibiti a serre, su una

parte del tetto verde, consentiranno alla collettività di coltivare fiori o ortaggi. Una serra fornirà gran parte delle verdure fresche consumate dalle persone che lavorano o visitano Progetto Manifattura. Si sta anche ipotizzando la costruzione di un’area per l’allevamento ittico. Le acque delle vasche dovrebbero essere filtrate e utilizzate in parte come fertilizzante naturale nelle serre e nei giardini. Un parcheggio sotterraneo per 873 veicoli. L’attuazione di questo piano consentirà di ridurre del 40% la quantità di parcheggi, come richiesto dalle normative locali ed in accordo con il piano strategico sostenibile di trasporto con mezzi pubblici ed elettrici. ENERGIA E MISURE CONSERVATIVE Un obiettivo di Progetto Manifattura consiste nel ridurre, rispettivamente, dell’ 85% l’emissione di CO2 e del 50% il consumo di energia primaria. I sistemi energetici adottati per il raggiungimento di questo obiettivo prevedono l’integrazione di diverse tecnologie e il tetto verde ridurrà il fabbisogno di aria condizionata necessaria. I pannelli fotovoltaici saranno in grado di generare fino a 1,1 megawatt di potenza in modo da coprire 1/8 del picco di consumo stimato. Il 50% del fotovoltaico sarà integrato verticalmente nelle facciate meglio esposte al sole, fornendo al contempo una protezione solare per le finestre. Il riscaldamento geotermico (effettuato con pompe di calore) utilizzerà l’energia termica delle acque sotterranee per il riscaldamento e per il raffrescamento. I sistemi di bilanciamento del calore dalle zone troppo calde alle zone troppo fredde riducono significativamente la quantità di energia necessaria per il raffrescamento e il riscaldamento. Un impianto a biomassa da 700 kilowatt abbinato ad un sistema di cinque vasche di 15.000 litri d’acqua ad accumulo sarà in grado di soddisfare una domanda di 3.000 kilowatt, che corrisponde al 80% della domanda complessiva. Il resto della domanda di calore sarà fornito dal sistema di pompa di calore. L’acqua piovana sarà convogliata in serbatoi per l’irrigazione del tetto verde e delle aree intorno al complesso, nonché per gli scarichi igienici.

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Una scuola più efficiente comincia dall’energia Progetto: Francesca Lazzari

A Lucca il liceo Vallisneri vanta oggi un padiglione completamente ristrutturato: nove aule per la didattica, due laboratori linguistici e due laboratori di fisica, oltre a due gruppi principali di servizi igienici.

nella foto a destra, interno di un’aula con i nuovi infissi a taglio termico; in basso, l’esterno del Liceo scientifico Vallisneri di Lucca dopo l’intervento di riqualificazione energetica

I dati del progetto

di Gianni Parti

Lucca

Firenze

Quello al “Vallisneri” è stato un intervento complesso e articolato (portato avanti in diverse fasi, dovendo garantire la disponibilità di una parte di aule per la didattica) con il quale si sono voluti raggiungere obiettivi di sicurezza, di elevato contenimento del fabbisogno energetico e di miglioramento del comfort interno. Un’opera di totale ristrutturazione edilizia del padiglione prefabbricato, costruito dalla Provincia negli anni ’70 come ampliamento del Liceo Scientifico, per rendere più funzionale l’immobile, rinnovandolo anche nell’aspetto esteriore con la realizzazione di un nuovo tamponamento, una parete ventilata e coibentata con infissi altamente isolanti: il risultato è un edificio di circa 3000 metri quadri ad elevata efficienza energetica. L’investimento complessivo dell’amministrazione provinciale per il “Vallisneri” ammonta a circa 3 milioni e 160mila euro di cui 2 milioni dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca, 330mila dalla Regione Toscana e 830mila euro da fondi provinciali. Il primo lotto ha riguardato l’adeguamento sismico dell’edificio tramite il consolidamento statico della struttura in acciaio e il rafforzamento delle fondazioni e dei pilastri con una spesa di 740mila euro. La prima fase dei lavori si è svolta da aprile a novembre 2010 ed è stata eseguita dalla ditta Guidi Gino (in ATI con Magher) per un importo di 485mila euro. La seconda fase dell’intervento si è svolta da novembre 2010 a marzo

2011, la ditta esecutrice è stata ancora la Guidi Gino (stavolta in ATI con MBM) e l’importo dei lavori è stato di 255mila euro. Con il secondo lotto la ditta I.T.I. Impresa Generale ha assunto l’appalto per i lavori di efficientamento energetico dell’involucro e degli impianti, con una spesa totale di 2 milioni e 420mila euro. L’intervento è stato suddiviso in due fasi e al momento è stato completato il primo, relativo all’ala Est. Le opere nel complesso riguardano l’adeguamento energetico e impiantistico, gli interventi di miglioramento funzionale ed il completamento dell’adeguamento alla normativa sulla sismica. È stato realizzato il nuovo involucro di tamponamento esterno con un sistema di parete ad alta efficienza energetica e infissi ad ampia vetratura, dotati di frangisole per migliorare l’illuminazione dei locali e schermare le aule dai raggi del sole durante la bella stagione; nuovi impianti elettrici ad elevata efficienza e un impianto termico radiante a soffitto a basso consumo; sono state create, inoltre, due nuove scale di sicurezza ed è stato completamente rifatto l’anello antincendio per l’intero plesso scolastico. Sono stati revisionati gli impianti dei laboratori di fisica, chimica e dei due laboratori linguistici, le cui postazioni sono state incrementate. È stato ampliato, inoltre, di 250 metri quadri il secondo piano per venire incontro alla necessità di nuove aule, visto l’alto numero di iscritti del li-

TOSCANA

PROGETTISTA Arch. Francesca Lazzari Consulenti Arch. Marco Sala Studio Techne’ IMPRESA I.T.I. Impresa Generale Spa Via Portogallo, 60 – Modena INVOLUCRO Oros Srl – Piazza Manifattura, 1 - Rovereto PROGETTO FINANZIATO DA Fondazione Cassa Di Risparmio Di Lucca, Regione Toscana, Fondi Provinciali UBICAZIONE Via delle Rose – Lucca TIPOLOGIA INTERVENTO Intervento per il contenimento energetico e la riqualificazione architettonica DESTINAZIONE D’USO Edilizia Scolastica ANNO DI REALIZZAZIONE 2012 CONTATTI Oros Srl – Piazza Manifattura, 1 - 38068 Rovereto www.orosinfissi.it


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PROGETTO

Nelle foto: in basso, l’esterno del Liceo scientifico Vallisneri prima dell’intervento; a destra, un interno: sono stati installati nuovi infissi con vetrocamera e telaio in alluminio bassoemissivo

ceo (circa 1.400 studenti in media negli ultimi anni), il che ha consentito di ricavare al piano terra una nuova aula magna da circa 180 posti, dotata di un nuovo impianto fonico. I lavori nell’ala Ovest sono ancora in corso e includono l’installazione del servoscala per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Termineranno, come da contratto, nel mese di marzo. Qui, oltre agli interventi sui tamponamenti e sugli impianti, è in atto anche il completamento dell’adeguamento antisismico. Alla fine dei lavori il vecchio padiglione, completamente rinnovato, ospiterà 19 aule di didattica, 2 laboratori linguistici, 2 laboratori di fisica, 2 laboratori di biologia/chimica, 2 aule da disegno, un’aula magna, oltre a diversi locali di deposito/archivio e quattro gruppi di servizi igienici. Il progetto di ristrutturazione del padiglione del liceo scientifico Vallisneri di Lucca è stato sviluppato nell’ambito del progetto Teenergy Schools, finanziato dal programma europeo Med e presentato come esempio di “buona pratica” nell’ambito del progetto stesso per le strategie adottate riguardo alla ventilazione e al raffrescamento passivo, che rappresentano una problematica molto rilevante nelle scuole e, in particolare, in quelle collocate in fasce climatiche temperate come quella in cui viviamo. Il progetto Teenergy Schools ha riguardato una terna di progetti-pilota sull’architettura scolastica bio-climatica, sviluppati dalla Provincia di Lucca, fra cui rientrano la ristrutturazione e l’adeguamento del corpo principale in muratura del liceo scientifico Vallisneri oltre alla realizzazione di due nuovi edifici scolastici, vale a dire la nuova sede del liceo scientifico Barsanti e Matteucci a Viareggio e la nuova sede del ISIA Simoni a Castelnuovo Garfagnana. “Teenergy Schools”, di cui l’amministrazione provinciale è stata capofila, si è concluso a settembre 2011 e per il lavoro svolto la Provincia di Lucca ha ricevuto al Klimaenergy–Award 2011 il premio speciale per l’attività di formazione. LEGGI

www.tekneco.it/1629

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Il Progetto Teenergy Schools

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“Teenergy Schools” ha puntato ad analizzare i livelli di prestazione energetica dei fabbricati scolastici disposti nelle varie fasce climatiche del bacino mediterraneo per valutare le possibili strategie d’intervento in modo da ridurre le dispersioni, contenere i costi di riscaldamento e di illuminazione e aumentare il comfort degli edifici. I risultati delle analisi hanno consentito di definire le linee guida per le strategie da applicare agli interventi di ristrutturazione degli edifici scolastici e a quelli di nuova costruzione, specificatamente calate sulle condizioni climatiche del bacino mediterraneo e, quindi, perfettamente applicabili ai nostri edifici scolastici. Durante lo svolgimento del progetto Teenergy Schools, la Provincia di Lucca, insieme a Legambiente, ha promosso una rilevante attività di sensibilizzazione sul tema dell’efficienza energetica con particolare riguardo alla popolazione scolastica. Molti studenti sono stati coinvolti in attività di formazione e

hanno risposto ad un questionario orientato a raccogliere dati sulla percezione del benessere interno agli edifici scolastici. Alcune scuole, inoltre, hanno partecipato al progetto, elaborando un proprio lavoro sulla valutazione dell’efficienza energetica del proprio edificio scolastico, indicando alcuni accorgimenti per la riduzione dei consumi. E proprio una classe del liceo scientifico Vallisneri è stata selezionata per la qualità del lavoro svolto aggiudicandosi il premio Teenergy Schools messo in palio dalla Provincia di Lucca consistente in una gita al centro di educazione ambientale Pantarei vicino a Perugia. Gli studenti del Vallisneri, che si erano aggiudicati il premio, hanno quindi partecipato all’iniziativa di consegna delle aule nella prima ala del fabbricato ristrutturato e saranno nuovamente coinvolti nei prossimi mesi per un nuovo questionario nel quale presenteranno le loro considerazioni sul benessere della nuova sede.


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SHOP

Temperature sotto controllo in albergo Panasonic ha presentato un nuovo dispositivo di controllo da remoto per gli alberghi, nato per rispondere all’esigenza - espressa da numerosi albergatori - di disporre di sistemi che garantiscano un risparmio energetico, fornendo allo stesso tempo ai clienti la possibilità di controllare la temperatura della stanza. Il telecomando permette l’utilizzo di svariate funzionalità tra cui on/off, l’indicatore di temperatura, la velocità del ventilatore, il riscaldamento/ raffreddamento e la modalità automatica, consentendo così al cliente di agire su tutti i dispositivi della stanza d’albergo senza rinunciare al massimo comfort. GT

La lampada a goccia rivive con i Led Sotto le sembianze di una classica lampadina a goccia c’è la moderna tecnologia Led. La nuova Philips Clear LED mantiene l’originale bellezza del bulbo classico e per questo diventa una perfetta sostituzione della lampadina standard 40W (forma A60). Il risultato è una lampadina che consente un significativo risparmio energetico e che dura fino a 25.000 ore. La luce, con un output luminoso di 470 lumen, rimane chiara e brillante anche quando viene regolata l’intensità luminosa. Secondo Philips si tratta di un prodotto adatto per il soggiorno e tutti gli altri ambienti dove la qualità della luce può fare la differenza. GT PHILIPS www.philips.it/c/luce-a-led/30019/cat/

PANASONIC www.panasonic.com/it/consumer.html

Isolante completo

L’elettrodomestico che abbatte i gas serra Whirlpool ha abbattuto le proprie emissioni di anidride carbonica del 34%. Questo è il risultato delle azioni d’efficientamento energetico che l’azienda ha messo in piedi dal 2008 negli stabilimenti della regione EMEA, riducendo la CO2 da 0,0041 a 0,0027 tonnellate per unità di prodotto a fine 2013. «Whirlpool aveva da tempo intrapreso azioni per il risparmio energetico - ricorda Davide Castiglioni, Amministratore Delegato Whirlpool EMEA -. Dal 2012 ha istituito un energy workshop per migliorare le performance energetiche nei propri stabilimenti e stabilire procedimenti codificati e ripetibili focalizzati sulle aree con i maggiori margini di miglioramento e in grado di stimolare nuove idee per il risparmio energetico». SF

Il circolatore efficiente per solare termico e riscaldamento tradizionale Askoll Energy Saving ES2 Adapt è un circolatore in grado di capire lo stato di funzionamento dell’impianto per adattare attivamente le sue prestazioni alle necessità contestuali, così da avere alti rendimenti e bassi consumi (fino all’85% di energia elettrica in meno rispetto ai circolatori tradizionali con performance equivalenti). In poche parole, Askoll Energy Saving ES2 si adatta, quasi simultaneamente, a ogni variazione che l’impianto ha durante il corso della giornata, senza alcuna necessità di programmazione preventiva. Askoll Energy Saving ES2 soddisfa, così, quanto previsto dalla direttiva EuP, che impone una drastica riduzione dei consumi energetici di tutti i circolatori a partire dal 1° agosto 2015. Prodotto dall’azienda vicentina Askoll, è utilizzabile sia nel solare termico che nel riscaldamento tradizionale. GT

ROCKWOOL ha introdotto di recente REDArt un nuovo sistema di isolamento termico a cappotto che mette assieme le caratteristiche tecniche e le buone proprietà isolanti della lana di roccia con l’estetica. REDArt fornisce ai professionisti un sistema completo, “chiavi in mano”, nel quale è compreso tutto ciò che occorre per creare un sistema d’isolamento termico a cappotto: malte adesive e rasanti, rete di armatura, finiture ai silicati e siliconiche, fissativi per le finiture, profili di partenza, tasselli e accessori. Al centro del sistema REDArt c’è il pannello rigido in lana di roccia non rivestito a doppia densità ROCKWOOL Frontrock Max E, che offre una buona combinazione di conduttività termica e densità media, assicurando un elevato comfort abitativo sia invernale che estivo. SF ROCKWOOL www.rockwool.co.uk/solutions/facade+systems/redart

WHIRLPOOL www.whirlpool.it/

ASKOLL www.askoll.com/

Tapparelle ad alta efficienza

Commercio in classe A È stato inaugurato a Marghera-Venezia “Nave de Vero”, il nuovo centro commerciale progettato da Tecnostudio che è il primo in Italia ad aver ottenuto la certificazione Breeam (BRE Environmental Assessment Method/Europe Commercial 2009-Retail), ossia uno dei protocolli di valutazione ambientale, a livello internazionale, più rigoroso in fatto di bioedilizia. Tra le soluzioni impiegate nell’edificio ci sono la ventilazione meccanica controllata con recuperatore di calore ad alto rendimento, la realizzazione di una vasca per il recupero dell’acqua piovana, un impianto fotovoltaico e pavimentazioni permeabili fotocatalitiche in grado di abbattere gli inquinanti presenti nell’aria, tutte specifiche che hanno portato l’edificio nella classe energetica A+. SF TECNOSTUDIO www.navedevero.it/

La app che svela il rendimento del biogas Austep ha realizzato BioAPP Biogas Simulator, un’applicazione digitale che permette di calcolare il rendimento di un impianto a biogas. Si tratta di un vero e proprio processo di simulazione che, con pochi passaggi, fornisce una prima idea di quanto biogas si può produrre attraverso l’utilizzo di materie di scarto, riducendo i consumi e risparmiando sui costi. Selezionando le matrici di interesse, aziende agricole, allevatori, comuni, aziende municipalizzate e società di recupero della FORSU è in grado di visualizzare un valore indicativo del rendimento (termico ed elettrico) prodotto dai propri scarti. La app, scaricabile gratuitamente, è disponibile per dispositivi Android (tablet e mobile) negli store digitali di Google. GT AUSTEP www.austep.com/biogas-simulator-austep.html

Arriva il cassonetto per tapparella ad alto isolamento studiato appositamente per la riqualificazione energetica degli edifici. Alpac ha, infatti, messo in commercio PRESYSTEM MyBox, un nuovo cassonetto fatto su misura, fornito con un kit completo per l’installazione e semplice da montare. Una serie di guarnizioni autoespandenti e uno speciale pannello acustico garantiscono una buona tenuta, aumentando così l’efficienza energetica dell’abitazione. PRESYSTEM MyBox assicura una conduttività termica pari a 0,034 W/mK (valore l) e un potere fonoisolante certificato a partire da 51 dB (valore Dn, e, w), con una tenuta all’aria in linea con le prestazioni richieste per le certificazioni CasaClima, eliminando spifferi e condensa e contrastando la formazione di muffe. SF

ALPAC www.alpac.it/it/prodotti/2/presystem-scuri


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Internet & Apps

Libri

a cura di Veronica Caciagli e Letizia Palmisano

a cura di Marco Gisotti

Difendere i mari con lo smartphone App: Marine LitterWatch

Semplicemente Biotiful App: Biotiful

E lo scanner diventa obsoleto App: CamScanner

L’Agenzia europea dell’Ambiente ha messo a punto una App scaricable gratuitamente per difendere i mari europei. Obiettivo: ridurre e prevenire i rifiuti marini grazie alla collaborazione delle comunità locali. Scaricando l’App è possibile inviare all’Agenzia le segnalazioni, ma anche avere informazioni su eventi, comunità e mappe.

Come capire se un prodotto cosmetico è da bollino rosso o verde in un click? Con Biotiful. Applicazione semplice ed intuitiva che permette, inquadrando il codice a barre attraverso il biolettore, di avere l’elenco degli ingredienti, la valutazione ecosostenibile in base all’INCI, ma anche il prezzo medio e gli ml. Non bisognerà più essere piccoli chimici per essere green.

Una App che permette di scannerizzare qualsiasi documento: basta fotografare e centrare gli angoli, l’App CamScanner farà il resto, adattando la foto in formato A4; a questo punto basterà cliccare su “Pdf ” per generare il documento. Unico neo: nella versione gratuita i documenti sono firmati “Generated by CamScanner”, mentre per la versione a pagamento il costo dell’abbonamento mensile è di 4,99$.

www.eea.europa.eu/mobile/apps#marine-litter- www.play.google.com/store/apps/details?id=it. watch biotiful.bioapp

www.play.google.com/store/apps/details?id =com.intsig.lic.camscanner

Econews si rinnova

C.L.A.S.S.: non solo eco-moda

www. econewsweb.it

www. classecohub.org

La sostenibilità nasce dai tessuti www.tessilesostenibilita.it

Da cartaceo diventa un portale - con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e dell’ENEA - a vocazione “2.0” per raccontare a 360° gli aspetti green della società: industria verde, benessere, cibo, viaggi ed ecotecnologia, da riassumere una volta l’anno nell’evento Ecoincentriamoci per fare il punto e ripartire.

C.L.A.S.S: Creativity Lifestyle And Sustainable Synergy. Un network internazionale pronto a mostrare come anche la moda e il settore del tessile possono compiere scelte di sostenibilità ambientale, senza rinunciare al tocco glamour. Oltre al web, è possibile visitare gli ecoshowroom C.L.A.S.S. a New York, Londra, Copenhagen, Madrid e Milano.

Per chi vuole approfondire il tema dell’abbigliamento attento all’ambiente, il progetto “Tessili & Sostenibilità” si presenta anche sul web, raccontando le varie fasi di lavorazione artigianale degli abiti, dalla raccolta della materia prima fino al confezionamento e vendita. Per scegliere di indossare capi di abbigliamento creati nel rispetto dell’ambiente e per recuperare le tecniche tradizionali della sartoria artigianale.

79 Guarda tutti i nostri libri su Anobii: www.anobii.com/ tekneco/books

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Produzione intelligente Un viaggio nelle nuove fabbriche

Manuale dell’apocalisse Sostenibile, democratica, paritaria, solidale

Blue economy

GIUSEPPE BERTA

Einaudi Euro 16,50 – Pagine 168 Giuseppe Berta insegna storia contemporanea e questo approccio si vede tutto in questo libro che analizza i processi produttivi contemporanei delle grandi fabbriche italiane. Mentre molti di noi sono alla ricerca della ricetta più “smart” possibile, spesso pecchiamo di una presbiopia che ci fa perdere di vista alcuni degli esempi più macroscopici. Come la Fiat di Termini Imerese o la Pirelli di Settimo Torinese, per dirne due. Storie molto più complesse di come la cronaca ce le ha restituite, specie la prima. Una transizione sociale, tecnologica, strutturale, architettonica, economica. L’evanescenza delle tute blu che relega certi dibattiti, anche sindacali, al secolo scorso e, magari, ne apre di nuovi tutti da comprendere. La trasformazione della produzione che coniuga il grande (dell’impresa) con il piccolo (della produzione). La riprogettazione secondo schemi che la green economy, per esempio, ha già descritto e che la grande industria, almeno quella italiana, quella proiettata al futuro sta cercando, in una sorta di evoluzione convergente, di acquisire.

ALOK JHA

Bollati Boringhieri Euro 26,00 – Pagine 328 Il mondo finirà. Ma non per il momento. Le grandi apocalissi sembrano scongiurate, ma persistono problemi più urgenti da risolvere che rendono di certo il Pianeta un luogo più angusto di quanto, invece, potrebbe essere. Divulgativo quanto basta, questa specie di manuale ci aiuta a districarci tra bufale, leggende e rischi reali. Cinquanta apocalissi fra cui scegliere e dalle quali comunque imparare, dalle guerre cibernetiche alla crisi alimentare globale, dalle bombe da “fine del mondo” agli asteroidi hollywoodiani. Più che per esorcizzare la paura, un modo per imparare a scansare le catastrofi vere, imparando di genetica, ecologia o climatologia.

GUNTER PAULI

Edizioni Ambiente Euro 25,00 – Pagine 352 L’economia “blu” non è l’economia del mare, come qualche buontempone pensa. La “blue economy” è una definizione più estesa, o più radicale se preferite, della green economy: «La blue economy si basa sull’imitazione dei sistemi naturali, riutilizza continuamente le risorse e produce zero rifiuti e zero sprechi». Questa nuova edizione del saggio di Gunter Pauli è, a tutti gli effetti, una versione 2.0 ampliamente rivisitata e ancora più attuale. Sposta un po’ più in là il confine fra ciò che è già possibile, in molti casi già praticato, e quello che in effetti potremmo fare per migliore la qualità della nostra vita e del nostro ambiente. Ma attenzione, non si tratta solo di dare alle imprese maggiore competitività, a meno che non la intendiate in termini evoluzionistici. L’economia di cui Pauli si fa “divulgatore” è anche di tipo sociale. Presume, in altri termini, una circolarità non solo di materie e di merci al proprio interno, ma la costruzione di reti sociali ed ecologiche molto più profonde, solidali e, soprattutto, più sostenibili.


80

Aziende citate

ABB - new.abb.com/it

18

Industria e Innovazione -

Advam Partners - www.advamsgr.com

21

www.industriaeinnovazione.it

Alerion - www.alerion.it

21

Innovatec - innovatec.it

21

Alpac - www.alpac.it

77

International Energy Agency - www.iea.org

13

Ambienthesis - www.ambienthesis.it

21

Isagro - www.isagro.it/it

21

Ispra - www.isprambiente.gov.it/it

14

K.R. Energy - www.krenergy.it

21

Andil - www.laterizio.it

16

Askoll - www.askoll.com

77

Associazione Bruno Trentin-IRES-ISF

21

Kengo Kuma & Associates - kkaa.co.jp

68

Atrio - www.atrio.at/it

46

Ki Group - www.kigroup.com

21

Austep - www.austep.com

77

Kinexia - www.kinexia.it

21

Biancamano - www.gruppobiancamano.it

20

Ladurner Ambiente -

Car2go - www.car2go.com

19

Landi Renzo - www.landi.it

CleanPower- www.cleanpowerenergia.it

21

Legambiente - www.legambiente.it

CONAU - www.conau.it

57

Leotron - www.leotron.com

www.associazionetrentin.it

7

www.ladurnerambiente.it

Consorzio Recupero Cromo - www.recuperocromo.it

63

Coop Adriatica - www.e-coop.it/coop-adriatica

46

20 21 11, 43, 75 64

Edilizia Bio - Energia - Ecologia luglio agosto settembre 2014 Tekneco è una testata giornalistica trimestrale registrata presso il Tribunale di Lecce con n. 1061 del 9 Giugno 2010 EDIRE S.r.l. Sede: via E. Estrafallaces 16, 73100 Lecce Tel. e fax 0832 396996 Società editrice iscritta al ROC con n. 14747 DIRETTORE RESPONSABILE

Fabrizio Alfredo Virgilio Bocconcelli DIRETTORE EDITORIALE

Marco Gisotti COLLABORATORI

MDS - Macro Design Studio macrodesignstudio

69

Andrea Ballocchi, Gian Maria Brega, Veronica Caciagli, Sergio Ferraris, Marco Gisotti, Letizia Palmisano, Gianni Parti, Gianluigi Torchiani

Daimler - www.daimler.com

19

Dintec - www.dintec.it

21

Oros - www.orosinfissi.it

69

Ecosuntek - www.ecosuntek.com

21

Panasonic - www.panasonic.com/it

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GESTIONE E OTTIMIZZAZIONE PIATTAFORMA WEB

EEMS - www.eems.com

21

Philips - www.philips.it

76

Koinomia, Martano

Enertronica - www.enertronica.it

21

Plastica Alfa - www.plasticalfa.com

20

WEB CONTENT MANAGER

Enjoy - www.enjoy.eni.com

19

PLT Energia - www.pltenergia.it

21

Eleonora Leila Moscara

Ergy Capital - www.ergycapital.com

21 Quadrivio Sgr - www.quadriviosgr.com

21

Rockwool - www.rockwool.it

76

Sacom - www.sacomspa.it

21

PROGETTO E REALIZZAZIONE PIATTAFORMA WEB

Ingegni Multimediali, Lecce

Exterior Architecture - www.exteriorarchitecture.com 12 Falck Renewables - www.falckrenewables.eu

21

PROGETTO GRAFICO

Filiera del Tessile Sostenibile www.tessilesostenibilita.it Fintel Energia Group - www.fintel.bz

60 21

Fondazione per il Clima e la Sostenibilità www.climaesostenibilita.it Frendy Energy - www.frendyenergy.it

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Schindler -

FOTO

Se non diversamente specificato, le immagini utilizzate sono di proprietà Fotolia STAMPA

Solvay - www.solvay.it

18

Spedingo - spedingo.com/it

15

20.000 copie

Synergo Sgr - www.synergosgr.it/it

21

DISTRIBUZIONE

21

Giga geotermia - www.gigageotermia.org

42

TE Wind - trueenergywind.eu

Green Building Council - www.gbcitalia.org

69

Terna - www.terna.it

20

Greenitaly1 - www.greenitaly1.it

20

TerniEnergia - www.ternienergia.com

20

Tholos - www.tholosgreen.com

20

Twist - twistcar.it/car-sharing.php

19

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Anna Maria Mangia

18

21

www.gruppogreenpower.com

IMPAGINAZIONE

www.schindler.com/it/internet/it/home.html

Gala - www.gala.it

Gruppo Green Power -

Matteo Astolfi e Pietro Buffa

Gruppo Mezzaroma - www.mezzaroma.it

46

Habitech - www.dttn.it

69

Unione Nazionale Industria Conciaria -

Hoval - www.hoval.it

48

www.unic.it

62

IBIMET–CNR - www.ibimet.cnr.it

60

Volkswagen - it.volkswagen.com

19

I.T.I. Impresa Generale Spa - www.itispa.com

73

iCASCO - www.icasco.it

20

Whirlpool.it - www.whirlpool.it

76

IDEA Capital Funds - www.ideasgr.com

20

Wise Sgr - www.wisesgr.it

21

Xenon Private Equity - www.xenonpe.com

21

Unioncamere Toscana - www.tos.camcom.it

60

Arti Grafiche Boccia, Salerno TIRATURA

15.000 copie postalizzate ingegneri architetti geometri studi di progettazione nazionali aziende di settore richieste di abbonamento dirette; 5.000 copie distribuite all’interno di fiere nazionali di settore REDAZIONE

telefono: 0832 396996 e-mail: redazione@tekneco.it PUBBLICITÀ

telefono: 0832 396996 e-mail: commerciale@tekneco.it ONLINE

Idea Capital Sgr - www.ideasgr.com Ikea Italia - www.ikea.com

21 46

sito web: www.tekneco.it facebook: www.facebook.com/Tekneco twitter: twitter.com/Tekneco google+: gplus.to/Tekneco Creative Commons Se non diversamente specificato, i contenuti di Tekneco e Tekneco.it sono rilasciati sotto Licenza Creative Commons Attribuzione 2.5.




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