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MONDO BIO
un’indagine di riconoscimento genetico, il Dna finger printing, di 1200 piante di olivo, tra varietà e accessioni, che si trovano all’interno della collezione.
«La tendenza è appunto quella di condurre una caratterizzazione approfondita» chiarisce Cantini, sottolineando inoltre, a questo scopo, l’utilità del processo della fenotipizzazione, attraverso cui si studiano le risposte delle piante dal punto di vista morfologico a diversi eventi, come per esempio lo stress idrico o le alte temperature, e si cerca di capire, tramite l’individuazione di gruppi di individui che rispondono in modo simile, cosa accade al loro interno a livello genetico. «Tornando all’esempio della Xylella» continua «questo procedimento viene usato con le varietà che sembrano essere più resistenti al batterio, come il Leccino, la FS17 e in minore misura il Frantoio, per cercare di capire il fattore comune che le rende meno sensibili al patogeno».
Più in generale, uno studio di questo tipo parte dal campo per arrivare a specifiche piattaforme in cui giovani piante vengono poste in condizioni identiche e sottoposte a un certo fenomeno per valutare cosa accade nel loro germoplasma, quantificarlo e, attraverso l’estra-
«Le parole “varietà” e “cultivar” vengono usate spesso scambievolmente, ma solo la prima descrive il concetto dei genotipi autoctoni e del legame con il territorio, mentre la seconda si riferisce a varietà coltivate di ampia diffusione, presenti in tutto mondo». Barbara Alfei, capo panel presso l’Agenzia servizi settore agroalimentare Marche (Assam).
zione dell’Rna (l’acido nucleico coinvolto nei processi di espressione e regolazione dei geni), cercare di comprendere il meccanismo che le regola attraverso i geni espressi.
«Sono studi che in un immediato futuro potrebbero portare a scoperte molto interessanti per la cura e la prevenzione di certe patologie» precisa Cantini «ma questo potrà avvenire solo a partire da uno screening veramente approfondito delle collezioni disponibili, un aspetto che presuppone una visione a lungo termine e cospicui investimenti da parte degli attori in gioco».
«C’è però un ulteriore elemento riguardante la caratterizzazione delle varietà olivicole che è ampiamente alla nostra portata» aggiunge il nostro ricercatore. «Si tratta di valutare, quando possibile, la qualità del loro olio».
Da tutte le varietà olivicole note si potrebbe infatti, potenzialmente,
produrre olio, ma solo una parte di queste viene, nei fatti, utilizzata allo scopo. A questo proposito, un’utilissima fonte di informazioni è costituita dalla banca dati degli Oli monovarietali italiani3, creata e gestita dall’Agenzia servizi settore agroalimentare Marche (Assam) in collaborazione con l’Ibe-Cnr di Bologna.
La riscoperta delle antiche varietà autoctone
«Il nostro lavoro» spiega Barbara Alfei, responsabile del settore olivicoltura e capo panel presso l’Assam «è
MONDO BIO Il piano d’azione europeo per il biologico
L’Ue punta decisamente sull’agricoltura biologica. Dopo l’accelerazione sul Green Deal, le strategie «Farm to Fork» e per la biodiversità, la Commissione europea ha aperto una consultazione pubblica sul Piano d’azione per il biologico che si chiuderà il 27 novembre per raccogliere osservazioni di cittadini, istituzioni, associazioni e imprese. Il piano definisce uno stanziamento di 40 milioni di euro per il 2021, sempre con l’obiettivo di portare, da qui al 2030, le superfici coltivate a biologico al 25%, triplicando l’attuale media europea del 7,5%. Favorire la domanda di prodotti biologici, preservando la fiducia dei cittadini, sostenere l’aumento delle superfici coltivate con il metodo biologico e rafforzare il ruolo del bio per la lotta ai cambiamenti climatici e la perdita di biodiversità sono i punti strategici su cui poggia il piano d’azione. Lo stanziamento cofinanzierà iniziative di promozione e campagne d’informazione per favorire l’espansione della domanda di prodotti bio e far conoscere ai cittadini i principi strategici sui quali è fondata l’agricoltura biologica, come il mantenimento della fertilità della terra, la valorizzazione del-
di Maria Grazia Mammuccini, Federbio
la biodiversità e l’utilizzo di prodotti di origine naturale. Inoltre, la Commissione Ue ha rinviato al 1° gennaio 2022 l’entrata in vigore del nuovo Regolamento Ue 848/2018 sul biologico, slittamento promosso da Ifoam Eu e sostenuto da FederBio, per evitare un ingorgo burocratico per le imprese e per tutti gli operatori del bio, in questo momento particolarmente delicato determinato dall’emergenza sanitaria Covid-19. Di fronte a un quadro europeo che punta all’affermazione del biologico, è paradossale che l’Italia non si allinei a questa strategia rischiando di non intercettare le risorse che l’Europa mette a disposizione, con evidenti ripercussioni sulle nuove opportunità per il territorio e in particolare per i giovani. La legge sul bio, dopo due anni dalla sua approvazione alla Camera, è ancora ferma al Senato e questo può contribuire seriamente a far perdere all’Italia il primato di paese leader in Europa in questo settore. Il nostro territorio è particolarmente vocato al biologico e già adesso, con il 15,5%, ha il doppio della superficie coltivata a bio rispetto alla media europea. Con condizioni normative e una politica agricola comune adeguata potrebbe raggiungere agevolmente il 40% di superficie bio entro il 2030 e fare del sistema agroecologico un vero driver di sviluppo per rilanciare la nostra economia.
partito alle fine anni ’90 quando iniziammo a studiare, caratterizzare e recuperare il patrimonio olivicolo marchigiano. L’attività iniziale, che prevedeva una descrizione delle varietà dal punto di vista vegetativo, produttivo, agronomico, ma anche delle caratteristiche chimiche e sensoriali dell’olio da esse prodotto, ha portato all’iscrizione delle varietà olivicole della regione nel registro per la certificazione del materiale vivaistico del Ministero delle politiche agricole. Da lì è nata l’idea di valorizzare anche tutti gli altri oli ottenuti da varietà autoctone italiane».
L’Assam ha così inaugurato, con il prezioso supporto scientifico degli agronomi Antonio Ricci e Giorgio Pannelli, la Rassegna nazionale degli oli monovarietali, arrivata alla diciottesima edizione e i cui dati convergono annualmente nel suddetto database. «Il nostro obiettivo» spiega Alfei «era quello di comprendere le potenzialità degli oli ottenuti da varietà autoctone italiane e quindi valorizzarle facendole conoscere ai consumatori. E questo è lo scopo che perseguiamo ancora oggi».
Grazie al numero crescente di campioni che di anno in anno vengono inviati dai produttori italiani, si possono attualmente consultare nella banca dati le schede tecniche comprendenti il contenuto in acidi grassi e in polifenoli, e il profilo sensoriale di quasi 3500 oli di oltre 180 varietà.
«È un lavoro utile a caratterizzare e dare informazioni ai tecnici, ma anche ai consumatori, i quali ormai iniziano a essere sempre più consapevoli e interessati a conoscere le caratteristiche e le potenzialità degli oli ottenuti dalle varietà italiane» spiega la capo panel evidenziando, inoltre, come in questi casi sia corretto parlare di «varietà» anziché di «cultivar». «Queste due parole» osserva «vengono usate spesso scambievolmente, ma solo la prima descrive il concetto di genotipi autoctoni e legame con il territorio, mentre la seconda si riferisce appunto a varietà coltivate di ampia diffusione, presenti in tutto mondo».
«Lo scopo» puntualizza l’esperta «è la valorizzazione delle varietà nel loro territorio, quindi di varietà circoscritte in un ambiente ben preciso, secondo una prospettiva in cui il tema della compatibilità ambientale assume una posizione centrale». Non è un caso, insomma, che una varietà sia più diffusa in un luogo piuttosto che in un altro: ciascuna delle oltre 540 varietà sparse sul territorio italiano è legata infatti a specifiche situazioni pedoclimatiche. In epoca di cambiamenti
L’olio extravergine d’oliva è un alimento funzionale L’assunzione quotidiana apporta numerosi benefici alla salute, vediamone alcuni. L’olio extravergine di oliva, il grasso vegetale più importante della dieta mediterranea, ha molteplici proprietà nutrizionali che lo rendono un alimento funzionale, ovvero in grado di svolgere un’azione preventiva sulla salute. Ricco in acidi grassi monoinsaturi (acido oleico) e con un ottimo rapporto di polinsaturi (acidi linoleico e linolenico, appartenenti rispettivamente alla famiglia degli omega−6 e omega−3), fonte di antiossidanti (polifenoli, fitosteroli, clorofille e carotenoidi) e vitamine liposolubili (E, A), esercita un’importante funzione di difesa dai radicali liberi, rallentando l’invecchiamento delle cellule del nostro organismo. Inoltre: rafforza il sistema immunitario; aiuta a prevenire le malattie del sistema cardiocircolatorio, agendo come fattore equilibrante per l’ipertensione, abbassando i livelli del colesterolo detto «cattivo» (Ldl) e mantenendo alto quello «buono» (Hdl); riduce i livelli di glucosio nel sangue, dimostrandosi utile in caso di diabete e ostacolandone l’insorgenza. Facilmente digeribile, è un valido aiuto contro tutti i disturbi dell’apparato digerente e svolge un’azione protettiva sullo stomaco, proteggendo dalla formazione dei calcoli biliari e riducendo la secrezione del pancreas. Aiuta a prevenire diversi tipi di tumori, come quelli della mammella, della prostata e del colon-retto. È indicato nello svezzamento, grazie all’appropriata composizione in acidi grassi essenziali, così come nell’alimentazione delle persone anziane, in quanto utile a contrastare il declino cognitivo e con un’azione positiva sull’osteoporosi; è inoltre consigliato il suo utilizzo durante la gravidanza, per i benefici che apporta sia alla donna che al nascituro. Di recente scoperta, grazie a una ricerca dell’Università di Jaén, in Spagna, sono i vantaggi derivanti dall’assunzione regolare dell’extravergine per i pazienti affetti da fibromialgia; lo scorso anno, uno studio condotto presso l’Ospedale pediatrico bambino gesù ha dimostrato come l’idrossitirosolo, uno dei suoi composti fenolici, aiuti a migliorare le condizioni dei bambini affetti da steatosi epatica. Nonostante i molti dati già a nostra disposizione, gli studi condotti dai ricercatori italiani e internazionali continuano a rivelare informazioni sulle proprietà salutari di questo prezioso alimento, la cui assunzione quotidiana (almeno 20 ml, equivalente di due cucchiai da minestra) è da tutti vivamente consigliata per poterne efficacemente beneficiare.
climatici l’attenzione a questo aspetto può rivelarsi un fattore decisivo per lo sviluppo prossimo dell’olivicoltura.
Fenomeno sempre più frequente negli anni recenti è in effetti la riscoperta di antiche varietà autoctone. Sono parecchie quelle che dopo essere state coltivate per secoli e pressoché scomparse per esigenze di profitto a causa, come già descritto, della bassa resa o per la difficile gestione agronomica, vengono riabilitate dai coltivatori locali perché si rivelano ideali nel far fronte alle avversità climatiche e alle patologie che si manifestano nel loro areale produttivo.
«Al contrario» fa notare Alfei «può capitare che varietà con caratteristiche particolarmente interessanti dal punto di vista della gestione agronomica vengano scelte per essere coltivate ovunque, senza tenere conto del loro territorio di origine ma con l’idea di ottenere comunque buoni risultati. Questo approccio, però, può causare non solo difficoltà di adattamento della pianta, che si trova in un ambiente avverso, ma anche modifiche nella composizione chimica dell’olio che se ne ottiene, su cui influiscono vari fattori. Coltivare, per esempio, una varietà in un ambiente molto più caldo di quello autoctono influisce
«Per ottenere i migliori risultati produttivi bisogna anzitutto capire qual è l’approccio da utilizzare nei confronti del nostro oliveto e delle nostre piante e, per fare questo, dobbiamo considerare l’olivo un nostro alleato». Giorgio Pannelli, agronomo. sulla composizione in acidi grassi, con diminuzione del contenuto in acido oleico, e in polifenoli. E questo non è certamente il modo più adatto di valorizzare il prodotto né di esaltare i suoi aspetti nutrizionali e salutistici».
Si evince, in sostanza, come un’adeguata gestione del patrimonio varietale vada di pari passo con un’appropriata valorizzazione dell’olio extravergine, inteso come elemento nutraceutico e ricco di qualità salutistiche e organolettiche, delle quali si può beneficiare appieno solo se si tiene conto del legame fra pianta e territorio.
La ricchezza sensoriale di un buon extravergine
Nel database degli oli monovarietali italiani, oltre ai dati che ci informano sull’aspetto nutrizionale e salutistico, troviamo anche informazioni sul loro profilo sensoriale. «Il consumatore o lo chef possono creare abbinamenti con i piatti in base alle caratteristiche sensoriali» spiega la capo panel. «La caratterizzazione della varietà può interessare i tecnici e i produttori, ma se vogliamo veramente valorizzare l’olio extravergine dobbiamo consentirne un utilizzo più consapevole da parte di chi alla fine lo usa».
I tecnici dell’Assam e del Cnr, attraverso elaborazioni statistiche, hanno reso agevole e intuitiva la navigazione nel vasto mare di profumi e sapori dei monovarietali italiani elencando sei tipologie sensoriali. «Sono semplici linee guida» continua Alfei «in base alle quali, per fare un esempio, se sto cercando un olio dal fruttato intenso con sentori di pomodoro, nella tipologia 5 potrò scegliere, in base alla territorialità, un’Ascolana tenera, se mi trovo nelle Marche, oppure una Nocellara del Belice, se mi trovo in Sicilia».
Gli oli monovarietali hanno in effetti il merito di fornire un’identità forte all’olio extravergine che si lega saldamente al concetto di terroir. «Parliamo di un fattore che riguarda il legame della varietà non solamente con il territorio» puntualizza la nostra esperta «ma anche con la storia, la cultura, le tradizioni e il produttore, il quale usa cuore, anima, conoscenze e competenze per rendere ciascun olio extravergine unico, diverso dall’altro e irripetibile».
Questo impegno da parte degli olivicoltori inizia a essere ripagato da una maggiore consapevolezza dei consumatori e dal fatto che un numero crescente di persone desidera avere più informazioni. Prova ne è che i corsi da assaggiatore d’olio sono sempre più frequentati. C’è sempre più curiosità di conoscere le differenze che passano tra Coratina, Mignola, Pendolino, Casaliva, Piantone di Mogliano, Dolce Agogia, Nocellara del Belice… e così via.
Quando oli prodotti da due o più di queste varietà vengono uniti e miscelati in proporzioni diverse in base alle esigenze del produttore, che solitamente tiene in considerazione la territorialità, le caratteristiche organolettiche e altri fattori, come la necessità di aderenza a un disciplinare di produzione (come per le certificazioni di Denominazione di origine protetta e Indicazione geografica protetta), si ottiene un blend.
È bene sottolineare, a questo punto, come la valorizzazione delle varietà e degli oli da esse prodotti passi anche, anzi forse prima di tutto il resto, attraverso una migliore gestione degli oliveti, la quale comprende un’appropriata potatura e anche il recupero, dove presenti, delle piante storiche. Proprio da questa necessità è nata la Scuola di potatura dell’olivo, che dal 2019 collabora nello svolgimento del Campionato nazionale di potatura dell’olivo, iniziativa itinerante organizzata da Assam che mira a valorizzare le diverse tipologie di oliveti e le varietà italiane.
L’importanza della potatura «È fondamentale affrontare l’argomento della biodiversità olivicola anche dal punto di vista agronomico» spiega il fondatore della scuola Giorgio Pannelli, agronomo con una lunga esperienza nel settore della ricerca olivicola ed olearia e autore di numerose pubblicazioni scientifiche e divulgative. «Più in ge-