The Artship #13

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HAROON MIRZA – PAUL ROORDA LETIZIA BATTAGLIA – SALVATORE FERRAGAMO ÉCOLE DE SHANGHAI - CHRISTY LEE ROGERS FRANCIS BACON STEFANO SCHEDA SILVIA CAMPORESI - VITTORIO GIARDINO M A R S E I L L E - P R O V E N C E

#13 FEBBRAIO - MARZO 2013


Proprietario e direttore responsabile: Vicedirettore: Responsabili di sezione: Responsabili rapporti esterni: Hanno collaborato a questo numero: Si ringrazia: Vignetta: Graphic Editor:

Paola Pluchino Andrea M. Campo Vincenzo B. Conti, Pasquale Fameli, Maria Livia Brunelli, Alessandro Cochetti, Ada Distefano, Elena Scalia Margaux Buyck, Valeria Taurisano Federica Fiumelli, Francesca Salvi Marcello Franchin Agata Matteucci Damiano Friscira

Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna Num. R.G. 261/2012, al N. 8228 in data 03/02/2012.

Con il Patrocinio:

Copertina by Damiano Friscira


INDICE 5

Editoriale

Buon vento di Paola Pluchino

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Young District

(E)Venti dal Sud la Redazione

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I Racconti di Fedra

A stile libero di Raffaella Iannetti

Lo strano caso di Aristide Pallimbeni, archicembalo di Andrea M. Campo

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Sound Forward

Gli “ambienti in meno” di Haroon Mirza di Pasquale Fameli

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Punctum

Letizia Battaglia di Federica Fiumelli

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Cahiers d’Histoire

Marseille-Provence 2013: petits et gros travers de la capitale européenne de la culture 2013 di Margaux Buyck

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In Conversation With

Paul Roorda di Paola Pluchino

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Porto d’Oriente

Da Shanghai a Parigi: l’École de Shanghai di Francesca Salvi

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Il Caso

Il Manierismo silenzioso di Christy Lee Rogers di Federica Fiumelli

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Heart Bauhaus

Essere a casa, in viaggio la Redazione

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Urban Addicted

Salvatore Ferragamo, l’artista delle scarpe amato dalle grandi dive

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Mostre

Francis Bacon in mostra a Chieti la Redazione

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(p)Ars Construens

Un pavimento di monetine come metafora della dispersione dei fondi per i terremotati di Maria Livia Brunelli

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Bookanear Balloon

Vittorio Giardino e la Storia di Alessandro Cochetti

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Routes di Paola Pluchino

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OPEN CALL di Paola Pluchino L’Immanente e il Trascendente L’eleganza del bianco, la profondità del rosso di Vincenzo B. Conti

di Ada Distefano


Marcello Franchin, Convergenze parallele, 2009, Trieste

Marcello Franchin. Fotografo per passione, nato nel 1973, vive a Martignacco. Desidero che l’osservatore si avvicini il piÚ possibile alla mia fotografia, che oltrepassi quella linea di confine oltre la quale un rapporto diventa intimo, che entri in sintonia con essa senza essere distratto da tutto quello che la circonda. www.marcellofranchin.altervista.org


Buon vento Johann Sebastian Bach (Glenn Gould) - Variazioni Goldberg

Lotta come lotta intestina al potere, indifferenza come noncuranza del prossimo, bramosia come motore d’azione, esitazione come situazione generale dell’Europa, rappel a l’orde come diktat imperante, truffa come modus operandi dei mercati, astio come fondamento dei rapporti. Eppure, nell’acronimo di questi termini suona lodevole il proposito di una libertà che sia espressione e ancoraggio della cultura, che possa, non nel convulso movimento dei singoli ma nella loro processione armonica identificare delle linee guida, dei solchi profondi che si scollino da strutture del potere stantie e precostituite. Benvenuti in tempi interessanti direbbe Slavoj Žižek proprio come sono i nostri, ricchi di sommovimenti sociali, di lotte, di atteggiamenti opportunistici e votati solo ad un interesse personale. L’arte dal canto suo, contribuisce a questa confusione e volatilità, sia sotto un profilo economico che sotto quello più puro, culturale. Centinaia di mostre vengono inaugurate ogni giorno, esposizioni di cui nessuno serberà memoria, fiumi d’inchiostro vengono spesi per questi eventi, investimenti nel breve periodo che strozzano propositi che invece dovrebbero essere di media o lunga portata, si stringe il vertice della cultura, purtroppo divenuta nuovamente elitaria, mentre la gran parte degli operatori culturali si trova sommersa e sottopagata, pur avendo la preparazione e l’eleganza per far parte di questo mondo. Qualche tempo fa mi dissero di smettere d’esser retorica, per via di quella mia enfasi nel proteggere e sostenere le tante anime buone che su questo giornale sono transitate, che qui rimangono o che hanno preferito cambiare, perché si, sarà meno edificante ma paga; purtroppo non sono mai riuscita in questo intento e anzi, credo oggi, in tempi così difficili, che chi investe nella cultura, nel suo avanzamento e nel suo sviluppo sia da lodare, come fautore e creatore di un oggi in cui la rispettabilità dell’individuo e il suo valore siano commisurati ai suoi ideali propositi.

Paola Pluchino

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EDITORIALE


YOUNG DISTRICT (E)Venti dal Sud la Redazione

Gema Ruperez Alonso, Barbara Bonfilio, Dario De Cristofaro, Francesca Manetta, Monticelli & Pagone, Antonella Romano, Stella Tasca, sono i sette artisti protagonisti della mostra Divieto di affissione ospitata dallo Zeta Studio degli architetti Giuliano Andrea Dell’Uva e Francesca Faraone, a Napoli, fino al 3 maggio. Con un tema molto attuale (il corpo) e con una scelta spaziale ben definita (il sud d’Europa), la giovane curatrice, Giuliana Ippolito (giornalista e direttrice della Gallerie Numen, che patrocina l’omonimo progetto Numen Arti Contemporanee) disegna la traccia prospettica di fruizione del soggetto, indagato dai giovani artisti secondo coordinate spesso distanti, evocato, smaterializzato, ingabbiato con il fil di ferro. Un gioco dell’arte che fonda sul temperamento degli artisti la propria espressività, ponendo come base teorica la considerazione che la provenienza geografica sia non solo un fattore oggettivo ma favorisca uno stile di vita che inevitabilmente permea le opere, sviluppando un linguaggio quasi carnale e diretto (il corpo come tela di Dario De Cristofaro o quello negativo del duo Monticelli & Pagone) o viceversa delicato e soffuso come la primavera (nei rimandi eburnei di Francesca Manetta). Un progetto – questo della galleria Numen – itinerante, che si appoggia a luoghi non canonicamente deputati all’arte (come uno studio legale) o a spazi di lavoro, distanti da quell’aura chirurgica dei musei cui il contemporaneo spesso abitua. Luoghi che condividono con questa mostra l’aspirazione a spingere fuori dai cube l’arte, rendendola versatile e diversamente fruibile, passeggiando tra le donne dai tratti definiti di Gema Ruperez Alonso o quelle da belle époque di Barbara Bonfilio, l’espressività a trama di Antonella Romano o quella fantasy e onirica di Stella Tasca contribuendo così a creare un vero e proprio corpo dell’arte in movimento.

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Moby - Bodyrock

Dario de Cristofaro, US(A) Body, 2012 Fotografia 70x100 – PlexiGLASS Retroilluminato courtesy galleria Numen Photo by Alessandro Mingardi


I RACCONTI DI FEDRA A stile libero

(poesia ispirata all’installazione Freedom di Zeno Frudakis) di Raffaella Iannetti

Domattina, nel meriggio delle mie sensazioni, mi domanderò del mio corpo e di dove abbia assaggiato sconosciute esistenze quando la coltre chiudeva i miei occhi e quando il sole brillava tra le mie pupille.... dormiente, adagiato in un’emozione prigioniera di vuoto...... Io, blindata tra gli angoli del mio sguardo e spigoli pigri delle mie ossa, informe.. eppure rimarrò attaccata alle radici del mio petto bucando il cemento , respirando ad ogni foro delle mie pelli,

Duetto dei fiori dalla Lakmè di Delibes

e una e due e più volte inspirando ed espirando l’intera rosa dei venti...d’un fiato] e all’improvviso, ricoperta di una eloquente faccia di bronzo, danzante tra muscoli e pensieri svestiti abbracciati nel tempo , contratta in libertà e senza peso nel ventre e nella fronte e senza piombo nell’anima, elastica sarò al mio posto e senza piedistallo in una qualunque terra promessa … di fronte a nuovi soli!

Zeno Frudakis, Freedom, 2001 GlaxoSmithKline (unfortunately) World Headquarters, Philadelphia

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Lo strano caso di Aristide Pallimbeni, archicembalo di Andrea M. Campo

Duke Ellington - It don’t mean a thing (if it ain’t got that swing)

“Si tratta chiaramente di un raro caso di ImitoLeCose- disse il pronto soccorritore guardiamedicante da dietro il suo vitreo trilenticolo -un po’di sale in zucca e alla terza rotazione di Giove guarirà”. “Grazie dottore, dica trentatrè” rispose Aristide Pallimbeni, archicembalo e filosofo incauto. “Si ricordi Aristide, sono io il dottore, deve metterselo bene in testa, sotto il panama. La malattia è in stadio avanzato, prenda questo- consegnò una boccetta ad Aristide – la usi solo in casi estremi, non ne ho altre”. Aristide era in ritardo, i suoi spartiti erano ancora bianchi e il concerto si avvicinava. Con lo strumento sotto al braccio scese le scale curandosi di non saltare neanche uno scalino. Un octopodo entrò nell’androne e si orientò in verso e direzione opposti a quelli di Aristide. Il poveretto, ancora sotto effetto dell’Imitolecose andò dietro l’uomo, che accortosi dello strano individuo accelerò per le scale. “Sono malato” si scusò Aristide stanco per l’arrampicata. Con una mano cosparse sul suo capo il contenuto della boccetta e uscì dall’edificio e si diresse al centro città per un caffè. Diceva Aristide, in serate mondane tra lo stupore della folla “C’è un volere dietro al futuro, cioè l’oggi, e non può che realizzarsi prima di conoscere il domani, altrimenti non sarebbe più volere del destino ma volere nostro” e qui imbarazzato s’interrompeva turbato. Nonostante il filosofeggiare di Aristide il destino volle, e lo volle “oggi”, che sulla strada incrociasse una mano stretta su un cappello, in posa di ossequio. Centro metri più in là l’uomo dalle braccia lunghissime urlò un rispettoso buongiorno. Il furore della malattia spinse nelle viscere di Aristide che iniziò a muovere le braccia in avanti, sempre di più, fin quando non raggiunsero la lunghezza delle braccia dell’uomo dalle braccia lunghissime. Soddisfatto l’invitò al bar con il bancone più largo del mondo, dove mai nessuno era riuscito a prendere un caffè. Con quelle braccia, i due, non solo presero il caffè ma riuscirono a gustarselo imboccandosi a vicenda, posti di fronte da un lato all’altro della strada. Aristide era spossato e usò nuovamente l’unguento della boccetta. Le braccia si accorciarono ma dopo pochi passi la malattia sferrò un altro

Yves Tanguy, In un luogo indeterminato (En Lieu oblique), marzo 1941 Olio su tela, 43 x 71,4 cm COURTESY OF COLLEZIONE PEGGY GUGGENHEIM, Venezia

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attacco. Macchine ferme, il semaforo dondolò sulle luci intermittenti e il rombo dei motori sfidò quei rettangoli che confidavano di poter sfrecciare come fosse loro possibile farlo. Fu il rosso ad averla vinta e ad attirare l’attenzione di Aristide. Cominciò a pizzicarsi le guance ripetutamente e non appena raggiunse un carminio livido guardò verso la luce più alta del semaforo, che per beffa divenne verde. Allora Aristide si picchiò con forza sul fegato e sullo stomaco senza alcun risultato. Il semaforo diede il giallo e Aristide illuminato, non come avrebbe desiderato, pensò a ciò che di più ripugnante conosceva. Pensò a un si bemolle, a un angolo piegato di una pagina, ai pomelli delle porte di legno e perfino alla storia della fontana in via Aurora ma nulla servì, non diventava abbastanza giallo. Aristide, a capo chino, si allontanò profondamente risentito e l’eco lentamente scemò depositando una strana insoddisfazione sul suo timpano. Fu allora che per ripicca Dora Maar, tanto amata da Picasso, tanto odiata da sé stessa, giunta lì per caso guardò dritto negli occhi Aristide. E lui, corrotto dalla malattia, provò a giocare a dadi col proprio viso. Perdendo. Mise l’occhio sotto un altro, il naso vicino l’orecchio, la bocca, per fortuna e per mancanza di spazio, decise di lasciarla lì dov’era, ma Dora era ancora tanto diversa. Allora Aristide arrabbiato si mischiò la faccia per una seconda volta. La bocca parlava all’orecchio destro mentre la fronte buttava un occhio al naso, che si arricciava e si srotolava tra una guancia all’altra: ma nulla ancora. Aristide intuì che era necessario riflettersi e controllare ogni spostamento componendo un viso geometricamente confuso. E che confuso doveva restare nella soluzione. Le ultime gocce del rimedio per la Imitolecose, che con tanta cura il dottore aveva distillato da una mente saggia, rimbalzarono sui capelli di Aristide regalandogli gli ultimi baleni di indipendenza. Aristide camminava lungo la Granvia quando, ormai domato dalla malattia, vide il negozio di specchi. Entrò e per diversi giorni non uscì. Giunse il giorno del concerto e tutti attesero a lungo l’assolo dell’archicembalo che non arrivò mai. Il primo violino, il secondo flauto e un terzo tra i due lo cercarono a lungo. E lo trovarono nel negozio degli specchi. Aristide immobile, ormai sconfitto dalla malattia, era ancora in attesa che la sua immagine facesse la prima mossa.

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SOUND FORWARD Gli “ambienti in meno” di Haroon Mirza di Pasquale Fameli

♬ Con la sua sofisticata ricerca oggettuale, il britannico Haroon Mirza (1977) si rivela capace di assorbire e condensare molti degli stimoli più nutrienti di tutto il secolo scorso. Il suo modus operandi si basa sulla decostruzione degli ambienti di tutti i giorni. Oggetti come mobili, sedie, tavoli, televisori e apparecchi radio vengono decontestualizzati e ricombinati in configurazioni improprie e inusuali, invitando il fruitore in una dimensione parallela, traslata, in cui l’oggetto più banale viene ripresentato sotto una diversa luce, in uno spazio sospeso. Questi ambienti-assemblaggi non hanno certo il carattere soffocante, quasi da accumulo compulsivo, che fu del Merzbau schwittersiano: quelli di Mirza sono infatti ambienti scarni, dati per sineddoche, attraverso elementi minimi o parziali, accennati o mutilati e che, parafrasando il titolo di una famosa opera di Michelangelo Pistoletto, si potrebbero definire come “ambienti in meno”. I frammenti di mobilio e gli oggetti coinvolti vengono privati della loro funzione ordinaria e dati come “arredi celibi”, non troppo dissimili da quelli già visti presso Haim Steinbach, John Armleder o Marco Samorè, nello spirito più mondano dell’oggettualismo tardonovecentesco, capace di offrire ancora interessanti soluzioni estetiche, soprattutto nelle possibilità, attuate da Mirza, di vivificanti coniugazioni con il video e con il sonoro. Negli ambienti di Mirza, infatti, vecchi mobili e antiquate tecnologie audiovisive di sapore vintage, ormai reperibili solo presso nostalgici negozietti di modernariato, vengono riscattati dalla veloce obsolescenza cui sono soggetti e posti in dialogo con più attuali apparecchiature elettroniche, come computer, lettori CD e videoproiettori.

Haroon Mirza, Untitled song featuring untitled works by James Clarkson, 2012 Mixed media and electronics, dimensions variable COURTESY LIASSON GALLERY

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The Glitch Mob – Warrior Concerto

Ma nelle installazioni del giovane artista britannico, il vuoto sembra sempre prevalere sul pieno, in un’inevitabile necessità di alleggerimento che trova nel suono il suo massimo compimento: questa quotidianità alterata, traslata e “sottratta”, viene, infatti, dotata di ossessive sonorità elettroniche, di una micro-musica scarna e ripetitiva che entra in relazione con lo spazio, ritmandolo. Insieme a mobili, sedie e televisori troviamo implicati infatti strumenti per audiofili come giradischi, amplificatori, monitor, spugne fonoassorbenti e radio, che ben dispongono all’assemblaggio di coinvolgenti mix sinestetici. Emblematici di tutto ciò sono opere come Backfade_5, una discoteca minimale fatta di un perimetro di led luminosi riempito da un goffo e ripetitivo motivetto dance che fuoriesce da un paio di altoparlanti “ubriachi”, riversi sul pavimento, oppure Sanctuary, una discoteca “esplosa” in cui un ritmo distorto e maldestro accompagna il girotondo di una radiolina su un piatto da dj, o ancora Evolution of a Revolution, un’altra discoteca deflagrata in cui la rotazione dei giradischi viene sonorizzata dallo strofinio di un dito sull’orlo di un bicchiere. Più sommessa è invece l’atmosfera di Adhan, un soggiorno letteralmente devastato e musicato dal reiterato frammento di un brano country con tanto di abat-jour intermittente. A ben guardare, si tratta di veri e propri “concerti di oggetti”, di riqualificazioni musicali del banale che scaturiscono da uno spirito di matrice Fluxus, non troppo diverso da quello che aleggia intorno ai violinisti meccanici di Joe Jones o ai collage vinilici di Milan Knížák. Ma il lavoro di Haroon Mirza offre anche un interessante spunto per una riflessione sulla logica di

Haroon Mirza, Cross Section of Revolution, 2011 Still da video COURTESY LIASSON GALLERY


fruizione delle installazioni sonore più in generale. In molte di esse, infatti, a prescindere dalle singole differenze, si può notare che la presenza degli altoparlanti è spesso ridotta a una subordinazione funzionale: in quanto oggetti, essi non entrano mai nel circuito della fruizione, limitandosi a restare meri supporti. Nelle opere di Mirza però, la cassa che suona, che veicola la riproduzione di un brano musicale, si impone alla

fruizione con tutta la sua materialità, in tutta la sua valenza di oggetto che connota e caratterizza la nostra quotidianità. È questo, forse, retaggio di una delle più importanti lezioni lasciate da Cage e da Fluxus, e cioè la possibilità di trovare la musica nel quotidiano, di rintracciarla nella vita di tutti i giorni, inseparabilmente dal caotico pullulare degli oggetti che la generano e che la producono.

Haroon Mirza, An Infinato, 2009 mixed media including footage by Jeremy Deller and damaged off-cuts from “Cycles #1” 1972/1977 by Guy Sherwin, dimensions variable COURTESY LIASSON GALLERY

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PUNCTUM Letizia Battaglia

“Le luci e le ombre di una donna d’amare chiamata Sicilia” di Federica Fiumelli

Janis Joplin - Cry baby

Ieri ho sofferto il dolore, non sapevo che avesse una faccia sanguigna, le labbra di metallo dure, una mancanza netta d’orizzonti. Il dolore è senza domani, è un muso di cavallo che blocca i garretti possenti, ma ieri sono caduta in basso, le mie labbra si sono chiuse e lo spavento è entrato nel mio petto con un sibilo fondo e le fontane hanno cessato di fiorire, la loro tenera acqua era soltanto un mare di dolore in cui naufragavo dormendo, ma anche allora avevo paura degli angeli eterni. Ma se sono così dolci e costanti, perchè l’immobilità mi fa terrore?

Giovanna Calvenzi, dal libro "Letizia Battaglia. Sulle ferite dei suoi sogni", Bruno Mondadori, 2010

Testimone di un continuo teatro di morte e scandali

Alda Merini

Poi un’immagine di donna dai capelli rossi, i capelli rossi delle muse preraffaellite, e una Leica al collo, al posto degli occhiali, ma è quella macchina fotografica la vera estensione di quello sguardo. Lo sguardo di Letizia Battaglia. Facendo zapping televisivo dettato dalla noia che probabilmente i palinsesti della tv di tanto in tanto propinano mi sono imbattuta in uno speciale di Rai Educational dedicato alla fotografa siciliana. E’stato impossibile distogliere l’attenzione fin da subito, il fascino che emanava la voce ruvida di quella donna dall’energico caschetto rosso, la passione con la quale faceva vibrare le parole dei suoi racconti, racconti alternati da fascinosi tiri di sigaretta, racconti di dolore, il dolore legato all’amore amaro (non a caso il titolo dell’ultimo speciale dedicatole su SKYarte) per la sua Palermo. Classe 1935 Letizia Battaglia iniziò a collaborare per il giornale l’Ora e altre riviste, fotoreporter di una Palermo di piombo, i suoi scatti riportano immagini terribili e agghiaccianti, delitti, vittime e fiumi di sangue versati dalla cicatrice del volto siciliano, la mafia. La patria di arte importante come il teatro dei pupi, le vastasate, Pirandello e Sciascia, negli anni Settanta divenne teatro degli orrori assurdi, di stragi umani dettate dall’impossibilità di comunicazione e dalla sola voglia di potere.

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Davanti a tutto ciò la Battaglia soffrì il dolore, lo stesso dolore che la Merini diceva di essere mancanza di orizzonti, perché non si può scorgere un bel futuro davanti a tanto orrore ed ingiustizia, a tanta morte e assurdità. Gli scatti della fotogiornalista siciliana sono elusivamente in bianco e nero, in un’intervista dice di non amare i colori nelle foto, e così la dicotomia tra bene e male, tra luce e oscurità si trova protagonista di una resa narrativa interessante. Gli scatti diventano pagine di storia di un’Italia che sta male, pagine in bianco e nero, gli sguardi dell’artista che tutt’ora ci parlano e ci costringono a una dolorosa riflessione, in silenzio. Bambini dagli occhi tristi, donne disperate, delitti, corpi senza vita, stradine caratteristiche, mercati, i mille volti di Palermo. Molte volte la stessa Battaglia ha affermato in alcune interviste di aver voluto bruciare, di aver voluto disfarsi di tutte quelle immagini martorianti, di quelle visioni entrate nella sua mente e nel suo cuore con prepotenza, la volontà di cancellare il suo esser stata lì, testimone di un continuo teatro di morte e scandali. Nonostante sia stata pluripremiata in tutto il mondo dall’Europa all’America con riconoscimenti molto importanti come il premio Eugene Smith, il suo cuore, i suoi occhi sono legati a Palermo, a quella città complessa e delicata, piena di contraddizioni e debolezze, semplice e umile, come una bella donna da es-


sere amata. Quelle strade, quella gente, quei bambini, Un’artista ma anche una donna impegnata socialmenquelle donne, i mercati, il mare, legano la Battaglia alla te e politicamente, “tutto quello che faccio è politica, terra siciliana. quello che mangio, come mi vesto, sono legata a E’un amore difficile, amaro, aspro come i limoni di Si- un’idea politica di democrazia e di giustizia” dice cilia, che bruciano gusti e visioni, ma un amore che se in un’intervista. Non ci si può esimere dalla politica levigato da uno sguardo poetico acquista quindi, diffidiamo dagli analfabetici poliFatto in luogo di tici come scriveva anche Brecht, l’appelvalore nella memoria del domani. Un amore nonostante tutto. non avere fatto, lo è quindi quello di evitare l’indifferenza I suoi scatti sono importanti per non disoprattutto in questo periodo che vede questa non è un’Italia in crisi e ingovernabile. menticare l’orrore, la violenza, la brutalità, la povertà delle scaltre intenzioni, per Fondatrice di Mezzocielo, la Battaglia ha vanità non essere indifferenti alla società; che sempre omaggiato la figura della donna, non si può far finta di niente, non si può non riflettere, fiera di esserlo, vede nella donna, la propensione la non si può non sapere, non si può non pensare, non si cambiamento, e gli ultimi lavori lo dimostrano. può non fermarsi davanti a un realtà che ci appartiene, Allora chiudiamo con l’immagine di una donna con i perché la realtà come la storia è un bene di condivi- seni nudi nel mare di Sicilia, con dietro anch’essa imsione. mersa nell’acqua la stampa della fotografia di un bimbo Negli ultimi anni, i lavori che rubano definitivamente dal volto coperto con in mano una pistola, la poesia il mio interesse, sono opere di mescolamento, la Bat- del mescolamento nei mari mediterranei ha in sé ditaglia inserisci splendidi corpi di nudi femminili nelle sperazione, speranza e un amore amaro, sembra quasi foto antecedenti, nelle foto dove protagonista era la sentire cantare Janis Joplin, cry baby, note ruvide e morte, la mafia. Ed ecco spostare il punctum dallo bagnate come il mare, come le lacrime. ieri, all’oggi, l’artista vuole porre l’accento su una femminilità genitrice di vita, pura, sull’eros, sulla bellezza, sulla vita. Ed ecco che nelle ultime foto, il bianco e nero non diventa l’unico contrasto, ma bensì la contrapposizione temporale, l’inserimento di bellissime donne nude in scene di cruda storia, portatrici una sofferta speranza, alimentano la dicotomica luce e ombra di male e bene. Innesti di corpi nudi incontaminati fanno irruzione nella corruzione, nel dramma denominato mafia. Ed ecco in primo piano una donna bagnata dalle lacrime di pioggia e sullo sfondo uno dei nostri orgogli italiani, Giovanni Falcone. “Lascia, lascia la vanità, ti dico lasciala, ma avere fatto in luogo di non avere fatto, questa non è vanità”, questa frase di Ezra Pound l’artista dice di esserle Letizia Battaglia, Rielaborazione, 2012, Palermo scolpita nel cuore. “L’errore sta tutto nel non fatto, sta nella diffidenza che tentenna.”

Letizia Battaglia, Serena, Palermo 2008, rielaborazione

Letizia Battaglia, Fotoreportage di un omicidio con il fotografo e compagno di vita Franco Zecchin, Palermo, 1976

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CAHIERS D’HISTOIRE Marseille-Provence 2013 : petits et gros travers de la capitale européenne de la culture 2013 di Margaux Buyck

♬ Depuis la mi-janvier, Marseille est officiellement devenue capitale européenne de la culture 2013, titre qu’elle partage avec la ville de Kosice en Slovaquie. Plus de deux mois après son inauguration, nous nous proposons de revenir sur les aspirations, les espoirs mais aussi sur les désillusions et les multiples couacs qui ont marqué le début de cette année 2013 pour la cité phocéenne.

Redorer le blason de Marseille «Renouveau de la cité», «transformer durablement la ville», «Marseille qui lutte, Marseille qui change, Marseille qui va gagner», voici quelques phrases parmi tant d’autres que l’on pouvait entendre en boucle dans les médias au moment de l’inauguration de MarseilleProvence 2013. Le message est clair, l’année 2013 est décisive pour la cité phocéenne. Elle doit saisir l’occasion d’être devenue capitale européenne de la culture pour redorer son blason, faire oublier les règlements de compte à la kalachnikov, la violence sociale, politique et économique qui parcourt ses rues. Se racheter une conduite en somme, rentrer dans le moule, un peu trop peut-être… Il faut dire que la ville doit être à la hauteur de la comparaison inévitable avec Lille qui fut capitale européenne de la culture en 2004. Le succès indéniable de Lille a permis une transformation de la ville et de son agglomération ainsi que l’organisation d’événements culturels pérennes comme par exemple Lille 3000 qui rythment la vie lilloise depuis 2006. Dans cette optique de profondes mutations, Marseille-Provence 2013 a affiché lors de sa candidature «la volonté de transformer durablement la ville, de mettre en œuvre un vrai projet de territoire» et de voir au-delà de l’année 2013. Pour cela Marseille a entrepris des travaux colossaux, en concentrant les nouvelles infrastructures culturelles sur le front de mer. Un choix séduisant, voire évident même, mais qui ne fait que renforcer les contrastes économiques et socioculturels entre le centre touristique et les quartiers défavorisés.

Massilia Sound System - Le marché du soleil

De l’archi-culturelle à la marseillaise La grande star de ce Marseille-Provence 2013 est sans conteste le MuCEM (musée national de civilisations d’Europe et de Méditerranée) qui ouvrira ses portes (tardivement) en juin 2013. Le bâtiment ayant coûté 160 millions d’euro est un énorme volume de béton et de verre horizontal, recouvert d’une résille de béton fibré et de façades brise-vent. Une passerelle relie le musée au sublime Fort Saint-Jean. Si le résultat est agréable à l’oeil, n’allons pas crier au génie. Il semblerait en effet que le devenir des nouveaux musées soit établi sur un même schéma architectural. La physionomie du MuCEM ressemble en effet à s’y méprendre à celle du Louvre Lens, conjuguant volume horizontal afin de ne pas dénaturer l’environnement proche et une architecture de béton, d’acier et de verre. Non loin du MuCEM, on retrouve la curieuse Villa Méditerranée conçue par l’italien Stefano Boeri. Il s’agit d’un bâtiment amphibie (certains espaces se trouvent sous l’eau) qui ressemble à un immense plongeoir. La présence de ces deux monstres architecturaux à proximité l’un de l’autre intrigue. Lors de l’inauguration du MuCEM, le maire de la ville, Jean-Claude Gaudin, offre la démonstration de ce que les Inrocks qualifient de «véritable scène politique marseillaise» : « Monsieur Vauzelle (président de la région) voulait marquer la présence culturelle de la région Paca dans Marseille à l’occasion de cette année 2013 exceptionnelle. Mais de notre côté, nous avions à faire le tunnel de la Joliette. Je lui ai dit : vous mettez trente millions dans le tunnel, et nous aussi on met trente millions dans le tunnel. Et voilà, affaire conclue.» Belle manière de justifier un projet architectural estimé à 70 millions d’euros. Mais Marseille-Provence 2013 n’est pas à une situation pagnolesque près au grand damne des marseillais. Un autre bâtiment, le J1, révèle en effet les approximations de l’organisation du MP 2013. Cet énorme géant d’acier et de béton construit en 1930, servant de gare maritime et dont le second étage de 6000m2 a été réaménagé en espace culturel, bât des records d’affluence. La restructuration particulièrement réussie offre une vue imprenable sur la mer et la ville. En

Villa Méditerranée © Paul Ladouce

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ce sens le projet offre la possibilité aux marseillais de se réapproprier la ville. Problème : les organisateurs de Marseille-Provence 2013, n’ont pas jugé bon de climatiser le lieu. Bien que l’on puisse lire sur le site de la ville au sujet du J1 que «l’expérience des capitales européennes antérieures a révélé l’importance d’un lieu de rendez-vous majeur et dynamiqueconjuguant expositions, accueil des artistes, information des publics et soirées populaires, comme le Tri postal à Lille en 2004.», ce dernier sera donc fermé entre le 18 mai et le 11 octobre 2013, en pleine saison touristique. Dommage que les organisateurs aient fait de ce «lieu éphémère, sur lequel il n’y a pas de visibilité pour l’après 2013» le centre névralgique de Marseille-Provence 2013. Autres aberrations urbanistiques : l’aménagement piétonnier du vieux port. Certes, l’espace est ample, dégagé mais trop aseptisé. Aux arbres pour protéger du soleil et qui auraient apportés un peu de verdure, il a été préféré des ombrières modernes qui aux dires de certains marseillais dénaturent le port.

Les quartiers défavorisés grands perdants de l’année de la culture à Marseille

Malgré les promesses du projet initial, de nombreux mécontentements s’expriment également dans les quartiers défavorisés de Marseille. A la mi-novembre plusieurs associations du quartier Saint-Bartélémy décident de se retirer «des jardins possibles», important projet de Marseille-Provence 2013 qui associe artistes et habitants autours d’ateliers de jardinage. Le recul de ces associations est dû au sentiment latent que Marseille-Provence 2013 est un cache-misère. En effet, le terrain proposé est en zone inondable et destiné à recevoir en 2017 les gravats de la rocade autoroutière de l’avenue Arnavon. Autre maladresse, fin décembre les mairies des 13e, 14e, 15e et 16e arrondissements n’avaient toujours pas reçu de programmation. Ce genre d’attitude, à la limite du dédain ne peut qu’engendrer de la frustration et empêche également toute «mise en œuvre d’un vrai projet de territoire et de préparation de l’après 2013», pourtant défendu par le projet initial. On remarque en effet qu’aucun équipement culturel Chaque grande manifestation culturelle révèle son lot pérenne n’a été construit dans les quartiers Nord. Pire de désaccords, de mécontents et de désillusions. Mar- encore on tire littéralement sur l’ambulance. seille-Provence 2013 ne fait pas exception à la règle. Depuis le 25 février, deux associations culturelles, les Depuis son inauguration diverses critiques affleurent. Pas Perdus et l’Art de vivre installées au comptoir de Victorine sont menacées d’expulAinsi depuis le 8 février 2013, la po«L’Art et la Culture ne la sion. Dans un appel à soutien, que lémique enfle au sujet des concerts de David Guetta dans le parc du s’administrent pas mais l’on peut retrouver sur le site de l’association l’Art de vivre, les deux aschâteau Borely prévus pour cet été. se laissent vivre» sociations expliquent leur situation : La ville de Marseille a en effet alloué 400 000 euros de subventions à Adam Production pour «Le 14 décembre 2006, le jour même de l’annonce de l’organisation de concerts payants. Si Marseille Pro- la candidature de la Ville comme capitale européenne vence 2013 n’a pas déboursé un centime, l’événement de la Culture 2013, la mairie de Marseille annonçait le a en revanche pignon sur rue dans sa programmation. rachat du comptoir Toussaint-Victorine. Une délibéraLe mécontentement des marseillais et du milieu cultu- tion du conseil municipal en date du 1er octobre 2007 rel est palpable. L’utilisation de fonds publics destinés entérinait l’engagement de la ville et réaffirmait la néau soutien de l’art pour un concert payant est en effet cessité de travaux d’urgence «afin de permettre aux vue d’un très mauvais œil dans une ville qui connaît artistes de poursuivre leurs activités sur le site». En des difficultés économiques importantes. Par ailleurs, février 2008, la Mairie en faisait l’acquisition». CepenLe journal de l’After Off 2013, dévoilait ce mois-ci que dant aucuns travaux ne sont entrepris et les structul’architecte des bâtiments de France, Gilles Bouillon res alertent régulièrement les services du patrimoine n’avait reçu aucune demande d’autorisation temporai- et de la culture sur les réparations indispensables à la re d’utilisation du parc. Hors, cette démarche est obli- sécurité et au bon déroulement de leurs activités et gatoire lorsqu’un événement est organisé à proximité sur l’urgence de travaux de mise en conformité des d’un monument historique classé comme le château locaux. Les deux associations affirment que depuis 5 Borely. Une pétition, comptant près de 70 000 signa- ans «aucune initiative sérieuse n’a été prise par ces tures est actuellement en ligne sur le net. services pour répondre leurs demandes et que d’autres résidents du bâtiment ont rencontré et dénoncé les mêmes difficultés.» Des démarches collectives

Les oubliés de Marseille-Provence 2013

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sont alors entreprises : constat d’huissier, demande de rendez-vous avec les services de la ville, signalements systématiques des actes de vandalisme et des dégradations, déclarations de sinistres aux assurances, demandes d’interventions, demandes de travaux d’urgence et de mise en conformité… La ville semble faire la sourde oreille. Les deux associations décident alors, l’an dernier, de suspendre le paiement du loyer, afin d’attirer l’attention de la mairie de Marseille. L’unique réponse reçue en retour est la menace d’expulsion sous un mois. La situation tourne à l’absurde lorsque l’on apprend que l’une des associations, Les Pas perdus, participe activement à Marseille-Provence 2013 dans le cadre du programme Quartiers Créatifs1. Face à cette multiplication de couacs et de bévues en pleine année de la culture on peut s’interroger sur les finalités de Marseille-Provence 2013. A qui va réellement profiter cet événement ? Le risque étant de faire du tourisme culturel plutôt que d’insuffler une dynamique culturelle durable. Il est évident que de l’argent a été jeté par les fenêtres et que Marseille aurait pu mieux jouer de ses difficultés et de ses particularités. Marseille-Provence 2013 donne l’impression à certains moments que la ville s’est travestie en capitale de la culture avec des projets colossaux, en oubliant parfois l’essentiel : les infrastructures culturelles déjà existantes qui souffrent de l’absence de moyens, ses quartiers…On peut seulement espérer que l’indomptable Marseille trouvera la parade et que ses habitants s’approprieront leur ville, faisant vivre l’art en dehors des espaces préétablis de l’expression artistique. Car, pour paraphraser une citation reprise par le mouvement Macao de Milan : «L’Art et la Culture ne s’administrent pas mais se laissent vivre».

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Le MuCEM entre deux passerelles © Agence Rudy Ricciotti

Vue chantier du MuCEM © Lisa Ricciotti

1 Le Mas Toc : un bâtiment décoiffé. Une exposition dans l’espace public de Guy-André Lagesse, Nicolas Barthélemy et Jérôme Rigaut. Du 1er juin au 29 septembre 2013, Quartier Griffeuille, Esplanade Jules Vallès, 13200 Arles.


IN CONVERSATION WITH Paul Roorda di Paola Pluchino

Gustav Mahler - Symphony n. 2

Paul Roorda, giovane artista canadese poliedrico ed estramente interessante. Dallo stile riconoscibile, Paul Roorda interroga la religione fin nelle sue più profonde ambiguità, inscenando un simbolismo sensuale e arcano. Reduce dalla permanenza presso la berlinese GlogauAIR, le sue opere sono adesso in mostra alla Dadian Gallery di Washington DC. Nell’intervista che segue, egli racconta il suo percorso artistico, le sue ambizioni e le sue speranze, svelando infine anche parte dei suoi progetti futuri.

Cosa diresti ad una galleria che vuole prenderti sotto la sua ala? What would you say to a gallery that wants to take you under his wing? This is an interesting question. I know that galleries, like artists, are concerned with discovering and promoting good art, but in the end must have “the market” in mind as well. I often think of both of these things too. But in the end, even when I am tempted to make art that may be seen as more marketable, I follow my creative inclinations. The result is work that I think is more intriguing, challenging, and conceptually sound than work that is done with a possible sale in mind. I think the viewer is more drawn to creatively honest work as well, even when it might not be as practical. I also like the freedom to try out new techniques and materials when the subject calls for it rather than sticking with what has been successful in the past. Quali sono gli elementi che caratterizzano la tua ricerca? What are the key features of your research? I deal with ideas of belief, ritual and the construction of truth in religion, but also within the fields of medicine, environmentalism and science more gen-

Paul Roorda, Days of Rain, 2012 Paper boats, pages from a discarded Bible

erally. I’m interested in examining the religious qualities of those science-based institutions by juxtaposing scientific and medical instruments and texts with those of the Christian tradition. I’m suspicious of absolute certainty whatever the context and often examine the inclination towards black and white thinking. I create art that exposes the grey areas and poses layered questions rather Paul Roorda, Study for Apparatus for than providing answers. Learning to Step Lightly, 2012 I’m also very interested Antique leg, scales, ceramic doll legs, glassware, level, rope, water and in looking at the tenhardware sion between traditional ways of understanding and new ideas that challenge those traditions. Much of my work is meant to challenge people to really deal with some of the troubling aspects of religion while at the same time acknowledging that religious behaviour is very much ingrained in our culture. In my art I transform found objects and use natural materials, and often religious texts, including the Bible. I love exploring the story and symbolism that each object brings to my art and the layers of meaning the manipulation of these materials can create in the sculpture and two-dimensional work Paul Roorda, Pulse, 2012 that I do. Vintage hydrothermograph, glassware,clock mechanism, water, paper, string, and hardware Below is a sum-

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mary of recent research and new explorations in my art. This is from an artist statement I wrote just a month ago to explain what my work is all about. “By transforming found objects and discarded books Paul Roorda, Labyrinth, 2004 Butterfly wings, paper, smoke, rust, poppy into sculpture, seeds, rotted wood, thread, beeswax, on board, installation and 30 x 30 inches mixed media collage I investigate changing belief systems, the construction of knowledge and the practice of ritual in religion, science, medicine and environmentalism. Amid overlapping narratives of personal disaster and scientific warnings of global climate change, I explore an apocalyptiphilia which has reached biblical proportions. Recent projects looks at the way this kind of narrative has been created and propagated in various forms of text from illustrations and photos to books and public notices. Using a collection of vintage objects the art features images that repeat and reflect, are magnified, or suffer damage and distortion thus exposing the undercurrents of a societal need for disaster and the accompanying fatigue and cynicism with our most recent warnings of catastrophe. Another persistent theme in my work is the tension associated with the collapse of traditional religious belief. While it continues to thrive, for many, traditional religion is something for scrutiny and often faith is abandoned in skepticism. Using fire, gold leaf, ashes and elements of discarded books, this work transforms traditional Christian art by creating ceremonial vessels, reliquaries and icons which reflect a post-devotional, neo-liturgical approach to the disposal of aged and damaged sacred texts. The art recalls religious acts of devotion yet, at the same time, points to the loss of what is held as sacred. Each creative work is also an act of destruction. Beauty embraces its shadow. Each sincere moment is betrayed by duplicity. This art draws attention to the absence of an authoritative ritualized tradition for the disposal of sacred text in Christianity and in creating new rituals it fills a liturgical void with uneasy possibility. In examining both religious and scientific institutions with the same kind of critical lens, I create

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work that questions the certainties and assumptions of each and the strong mutual influence between seemingly separate worldviews. Recently, I have begun to add kinetic elements to my art, with a particular interest in “slow” sculpture. In these works, ice melts or water drips slowly and mechanical devices unwind to create sculpture whose gradual movements create a sense of anticipation in viewers. At the same time, these works test the viewer’s patience as “events” in the sculpture take hours if not days to unfold. Using the element of time in my art, I’m able to explore the sense of urgency about environmental issues as well as the opposing complacency about a global climate change which is occurring so gradually it is almost impossible to perceive.” Cosa critichi e cosa salvi dei tuoi coetanei artisti? What do you admire in your peer artists? I admire work that has a strong visual appeal with an equally strong conceptual foundation. Work that draws me in visually is important. I really enjoy art that provides a rich initial experience in the viewing, work that provides an element of surprise or emotional impact. But I also like there to be ideas to discover beyond that. I like to be challenged by a complex layering of ideas and associations that I can explore with further examination. Quali sono i tuoi modelli di riferimento? What are your cultural models of reference? I find that I skim the surface in a lot of different historical, social and art-related traditions, without going into depth in a way that I know some artists do. Perhaps that is a fault, but I find that that, for my art, I prefer to take in a broad set of related and unrelated cultural references and information and make connections between them. I take this approach instead of doing indepth research into a smaller set of traditions. If you ask me who are the artists or schools of thought that have had most influence on my work, I find I can never answer in a way that satisfies me. I feel like I take in a lot and pick and choose elements from many sources and traditions to create my art. In that way I don’t feel boxed in by ideas or techniques or traditions. Quando la prossima mostra? When is the next show? I’ve just installed a solo exhibition at the Dadian Art Gallery, which is part of the Henry Luce III Center for the Arts and Religion in Washington DC, USA. That show runs until May 24, 2013. My next solo exhibition will be at the Doug Adams Gallery, in Berkeley, California, in February 2014. That art gallery is located in the Badè Museum of Biblical Archaeology, so I plan to


Paul Roorda, Reliquary and Remembering the Book Installation view

exhibit work that explores the use of ritual and artifact in the construction of theological truth.

because of this that I felt a strong need to pursue my artwork seriously as a profession, and when I really felt I could call myself an artist.

Perché hai scelto di fare l’artista? Why did you choose to be an artist? I didn’t initially choose to be an artist. Perhaps art chose me. In university I completed degrees in psychology, sociology and education, without taking a single art course. It was only in the years after leaving university that I began to enjoy making art as a spare time interest. Much later I discovered the possibility of using art to ask powerful questions and examine complex and contradictory ideas and emotions in a way that I couldn’t do in academic writing. It was

Paul Roorda, Crown of Thorns and Capeline Bandage, 2008 Vintage Bible and first aid manual pages, rust, blood, gold leaf, crushed stone and beeswax on paper, 24 x 18 inches

Paul Roorda, The Timekeeper's Gold, 2012 Photograph based on early 20th century postcard, vintage frame, glass, vintage watchmaker's vials and cork, watch gears, fool's gold, beach coal, water from the Styx River, paper, vintage box 22 x 10 x 6.5 inches

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PORTO D’ORIENTE Da Shanghai a Parigi: l’École de Shanghai di Francesca Salvi

♬ E’stata inaugurata giovedì 7 marzo presso il musée Cernuschi di Parigi la mostra su alcuni capolavori della Scuola di Shanghai, dal titolo L’École de Shanghai (18401920); peinture et calligraphies du musée de Shanghai, attraverso la collaborazione con il museo di Shanghai. Continua così il progetto del musée Cernuschi sull’esplorazione della pittura cinese, dopo le mostre Six siècles de peintures chinoises nel 2009 e Artistes chinois à Paris nel 2011, permettendo di approfondire il movimento artistico più vitale della fine del diciannovesimo secolo, il quale contribuì alla creazione dell’arte contemporanea cinese. Gli ultimi decenni del diciannovesimo secolo videro un susseguirsi di eventi storici e politici notevoli per la Cina, portandola all’apertura verso l’Occidente e all’emergere di una nuova classe di committenti e di artisti; la Scuola di Shanghai fu quindi la risposta dell’ambiente artistico cinese alla nuova cultura moderna. Il percorso tematico della mostra L’École de Shanghai si apre con la presentazione delle personalità più riformatrici nel campo della ritrattistica; come Ren Bonian (1840-1895) e Hu Gongshou (1823-1886), i quali collaborarono per la realizzazione del ritratto del mecenate Gao Yong. Vi è una chiara dimostrazione della conoscenza della pittura realista occidentale; una linea pulita indugia il profilo del viso e delicate macchie d’inchiostro delineano le forme interne. Tuttavia il ritratto di Gao Yong non si risolve in un mero esercizio di verosimiglianza, bensì emerge tutta la placidità espressiva e il raccoglimento interiore. In questa prima sezione ritroviamo un’altra personalità eminente nel campo del ritratto; Ren Xiong. La sua pennellata è decisa e le sue figure hanno forme volutamente esagerate, tutto per enfatizzare il carattere e l’emozione del soggetto. Chi libererà la rappresentazione del paesaggio dalla tradizione, fu per certo Xugu (1823-1896). Il tratto e le tecniche canoniche dei pittori della tradizione, sono utilizzati senza remore proprio perché l’artista riuscì ad infondergli nuovi ritmi e timbri, tanto da enfatizzare il soggetto e allo stesso tempo rafforzare l’immediatezza visiva e la bellezza formale. Nel rinnovamento della pittura tradizionale, comparve a Shanghai una maniera completamente nuova; la fusione di pittura e calligrafia. Zhao Zhiqian (1829-1884), iniziatore di questa nuova maniera, creò una pittura di fiori e uccelli più espressionistica e tesa a sfruttare al massimo le pennellate libere, lunghe e morbide e ad accentuare la fluidità del tratto. Dopo di lui, a continuare questo stile, fu Wu Changshuo (1844-1927); le sue rappresentazioni della natura sono come composizioni astratte, tant’è che le vigorose linee d’inchiostro e le macchie di colore brillante, più che a descrivere il soggetto, servono a rendere la sua essenza estetica. La pennellata vigorosa e spontanea e l’estrema semplificazione

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Ryuichi Sakamoto - War & Peace

Ren Bonian, Hu Gongshou, Ritratto di Gao Yong, 1877, Museo di Shanghai


dell’immagine si mescolano perfettamente all’esplosione di colori forti e acidi, ai quali la composizione è ridotta, tanto da far risultare una pura forza della forma. Musée Cernuschi, Parigi L’ÉCOLE DE SHANGHAI (1840-1920) Peintures et calligraphies du musée de Shanghai 8 marzo – 30 giugno 2013 http://www.cernuschi.paris.fr/fr/home

Wu Changshuo, Composizione Floreale, senza data, Museo di Shanghai

Xugu, Album di paesaggi e personaggi, 1876, Museo di Shanghai

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IL CASO Il Manierismo silenzioso di Christy Lee Rogers di Federica Fiumelli

Radiohead - No Surprises

L’acqua che tocchi de’fiumi è l’ultima di quella che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente. Leonardo da Vinci, Codice Trivulziano, 1487-90

L’acqua come sinonimo di tempo, l’acqua come rinascita, come purificazione, come catarsi, come riflesso e specchio di Narciso. L’acqua è da sempre stata fonte di ispirazione per l’uomo dall’antichità ad oggi, dal mito ai lavori contemporanei, le installazioni-video di Bill Viola. Se avete qualche post-it vuoto sulla scrivania e siete capitati tra queste righe, appuntatevi il nome di Christy Lee Rogers. Fotografo autodidatta hawaiano, lavora soprattutto in America dove vive, ma le sue fotografie hanno letteralmente fatto il giro del mondo, finendo anche in alcune collezioni private. Scoperti per puro caso, sono inciampata negli scatti di Lee Rogers e non ho potuto fare a meno di apprezzare questo interessante artista che fotografa esclusivamente in acqua e di notte. Guardando di primo impatto le foto, non si può non pensare ai grandi maestri del Rinascimento. Le forme, le muscolature, le luci, l’evanescenza dei panneggi, la composizione strutturale e l’impatto fortemente teatrale ci prendono per mano e ci riconducono nella galleria della memoria della storia dell’arte, ed ecco apparirci come costellazioni i nomi dei grandi come Caravaggio, Michelangelo o Pontormo. Le fotografie dalla resa sicuramente contemporanea anche per la tecnica utilizzata diventano splendidi innesti che ci riportano al passato. Reckless Unbound, Odyssey, Siren, i titoli delle collezioni. Figure anonime, penitenti con le braccia aperte e libere, grovigli di corpi dai fisici pallidi e scultorei, panneggi serpentini dai colori tenui e caramellati, zuccherati, manieristi, in cui dominano astrattezza e fantasia; le figure di Lee Rogers si confondono, nascono e finiscono, fluttuano Christy Lee Rogers, The Unending Journey

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senza peso e senza memoria come dopo un naufragio shakespeariano, riemergono dalle loro stesse tragedie, rinascendo nell’acqua, come segno primordiale, corpi che ritornano alla fase di pre-nascita, in liquido embrionale. La fenice rinasce dalle proprie ceneri. Tutto è fuori tempo e fuori spazio, Christy Lee Rogers, Argentina la non dimensione, il non luogo, il non esserci, l’altrove di Lee Rogers si propone al nostro sguardo con astrazione delle forme ma con elegante e sapiente teatralità del gesto che sembra perdersi per sempre nelle acque dell’universo. Come Bonami scrisse nel suo libro “Lo potevo fare anch’io”, l’astrazione è all’origine della nascita delle cose, la confusione, il groviglio il caos materico e formale che si intreccia in un morboso atto d’amore nelle opere di Lee Rogers, è posto prima di tutto, prima della definizione, e prima della creazione stessa. Splendidi seni, rotondità, gambe e toraci, sono sospensioni di corpi dell’altrove, di semi-dei maledetti, carni nude bianche e rosee, degne della Venere di Urbino di Tiziano. Veneri erranti e contemporanee quelle di Lee Rogers. Nella serie Siren, i corpi femminili diventano un tutt’uno di trasparenze medusine, nello scatto Argetina, per esempio, il corpo e il velo si intrecciano formando una scia di fumo, quasi ul alga grigia e preziosa. I corpi danzano nel liquido, riemergendo e scomparendo, celandosi dietro l’apparenza. E poi gli insiemi dei corpi, gruppi di anime che si intersecano come schemi, tra veli bianchi, blu, rossi, che fanno quasi eco alla


bandiera gloriosa della Libertà che guida il popolo a seno di nudo di Delacroix. Gli scatti di Lee Rogers, diventano dei tableaux-vivant senza posa, sbiaditi dalle onde centrifughe e inarrestabili dell’acqua, dove il caso strappa al definito. Le presenze diventano comparse, sono i qualunque senza Christy Lee Rogers, The Swan contorni certi; i colori pastello acquerellati gravitano nell’assenza, e rassicurano lo sguardo confondendo le forme. Le muscolature e la passione irruenta di Caravaggio viene prosciolta e liberata in fredde acque gelide o in calde acque tropicali, a seconda dei vostri gusti. I panneggi filanti ripescano nella memoria anche le movenze farfalline dell’attrice teatrale e ballerina statunitense Loie Fuller, le danze serpentine vengono congelate anche esse nell’attimo del fotografico. Tutto è movimento, tutto è caduco, tutto svanisce nella bellezza della forma che ritorna astrazione. Tutto è un grido soffocato nel grande acquario della vita, note sorde e mute, il silenzio come nei 4.33 minuti di John Cage. Il rumore della vita è forse quello del movimento acquatico. E chissà se i protagonisti di Lee Rogers, riemergeranno delle acque come il volto nel video No Surprises dei Radiohead, rovesceranno il Governo che non parla per noi e per loro, guariranno le loro ferite, e supereranno il naufragio. Silenzio.

Christy Lee Rogers, Star Crossed

A heart that’s full up like a landfill A job that slowly kills you Bruises that won’t heal You look so tired and unhappy Bring down the government They don’t, they don’t speak for us I’ll take a quiet life A handshake of carbon monoxide No alarms and no surprises No alarms and no surprises No alarms and no surprises Silent, silent Christy Lee Rogers, Drowning in her sea

Tutte le foto appartengono alle serie Reckless Unbound e Odyssey, 2012, COURTESY DELL’ARTISTA

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HEART BAUHAUS Essere a casa, in viaggio la Redazione

Led Zeppelin - Travelling riverside blues

Quanti di voi magari cercando una modesta casa in affitto, magari non proprio in centro, magari in condivisione, magari con spese basso, non hanno ad un certo punto deviato verso mete irraggiungibili ma esteticamente gratificanti? Tra i vari siti internet si possono scoprire varie soluzioni, spesso, soprattutto per chi viaggia in gruppo molto più economici degli hotel. È questo il caso di oh Berlin che propone appartamenti nei quartieri più ricercati della capitale, Alexanderplaz o la Mitte ma soprattutto eleganti dimore in Friedrichshain, luogo preferito dei cosmopoliti intellettuali d’Europa, soluzioni alternative a Kreuzberg fervente polo multiculturale, o a Shonberg, meta sicuramente tra le più open - minded di Berlino. Se invece la vostra bussola indica la Francia, homelidays vi offre la possibilità di respirare i profumi della Borgogna, lasciandovi trasognanti tra le offerte di casali, dimore d’epoca, o di case private che ospitano per brevi periodi. I più cool possono invece dirigersi verso locasun che propone una vasta gamma di appartamenti, soprattutto per biovacanzieri e designer, meta d’obbligo, la Danimarca. Per chi invece ha attraversato con la fantasia mezza Europa ed è alfine giunto in Polonia, a Varsavia, la scelta migliore ricade sui confortevoli locali di capitalapart, specializzata nell’affitto di dimore situate nella Old Town. Ovviamente per gli avventurieri il miglior modo di viaggiare cheap rimane sempre il couchsurfing, che permette di scegliere da chi andare e dove il tutto completamente gratis. Magari potreste ritrovarvi nello splendido loft di un architetto londinese o nell’ala di un castello a San Pietroburgo, o forse a casa con degli spagnoli amanti della movida, ma che importa, ogni casa ha la sua bellezza e la sua storia, ed è sempre meglio rischiare una fregatura che cullarsi comodi in hotel con ciabbattine incluse, abbandonando del tutto la bellezza di un viaggio vissuto dentro la città, partendo dalla propria (temporanea) casa.

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Villa a Lans


URBAN ADDICTED Salvatore Ferragamo, l’artista delle scarpe amato dalle grandi diveIl “Museo Salvatore Ferragamo” tra la mostra permanente dedicata alle creazioni dell’artista calzaturiero e la mostra temporanea dedicata a Marilyn Monroe di Ada Distefano

♬ Oggetto di desiderio di ogni donna le scarpe rappresentano l’accessorio femminile per eccellenza. Sarà stata la favola di Cenerentola a condizionarci sin da bambine o magari sarà qualcosa che fa parte del nostro DNA ma, di fatto, ogni donna s’incanta e sogna alla vista di un bel paio di scarpe. A Firenze esiste un luogo dove sono custodite alcune tra le scarpe italiane più preziose, creazioni calzaturiere uniche di un uomo che aveva un sogno: fare il calzolaio. Salvatore Ferragamo nasce nel 1898 a Bonito, paesino vicino Napoli. Non ancora adolescente si fa già viva in lui la passione per l’arte calzaturiera. A soli 14 anni emigra in America dove raggiunge in un primo momento uno dei fratelli a Boston. Agli inizi degli anni Venti si sposta in California, a Santa Barbara, e lì apre una sua bottega di riparazioni per calzature. In America, Ferragamo, è affascinato dalla modernità delle macchine da lavoro ma, da artigiano, ne vede i limiti e ciò alimenta la sua smania volta a realizzare calzature migliori, che calzino alla perfezione; inizia quindi a studiare anatomia umana, ingegneria chimica e matematica all’Università di Los Angeles. In una California in cui l’industria cinematografica prospera feconda, Ferragamo inizia a disegnare e realizzare calzature per il cinema. L’ambiente e la cultura della California gli offrono in quegli anni importanti spunti creativi e ispirazione per la lavorazione e le decorazioni delle sue creazioni. Nelle creazioni per il cinema Ferragamo dà vita a tutto il suo estro e quando l’industria del cinema si sposta ad Hollywood egli non può fare a meno di seguirla. Le creazioni di Ferragamo sono ai piedi di attrici e attori per i quali realizza scarpe uniche su misura. La sua creatività e la sua grande capacità artigianale

Marilyn Monroe - I wanna be loved by you

fanno si che ben presto le richieste, il successo e la sua fama crescono senza eguali, diviene il “calzolaio delle stelle. Ben presto Ferragamo, da sempre fedele alla tradizione artigianale italiana, si rende conto che la manodopera americana non è in grado di fornire la perfezione che lui desidera per le sue calzature, decide quindi, nel 1927, di far ritorno in Italia, a Firenze, città nota per la sua arte e per la fecondità di abili artigiani. A Firenze Ferragamo apre un suo laboratorio dal quale avvia un flusso di esportazioni verso l’America che subisce un arresto nella 1929 a causa della crisi economica. Ferragamo si rivolge con successo al mercato italiano e nel 1936 affitta due laboratori ed un negozio nello storico Palazzo Spini Feroni nel cuore di Firenze. Sono gli anni in cui gli studi sull’anatomia del piede e sui materiali svolti da Ferragamo producono in lui grande creatività; realizza alcune tra le sue più importanti creazioni, inventa forme nuove e porta grandi innovazioni nel settore calzaturiero partendo dall’esigenza di rendere la scarpa comoda oltre che bella ed originale. Nel 1931 brevetta il “cambrione”, un sostegno interno in lamina metallica che permette di rendere le scarpe più leggere e resistenti, comincia poi a lavorare la rafia, il legno, le resine sintetiche ed i pezzi di sughero sardo che pressa, incolla, rifinisce sino a creare, nel 1937, la famosa zeppa di sughero che diviene una tra le più celebri scarpe della moda di quell’epoca. La superficie della zeppa permette a Ferragamo di dar spazio al suo estro artistico e realizza varianti dipinte, decorate con pietre, con perline, con specchietti di vetro e con motivi floreali. La sua creatività attinge dal mondo dell’arte, trae fonte

Particolare della Mostra “Marilyn” al Museo Salvatore Ferragamo

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di ispirazione dalle avanguardie artistiche contemporanee e dal futurismo, predilige i colori forti e vivi che usa assecondando la dinamica e la forma della scarpa. Il dopoguerra sono gli anni in cui le creazioni di Salvatore Ferragamo conquistano successo e grande approvazione, diventono il simbolo di un’Italia che ritorna a creare ed a vivere con grandi invenzioni come i sandali in oro, il kimo del 1951, il fiosso fasciato del 1952, il tacco a gabbia del 1955, la suola a conchiglia, i tacchi a spillo rinforzati in metallo, resi celebri da Marilyn Monroe, ed il famoso i sandalo invisibile con tomaia in filo di nylon grazie al quale Ferragamo nel 1947 riceve il prestigioso Oscar della Moda, ‘Neiman Marcus Award’, per la prima volta assegnato ad un creatore di calzature. “Fabbricai le mie forme rivoluzionarie che, dando appoggio all’arco, permettono al piede di muoversi come un pendolo all’inverso” (Il calzolaio dei sogni. L’autobiografia di Salvatore Ferragamo, Londra 1957. ed. italiana 1971). Palazzo Spini Feroni negli anni Cinquanta diviene meta di tutte le attrici e gli attori del periodo, che desiderano indossare le creazioni realizzate appositamente su misura per loro da Ferragamo, e così Audrey Hepburn , Sofia Loren, Greta Garbo, Anna Magnani, Ava Gardner, Marilyn Monroe, Katharine Hepburn e tanti altri si affidano alle mani e all’arte del “calzolaio delle dive”. Quando Salvatore Ferragamo muore nel 1960 lascia alla moglie ed ai figli il compito di portare avanti la sua opera, realizzare scarpe comode e preziose, capaci di far sognare. L’attività di quel giovane calzolaio, che seppe sperimentare, continua attraverso le creazioni proposte da quella che oggi è divenuta una delle più importanti case di moda italiane, la Maison Ferragamo, che con il tempo ha saputo mantener viva l’opera e la tradizione artigianale del suo fondatore. Le creazioni originali dell’artista calzaturiero rivivono dal 1995 all’interno di uno spazio espositivo all’interno di Palazzo Spini Feroni, dal 1938 di proprietà Ferragamo ed attualmente sede dell’azienda e del “Museo Salvatore Ferragamo”. Il “Museo Salvatore Ferragamo”, realizzato per volontà della famiglia Ferragamo nel maggio 1995, custodisce al suo interno le preziose creazioni realizzate da Ferragamo dagli anni ‘20 sino alla sua morte nel 1960 e si dispiega in un percorso che conduce a modelli prodotti successivamente sino a giungere ai più recenti e attuali. All’interno del museo, che espone a rotazione i modelli della collezione permanente selezionati tra oltre 10.000 pezzi, custoditi in archivio, le prime due sale sono dedicate alla storia di Salvatore Ferragamo e alla sua creatività; vi sono esposte le creazioni più rappresentative ed importanti dell’artista, le scarpe che han-

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no fatto la storia della maison, i modelli che dimostrano le ricerche e le innovazioni nei materiali e nella forma, quelli che testimoniano il rapporto di Ferragamo con gli artisti dell’epoca e con l’arte e l’influenza di questa nelle sue creazioni, le scarpe e le forme di legno dei piedi di clienti famose, i disegni, i documenti, i filmati e le foto di Ferragamo con le sue creazioni e di dive con ai piedi le scarpe realizzate per loro dal calzolaio. Le altre sale del museo sono invece destinate ad esposizioni temporane, sempre connesse alle creazioni dell’artista calzaturiero, come quella attualmente in corso dedicata a Marilyn Monroe. La mostra. Con una grande mostra intitolata“Marilyn”, inaugurata il 20 giugno 2012 ed aperta sino al 1 aprile 2013, il “Museo Salvatore Ferragamo” rende omaggio all’indimenticabile Marilyn Monroe a cinquant’anni dalla sua scomparsa. La mostra“Marilyn”, curata dalla direttrice del museo Stefania Ricci e dal critico d’arte Sergio Risalti é il risultato di un lungo e accurato lavoro di ricerche volte a ripercorrere il mito senza tempo di Marilyn Monroe, icona di stile e femminilità. Occasione della mostra sono le scarpe create da Salvatore Ferragamo per Marilyn Monroe; oltre 15 paia di modelli tra cui le decolleté con tacco a spillo di 11cm, tanto amate dall’attrice e capaci di esaltare la sensualità del corpo e del portamento della diva paragonata dallo stesso Ferragamo alla dea greca Venere. La mostra che vuole raccontare la diva non solo sotto i riflettori ma anche nel quotidiano ripercorrendone la vita, lo stile e l’essenza, si snoda partendo da una prima sala in cui sono esposti alcuni tra i preziosi abiti indossati dalla diva in film come “Quando la moglie è in vacanza”, “A qualcuno piace caldo”, “Gli spostati” e“Niagara”. Una parte dell’esposizione è poi esclusivamente dedicata alle scarpe della diva, circa 30 stupendi modelli tra i quali quelli creati, con cura e maestria artigianale, appositamente per lei da Salvatore Ferragamo. La mostra si snoda in un percorso in cui l’immagine dell’attrice si intreccia con il mondo dell’arte; i cura-

Particolare Museo Salvatore Ferragamo


1. Il sandalo Invisibile del 1947 di Salvatore Ferragamo. 2. Forma in legno 3. Sandalo tacco in oro 18 carati, 1956 di Salvatore Ferragamo 4. Sandalo creato per la principessa Maharani Indira, 1938 5. Sandalo con tomaia in capretto dorato, suola e tacco in sughero ricoperti di camoscio in vari colori creato per Judy Garland, 1938 6. Sandalo con tomaia in gros nero e nervature in gros –grain multicolor, 1930 7. Decolleté in coccodrillo creato per Marilyn Monroe 1958-1959 8. Decolleté in Vitello 1952

Le “Quattro Marilyn” di Andy Warhol e gli abiti di Marilyn Monroe in mostra al Museo Salvatore Ferragamo

tori hanno voluto creare un confronto ed un legame tra gli scatti fotografici che immortalano la diva ed i capolavori del passato; ecco quindi uno scatto di Marilyn accostato al gesso della “Ninfa dormiente” del Canova , a quello di “l’Alessandro Morente” o ad altri busti di età classica e ad altre opere d’arte come le “Quattro Marilyn” in bianco e nero di Andy Warhol , concesso in prestito dal The Andy Wahrol Museum di Pittsburg. Il Museo Salvatore Ferragamo con la sua storia, le sue collezioni preziose di scarpe uniche che han fatto la storia della moda, con le sue mostre temporanee, dedicate a grandi dive come Marilyn, è sicuramente uno di quei luoghi in cui per le odierne Cenerentole è sempre possibile sognare.

Particolari della Mostra “Marilyn” al Museo Salvatore Ferragamo

Tutte le foto dell’articolo: COURTESY MUSEO FERRAGAMO

Salvatore Ferragamo con le forme in legno dei piedi

Salvatore Ferragamo

Ritratto e Audrey Hepburn e Salvatore Ferragamo

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Particolare Museo Salvatore Ferragamo


MOSTRE Francis Bacon in mostra a Chieti

Quando l’estro di un artista unico incontra la serie limitata la Redazione

Talking Heads - Once In A Lifetime Oserò Turbare l’universo? T. S. Eliot, The Love Song of J. Alfred Prufrock

Francis Bacon non ha mai avuto bisogno di presentazioni. Conosciuto dal grande pubblico per i suoi trittici e le sue figure perversamente oniriche, è un artista fondamentale capace di segnare una profonda cesura con i linguaggi delle avanguardie storiche. I suoi lavori, disseminati nei più importanti musei del mondo (Tate Gallery di Londra, Peggy Gugghenheim di Venezia, Centre Pompidou di Parigi, Moma di New York), provocano angoscia e profonda introspezione. Un linguaggio immediatamente riconoscibile capace di suscitare nello spettatore un magnetismo che va oltre la rappresentazione, che genera una riflessione che delega al corpo l’espressione di istanze tutte interiori. Un corpo trapassato quello Bacon, che si contorce sulla tela, si trasfigura, pervaso com’è da un’angoscia esistenziale che è punto esatto dell’impossibilità di una liberazione. Dopo la grande mostra fiorentina, Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporanea, è la volta di approfondire una parte meno conosciuta del lavoro di questo artista (come le litografie frutto del rapporto con editori parigini e newyorkesi): il chietino Palazzo de’Mayo (alto esempio di barocco abruzzese, inaugurato lo scorso 2 giugno dopo otto anni di restauro), ospita fino al 5 maggio la mostra Francis Bacon. La visione della condizione umana ideata da Alfredo Paglione, curata da Sandro Parmiggiani e promossa e organizzata dalla Fondazione Carichieti. L’esposizione è accompagnata da un catalogo, edito da Allemandi, con testi di Achille Bonito Oliva, Sandro Parmiggiani e brani tratti dal testo introduttivo al Catalogue raisonné de l’oeuvre graphique di Bruno Sabatier, pubblicato nel 2012.

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Francis Bacon, Portrait De Peter Beard, 1976 Acquaforte e acquatinta Esemplare n. XLIV/XLV Frontespizio del lavoro La mysticite charnelle de Rene Crevel, testo di Eddy Batache Edito nel 1976 per le Edizioni Georges Visat e Cie, Parigi Stampata su carta “Velin d'Arches”, sul torchio delle Edizioni Georges Visat e Cie. Parigi. Pubblicato su: “Francis Bacon, Catalogo Ragionato delle opere grafiche”, Editore Bruno Sabatier, 2012.


(P)ARS CONSTRUENS Un pavimento di monetine come metafora della dispersione dei fondi per i terremotati di Maria Livia Brunelli

Muse - Madness

Chi ha visitato ArteFiera di Bologna quest’anno non poteva non notare un affollamento costante di persone davanti a uno stand della sezione giovani gallerie. Ne hanno parlato infatti diversi giornali come lo stand più visitato della kermesse bolognese. Forse perché quest’anno abbiamo pensato di fare un progetto curatoriale, a differenza delle altre gallerie che esponevano opere di vari artisti senza un collegamento tra loro. La scelta è caduta su un tema di grande attualità per la città e la regione in cui la galleria opera: il terremoto. La MLB home gallery ha infatti chiesto a cinque artisti di ideare opere site specific su questo tema, per innescare una riflessione rispetto a ciò che è accaduto, di cui ancora rimangono intatte le cicatrici. Abbiamo pensato a opere che coinvolgessero a livello emotivo lo spettatore, come la spettacolare installazione di Stefano Scheda, realizzata grazie alla collaborazione della Banca di Romagna: una coltre mobile di migliaia di monetine da un centesimo ricopriva l’intero pavimento dello spazio espositivo. Il visitatore, entrando nello stand, diventava parte interattiva nella modificazione fisica e sonora prodotta dallo spostamento e dal calpestio delle monete nel suo camminamento, creando continue traiettorie variate durante l’osservazione delle opere esposte sul tema del terremoto. Un riferimento ai fondi destinati ai terremotati che faticano ad arrivare a destinazione? Una metafora della esiguità del risarcimento rispetto ai danni subiti?L’accumulo di monete alludeva anche ai calcinacci prodotti dallo sfaldarsi delle costruzioni ed ai fe-

Stefano Bombardieri, Help, 2012 4 light boxes in plexiglass retroilluminato, cm. 70x50x10

Marcello Carrà, La torre di Babele, 2012-2013 penna biro su carta applicata su legno, 114x155 cm

nomeni di liquefazione e crepe dei terreni post sisma: una zona dello stesso colore della terra, mobile come le macerie del terremoto, quantificazione aleatoria del valore, ossessione del denaro compensata dal nulla. Le altre opere esposte dall’artista bolognese a parete erano invece fotografie, declinazioni non ovvie sul terremoto. Tra queste, una fotografia che ritrae gambe e braccia di bambini che fuoriescono da un accumulo di mattoni da costruzione: un tentativo di addomesticare la paura gicato sulll’ambivalenza fra casa rifugio e casa prigione-morte. Di grande impatto anche le sculture concettuali di Stefano Bombardieri: le quattro tabelle optometriche realizzate dall’artista bresciano si rifanno come forme e dimensioni alle classiche tabelle utilizzate per la misurazione della vista, ma accostate tra di loro compongono la parola “HELP”. La ripetizione delle quattro lettere (H E L P) trasforma così la parola in urlo. In sostanza si tratta di una richiesta d’aiuto urlata che l’ambiente lancia all’uomo: il riferimento al terremoto in Emilia consiste nello scarso rispetto per l’ambiente nelle zone del ferrarese e del modenese sottoposte a trivellazione per l’estrazione del gas metano, possibile causa dell’aggravamento degli effetti del sisma. Invece in Natura morta/viva, grazie a un dispositivo elettronico, piatti, bicchieri e posate si muovevano sul tavolo tintinnando con modalità differenti, come a evocare le vibrazioni del sottosuolo; a volte il ritmo è concitato, in altri momenti si fa più pacato.

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Silvia Camporesi ha realizzato invece una serie di fotografie tridimensionali di edifici e luoghi abbandonati. Attraverso la tecnica giapponese kirigami (taglio e piegatura della carta fotografica) le immagini acquistano tridimensionalità, evidenziando inedite spaccature, mentre al contempo la delicatezza della carta è metafora della fragilità delle architetture. Altre immagini, realizzate all’interno di un edificio in disuso, raccontano i dettagli di un abbandono improvviso: crepe, polvere, frammenti di intonaco. Ha poi lasciato senza fiato i visitatori un’enorme opera di Ketty Tagliatti, di circa tre metri: una camelia realizzata con una tecnica stupefacente per un’opera così grande, perché ogni petalo è formato da centinaia di spilli che, sapientemente affiancati e direzionati, creano le morbide volute tipiche di questo fiore. La fitta trama di spilli lucenti si presenta come un raffinato ricamo d’argento, ma evoca anche il lento e meticoloso processo di ricostruzione delle terre colpite dal sisma. Un processo materiale, ma anche psicologico, che implica un costante impegno quotidiano, oltre che una infinita pazienza: come quelli che, simbolicamente, l’artista ha dedicato per la realizzazione di quest’opera. E infine ha riscosso grande successo il ferrarese Marcello Carrà, giovane artista autore di sorprendenti disegni a penna biro di grande formato: nel trittico La festa è finita ha rivisitato tre capolavori di Pieter Brueghel il Vecchio, immaginando gli stessi spazi, festosamente affollati nelle opere del pittore fiammingo, in uno stato di abbandono e “inagibilità” dovuto al sisma. L’artista ha arricchito le opere con paziente minuziosità tramite l’inserimento degli inevitabili danneggiamenti che il terremoto provoca sul paesaggio e sugli edifici, soprattutto se di carattere storico. Una metafora delle sofferenze che anche l’arte patisce a seguito di queste drammatiche calamità naturali.

Fotografie e installazione di monetine di Stefano Scheda

Ketty Tagliatti, SurNaturale, 2011 dettaglio dei 25000 spilli intrecciati tra di loro che sollevano la tela formando i petali della camelia,cm 240x290

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BOOKANEAR

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BALLOON Vittorio Giardino e la Storia di Alessandro Cochetti

♬ Si è conclusa a Bologna la settima edizione di BilbOlbul - Festival internazionale di fumetto (21-24 febbraio), che ha avuto quest’anno come guest star Vittorio Giardino, a cui è stata dedicata la mostra principale al Museo Civico Archeologico e due incontri, all’Università e in Cineteca. Occasione per fare un punto sull’autore e una riflessione sull’arte e il medium fumetto. Dagli incontri si è potuto constatare il grande lavoro di ricerca che occupa la maggior parte dell’attività di questo grande autore: la ricca documentazione, che dura anche anni, per trovare ogni singolo dettaglio, spesso a suo proprio dire persino irrilevante, che poi andrà ad inserirsi come un tassello nel mosaico delle storie da lui create. Chi ha letto i volumi di Max Fridman o quelli di Jonas Fink può accorgersi di questo facendo attenzione a uno qualsiasi degli elementi presenti in scena: da un orologio a cucù ad un’automobile, dai palazzi alle strade fino anche agli abiti stessi indossati dai protagonisti. Ci si trova di fronte cioè ad un campionario di oggetti che catapultano il lettore immediatamente in un determinato tempo e luogo, e che sono perciò narrativi. Tanto per fare un esempio: durante le videoproiezioni Giardino ha mostrato come, in No pasaràn, compaia un aereo

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Lale Andersen - Lily Marlen

da guerra (la storia è ambientata durante la Guerra Civile Spagnola) che ha nella fusoliera un disegno di Mickey Mouse, escamotage che ha usato per renderlo riconoscibile poiché ricompare più avanti nella storia. Dunque quel marchio sulla fusoliera è solo di riconoscimento, e assolve ad una semplice funzione narrativa utile al lettore. Ebbene quell’aereo Giardino ci dice che esistette davvero, e ci mostra una foto (se ricordo bene di Robert Capa) dove lo si può vedere benissimo mentre è “posteggiato” in una base militare spagnola negli anni 30. Ora, questo è chiaramente irrilevante ai fini della storia che Giardino racconta in No pasaràn, ma ci dà l’idea di quale gigantesca mole di ricerca ci sia dietro il suo lavoro: per rendere riconoscibile quell’aereo avrebbe potuto benissimo inventarsi un segno qualsiasi, magari una “X” o altro, eppure anche per questo piccolo dettaglio c’è una cura incredibile, quasi maniacale, considerando quanti album fotografici di guerra dovrà aver sfogliato nel suo studio per trovare un’immagine utilizzabile. Di questi esempi se ne potrebbero fare migliaia, cercando corrispondenze e citazioni in film, fotografie, romanzi, etc, ricercando oggetti, capi d’abbigliamento e persino strade, piazze e insegne di negozi (come in Rapsodia Ungherese, dove le strade di Budapest sono assolutamente riconoscibili in foto d’epoca). Dopo il fascino del disegno e della citazione poi si subisce però anche quello delle trame, che hanno tutte come filo rosso l’intrico, l’intreccio complicato e mai banale, cosa che ben si sposa con le ambientazioni hard-boiled del detective Sam Pezzo o con le complesse spy-story di Fridman, finanche alle storie brevi ambientate nell’Italia “da bere” degli anni 80, dove c’è sempre un omicidio, un tradimento o un mistero celati dietro l’angolo. In ognuno di questi racconti emergono così personaggi complessi, di cui lo stesso autore ci dice che ne conosce anche il passato ed il futuro, nonostante la storia in questione si focalizzi su un punto preciso della loro vita: questo meccanismo creativo Giardino dice che è indispensabile per lui, utile a creare delle personalità realistiche e convincenti, piene di quelle stesse contraddizioni che caratterizzano ogni individuo, in modo che anche l’ultimo dei comprimari possa così assolvere nel modo più verosimile alla sua funzione narrativa all’interno della storia. Giardino ci dice infatti che se un personaggio, in una determinata circostanza, agisce come agirebbe lui stesso, allora c’è qualcosa che non va, la caratterizzazione è sbagliata. Di Fridman Giardino dice di conoscere tutto infatti, dall’infanzia fino alla morte, anche se questi periodi della sua vita probabilmente non vedranno mai la luce in una storia a fumetti. C’è dunque un gioco di immedesimazione e


di studio che solo i grandi scrittori sanno fare. Durante gli incontri l’autore ha tirato fuori a questo proposito un concetto molto importante e utile per capire la sua poetica, e cioè l’essere “qui” e “ora”: Giardino dice questo in risposta ad una ragazza che gli chiede, e la domanda in realtà non è banale, se lui avrebbe realizzato le stesse storie se fosse stato un disegnatore giovane oggi. È qui che l’autore inserisce questi due concetti, dicendo che probabilmente oggigiorno avrebbe forse utilizzato tecniche di disegno diverse, ma che per quanto riguarda le storie il concetto di tempo e spazio sono imprescindibili. Questo è interessante perché mostra come per la caratterizzazione dei personaggi e lo sviluppo delle trame la dimensione della Storia (quella con “S” maiuscola) sia sempre un elemento da controllare e padroneggiare per ottenere migliori risultati: il giovane Jonas Fink è un ragazzino ebreo confinato nel ghetto di Praga durante il periodo delle purghe di Stalin, Fridman è una spia francese che si ritrova nel nord-est europeo e in Spagna negli anni trenta. Sono dunque personaggi immersi in un contesto ben preciso, dove la personalità stessa dell’autore non deve entrare per non modificarne la verosimiglianza: per scrivere una storia ambientata tra le due guerre mondiali Giardino deve perciò documentarsi per sapere come era la vita durante quel periodo e far “comportare” i suoi personaggi in un modo che possa essere veritiero per l’epoca. In definitiva entrambe queste componenti, lo studio degli ambienti e quello dei personaggi, unite ad un’attenzione maniacale, sono indispensabili alla creazione di quell’atmosfera che Giardino riesce sempre ad evocare con efficacia. L’autore si chiede infatti se questo suo lavoro passi o meno attraverso i suoi fumetti (lui dice che questa parte di studio è per lui un divertimento prima che una necessità), poiché nessuno andrà mai a controllare effettivamente se una strada o una piazza siano quelle reali o no, ma io credo che in qualche modo questo venga percepito dal lettore e la mostra dedicatagli è, oltre ad un omaggio alla sua carriera, una prova che non sono il solo a pensarlo. La mostra al Museo Civico Archeologico di Bologna (dal 22 febbraio al 1 aprile) cerca infatti di mettere in luce tutti questi aspetti. Già dal titolo “La quinta verità” che, oltre a richiamare il titolo di un suo racconto breve (La terza verità), focalizza l’attenzione su come, nell’opera di questo autore, niente sia mai scontato, che la realtà dei suoi fumetti è qualcosa di complesso esattamente come complesso è il mondo reale che ci circonda. Su queste pagine si era già parlato, a proposito della mostra di Enki Bilal al Louvre e di quella di Robert Crumb al MAM di Parigi, dell’importanza che il medium fumetto assume oggi nel panorama più complesso dell’arte contemporanea: Bologna, città natale dello stesso Giardino, si rivela così sensibile a questo problema, dedicando una mostra e degli incontri che realmente scavano a fondo nella poetica di un grande narratore imperdibile anche per i non appassionati del fumetto.

Rapsodia Tutte le immagini sono tratte dal volume "Max Fridman", gruppo editoriale l'Espresso

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ROUTES di Paola Pluchino

Grandi Mostre Modena – Galleria Civica Nam June Paik in Italia Fino al 2 giugno 2013 www.galleriacivicadimodena.it Roma – Palazzo delle Esposizioni Helmut Newton - White Women, Sleepless Nights, Big Nudes Fino al 21 luglio 2013 www.palazzoesposizioni.it Rovereto - Mart Rudolf Steiner. L’alchimia del quotidiano Fino al 02 giugno 2013 www.mart.trento.it

Milano - Pinacoteca di Brera, Sala XV A tutti i pittori ho chiesto l’autoritratto. Zavattini e i Maestri del Novecento 7 maggio – 8 settembre 2013 www.brera.beniculturali.it Domodossola - Centro Esposizioni d’Arte e Cultura Antoni Gaudí Pietre d’Infinito Fino al 14 aprile www.cedac.info Chieti - Palazzo de’Mayo, S.E.T. Spazio Esposizioni Temporanee Francis Bacon. La visione della condizione umana Fino al 5 maggio 2013 www.fondazionecarichieti.it

Cagliari - Palazzo di Città Gli Spazi dell’Arte. Dall’Arte Programmata all’Arte Minimal Fino al 19 gennaio 2014 www.museicivicicagliari.it Bologna – MAMbo Autoritratti. Iscrizioni del femminile nell’arte italiana contemporanea 12 maggio – 1 settembre 2013. www.mambo-bologna.org Catania - Museo Palazzo Biscari Marella Ferrera re opening Maggio 2013 www.marellaferrera.com

Exhibit Milano - BRAND NEW GALLERY Gabriel Hartley, Splays Fino all’11 Maggio 2013 www.brandnew-gallery.com Teramo - L’ARCA Ettore Frani. Attrazione Celeste Fino al 14 aprile 2013 www.larcalab.it Bologna - Galleria d’Arte Maggiore SAM FRANCIS. La libertà del colore Fino al 31 Maggio 2013 www.maggioregam.com Imola - Il Pomo da DaMo, courtesy PH Neutro Silvia Calcagno: Celeste, So Happy Dal 20 aprile al 25 maggio 2013 www.ilpomodadamo.it www.ph-neutro.com Berlino - Paolo Erbetta Gallery Pietro Capogrosso. SCHNEE – SEHNSUCHT Fino al 13 Aprile 2013 www.paoloerbettagallery. com

Milano - Officine Saffi Ceramic Arts Gallery CLAUDI CASANOVAS. Terra molecolare - sculture Fino al 28 Aprile 2013 www.officinesaffi.com Napoli - Zeta Studio Divieto di affissione. Giovani avanguardie del sud del mondo Fino al 3 maggio 2013 www.numen.it Gradisca d’Isonzo (GO) - Galleria d’Arte Contemporanea Luigi Spazzapan Werther Toffoloni. Per sedersi Fino al 14 aprile www.museifriuliveneziagiulia.it Acri - MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) Pino Chimenti. Una gioiosa macchina da guerra Dal 20 aprile al 16 giugno 2013 www.museomaca.it Torino - Galleria opere scelte Urs Lüthi Fino al 5 aprile 2013 www.operescelte.com

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Bologna - Galleria OltreDimore Filippo Berta | Enrica Borghi | Alberto Di Fabio | Michele Giangrande | Roberta Grasso | Alessandro Moreschini | ZUP – Zuppa Urban Project. //:(TT)+U=Think The Unthinkable Fino al 25 maggio 2013 www.oltredimore.it Ragusa - Galleria Clou Aleksandra Jarosz Laszlo. Aestethic as Identity Fino al 4 maggio www.galleriaclou.it Roma - Howtan Space Bendetta Borrometi. HOPE 9-14 Aprile 2013 www.howtanspace.com Lucca - Centro studi sull’Arte Licia e Carlo Ludovico Ragghianti La Forza Della Modernità. Arti in Italia 1920-1950 20 aprile – 6 ottobre 2013 www.fondazioneragghianti.it


Alternative Visions Venezia – A+A Centro Espositivo Sloveno Toolkit Festival 03 9-10-11 Maggio 2013 www.toolkitfestival.com Ferrara - Torrione Art Gallery Michele Giotto. Il Respiro del Jazz Fino al 30 aprile 2013 in collaborazione con Padova Jazz Festival www.jazzclubferrara.com Venezia – Museo Correr I Mestieri Della Moda. Agatha Ruiz de la Prada Fino al 5 maggio 2013 www.museiciviciveneziani.it

OPEN CALL di Paola Pluchino Roma, St’art Play - Cam-Arte Deadline - 30 aprile Premi: Esposizione www.namir.it

Siracusa, “Ares - International Film & Media Festival” - Bando di concorso 2013 Deadline - 18 maggio Premi: proiezioni pubbliche www.aresfestival.it

Genova, Shot - Sala Dogana Hands-On Transformation Deadline - 29 aprile Premi: esposizione www.genovacreativa.it; www.palazzoducale.genova.it

Manduria (TA), “A spasso tra le nuvole”, premio Stefano Contessa per cortometraggi Deadline - 31 maggio Premi: monetari www.angele.it

Firenze, Designwinmake Deadline - 29 aprile Premi: esposizione www.designwinmake.it Torino, View Conference Deadline - 15 settembre Premi monetari www.viewconference.it

Roma, MarteLive Deadline - 1 maggio Premi : esposizione www.martelive.it Livorno, Combat Prize 2013 Deadline – 20 aprile Premi: monetari www.premiocombat.it

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L’IMMANENTE E IL TRASCENDENTE L’eleganza del bianco, la profondità del rosso di Vincenzo B. Conti

UB40 - Red Red Wine

La nascita del contemporaneo lo definì Renato Barilli, per via di quella sua estrema modernità in cui le forme tornite si sposavano con la luce. In un epoca in cui il gusto del classico batteva bandiera imperante, Antonio Canova risvegliò la meraviglia dei suoi contemporanei, sedotti dalla magnificenza della tecnica. Un sublime perpetuo quello dei corpi marmorei conservati nello splendido museo di Possagno, esempio di architettura museale tra i più riusciti in Italia nel XXI secolo. Tra le sale allestite, dove lo scarto tra interno ed esterno è reso minimo dalle grandi vetrate con affaccio sul giardino, varrebbe la pena sorseggiare un ottimo calice di Torcolato del 2009 prodotto dalla casa vinicola Ca´ Biasi di Innocente Della Valle. Un vicentino eccellente ottenuto con le migliori qualità di uva vespaiola (e in minor parte Tocai) che conquista per il ricco bouquet dai toni del miele e della frutta matura. Un intenso giallo dorato e una composizione fresca, seducono il palato, conferendo a questo vino, nato sulle colline di Breganze interessanti proprietà organolettiche. Uno sposalizio da considerare, per ritrovare accanto al piacere della visione, quello altrettanto spirituale del gusto. (18 euro la bottiglia + 8 euro ingresso al Museo Canova). Se invece avete voglia di un rosso complesso e di tradizione, la scelta cade sulla Tre Monti di Imola, azienda eccellente che, grazie a una tradizione di famiglia tramandata dai primi anni Settanta, propone negli anni una linea di vini di altissimo livello, premiati dalle più importanti guide enogastronomiche, e che rinnova, attraverso un’instancabile ricerca, la sua produzione sempre più al passo con i tempi ma soprattutto rispettosa verso la natura grazie al metodo di concimazione dei vitigni con letame naturale, diserbo solo meccanico e uve di proprietà al 100% della produzione che garantiscono la qualità biologica di ogni bottiglia. La famiglia Navacchia, titolare dell’azienda romagnola, presenta una vasta gamma di etichette che coprono quasi la totalità delle varietà presenti nella zona, dal trebbiano all’Albana di Romagna passando per il Colli di Imola da uve sauvignon, ma come da sempre per questa regione l’uvaggio principe, che riesce ad esprimersi al meglio sulle colline di questa regione, è il sangiovese, che nelle mani di Vittorio Navacchia si trasforma nel Thea Riserva Sangiovese di Romagna DOC. Vino impeccabile, come dimostrano i suoi innumerevoli riconoscimenti tra i quali i 5 Grappoli della guida Duemiliavini dell’Associazione Italiana Sommelier per le annate degli anni 1997, 1999, 2000, 2001, 2002, 2003, 2004, 2005, 2006,2007, 2008 e 2009, ma soprattutto vino che non si fa pagare molto, lasciando così la possibilità a tanti di deliziarsi del suo bouquet aristocratico e complesso con note di bacche nere, spezie dolci, ginepro e cenni balsamici donati dall’affinamento in barrique per 9 mesi, il colore rubino e molto carico ci prepara ad un tannino fitto ma molto fine e ben equilibrato con l’acidità e la sapidità.

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Vista del Museo Canova a Possagno


CREDITS A plus A. Centro Espositivo Sloveno - San Marco 3073 (Venezia);041 8501468 - www.aplusa.it Collezione Peggy Guggenheim - Dorsoduro, 701 (Venezia); 041 240 5411- www.guggenheim-venice.it Fondazione Carichieti - Palazzo De Mayo - Largo Martiri della Libertà (Chieti); 0871 359801 - www.fondazionecarichieti.it Galleria Clou - Piazza San Giovanni (Ragusa); 3311221448 - www.galleriaclou.it Galleria Numen - Vico Noce 20, 22, 33 (Benevento); 3387503300 - www.numen.it Galleria OltreDimore - Piazza San Giovanni in Monte, 7 (Bologna); 051 6449537 - www.oltredimore.it L’Arca / Laboratorio per le arti contemporanee - Largo San Matteo (Teramo); 0861-240732 - www.larcalab.it Lisson Gallery - 52-54 Bell St (London, UK); +44 20 7724 2739 - www.lissongallery.com MACA - Palazzo Sanseverino Falcone - Piazza Falcone, 1 (Acri, CS); 0984.953309 - www.museovigliaturo.it MLB Home Gallery - Corso Ercole I d’Este, 3 – (Ferrara); 346 7953757 - www.mlbgallery.com Museo Canova - Via Antonio Canova, 74 (Possagno, TV); 0423 544323 - www.museocanova.it Museo Salvatore Ferragamo - Piazza di Santa Trinità, 5 ( Firenze); 055 356 2455 - www.museoferragamo.it Palazzo Biscari - Via Museo Biscari, 10 (Catania); 095 715 2508 - www.palazzobiscari.com Paolo Erbetta Gallery - Potsdamer Str. 107 (Berlin, D); +49 (0) 30 95 62 58 68 -www.paoloerbettagallery.com

Si ringraziano inoltre gli uffici stampa delle gallerie che con la loro disponibilità hanno sostenuto la nostra ricerca.


ARTE CONTEMPORANEA

Il Pomo da DaMo - Associazione Culturale

ASSOCIAZIONECULTURALE

VLOYLD FHOHVWH FDOFDJQR Celeste, So Happy.

&$7$/2*2 $ &85$ ', $1*(/$ 0$'(6$1,

20 aprile / 25 maggio 2013

inaugurazione sabato 20 aprile ore 18

orari Il Pomo da DaMo | Associazione Culturale - via XX Settembre 27 Imola | mercoledì - venerdì - sabato 17/19 e per appuntamento

Foto: Luigi Cerati

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Hansol Kim, Canned Silence from Object of desire

Una carta del mondo che non contiene il Paese dell'Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l'Umanità approda di continuo. E quando vi getta l'àncora, la vedetta scorge un Paese migliore e l'Umanità di nuovo fa vela. Oscar Wilde


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