The ArtShip
BULLETIN OF VISUAL CULTURE
The ArtShip #0, 13 dicembre 2011
www.theartship.it
In
questo
numero:
Events
in
places.
Helmut Krone e Julian Koening: be creative. Arte Pubblica e rigenerazione urbana.
Ernest Lubitsch e Ninotchka: l’altro da Hitchcock. Resi Girardello e Claudia Casarino: lo Zenith e il Nadir. Robert
Mapplethorpe
in
Blow
Up.
Arte al limite: Cristoph Schlingensief l'Egomaniac.
editoriale
La
danza
del
tempo
elegante
Una punta d’incenso per amare le belle forme, l’odore sublime della rappresentazione, il soave respiro del giorno appena sorto. La tenera e dolce comprensione che al prossimo permette di risorgere dall’oscura morsa in cui spesso si caccia, complice, la dama armata dell’avere. In tanti tempi e in molti luoghi ci siamo perduti nel convincimento che le nostre fossero scelte vane, i cui bisogni e i cui risultati non valessero lo sforzo, finendo così per offendere il lavoro che le aveva create. La strada custodisce il cammino, al cui giaciglio i sogni appendiamo a uno a uno, affinchè chi, giunto dopo di noi, possa profumarsi, con l’aria nuova dei nostri convincimenti antichi. Il privilegio del vedere è dono e sintesi della nostra anima riconciliata con la natura, essenziale purità di ogni nostro pensare. Nell’arte e pare solo in quella, lo spirito partecipa all’imprevedibile congiunzione tra passato e futuro, aporetica luce che sapienza invoca a piene mani. Il tempo della nostra riflessione non è già perduto, il tempo della nostra posizione non è ancora passato, il tempo del nostro inizio si compie incessantemente, il tempo del nostro costruire è il nostro tempo. Coraggio e fragilità sono le due parti della stessa propulsione, verità alveari della nostra discendenza di nodi e legamenti. Di fronte a un vento che fa girare la bussola portiamo con noi l’orologio, perché ammalarsi di tempo è la più triste sventura che possa capitare quando si naviga a vele spiegate, sognando di ritrovare quel desiderio ancora appeso per strada, immutato nel suo splendore, figlio del suo e così di nuovo del nostro tempo. Come nel mare non esistono confini, così come l’orizzonte perde la vista della sua linearità per immergersi vasto nell’armonia del suo tutto, così il ponte che attraversa il gioco molto serio dell’arte, vuole intessere prospettive multiple di domini invertiti. Chi ha invidia è solo il piccolo principe che si atteggia già da re, ma in questa nave, a comandare è la nave stessa: la nave dell’arte.
Paola Pluchino
#3
BAYT Alle menti che in filigrana hanno collaborato alla nascita del progetto, dedichiamo la prima riga. Giovani intellettuali che hanno donato l’entusiasmo e la partecipazione, condividendo con la Redazione le proprie abilità e conoscenze. Quello che viene presentato è quindi solo il segno - traccia, di un movimento reticolare che ha coinvolto, oltre agli “addetti ai lavori” del panorama Visuale: biologhe creative, fisici outsider, giovani imprenditrici, giornalisti free lance, amici e amiche, confidenti, la musica. Nella condivisione e nella compartecipazione dei reciproci saperi fondiamo la nostra forza; questa cultura della conoscenza è il movente della scrupolosità nella ricerca e nella selezione dei contenuti. TheArtship è una magia celtica, il nuovo respiro del sublime. L’arte che si fa parola, è il discorso dello spirito, l’energia vitale delle forme. Ha per nucleo il principio interiore che naviga tra bello e bello, il tirante che unisce l’albero alla vela e al vento.
ABOUT US Posta come attenta vedetta del panorama artistico italiano e internazionale, si fonda su 5 presupposti: informazione, ibridazione, intuito, interattività, ingegno. Nata dalla collaborazione di intelligenze poliedriche rischia l’ipotesi che la nuova critica d’arte non sia di necessità costretta entro il giogo dei mercati ma sdoganata da quest’ultima, che dalla società stessa possa nascere un nuovo senso estetico, e questo, per formarsi, non abbia bisogno d’altro che delle giuste lenti focali. Una redazione forte e affiatata ha così creato il metronomo della cultura visuale, scandendone i generi e le categorie: URBAN ADDICTED. La sezione moda è stata affidata a una studiosa del costume e della modellistica, fine e acuta osservatrice delle nuove tendenze, è un arcolaio degli stili: Rita Aspetti. L’abito come forma d’espressione dell’arte: i nuovi generi dello stile.
HIT IT. Per la sezione ADV/ pubblicità, è Anna di Jorio la coordinatrice, copywriter freelance laureata in Lettere moderne e Arti Visive. L’ermetismo del messaggio si fonde con la storia che lo ha generato. La pubblicità, gli epigoni, e le avanguardie.
MACADAM MUSEUM. Installazioni site – specific, Street e Land Art hanno come coordinatrice Elisa Montanari, reduce dalla collaborazione con la Biennale del muro dipinto di Dozza. Si occuperà di sciogliere e spiegare il nuovo fenomeno dell’Arte Pubblica. Sovvertendo la sempiterna direzione della fruizione, l’arte si fa pubblica e mostrandosi rivela il suo più veemente auspicio: incantare tra le pieghe quotidiane.
IL PROIETTORE DI OLOFERNE. Giuditta Naselli, vulcano della critica cinematografica, presiede l’azione di ridare lustro alle grandi pellicole. A questa promessa dalla penna affilata, è affidata la sezione Cinema.
Il contemporaneo cinematografico, dimentico della sua storia, ritrova forza e rinnovata linfa. I must-have della storia del cinema.
# 4
THE ARTSHIP ROUTES. Gabriella Mancuso, eclettica e appassionata event - hunter proporrà gli eventi più caldi del mese, gestendo il calendario delle mostre e dei vernissage, il tutto all’insegna del low- budget.
Nuovi percorsi culturali, fuori dai canali convenzionali all’insegna del low budget. Per un nuova idea del sapere.
E BOMB. C. S. è una video maker esperta di nuovi linguaggi video, a Lei è affidata questa sezione, sintesi culturale di un nuovo rapporto tra espressione e arte: la videoarte. L’estremismo della sperimentazione produce un accavallamento tra generi, termini di dinamismo semantico.
BAYT è la casa, no.
permettendo di ripensare all’arte in
la parola in quiete, il posto da cui intraprendere il cammi-
Mimmo Vestito, Valeria Taurisano, Margaux Buyck, Sandra Dalmonte, Andrea M. Campo, hanno collaborato attivamente al progetto, anche a loro la nostra riconoscenza.
Enjoy!
design by Valeria Taurisano
# 5
Padiglione Grecia, Biennale di Venezia, 2011
INDICE 1. Moda arte. Gli antipodi della femminilità
8
Tangenze, Contesti, Usi, Costumi Rita Aspetti
2. Think small. Punto. “The Force”
10
Anna di Jorio
3. Disgustosamente delightful
12
C. S.
4. Ernst Lubitsch e la sua Ninotchka
14
Giuditta Naselli
5. Di sicuro, è gratis!
16
Un’arte che tutti vedono. Ma cos’è davvero l’arte pubblica? Elisa Montanari
6. Routes
18
Eventi in corso, vernissage, prossime aperture Gabriella Mancuso
7. Robert Mapplethorpe sotto l’albero
20
Mimmo Vestito
in copertina: manifesto Occupy Wall Street
#7
Urban Addicted
Moda-Arte. Gli antipodi della femminilità. Tangenze, Contesti, Usi, Costumi. Un antico detto dice che «l'abito non fa il monaco» e come azzardarsi a dire il contrario? Cosa succede quando a mancare è proprio il monaco? Uno sguardo veloce dato alla 54° Biennale d'Arte di Venezia del 2011 ci fa notare che alcuni artisti hanno proposto l’ abito inteso non come “oggetto” da indossare, cioè oggetto con il quale coprire il corpo ma quale elemento caratterizzante un Comportamento o un Opera1. Ognuno secondo riflessioni prettamente personali. Dalla riflessione sulla fragile ma invincibile essenza della femminilità in chiave ironica nasce l'opera di Resi Girardello. Un lavoro a metà tra moda e scultura. Le sue produzioni possiedono un duplice carattere: sono abiti, corpetti, pantaloni, top, che a prima vista tutti vorremmo indossare magari in occasione di un evento importante, per il gusto di stupire i presenti, considerando la vena stilistica alquanto barocca delle sue creazioni (ecco qui il carattere moda), ma a guardarli bene questi “manufatti” risultano poco pratici, si direbbe indossabili (ecco qui il carattere scultoreo), poiché possono essere solo ammirati in quanto opere tridimensionali attorno alle quali fare un giro per ammirarne il verso e il recto2 . Resi Girardello, Risveglio del Corpo Celeste, 2009.
Risveglio del corpo celeste è il titolo dell'opera presentata alla Biennale opera con la quale, insieme ad atri artisti, la Girardello si confronta sul tema dell'identità nazionale locale. L'opera è esposta anche all'interno della nave da crociera Costa Luminosa secondo un progetto che segue la linea di un’ «arte totale3» un coinvolgimento artistico in cui design e opere d'arte si fondono insieme (ma più corretto sarebbe parlare di “belle arti”. Non vi pare?). Alta 180 cm, questa scultura in filo di rame tessuto all'uncinetto composta da top e pantalone caratterizzato nella sua parte inferiore non da semplice orlo ma da un vorticoso gioco di spirali che tramite torsione trasformano le “gambe” in tentacoli che “armoniosamente” ed “equamente” (si faccia attenzione, non stiamo parlando di Classicismo) si distribuiscono ai lati della scultura, è un “corpo vuoto” che auto-reggendosi ci mostra la sua forma attraverso la sua stessa assenza in un rapporto di totale dipendenza con la luce. Filo di ferro, di rame, lamine metalliche lavorati a maglia sono i materiali caratteristici della Girardello, che interpreta il versante soffice della scultura contemporanea con originalità e gradevole humour. Tutto secondo un revival tipicamente baroccheggiante.
# 8
The ArtShip
Cosa dire invece dell'opera Pynandi, (Ni Puta, ni Diosa, ni Reina) di Claudia Casarino4 esposta all'interno del Padiglione America Latina IILA5 ?
Semplicissima veste bianca. A Lei interessa molto di più il modo in cui il corpo femminile è stato trattato dalla stampa popolare, dai mezzi di comunicazione, il modo in cui è stata espressa la fantasia e il desiderio maschile, piuttosto che una realtà più prosaica della femminilità. Secondo la Casarino quello che manca al corpo è la sua “presenza”, perché quotidianamente questo è vestito di tutti gli ornamenti della moda. Storicamente, raramente le donne sono state rappresentate come loro stesse; i loro corpi sono scomparsi sotto strati di trucco o indumenti, sono stati deformati in figure: seni giganteschi, pance e teste minuscole, gambe slanciate e filiformi, glutei rassodati, tutto studiato per garantire la “forma perfetta”. Oggi, nell'era post human molto più di prima. Dimenticavo: in entrambe la trasparenza è di casa... L'avevate notato?
Rita Aspetti
Claudia Casarino, Pyrandi, 2008.
1 Cfr. Claudio MARRA, Nelle ombre di un sogno: storia e idee della fotografia di moda, Milano, 2004, pp. 25-30. 2 Cfr. http://resigirardello.altervista.org/?page=opere 3 Cfr. http://www.costacrociere.it/B2C/I/Corporate/The+company/aboutourselves/apassionforart/apassionforart.html 4 Cfr. http://www.claudiacasarino.com/ 5 Cfr. http://universes-in-universe.org/esp/bien/bienal_venecia/2011/tour/latin_america
# 9
Hit it
think small. punto. “the force”. È il 1949, la Doyle Dane Bernbach (DDB) apre la sua sede in Madison Avenue allʼombra delle grandi agenzie pubblicitarie. Circa dieci anni dopo si aggiudica lʼaccount Volkswagen. “Volevano che vendessimo una macchina nazista in una città ebrea”, il commento caustico dellʼart director Lois, allʼepoca collaboratore dellʼagenzia. Il compito di vendere il Maggiolino agli americani di fine anni Cinquanta ricadde sulle spalle dellʼart director Helmut Krone e del copywriter Julian Koening. Insieme inventarono una delle più influenti campagne di advertising della storia. Il visual, un piccolo Maggiolino in alto a sinistra su sfondo bianco contribuisce nellʼevidenziare lʼ immagine spoglia e non rifinita. Allʼheadline “Think Small”, accompagnato da un bodycopy inespressivo e spiazzante si aggiunge un ulteriore elemento di novità: il punto al termine di ogni frase che rompe il ritmo del discorso e invita a unʼispezione più accurata dellʼaffermazione stessa. Era questo lʼobiettivo di Koening: coinvolgere il lettore in unʼ apparentemente neutra riflessione su pregi e difetti della flivver1 Volkswagen. Inaugurando la Prima rivoluzionaria applicazione della retorica dellʼunderstatement. Quando a prevalere era ancora lo slogan accattivante e dichiaratamente persuasivo, lʼimmagine intrigante “stile Ogilvy” per intenderci, la DDB adotta uno stile minimal sia nella grafica che nei contenuti. Dʼaltra parte incoraggiare i consumatori a pensare in piccolo nella terra del Think Big per antonomasia fu roba da sovversivi.
Infatti di Rivoluzione Creativa si trattò. E la campagna per la Volkswagen ne decretò la vittoria. La spoglia semplicità del visual, lʼeffetto drammatico del punto, il testo basato su fatti ma interessante, furono le carte vincenti della strategia comunicativa adottata con lʼobiettivo di “raccontare” la Volkswagen per quello che era: onesta, semplice, affidabile, diversa. Dunque nessuna preconfezionata retorica della persuasione disonesta ma solo unʼincrollabile focalizzazione sul prodotto. La DDB nacque con il proposito di aprire nuovi percorsi nel mondo dellʼadvertising, di dimostrare che il buon gusto, la buona arte, la buona scrittura possono essere buona vendita.
1 - Old Slang. utilitaria, automobile piccola e poco costosa.
# 10
The ArtShip
The Force: Volkswagen Commercial spot Volkswagen Passat 2012
La storia dellʼadvertising racconta di fortunate campagne pubblicitarie nate dallʼincontro tra brand e agenzie ispirate da valori comuni. È il caso di Think Small. Le origini della casa Volkswagen risalgono agli anni Venti, allʼiniziativa di Fernand Porche di creare unʼauto innovativa sia dal punto di vista tecnologico che concettuale. Una macchina per il popolo. Per vendere un prodotto così fortemente ideologizzato nellʼAmerica di fine anni Cinquanta fu necessario rivolgersi a unʼagenzia che fosse capace di far emergere la portata innovativa del marchio, cioè il suo carattere “sociale”, in grado di adottare strategie altrettanto innovative e rivoluzionarie. Febbraio 2011. Ancora una volta dietro al binomio innovazione e semplicità si nasconde il segreto del successo di “The Force”. Pluripremiato ai Cannes Lions 2011. È la storia di una famiglia come tante, che abita in una casa confortevole insieme ad un cane stoico e ad un figlio la cui immaginazione infantile sembra aver contagiato anche la creatività dei genitori. Il tone of voice è ironico, light e divertente. Se questo spot già ci colpisce per la sua tenerezza (un sentimento difficile da evocare in pubblicità) la densa originalità non si esaurisce qui: innovativo è il mezzo, il canale di diffusione prescelto.
Lo spot viene realizzato per essere proiettato durante il Super Bowl, lʼevento sportivo per il quale tutta lʼAmerica si ferma per tre ore e mezza non distogliendo gli occhi dal televisore. Evento mediatico e imperdibile, occasione per agenzie e brand di prestigio di accrescere la propria fama. Volkswagen vi partecipa, ma a modo suo. Carica il video sul brand channel VW creato su YouTube qualche giorno prima del grande evento. Infrange la tradizionale segretezza che proteggeva gli spot prima della fatidica domenica. Attesa e suspance dellʼanticipazione volte a innalzare unʼaureola di esclusività sul marchio. Pubblicando lo spot in contropiede, VW riconosce ai consumatori il ruolo di propagatori del sentiment, sottolineando la loro inclusione nella conversazione e nellʼesperienza. È la strategia comunicativa del Think small. Nessuna colomba nel cilindro o rullo di tamburi, VW sceglie di darsi al consumatore con semplicità. E vince. Punto.
Anna di Jorio
# 11
E BOMB
DISGUSTOSAMENTE DELIGHTFUL Il 7 giugno 2011, alla 54ma Biennale d’arte di Venezia, vinse il Leone d’Oro il Padiglione tedesco “Egomaniac”; questa volta rappresentato dall’artista postumo Cristoph Schlingensief. Schlingensief era stato conosciuto mondialmente come personaggio polifacetico1, artista, scenografo, scrittore e regista tra tante altre; famoso per essere odiato, amato, elogiato e massacrato dalla critica e dai suoi spettatori. Durante la sua breve ma fruttifera carriera artistica si distinse per il suo voler mettere in luce temi politici, sociali, culturali e storici della Germania tramite l’uso di un’estetica trash e un linguaggio fortemente politicizzato, che sottolineava il suo spiccato ardimento. Nel caso della Biennale di Venezia, i suoi lavori, nel Padiglione curato da Susanne Gaensheimer, non erano un eccezione, ma questo rappresentava proprio un sunto del suo percorso. All’ ingresso lo spettatore lasciava alle sue spalle l’aria gioviale e serena dei Giardini per immergersi nell’ immaginario di Schlingensief; il facsimile di una chiesa (scenografia della “Church of Fear vs the allien within”, 2008) li accoglieva come i figli di Dio accolti dal padre all’ entrata di casa, tra una marea di oggetti e di proiezioni di vario tipo che li sublimavano, lasciandoli senza fiato. Davanti al kino il risultato era simile, si osservavano facce scioccate, allibite e disgustate dall’impatto con i suoi film. Una tenda rossa separava la sala di proiezione dall’esterno, una locandina attacata alla parete elencava sette titoli in tedesco ed in inglese ( Für Elise, 1982; Egomania. Island without hope, 1986 ; Menu Total, 1985; The German Chainsaw Massacre. The first Hour of German Reunification, 1990; Terror 2000. Intensive Station Germany, 1991; United Trash, 1995-6. ) ed una piccola nota preparava gli invitati all’ essere pronti nel vedere dei film con un alto contenuto sessuale e di violenza.
#12
Christoph Schlingensief, Church of Fear, German Pavilion 2011
Dentro, carne svettava dai vestiti, grida strillanti, frasi senza senso, rumori di piacere e sangue fuoriuscivano dai corpi ricordando l’estetica dei B-movies, degni di essere visti nei vecchi cinema a luci rosse degli anni ‘50: la cacofonia del bizzarro era diventata protagonista. Un caso similare é quello del cortometraggio Occhi di vetro cuore non dorme di Gabriele di Munzio vincitore del premio della Giuria nella categoria Italiana.Corti del Torino Film Festival. In esso si alternano confusamente immagini delle manifestazioni tunisine in appoggio alla causa araba e immagini di due giovani prostitute che raccontano il loro vissuto. L’autore in modo trasversale tenta banalmente di raggiungere l’obiettivo di fare una specie di ritratto della “Postpornografia del conflitto sociale globale”2; lasciando lo spettatore con un vuoto sensoriale e con l’idea che la sua soggettività nel trattare il tema non permetta di intravedere l’obiettività e la diplomaticità dell’idea di conflitto sociale.
1- Polifacético: (Esp.) multiforme, poliedrico. 2 - Rivista del programma del 29° Torino Film Festival, 2011.
The artship
Christoph Schlingensief, The 120 days of Bottrop, 1997
Due esempi di come tramite un’ estetica trash e inadeguata si tenti di fare un ritratto spinto di temi tabù per la nostra società. Sia in modo brillantemente riuscito como lo fa Schlingensief che con le sue immagini e i suoi contenuti fortemente violenti, sessuali e contrastanti, genera un senso totale di disgusto, piacere, sbalordimento, senza perdersi nei mezzi toni, che, nel caso del giovane regista italiano, oltrepassandone i limiti e l’adeguatezza in modo misurato, non stimolando la percezione né visivamente né sensorialmente. Questi due artisti e i loro lavori video permettono di chiedersi se un linguaggio bizzarro, spinto e inadeguato, che tenti di andare oltre i limiti etici e morali, porti a una auto-riflessione e possa mettere sul lastrico la capacità di dare un giudizio che non sembri puritano, in una società dove, nel senso ampio della parola, sembrano non esistere limiti di nessun tipo. Film : http://www.youtube.com/watch?v=7JOJ7s_-PWo
C. S.
#13
il proiettore di oloferne
Ernst Lubitsch e la sua Ninotchka Se la commedia è la punta di
diamante dei generi della Hollywood “classica”, Ernst Lubitsch ne è il più brillante artefice. Il regista berlinese, una volta approdato a Hollywood, attraverso la rievocazione delle atmosfere europee e dell’elogiata licenza di amare del Vecchio continente, si dedica alla realizzazione di commedie e film musicali, che si distinguono per l’umorismo tagliente e audace. Indimenticabile è Ninotchka (1939), interpretato da una straordinaria Greta Garbo e dall’affascinante Melvin Douglas. Lo humour lubitschiano allestisce un’eterna contesa tra i due sessi, il cui bisogno primario è la soddisfazione degli appetiti sessuali. Il libertinaggio, il piacere, la glorificazione dei sensi diventano soggetti di un gioco di seduzione che irretisce il pubblico. Attraverso un linguaggio comico che si fonda sulle allusioni, Lubitsch dimostra la capacità sovversiva di mostrare l’illecito, creando una suspense erotica che coinvolge anche il più timido spettatore. Mentre in Hitchcock la tentazione carnale suscita sensi di colpa e rimorsi, ciò non accade nel regista berlinese che si culla nell’ebbrezza della trasgressione, nella visione di un mondo epicureo e gaudente. Ben presto, però, il lusso dei palazzi, l’opulenza degli ambienti e la frivolezza dei rapporti umani mostrano la loro illusorietà.
# 14
Dall’ambiguità di fondo, dall’ironia commista a una strana amarezza, da quella messa in scena che alterna ilarità a una profonda malinconia emerge l’articolato e complesso retroterra culturale ebraico che il regista berlinese mette al servizio del cinema. Il gusto per il divertimento e per la ricchezza diventano le armi di cui Lubitsch si serve per rivelare come quel mondo edonista sia segnato da una profonda vulnerabilità. Il ritmo binario di sesso e denaro diventa, così, il modo in cui Lubitsch denuncia che il cinema è, di per sé, sostituzione, surrogazione di immagini che sintetizzano la diffusa frustrazione dell’essere umano.
Il sogno consumistico e la rivalsa sessuale si trasformano negli unici momenti di autoaffermazione dell’uomo moderno. Così al binomio sesso e denaro si oppone un ulteriore dicotomia, quella tra senso morale e bisogno consumistico. Ne è un ottimo esempio Ninotchka, in cui la protagonista viene mandata in missione a Parigi dal governo sovietico per sorvegliare tre agenti, Iranoff, Bulianoff e Kopalski, inviati nella capitale francese per conseguire la vendita di gioielli confiscati alla granduchessa Swana, esule a Parigi a seguito della Rivoluzione Russa.
The artship I tre agenti, però, con l’aiuto del conte Leon (Melvin Douglas), amante della duchessa, vengono irretiti dai piaceri della vita parigina. L’intervento dell'integerrima agente Ninotchka (Greta Garbo) non porterà alcun risultato, tanto che anche la donna cadrà nella trappola del bel mondo, sovvertendo i suoi ideali comunisti per amore di un cappellino. È straordinaria la metamorfosi, operata dallo sceneggiatore Billy Wilder, nei confronti di Greta Garbo che, icona per eccellenza ieratica e distante, si trasforma in personaggio brillante e sorprendente, incantando pubblico e critica con le sue parole: “Compagni, la rivoluzione è in marcia, le bombe cadranno, la civiltà crollerà a pezzi. Ma per favore, non adesso”.
Giuditta Naselli
# 15
Macadam museum
Di sicuro, è Gratis! Un ʻarte che tutti vedono. Ma cosʼeʼ davvero lʼArte Pubblica?
Le categorizzazioni sono molto utili alla comprensione dei concetti e alle definizioni dei movimenti, soprattutto in ambito artistico. Ma cosa accade se la parola che dovrebbe racchiudere un fenomeno diventa la maggiore fonte di ambiguità? Succede quello che è successo al concetto di Arte Pubblica. Tutti ne avranno sentito parlare essendo, dagli anni Novanta in poi, diventato un fenomeno molto di moda. Chissà in quanti potrebbero fare un esempio di unʼ opera che rientri nella categoria dell' Arte Pubblica; ma in quanti saprebbero veramente definirne i parametri? In pochi, e questo perché i parametri precisi sono ancora da definire. Questo non vuol dire che non esista unʼ origine del termine o una sua evoluzione, ma che la sua evoluzione non ha seguito una sola strada ma si è fatta carico, man mano, di significati diversi. Ma procediamo con ordine. La parola "Arte Pubblica" deriva da unʼ espressione inglese, coniata sul finire degli anni Sessanta, che definiva l'opera d'arte come nata da commissioni pubbliche e inserita in un luogo di fruizione pubblica.Le Istituzioni così, captano e interpretano un desiderio ormai diffuso dell'arte contemporanea: uscire dai luoghi a Lei destinati e rivendicare un posto nella città, nel suolo pubblico appunto. Il desiderio di fusione tra arte e vita dei movimenti quali Fluxus, Situazionismo, Happening pone un ponte di rimando.
Ed ecco che, uscita dal contesto museale, la "nuova" arte, col passare del tempo, cerca legami sempre più saldi; prendendo spunto inizialmente dalla Minimal e dalla Land Art l'opera pubblica inizia a sentire la necessità di creare un dialogo con il luogo ospitante e con gli elementi formali che la circondano: non vuole più essere distaccata dal contesto da un piedistallo ma diventarne parte integrante (site specific). Dopo gli elementi formali, è la volta del legame con la storia e le tradizioni del sito; gli artisti sono tenuti ad informarsi sulle tradizioni del luogo e a creare unʼ opera che non dia un taglio netto col passato ma che ne sia unʼ evoluzione. Infine è il momento di crearlo col fruitore. Negli anni Novanta la partecipazione del pubblico e la volontà di comunicare diventa di primaria importanza, tanto da coniare un nuovo termine che a volte funge quasi da sinonimo: Arte Relazionale.
# 16
tHE ARTSHIP
Karim Rashid, stazione Università Metropolitana di Napoli 2011 Piero Gilardi,Parco Arte Vivente di via Giordano Bruno Torino 2003 Mario Merz, Fontana Igloo, Corso Lione-CorsoMediterraneo, Torino 2002
L'Arte Pubblica inizia a essere inserita così in progetti di rigenerazione urbana non solo per la sua funzione positiva estetica ma anche per il sentimento comunitario che si spera di instaurare coinvolgendo il pubblico nella sua creazione. Il desiderio di comunità è globale, non solo comunione tra le persone e il luogo, ma anche tra lʼarte, lʼarchitettura, il design e lo spazio circostante, in un avvolgimento che esorcizza la paura della diffusione dei non luoghi e quindi della loro incuria. Chiaramente nel corso del tempo il primario significato del termine pubblico inteso come «commissionato da istituzioni pubbliche», perde il suo valore in quanto anche i privati iniziano a investire in opere così visibili e dall'intento così alto. Ed ecco che iniziano le ambiguità. L'Arte Pubblica può derivare sia da commissioni pubbliche che private; si trova sul suolo pubblico ma non è necessario che questo appartenga allo Stato; cerca di istituire un dialogo con ciò che la circonda, dall'ambiente alla storia del luogo ai cittadini che lo abitano, ma si distingue dai monumenti storico celebrativi. Il suo intento è quello di comunicare con tutti, dal nonno al bambino e non solo con chi la cerca nei luoghi deputati all'arte e la si può trovare ovunque. Ecco che allora diventa facilmente comprensibile il motivo dell'ambiguità del termine e il suo utilizzo spassionato. Probabilmente l'unica caratteristica che resterà immutabile e che ne caratterizzerà ogni sua sottoclasse, è il suo esser gratuita. E con i tempi che corrono, non è certo da sottovalutare. Per approfondire: Carlo BIRROZZI – Martina PUGLIESE (a cura di), Lʼarte pubblica nello spazio urbano. Committenti, artisti, fruitori, Bruno Mondadori, Milano, 2007. Lorenza PERELLI, Public Art. Arte, interazione e progetto urbano, Franco Angeli, Milano, 2006.
Elisa Daniela Montanari
# 17
ROUTES
Eventi in corso BOLOGNA_RAVENNA _SEDI VARIE Kamikazen Festival internazionale del fumetto di realtà. Fino al 29/01/2012
MILANO_OPEN AIR Sopra il sotto, tombini art raccontano la città cablata. Fino al 31/12/11
ROMA_MACRO Enel Contemporanea 2011, Carsten Höller: Double Carousel with Zöllner Stripes. Fino al 26/02/12
BOLOGNA_STARTLAB Visi diversi attorno a te. Tutti i mondi di una città. Fino a febbraio 2012.
MILANO_MUSEO DEL NOVECENTO Conversations. Fino al 15/01/12
ROMA_MAXXI Re-cycle + Pieter Hugo. Fino al 29/04/12
BOLOGNA_MAMBO Arte povera 1968 (a cura di Germano Celant). Fino al 26/12/11
MODENA_FORO BOARIO Sandro Chia. Fino al 29/01/12
TORINO_MAO Karuki Ningyo Atto Secondo, Bambole dal Giappone. Fino al 18/12/11
LECCE_VARIE SEDI Illuminando Lecce, installazioni di arte contemporanea. Fino all’ 8/01/12
MODENA_GALLERIA CIVICA D’ARTE MODERNA Josef Albers Fino 12/02/ 12
MILANO_FONDAZIO NE FORMA Robert Mapplethorpe Fino al 9/04/12
MODENA_EX OSPEDALE S. AGOSTINO Ansel Adams La natura è il mio regno. Fino al 29 gennaio 2012 PISA_PALAZZO BLU Picasso. Fino al 29/01/12
MILANO_TRIENNALE DESIGN MUSEUM Vitality Korea Young Design. Fino al 19/02/12 MILANO_PALAZZO DELLA PERMANENTE Da Bacon ai Beatles. Fino al 12/02/12 #18
ROMA_MACRO Steve McCurry. Fino al 29/04/12
THE ARTSHIP Vernissage, prossime aperture 14/12 VENEZIA_PALAZZO GRASSI In conversazione con Ahmed Alsoudani. Ore 18.00 15/12 MILANO_FABBRICA DEL VAPORE Performance audiovisiva site – specific Poor Big Baby #3 Masbedo + Lagash. Ore 21.00 16/12 FIRENZE FORTEZZA DAL BASSO Nimifestival, Festival internazionale sul Giappone. Fino al 18/12/11 16/12 NAPOLI_MADRE Fausto Melotti (a cura di Germano Celant). Fino al 09/04/12 16/12 TORINO_CASTELLO DI RIVOLI Rassegna Russian Cosmos. Fino al 26/02/12
MILANO - CINEMA MANZONI Pipilotti Rist, Parasimpatico. Fino al 18/12/11
17/12 CATANZARO_MARCA Enzo Cucchi (a cura di Achille Bonito Oliva e Alberto Fiz). Fino al 01/04/12 EXPO Bologna, dal 27 al 30 gennaio 2012 Bergamo, dal 13 al 16 gennaio 2012 Genova, dal 24 al 27 febbraio 2012 Roma, dal 25 al 27 maggio 2012
Gabriella Mancuso
#19
In conversation with
Robert Mapplethorpe sotto l’albero
Posso benissimo capire perché mi sia stato chiesto, nonostante la mia inesperienza in critica fotografica, di scrivere un articolo sulla mostra di Robert Mapplethorpe a Milano. Non capita spesso, e non capita a tutti, di avere la fortuna di poter ammirare gli scatti di uno dei fotografi più sofisticati, innovativi ed influenti del secolo scorso, ecco perché. Se fossi in Voi, chiederei a Babbo di farvi trovare sotto l’albero un bel biglietto per quest’evento, e magari, se siete stati bravi quest’anno, anche un biglietto per Milano. La Fondazione Forma per la fotografia, in collaborazione con la Robert Mapplethorpe Foundation, ospita la sua retrospettiva, in 178 scatti, fino al 12 aprile 2012. Avete del tempo sì, ma non procrastinate inutilmente.
# 20
La città potrebbe anche essere più bella sotto il periodo natalizio. Prima di parlare della mostra in sé e delle foto, vorrei riportare in maniera sintetica alcune notizie biografiche sull’artista, questo perché personalmente penso che sia impossibile parlare di arte senza cenni alla sua storia. Nato nel 1946, Robert Mapplethorpe frequenta il Pratt Institute, nei pressi di Brooklyn; lì studia disegno, pittura e scultura e da lì a poco comincerà a produrre le sue prime opere: assemblages con ritagli di giornali e libri. Il suo approccio alla fotografia è graduale, dapprima con la sua prima polaroid e poi con una macchina di medio formato; nel frattempo, anche il suo linguaggio e il suo sguardo si evolvono:
dagli scatti acerbi delle istantanee dei primi anni ‘70 fino alle eleganti e raffinate fotografie dei tardi anni ’80. La sua vita è segnata da incontri importanti, primo fra tutti quello con Patti Smith, sfociato in un sodalizio personale ed artistico, poi con Lisa Lydon, campionessa di bodybuilding la quale diventerà l’oggetto di una serie di scatti celebri. L’anno dopo l’apertura di una retrospettiva dedicatagli al Withney Museum of American Art, Mapplethorpe si spegne ,nel 1989, a causa dell’AIDS, diagnosticata tre anni prima. Dopo questo excursus, comincio con piacere a descrivere la mostra.
The ArtShip Gli scatti, racchiusi in cornici scure a passepartout bianco su pareti dello stesso colore, sono raccolti non secondo criterio cronologico, bensì per tema, come ad esempio polaroid, autoritratti, nature morte, ritratti ecc. E’ interessante poter osservare in questa mostra l’evoluzione stilistica, formale e compositiva del fotografo attraverso il confronto tra le prime polaroid e le fotografie mature della sua ultima produzione. Le istantanee, una vera rarità, denotano, come in parte ho detto prima, uno sguardo artistico ancora in evoluzione: le immagini sono grezze, rudi nei loro colori freddi o in bianco e nero, e riprendono protagonisti e ambienti dell’underground newyorkese; fonte infinita di ispirazione per Mapplethorpe, questa grande mela popolata da artisti, musicisti, omosessuali ispirano ritratti introspettivi, ma anche estremi, colti con certo gusto voyeristico. La vera arte del fotografo si esprime in tutta la sua bellezza nelle opere successive, foto che molti di noi forse già hanno visto, anche solamente per caso. Robert Mapplethorpe, 1974/75
L’oggetto di studio meticoloso, di ricerca e celebrazione nella ricerca fotografica diventa il corpo umano, principalmente maschile, ritratto nelle sua forma migliore. Attraverso scatti rigorosi, composti e dettagliati, mediante il personalissimo uso di un bianco e nero corposo e fortemente contrastato, la virile fisicità diventa simbolo di perfezione, l’ideale ultimo da raggiungere. I muscoli, tonici e in tensione, disegnano delle armoniose geometrie di curve e proporzioni che sembrano richiamare i canoni estetici greco-romani. Analogo è lo sguardo utilizzato dall’artista nelle foto delle sue celebri nature morte: esse hanno per protagonisti principalmente i fiori. Palesemente carichi di allusioni falliche, essi sono elegantemente immortalati in un perfetto equilibrio di forme e colori: le prime scandite dalle linee morbide degli steli, dei petali e dei vasi insieme con quelle spezzate delle mensole o dei tavoli su cui si trovano, i secondi con la creazione di un surreale ed ipnotico bianco e nero, distribuito nella densa oscurità degli sfondi e nel candore oltre che nella luminosità dei fiori. Una menzione particolare meritano gli autoritratti di Mapplethorpe. Sfacciati e irriverenti, colgono l’artista nelle pose più disparate, in sorrisi beffardi, con costumi ed accessori di vario genere, lasciando forse trasparire la sua vera personalità: anticonformista, stravagante e provocatoria. Qualcosa che colpirà di certo il pubblico, e in particolar modo gli appassionati di musica, sono i ritratti a Patti Smith. La cantautrice americana riesce a trasmettere in queste foto il fascino androgino che la contraddistingue: la sua anima Punk sembra sbucare fuori dalle stampe -complici gli occhi spiritatii suoi sguardi penetranti e il morbido bianco e nero. Non tutti sanno tra l’altro, che la copertina del suo primo album, il capolavoro Horses, è uno di questi scatti. Il Natale è ormai alle porte, se ancora non avete scritto le vostre letterine siete ancora in tempo per chiedere quello che già sapete. Se non riuscite ad aspettare o avete già richiesto qualcos’altro fatevelo da soli questo regalo, tanto lo sappiamo tutti che Babbo Natale non esiste (più).
Mimmo Vestito
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