The Arship

Page 1

www.theartship.it

Vessel : Antony Gormley a San Gimignano, Progetto MoRe, Suoni Emozionali, Dramaturg al femminile, Lo Stato dell’Arte Pubblica, Arte torna Arte a Firenze, Evan Penny a Catanzaro, Ridere in lingua Yiddish Dalì a Roma, Yeoju Sung, Games of Thrones, Biennale Donna a Ferrara, Pazienza e Omar Calabrese, Studio Azzurro, Giochi corporei : Thom Browne.

#4 APRILE - MAGGIO 2012


Proprietario e direttore: Vicedirettore: Responsabile di redazione: Responsabili di sezione: Responsabili rapporti esterni: Hanno collaborato a questo numero:

Paola Pluchino Andrea M. Campo Giuditta Naselli Rita Aspetti, Gabriella Mancuso, Elisa Daniela Montanari, Luigino Oliva, C.S., Elena Scalia Margaux Buyck, Sandra Dalmonte, Valeria Taurisano Martina Bollini, Davide Borgna, Margaux Buyck, Alessandro Cochetti, Vincenzo B. Conti, Ilario D’Amato, Pasquale Fameli, Francesco Mammarella

Special thanks to: Illustrations: Graphic editor:

Ho Jin Jung, Elisabetta Modena, Piero Mottola, Marco Scotti, Andrea Salvatori Agata Matteucci e Daniela Iride Murgia Damiano Friscira

Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna Num. R.G. 261/2012, al N. 8228 in data 03/02/2012.

Con il Patrocinio:

In copertina: Antony Gormley, Space Station, 2007 COURTESY GALLERIA CONTINUA SAN GIMIGNANO (Elbaorazione grafica)


INDICE 5

Editoriale Il bon ton del Panopticon di Paola Pluchino

6

Il giro del mondo in 3000 battute

7

I Racconti di Fedra Daniele che abitava in via XX Settembre

9

Macadam Museum Il “bello” delle città Di Elisa Daniela Montanari

11 13

Hearth Bauhaus L’uomo urbano nella visione di Antony Gormley Di Paola Pluchino Tra origami e quarte di scena la Redazione

14

Let Me(et) Know(ledge) Il minimalismo e la vanitas intellettuale di Paola Pluchino

16

Passpartout inside Creative Area Forever Kitsch di C. S.

18

Punctum L’estasi e il memento nelle fotografie di Hannah Gauntlett la Redazione

19 21

Peanut Gallery Lineamenti di una nuova drammaturgia femminile di Elena Scalia Wake up Women la Redazione

22

Urban Addicted Rigore destrutturato di Rita Aspetti L’art végétalien de Yeonju Sung di Margaux Buyck

23 25

27 29

Grandi Mostre Il ritorno italiano di Salvador Dalì di Ilario D’Amato Fenomenologia della somiglianza di Paola Pluchino Michelangelo vs Yves Klein. Arte torna arte alla Galleria dell’Accademia di Martina Bollini

31

Sound Forward Il suono emozionale di Piero Mottola di Pasquale Fameli

32

In Conversation With L’archivio dell’immaginato di Paola Pluchino

35

E-Bomb Quando lo Studio Azzurro diventa tricolore di Francesco Mammarella

37 39

Il Proiettore di Oloferne Ridere in lingua yiddish di Giuditta Naselli Serialità e revival di genere: il caso “Game Of Thrones” di Davide Borgna

40

Bayt Il design spirituale a Milano la Redazione La strada bianca la Redazione

41 42

Balloon Un Marzo “Paz” e Calabrese di Alessandro Cochetti

43 46

Routes di Gabriella Mancuso OPEN CALL di Gabriella Mancuso

47

L’Immanente e il Trascendente Klimt e la seta in bolle di Vincenzo B. Conti 3


Daniela Iride Murgia, Balena in città, 2008, COURTESY DELL'ARTISTA

Daniela Iride Murgia, artista e illustratrice, vive e lavora a Venezia. Ha pubblicato per il Sole24Ore, Telecom, DADA Artebambini, La Riflessione, Sovera, Il Filo, Ventiquattro Magazine. Le sue opere sono realizzate attraverso un range di media disparati, con particolare predilezione per il ricamo e collage su carta, tela e stoffa. Gestisce insieme con Troel Bruun, 1’M + B studio che in 16 anni di attività ha prodotto, progettato e curato diverse mostre in collaborazione con architetti e artisti di fama internazionale presso la Biennale di Venezia, tra questi: Jason Rhoades, Gerard Byrne, Olafur Eliasson, Elmgreen&Dragset, Mark Lewis, Ming Wong. 4


Il bon ton del Panopticon

Janis Joplin - Little Girl Blue

EDITORIALE

Abituati come siamo nel vestirci di cliché dimentichiamo sovente la ragione primigenia del nostro voler apparire: esercitare e mantenere un ruolo in un contesto dato. Più importante, prestigiosa e numerosa è l’occasione, più lo sfoggio di pseudo conoscenze e luoghi comuni si fa alta, ulteriormente, più è grande il pollaio in cui starnazzare e più è probabile beccarci. Capita a volte di doversi liberare dalle grandi code pavonesche che ottundono la vista, come novelle siepi. In questi luoghi, e nell’ affaire di questa dinamica, fluida e distante dalla geometria pura, gli abitanti di questo campo culturale sono molto spesso mossi da due spinte uguali e contrarie: partecipano ad un sentimento di condivisione che genera complessità, e parimenti provano a demolire il vicino impiegando il suo tempo costringendolo all’ascolto di informazioni vacue. Da ciò ben si evince come il pollaio e lo stagno coincidano. Entrambi sono utili espedienti per distogliere l’attenzione dalla possibilità di uscire dal recinto, investendo nell’habitus del tempo. Questo numero, come sempre molto variegato e a volte antitetico negli interventi, ridisegna i rapporti e i topos in cui questa comunità si sviluppa e germoglia. Nel Nuovo Mondo, si spera lontano da quelle distopie che Aldous Huxley ci ha fatto conoscere, si impone un interrogativo importante che coinvolge a vario titolo tutti gli attori sociali: come può l’uomo collettivo porsi come differenza? Il rischio è che, avendo ognuno il diritto di esprimere la propria idea al di fuori delle rispettive posizioni sociali, questo vocio si trasformi di nuovo in una gigantesca torre di babele, visivamente come sistema coeso ma in realtà luogo in cui la comunità inevitabilmente si disgregherebbe in tante singole individualità. L’alternativa che le moderne scienze sociali suggeriscono consiste fino ad ora nella delega di una sola parte del proprio terreno alla funzione sociale, a quell’anima collettiva che la città, e la collettività, mostra contiene e rappresenta. All’arte il compito di intessere nuovi legami. In questo rumoreggiare spesso avvezzo esclusivamente ad una superficiale prova di forza, spuntano delle anime gentili che, oltre il mascheramento sociale, preparano coraggiosamente la vernice della nuova comunità - mondo. Paola Pluchino

5


Aram Khachaturian - Danza delle spade

Il giro del mondo in 3000 battute Prendi William Congdon a Venezia, poeta del colore, fratello del più celebrato Jackson Pollock, indagando sulla sua vita e sulle sue amicizie, presto si svela la sua conoscenza, trasformata in una duratura liason, con Igor Stravinskij. Navigando nel mare magnum dell’informazione la pittura si trasforma in azione e muove la ricerca delle fonti, delle somiglianze, dei fili e dei legamenti delle personalità. Da Stravinskij, la sponda d’obbligo appare la Russia zarista, rinnovato colosso dai piedi d’argilla che oggi si svecchia, vestendo i panni del contemporaneo. Cosi, al Museum of Multimedia Art di Mosca, ecco che il popolo russo celebra la propria foto - biennale, forse meno conosciuta e apprezzata dell’oltre moda del Whitney Museum di New York, e che suscita meno curiosità e interesse mediatico nel mondo calibrato sull’avanti veloce della critica d’arte. Tuttavia, a ben guardare, la biennale moscovita riserva più di una sorpresa, rivelando un sistema arte, sinergico e complesso: dagli scatti di Wim Wenders all’inversione dell’Image Maker di Ingmar Bergman, dal memoriale di Steve Jobs (con una mostra del giovane fotografo Doug Menuez), al chiacchieratissimo Ai Wei Wei. In Germania invece, altro punto nevralgico per l’arte contemporanea, che ha tra l’altro dato i natali ad eminenti studiosi come Adorno e Thomas Mann, arriva la 7a Biennale d’arte tedesca. Da tempo all’attenzione del sistema underground artistico, una città capace di far convergere al suo centro con forza centripeta e ascendente, le migliori iniziative e mode dell’arte. Dai quartieri alternativi che a Schönberg dedicano memoria, su su lungo quello che fu il muro di Berlino, la East Side Gallery, oggi trasformata nel più grande museo a cielo aperto del mondo, si arriva a Kruezberg, multietnico e infinito conversare di eccentriche personalità. Questa biennale, rispecchia paradossalmente, e purtroppo solo in parte, lo spirito avanguardistico e infinitamente visionario degli studi d’artista tedeschi, proponendo una biennale arrabbiata, affidata con lungimiranza, e qui a tre anime diverse: Artur Żmijewski, Joanna Warsza e al collettivo Voina. Dal 27 aprile la settima biennale indagherà e si interrogherà sul ruolo precipuo dell’arte e di come essa può rendersi veramente politica: dalle contestazioni che vengono dal Medio Oriente, fino al citizen journalism, che impone un dibattito sulla ricontestualizzazione e sullo status di fruizione artistica. Così, dalle terre d’oriente coperte dalle memorabili tratte dell’Orient Express, o dai commerci navali -ancor più antichi- che legavano l’Impero della croce dell’Est alla Serenissima, a distanza di anni, le spire del vento ricongiungono i porti (quei nodi di informazione che internet permette) immaginando un viaggio nei secoli e nelle arti che i poeti e gli scopritori, appena cent’anni fa, potevano solo sognare. Vis mentis, potere della mente che immagina, permettendo di scoprire somiglianze sottili ed elettive affinità, oltre l’opacità deprecabile della lingua contemporanea, fatta dall’azione binaria del botta e risposta. Così che il commercio di Vollard appaia reticolare.

Dall’alto: 7 Berlin Biennale curators Artur Zmijewski and Joanna Warsza ©AnnaEckold William Congdon, White Lagoon Venice San Michele, 1953 COURTESY CA’ FOSCARI Doug Menyuz, Ritratto di Russell Brown in costume Mountain view, California, 1989 COURTESY MAMM

6


I RACCONTI DI FEDRA Daniele che abitava in via XX Settembre di Andrea M. Campo

Fabrizio de André - Smisurata Preghiera

Quante ore sono trascorse? Il freddo filtrato dai polmoni si è insinuato nelle viscere intorpidendo i sensi. Chissà se rivedrò la luce. La verità è che nessuno si abitua al buio. Come ne “Il pozzo e il pendolo”. Non ricordo il nome del protagonista. Chiuso in una stanza priva di finestre avanzava lungo le pareti tentando di capire dove si trovasse. E anche io come lui, non potendo usare i miei occhi, rimango stordito, immobile in questa gelida oscurità. Stupidi uomini. Stupidi. Lasciamo che la percezione del mondo sia condizionata dall'ultimo dei sensi, forse il più fragile; il buio, prima benevolo compagno che nasconde gli orrori del mondo, diventa il nostro peggior nemico e divora ogni minaccia per divenire pericolo esso stesso. Ho sempre amato Allan Poe e le perverse atmosfere oniriche delle sue storie. Da bambino, nascosto sotto le coperte con una piccola torcia, aprivo una pagina a caso e leggevo, immergendomi in un abisso cupo. Credevo che oltre le coperte si nascondesse l’orrore di quelle pagine. Ripensandoci, lui poteva muoversi. Lui, il protagonista del racconto di Poe, dico. Io a malapena riesco ad alzare le dita. E il dolore alle gambe sta diventando insopportabile. Non riesco più a muovere neanche quelle. Chissà quali tenebre hanno lacerato l'anima di Fortunato, amico di Montresor, condannato a morire di inedia incatenato a una parete e murato vivo. Non aveva speranze in quella tomba di pietra, nessuno mai lo avrebbe sentito. Il suo cuore avrà ceduto d’un tratto lasciandogli sul volto un ghigno folle e disumano. Io posso coltivare ancora qualche speranza. Devo avere pazienza. Qualcuno mi troverà. Non so quando accadrà. Ma accadrà. Devo avere solo pazienza. Poe era tafofobico, aveva paura di essere sepolto vivo come me. Almeno fino ad oggi. Oggi non ho più paura. Chissà che giorno è oggi, quanto tempo è passato: un minuto o un giorno, tutto questo non ha alcun valore al buio ma quanto potrò ancora resistere. E’aumentata la fame, fortunatamente le gambe non dolgono più. Vorrei urlare ma con il ventre schiacciato l'aria che giunge ai polmoni è appena sufficiente per respirare. Se potessi avere il cuore del vecchio assassinato invece... Chiunque si avvicinerà potrà sentirlo. E mi troverà. Come diceva Poe? Sembra quasi “il rumore che fa un orologio quando è avvolto nel cotone”. Che stupido, il cuore rivelatore ticchettava solo nella testa dell'omicida. Sto impazzendo o le considerazioni di chi si trova nella mia condizione sono sempre le stesse: Berenice, prima di perdere i sensi, avrà sperato di essere salvata. Che stupido che sono. Io morirò qui. Devo accettarlo. Ho i crampi allo stomaco. Credo di avere un braccio fratturato e le mie interiora sono ridotte in un'indistinta poltiglia. Il sapore metallico del sangue rigurgitato sale dalla gola pizzicandomi il palato. Avrei dovuto essere reattivo come l’amico di Roderick Usher e di Lady Madeleine: un balzo fulmineo e il crollo della vecchia bicocca non mi avrebbe investito. Non ho più forze. Tutto finirà lentamente. Tutto si scioglierà gradualmente come in un velato sogno ricorrente. Un sogno condiviso in cui ognuno di noi cercherà se stesso. Chissà quanti siamo. Tanti nomi da ricordare per i telegiornali e per la stampa. Troppi nomi: diverremo anonimi come i protagonisti dei racconti di Poe, perderemo la nostra individualità e saremo riuniti tutti sotto il titolo di un'unica storia, un'unica triste vicenda di cronaca. Daniele si addormentò e riaprì gli occhi sentendo un cane abbaiare. “Presto presto” qualcuno gridava “qui c’è ancora qualcuno vivo!”. Un raggio di luce illuminò il volto del ragazzo che cominciò a piangere. Con delicatezza i pompieri lo tirarono fuori dalle macerie e lo adagiarono su una barella. “Grazie, grazie, grazie” continuava a ripetere convulsamente. Un medico assicurò l’arto spezzato con due stecche e pregò i barellieri di portarlo immediatamente al vicino ospedale. Con non poco sforzo, Daniele indicò un punto sotto le macerie della casa dello studente.

7


“Vi prego scavate ancora, c’era la mia ragazza con me” disse con un filo di voce “Lenore deve essere ancora viva”. Daniele era sicuro che Lenore fosse lì a pochi metri da lui. Poco prima del terremoto si era alzata a bere un bicchier d'acqua. Ciò che non sapeva Daniele e che i pompieri avevano già ritrovato il corpo senza vita di Lenore. Aveva il dito ancora tra le pagine di un piccolo libretto giallo dove era ancora possibile scorgere queste poche parole "Profeta, figlio del male e tuttavia profeta, se uccello tu sei o demonio, per il Cielo che si china su noi, per il Dio che entrambi adoriamo, dì a quest'anima afflitta se nell'Eden lontano riavrà quella santa fanciulla, la rara raggiante fanciulla che gli angeli chiamano Lenore". Disse il Corvo: "Mai più".

Salvador Dalì, Destino - Disegno per Disney, 1946 COURTESY WALT DISNEY COMPANY

8


MACADAM MUSEUM Il “bello” delle città

L’arte e il benessere cittadino nel contesto italiano di Elisa Daniela Montanari

Aaron - U turn

Uno dei mali più gravi che, da tempo, colpisce le città la stessa lingua. Le barriere culturali si rendono invalidi tutto il mondo, è il “male di crescita”. Le immigra- cabili e la comunicazione tra i cittadini diventa imposzioni di massa, le ricostruzioni post-guerra, l’incre- sibile, portando a condizioni di emarginazione sociale. mento demografico causano un’espansione selvaggia La città è sorda alle esigenze della sua popolazione: è degli agglomerati urbani. Le città crescono implacabil- rara la creazione di un ambiente che abbia l’intento mente senza un piano urbanistico che controlli le nuo- di favorire la condivisione degli spazi e l’aggregazione ve trasformazioni e si faccia carico di salvaguardare il sociale. benessere degli abitanti. Le conseguenze si traducono Negli ultimi anni, però, è avvenuta una svolta. Qualnella snaturazione dei centri storici, nella costruzione cosa è cambiato nella pianificazione delle città ed di periferie povere di servizi, nella perdita delle comu- è cresciuta l’attenzione verso il benessere degli abinità e conseguentemente nell’emarginazione cultu- tanti. In questo contesto s’inseriscono le pratiche più rale. Il modello di espansione è di Arte Pubblica che, L’Arte Pubblica, integrata ad aggiornate basato sul principio per il quale attraverso la partecipazione dei altri ambiti, si impegna nel cittadini e un accrescimento del a una crescita quantitativa della popolazione corrisponderebbero culturale dei luoghi, si miglioramento della qualità valore maggiori consumi, che porterebconcentrano sullo scopo finale bero a una migliore qualità della della vita della popolazione, dell’innalzamento della qualità vita. La popolazione è però ladella vita della popolazione. Gli ma necessita di una sciata a se stessa, vige l’assenza obiettivi che le pratiche artistiprogrammazione unitaria che si prepongono sono il midi uno stato sociale che si prenda cura dei bisogni dei cittadini, estetico e armonico e un impegno continuo da glioramento perdura il sacrificio del benessedell’ambiente abitato, la riqualifiparte delle pubbliche re e dell’armonia tra ambiente e cazione urbana di luoghi degraindividuo, per inseguire questo dati attraverso un loro riutilizzo amministrazioni concetto falsato di sviluppo. Tale culturale, il farsi portatrici di vamodello di espansione con il tempo ha mostrato i suoi lori e simboli condivisi. Forti di un passato in cui arte limiti. Un aumento del reddito e dello sviluppo eco- e città erano concetti indivisibili e lo stile identificanomico non ha corrisposto, infatti, a una migliore esi- va epoche e culture, si ricerca oggi un’unione ideale, stenza nell’ambiente in cui si vive. utopicamente capace di curare i mali della società e Le comunità urbane diventano inesistenti e sono so- ristabilire un’affezione degli abitanti verso il luogo. Afstituite da una popolazione multietnica che non con- fezione che porterebbe anche a un maggiore rispetto e divide le stesse radici e tradizioni e talvolta nemmeno senso civico verso i territori.

High Line New York City. Charles Mary Kubricht, Alive-nesses, 2011

Metropolitana di Napoli. Linea 1-Università. Karim Rashid, 2010

9


Questi obiettivi così complessi e impegnativi non possono essere raggiunti solo attraverso pratiche artistiche o culturali. Serve un impegno globale delle forze in gioco indirizzate verso un unico scopo. Le operazioni devono coinvolgere il mondo dell’urbanistica, dell’architettura, della sociologia, dell’antropologia, delle politiche culturali ed economiche. Lo Stato, o la pubblica amministrazione che si prefigge questi intenti deve programmare un intervento unitario e a lungo termine, pena la dispersione di energia e fondi e l’instabilità dei risultati ottenuti. Una manovra di questa portata dovrebbe poggiarsi su un apparato legislativo solido e capace di garantire una coerenza di soluzioni in tutto il territorio. In Italia questo è del tutto assente, a differenza di molti paesi esteri avanzati. L’unica legge che tratta in maniera trasversale il tema dell’Arte Pubblica è la cosiddetta legge del 2% (L. 29 luglio 1949, n.717). Essa prevede la destinazione del 2% del valore della costruzione o ristrutturazione di un edificio pubblico alla realizzazione di un’opera d’arte annessa. Tale norma, emessa con l’intento di favorire l’unione tra arte, architettura e città, perseguendo l’armonia di stili e contenuti, fallisce fin’ora nel suo obiettivo. Più volte disattesa, durante i suoi sessantatre anni di esistenza, si rivela inadeguata e isolata nel favorire la realizzazione degli scopi dell’Arte Pubblica. L’apparato legislativo italiano risulta essere insuffi-

Metropolitana Napoli. Stazione Dante. 2001. Michelangelo Pistoletto, Intermediterraneo

10

ciente e settoriale, trattando solo il caso dell’integrazione tra opere d’arte ed edifici. Esistono tuttavia casi positivi in cui l’arte è usata con successo in operazioni che trasformano qualitativamente e stabilmente un territorio. Queste operazioni sono comunque dovute all’iniziativa di pubbliche amministrazioni “illuminate” che investono energia e fondi in questo fenomeno. Sono però vittime di una condizione frammentaria e irripetibile nel territorio, a causa della mancanza di una programmazione unificata. Esempi positivi in cui la pratica artistica agisce congiuntamente ad altri settori e attiva cambiamenti reali si possono ritrovare in Italia, nella metropolitana di Napoli o a New York, nella High Line. A Napoli, gli ambienti angusti di passaggio delle stazioni metropolitane sono state trasformati da architetti e artisti in percorsi museali. A New York il percorso sopraelevato di una ferrovia dismessa è stato convertito in un parco pubblico con una programmazione artistica annuale. Questi esempi, come molti altri presenti nel nostro paese e nel mondo, dimostrano l’efficacia dei risultati quando è adottata un’integrazione tra le diverse discipline in campo.

Opera realizzata con la legge del 2percento. La soglia magica, Milano, areoporto di Malpensa, Terminal 1. 2011


HEARTH BAUHAUS L’uomo urbano nella visione di Antony Gormley di Paola Pluchino

Artista dal lungo e importante curriculum - tra queste le incursioni alla Biennale di Venezia e alla Documenta 8 di Kassel - Antony Gormley, londinese classe 1950, inaugura il 28 aprile alla Galleria Continua di San Gimignano una mostra elegante e sofisticata che simula la percezione dello spazio urbano all’interno del contesto museale. Puntellato da un ricercato fervore teorico, il nuovo progetto intitolato Vessel muove verso l’interazione dell’uomo con l’architettura, ibridando e sintetizzando i vari elementi nel “totem” dell’uomo architettonico: la visione “gormleyana” rivela cosi, nel gioco dei bianchi e dei neri, una rete di tangenze con le costruzioni minimali di Richard Serra. Come i grandi dell’architettura, Gormley indaga sulla ricostruzione di un mondo arte che si presta alla scomposizione dello sguardo; le sue opere sembrano il frutto della disgregazione retinica, la ripartizione “ a pixel” proprie della contemporaneità. In questa nuova realtà l’ uomo -e il suo mondo- sono costruiti seguendo coordinate geometriche, principi della processione matematica della simmetria in strutture simboliche della sintesi visiva. Un dodecafonico gioco, duro e primordiale, fatto a blocchi materici (blockwork), studi di ricerca che affondano le radici nella rete dei multiversi che si sviluppano nello spazio della percezione proponendo allo spettatore un’idea del mondo normalizzata, una rappresentazione accessibile e gradita poiché la sua riproduzione formale è espressa secondo i canoni estetici facilmente riconoscibili e per questo accattivanti. La potenza espressiva di Antony Gormley si fonda sull’abile trattazione dell’elemento uomo –e dunque anche dell’elemento natura- con fare geometrico e rigoroso, ed eliminando, se non nell’approssimazione delle forme, la linea curva quando espediente primo dell’armonia creativa. È questo il caso delle quattro opere presentate sotto l’ala protettrice del memento mori della bolla, simbolo eccellente della vanità, (che hanno in

Domenico Scarlatti - Sonata in F Minor K184

Puntellato da un ricercato fervore teorico, il nuovo progetto intitolato Vessel muove verso l’interazione dell’uomo con l’architettura, ibridando e sintetizzando i vari elementi nel “totem” dell’uomo architettonico

11


SUM il contrappunto) che qui si espande, dall’altezza della nuvola al basso, poliedrico e solido pavimento. Nell’universo di Gormley non c’è spazio che per l’architettura e per la costruzione artificiale e post umana del corpo urbano: affacciano alla ribalta dello spettatore divenendo punto di rottura nella percezione fenomenica della mostra; così è nell’umano che attraversa le pareti virtuali della Breathing Room e che osserva il movimento, in dilatazione o in rallentamento, del tempo; così è nel luogo di raccoglimento e meditazione del corpo alla seconda dell’habitat architettonico. Rimane un interrogativo; non per l’artista in se stesso quanto per tutto il movimento dell’arte contemporanea: la paura che quest’anima del fare rete, espressione endemica della creazione, diventi una gigantesca macchia; non più una rete su reti ma un unico e indefinito punto. Su questo si interrogheranno la mattina del 29 aprile presso Il Teatro dei Leggieri di San Gimignano Antony Gormley, Richard Sennett Anna Coliva, Giuseppe Sala e Mario Codognato. A moderare il simposio sul rapporto tra la città e l’uomo di Re-imagining the city, Germano Celant.

Pagina precedente: Antony Gormley, Clearing IV, 2010 (a sinistra) Antony Gormley, Space Station, 2007 (a destra) Antony Gormley, Hatch, 2007 (sullo sfondo) In questa pagina: Antony Gormley, 2X2, 2010 (in alto) Antony Gormley, Memes Series, 2011 (in basso) Tutte le foto: COURTESY GALLERIA CONTINUA

12


Tra origami e quarte di scena

Daft Punk - Derezzed

Behind the Curtains la Redazione

La materia impiegata dall’artista resta tutta e sempre inerte, morta, inespressiva, se non è condotta dal genio a spiritualizzarsi; a divenire cioè puro elemento di raffigurazione lirica simbolica. Il che equivale a sparire in quanto materia. Ardengo Soffici, Archivi del futurismo

Il giovane artista mantovano Paolo Cavinato (1975) cui l’adattamento dell’uomo sembra impossibile ma espone fino al 9 giugno alla Galleria Milanese The parimenti indispensabile. Delle utopie del fare mondi Flat – Massimo Carasi, proponendo un ventaglio di l’artista giunge con le ultime opere Via, Beehive, Reopere che riprendono in parte la precedente esposi- flection ad un impiego diverso degli stessi materiali, zione, Geometrie Perfettibili. Cavinato estrapola lo ferro, plexiglass, cartoncino, luce. Paolo Cavinato destudio sul piano, sulla retta linea sta l’attenzione affilando gli angoli La linea, la parola e lo di ricerca dove arte e architettura, della percezione che catalizzano virtuale e domestico interagisco- spettatore si congiungono l’occhio dello spettatore sull’enerno, sbrogliando la matassa della sulla soglia che riflette gia sprigionata dalla materia luprospettiva. Nel tentativo di trocente e candida, bianco carico di l’altra parte dell’arte, vare la giusta interpretazione delle cromatismi sociali, di strutture a sue opere, bisognerà rivolgere lo la sua spendibilità anche sostegno sì di un pensiero d’intesguardo oltre le classiche teorie razione corpo – spettatore – luogo, nei termini del suo dell’urbanistica di Jennaret (Le ma ancor di più sul piano esistenpotenziale Corbusier), per usare piuttosto ziale, un interrogativo aperto sulqueste opere come segno traccia, le possibilità dell’arte di usare se come mappa per gli studi compiuti dall’artista, sinte- stessa per risolvere l’ambiente. si delle influenze occidentali e orientali. Così come il La galleria The Flat, si presta così ad ospitare nuovi nucleo principe della domus era ciò esso accoglieva, criteri conoscitivi, nuovi e reticolari approcci del fare e quello per cui era preposto, cioè l’uomo, così Cavina- artistico, dove la linea, la parola e lo spettatore si conto interpreta l’architettura come mappa, come modo giungono sulla soglia che riflette l’altra parte dell’arte, d’interpretazione delle istanze dell’abitare. la sua spendibilità anche nei termini del suo potenLa galleria di Massimo Carasi, prosegue così nella sua ziale. Perfettamente coerente l’operare di Cavinato coerente esposizione, ospitando per la seconda vol- che per alcuni versi ricorda i protagonisti della scena ta l’artista già in mostra nel 2010 con An intelligent milanese del gruppo T – Gianni Colombo con Spazio Design; Paolo Cavinato, premiato dalla Royal British Elastico – ma anche l’opera più recente di MichelanSociety of Sculptors, propone adesso un’evoluzione gelo Pistoletto, quel Metro cubo d’infinito all’interno di del suo stile: se nel 2008 all’interno delle sue opere la un cubo specchiante presentato al Centro di Cultura materia architettonica sostituiva il visivo umano (pen- Contemporanea Strozzina di Firenze. Mostre sobrie e siamo all’installazione Annunciazione dove una serie composte, mai volgari ed equamente bilanciate negli di tessere venivano appese a diverse altezze ad una spazi della galleria, permettono alle opere di respirare, struttura in metallo e specchi) adesso l’umano muta, di sviluppare le interpretazioni delle architetture con di fronte alla dittatura dell’artista. Le opere, giocan- libertà vedendo manicomi in luogo di alveari, scenegdo con dicotomie come infinito e finito, tra gli stralci giature per film o tableau vivant di sentimenti, nuova del pieno e del vuoto, del composto e del minimale, scuola kubrikiana. sembrano riproporre veri e propri mondi, soluzioni in

Paolo Cavinato, Ricerca COURTESY THE FLAT MASSIMO CARASI

Paolo Cavinato, Ricerca 3 COURTESY THE FLAT MASSIMO CARASI

13


LET ME(ET) KNOW(LEDGE) Il minimalismo e la vanitas intellettuale di Paola Pluchino

♬ Occorre lavorare sulla ridefinizione della produzione, sulla ridefinizione del rapporto uomo e materia perché l’uomo possa ritrovare il proprio spazio senza essere attanagliato, asfissiato, ricoperto da un mucchio di cose futili, generalmente portatrici di simbolismi estremamente dubbi.1 L’universo estetico del Minimalismo è retto da regole logico-formali, come la semplificazione espressiva, il rigore geometrico, l’essenzialità delle forme, la modularità delle componenti e l’artificialità dei materiale.2 L’analisi intorno al filone del Minimalismo, movimento sviluppatosi intorno agli anni Sessanta negli Stati Uniti, mostra immediatamente tutto il suo appeal poliedrico, la sua componente prima e fondante: ridurre secondo parti minime la realtà seguendo una volontà sintetica e chiarificatrice.3 Già nel 1972 Gregory Bateson, nel suo saggio Verso un’ecologia della mente, forniva le coordinate per un nuovo approccio intorno alle dinamiche più proficue per una riflessione e una giusta forma di appropriazione del pensiero contemporaneo occidentale. Insieme allo studioso, sul confine tra epistemologia ed ermeneutica, si muove oggi, una pletora di intellettuali e simpatizzanti, con l’implicita volontà di tracciare le linee guida per un vivere elegante e svelto, spogliato da mille futili oggetti, ma anche pensieri superflui, gli stessi che oggi contribuiscono a rinfoltire quell’opacità comunicativa rendendo difficile il tracciato delle linee di ricerca, contemporaneamente produttive e profonde. Diverse realtà, dal testo La sfida delle 100 cose del californiano Dave Bruno fino ad arrivare al più ludico potpourri di EcologicalMind, passando per le innumerevoli mostre esposizioni ed iniziative (trasversalmente dal riciclo allo spostamento) disseminate sulla mappa culturale italiana e non solo, concorrono nel riformulare il fare artistico proprio nel verso di quei processi di accorpamento, pulizia e sintesi che i minimalisti perseguivano e presentavano. Oltre la cultura pratica, oltre cioè il riducente del fare quotidiano, è inevitabile notare, e doveroso per coloro che si occupano di dinamiche sociali, come questo atteggiamento, dalle origini anch’esse ibridate e poliedriche, sia confluito non nell’assioma (errato) di complessità vs riduzione, quanto nella dicotomia eccesso vs misura. L’atteggiamento minimalista concorre alla riflessione intorno all’assunto tale per cui proprio questo sia stato capace di risolvere e chiarire sociologicamente l’ atteggiamento dell’uomo quotidiano di fronte ai fatti di cultura, posto in sintesi come zoccolo duro all’interno del dibattito dello specifico artistico. Soprattutto, la poetica minimale sembra essere il filtro interpretativo più adatto alla spiegazione dell’uomo e alle dinamiche fluide di strutturazione del reale. Il problema, non di secondaria importanza subentra nel momento in cui la linea che separa esperta chiarezza da limitata faciloneria sfuma. Come comportarsi quindi? La questione è annosa. L’intuito è indispensabile per discernere un’opera di qualità da una superficie interessante ma che rimane sterile ornamento. Oltre ciò, gli intellettuali, veri

14

Aphex Twin - Girl/ Boy Song

V. GUILLAUME, Scritti su Starck, Postmediabooks, Milano, 2006. 1

M. SENALDI, Enjoy! Il godimento estetico, Meltemi, Roma, 2003, p. 163. 2

Cfr. “Quelle strutture primarie apparivano molto simili all’essere sartriano, cioè a un nucleo di pura inerzia, di opacità materiale, ‘lavorato’ dal vuoto del soggetto umano, che veniva così chiamato a mettere in forma la loro intrinseca povertà. Certo è che non si era mai vista, prima di allora, un’impresa tanto spinta in direzione degli effetti reali (nello spazio e nel tempo) in R. BARILLI, L’arte contemporanea, Da Cézanne alle ultime tendenze, Feltrinelli, Milano, 2007, 315. 3

Oltre la cultura pratica, oltre cioè il riducente del fare quotidiano, nella dicotomia eccesso vs misura


memori dell’ammonimento dantesco lume retro non giova, dovrebbero limitare i loro interventi a cose di estrema importanza. Le coordinate minimali vogliono così assumersi l’oneroso compito di sancire ciò che, oltre alla vanitas del bell’esprimere, conduca l’uomo a sapere grandi e immense cose con una chiarezza luminosa e franca, lontana dal petulante mondo dell’ampollosa e spesso oscura sapienza accademica.

In alto: Dan Flavin, Untitled (Marfa Project), 1966 (a sinistra) COURTESY THE CHINATI FOUNDATION Philip Glass – Robert Wilson, Einstein on the Beach Cd cover, 1976 (a destra) Al centro: Agostino Bonalumi, Nero, 1966 (a sinistra) COURTESY FONDAZIONE SOLOMON R. GUGGENHEIM Venezia (donazione anonima) Sol LeWitt, Splotch #22, 2007 (a destra) COURTESY VIRGINIA MUSEUM OF FINE ARTS In basso: Dan Flavin, The Nominal Three (to William of Ockham), 1963 COURTESY SOLOMON R. GUGGENHEIM MUSEUM PANZA COLLECTION

15


PASSPARTOUT INSIDE CREATIVE AREA Forever Kitsch

Andrea Salvatori , l’arte come battuta di C. S.

Demetrio Stratos - Flautofonie

NAIV / VAIN ( macedonia dal tedesco Naiv ingenuo e dall’inglese Vain Vanitoso) è il titolo della mostra di Andrea Salvatori, curata da Chiara Cardinali, visibile fino al 2 giugno in due sedi imolesi: presso i Musei di San Domenico e nello spazio, ancora vergine, dell’Associazione culturale Pomo da DaMo. La personale dell’artista si inserisce all’interno di un progetto più ampio, Bianco3, che coinvolgerà di volta in volta un diverso artista. Il progetto, in collaborazione con l’associazione culturale Il Pomo da DaMo e l’Assessorato alla cultura/Musei civici di Imola, ha per obiettivo lo sdoganamento del contesto museale tradizionalmente inteso, in favore di una maggiore permeabilità tra museo come white cube (spazio bianco chiuso) e intervento site – specific .

“Lei dimentica tutto quanto un abile sezionatore può fare con i vivi (…) Certo, ci sono stati dei piccoli tentativi: amputazioni, recisioni della lingua, estirpazioni (…) Ebbene, nel caso delle estirpazioni si verificano alterazioni di ogni genere, di carattere secondario: alterazioni del pigmento, psichiche, o, nei tessuti grassi, di secrezione. Senza dubbio, lei avrà sentito parlare di queste cose.”1 Queste parole pronunciate dal mitico dottor Moreau, uno dei personaggi piú noti nella letteratura di fantascienza, appartenente al romanzo di Herbert George Wells, sono la perfetta premessa per introdurre il lavoro di Andrea Salvatori, enigmatico e particolare artista romagnolo che ha fatto della ceramica parte fondamentale del suo lavoro. Come Moreau cercava l’umanizzazione di creature animali tramite diversi processi di vivisezione, asportazione di tessuti e trapianti di arti, Salvatori ci invita ad entrare al suo mondo,costituito da piccoli interventi, nel quale si unisce l’estetica del ‘700, con quella delle prime generazioni di manga e comics giapponesi introdotti in Europa durante i primi anni Settanta e il gusto per il kitsch. Salvatori, nel suo studio, unisce il suo amore per il design, il suo fascino per l’antiquariato, per la tradizione e per i metodi artigianali; e come un animista dà vita a un variegato ventaglio di soggetti e di raffigurazioni surreali che fanno parte del suo immaginario personale. Andrea inizia a lavorare con la ceramica per caso perchè “me lo sono ritrovato” dice lui, forse la vicinanza con Faenza, nota cittá per l’elaborazione di questo materiale lo ha influenzato, ma in realtá non é stata una cosa cercata, è nata con il tempo e forse anche dalla sua giovane collaborazione come asistente di Bertozzi&Casoni quando studiava all’ istituto d’arte; collaborazione che occupó gran parte del suo tempo dalla fine dei suoi studi all’accademia di Belle Arti di Bologna e che dura ancora oggi. Il primo lavoro abbinato alla sua tesi di laurea sul Kitsch, divenne fondamentale per far scaturire i suoi

16

“piccoli oggetti da comodino” .Già nelle foto scattate in Spagna in cui lui era il soggetto principale, con camicia hawaiana davanti a fondali costituiti da monumenti noti, giocava a mettersi nei panni del turista: erano i suoi primi sperimenti quasi performatici nei qualli metteva in discussione la suo identità e il suo ruolo come artista creatore, con un tono ironico e giocoso. Da lì, il passo fu brevissimo: la fotografia con lui come soggetto diventò statuina, un oggettino piccolo, da comodino con il centrino, il suo autoritratto da solo o con altre figurine. Queste prime sculture erano pensate come giochini, piccoli interventi, come i baffi della Gioconda, sulla quale si faceva la battuta, lo scherzetto. In questo senso le porcellane del ‘700 costituvano il ready made giusto sul quale intervenire, soprattutto perchè con loro portavono tutta quella tradizione, che lui aveva vissuto anche a casa sua delle nonne e le zie che per moda collezionavano queste donnine o coppie d’ innamorati, souvenir dei matrimoni, battesimi e festeggiamenti vari, che diventavano oggetti da comodino , abbinati al centrino in macramè. È sempre un gioco che si mantiene al confine, per esempio nei primi lavori nessuno si accorgeva dei piccoli interventi, come per esempio una piccola damina con un coltello. Col passar del tempo il suo lavoro inizia a diventare piú raffinato ed elegante, lascia da parte il senso splatter e un po’ volgare delle donnine settecentesche che imitando l’esempio di San Giorgio abbattono il drago o che, con diversi colpi d’ascia, squartano il mostro della palude. I colori iniziano a scomparire, e anche il sangue, predilegendo la sobrietá, le tonalita chiare e i monocromi, grigi e bianchi; i suoi oggetti acquistano una sfumatura piú poetica e seria lasciando da parte la battuta ma mantenendo comunque l’ironia. Un ironia piú fine, come quella dello scheletro con la linea:” l’ironia c’é ma, la figurina sberleffa, l’iperrealismo o con le stelle, dove la damina classiche del ‘700, raffinattissima sta sotto il peso astratto di questa figura inesistente nella realtá.” Il voler mantenersi nel limite tra reale e irreale, è uno


degli elementi piú interessanti del lavoro di Salvatori, che miratamente introduce nei suoi pezzi degli elementi che in natura non potrebbero mai esistere, come il cerchio, il cilindro e la sfera, figure che non possono costituire per esempio la formula chimica di un minerale. L’importanza della forma prende il sopravvento e diventa la leva fondamentale della sua ricerca, la forma scultorea è quella che vale, come con i sassi, rocce contenitori o rocce candelabro, che inizia a realizzare nel 2010. In principio la roccia interveniva sopra un oggetto, lo schiacciava o modificava, sbarazzandosi del ready made, diventa un oggetto unico, permettendogli di unificare la sua doppia ricerca tra scultura e oggetto di design o oggetto d’uso. Le rocce diventano “nuovi paesaggi”, piccolo paesaggi zen, che partono dalla semplice idea che ogni oggetto al quale tu fai un buco diventa subito un oggetto contenitore o un porta oggetti, un oggetto funzionale. La roccia porta libro, diventa libreria sepoltando2 per esempio, all’ interno della sua fessura l’arte dei rumori di Luigi Russolo, assordandolo e nascondendolo metaforicamente sotto terra. Sono oggetti ripresi dalla natura che con un semplice intervento, con uno smalto bianco lucido che ricorda le porcellane del Settecento o con uno grigio opaco, tipo carta pesta, sono trasformati in oggetti finti, kitsch pronti per essere messi sul comodino. Poco a poco la ricerca inizia a complicarsi ed è quello che a lui piace di più, il momento nel quale gli oggetti si unificano e diventano un tutt’uno, gli oggetti Kitsch cominciano ad essere aggrediti dalla ceramica, al punto di farli quasi sparire: il pixel, la figura geometrica interviene sul soggetto. Il cane ricoperto da quadrati, muta quasi in un mosaico tridimensionale, ed il senso del maniacale e della delicata laboriosità iniziano ad essere prelevanti. Il ready made diventa un’ ispirazione esterna, il punto di partenza o semplicemente quel piccolo e sottile intervento con un altro materiale, come la pirite, l’ottone, il vetro e la plastica. Andrea Salvatori lavora con la ceramica, ma non si piega al materiale, lo utilizza perchè è funzionale a ciò che

1 2

vuole esprimere, Io utilizza come semplice materiale strumentale alle sue esigenze. Il suo gusto per esso gli permette di godersi piacevolmente le lunghe fasi del processo di elaborazione, che molte volte diventano quasi ossessive, stranianti da tutto, e dando la possibilitá di lavorare in quello stato per interi mesi: “Lo sforzo fisico costringe il tuo cervello a pensare sempre, finchè sei convinto che intraprendere un determinato lavoro sia la cosa giusta, mentre lo fai ti convinci di portarlo avanti, di abbandonarlo perchè non ti soddisfa o semplicemente ti sembra inutile, così decidi di lasciarlo perdere, o può succedere che da lì nascano altre idee, oltretutto la ceramica è così imprevedibile che non sai mai come verrà il lavoro quando esce dal forno, ad ogni procedimento può esserci un imprevisto, una crepa, uno smalto venuto male. Comunque, molte volte, l’imprevedibilità del materiale mi ha portato ha fare delle bellissime cose, ad esempio una base che nel forno era scoppiata io l’ho utilizzata in quella maniera, una rottura totale che diventa parte del lavoro, un rosso che diventa un viola.” In questo ultimi anni i suoi lavori sono molto piú maturi e complessi. Adesso le figure fanno parte di un unico mondo, fatto da solidi e piccole figure geometriche, dove continua a mantenersi il gusto per il curato, per i soggetti ben definiti e la mania per il particolare, una mania meno palese e un gusto per una battuta ora piú seria ed enigmatica che congiunta con l’ironia, sottolineano la sua spiccata volontà di condurre a una riflessione. La semplice facezia diventa una critica verso certe problematiche e dinamiche sociali che sono messe alla luce, in modo sottile, leggero e raffinato come lo sono le sue sculture, create in modo tale da dare meno fastidio allo spettatore. Incontrare Andrea Salvatori lascia con la sensazione che forse tra un paio di anni potremmo vedere una delle sue figurine in mezzo ad una piazza. Forse il David tutto ricoperto da solidi che imponente dall’alto (ci) prende in giro, ma per il momento ci accontenteremo della possibilità di vedere alcune delle sue opere nella personale NAIV VAIN, visibile dal 21 aprile ad Imola.

H.G.WELLS, L’isola del dottor moreau, Ugo Mursia Editore, capitolo XIV Derivato dallo spagnolo sepultar - seppellire

Pagina precedente: Andrea Salvatori, Waiting On The Moon, 2009, COURTESY CHIARA CARDINALI PER BIANCO3 (sinistra) Andrea Salvatori, Ikebana Mon Amour, 2010, COURTESY DELL’ARTISTA (destra) In questa pagina: Andrea Salvatori, Tiè, 2009, COURTESY DELL'ARTISTA (in basso) Andrea Salvatori, Big Mandala (Mandalone), Particolare, 2005, COURTESY DELL'ARTISTA (sullo sfondo)

17


PUNCTUM L’estasi e il memento nelle fotografie di Hannah Gauntlett la Redazione

♬ L’attimo perfetto non esiste, la fotografia ha bisogno di un’interpretazione, di un tempo diverso, di strumenti per rivelare la contemporaneità: dopo due anni di silenzio Hannah Gauntlett, fotografa freelance e globetrotter, torna con una mostra- retrospettiva al Maab di Padova (fino al 12 maggio). Una cinquantina di opere che indagano sulla dimensione della fotografia non come analisi dell’attimo, dell’hic et nunc, ma come mezzo espressivo suscettibile di manipolazioni successive dove affiorano lo smarrimento dell’individuo, la solitudine della presenza, l’imperante movimento dei non luoghi. Non a caso, la Gauntlett fotografa in grandi e dispersivi luoghi pubblici, luoghi di passaggio in cui l’esserci è transitorio, in cui anche chi fotografa scompare in una trasparenza di intenti; l’immagine si trasferisce quindi dapprima su un supporto altro (alluminio legno e ferro principalmente), per poi subire “incursioni” con oggetti della vita di tutti i giorni.. Secondo la Gauntlett, laureata prima qui e poi li, il mondo rischia di implodere dentro il silenzio urbano che scandisce i gesti e i volti di un calembour sempre uguale e anonimo. La presenza è urgenza dell’esserci e del ritrovarsi , uscendo fuori dalle dinamiche fintamente sociali (twitter, face book, mail) che costringono l’uomo alla solitudine, all’isolamento e all’abbandono, attraverso un intervento sul modus operandi pubblico. Riappropriarsi della comunità è dunque parola condivisa, è immagine reale: nella manipolazione di Hannah, si scorge un vuoto dell’anima, un punto morto in cui la

Four Tet - Unspoken

collettività è un informe e fagocitante moto perpetuo che fa rotta verso l’oblio. Merito della giovane artista è senza dubbio quello di essere intervenuta sulla tribuna dell’arte con fare delicato e con estrema fermezza, imboccando la via dell’interpretazione delle dinamiche comunitarie; ma il silenzio, associato all’assenza, rimane comunque un punto interrogativo inciso su tavole dove studiare una soluzione che sia in viaggio, nel divenire dei momenti in cui la presenza non è che fantasma, ma in cui il ricordo può forse ancora riabilitare la presenza come nucleo forte del futuro. Queste immagini, come sezioni urbane, come mappe sinottiche in cui il prima e il dopo, l’uno e il molteplice si ibridano in un dialogo collettivo, provocano nello spettatore una sorta di nostalgia e, parimenti, una presa di coscienza forte e gelida, avendo l’uomo cominciato da tempo a costruire il suo fare seguendo delle coordinate virtuali, in cui l’unico tempo che conta è la presenza, l’esserci nelle vetrine virtuali dove l’uomo viene catalogato seguendo algoritmi irreali. Allora, nella percezione dei contrasti materici, nella foto con il biglietto, nello scatto con l’orario, ciò che si crea è esso stesso una reinterpretazione di quel diario standard in cui -come in un gigantesco panopticontutti si vedono ma nessuno si parla, un luogo in cui è sceso il silenzio, eloquenza della disperazione e del raccoglimento interiore.

Urban Silence I e Urban Silence VI 25x50cm. Transfer su ferro

18


PEANUT GALLERY Lineamenti di una nuova drammaturgia femminile di Elena Scalia

♬ Fin dall’antica Grecia, culla del teatro come luogo sacro della parola religiosa e politica, le donne hanno vissuto una lunga esclusione dalla scena. Prima del Cinquecento, infatti, si riscontrano solo rari casi di autrici per il teatro; si tratta in genere di religiose, come Rosvita di Gandersheim, che fra le mura del convento si dedicavano allo studio, alla scrittura e spesso alla messa in scena delle pièces. In seguito, nel Rinascimento, alcune famose cortigiane scrissero drammi dimostrando grande abilità letterarie e drammaturgiche ma è solo con la Commedia dell’Arte che le donne diventano per la prima volta protagoniste sulla scena, scrivono il “canovaccio”, assumono ruoli rilevanti nelle compagnie fino ad ottenere spesso anche la nomina di capocomico. In seguito la drammaturgia femminile ha vissuto diverse fasi, legate spesso alla situazione sociale, alternando momenti di grande vivacità, come la Rivoluzione Francese, a periodi di maggiore repressione come la Restaurazione. In Italia, nel 1947, le donne conquistano il diritto di voto e dal secondo dopoguerra in poi, in seguito al generale risveglio culturale, si riscontra una nuova partecipazione delle donne alla vita sociale e politica segnata da un’intensa produzione di testi teatrali da parte di autrici come Natalia Ginzburg, Alba de Cespedas e Maricla Boggio che non hanno trovato ancora il giusto riconoscimento da parte della critica nazionale. Negli anni Settanta inoltre, con il movimento femminista, le donne trovano un interesse sempre più ampio per la scrittura teatrale: in Italia particolarmente significativa si rivela l’esperienza del teatro “la Maddalena” che ha visto coinvolte autrici e registe come Dacia Maraini impegnate a portare in teatro battaglie sociali e il privato delle donne. In seguito alla fine degli anni Ottanta le drammaturghe diventano sempre più numerose, fenomeno rilevato dagli stessi annuari della SIAE, vincono premi per la drammaturgia contemporanea, si impongono sulle scene con testi nuovi e interessanti, con una ricerca che riguarda sia il linguaggio che i temi trattati1. Nonostante questo rimangono non poche difficoltà per quanto riguarda la distribuzione e la circolazione dei nuovi testi, legate alla crisi economica ma anche al sistema teatrale italiano che non prevede il drammaturgo di residenza. In Italia infatti, questa figura non è riconosciuta ed i testi non vengono commissionati né dai teatri né dalle compagnie ma, una volta scritti, raggiungono una conferma direttamente dalle strutture produttive. Come afferma Laura Olivi, Dramaturg italiana presso il Residenz Theater di Monaco di Baviera, questa figura

Bat for Lashes - Daniel

Portrait of Alba Decespedes

Per approfondire la storia della drammaturgia femminile cfr. http://www.teatrodelledonne.com/archivio.htm 1

ha, infatti, il compito di elaborare e suggerire, nella collaborazione con il Direttore del Teatro, le idee cui legare l’immagine e l’attività del teatro in un determinato periodo, suggerire i registi, evidenziare i temi più importanti del momento, anche e soprattutto per il teatro politico/sociale e, infine, selezionare gli spettacoli proprio in funzione di quelle. Una vera e propria linea editoriale, che favorisca continuità “ideologica” ed “estetica”. In Italia manca, credo, questa continuità, questa

19


omogeneità, perché, quello italiano, è soprattutto un teatro di tournèe, un teatro di compagnie di giro, dove ogni spettacolo sta un po’ per conto suo, nel senso che non si lega in una proposta complessiva e proiettata nel tempo. Ci vorrebbe così un dramaturg per ogni spettacolo, oppure al seguito di ogni regista, ma ciò non è economico ed efficace. Quindi, potrei dire, che il mio ruolo è il risultato di una idea organizzata di teatro che in Italia non c’è per tradizione, tranne pochi esempi, e stenta a costituirsi. In Germania la disponibilità di tempo e la stabilità di adeguate risorse consente di dare ai singoli teatri, nell’ambito della comunità che li esprime, una continuità di pensiero e di crescita che, credo, in Italia sia raramente riscontrabile2. Per legge, i teatri stabili pubblici sono chiamati a portare in scena ogni anno degli autori contemporanei; e se questo spazio venisse utilizzato e valorizzato commissionando testi a giovani autori e autrici? Se si mettessero in scena con sistematicità, come già si fa in alcune realtà, i testi vincitori di premi di drammaturgia contemporanea che spesso rimangono sulla carta? Sta di fatto che nel mondo teatrale italiano lavorano autrici contemporanee conosciute spesso soprattutto all’estero come Letizia Russo, Laura Forti, Sonia Antinori, Laura Olivi, Renata Ciaravino ed Eleonora Danco e Vanda Monaco. Queste drammaturghe rappresentate, premiate e pubblicate regolarmente, nonostante le difficoltà che ostacolano l’emancipazione dall’anonimato, rendono ricco e poliedrico il panorama della scrittura teatrale italiana, coltivando un equilibrio costante con la tradizione e nello stesso tempo elaborando una sintesi tra passato e presente, tra impegno politico sociale e la sperimentazione di nuovi linguaggi espressivi. Ma in questa ricerca individuale di ciascuna è possibile rintracciare i segni di una specifica scrittura femminile nel genere teatrale? Esiste un’estetica teatrale femminile che tenga conto del grande ed in parte ancora sommerso lavoro delle donne del passato? Le risposte adeguate arriveranno attraverso un costante dialogo con e tra le drammaturghe insieme allo studio storico dei documenti e delle fonti.

Portrait of Dacia Maraini

20

2

http://www.dramma.it/dati/articoli/articolo61.htm

Portrait of Natalia Ginzburg


Wake up Women la Redazione

♬ Al via il 22 aprile la XV edizione della Biennale Donna organizzata dall’Udi di Ferrara grazie al sostegno delle istituzioni locali. La collettiva che ospita Naiza H. Khan, Yoko Ono, Loredana Longo, VALIE EXPORT, Regina José Galindo, Lydia Schouten, Nancy Spero, è allestita nelle sale del Padiglione di Arte Contemporanea del Comune di Ferrara, su quello stesso corso che ospita altre importanti realtà espositive come il contiguo Museo Giovanni Boldrini, il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea Filippo de Pisis e il tangente Palazzo dei Diamanti (in contemporanea con la mostra Sorrolla. Giardini di Luce fino al 17 giugno). La Biennale di quest’anno si confronta con il tema dell’arte declinando una violenza al femminile, attraverso un accostamento ossimorico in cui la donna è vittima ma dove è chiaro l’intento di ridare dignità a situazioni e realtà di confine e mute, strozzate nel silenzio della memoria. La mostra presenta le armature - lingerie della pakistana Naiza H. Khan per poi proseguire facendo conversare molteplici mezzi espressivi: dalla fotografia alla performance dall’installazione al video. Uno spaccato sociale e di genere questo che le curatrici Silvia Cirelli e Lola Bonora -nel comitato scientifico insieme ad Anna Maria Fioravanti Baraldi, Anna Quarzi, Ansalda Siroli, Dida Spano, Antonia Trasforini, Liviana Zagagnoni- portano all’attenzione della critica d’arte. Oltre al talento delle artiste presentate ciò che preme sostenere è che in alcuni casi il genere possa essere considerato come elemento discriminatorio. Dare voce alle donne per affrontare un tema così delicato come non tanto la violenza quanto il subire la violenza senza aver la possibilità di reagire fa apparire la mostra come fortemente sociale, lasciando la parola alla parte lesa della situazione. Un potere che si destruttura e si sgretola sotto gli occhi del pubblico un potere che continua e rinsalda il suo status attraverso l’esposizione della violenza subita. Se alcune opere paiono come epitaffi per immagini (Loredana Longo) altre esprimono il ricordo della violenza (Nancy Spero), portando in superficie il rimosso (Lydia Schouten, Regina José Galindo) e, così facendo, lo esorcizzano (VALIE EXPORT, Yoko v ne, fisica e morale, cui queste donne reagiscono.

Regina Josè Galindo, No perdemos nada con nacer, 2000 COURTESY PAC FERRARA

Manu Chao - Rainin In Paradize

Quella componente insensata che è la leva della vessazione, fisica e morale, cui queste donne reagiscono

Loredana Longo - Floor #5 Triangle Shirtwaist Fire, 2012 COURTESY PAC FERRARA

Naiza H. Khan, New Clothes for the Emperor IV, 2009 COURTESY PAC FERRARA

21


URBAN ADDICTED Rigore destrutturato

I giochi corporei di Thom Browne di Rita Aspetti Sulle passerelle di penultima generazione – classe 1965 – le collezioni si susseguono a ritmi frenetici raccontando di tempi e di luoghi lontani. Quella del designer americano Thom Browne, Collezione Fall/ Winter 2012, si dispiega in un ambiente che sembra ricordare una grande chiesa statunitense, all’interno del quale è possibile osservare una serie di bare affiancate da “manichini reali” rigorosamente vestiti allo stesso modo. Di fronte, disposti oltre le transenne, i fruitori osservano le modelle che sfilano nel corridoio centrale, mostrando abiti dalle tinte che suscitano atmosfere macabre: tortora, antracite, cemento, nero, stucco, cammello, bianco, silver. I tessuti sono quelli caldi e morbidi dal peso notevole e non solo: panno di lana, tweed, pelliccia, plaid, maglia di lana, seta, lana bouclé, cotone, organza, specchietti, chiffon, feltro. Le forme sono prevalentemente scultoree: solidi sovrapposti che si inalberano sulla superficie dei capi e che dalle spalle scendono lungo il recto formando lunghi strascichi, come la schiena di leggendari dinosauri vissuti in tempi lontani dai nostri; ma anche forme a uovo, a botte affusolata, a tronco di cono rovesciato; forme stratificate, oversize che avvolgono il corpo come si trattasse di quello di creature fantastiche venute fuori da tempi lontani e da luoghi spettrali. Strati di tessuto formano giacche, gonne e abiti progettati secondo strutture che costruiscono una silhouette deformata, perché allargata, ampliata, alzata, allungata su punti quali la vita, i fianchi, le spalle, le braccia. Gioco di destrutturazione corporea creato con rigore e maestria. Nella Collezione Spring/Summer dello stesso anno, tale gioco è reso con molta più evidenza, tramite la creazione di silhouette oversize dalle proporzioni allungate: gonne geometricamente dritte, lunghe fino al polpaccio bordate con orli a sirena, abiti asimmetrici decorati con frange e piume, cappotti avvolgenti con grandi spalle arrotondate che nascondono il collo mostrando appena il capo, blazer e gilet oltre la linea del ginocchio. I colori sono quelli di una primavera poco floreale e molto “fredda”: bianco ottico, argento acciaio, kaki, giallo calendula, sprazzi di rosso, antracite blu navy, su tessuti come lana, satin, cotone e gabardine. Il tutto è stato presentato in un’atmosfera retrò anni Venti con location quali grandi saloni francesi dove le “deformate” modelle si atteggiano e si muovono ascoltando musiche di Cole Porter fine anni ’20. (http://www.thombrowne.com/about.php) Nella Collezione Fall/Winter del 2009/2010, presentata in occasione della 75° edizione di Pitti Uomo, ha celebrato l’uomo intellettuale dagli occhialoni spessi, il cardigan e la cravatta “adesivati” al corpo, pantaloni corti, calzino in vista, ciuffo laccato. Mimando un’intera giornata di lavoro, Browne ha portato in passerella l’impiegato modello, ovvero l’uomo simbolo della moda newyorkese di quegli anni. (http://vimeo.com/3080477) Ancora una volta, le sue creazioni sono presentate con modalità di fruizione che spaziano tra la performance, lo show televisivo e la sfilata. Perché lo stile di Browne detta una moda fatta con l’arte.

Ben Brunnemer - Still Smoking

Thom Browne, Spring 2012

Thom Browne, W 2012 - 2013

Thom Browne, vista sfilata per Pitti uomo F/W 09/10

22


L’art végétalien de Yeonju Sung di Margaux Buyck

Françoise Hardy - Mon amie la rose

Du 27 mars au 20 avril, la galerie AKKA Studio de Milan présentait une jeune artiste coréenne : Yeonju Sung dont le travail encensé dans son pays d’origine a également fait l’objet de diverses expositions aux Etas Unis. Pour sa première venue en Europe, l’artiste a choisi la capitale de la mode italienne, Milan, pour présenter ses créations. Pour ceux qui ont manqué l’événement Yeonju Sung revient à Milan, début 2013 sous l’égide cette fois-ci de Francesca Alfano Miglietti. On ose espérer qu’une exposition se tiendra dans une autre patrie de la mode et de l’art de bien manger… Art, Mode et Nourriture. D’Arcimboldo à Dimitri Tsykalov en passant par des évènements tels que les défilés de haute couture lors des salons du Chocolat, les aliments ont sans cesse fait l’objet de détournement de leur fonction première pour devenir de véritables sources d’inspiration cathartique pour les artistes. Yeonju Sung pour sa part allie Mode et Nourriture en créant des habits principalement à base de légumes et de fruits. Point de matières nobles pour composer les créations de l’artiste mais des aliments que l’on retrouve dans nos assiettes: Aubergines, tomates, bananes, mangue, racines de lotus, champignons en tous genres, pain et même chewing-gum s’invitent à la table de Yeonju Sung. Le tout concocté dans un mélange de saveurs d’Orient et d’Occident. Par son travail, elle associe deux notions que notre société contemporaine a de plus en plus tendance à opposer : Mode et Nourriture. Les égéries des défilés de haute couture ou des magazines de plus en plus filiformes laissent en effet peu de place aux excès culinaires… Dans les créations de Yeonju Sung en revanche, désir de manger et désir d’endosser des habits se lient, se mélangent et interagissent pour créer une réalité artistique unique que le spectateur ne peut que dévorer des yeux. Des créations immangeables et immettables. L’artiste réinterprète totalement les fonctions originelles de la nourriture/ des vêtements. Le point de départ de l’œuvre de Yeonju Sung est la non comestibilité et l’impossibilité d’endosser ses créations. Les fruits et légumes ne sont plus des aliments et ne seront jamais des accessoires de mode. L’aliment est spolié de son suc, de son essence même pour devenir art, sa fonction esthétique est ainsi révélée et surexploitée. L’artiste réinvente également la fonction du vêtement : Celle de recouvrir et protéger le corps. Ce dernier est en effet absent dans les créations. Bien que l’on perçoive l’empreinte de formes féminines sur les vêtements, aucune silhouette ne revêt les habits végétaux.

Yeonju Sung, Egg Plant, 2009

23


Le corps est obsolète, il passe au second plan. Les vêtements sont photographiés dans leur plus simple appareil, sur un fond blanc ou noir sous un éclairage qui rappelle celui des shootings de mode. Au-delà de l’impossibilité d’être portées, les créations de Yeonju Sung ne peuvent durer dans le temps, ni s’user comme un vieux jeans ou, prendre une belle patine comme le ferait une veste en cuir. Au final, ses créations sont des habits uniquement sur le papier glacé à l’instant où est pris le cliché et redeviennent ensuite denrées périssables.

Photographier pour capturer l’éphémère et créer sa propre réalité. «Alors, ô ma beauté! dites à la vermine Qui vous mangera de baisers, Que j’ai gardé la forme et l’essence divine De mes amours décomposés!» Lorsque que j’ai vu les créations de Yeonju Sung, me sont revenus en mémoire les vers de Charles Baudelaire du poème une charogne. Les clichés pris par l’artiste coréenne suggèrent en effet une sensation de fraîcheur, un instant de grâce, une beauté irréelle sublimée par la photographie, mais le caractère éphémère est une notion latente et sous-jacente dans l’œuvre de Yeonju Sung. Ses travaux évoquent des réalités qui ont perdu leur essence même et seront poussière pour toujours demain. Les photographies sont en quelque sorte l’unique trace qu’il reste des créations de Yeonju Sung. Elles immortalisent les vêtements composés de fruits et de légumes avant qu’ils ne deviennent semblables à cette ordure, à cette horrible infection qu’est la matière en décomposition. Un esprit romantique aurait probablement apprécié que soient immortalisées les différentes étapes de la putréfaction des vêtements de Yeonju Sung. L’artiste a en revanche préféré un discours plus classique privilégiant la capture d’un instant fugace, la mise en scène d’une Beauté idéalisée et impossible où la nature est sublimée. Yeonju Sung ne s’en cache pas, l’œuvre qu’elle propose est une illusion visant à faire croire et désirer au spectateur une réalité inventée de toutes pièces. Photography has a power to make us believe. Yeonju Sung, Autumn squash, 2011

24


GRANDI MOSTRE Il ritorno italiano di Salvador Dalì

Tra stile e curatela in mostra al Vittoriano di Ilario D’Amato

Gioacchino Rossini Duetto buffo per due gatti

“Salvador Dalì, un artista, un genio”, questo il titolo viene infatti, attraverso due sezioni video, una prima della mostra romana, visitabile fino al primo luglio, de- sala dedicata alla sua vita, percorsa per tappe fondicata al grande artista spagnolo negli spazi espositivi damentali, ed una seconda sala, buia, illuminata solo del Vittoriano, che negli ultimi anni ha riservato parte da diversi monitor che dialogano tra loro, in maniera della sua grande struttura per accogliere i capolavo- consecutiva l’uno con l’altro, facendo risuonare le pari di celebri maestri dell’arte Le curatrici del percorso romano, role chiave di “surrealismo”, contemporanea (l’anno scor“Dalì”, e sopratutto “Io sono so Van Gogh, il prossimo anno in questo primo nucleo di opere, Salvador Dalì”; è questa una Guttuso). A curare il ritorno sorta di vera e propria prenon si limitano a mostrare di Dalì, dopo circa sessant’an- solamente le sue interpretazioni sentazione dell’artista, che ni dall’ultima retrospettiva si rivolge in prima persona alla seconda dei grandi maestri al pubblico stesso che si apnella capitale del 1954 a Palazzo Pallavicini Rospigliosi, presta ad ammirare le opere, ma anche le influenze degli sono state Montse Aguer, artisti contemporanei, i modelli ricordandogli la grandezza e direttrice del Centre d’Estul’unicità della sua persona e a cui, nelle varie fasi della sua della sua arte. dis Dalinians de la Fundaciò Gala-Salvador Dalì di Figue«Ogni mattina, appena vita e dei suoi viaggi, Dalì si res, e Lea Mattarella docente prima di alzarmi, provo è avvicinato di volta in volta di Storia dell’arte contempoun sommo piacere: quello ranea presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli. di essere Salvador Dalì!» (Dalí Salvador, Diario La strategia curatoriale adottata pone anzitutto l’ac- di un genio, 1964) cento nel mostrare lo smisurato ego dell’artista come Si tratta di un esposizione estremamente interessante premessa necessaria alla sua stessa arte, marcando in quanto, oltre a realizzare un’ indagine storico arin maniera decisa il significato dell’essere “Salvador tistica a trecentosessanta gradi sulla sua carriera, ofDalì”.L’introduzione dello spettatore alla mostra av- frendo la possibilità a chi non è mai stato a Figueres di

Salvador Dalì, Angelus architettonico di Millet, 1933. MUSEO NACIONAL CENTRO DE ARTE REINA SOFÌA, MADRID

Salvador Dalì, Autoritratto molle con pancetta fritta, 1941. COLLEZIONE FUNDACIÓ GALA - SALVADOR DALÍ, FIGUERES

25


ammirare i tanti capolavori della sua Fondazione, permette di analizzare in maniera approfondita l’influenza, gli omaggi che Dalì riserva ad altri artisti, mentre al piano superiore vengono lasciate le testimonianze, frequenti incursioni di Dalì, i suoi contatti nell’Italia di quegli anni, con una meticolosa completezza di fonti e materiali. Il filo narrante è quindi “Dalì e l’Italia” e su questo non possono sorgere dubbi. Non è sicuramente un caso, ad esempio, il fatto che la sezione dei dipinti si apra con un confronto con Raffaello e si chiuda con la sua reinterpretazione di Michelangelo. Re - interpretare l’arte del passato per renderla veramente eterna, è questo che Dalì realizza nei suoi ripetuti confronti con i maestri italiani del Rinascimento o con gli spagnoli Velazquez ed El Greco. Ma le curatrici del percorso romano, in questo primo nucleo di opere, non si limitano a mostrare solamente le sue interpretazioni alla seconda dei grandi maestri ma anche le influenze degli artisti contemporanei, i modelli a cui, nelle varie fasi della sua vita e dei suoi viaggi, Dalì si è avvicinato di volta in volta. Gli esempi sono molteplici e di una chiarezza fulminante, tutto si compone in un mosaico ben articolato: la sua attenzione per il linguaggio fauve all’inizio degli anni Venti si palesa con il dipinto “Cadaqués vista dalla torre di Capo Creus”, la sua fascinazione per le bagnanti di Cézanne è visibile nelle “Bagnanti di Llaner”, la vicinanza con il fare cubista di Picasso e Braque si esplicita nell’ ”Autoritratto raddoppiato in tre”, nell’ “Omaggio a Eric Satie”, nell’ “Accademia neocubista” del 1926, o ancora ad esempio, la suggestione della solitudine metafisica di De Chirico, in tele come “Due cavalli davanti al mare” e “Eclissi e osmosi vegetali” . «Quelli che non vogliono imitare qualcosa, non producono nulla.» (All’interno del percorso espositivo del Vittoriano) Un universo di citazioni, reinterpretazioni, omaggi, visibili come componenti costanti della visione surrealista indotta dal famoso metodo paranoico – criti-

co. Altra presenza immancabile è poi quella di Gala, compagna, musa, soggetto e simbolo di un amore ed una passione fortissima, palpabile in numerosi ritratti e composizioni. A dimostrazione della sua completezza, la mostra non si fa mancare neppure i meravigliosi inchiostri e acquerelli su carta relativi ai tanti lavori d’illustrazione letteraria realizzati da Dalì, si spazia dunque dai bozzetti per l “Autobiografia di Benvenuto Cellini” alle famose tavole della Divina Commedia e del Don Chisciotte. «Gala stava svegliando il mio interesse per l’Italia» (Dalì Salvador, La mia vita segreta, Milano, Longanesi, 1949) Giunti al piano superiore si entra in quella che si può propriamente definire la sezione “Salvador Dalì in Italia” ed è qui che si denota una certa novità espositiva un’originalità che mostra davvero di tutto, anche la minima traccia che l’artista ha lasciato nella storia della penisola. Fotografie degli anni Trenta ritraggono le sue vacanze romane, un filmato del 1948 ci mostra la sua performance nei giardini di Bomarzo mentre accanto sono esposti maestosi e candidi i vestiti realizzati un paio d’anni più tardi per il ballo di Carlos de Beistegui a Venezia così come quelli per il film “Rosalinda o Come vi piace” di Luchino Visconti. Recensioni, interviste, filmati, la fama crescente del maestro spagnolo in Italia, si evidenzia anche attraverso la pubblicità, i prodotti dell’industria come il divano a forma di labbra, le famose boccette di profumo o la serie limitata delle tre bottiglie illustrate prodotte per il liquore “Rosso Antico”. Sul finire, il percorso conduce ai recenti bozzetti realizzati dalla Disney per celebrare il magnifico video e le dolci note di “Destino” (cartone incompiuto realizzato dalla collaborazione tra Dalì e Walt Disney) per terminare poi con l’ultima immagine onirica della rassegna, che vede Dalì ancora una volta protagonista, ma questa volta non come autore bensì come soggetto del fantastico “Libro dei sogni” di un altro genio visionario, Federico Fellini.

Salvador Dalì, Destino, White Telephone and Ruines, 1946. Oil painting on masonite, 25,5 x 30,2 cm COURTESY ANIMATION RESEARCH LIBRARY, WALT DISNEY ANIMATION STUDIOS, BURBANK

26


Fenomenologia della somiglianza Evan Penny e la sfida al reale di Paola Pluchino Sculture in silicone, resina, plastilina, a volte con inserti di capelli umani. Imponenti nella presentazione, perturbanti nella resa, talmente reali e concreti sembrano questi alti busti, questi autoritratti, questi corpi seri ed enigmatici che si prestano allo spirito voyeuristico dello spettatore. Avvicinandosi alle opere di Evan Penny si coglie il fascino della maniera accademica, il pedissequo perfezionismo nella resa dei volti, l’ espressività di queste nuove e ri – create maschere. Nella linea che congiunge il totemico al virtuale, l’artista genera delle sculture che possiedono contemporaneamente reminescenze naif (capelli) e materiali di sintesi della civiltà dell’oggi, aprendo alla più fumosa instabilità e corto circuitazione del tempo. Un fare innovativo che imperversa e seduce l’occhio del pubblico svelando come l’artificialità può essere più reale del mondo vivente. Un’opera che permetterebbe molteplici variazioni sul tema, dalla medicina declinando chirurgia estetica e clonazione, fino alle teorie mass mediali, tra finzione e società dello spettacolo (per dirla con un celebre saggio dello studioso Guy Debord1). Le opere di Evan Penny, presentate con questo allestimento per la prima volta alla Kunsthalle di Tübingen, successivamente al Rupertinum di Salisburgo, ora in mostra presso il Marca di Catanzaro fino al 30 giugno, saranno poi portate all’Art Gallery di Ontario, patria adottiva dell’artista. L’esposizione è accompagnata da un’ampia monografia in italiano, inglese e tedesco pubblicato da Verlag der Buchhandlung Walther König, Colonia, con contributi critici di Alberto Fiz e David Moos, Evan Penny, Daniel J. Schreiber, Veit Ziegelmaier e dello stesso editore. Re -figurare, ossia rendere ultra reale il visibile, talmente tanto verosimile da apparire solo in seconda istanza falso. Su alcune di queste opere, come Panagiota del 2008, sembra sia passato un narciso specchiato, sembra che col gesto della mano abbia sfiorato

Lali Puna - Scary World Theory

il pelo d’acqua delle figure, deformandone il volto. Forse, da questo gesto, nasce in Evan Penny, la volontà di indagare se stesso, studiando attraverso i suoi Self (portrait) l’identità dell’artista che produce un reale immaginario. Come rovesciamento hegeliano, in cui il falso costituisce un momento della verità, le sue opere germinano in un terreno di facile e di immediata percezione, un campo, un formato a schermo che rende queste sculture, quasi familiari. Ma, il familiare, come insegna Sigmund Freud nella sua definizione tedesca di unheimlich2 è a un tempo conosciuto e ignoto, affabile e respingente, in una parola appunto perturbante. Di Evan Penny si apprezzano anche i giochi ottici, quelle anamorfosi (quelle depravazioni ottiche che indaga brillantemente lo studioso Jurgis Baltrušaitis3) con cui lo spettatore interagisce, invitato a spostarsi, vicino o lontano, a destra o sinistra per incrociare la giusta prospettiva in cui l’opera si ri – proporziona. Tra molossi nude look, dalle treccine indigene e caschetti rosso ginger non possiamo che invertire il discorso volendo sbirciare dietro il fare per pollici e pressioni di questo sudafricano vorace dell’iperreale, votato al forzare al massimo la qualità della visione. Come gli undici decimi della vista, anche i sette ottavi della musica rendono sincopata la percezione, il pubblico si sente osservato da occhi ciechi, si muove, passata la sbornia della scoperta, tra volto e volto, sentendo dentro di sé qualcosa di anomalo. Evan Penny gioca così con i meccanismi dell’interazione e del video, con il confronto imperante e dittatoriale che la società moderna impone. Come le antiche donne auspicavano alla tendenza ultra terrena delle dee ispiratrici così qui l’uomo crede di poter giungere, appaiare e superare questo uomo così simile all’umano. L’inganno, si svela così nel fenomeno che si presenta, diversa uguaglianza tra simili.

Guy Debord, La Société du spectacle, Paris, Èditions Buchet-Chastel, 1967. Per un approfondimento sul rapporto tra ‘heimlich/unheimlich’ si vedano: Sigmund Freud, Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Bollati Boringhieri, 1991 Giorgio Agamben, Stanze. La parola e il fantasma nella cultura occidentale, Einaudi, 2011. 3 Jurgis Baltrušaitis, Anamorfosi o Thaumaturgus Opticus , Adelphi, Milano 1990. 1 2

27


Pagina precedente: Evan Penny, Panagiota, 2008 COURTESY DELL'ARTISTA

28

In questa pagina: Evan Penny, Murray (Studio),2008 (in alto) Evan Penny, Shelley, 2008 (al centro) Evan Penny, Aerial #2, 2006 (in basso) Tutte le foto di questa pagina: COURTESY MARCA


Michelangelo vs Yves Klein. Arte torna arte alla Galleria dell’Accademia di Martina Bollini

The Korgis - Everybody’s got to learn sometime

L’arte del Novecento vive e si alimenta dal confronto con l’arte dei secoli passati. Questo sembra costituire l’assunto in base al quale è stata pensata la mostra Arte torna Arte, che si terrà presso la Galleria dell’Accademia di Firenze, a partire dall’8 maggio. Questa mostra mette in dialogo le opere conservate in Galleria con quelle dei più importanti artisti del secolo passato, da Picasso a Bill Viola. Questo incontro/scontro si materializzerà, infatti, sia nelle sale dedicate alle esposizioni temporanee sia in quelle della collezione permanente che, oltre alle celeberrime sculture di Michelangelo, ospita un’ampia raccolta di pittura fiorentina medievale e rinascimentale. Chissà che non vedremo il Prigione del Buonarroti affiancato a quello di Yves Klein. Il percorso delineato dai curatori sembra configurarsi come un vero e proprio cammino attraverso la storia dell’arte. Un cammino certo non facile, costellato da suggestioni, rimandi, madeleines. Al centro dell’indagine scientifica, però, non sta il meccanismo della citazione, ma la ricerca di immagini archetipiche, che affiorano nei contesti più diversi e nelle epoche più disparate. L’esposizione offre quindi lo spunto per una profonda rimeditazione sulle fonti e i motivi iconografici, e sul significato dell’arte stessa. A questo proposito risulta emblematico il titolo scelto dai curatori, “Arte torna Arte” , che rimanda alla raccolta di scritti di Luciano Fabro – presente in mostra anche con le sue opere. Nelle sale dell’Accademia si avrà una vera e propria dimostrazione visiva delle sue teorie, per cui esiste un solo tipo di arte, che di volta in volta incarna forme diverse a seconda dei luoghi e dei periodi della nostra cultura. Attraverso quest’allestimento sembra prendere forma una nuova concezione di “Accademia”, nella quale entrano a far parte Francis Bacon, Louise Bourgeois, Alberto Burri, Martin Creed, Gino De Dominicis, , Marcel Duchamp, Luciano Fabro, Hans Peter Feldmann, Luigi Ghirri, Yves Klein, Jannis Kounellis, Leoncillo, Sol Le Witt, Luigi Ontani, Giulio Paolini, Claudio Parmiggiani, Giuseppe Penone, Pablo Picasso, Alfredo Pirri, Michelangelo Pistoletto, Alberto Savinio, Thomas Struth, Bill Viola, Andy Warhol. Arte torna arte prevede anche una serie di attività collaterali, che comprendono incontri con artisti, performances, concerti, proiezioni. La mostra fa parte dell’edizione 2012 di Un Anno ad Arte, programma di sei esposizioni temporanee dislocate nei principali musei fiorentini, unite da un unico tema, quello dell’alterità. Alterità come differenza tra entità, come rispetto dell’altro e come scoperta dell’inaspettato. Già visitabili sono la mostra degli Uffizi, «La Galleria degli arazzi. Epifanie di tessuti preziosi» (fino al 3 giugno), e quella di Palazzo Pitti, «Giappone, terra di incanti» (fino al 1° luglio). Dal 16 maggio al 16 settembre sarà possibile visitare anche «Fabulae pictae. Miti e storie nelle maioliche del Rinascimento al Bargello» al Museo Nazionale del Bargello, mentre per l’esposizione «Bagliori dorati. Il gotico internazionale a Firenze 1375-1440», alla Galleria degli

Yves Klein, L’esclave de Michel-Ange, 1962, collezione privata. ©Yves Klein, ADAGP, Paris

29


Uffizi, bisognerà attendere fino al 19 giugno (resterà aperta fino al 4 novembre). Infine, dal 3 luglio al 9 dicembre, nell’andito degli Angiolini di Palazzo Pitti verrà allestita la mostra che celebra i 500 anni dalla morte di Amerigo Vespucci, intitolata «La nuova frontiera». ARTE TORNA ARTE Firenze, Galleria dell’Accademia 8 maggio – 4 novembre 2012 http://www.unannoadarte.it/arte-torna-arte.html Cura della mostra: Bruno Corà, Franca Falletti, Daria Filardo

A sinistra, dall’alto verso il basso: Olaf Nicolai, Portrait of the artist as a weeping Narciso, 2000, scultura in resina, collezione privata ©Uwe Walter, Berlin. COURTESY GALERIE EIGEN + ART LEIPZIG/BERLIN - ©Nicolai Olaf, by SIAE 2012 Ketty La Rocca, David, 1973, collezione privata ©Rabatti & Domingie, Firenze Eliseo Mattiacci, Carro solare del Montefeltro, 1986, proprietà dell’artista, Foto Michele Alberto Sereni A destra, dall’alto verso il basso: Louise Bourgeois, Arch of Hysteria, 1993. COURTESY CHEIM & READ AND HAUSER & WIRTH. Photo: Allan Finkelman - ©Louise Bourgeois Trust- Louise Bourgeois Trust/ VAGA, New York, by SIAE 2012 Michelangelo Pistoletto, Sacra conversazione (Anselmo, Zorio, Penone), 1962 - 1974, Biella, Cittadellarte - Fondazione Pistoletto ©P. Pellion/Collezione Cittadellarte - Fondazione Pistoletto, Biella per The Artship courtesy Galleria dell’Accademia

30


SOUND FORWARD Il suono emozionale di Piero Mottola di Pasquale Fameli

Roberto Pugliese - Unità minime di sensibilità - Variant

La ricerca artistica di Piero Mottola (Caserta, 1967) travalica i confini italiani per porsi in dialogo con le più avanzate esperienze internazionali della sua generazione, quelle di artisti come Janet Cardiff (1957) o Brandon LaBelle (1969), nati intorno agli anni Sessanta del Novecento, che operano sulle possibilità “ambientali” del suono attraverso le nuove tecnologie, svincolandolo dal dominio esclusivamente temporale della sequenzialità musicale. Si tratta di uno stadio più avanzato di quel processo iniziato con le pratiche performative di operatori estetici quali John Cage (1911-1992) o Giuseppe Chiari (1926-2007) e proseguito con le installazioni sonore di Max Neuhaus (1939-2009) o Bernhard Leitner (1938) che hanno aperto alla concezione del suono come l’elemento più fluido e smaterializzato attraverso cui gestire lo spazio artistico contemporaneo. Le possibilità di registrazione e riproduzione permettono, infatti, di considerare e utilizzare il flusso sonoro come un vero e proprio “oggetto” dinamico e di collocarlo all’interno di un ambiente, renderlo parte di esso e farlo interagire con i fruitori che lo occupano, aprendo loro nuove e nutrienti possibilità relazionali. Tutto questo avviene proprio grazie al fenomeno della “sinestesia”, da intendersi non solo nell’accezione di stimolazione simultanea poli-sensoriale, ma anche nel suo senso etimologico, cioè “sentire insieme”, con riferimento diretto all’instaurarsi, nei fruitori stessi, della consapevolezza di una certa condivisione percettiva. Lo spazio acustico è inglobante, avviluppante e le orecchie, a differenza degli occhi, non hanno certo palpebre per esimersene. Il suono presenta dunque una relazionalità intrinseca, ed è proprio questa su cui indaga Mottola, operando oltretutto attente analisi sulle sue proprietà emozionali: paura, stupore, agitazione, calma, collera, gioia, eccitazione, etc., variamente combinati per indurre anche inediti stati emotivi, amplificati dal potere intrinseco del suono “acusmatico”1, puro stimolo uditivo che si autonomizza da ulteriori dati sensibili (visivi, tattili, etc.) relativi alla sua causa, impedendo l’identificazione della sua origine e destabilizzando così la percezione dell’ascoltatore2. In un’opera come Immateriale sonoro, autocorrelatore acustico 2 (2007) l’artista italiano crea un circoscritto percorso acustico in cui i suoni, sintetici o “concreti” (rumori accidentali prelevati dalla realtà e manipolati elettronicamente), sono realizzati o selezionati per le loro capacità di interagire con la psicologia del fruitore, esponendolo così a un’esperienza partecipativa diretta, senza ulteriori mediazioni. La durata illimitata dell’esecuzione incrementa la valenza spaziale del fenomeno sonoro, lo rende una presenza fisica costante e delega all’ascoltatore la scelta del tempo di fruizione, senza obbligarlo a quella sequenzialità predeterminata tipica dei brani musicali più convenzionali. Dal carattere più intimo e individuale sono le Scatole sonore (1997) che prevedono l’ascolto in cuffia di sapienti ed equilibrate sovrapposizioni di sospiri, clacson, porte che sbattono, rombi di motori, risacche marine, un indeterminato infrangersi di oggetti e reiterate percussioni metalliche, abili missaggi che si danno al fruitore come micro-narrazioni sonore enigmatiche e, proprio per questo, estremamente suggestive. Per ottenere risultati di questo genere, l’artista casertano ha compiuto studi e ricerche che lo hanno impegnato per circa ventiquattro anni e che ora sono confluiti nella recentissima pubblicazione dal titolo Passeggiate emozionali: dal rumore alla musica relazionale (Maretti Editore, 2012) in cui, dopo una sintetica ricognizione dei suoi punti di riferimento principali, dal futurista Luigi Russolo al padre della musica concreta Pierre Schaeffer, Mottola espone i propri metodi di analisi psicologica e di indagine scientifica sul suono quale veicolo di induzione emozionale, nonché immateriale, ma indistruttibile, filo di congiunzione tra gli individui.

Piero Mottola, Sequenza cromatica emozionale E.21, Galleria Change, Roma, 1999

Piero Mottola, Distanze emozionali e Cromatiche, 1997/2001 COURTESY DELL’ARTISTA

Piero Mottola, Scatole sonore, MACRO Mattatoio, Roma, 1997

Per approfondimenti su tale concetto cfr. P. SCHAEFFER, Traité des objets musicaux, Ed. du Seuil, Paris, 1966, p. 91. 2 Cfr. G. PIANA, Filosofia della musica (1991), Guerini, Milano, 1996, p. 75. 1

31


IN CONVERSATION WITH L’archivio dell’immaginato di Paola Pluchino

Vivaldi - Concerto in C major for Mandolin RV 425

Elisabetta Modena e Marco Scotti sono gli ideatori del progetto MoRE - Museum of refused and unrealised art projects. Due giovani ricercatori che hanno intrapreso un progetto innovativo e affascinante. Il progetto segue il profilo di molte delle idee sostenute in questo periodo: bassi costi, eccellenza nei contenuti, forte presenza tecnologica. Alla prima parte dell’intervista sono stati invitati a rispondere entrambi, la seconda, presenta nelle sue linee generali il progetto mentre la terza apre allo studio più teorico di germinazione dell’idea.

curatore, tra cui la XXXII edizione della Biennale Roncaglia. Insegno, sempre insieme a Elisabetta, Sceneggiatura per il Videogioco all’Accademia SantaGiulia di Brescia, e continuo a collaborare, in quanto appassionato di musica, con il festival Novara Jazz. I tre studiosi che ammiri di più: EM: Gillo Dorfles, Nicolas Bourriaud, Pierre Lévy MS: domanda difficile, in questo momento Gilles Deleuze, Rem Koolhaas e Pep Guardiola. Quale citazione meglio rappresenta lo stato dell’arte contemporanea? EM: “Bisogna apprendere tutti i codici culturali, tutte le forme della vita quotidiana, le opere del patrimonio universale, e cercare di farle funzionare” - Nicolas Bourriaud (Postproduction). MS: It never gets easier, you just go faster. - Greg LeMond

Piacere di conoscervi Elisabetta Modena, Marco Scotti Età: EM: 31 MS: 31 Studi: EM: Laurea in Conservazione dei Beni Culturali e Dottorato di ricerca in Storia dell’arte e dello Spettacolo, Università degli Studi di Parma. MS: Laureato in Conservazione dei Beni Culturali, e attualmente dottorando in Storia dell’Arte, presso l’Università degli Studi di Parma. Progetti in corso: EM: Diversi. In particolare vorrei citare per la continuità con questo progetto la ricerca sulle mostre e la storia delle mostre e degli allestimenti di cui mi occupo a seguito della ricerca condotta per la mia tesi di dottorato nell’archivio della Triennale di Milano. MS: Tanti per fortuna. Oltre alle ricerche per il dottorato, attualmente sto seguendo alcune mostre come

*** Ibridazione e contestualizzazione museale Cos’è il progetto MoRE? MoRE. Museum of refused and unrealised art projects è un museo digitale che raccoglie, conserva e valorizza documenti relativi ad opera d’arte contemporanea non realizzate per motive logistici, economici, tecnici ecc… MoRE aggiunge qualcosa, è un “di più” che grazie al web mette a disposizione progetti, documenti e materiali altrimenti inaccessibili ed energie inespresse come sono le tante idee mai partorite, ma comunque oggetto di lavoro e ricerca da parte degli artisti che

Ugo La Pietra, Nodi Urbani

32


le hanno prodotte come dimostra il lavoro degli artisti con cui abbiamo deciso di inaugurare, Cesare Pietroiusti, Ugo La Pietra e Jonathan Monk. Il nostro obiettivo è quello di proporci inoltre come piattaforma per il dibattito e la ricerca non solo sul tema del non realizzato, ma anche e soprattutto su un nuovo possibile approccio museologico e museografico che il web non è ancora riuscito a sviluppare sfruttando le proprie potenzialità, essendo i tentativi finora espressi dalla maggior parte delle istituzioni museali solo mere copie di quanto è fisicamente e concretamente conservato tra mura e scaffali reali. Tautologicamente MoRE sviluppa nel virtuale la virtualità del progetto inespresso e apre inoltre spazi di indagine sul cosiddetto sistema dell’arte contemporanea e sul ruolo della committenza oggi. Refus, riciclo, il progetto MoRE permette molteplici variazioni sul tema. A chi vi sentite vicini? La nostra storia di (giovani) ricercatori ci impone di confrontarci con il tema dell’archivio; quella di (giovani) curatori con le modalità espositive e con il sistema dell’arte. Il nostro lavoro si muove quindi tra questi confini e nella necessità di definire il ruolo dello storico dell’arte oggi, il valore della conservazione e quello della valorizzazione. Quali attori sociali sono stati coinvolti in quest’iniziativa? MoRE è prodotto dall’associazione culturale Others di cui fanno parte ricercatori, curatori, project manager ed esperti in comunicazione. L’associazione ha stretto un legame con il centro CAPAS dell’Università di Parma che ha permesso l’utilizzo della piattaforma DSpace, deposito istituzionale dell’archivio, garantendo la conservazione dei documenti e la reversibilità dei formati, un problema che si pone con grande evidenza se pensiamo alla rapida obsolescenza dei sistemi informatici. Quali sono gli obiettivi del progetto? MoRE aspira a diventare un museo riconosciuto, un punto di riferimento del dibattito e una piattaforma di ricerca universitaria. Perché avete deciso di crearlo? Crediamo che MoRE sia nato da un’intuizione frutto dell’ambiente di ricerca in cui siamo entrambi cresciuti ed in particolare grazie agli stimoli della Prof. ssa Francesca Zanella sui temi dell’archivio, del museo e del progetto. Inoltre è evidente come MoRE nasca anche dalla frustrazione di chi ha idee innovative, ma pochi mezzi per esprimerle: possiamo dire che MoRE nasce da un impedimento e al tempo stesso da un problema critico.

*** Teoria del testo scritto: studi e futuribile E. M. In una sua recensione su Le immagini tradotte. Usi Passaggi Trasformazioni, sostiene l’idea che l’immagine contemporanea si presti ad essere manipolata e ri – contestualizzata: quale atto interpretativo è in seno al progetto MoRE? Il libro che lei ha citato, a cura di Cristina Casero e Michele Guerra nasce in seno al Dipartimento di Beni Culturali e dello Spettacolo dell’Università di Parma dove da qualche anno abbiamo intrapreso una linea di ricerca e di indagine sulla contaminazione dei linguaggi e degli ambiti creativi nel contemporaneo. MoRE in questo senso si ricollega a questa tradizione culturale per l’importanza data al progetto e alla progettualità, a prescindere da inutili e blandi tentativi di incasellamento. M.S. Nel suo scritto I Fought the Law?Note sulla storia, la diffusione e il significato delle forme della Street Art sulla West Bank Barrier, sostiene che la Street Art allarghi il bacino di fruizione dell’arte. In che modo questi studi hanno influenzato l’implementazione del progetto? Certamente la street art presenta aspetti molto interessanti in relazione alla riflessione sulla natura degli spazi espositivi contemporanei, con tutte le ambiguità e contraddizioni poi che si è trovata spesso ad affrontare. Nei miei studi sono sempre stato interessato alle contaminazioni, così come ritengo fondamentale per l’implementazione del progetto la riflessione che abbiamo portato avanti all’interno del collettivo sulle possibilità espositive del non realizzato in relazione a nuove tecnologie. O meglio sulle differenti possibilità che offre il digitale rispetto a spazi espositivi storicizzati. E.M. L’identificazione dell’opera con il luogo in cui essa è presentata è uno dei temi più attuali della museologia e, più in generale, della definizione dell’oggetto arte. C’è in voi la volontà di modificare degli aspetti del Museo tradizionalmente inteso? Assolutamente sì: questo che lei ha citato è il fulcro del nostro progetto. Troppo spesso il museo tradizionalmente inteso non è in grado di interpretare la fluidità e la molteplicità di supporti, idee, sconfinamenti e interazioni. MoRE è avvantaggiato perché vive nel web. M.S. Nei suoi studi sui videogiochi sostiene che questi siano i più capaci di ricevere contami-

33


Cesare Pietroiusti, Certificati di Autenticità, Taccuino

nazioni dai più diversi media. Il MoRE visto in quest’ottica, sembra un contenitore virtuale a cui attingere per future manipolazioni, sbaglio? Se non i più capaci, sicuramente sono un media molto ricettivo per la loro stessa natura progettuale. Per ora il MoRE vuole essere prima di tutto un museo e un archivio, dedicato alla conservazione e al rendere consultabili per lo studio materiali in altro modo impossibili da reperire. Certamente il digitale era per noi la dimensione ideale per far questo, ma siamo consapevoli – e personalmente molto affascinato – dall’idea del contenitore: in fondo anche Obrist, tra i primi grandi studiosi del non realizzato, ha parlato spesso del concetto di toolbox. Tuttavia per ora vorrei che questi materiali fossero in primis esposti e valorizzati, poi nessuno può sapere, in un’epoca in cui post-produzioni e cultura del remix sono ormai parte della cultura mainstream, quale saranno le future manipolazioni. E. M. Un’altra coppia “creativa”, gli studiosi Serena Giordano e Alessandro Dal Lago, hanno rivolto il loro interesse proprio nel verso di una riabilitazione del fuori cornice artistico; qual è, oltre alla creazione dell’archivio (in collaborazione con l’Università di Parma), il vostro fuori cornice?

34

Sembra banale risponderle così, ma il testo che lei ha citato è stato uno degli stimoli che ha sostenuto questo progetto e non a caso l’associazione che abbiamo costituito si chiama Others. L’idea della estraneità è insita da sempre nel nostro modo di fare ricerca al di là di definizioni o etichette. M.S. Quali sono i vostri progetti in cantiere? Per quanto riguarda MoRE prima di tutto vogliamo continuare a lavorare sull’archivio e le acquisizioni, attivare un dibattito con contributi sul tema da differenti prospettive, e proporre mostre all’interno del sito che riflettano le potenzialità del mezzo e di un simile spazio espositivo. Poi naturalmente siamo un collettivo e lavoriamo tutti allo sviluppo dei progetti, pensando anche secondo le diverse professionalità a possibili produzioni di MoRE anche in contesti diversi.


E-BOMB Quando lo Studio Azzurro diventa tricolore di Francesco Mammarella

The Radio Dept.- 1995

Torino. Non sembrano volgere al termine i festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia nel capoluogo della regione piemontese. Bissa infatti, presso le Officine Grandi Riparazioni di Torino, l’allestimento multimediale “Fare gli italiani 1861 – 2011”, una coinvolgente esperienza pluri-sensoriale, volta a raccontare la storia dell’Italia, dall’unificazione fino ai giorni nostri, attraverso due possibili percorsi didattici, uno cronologico e l’altro diviso per gruppi tematici. La mostra, che ha avuto inizio il 17 marzo, sarà aperta fino al 4 novembre, e ha già in questi due estremi temporali l’essenza del messaggio unificatore di cui è portatrice, rimandando con la prima data al cambiamento di denominazione, nel 1861, del Regno di Sardegna in Regno d’Italia e, con la seconda, all’anniversario della vittoria italiana sull’Impero Austro-Ungarico nel 1918. Realizzato dalla città di Torino e dal Comitato Italia 150, con la collaborazione del Teatro Stabile di Torino, “Fare gli italiani” è un progetto sviluppato dal laboratorio Studio Azzurro, sotto la direzione artistica di Paolo Rosa. La scelta di affidarsi al laboratorio milanese ha fortemente caratterizzato l’intero evento culturale in quanto la compagine milanese ha fatto dell’interattività sensoriale il suo più recente marchio di fabbrica, in linea con il gusto sperimentale che l’ha caratterizzata sin dal 1982, quando Fabio Cirifino, Paolo Rosa e Leonardo Sangiorgi, a cui si aggiunge nel 1995 Stefano Roveda, decidono di dare inizio alla loro ricerca artistica attraverso la realizzazione di video-ambientazioni. Dal loro primo lavoro, Luci d’inganni, una video-ambientazione realizzata per presentare parte degli oggetti appartenenti alla collezione Menphis di Ettore Sottsass, le sperimentazioni dello Studio Azzurro conoscono un continuo e duraturo successo. Delle numerose installazioni presentate nel primo decennio della loro attività, basterà, per avere una chiara idea di quanto il collettivo Milanese abbia saputo subito mettersi in evidenza all’interno del circuito artistico, ricordare IL NUOTATORE (va troppo spesso ad Heidelberg), ventiquattro monitor accostati uno all’altro e attraversati da un nuotatore, mentre micro-eventi alterano la superficie dell’acqua, presentato al Palazzo Fortuny di Venezia nel 1984, o il Giardino delle cose, video-ambientazione per immagini ad infrarossi in sei programmi video, che rileva il passaggio del calore dalle mani all’oggetto interessato, presentata alla Triennale di Milano nel 1992, XVIII esposizione internazionale. Parallelamente lo Studio Azzurro si accosta alle realtà più strettamente cinematografiche, ma sempre mirate a raccontare la condizione umana per cui l’uomo è partecipe di un sistema, di cui fanno parte fattori come la routine quotidiana ma anche la follia, vero dramma esistenziale, che viene raccontata attraverso le incisioni di un internato, Nanof, il quale per dodici anni ha scalfito un muro lungo centocinquanta metri, e alto due, esternando in modo non estemporaneo la sua visione del mondo. Nascono così lavori come La variabile Felsen, del 1988, e L’ osservatorio nucleare del Signor Nanof (1985), premiato lo stesso anno al Filmmaker Doc di Milano, opere anticipatrici del film Il Memnonista , lungometraggio tratto dal romanzo Un piccolo libro, una grande memoria (1965) del neuro-psicoTutte le foto: Fare gli Italiani. Videoistallazione, 2011, Torino COURTESY STUDIO AZZURRO

35


logo russo Aleksandr R. Lurija, in cui la prodigiosa memoria del protagonista è causa della sua vita difforme dal contesto. Il film, che ha visto la partecipazione di attori Sandro Lombardi, Roberto Herlitz, Sergio Bini e Sonia Bergamasco, ha avuto la sua consacrazione al Sulmonacinema Film Festival, vincendo, nel 2000, il premio come migliore film. Non mancano nella lunga attività artistica dello Studio Azzurro neppure gli spettacoli teatrali, che coprono un arco cronologico pressoché ininterrotto a partire dal 1985 con Prologo a Diario segreto contraffatto, in cui sette attori e quindici monitor riproducono sul palco gesti ed azioni rielaborati attraverso il linguaggio video, presentato a Roma presso il teatro La Piramide, fino a giungere nel 2006 allo spettacolo Galileo. Studi per l’inferno, presentato all’Opernhaus di Norimberga (in collaborazione con il Balletto della stessa città), che vede la messa in scena di due lezioni tenute all’accademia di Firenze dal fisico, filosofo, astronomo e matematico pisano, circa una ipotetica misurazione dell’inferno dantesco. In mezzo a questi due estremi si collocano altrettanto importanti spettacoli teatrali che hanno fatto il giro d’Europa, come La Camera Astratta (1987), presentata alla Documenta 8 di Kassel, o Kepler’s Traum, la cui prima si è svolta all’Ars Electronica di Linz nel 1990, con la partecipazione di Moni Ovadia (il quale collabora con Studio Azzurro anche in Delfi del 1990 e L’ultima forma di libertà, il silenzio. presentato 1993 alla XII edizione del Festival Internazionale Orestiadi di Gibellina). Nel 1995 lo Studio Azzurro apre un altro capitolo nel suo già ampio libro sulle sperimentazioni artistiche, con l’introduzione dell’installazione interattiva, in cui l’ambiente circostante muta quando lo spettatore decide di entrare in contatto con un oggetto, il quale rompe l’attitudine alla calma apparente per diventare altro da sé. Oggi, probabilmente, abituati ai touchscreen e agli iphone, possiamo non comprendere appieno le novità introdotte da questo “ambiente sensibile”, ma Tavoli (perché queste mani mi toccano), superfici che, se toccate, alterano gli oggetti pressoché immobili che sono proiettati sopra di esse, rappresenta senza dubbio tutta la potenzialità e l’innovazione espressiva di cui questo collettivo artistico è dotato. Le novità introdotte da Tavoli (1995) restano, sino ad oggi, l’ultima frontiera esplorata dal gruppo milanese, ed anche in questo ambito non mancano i riconoscimenti da parte della comunità artistica internazionale. Nel 1997, l’installazione interattiva Il giardino delle anime, ispirata in parte al mito di Teseo e Arianna, viene presentata allo Science and Tecnology Center di Amsterdam ed esposta sino al 2001, da quando è in mostra permanente alla Hall of Science di New York. Più di recente l’installazione Fabrizio d’Andrè (2008), un percorso all’interno della poetica del cantautore genovese, è stata allestita all’interno del Palazzo Ducale di Genova, e poi riproposta nel 2010 all’interno del Museo dell’Ara Pacis di Roma, luogo assai carico di suggestioni. Tornando all’evento di Torino, non si può che essere orgogliosi del lavoro svolto dallo Studio Azzurro per una ricorrenza così emblematica come il centocinquantesimo anniversario dell’unità d’Italia, un percorso interattivo fatto da italiani, i quali, con il loro coraggio di sperimentare nuove forme di comunicazione, hanno saputo costruire un importante percorso artistico che questo Paese dovrà custodire e preservare molto gelosamente.

36

Hanno saputo costruire un importante percorso artistico che questo Paese dovrà custodire e preservare molto gelosamente

Dall’alto: Tavoli, perché queste mani mi toccano. Ambiente sensibile, 1995, Milano-triennale IL NUOTATORE (va troppo spesso ad Heidelberg). Videoambiente, 1984, palazzo Fortuny, Venezia Portatori di storie. Ambiente sensibile, 2010, Shanghai, Padiglione Italia, EXPO Tutte le foto: COURTESY STUDIO AZZURRO


IL PROIETTORE DI OLOFERNE Ridere in lingua yiddish

Glenn Miller - In the mood

di Giuditta Naselli “Tanto tempo fa, da qualche parte nell’Europa dell’est, un viaggiatore arrivò in una shtetl in pieno inverno. Lì fuori nella sinagoga, un vecchio stava seduto su una panchina, tremando per il freddo. “Cosa fate qui?”, domandò il viaggiatore. “Aspetto la venuta del messia”. “Un incarico davvero di grande importanza”, disse il viaggiatore. “Immagino che la comunità vi paghi un congruo compenso per questo”. “Niente affatto”, disse il vecchio. “Non mi pagano nulla. Mi lasciano soltanto star seduto sulla panchina. Giusto ogni tanto esce qualcuno e mi porta qualche cosetta da mangiare”. “Dev’essere dura”, osservò il viaggiatore. “Ma anche se non vi danno nulla, avranno per voi certamente una grande venerazione dal momento che vi siete assunto questo incarico così gravoso”. “No per nulla”, fece il vecchio. “Pensano tutti che sia pazzo”. “Non capisco”, disse il viaggiatore. “Non vi pagano. Non vi rispettano. Ve ne state qui al freddo, a battere i denti, affamato. Che razza di lavoro è questo?”. Il vecchio rispose: “è un lavoro fisso” Tratto da: Franco Palmieri, La letteratura della terza diaspora Ravenna, Longo, 1973

La storia degli ebrei è la storia di un popolo, disperso in migliaia di comunità, che nel corso di venti secoli ha alternato periodi di benessere - in cui si è affermato nel paese che abitava, assumendone la lingua e partecipando alla vita sociale e culturale - a periodi di persecuzione e di esilio. Il popolo ebraico, più di ogni altro, ha esorcizzato la tragicità della sua storia approdando al mondo dell’arte e servendosi dell’umorismo come strumento di comprensione umana e come arma in grado di ridicolizzare i potenti e i persecutori. La sfera artistica si trasforma, per l’ebreo, nell’unica sede in cui poter manifestare la necessità di confrontarsi con gli ostacoli e con i limiti impostigli e la comicità diventa la metafora di una degenerazione psicologica, derivante dalla mancanza di una classificazione sociale e dall’impossibilità di integrazione in un ordine umano precostituito. Costretto ad imparare mille lingue e a dimenticare la sua, l’uomo di cultura ebraica adotta la lingua universale del comico, e, svilendosi e squalificandosi, prende in giro se stesso e la società ospitante. Il luogo in cui lo humor ebraico trova la possibilità di formarsi e raffinarsi, prima del teatro e del cinema, è la narrativa popolare dell’Europa dell’Est che, con i suoi giochi di parole, racconta la paura delle persecuzioni, le crisi d’identità, la nostalgia per la vita semplice delle comunità e i rimorsi per l’abbandono delle tradizioni di un intero popolo. Dal racconto al palcoscenico il passaggio è breve: prima il teatro e poi il cinema diventano mondi paralleli in cui l’ebreo, sdoppiandosi e mascherandosi, vede, con gli occhi di un altro, meglio se stesso e gli altri. Mentre gli ebrei russi creano il socialismo e gli ebrei austriaci indagano la psicanalisi, gli ebrei americani partecipano alla nascita del capitalismo statunitense, finanziando l’economia ed assumendosi tutti i rischi di imprese senza precedenti. La terza diaspora, infatti, porta al lento e definitivo abbandono dell’Europa dell’est, e con essa si dissolve lo stile di vita unico dello shtlel, che l’immigrato ebreo cerca di ricostruire in terra americana, custodendo e tramandando gli usi e i costumi. I resti della cultura dello shtetl, in Europa, forniscono le basi per la trasfor-

Lemmon e Walter Mattau, Prima Pagina, 1974

Con il gesto sovversivo di una risata il comico di origine ebrea demolisce i limiti e le barriere che costringono l’uomo moderno ad una vita costipata dagli oggetti e dalla paura dell’altro. Il ridere si eleva a momento catartico che libera il cuore e le menti di chi vede e ascolta, scuotendo sia le coscienze che le insaziabili immaginazioni

37


mazione del teatro viennese, che ormai ha del tutto assimilato la lingua tedesca e lo yiddish, e in America edificano la macchina industriale hollywoodiana, tanto che la Universal, la MGM, la Paramount, la Fox , sono tutte creazioni di immigrati ebrei europei. Il sogno americano offre all’umorismo ebraico la possibilità di crescere e maturare, favorendo il sorgere di un ampio ventaglio di comici: dal mondo anarchico e folle dei fratelli Marx a quello poetico di Chaplin, dal carismatico ed energico schlemiel Danny Kaye al bambino mai cresciuto Jerry Lewis, dall’esilarante Gene Wilder, che con Mel Brooks parodia l’intero mondo del cinema, al nevrotico e autoreferenziale Woody Allen. In diversi modi, i comici americani di origine ebraica ridendo di sé, smascherano e sculacciano moralmente una società, che si è affermata nel mondo per i suoi ideali di libertà e democrazia. Con un umorismo violento ed amaro parlano di verità, assumendo un linguaggio, come quello comico, che può essere compreso ed assimilato dall’uomo di qualsiasi provenienza sociale. La cultura ebraica ha dimostrato, come l’arte, e in particolare il cinema nel mondo moderno, riesca ad avventurarsi nella giungla dei fenomeni materiali e ad esplorare le capacità delle forze sociali. Con il gesto sovversivo di una risata il comico di origine ebrea demolisce i limiti e le barriere che costringono l’uomo moderno ad una vita costipata dagli oggetti e dalla paura dell’altro. Il ridere si eleva a momento catartico che libera il cuore e le menti di chi vede e ascolta, scuotendo sia le coscienze che le insaziabili immaginazioni.

I fratelli Marx (da sinistra Groucho, Harpo e Chico)

Manhattan di Woody Allen, 1979

38


Serialità e revival di genere: il caso “Game Of Thrones” di Davide Borgna

Lanciata da HBO lo scorso 1 Aprile, la nuova stagione di Game of Thrones conferma la vitalità della produzione seriale americana. In un momento in cui i generi cinematografici arrancano o appaiono esauriti nella ripetizione di formule stantie, i network televisivi offrono un ventaglio di prodotti in grado di resuscitare i modelli narrativi che avevano reso grande la Hollywood del passato: nessun filone sembra escluso dalla straripante creativiGames of Thrones, Iron Throne tà delle serie, si tratti di noir (The Killing), gangster-movie (Boardwalk Empire), gotico (American Horror Story), melodramma (il bellissimo Mildred Pierce di Todd Haynes) o western (Hell on wheels). In quest’ottica la televisione assume un ruolo analogo a quello delle major di un tempo, che governarono l’intrattenimento di massa fino agli anni 50. Soprattutto ne eredita l’immaginario e lo spirito produttivo, coniugando l’efficacia spettacolare con la finezza narrativa. Di questa fioritura del prodotto seriale Game of Thrones è un esempio significativo, a partire dalla capacità di rapportarsi in modo proficuo e mai servile al testo letterario. La saga di George R. R. Martin (giunta al quinto volume) rappresenta uno dei pochi cicli romanzeschi in grado di conquistare una venerazione pari a quella dell’universo tolkieniano. La trasposizione televisiva ne restituisce l’impianto polifonico affidandosi al cast capitanato da Sean Bean, che interpreta il signore di Grande Inverno, Eddard Stark. L’uomo nobile, il puro, il guerriero dai giusti ideali viene chiamato nell’insidiosa Approdo del Re per servire come consigliere del vecchio amico e sovrano, Robert Baratheon. La dimensione politica del fantasy, spesso negletta o sminuita, è visibile nella rappresentazione della Capitale, incentrata su una rete di apparenze, manipolazioni e inganni. Niente è come sembra e l’intrigo avvolge le stanze del potere. Emblema e feticcio di questa rappresentazione è il Trono di Spade, oggetto di una disputa dove non contano più l’ideologia, i valori contrapposti. Ciò che Games of Thrones. Still video

Florence + the Machine - Seven Devils

importa, nelle parole di uno dei personaggi – il mellifluo Ditocorto – è la contesa in sé, “il gioco”. Se la trasposizione HBO sfoltisce inevitabilmente la mole di personaggi e plot secondari dei romanzi, ne conserva però l’umore disincantato e, potremmo dire, “crepuscolare” (come crepuscolari erano molti film degli anni ‘60 e ‘70 che si rapportavano al genere mescolando straniamento ed elegia). In Game of Thrones i personaggi devono, in maniera e con esiti diversi, affrontare l’inadeguatezza: essa può causare l’emarginazione sociale e geografica, come nei casi simmetrici di Jon Snow (che paga le sue origini bastarde con il servizio presso la Barriera, imponente vallo ai confini del mondo) e Daenerys, di nobile lignaggio ma spodestata e costretta all’esilio in terre esotiche. In Tolkien l’imperfezione dell’eroe si riscattava nello spirito cooperativo; per Martin non ci sono Compagnie dell’Anello, e il dramma dei personaggi si misura nell’incapacità di assumere un ruolo stabile, privo di contraddizioni: Ned Stark è il nobile per eccellenza, ma le sue virtù sono incompatibili col gioco politico del Reame. Jaime Lannister, il guerriero perfetto, è schiacciato dal marchio di “Uccisore di Re” che lo condanna ad un’esistenza priva di onore. Suo fratello Tyrion, l’unico a denotare umanità e intelligenza nella corrotta casata dei Lannister, subisce il pregiudizio legato al suo aspetto fisico. La serie conserva la focalizzazione “multipla” ereditata dai capitoli del romanzo, alternando le vicende dei protagonisti tramite una regia che sfugge alle tentazioni più roboanti (glissando ironicamente sull’unica battaglia della prima stagione). Prima ancora delle scene d’azione, impagabili sono i confronti verbali tra i personaggi: i dialoghi secchi, spesso infarciti d’ironia o di turpiloquio, concorrono a smitizzare il mondo cavalleresco e l’ideologia cortese del fantasy. Se l’ultimo episodio Fire and Blood aveva lasciato i Sette Regni sull’orlo della guerra, la seconda stagione promette una lotta feroce per il Trono e schiude nuove frontiere della trasposizione audiovisiva, ricche di auspici per i mondi narrativi (seriali e non) del futuro.

Games of Thrones. Still video

39


BAYT Il design spirituale a Milano la Redazione

Zola Jesus - Skin

In occasione dell’Expo al Salone del mobile la galleria ti campi degli studi sulle arti visive contemporanee, Paola Colombari di Milano presenta la mostra Reli- avevano già affermato. Come si legge nel manifesto gious Contemporary Design. La gallerista presenta un firmato da Fillia con Caligaris e Curtoni: “interpretare portfolio di designer da Karim Rashid , David Palterer , questa spiritualizzazione meccanica è segnare l’inizio Antonio Cagianelli , Pawel Grunert, Luca Sacchetti ad di un’arte sacra moderna”. Superati i cardini dell’inArtisti come Blue and Joy , Maïmouna Patrizia Guer- terpretazione meccanicistica il design oggi conserva resi , Matteo Peretti. L’inaugurazione alla galleria Pao- nella serialità quell’aura – cioè quella spiritualità – che la Colombari si inserisce all’interno del Milano design l’oggetto unico ha per statuto, sancendo di fatto una week che coinvolge in fuori salone molte gallerie di via democratizzazione dell’arte. Come possono converMaroncelli che da alcuni anni sare opere cosi diverse tra loro, La mostra The Religious sta subendo interventi di riquaancor più come possono dirsi lificazione urbana. Germinando Contemporary Design apre religiose opere che fanno parte all’interno di un bacino comdel contesto d’uso? L’interrogaplesso di teorie che vanno dal quindi allo studio di una fetta tivo è ancora aperto. Esiste inFeng Shui allo spirituale futurifatti una differenza sostanziale di mercato che solo sta, il design spirituale fonda le tra l’interpretazione dell’oggetto i futuristi, preveggenti sue basi sulla trascendenza del e la sua contestualizzazione, e il materiale, sfruttando i prodotti movimento dell’alto genio che in molti campi degli studi propri del design, per veicolare l’ha prodotto, più semplicemensulle arti visive dei messaggi di natura animite esiste una doppia interpretastica. All’interno del filone del zione del religioso, una interna contemporanee, design spirituale non esiste tute propria dell’opera, e una che tavia ancora una direzione unisi affranca al gesto dell’artista avevano già affermato voca e gli artisti che si prestano come creatore. Nella sintesi tra al gioco molto serio dell’interpretazione della religione queste due spinte consustanziali, l’oggetto di design secondo forme e materiali propri della contempora- sembra definitivamente pulire gli orpelli di religiosità a neità si trovano e si esprimono secondo coordinate cui siamo abituati rendendo sia il simbolico che l’anima poliedriche rivelando risultati spesso divergenti tra di contenuta, mostrandosi al pubblico e ai futuri fruitori loro. C’è chi come Blue and Joy mima e pur deride con un’ironia e una versatilità importanti. Nell’esposicon cristiana rassegnazione l’amico sulla croce, c’è chi zione proposta da Colombari, Pawel Grunert si distininvece adotta uno stile più sommesso nel palese, pur gue, indicando un’ opzione molto attuale: combinare arricchendo il risultato con quell’energia che l’opera naturale ad artificio, funzionalità ad essenza. Il tema spirituale sempre conserva. La mostra The Religious della religiosità, troppo spesso chiuso nella sfera proContemporary Design apre quindi allo studio di una pria di incensi e ostensori, si svecchia, pagando così fetta di mercato che solo i futuristi, preveggenti in mol- facendo lo scotto della sua secolarizzazione.

Sullo sfondo: Karim Rashid, Opposite Table, 2012 Produced by Base, 2012 COURTESY GALLERIA PAOLA COLOMBARI In basso: Luca Sacchetti, Il Castello di Aurora, 2012 COURTESY GALLERIA PAOLA COLOMBARI

40


La strada bianca la Redazione

Leonard Cohen Hallelujah

La collezione della Raccolta Lercaro è composta da 1600 opere, ed ha avuto origine da alcune opere che furono donate al Cardinale Giacomo Lercaro in occasione del suo ottantesimo genetliaco. Nella raccolta sono presenti opere di altissimo valore artistico, tra le quali opere di Francesco Messina, Giacomo Manzù, Marino Marini e Arturo Martini. Presso la Fondazione Cardinale Giacomo Lercaro - Raccolta Lercaro e in collaborazione con la Galleria San Fedele Milano Venerdì 13 aprile 2012 è stata inaugurata la mostra Con Gli Occhi Alle Stelle giovani artisti si confrontano col Sacro. Confrontarsi con il sacro non è impresa semplice, e oggi potrebbe sembrare anacronistico. Sacro proviene dal latino sacer (forma arcaica sakros ) e ha per radice indo europea Sak, che è ciò che è dato come ciò che è, quindi qualcos’altro separato dall’uomo, qualcosa che non può essere avvicinato, ma che tuttavia attira l’uomo a sè. Nella lingua Maya Sak ha il significato di strada bianca, percorso sacro. I sacer-doti fanno da mediatori e mettono in rapporto l’uomo e le divinità. Anche i simboli sono segni d’appartenenza e riconoscimento (symbolon). I simboli sono legami, l’oggetto precedentemente separato ha percorso altre strade, poi viene rimesso insieme, e nell’istante in cui i due pezzi combaciano perfettamente si concreta l’unione e il riconoscimento. Otto giovani artsiti: Francesco Arecco Ettore Frani Marco La Rosa Elisa Leonini Sergio Lovati Daniela Novello Daniele Salvalai Alessandro Sanna si cimentano in questa impresa non proprio semplice, utilizzando i simboli della tradizione giudaica cristiana e attraverso le loro opere artistiche utilizzando i linguaggi della contemporaneità tentano di costruire la strada bianca che porta al sacro, di riunire ciò che è stato separato. L’arca di Noè di Francesco Arecco è un fantastico vascello madre che appeso al soffitto ondeggia come una culla e accoglierà l’umanità tutta, che nel vascello troverà rifugio e si salverà. Ettore Frani nel trittico Respiri, tratta il tema del Soffio vitale, attraverso una pittura fatta di silenzi e sospensioni ci mette di fronte alla fragilità della nostra condizione umana e nel contempo nella potenza e nel mistero del respiro che è la vita. Marco La Rosa si cimenta con l’Ultima Cena, L’argomento del terzo uomo, dove le mani dell’umanità tutta si cercano in uno spazio circoscritto, intessendo relazioni e legami. Gerusalemme Celeste è rappresentata da Elisa Leonini con l’opera Quest. Un cubo di luce e un labirinto, uno spazio sacro non più separato ma coincidente come un symbolon che riunisce e identifica. Sergio Lovati, presenta una serie di lavori fotografici, operando una riflessione sulla dimensione temporale, e conseguentemente sul rapporto luce-ombra raffigurando la presenza divina che abita le cose del mondo. Con l’opera Alla Fonte, Daniela Novello, ha rappresentato un Dio recintato attorno a un pozzo, dove il pozzo è il simbolo della rinascita dalla morte alla vita. La torre Babel, simbolo tradizionale della presunzione dell’uomo, viene rappresentata da Daniele Salvalai da un altissimo scheletro di metallo sul quale è impossibile salire poiché i suoi gradini sono di cera. Infine il Genesi è interpretato da Alessandro Sanna con serie di acquerelli brillanti che illustrano la creazione. La mostra, a cura di Andrea Dall’Asta S.I., Ilaria Bignotti, Matteo Galbiati, Massimo Marchetti e Michele Tavola, è visitabile fino al 28 ottobre 2012.

Daniela Novello, Convivio, 2008 COURTESY FONDAZIONE LERCARO

41


BALLOON Un Marzo “Paz” e Calabrese di Alessandro Cochetti

Alberto Fortis - Milano e Vincenzo

Marzo 1977: tra le pagine di ‹‹Alteralter››, una delle riviste di fumetti più importanti di sempre per il panorama italiano, usciva la prima puntata di Le straordinarie avventure di Pentothal, fumetto d’esordio di uno sconosciuto studente universitario del DAMS bolognese, Andrea Pazienza. La grafica sembra essere una rielaborazione delle ultime trovate francesi degli Umanoïdes Associés; la trama mescola (in modo originale anche se non innovativo) il mondo onirico e quello reale; il protagonista è un antieroe, nonché alter ego dell’autore che, più che vivere, viene “vissuto” dagli eventi e dall’ambiente che lo circondano: le contestazioni giovanili nella Bologna settantasettina, le università occupate, i collettivi studenteschi, etc. Eppure, per Tratto da Perché Pippo sembra uno sballato e tuti l'ati sturiellet il fumetto italiano è un punto di svolta. Pazienza, ben Editore Del Grifo, 1992. presto, sarà annoverato tra i più grandi autori di fumetti della storia nazionale, malgrado una carriera poco più che decennale, interrottasi a causa della sua prematura morte avvenuta nel 1988. Marzo 2012: muore Omar Calabrese, definito come ‹‹l’allievo prediletto di Umberto Eco››1 nonché uno tra i più famosi semiologi italiani. Già docente al DAMS (tra i suoi studenti vi è lo stesso Pazienza), è stato anche consigliere comunale nella stessa Bologna, assessore alla cultura del Comune di Siena e presidente dell’Associazione italiana di studi semiotici. Tra le sue opere più importanti si ricordano: Semiotica della pittura, Il linguaggio dell’arte e Come si legge un’opera d’arte. Marzo 1991: ai Magazzini del Sale della città di Siena viene organizzata una mostra antologica su Pazienza, e vi è così “l’incontro intellettuale” tra i due (Calabrese è autore di un saggio inserito nel volume antologico della mostra). Utilizzando le proprie conoscenze sulla storia della lingua e sulla semiotica applicata all’interpretazione delle opere artistiche, Calabrese ci mostra infatti uno degli aspetti per cui l’opera “pazienziana” ha colpito - e colpisce ancora - qualsiasi lettore (cosa che contribuisce al contempo a valorizzare uno studio serio e accademico del medium comunicativo del fumetto, ancora troppo bistrattato in Italia): la potenza dell’eterno rinnovamento del “volgare”. Il semiologo ci presenta infatti l’autore come un novello Alighieri che, con costanza e dovizia, ha utilizzato all’interno delle proprie opere un linguaggio nuovo per il panorama linguistico italiano: ovvero il “gergo” giovanile degli anni Settanta/Ottanta, che tra commistioni di droghismi, sessualismi, linguaggio politichese, omofonie dialettali e neologismi2 restituisce tutto il sapore di un ’77 che della sperimentazione linguistica fece un’arte (vale la pena di ricordare il compianto Pier Vittorio Tondelli a riguardo). Postmodernismo linguistico è stata definita oggi questa pratica: ovvero questo miscuglio tra i campi semantici più disparati, dal linguaggio popolare a quello più dotto, dall’invenzione di neologismi asignificanti all’utilizzo di cultismi ormai in disuso. Il paragone con il Sommo poeta non è perciò casuale: il “gergo” non è altro che, dice Calabrese, il corrispettivo odierno di quello che nel Medioevo veniva definito “volgare”: ovvero una lingua semplificata, immediata, fortemente espressiva, usata da una certa comunità in un dato periodo storico. Poi arriva qualcuno, Dante nel Medioevo, ma lo stesso vale per Pazienza per il ventesimo secolo (Tondelli dice a tal proposito: ‹‹[..]di quel movimento, Andrea è stato il cantore, il poeta, l’artista forse più grande insieme agli Skiantos di “Freak” Antoni, il Boccalone di Enrico Palandri, i programmisti di Radio Alice. Appena ventenne Andrea si è trovato in una certa università, all’interno di un certo gruppo di amici e, da artista, ne ha succhiato i modi di dire, le espressioni, il gergo, le paranoie politiche, i modi di vita, innestandoli su un talento naturale grandissimo.››3) che dà a questo linguaggio nuovo un valore estetico o etico, utilizzandolo per fini artistici e per una ricerca d’identità personale. E così finisce che autore e opere ce li ritroviamo nei libri di storia o nelle antologiche, riuscendo a malapena a percepire (a causa dei nuovi mezzi di comunicazione che impongono un’uniformità linguistica piatta e standard) che, nonostante ci sia dietro uno studio, una ricerca artistica e una sperimentazione ragionata, la lingua che questi autori hanno utilizzato è lo specchio, seppur deformante, della loro cultura e del loro tempo. www.ilfattoquotidiano.it del 1 aprile 2012. Tutti questi termini sono utilizzati dallo stesso Calabrese nel saggio in esame. 3 Pier Vittorio Tondelli. Un week-end postmoderno. 1990.

1

2

42

Tratto da Le straordinarie avventure di Pentothal Edizione Baldini&Castoldi, 1997


ROUTES di Gabriella Mancuso

Mostre Bergamo, Gamec, Arte Povera in Città dal 6 aprile al 15 luglio 2012 info: www.gamec.it Berna, Kunstmuseum Bern, Sean Scully, dal 9 marzo al 24 giugno 2012 Biglietto intero: 7 euro Biglietto ridotto: 5 euro Info: www.kunstmuseumbern.ch Bolzano, Museion, Art=Life=Art. Dada>Fluxus Dal 15 febbraio 2012 al 24 febbraio 2013 Biglietto intero: 6 euro Biglietto ridotto: 3.50 euro Info: www.museion.it Brescia, Paci Contemporary, Winter: il work in progress di Sandy Skoglund, Dal 31 marzo al 9 giugno 2012 Ingresso gratuito Info: www.pacicontemporary.com Castelbasso, Palazzo Clemente, Pop Art Arte Povera e Tendenze del contemporaneo attraverso l’arte del ‘900 italiano, Dal 17 marzo al 6 maggio 2012 Biglietto: 5 euro Info: www.fondazionemenegaz.it

Biglietto ridotto: 4.00 euro Info: camec.spezianet.it Lissone, Museo d’Arte Contemporanea, Michelangelo Pistoletto cittàdellarte design Dal 24 marzo al 27 maggio 2012 Info: www.comune.lissone.mb.it Lugano, Villa Ciani Museo Civico di Belle Arti, Tony Cragg Dal 30 marzo al 12 agosto 2012 Info: www.mdam.ch Mantova, Palazzo della Ragione, Aldo Rota - Sensazioni tattili, Dal 24 marzo al 29 aprile 2012 Ingresso gratuito Info: www.cittadimantova.it Milano, Jerome-zodo Gallery, Aki Sasamoto-Secrets of My Mother’s Child Dal 4 aprile al 12 maggio 2012 Info: www.jerome-zodo.com Milano, Lisson Gallery, Ai Weiwei, Dal 12 aprile al 25 maggio 2012 Ingresso gratuito Info: www.lissongallery.com Milano, luoghi vari, PhotoFestival, Dal 3 aprile al 12 maggio 2012 Info: photofestivalmilano.tumblr. com

Dal 12 aprile al 5 maggio 2012 Info: www.photo-graphia.it Milano, The Flat - Massimo Carasi, Paolo Cavinato Behind the Curtains, Dal 10 aprile al 9 giugno 2012 Info: www.paolocavinato.net/ita Milano, Triennale Design Museum, TDM5: grafica italiana, Dal 14 aprile 2012 al 24 febbriaio 2013 Biglietto intero: 8 euro Biglietto ridotto: 6.50 euro Info: www.triennale.org Mosca, luoghi vari, Photobiennale 2012, Dal 6 marzo all’1 luglio 2012 Info: www.mamm-mdf.ru Napoli, T293, Notes on American Performance, Dal 5 aprile al 25 maggio 2012 Info: www.t293.it New York, Whitney Museum, Whitney Biennial 2012, Dall’1 marzo al 27 maggio 2012 Ingresso gratuito, Biglietto necessario per gli eventi e le esibizioni Info: whitney.org

Catanzaro, Marca,

, , Dal 21 aprile al 30 giugno 2012 Biglietto intero: 3 euro Biglietto ridotto: 2 euro Info: www.museomarca.info Helsinsky, Emma Espoo Museum of Modern Art, Italian Futurism 1909-1944, Dal 2 marzo al 10 giugno 2012 Biglietto intero: 10 euro Biglietto ridotto: 8 euro Info: www.emma.museum La Spezia, CaMec, Superfici sensibili. Dialoghi con il supporto, Dal 5 aprile al 30 settembre 2012 Biglietto intero: 6.50 euro

Milano, Museo del Novecento, Beppe Devalle. Collages degli anni sessanta Dal 29 marzo al 7 ottobre 2012 Biglietto intero: 5 euro Biglietto ridotto: 3 euro Info: www.museodelnovecento.org Milano, Museo del Novecento, Tecnica mista: com’è fatta l’arte del Novecento, Dal 29 marzo al 9 settembre 2012 Biglietto intero: 5 euro Biglietto ridotto: 3 euro Info: www.museodelnovecento.org Milano, Photographia, Ab Punk Positivo,

Padova, Maab Studio d’Arte, Hannah Gauntlett, Urban Silence, Dal 21 aprile al 12 maggio 2012 Info: www.hannahgauntlett.com Padova, Palazzo della Ragione, De Chirico, Fontana e i grandi maestri del Novecento, Dal 24 marzo al 15 luglio 2012 Biglietto intero: 8 euro Biglietto ridotto: 5 euro Info: padovacultura.padovanet.it Parigi, Tornabuoni Art Gallery, Mimmo Rotella, Dal 29 marzo al 9 giugno 2012 Info: www.tornabuoniart.fr

43


Roma, Auditoriumarte, Matta. Un surrealista a Roma, Dal 16 marzo al 20 maggio 2012 Ingresso gratuito Info: www.fondazioneechaurrensalaris.it Roma, Casa dei Teatri, Villa Doria Pamphilj, Il geroglifico di un soffio Dal 24 marzo al 3 maggio 2012 Ingresso grautito Info: www.casadeiteatri.wordpress. com Roma, Gagosian Gallery, Walter De Maria Dal 22 marzo al 29 maggio 2012 Info: www.gagosian.com Roma, Gnam, Arte Programmata e Cinetica. Da Munari a Biasi a Colombo e... Dal 27 marzo al 27 maggio 2012 Biglietto intero: 10 euro Biglietto ridotto: 6 euro Info: www.gnam.beniculturali.it Roma, Macro, Miltos Manetas MACROeo electronicOrphanage, Dal 26 marzo al 23 maggio 2012 Biglietto intero: 8.50 euro Biglietto ridotto: 6.50 euro Info: www.macro.roma.museum Roma, Macro Testaccio, Marco Tirelli, Dal 30 marzo al 13 maggio 2012 Biglietto intero: 5 euro Biglietto ridotto: 3 euro Info: www.macro.roma.museum Roma, Macro, Omaggio a Vettor Pisani, Dal 16 marzo al 2 settembre 2012 Biglietto intero: 8.50 Biglietto ridotto: 6.50 Info: www.macro.roma.museum Roma, Macro, Pascale Marthine Tayou. Plastic bags, Dal 16 marzo al 28 ottobre 2012, Biglietto intero: 8.50 Biglietto ridotto: 6.50 Info: www.macro.roma.museum Roma, Musei di Villa Torlonia, L’angolo del dandy,

44

Dal 4 aprile al 6 maggio 2012 Biglietto intero: 4 euro Biglietto ridotto: 3 euro Info: www.museivillatorlonia.it Torino, Officine Grandi Riparazioni, Fare gli italiani. 150 anni di storia nazionale, Dal 17 marzo al 4 novembre Info: www.officinegrandiriparazioni.it Torino, Galleria Giorgio Persano, Jannis Counellis Dal 16 marzo al 16 giugno 2012 Info: www.giorgiopersano.org Vienna, Freiraum Quartier21, Membra Disjecta per John Cage. Volendo dire qualcosa su John, Dal 16 febbraio al 6 maggio 2012 Ingresso gratuito Info: programm.mqw.at

Vernissage Asolo, luoghi vari, Biennale d’arte d’Asolo. Premio Internazionale, Dal 12 maggio al 24 giugno 2012 Info: www.biennaleasolo.org Berlino, luoghi vari, 7th Biennale di Berlino, Dall 27 aprile all’1 luglio 2012 Biglietto intero: 8 euro Biglietto ridotto: 5 Info: www.berlinbiennale.de Biumo-Varese, Villa e Collezione Panza-Fai, Bill Viola per Villa Panza. Reflections Dal 12 maggio al 28 ottobre 2012 Info: www.fondoambiente.it Bologna, Galleria P420, Peter Dreher:Tag Um Tag Guter Tag-Day By Day Good Day, Dal 28 aprile al 30 giugno 2012, Ingresso gratuito Info: www.clubart.it Firenze, Galleria dell’Accademia, Arte torna Arte, Dall’8 maggio al 4 novembre 2012 Info: www.unannoadarte.it

Imola, Musei di San Domenico e Ass. culturale pomo da DaMo, NAIV – VAIN, dal 21 aprile al 2 giugno. Riehen – Basilea, Fondazione Beyeler, Jeff Koons Dal 13 maggio al 2 settembre 2012 Info: www.fondationbeyeler.ch Roma, Museo di Roma in Trastevere, World Press Photo, Dal 28 aprile al 20 maggio 2012 Biglietto intero: 6.50 euro Biglietto ridotto: 4.50 euro Info: www.museodiromaintrastevere.it Roma, Sala1 Centro Internazionale d’Arte Contemporanea, Fast ForWard Design, Dal 21 aprile al 19 maggio 2012 Info: www.salauno.com San Gimignano, Galleria Continua, Antony Gormley- Vessel, Dal 28 aprile al 20 agosto 2012 Info: www.antonygormley.com www.galleriacontinua.com Venezia, Ca’ Foscari Esposizioni, William Gongdon a Venezia (19481960): uno sguardo americano, Dal 5 maggio all’8 luglio 2012 Ingresso a pagamento Info: www.fondazionecafoscari.it

Da vedere Lissone, Biblioteca Civica, Leggere la materia-Installazioni artistiche, Dal 31 marzo al 29 aprile 2012 Ingresso gratuito Info: www.comune.lissone.mb.it Verona, Boxart Gallery, Live Performance di Liu Bolin 28 aprile 2012 Info: www.boxartgallery.com


Fiere

Eventi

Incontri

Arezzo, Polo fieristico, ArteXpo, Dal 27 al 30 aprile 2012 Biglietto: 10 euro Info: www.artexpoarezzo.com

Bologna, luoghi vari, Live Arts Week Dal 25 al 29 aprile 2012 Info: www.liveartsweek.it

Bologna, Pinacoteca, Site Rant Choir, workshop di arte pubblica, Dal 19 al 22 aprile 2012 partecipazione tramite iscrizione Info: www.onoff.co.it

Bruxelles, Brussels Expo, Art Brussels 30 Contemporary Art Fair, Dal 19 al 22 aprile 2012 Biglietto intero: 15 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: www.artbrussels.be

Genova, Teatro Akropolis, Testimonianze ricerca azioni, Dal 15 marzo al 4 maggio 2012 Biglietto intero: 12 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: www.teatroakropolis.com

Colonia, Quartiere fieristico, Art Cologne International Art Fair, Dal 18 al 22 aprile 2012 Biglietto: 25 euro Info: www.artcologne.de Milano, Palazzo della Permanente , Mint Collezioni d’arte 2012, Dal 10 al 13 maggio2012 Biglietto intero: 15 euro Biglietto ridotto: 10 euro Info: www.mintexhibition.it Milano, Superstudio più, Mia- Milan Image Art Fair 2012 Dal 3 al 6 maggio 2012 Biglietto intero: 15 euro Biglietto ridotto: 12 euro Info: www.superstudiogroup.com Torino, Lingotto Fiere, Torino Comix, salone e mostra mercato del fumetto, Dal 13 al 15 aprile 2012 Biglietto intero: 10 euro Biglietto ridotto: 8 euro Info: www.torinocomics.com Napoli, Mostra d’oltremare, Napoli Comicon, Salone Internazionale del Fumetto e dell’Animazione, Dal 28 aprile all’1 maggio 2012 Biglietto intero:12 euro Biglietto ridotto: 8 euro Info: www.comicon.it

Latina, Associazione culturale Mad, Mad Rassegna d’Arte Contemporanea Dal 5 aprile al 30 aprile 2012 Ingresso gratuito Info: www.madarte.it Milano, luoghi vari, Milano Asian Art, Dal 17 al 26 maggio 2012 Info: www.asianart.milano.it Roma, Palazzo delle Esposizioni sala cinema, A qualcuno piace classico, rassegna cinematografica, Dal 21 febbraio al 26 giugno 2012 Ingresso gratuito Info: www.palazzoesposizioni.it San Felice sul Panaro, Torre Estense, XXXII edizione Biennale di Roncaglia 2012 Dal 15 aprile al 20 maggio 2012 Ingresso gratuito Info: www.biennaleroncaglia.it

Bolzano, Museion, Artiparlando 2012“Global Art – New Public” (arte globale e nuovo pubblico) 19 aprile 2012: Rein Wolfs (Kassel), “Museum der Beziehungen”, in lingua tedesca 10 maggio 2012: CPS-Chamber of Public Secrets Khaled Ramadan / Alfredo Cramerotti, “Expanding Everything”, in italiano e inglese info: www.museion.it Milano, Museo del Novecento, FUORI! Arte e spazio urbano 1968 – 1976, Dal 5 al 26 maggio 2012 Ingresso gratuito Info: www.museodelnovecento.org Roma, Maxxi , dal ciclo “Le storie dell’arte”incontro con Laura Cherubini, 19 maggio 2012 Info: www.fondazionemaxxi.it Spoleto, centro storico e Palazzo Collicola, Rendez Vous, incontro d’arte e creazione contemporanea, 5 maggio 2012 Info mail: carolemagnini@yahoo.fr

Scandicci, Teatro Studio, OA cinque atti teatrali sull’opera d’arte, 18 maggio 2012 Info: www.scandiccicultura.eu www.teatrostudiokrypton.it Venezia, Collezione Peggy Guggenheim, Pollock Day, giornata dedicata a Jackson Pollock 21 aprile 2012 Info: www.guggenheim-venice.it

45


OPEN CALL di Gabriella Mancuso PREMI E CONCORSI: Bibbiena, Premio Cromica per l’Arte Contemporanea per la promozione dell’arte contemporanea Primo premio: esposizione presso Palazzo Niccolini e inserimento nel catalogo Termine ultimo di partecipazione: 30 giugno 2012 Bologna, Alto Tasso, Allucinazione urbana. La città come paesaggio onirico Concorso per giovani illustratori Premio di partecipazione: tutte le opere selezionate saranno esposte gratuitamente Primo premio: pubblicazione e commento critico sulla rivista The Artship Termine ultimo di partecipazione: 6 maggio 2012 Info: www.theartship.it Marina di Ravenna, Premio Marina di Ravenna Rassegna di pittura per la promozione dell’arte contemporanea Primo premio: esposizione delle opere Termine ultimo: 31 maggio 2012 Info: www.poxar.it Milano, Raccontare il valore della differenza: il concorso per creativi Mind the difference 2012 Settore: fumetto Primo premio: materiale da disegno professionale ed esposizione dei lavori al Museo del Fumetto di Milano Termine ultimo: 30 aprile 2012 Info: www.mindthedifference.com

46

Perugia, 6up-ritrovamenti urbani 2020 bando per la progettazione di interventi di arte partecipativa in spazi urbani Premio: opera e contributo di realizzazione Termine ultimo di partecipazione: 30 aprile 2012 Info: www.comune.perugia.it Pisticci, Concorso di Arti Visive 11x11th con lo scopo di portare attenzione ai linguaggi dell’arte Primo premio: esposizione alla mostra organizzata in occasione del Lucania Film Festival Termine ultimo di partecipazione: 25 maggio 2012 Spoleto, Premio Spoleto Festival Art 2012 sezioni: pittura, scultura, fotografia Primo premio: esposizione delle opere in una mostra itinerante Termine ultimo di partecipazione: 31 maggio 2012 Info: www.spoletofestivalart.com Vasto, IncontrArti 2012, rassegna dedicata ad artisti emergenti di arti visive contemporanee Primo premio: partecipazione alla mostra “Illustrissima Fiaba” Termine ultimo di partecipazione: 22 aprile 2012 Info: www.laboratoriartibus.it RESIDENZE D’ARTISTA: Berlino, Berlin-Island, bando per artisti sardi, Primo premio: periodo di residenza della durata di tre mesi negli spazi di Culturia Termine ultimo di partecipazione: 21 maggio 2012 Info: www.berlin-island.net


L'IMMANENTE E IL TRASCENDENTE Klimt e la seta in bolle di Vincenzo B. Conti

Klimt. Le muse paglierine di Gustav Klimt, in mostra fino all’ otto luglio al Museo Correr di Venezia, ammaliano e seducono lo spettatore, mostrando la grazia terrena delle loro forme. Sono ancelle lontane, dame dal volto conturbante e arcano, misteriosa e violenta passione che il loro nome mal cela. Le figure klimtiane, lontane ormai dalla riproduzione fedele e celebrativa di una donna in purezza, schiudono le porte allo spettatore attento, rivelandogli la sulfurea anima, dietro lo sguardo fiero, dietro la veste ricca. Franciacorta Satèn. Liscio, dai colori lussureggianti che spaziano tra le venature d’oro, splendente e con un anima morbida rotonda e matura, ricorda l’incantevole sensualità che distingue e impreziosisce la seta facendo vibrare i sensi. Una produzione giovane in una regione storicamente votata alla produzione di vino, il Franciacorta Satèn è interprete dell’eleganza dei grandi spumanti. La Franciacorta è una zona collinare tra Brescia e l’estremità meridionale del lago d’Iseo, e deve il suo nome a “curtes francæ”, piccole comunità di benedettini insediatesi nell’alto medio evo in queste colline. Questi microcosmi erano affrancate dal pagamento di dazi grazie al contributo dei frati già dediti alla bonifica dei territori e all’istruzione dei contadini per la coltivazione dei campi e per la coltura della vite. Ma il nome Franciacorta, attribuito agli omonimi vini, nasce sul finire degli anni settanta quando, durante una fase di grande fermento per l’enologia italiana, diversi imprenditori investirono e puntarono sulla coltivazione della vigna con l’intento di realizzare un degno concorrente delle più preziose bollicine mondiali. In poco tempo, molta dedizione e l’armonioso matrimonio tra sole e uve bianche, Chardonnay e Pinot bianco, la crescita è stata rapidissima fino all’odierno Franciacorta Satèn che, se pur giovane marchio, è già prodotto di punta della regione. La produzione avviene con il “metodo classico” (utilizzato per il Talento DOC del Trento o per lo Champagne)tramite la seconda rifermentazione in bottiglia ma con un piccolo variante: durante il tiraggio per la presa di spuma, nella fase in cui si aggiungono zuccheri e lieviti, al Satèn si aggiunge una minore quantità di zucchero. Grazie a questo piccolo accorgimento la pressione atmosferica all’interno della bottiglia è minore di altri spumanti creando un perlage leggero e soffice al palato. Un lungo periodo di affinamento, infine, esalta in ogni singola bottiglia una morbida eleganza. Delizioso come aperitivo, è un eccellente vino da conversazione. Berlucchi dedica a chi ama degustare i vino meditando il suo Palazzo Lana Franciacorta Satèn, un extra brut, 100% chardonnay, con affinamento a contatto con i lieviti per almeno 48 mesi, seguito da altri 6 mesi dopo la sboccatura. Non tradisce le aspettative all’aspetto visivo (spuma soffice, perlage delicato, colore giallo paglierino piuttosto intenso con lievi sfumature dorate) né al profumo (bouquet cremoso, con evidenti note floreali, tiglio in particolare, che si intrecciano a ricordi di pasticceria, burro e miele d’acacia); al palato la setosità floreale si lega a sensazioni quasi tattili di frutta matura, lieviti e pan brioche, in un insieme morbido e vellutato. Temperatura di servizio 8°C, vol. 12%, 30 euro.

Jacques Offenbach - Barcarolle

Gustav Klimt, Moving Water, 1898 Olio su tela - Collezione privata COURTESY MUSEO CORRER

47


BOOKANEAR

48


Agata Matteucci, Leo & Lou: Schermi

49


Agata Matteucci, Leo & Lou: Chi fa da sè

Agata Matteucci nasce a Ravenna nel 1982, vive a Bologna e lavora come grafica e webdesigner, fumettista e illustratrice. Leo & Lou è la sua prima pubblicazione personale, acquistabile in libreria e su www.agatamatteucci.com

50


CREDITS Biennale di Berlino – August str. 69 (Berlin, Germania); 030 28445044 Collezione Peggy Guggenheim – Palazzo Venier dei Leoni, Dorsoduro 701 (Venezia); 041 2405411 Complesso del Vittoriano - via di San Pietro in Carcere (Roma); 066780664 Galleria Akka - via Del Pie’ Di Marmo, 13 (Roma); 06 6792066 Galleria Continua – via del Castello, 11 (San Gimignano, Siena); 0577 943134 Galleria dell’Accademia - via Ricasoli 58-60 (Firenze); 055 2388612 Galleria Oltredimore - piazza San Giovanni in Monte , 7 (Bologna); 051 6449537 Galleria Paola Colombari – via Pietro Maroncelli, 11 (Milano); 02 29001551 Giulio Einaudi editore - via Biancamano, 2(Torino) Il Teatro delle Donne – via Mascagni, 18 (Calenzano, Firenze); 055 8876581 Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti – Campo S. Stefano, 2945 (Venezia); 041 2407711 Maab Studio d’arte - Riviera San Benedetto, 15 (Padova); 393 9067971 Maretti editore - via 3 settembre, 101/b (Dogana, RSM); 0549 802345 Multimedia art Museum - 16 Ostozhenka str., (Moscow, Russia); 007 4956371100 Musei Civici Imola – via Sacchi, 4 (Imola); 0542 602609 Museo Correr – San Marco, 52 (Venezia); 041 2715921 Museo MARCA- via Alessandro Turco, 63 (Catanzaro); 0961 746797 PAC - Palazzo Massari - corso Porta Mare, 5 (Ferrara); 0532 244949 Pomo da DaMo - via XX Settembre, 27 (Imola) Postmediabooks - via della Chiesa Rossa, 49 (Milano); 02 49661155 Quodlibet - via Santa Maria della Porta, 43 (Macerata); 0733 264965 Raccolta Lercaro – via San -Ruffillo, 5 (San Lazzaro di Savena, Bologna); 051 476802 Solomon R. Guggenheim Museum 1071 5th Avenue (New York); 001 212 423 3618 Studio Azzurro - via Giulio Cesare Procaccini, 4 (Milano); 02 45485407 The Chinati Foundation, 1 Cavalry Row (Marfa, Usa); 001 432.729.4362 The Flat - via Frisi, 3 (Milano); 02 58313809 Thom Browne – Hudson Street, 100 (New York, Usa); 001 212 633 1197 Università Ca’ Foscari – Dorsoduro 3246 (Venezia); 041 234 8211 Università degli Studi di Parma – via Università, 12 (Parma); 0521 902111 Virginia Museum of Fine Arts, 200 N. Boulevard Richmond (Virginia, Usa); 001 804 340 1400 Whitney Museum of American Art - Madison Avenue New York, 945 (New York, Usa); 001 212 249 4350

Si ringraziano inoltre gli uffici stampa delle gallerie che con la loro disponibilità hanno sostenuto la nostra ricerca.

51


Meme, [mè-me] (abbr. di mimeme: ciò che è imitato) BIOL Elemento capace di determinare i comportamenti degli individui di una collettività , fondato sull'imitazione dei modelli e consuetudini impostisi nella specie di appartenenza. (fonte Hoepli)


Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.