The Artship

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Itinerari ad arte – Kendell Geers - Pinterest Matteo Latino – Fajar P. Domingo – Recontres Arles Franco Vimercati – Urban Art – Soundwwwalk

#8 AGOSTO - SETTEMBRE 2012


Proprietario e direttore responsabile: Vicedirettore: Responsabile di redazione: Responsabili di sezione: Responsabili rapporti esterni: Hanno collaborato a questo numero: Illustrations: Graphic editor: Special thanks to:

Paola Pluchino Andrea M. Campo Giuditta Naselli Pasquale Fameli, Elisa Daniela Montanari, Gabriella Mancuso, Elena Scalia, Vincenzo B. Conti Margaux Buyck, Valeria Taurisano Claudia Balzani, Martina Bollini, Marialivia Brunelli, Federica Melis Alessandro Cochetti, Ada Distefano, Federica Fiumelli Alessandra Liberato e Agata Matteucci Damiano Friscira Masaru Kashiwagi, Matteo Latino

Registrato presso la Cancelleria del Tribunale di Bologna Num. R.G. 261/2012, al N. 8228 in data 03/02/2012.

Con il Patrocinio:

In copertina: GrĂŠgoire Alexandre, Sans titre 3, studio, 2010 (Elaborazione grafica)


INDICE

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Editoriale Perché per alcuni conviene avere Monet al posto del tetto di casa di Paola Pluchino Gioventù potenziale la Redazione I Racconti di Fedra Antropomiomachia di Andrea M. Campo Sound Forward Soundwwwalk: azioni sonore nel cyberspazio di Pasquale Fameli Let Me(et) Know(ledge) TENTATIVO di #ESAURIMENTO di UN LUOGO definito #MONDO di Claudia Balzani Diamoci un taglio! di Federica Fiumelli Macadam Museum Roma col naso all’insù di Elisa Daniela Montanari Peanut Gallery La drammaturgia della stalla di Elena Scalia Silvia Gribaudi e Chiara Frigo all’Edinburgh Fringe Festival di Federica Melis In Conversation WIth Masaru Kashiwagi e il giardino delle ombre di Paola Pluchino Grandi Mostre La soffice presenza la Redazione L’abito di Franco Vimercati di Paola Pluchino Punctum Zingari a Milano ed Arles di Alessandro Cochetti Arles: rencontre avec la photographie di Margaux Buyck Young District L’inquieto errare di Kendell Geers la Redazione Itinerari Cultura contemporanea nei borghi d’Abruzzo di Martina Bollini pArs Construens “Nessun pianto, testa bassa e pedalare” di Maria Livia Brunelli Urban Addicted Vestire il cinema, con classe di Ada Distefano Il Proiettore di Oloferne To be or not to be? Il paradosso dei baffetti neri di Giuditta Naselli Routes di Gabriella Mancuso L’Immanente e il Trascendente Antico aperitivo futurista di Vincenzo B. Conti OPEN CALL di Gabriella Mancuso Bookanear 3


Alessandra Liberato, La Terra dei Sogni

Alessandra Liberato nasce a Roma nel 1985. Dopo la Laurea in Grafica e Progettazione Multimediale, consegue il diploma in Illustrazione presso la Scuola Internazionale di Comics. Vincitrice di numerosi premi tra cui il Martelive e il premio del pubblico per il Pisa Book Festival, sue illustrazioni sono state pubblicate su libri e giornali; tra gli altri ha collaborato con la casa editrice Tunuè e le riviste Lèptica e D La Repubblica.

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Perché per alcuni conviene avere Monet al posto del tetto di casa Padam Padam Edith Piaf

Tre grandi istituiti: il Nomisma - centro di ricerche di mercato - Il Sole 24 Ore, e l’Università Lum, hanno in luglio pubblicato i report dell’andamento di mercato delle aste londinesi. Il progetto di monitoraggio segnala un incremento del valore dell’opera e una tensione di mercato che sembra non risentire affatto delle oscillazioni delle borse, ponendosi, e questo è il dato su cui anche le maggiori agenzie stampa segnano l’indice, con valori di profitto superiori agli investimenti sull’oro stesso (4,06 per cento contro 4,65 percento). La ricerca che vede coinvolti Guido Candela (Università di Bologna), Marco Marcatili (Nomisma), Antonio Salvi (Università LUM Jean Monnet), Massimo Esposti (Plus - Il Sole 24 Ore), Marilena Pirrelli (Plus - Il Sole 24 Ore) come responsabili e Massimiliano Castellani, Simone Giannerini, Francesca Marini, Francesca Pagnini, Barbare Ravagli, Eulalia Rifè, Antonello Eugenio Scorcu come team del progetto, ha voluto fotografare l’andamento del mercato dell’arte negli ultimi anni, decretando l’arte - specialmente quella contemporanea che non ha subito rincari nel valore di mercato - come terreno sicuro per investimenti a medio termine. Prima dello studio condotto da questo team di ricercatori già Michael Moses, professore alla Stern School of Business di New York e studioso di investimenti nel campo dell’arte, intuì che gli acquisti più redditizi fossero quelli al di sotto degli 80.000 euro, con tassi di guadagno anche oltre il 6% appunto. Un investimento che appare più stabile di quelle speculazioni monetarie giocate su ambienti anche alternativi ai mercati azionari canonici (come il forex online trading ossia compravendita di valute con alto rischio), e che promettono una sicurezza fino a poco tempo di esclusiva competenza dell’oro e del mercato edilizio. In tutto questo vociare, dove esperti economisti si rivendono abili mercanti d’asta, il valore estetico , ossia la predominanza pura e indiscutibile del fascino eterno dell’opera sugli occhi dello spettatore, si vela e cede al gusto grottesco e villano della determinazione del prezzo, risibile pantomima dell’etichettare ogni cosa in termini monetari. Col risultato che anche l’arte perde parte della sua aura, e così anche del suo valore.

Paola Pluchino

EDITORIALE

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Gioventù potenziale la Redazione

Johannes Brahms - Ciaccona da Johann Sebastian Bach. Partita in RE min BWV 1004

Michele di Stefano e Margherita Morgantin cureranno la seconda edizione di Accademie Eventuali, laboratorio per la giovane creatività, a Bologna, in concomitanza con l’apertura di Artelibro, il Festival del libro d’arte dedicato quest’anno al tema Raccogliere è Seminare. Il progetto, rivolto agli studenti delle Accademie italiane è realizzato grazie al sostegno della Fondazione Carisbo e della Fondazione Furla e in collaborazione con Genus Bononiae, Mambo - Museo d’Arte Moderna di Bologna e Xing. Un titolo “spaventoso” - Agenti Autonomi E Sistemi Multiagente - per chi, ferrato di Storia dell’Arte, è abituato ad usare ben altra terminologia, abbondando in dimestichezza tra pittura à plat e dripping, tra ridefinizioni del campo d’indagine e oggettivazioni significanti di grado zero. D’altra parte spesso i non addetti ai lavori tacciano la verve del paroliere accademico, abbandonandosi in invettive circa l’oscuro uso che il critico fa della parola, votata più al camouflage che alla spiegazione chiara e sicura. Nel solco che questa diatriba traccia si pone l’iniziativa Accademie Eventuali, pamphlet di auspici condivisibili. Da qui, la scelta dei due - architetto e artista visiva l’una coreografo e performer l’altro - di utilizzare il titolo di un questionario della facoltà di Ingegneria dell’Informazione del Politecnico di Milano: “Uno dei motivi per cui Michele ed io ci siamo incontrati è perché frequentiamo entrambi quella zona di eco semantica intorno alle parole, un’area periferica delle implicazioni del linguaggio nella vita. Lo smarrimento in questa area può essere completo; l’attrazione per le istruzioni, i sistemi di sicurezza e i linguaggi tecnici inevitabile. E dunque su questa tensione tra il massimo controllo e lo spaesamento completo si muovono i nostri lavori. Immaginare una collaborazione tra simili sistemi aumenta, come la potenza matematica, la complessità o la annulla, in movimenti ugualmente interessanti”. I 10 studenti selezionati - Sara Benaglia, Giulia Bonora, Lara Delle Donne, Marta Guerrini, Lorenza Longhi, Barbara Matera, Camilla Monga, Sergio Policicchio, Paolo Puddu, Riccardo Vanni – seguiranno il laboratorio di Accademie Eventuali nella sede di Palazzo Pepoli, cui seguirà un’esposizione in collettiva. Accademie Eventuali Laboratorio per la giovane creatività Agenti autonomi e sistemi multiagente laboratorio con Michele Di Stefano/MK e Margherita Morgantin Bologna 10 -23 settembre Artelibro Festival del Libro d’Arte Raccogliere è seminare Bologna 21 - 23 settembre

Margherita Morgantin, disegno a pennarello in Une ville spatiale pour artistes di Yona Friedman, 2011

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I RACCONTI DI FEDRA Antropomiomachia di Andrea M. Campo

Rick James - Super Freak

“Amici, colleghi e compagni, il domani ci attende...” Un oratore esperto come lui sapeva bene che una pausa al momento opportuno sarebbe valsa l’attenzione di tutto l’uditorio. Senza scomporsi, finse di riprendere fiato e soffocò per un istante le ultime parole in un sospiro. Centinaia di orecchie si volsero verso il pulpito dal quale parlava e, soddisfatto, proseguì con fare marcatamente teatrale. “..e sarà un domani migliore per tutti noi” urlava roteando gli occhi al cielo, “finalmente manderemo via il nemico! La città sarà di nuovo libera”. Un fremito percorse la schiena di tutti, qualcuno si commosse ma tanti non sembravano del tutto convinti. Era l’ultima fatica per l’ingegner T. prima di dare il via alla Grande Opera, un sistema meccanico che avrebbe risolto i problemi di tutta la cittadinanza, ricreando l’ambiente ideale dove ricostruire una nuova vita. Pinki and The Brain - Still da Operation Sea Lion Il campo cominciava a svuotarsi, senza fretta, lentamente. Piccoli passi, appena percettibili, si susseguivano con cadenza regolare librandosi nell’aria gelida con impertinenza sempre maggiore. Pochi metri più in là, sotto il ponte dell’Accademia, due tra i più giovani chiacchieravano animatamente. “Non capisci, è l’unica soluzione possibile”, ripeteva F. “ è, ormai, una situazione insostenibile”, disse con tono serio, contraendo il volto in una smorfia pensierosa. “Fino a qualche tempo fa, quando ne vedevi uno, correva via terrorizzato in cerca di un posto dove nascondersi. Ora rimangono lì immobili, ostentando sicurezza, quasi arroganti, e ti fissano con i loro occhi vitrei in attesa che tu faccia la prima mossa. Sono diventati un pericolo!” “E tu credi che un po’ d’acqua basti a cacciarli via? - intervenne l’altro -sono sopravvissuti ad inondazioni e cataclismi di ogni genere e sono ancora qui! Hanno attraversato i secoli, prosperando e moltiplicandosi, e tu vuoi cacciarli con una diga!”. Si sentì vuoto, un sapore amarognolo iniziò a diffondersi sul palato. Inclinò il capo e con un leggero sorriso parlò caustico. “Dopotutto, ormai siamo abituati a vederli vicini alle nostre case, spuntare dal nulla per poi scomparire in un lampo. Siamo stati capaci di adattarci alla loro presenza, ormai viviamo quasi in simbiosi, mandarli via può essere un errore..”. F. osservò a lungo il suo compagno, riprese coraggio e continuando a banchettare rispose con decisione “Indubbiamente ci procurano la maggior parte del cibo, ma quanti di noi sono morti per colpa loro?”. Era riuscito finalmente ad aprire un sacchetto della spazzatura da cui proveniva un invitante profumino di croste di formaggio e bucce di arancia. Divise il bottino con il compagno. “Topi e uomini sono stati sempre in lotta per il dominio del territorio e fino ad ora siamo sopravvissuti grazie alla loro stupidità: se non si sterminassero a vicenda, noi saremmo scomparsi da secoli”. “Ma adesso- proseguì scuotendo i baffi -sono diventati troppi!”. Aveva colpito nel segno. Milioni e milioni di esseri avvolti nelle loro vesti multicolori stavano soffocando la città. Ma C. non era convinto che quella fosse l’unica soluzione. Assalito dai dubbi F. provò l’ultima spinta “Qualche mese fa è toccato ai colombi mandati via da Piazza San Marco. Come sono crudeli! Li hanno affamati per giorni, e prima o poi toccherà a noi. Credimi domani sarà tutto finito. Durante l’alta marea alzeremo la diga, e dopo la pioggia battente e la città sarà sommersa dall’acqua. Il livello del mare salendo eliminerà ogni traccia di essere umano. Ma non preoccuparti, come hanno sempre fatto, andranno a cercare altri luoghi, altre terre da sfruttare fino all’esaurimento. Il MOuSE è la nostra unica arma, domani saremo nuovamente i padroni di Venezia”. Soddisfatto andò via squittendo e lasciò l’amico solo sul bordo dell’imbarcadero. C. si fermò pensoso passandosi le zampe anteriori sulla testa, dalle orecchie fino al naso, mordicchiando ciò che rimaneva tra le unghie. Eseguì diverse volte il movimento, lasciando che i brividi alzassero il pelo grigio, fino all’arrivo di un giovane ubriaco che batteva una bottiglia vuota con un mazzo di chiavi. C. caricò il peso all’indietro e si lanciò nel canale immergendosi in un tonfo sordo. Sparì in un attimo tra le mucillagini muovendo in direzione della sua piccola tana ripetendo “Si, il MOuSE è la nostra ultima speranza”.

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SOUND FORWARD Soundwwwalk: azioni sonore nel cyberspazio di Pasquale Fameli

♬ Praticato a partire dal 2009 dagli artisti Jamie Allen, Constant Dullaart, Bernhard Garnicnig, Joel Holmberg, Peter Moosgaard, Ceci Moss, Julian Palacz, Michael Pollard e Will Schrimshaw, il Soundwwwalk1 è un tipo di performance basata sull’utilizzo di un comune browser per la navigazione in rete come insolito strumento di improvvisazione audiovisiva, attuata attraverso la combinazione di fonti sonore pubblicamente accessibili. La rete si configura, infatti, quale spazio ideale in cui andare a caccia di registrazioni vocali, campioni sonori e brani musicali di ogni genere da mescolare e sovrapporre in tempo reale. La scelta di operare con mezzi comuni (un notebook e un browser), non professionali e alla portata di tutti, è il riflesso di quella democratizzazione creativa messa in atto dall’attuale assetto mediale, ovvero dalla possibilità di livellamento e abbattimento delle barriere tra utente e autore offerta proprio dalla facile accessibilità dalla tecnologia digitale; a ciò consegue, pertanto, un riscatto della creatività amatoriale rispetto a quella professionale che strumenti quotidianamente utilizzati consentono, tanto nella produzione audio quanto in quella video2, favorendo l’emergere di un’estetica del basso profilo e della bassa definizione. La pratica del Soundwwwalk, che trasforma il diffuso e banale atto della navigazione in rete in un vero e proprio live audiovisivo, presenta molti punti di contatto con le esperienze sonoro-performative di John Cage e del movimento Fluxus, tanto da costituirne una prosecuzione ideale e tecnologicamente aggiornata. Innanzitutto va rilevato il carattere aleatorio e indeterminato di una simile pratica audiovisiva, costituita prevalentemente da missaggi volutamente approssimativi e imprecisi, realizzati con mezzi minimi e impro-

John Cage – Imaginary Landscape N.4

pri, che favoriscono l’emergere di imperfezioni e cacofonie, attraverso una logica che ricorda la nota performance cageana Imaginary Landscape N. 4 (1952) in cui il suono di dodici apparecchi radiofonici veniva combinato in un entropico flusso di musiche, voci e rumori dei programmi in onda, a rendere quelle relazioni simultanee che, secondo Marshall McLuhan3, sono proprie del ritrovato spazio acustico contemporaneo. Così come Cage e altri sperimentatori musicali hanno attinto all’intera sfera dell’udibile per la propria ricerca sonoro-performativa, i soundwwwalkers attingono all’illimitata quantità di materiali audio e video presenti su internet, dotandosi così di infinite possibilità combinatorie, operando con brevi frammenti sonori, registrazioni vocali e ambientali, oppure interi brani musicali, ricorrendo dunque a elementi audio già esistenti (non autoprodotti) e selezionati come ready-mades sonori da combinare in un unico flusso rumoristico. Ma l’aspetto che più riscatta il Soundwwwalk dal semplice sound collage, ormai ampiamente diffuso e praticato nella musica contemporanea, consiste nell’esplicitazione visiva del processo compositivo, che conferisce un forte carattere concettuale all’operazione; ciò che conta non è, infatti, il solo risultato sonoro, quanto la visualizzazione del procedimento che lo genera, giocato all’insegna di quell’“intermedialità” che l’artista americano Dick Higgins4 ha definito come “lo spazio compreso tra i differenti media”.

Tutte le immagini: Peter Moosgaard, still da performances, fruibili sul canale Vimeo e http://soundwwwalk.net COURTESY OF BERNHARD GARNICNIG

1 Cfr. il sito internet http://soundwwwalk.net per ulteriori informazioni su questo nuovo fenomeno artistico e per vedere i video delle performances. 2 Per più puntuali e approfondite riflessioni su tali problematiche si rimanda a G. BARTORELLI, Art/Tube. �������������������������������� L’arte alla prova della creatività amatoriale, Cleup, Padova, 2010. 3 Cfr. M. MCLUHAN, Il medium è il massaggio (1968), trad. it., Corraini, Mantova, 2011, p. 111. 4 Cfr. D. HIGGINS, Some Thoughts on the Context of Fluxus, in «Flash Art», n. 84-85, ottobre - novembre 1978, cit. p. 34. Cfr. anche il fondamentale D. HIGGINS, Intermedia (1966, New York), in Foew&ombwhnw, Something Else Press, New York, 1969, pp. 11-29.

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LET ME(ET) KNOW(LEDGE) TENTATIVO di #ESAURIMENTO di UN LUOGO definito #MONDO di Claudia Balzani

Alla stessa maniera dello scrittore Georges Perec mi sono seduta di fronte al computer ed ho osservato per più di tre giorni le fotografie delle vacanze degli utenti, amici, pseudo conoscenti e personaggi su facebook, twitter ed instagram. Ho aumentato l’offerta della ricerca interessandomi anche a pinterest, una novità delle bacheche di condivisione del tutto intuitiva creata nell’ottobre 2011 e già nelle top ten di tutto il mondo. Proprio questo social network si propone come sostituto delle porte e delle pareti delle nostre camere da adolescenti, le immagini sono appiccicate sulla bacheca virtuale in un susseguirsi di messa a fuoco dell’occhio attento del visitatore. Non posso, come storica dell’arte, far altro che sfogliare la mia bacheca mentale (organica e non informatica) ed estrarre il grande atlante di Aby Warburg, un immenso ed infinito -poiché pensato come tale- atlante di immagini dell’umanità, legate fra sé dall’energia creativa umana: parliamo delle basi della cultura europea e della sua stessa memoria. Fu infatti Mnemosyne1 il nome di questo ambizioso progetto presentato nel 1929 presso la Biblioteca Hertziana di Roma. “L’immagine è il luogo in cui più direttamente precipita e si condensa l’impressione e la memoria degli eventi. Dotate di un primordiale potere energetico di evocazione, in forza della loro vitalità espressiva le immagini costituiscono i principali veicoli e supporti della tradizione culturale e della memoria sociale, che in determinate circostanze può essere riattivata e scaricata. Nell’Atlante la giustapposizione di immagini, impaginate in modo da tessere più fili tematici attorno ai nuclei e ai dettagli di maggior rilievo, crea campi di energia e provoca lo spettatore a innescare un processo interpretativo aperto: la parola all’immagine.”2 L’utente ignaro non sa di partecipare ad un progetto ambizioso e storico-culturale, queste immagini, queste scelte, questi cinguettii virtuali sono la nostra scrittura nelle caverne: non bisogna avere alcun tipo di assolutismo nella distinzione tra ciò che è funzione e ciò che è struttura in una società mobile ed aperta come la nostra. Per questo la fotografia (ed in questo caso non sto parlando del mezzo ma della funzione) controbatte alla stessa domanda da ormai due secoli: rappresentarci, mostrare chi siamo e cosa facciamo, registrare il nostro tempo nello spazio, miniaturizzare i nostri momenti e consegnarceli come feticcio. Osservando le fotografie pubblicate sui maggiori social network e soffrendo di miopia verso l’esagerato fenomeno del paesaggismo da immagine da cartolina, ho notato una corrente verso la quale molti utenti scorrono o meglio vanno ad abbeverarsi: l’immagine intimista, il reperto trovato in strada, il muro sbriciolato, il colore dello smalto sui piedi, la linea di un cappello e l’ombra che ne consegue. Un’ondata (per continuare la metafora) d’immagini che non avremmo mai mostrato nel buio del nostro salotto assieme alle diapositive delle vacanze davanti agli amici di sempre eppure oggi sono queste le immagini alle quali siamo sottoposti, pur non ritenendoci gli amici di sempre o addirittura non conoscendoci. Si fa banchetto di sé, ci si aggrappa al click del fotofonino per fermare ciò che resta del tempo, per catturare il respiro delle cose, come un flaneur del ventunesimo secolo attento a ciò che succede quando non succede (apparentemente) nulla. Nel 1975 Georges Perec, grandioso esponente dell’OuLiPo.3, pubblicò “Tentativo d’ esaurimento di un luogo parigino” questo libricino ha la pretesa di essere una registrazione di ciò che i suoi

Air - Who am i now

Nel 1929 tenne alla Biblioteca Hertziana di Roma la conferenza su Mnemosyne, esponendo il progetto di un atlante illustrato, Bilderatlas Mnemosyne, dedicato alle emigrazioni e sopravvivenze delle antiche immagini di divinità nella cultura europea moderna. 1

Tratto da La Rivista di engramma, n.35 agosto–settembre 2004http://www.engramma.it/engramma_v4/homepage/35/ index_atlante.html 2

Acronimo dal francese Ouvroir de Littérature Potentielle, ovvero “officina di letteratura potenziale”. 3

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occhi hanno visto durante quattro giorni passati tra place Saint-Sulpice e il tavolino di un bar; più che uno scorrere di immagini questo libro costringe a pensare ad un tentativo di aggrapparsi alle lancette dell’orologio con tutta la forza che si ha, un tentativo di combattere questo fluire con uno scorrere differente, quello delle parole. Ma già il titolo è una premonizione: questo è solo un tentativo poiché pare impossibile esaurire uno spazio nella sua fisicità e temporalità. Noto oggi nelle fotografie intimiste, accennate in precedenza, questa stessa rinuncia a priori di una visione più larga e meno avvolgente, una rinuncia che non classifica più “ciò che succede quando non succede nulla” come un’eccezione, anzi, di questo nulla fa tesoro e proposta verso una minuzia ed una tensione tipica della visione attuale. Contro ogni critica ed involuzione queste nuove generazioni di utenti virtuali, figlie di un marketing senza religione, provate da anni di consumismo di cui essi stessi sono la creazione finale, mostrano una tendenza auto celebrativa e intimista, a sprazzi pubblicitaria e patinata, tendente alle grandi ricerche ora classificate come vintage. Inghiottiti da un vortice di icone, pixel e continue trasformazioni vivono i progressi della scienza con lo stupore e l’adattamento immediato, ogni scoperta viene assimilata e fatta propria: la conoscenza delle strutture ci distanza dalla generazione dei nostri nonni (e spesso già da quella dei nostri genitori) come fossimo colonizzatori rispetto ad un popolo di aborigeni. Ma queste strutture vertono su funzioni e software di vecchissima datazione: le immagini infatti hanno lo stesso potere e la stessa energia delle scritte rupestri ed il loro utilizzo funziona ad oggi come una traccia di sé. Ed io delle mie vacanze voglio lasciare solo la mia ombra sulle strade di Matera, un calice di vino in piazza a Bologna e qualche vestito appeso al mio armadio: salvo tutto questo sotto la cartella giusta ed il mio atlante per ora è aggiornato.

Pinterest shot

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Aby Warburg, Mnemosyne, La ninfa in movimento, 1928-1929


Diamoci un taglio!

I digital mash-up di Fajar P. Domingo di Federica Fiumelli

Soulwax – NY Lipps

“Diamoci un taglio! Ai cliché, all’accademismo, al vecchiume che tarpa le ali.” Qualcosa del genere deve averlo pensato sicuramente Hannah Hoch nei ruggenti anni venti, in pieno slancio Dada. Una delle artiste che ha fatto del collage una vera e propria tendenza artistica esteticamente attraente e rilevante. Bisogna però certamente ricordare che i primissimi esempi del nostro signor collage sono stati quelli di due del calibro di Braque e Picasso, per non dimenticare poi i tentativi dei nostri futuristi, da Soffici a Balla e Carrà (restando in clima Dada, bisogna anche ricordare Hausmann, Arp, Grosz, e Heartfield). La Hoch però rimane quella più affascinante con i suoi ritagli presi da giornali e rotocalchi di moda, le protagoniste dei suoi collage vengono brillantemente definite da Fabriano Fabbri nel libro Il buono, il brutto, il passivo come Veneri Storpie, riprendendo un titolo della Consoli. Corpi scomposti, sgraziati, anti-seducenti e anti-stereotipati, anticipando quindi operazioni artistiche firmate Sherman o van Lamsweerde. Proseguendo negli anni, la parabola del nostro protagonista collage è costellato da nomi come Paolozzi, Hamilton, Blake, soprattutto in ambito Pop, con immagini di oggetti di consumo e kitsch, colori flash e brillanti. Arrivando agli anni Novanta del XX secolo, il collage scorge il mondo digitale, Hannah Hoch, Da-Dandy, 1919 mixandosi così al mondo fotografico e a notevoli effetti speciali; Botto & Bruno, Giacomo Costa, Aziz+Cucher, Kensuke Koike, ce ne mostrano di geniali. Questo artista ha circa 14.000 persone che lo seguono laIl collage tiene fortissimo il passo con le nuove tecnologie, sciando commenti di apprezzamento riguardo ai suoi lavori. fornendoci nuovi esempi estetici. Lavori che arrivano all’occhio veloci, che catturano l’attenRecentemente ha catalizzato l’ attenzione di una frangia di zione per quelle piccole atmosfere ricreate in piccoli riquastudiosi del settore delle arti visive il lavoro di un artista: dri. Queste creazioni, caratterizzate da colori tenui, forme Fajar P. Domingo. geometriche, precise, sono attraenti come pubblicità. Figure Digital mash-up’s Reconstruction. di persone che sembrano ritagliate da Questo e molto altro fotografie nostalgiche in bianco e nero, Composing only with iPhone4 apps – mostly ArtStudio. From Jakarta, catapultate poi in cieli, prati o deserti potrete trovare nel Indonesia. With Love. Not selling my dal sapore metafisico. mondo Dominghiano, Un effetto straniante e surreale che avworks. Così si presenta nella breve introduziopopolato di richiami, volge queste piccole scene congelate, ne su Instagram. condite da elementi ritagliati da chissà citazioni, situazioni Ed è proprio lì che si possono seguire i quale parte per poi ritrovarsi in un cocsuoi lavori day by day che lui produce paradossali e surreali ktail dell’assurdo. e pubblica tramite l’ausilio di sole app E allora navi che volano più piccoli di che appaiono come per iPhone. Facendo così rieccheggiare immensi uomini-oasi in deserti sconla lezione più grande del secolo scorso finati, fari e fattorie, case, strutture di poesie visive, Tutti possono fare arte! impartitaci da cemento minimaliste, uomini che guarbrevi, intense padrini come Duchamp e Warhol. La dano nell’infinito come quello di Friedemocratizzazione oggi sembra essere possibile, grazie a drich, gemelle alla Arbus che al posto del volto hanno un prodotti come quelli di casa Apple, e ad applicazioni come fascio di colore rosso infinito, e ancora mucche solitarie e Instagram di facile e rapido utilizzo. fluttuanti nei cieli, capre testarde, cervi casuali.

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Ma non è finita: l’enumerazione fantastica di Domingo trasuda di flash all’Alice nel Paese delle Meraviglie, dove quello che è non è, e quello che non è, è. E allora gambe con calzettoni a righe compaiono immense dal cielo come se piovessero, gli uomini volano e gli umani possono sedersi sulle nuvole, il prato è al posto del cielo e i bambini che vanno sull’altalena prendono la rincorsa sulle nuvole, e poi un uomo barbuto sovrastante dal sorriso immenso, contiene in sé tutto il cielo, proprio come un uomo magrittiano. Un uomo gallo, un pesce rosso gigante gioca con una bambina in un prato di rose, un paracadutista lillipuziano atterra su un teiera rossa a pois che piacerebbe tanto alla Kusama. Questo e molto altro potrete trovare nel mondo Dominghiano, popolato di richiami, citazioni, situazioni paradossali e surreali che appaiono come poesie visive, brevi, intense. Sembrano richiamare da lontano, con un sottile eco, la poetica del Gruppo ‘63, delle poesie di Sanguineti come “Quattro Haiku”: 1. sessanta lune: i petali di un haiku nella tua bocca: 2. l’acquario acceso distribuisce le rane tra le cisterne: 3. è il primo vino: calda schiuma che assaggio sulla tua lingua: 4. pagina bianca come i tuoi minipiedi di neve nuova: Peter Blake, Venice Dancing, 2009

Piccole immagini, brevi sensazioni, attimi folgoranti. Un’ intensa brevità congelata di visione, racchiudono i collage digitali o meglio i mash up di Domingo. E un’ultima splendida immagine, un uomo che spara fiori rosati. Un messaggio portatore di tanti auguri, come quello di anti-violenza. E come recitava Apollinaire: E i cannoni dell’indolenza I miei sogni sparano verso i cieli.

Fajar P. Domingo, Flowers, 2012

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Fajar P. Domingo, Senza Titolo, 2012


MACADAM MUSEUM Roma col naso all’insù

Outdoor, il festival di Arte Urbana di Roma, arriva alla sua terza edizione e esorta il pubblico a “guardare in alto” ♬

di Elisa Daniela Montanari

Shane Newville - dunkin donuts

L’estate sta giungendo al termine e con essa anche la prima parte del festival che, ormai da tre anni, richiama a Roma artisti di calibro internazionale del mondo della Street Art: OUTDOOR 2012 Urban Art Festival. “Guarda in alto”, è lo slogan scelto quest’anno per esortare la città a vedere oltre i limiti imposti dal paesaggio urbano e riscoprire una Roma migliorata, in cui i colori e la gioia di vivere riempiono lo sguardo. L’edizione del 2012, prodotta da NuFactory, è stata affidata alla curatela di Simone Pallotta, attivo nel territorio romano nell’organizzazione di eventi di arte pubblica, affiancato dal team di Walls-From Graffiti to Public Art.

sola vita suscita curiosità ed interesse, ha vissuto in una grotta per un anno, in un camion per un anno e in una tenda per un altro anno. Sperimenta diverse tipologie di formati e di tecniche quali i graffiti, collage, sculture, grafica, pittura e video. Lui stesso definisce la propria Sam3 Outdoor 2012 Urban Art Festival Roma via Ostiense, 193 Il “Festival mira a lasciare una traccia permanente nel co- arte “post-graffiti” Photo by Daniela Pellegrini stume, nelle abitudini e nel modo di vivere le aree urbane”, per dare l’idea di un afferma Francesco Dobrovich, uno dei fondatori di NuFac- lavoro che oltrepassa tory, e si propone di consolidare il legame, instaurato nella i confini del Writing, inteso come lo sviluppo della propria prima edizione, tra il tessuto urbano e la Street Art. Tutte le tag o firma, per concentrarsi su una più vasta espressione edizioni del festival hanno avuto luogo nel quartiere Ostien- artistica. Le sue opere sono una mescolanza di elementi se, cuore dell’iniziativa, sobborgo dal passato operaio, che che producono un’armonica unione di segni grafici, colosi propone oggi come centro culturale. Altre quattro ope- ri e superfici. L’opera realizzata per Outdoor 2012 consta re permanenti si andranno ad aggiungere alle cinque della in una realizzazione “concreta” o astratta che non rapprescorsa edizione, candidando la zona senta nulla se non l’opera in sé. Non Si conclude la prima parte essendoci un significato predefinito, a punto di riferimento della Street Art internazionale in città. ogni spettatore è libero di attribuirle del Festival che vede quello che più lo soddisfa, creando alternarsi per le vie di Roma in questo modo una sorta di legame Il Festival è scandito da due momenti distinti. La prima parte, conclusasi Street Artist internazionali. intellettuale e spirituale con l’opera a fine Luglio, ha visto alternarsi per stessa. Il quartiere Ostiense le vie del quartiere tre artisti interBorondo, giovane artista spagnolo, nazionali che hanno lasciato il protrasferitosi a Roma nel 2011 si è imguadagna altre tre opere prio segno indelebile sulla pelle della posto nella scena artistica della città. spettacolari. La seconda città. Il suo stile si basa su un uso calibraMomo, artista americano, cui già la to del colore, soprattutto del nero, parte a Settembre

Borondo Outdoor 2012 Urban Art Festival Roma via Ostiense, 206. Facciata laterale. Photo by Daniela Pellegrini

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che attraverso l’uso di sfumature conferisce effetti eterei alle figure antropomorfe, suo soggetto prediletto, dotate di emozioni profonde e di un velo palpabile di malinconia eterna. Il tema che ha sviluppato nella sua opera per Outdoor 2012 si riallaccia al contesto, in particolare all’uso dell’edificio che è Borondo Outdoor 2012 Urban Art Festival Roma via stato chiamato a diOstiense, 206. Facciata principale. pingere, il centro di Photo by Daniela Pellegrini cultura omosessuale “Mario Miele”. Per l’occasione sceglie di rappresentare nella facciata principale il mito platonico dell’origine dell’uomo, per il quale tutti gli essere umani venivano al mondo attaccati per la spalla a un altro essere umano: uomo-uomo, uomo-donna, donnadonna. Gli umani, che volevano essere indipendenti, chiesero agli dei di separarli, e da allora sono alla continua ricerca della propria metà perduta. Nella facciata laterale sono rappresentate sette enormi figure di donna nell’atto dello svelamento: tutte possedevano un velo che copriva loro il corpo e vengono rappresentate nel momento della rivelazione della propria identità. Sam3, artista spagnolo, sviluppa un discorso artistico improntato sulla figura umana, attraverso le sue inconfondibili silhouette nere senza volto e senza identità. Predilige il mo-

nocromatico e crea forti contrasti di colore alternando pieni e vuoti, inglobando la superficie stessa nel processo artistico. La sua sorprendente capacità, oltre a quella di padroneggiare tecniche diverse, risiede nel riuscire a comunicare emozioni e sentimenti bilanciando gentile poesia e schiacciante ironia. La sua missione è quella di rivelare attraverso l’arte, la realtà nascosta nella vita di ogni giorno, per fare ciò utilizza immagini sintetiche e simboli che, dietro la loro apparente semplicità, nascondono sempre significati alternativi. A settembre prenderà il via la seconda parte del Festival, che vedrà in scena l’artista romano Brus. La sua carriera comincia negli anni Ottanta, periodo in cui la Street Art fa il suo ingresso nella capitale. Le radici del suo lavoro risiedono nel puro Writing, impegnandolo in una costante ricerca calligrafica che oscilla dallo stile gotico a un moderno stile tipografico, adatti a essere riprodotti in qualsiasi dimensione. Gli eventi collaterali prevedranno una mostra fotografica di Andrea Nelli DID YOU EVER SEE A WOMAN che avrà luogo nelle Officine Fotografiche dal 14 al 26 Settembre, in occasione della quale verrà presentato il libro GRAFFITI A NEW YORK edito da Wholetrain Press, che raccoglie gli scatti del fotografo. Il 21Settembre l’Ambasciata brasiliana presenterà il progetto realizzato dai due artisti Rachel Rosalen e Rafael Marchetti, TERRITORIOS COMPLEXOS, che attraverso installazioni video offrirà al pubblico romano visioni inedite della produzione artistica contemporanea di San Paolo.

Momo Outdoor 2012 Urban Art Festival Roma via del Commercio, 9 Photo by Daniela Pellegrini

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PEANUT GALLERY La drammaturgia della stalla

All’interno del Teatro Civile Festival di Monte Sant’Angelo intervista con Matteo Latino, vincitore del premio Scenario 2011 per le nuove drammaturgie contemporanee con lo spettacolo INFACTORY di Elena Scalia

Guns’n’Roses – Welcome to the jungle

Dal 20 al 24 luglio il Castello di Monte Sant’Angelo (Città Unesco) ha ospitato il Teatro Civile Festival di Legambiente che giunto alla sesta edizione è diventato un riferimento per gli artisti del teatro sociale, impegnati a denunciare, suscitare emozioni e riflessioni, proporre il cambiamento. Quest’anno il festival, come FestambienteSud, si è concentrato sul tema della crisi globale e della “fine del mondo”. http://www.festambientesud.it/index.php?lang=1&ch=teatro&cat=null. All’interno della sezione di teatro contemporaneo si sono susseguiti una serie di lavori che esplorano linguaggi teatrali differenti, ma tutti incentrati sull’osservazione e sull’analisi di una realtà sociale, politica, ambientale ed esistenziale i cui effetti risultano avere la stessa potenza di una vera e propria bomba a orologeria; una realtà che vista attraverso gli occhi di questi artisti pone domande ma esige al più presto anche risposte e soluzioni chiamando in causa ognuno di noi. Tra le varie compagnie il festival ha ospitato Matteo Latino/Teatro Stalla vincitore del premio Scenario 2011 con lo spettacolo INFACTORY. Ci è sembrato importante approfondire la conoscenza di questo artista/“artigiano” e della sua poetica visiva che a nostro avviso elabora e riflette una condizione troppo spesso trascurata, quella della giovane generazione contemporanea. 1) La prima domanda riguarda la tua formazione artistica, ci puoi parlare del tuo percorso? Ho incontrato il teatro da poco. Alla fine della Laurea in Economia a Napoli ho capito perché avevo scelto quel corso di laurea. I numeri e i loro equilibri sono un elemento fondamentale per il teatro e la scrittura che ho in mente. Subito dopo ho frequentato una scuola di recitazione a Roma. È stato un triennio impegnativo con un forte impatto. Gli studi erano indirizzati prevalentemente ad una formazione attoriale. Eppure ho sempre avuto una propensione alla costruzione della scena e del testo, questo grazie anche a Maestri che hanno saputo passare conoscenze importanti non relative solo al lavoro dell’attore in quanto interprete, ma arricchendo il lavoro con una visuale più ampia. Una volta andato via dal mio paese, pensavo di trovare qualcosa che la provincia, ancor di più la provincia del sud, non era stata in grado di darmi. Ho scoperto con piacere che avevo ricevuto tutto. Dovevo solo riconoscerlo. Finito il triennio di recitazione ho avuto altre esperienze di teatro, ma posso considerare INFACTORY e il PremioScenario come l’inizio di un percorso che mi vede lavoratore a tempo pieno nel teatro. 2) Come nasce il progetto Infactory? In particolare da dove viene l’immagine fondante dello spettacolo: la metafora tra i vitelli in stabulazione fissa prossimi al macello e la condizione della giovane generazione contemporanea? I miei genitori possiedono un agriturismo. Per me questa struttura è tutto. Rappresenta tutte le mie debolezze e tutti i miei punti di forza. Per la costruzione dell’agriturismo la mia famiglia, che partiva da una situazione serena, ha investito tutto. Non solo dal punto di vista economico. Ma energie, emozioni, serenità familiare, scambi di idee, attenzioni, tutto ha subito una trasformazione da quando abbiamo iniziato a costruire questa struttura, dove non sempre il sacrificio e l’onestà trova la giusta retribuzione. Queste sono le verità del nostro Paese. Da qui che si deve partire per capire le diffi-

coltà economiche, emotive e lavorative che affliggono oggi il Paese e in particolar modo la mia generazione. Una generazione che sarebbe dovuta diventare linfa nuova della società contemporanea, e che ancora non è in grado d’essere indipendente. Una generazione che spesso ha paura di rischiare, o che forse non sa rischiare. Ora possiamo parlare dei vitelli. Ogni volta che andavo al caseificio dell’agriturismo a prendere i prodotti da servire ai clienti, attraversavo le stalle. E osservavo i vitelli. Fermi li. Di fronte al macello. Mi sono sempre chiesto se percepissero quella porta di ferro, rossa, come un pericolo. Di solito, quando si macella un animale, maiale, vitello, pecora o capra, qualsiasi animale, tutti gli animali della fattoria percepiscono il pericolo e si agitano. Nelle ore e alle volte nei giorni a venire diventano diffidenti. Non si avvicinano. E poi torna la fiducia. E riprendono a mangiare. Ed è li che si annida il pericolo. Bisogna continuare ad avere fiducia? Lo stesso accade a noi. Verso le Istituzioni, verso quell’educazione che riceviamo e che ci trasmette fiducia. Da piccoli ci fidiamo dei nostri genitori, come loro si fidano del Sistema. Credendo nella for-

Still dello spettacolo di Matteo Latino, INFACTORY

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mazione dell’individuo attraverso un percorso di studi e una minuti. Arrivati in finale si ripresentano i venti minuti. Ogni famiglia che perde sempre piu credibilità. Facendoci credere selezione prevede un colloquio con la commissione, che ha che un giorno potremmo essere liberi con le nostre conoscen- la funzione di indirizzare gli artisti. Per me i colloqui sono ze. Liberi di mettere in pratica tutte le conoscenze acquisite. stati incontri di valore più che incontri di lavoro. Scambi di Liberi di svolgere la professione per idee embrionali e di possibilità fula quale abbiamo studiato. Eppure Una generazione che sarebbe ture che hanno permesso, a me e al ci si ritrova di fronte a un macello lavoro, una crescita costante e dovuta diventare linfa nuova mio economico, emotivo, sentimentale. costruttiva. Cosi come è strutturato, Perché non ribellarsi? Perché i vitelli della società contemporanea, il premio permette uno sviluppo del grossi cinque volte il loro carnefice progetto graduale e intenso, dandoti e che ancora non è in grado la possibilità di riflettere su ogni ognon si ribellano con una cornata? Perché i giovani nel pieno delle loro getto, parola e movimento. d’essere indipendente. forze, delle loro energie, non riescoUn altra tappa importante fondano a trovare la determinazione giu- Una generazione che spesso mentale per la realizzazione del sta e il coraggio indispensabile, per progetto è stato l’incontro con il Kolha paura di rischiare, ribellarsi a questo macello? Questo è latino Underground a Roma. Il Kollastato il punto d’incontro tra il vitello o che forse non sa rischiare tino è la mia residenza artistica. Uno e me. Il divenire animale dell’uomo e luogo dove si può lavorare con tutti il divenire uomo dell’animale. C’è un punto dove le due esi- gli strumenti indispensabili. Se non ci fosse stato il Kollatistenze si incontrano nel loro divenire terza entità. E lì, che no sicuramente INFACTORY avrebbe avuto un’altra forma, secondo Deleuze, possiamo trovare la poetica. Ho cercato di influenzandone l’effetto. In più lavorare in uno spazio del geevidenziare questo punto d’incontro e di metterlo in scena. nere diventa una scelta. Non significa soltanto portare avanti una semplice idea di teatro indipente, ma portare avanti uno 3) Quali sono state le tappe e i tempi del processo ar- stile di vita tale da permettere un piccolo cambiamento della tistico dell’opera? società. E credo che alla base di ogni lavoro, di ogni indiviQui bisogna parlare del Premio Scenario e di come è struttu- duo, di ogni opera d’arte deve esserci questo obiettivo. Altrirato il premio. Le fasi sono tre. Inizialmente viene presentato menti vivremo solo per realizzare la nostra piccola carriera, il progetto e cinque minuti dello spettacolo. Una volta supe- il nostro piccolo io, senza trasformare lì dove necessita una rata la prima fase, si arriva in semifinale presentando venti trasformazione. Credo che ognuno di noi abbia una funzio-

Still dello spettacolo di Matteo Latino, INFACTORY

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ne. La sfida di noi giovani, responsabili del futuro, è capire quale sia la nostra di funzione per poter esprimere tutto il nostro potenziale. Qualsiasi essa sia la forma. Il Kollatino mi ha aiutato ad avere un’indipendenza artistica. Non solo perché avevo uno spazio dove poter lasciare gli oggetti e dove provare, ma perché si è trasformato, e a sua volta ha trasformato me, in un’occasione di crescita. LA RICERCA. Questo ha permesso. Tralasciando l’esito Matteo Latino ad un’osservazione più personale e intima, questi Spazi permettono di ricercare nuove forme di comunicazione ed espressione. Nuovi linguaggi e nuove tecniche di racconto, per aiutare sempre più, e qui torna il grande obiettivo, quello a lungo termine, per aiutare dicevo la società, a vivere meglio. Essere felici. Dopo il debutto allo Short Theatre, farò lo spettacolo al Kollatino. Organizzando anche un piccolo cartellone stagionale. Partiamo con l’autunno. Poi si capirà. Intando stiamo tutti aspettando l’assegnazione dello spazio dalla Provincia che, come ogni cosa frutto del sistema occidentale, tarda troppo ad arrivare. 4) Ciò che rende Infactory un’opera d’arte di forte impatto emotivo risiede, a mio avviso, nel fatto che ogni immagine, azione, ritmo e parola arriva allo spettatore come agita, sofferta, lavorata, smussata, elaborata e costruita fin nei minimi dettagli. Questo spettacolo risponde ad un’urgente necessità interiore? Nasce ed è guidata da alcune domande guida? Avevo una grande necessità, per questo sono nato. Per essere qui, in questo mondo, con questi tempi e con queste regole, bisogna per forza di cose avere una grande necessità. Io ne avevo una, altrimenti non avrei scelto nuovamente di nascere essere umano. Così ne aveva una lo spettacolo, che si è fatto strada nei miei pensieri, nelle mie quotidianità, fino ad emergere e presentarsi nella sua forma completa. Tutto quello che racconto, che descrivo con immagini, suoni, parole, è sempre stato dentro di me. Il mio unico impegno costante è stato quello di dargli una forma. Concretizzare la necessità, dandomi la possibilità di condividerla con altri. AGITO. Come ogni cosa, dietro la forma di presentazione c’è un lavoro enorme di preparazione. Sarebbe stato un errore raccontare INFACTORY eliminando la fatica fatta per realizzarlo. Questo è quello che a me piace vedere al teatro, al cinema, in un concerto, dietro una fotografia. Non la perfezione. Non mi interessa. Cerco la verità costruita con la giusta fatica. RITMO. Credo che siano due le funzioni che possa svolgere la musica all’interno di uno spettacolo. Una quella emotiva. L’altra è quella fisica. Uso prevalentemente la musica per soddisfare una necessità fisica. Lo spettacolo inizia con lo JumpStyle. Una tecnica di ballo che ho scoperto da poco e che subito mi

è sembrata potermi tornare utile. Cosi per la musica techno. Arrivo in sala prove che è tutto scritto. Le immagini definite. Per questo mi aiuto molto con i disegni, che poi sono diventate vere e proprie illustrazioni. Dove non rappresento spazi scenici, ma condizioni emotive. Ciò che rende possibile questo è la volontà incessante di sapere. Il desiderio di dire, pensare, rappresentare. È un processo fatto di tante piccole negoziazioni tra differenti livelli di desiderio, in costante movimento tra scelte consapevoli e pulsioni inconsce. 5) I due personaggi, vista la loro interscambiabilità e l’assenza di dialogo, sono la stessa persona o rappresentano due persone con il medesimo vissuto? L’ ho capito mentre scrivevo che erano facce diverse della stessa medaglia. Una volta realizzato che il vitello e il ragazzo viaggiavano sulla stessa frequenza, non ho fatto altro che assecondare il tutto con la scrittura e con i disegni. In fondo, non possono essere che due emotività della stessa entità. L’uno diviene l’altro. Come sostiene Deleuze con la sua teoria del DIVENIRE. Muore uno per lasciare spazio alla morte dell’altro. 6) Ad un anno dal premio Scenario, che riscontro ha avuto lo spettacolo tra gli spettatori? Questo lo dovrebbe chiedere a loro. Io posso dire che come prima esperienza di regia, scrittura e gestione di uno spettacolo sono più che contento. Ancora di più perché ho vinto un premio. Naturalmente le difficoltà sono triplicate all’improvviso. Ma credo di aver tenuto botta. Va considerato poi che viviamo un periodo di profonda crisi. E questo non aiuta chi vuole iniziare un percorso da zero. Ma ormai credo che la mia generazione, e questo lo dimostra lo spettacolo, ne è consapevole. 7) I tuoi progetti lavorativi futuri? Dopo lo spettacolo ho pubblicato INFUMETTO INFACTORY e ho realizzato il corto cinematografico INFACTORY INMOTION. Ora sto lavorando al nuovo spettacolo BAMBY SEYS FUCK e alla performance CONTAINER. Infine sto cercando di realizzare la dimora del Teatro Stalla. Ossia la trasformazione di una parte delle stalle dell’ Agriturismo MonteSacro in un teatro - sala prove, dove poter lavorare e ospitare altri gruppi. Spero a breve di poter realizzare questo obiettivo.

Still dello spettacolo di Matteo Latino, INFACTORY

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Silvia Gribaudi e Chiara Frigo all’Edinburgh Fringe Festival di Federica Melis

Nella suggestiva capitale scozzese, fra leggendari castelli e selvaggi fiordi, ritorna dal 3 al 27 agosto l’attesissimo Edinburgh Fringe Festival. Giunto alla sua sessantacinquesima edizione, vanta il primato di maggiore festiSilvia Gribaudi val di arti performative al mondo: oltre 2.500 spettacoli distribuiti in più di 260 locations e messi in scena da artisti provenienti da oltre 60 nazioni. Evento dal carattere -come gli stessi numeri da capogiro attestano- assolutamente fuori dell’ordinario così come il programma che, spaziando dal teatro d’opera agli spettacoli di strada, ricalca il contrasto urbano fra antico e moderno fino a fonderlo nel proprio DNA. Armonico contrasto che si ripete anche nelle partecipazioni artistiche: non solo un palco collaudato e prestigioso per le celebrità, ma anche una vetrina d’eccezione che punta i riflettori su talentuosi artisti emergenti. In questo strabiliante contesto, approdano dall’Italia, gli spettacoli di due personalità emergenti della giovane danza d’autore italiana contemporanea: A Corpo Libero e Suite-Hope presentati rispettivamente dalle coreografe e danzatrici Silvia Gribaudi e Chiara Frigo. Unite dalla provenienza geografica -entrambe sono venete- le due artiste condividono anche la stessa missione: comunicare. “In questo momento il mio interesse verte molto sulla comunicazione- spiega Chiara

Frigo - cioè sul rendere comunicativo un lavoro. Ritengo che sia responsabilità dell’artista comunicare qualcosa; non necessariamente qualcosa di importante, ma qualcosa di vero, di onesto, di più o meno intimo”. Un compito che lungi dallo svolgersi sotto una prepotente spinta moralizzatrice, non mira tanto all’educazione dell’uomo, né a sostenere la dicotomia giusto-sbagliato, quanto a liberare l’arte sia dal gravoso onere precettistico, sia a svenChiara Frigo tare il pericolo della vacuità del solo involucro, affidando all’artista la responsabilità di essere vero, onesto e intimo. Attrice, danzatrice, video maker, laureata in biologia molecolare, Chiara Frigo è seguita con attenzione dal 2006, da quando destò l’attenzione con Corpo in doppia elica. Qui era il corpo a trasformarsi in un’elica di Dna, a diventare mattone della vita, a evocare la sensazione del nascere e del morire in un continuo alzarsi per poi accartocciarsi, scomporsi e ricom-

Il popolo di carta in Suite-Hope

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Tavares - More than a woman


porsi. Il connubio danza e scienza prosegue anche nei successivi lavori:Takeya, tema la velocità, come etimologicamente richiama il titolo scelto, e Nonsostare, gioco di parole per indagare il movimento. Nel frattempo l’artista vince, oltre a numerosi premi italiani e internazionali, una residenza a La Caldera di Barcelona e il bando Reform/Dance al Pim off ed infine Suite-Hope, finalista del Premio Silvia Gribaudi in A Corpo Libero Prospettiva Danza Teatro 2011 e appena selezionato tra i finalisti 2012 di Aerowaves Dance Across Europe . Suite-Hope, spettacolo per due interpreti e un popolo di carta, come recita il sottotitolo, svolge un’indagine sul tema della speranza e della sua attualità nella società contemporanea. Si parte da un esodo, da un viaggio che rappresenta una necessità connaturata e, dunque, comune a tutti gli uomini di trovare un luogo di esistenza possibile. Insieme alle due interpreti (Chiara Frigo e Marta Ciappina) appaiono in scena alcune sagome umane fatte di cartone (il popolo di carta) che sembrano possedere vita propria: cadono, si rialzano, si allineano e poi nuovamente si scompongono. La speranza, legata al corso della vita, inevitabilmente diviene ciclica. Un viaggio segnato da due curve complementari che paradossalmente nell’unione posseggono due direzioni e due versi opposti. Un incontro e un addio, perché nella vita nulla accade senza separazione; come ben rappresentano le due performer spogliandosi delle numerose magliette, ognuna recante un’icona dell’umanità, da Lenin a Che Guevara, da Marylin Monroe a Martin Luther King, finchè non rimangono che Chiara Frigo e Marta Ciappina, ognuna icona di sé stessa. Per trovare la propria strada dobbiamo liberarci, quindi, della finta sicurezza celata nell’appartenenza e nell’omologazione, imparando a ritrovarsi anche nella solitudine.

Chiara Frigo e Marta Ciappina in Suite-Hope

Silvia Gribaudi, coreografa, danzatrice e docente di danza all’Accademia Teatrale Veneta, è autrice numerose creazioni performative: Un Attimo, 2008 ; Wait, 2011, dove il tema è l’attesa; Non è mai troppo tardi, 2011, progetto in forma di laboratorio destinato alle donne over 60 non professionalmente coinvolte nell’ambito della danza e che indaga i temi dell’identità femminile; Toys? Move On, 2012, progetto di Art in Action nelle città in cui il pubblico viene invitato ad agire su un percorso ispirato all’articolo 4 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; del 2009 è invece A Corpo Libero, rappresentato con un successo di oltre 80 repliche a livello nazionale e internazionale, vincitore del premio pubblico e critica GD’A Veneto 2009, selezionato in Anticorpi XL 2010 e Aerowaves Dance Across Europe. A Corpo Libero, affronta un tema che gioca un ruolo fondamentale nella società contemporanea, quello dell’immagine corporea, e la Gribaudi, con sorprendente ironia, si diverte a svelarne il grande paradosso. Perché se da un lato sembra condividere l’idea di subire in modo inconscio l’abilità di pochi iniziati che celano la donna in immagini segretamente codificate -prendendosi gioco di un’ingenuità tutta al femminile-, dall’altro appare chiaro che, in questa passività, vi sia una presa di coscienza: l’immagine passa attraverso filtri soggettivi che attivano letture in termini storici, culturali, psicologici più o meno interiorizzati. Ecco perché una donna con un corpo inadatto alle pagine patinate di una rivista, che non entra nelle taglie del canone tradizionale di bellezza, dopo una lotta con un vestito troppo corto e troppo stretto o che ostinato che non vuole assolutamente saperne di coprire gli inestetismi lipidici su cui si concentrano le attenzioni di una società fatta di cliches, cerca di domare, con ostentata forza, una stoffa dotata di disobbedienza intelligente. Ma la lotta cessa, e quella stessa stoffa, prima acerrima nemica dall’elastico sfuggente, diviene poi complice di un gioco, di una danza portatrice di una spontaneità perduta, finché in questo meraviglioso rituale d’accettazione anche la stoffa diviene di troppo e finalmente il corpo si scopre rivelando sé stesso.

Silvia Gribaudi in A Corpo Libero

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IN CONVERSATION WITH Masaru Kashiwagi e il giardino delle ombre di Paola Pluchino

Nato a Sendai, nella prefettura di Miyagi, in Giappone si trasferisce a Venezia a 29 anni dove comincia la sua attività di scultore. Oggi, a distanza di trent’anni, si racconta.

Il modus operandi Sculture, disegni, incisioni, reti come scheletri corporei; ferro, rame, materiali che contribuiscono a creare l’aura del significato dell’opera; due elementi in comune: l’uso del monocromo e la presenza del doppio. Vuole raccontarci il suo lavoro? Nella mia scultura molti mi domandano perché la testa è piccola e il corpo invece grande, ma per me queste sono le giuste proporzioni. Le persone sono abituate ad immaginare la testa grande e il corpo piccolo, perché usano e pensano tante cose con la testa, così sviluppano solo quella parte. Per me, al contrario, se si usa solo la testa e non si realizza ciò che si è pensato, il prodotto è solo sogno; viceversa, realizzare quello che si è pensato e desiderato frutta, e questa nascita è per me corpo. I miei desideri e i miei pensieri sono tante volte opposti, devo lavorare ma non voglio faticare, voglio mangiare e gustare bene ma non voglio ingrassare, voglio divertirmi ma anche riposare. Questa dicotomia, questo tipo di sentimento – che è dilemma e opposto – è quello che volevo mettere dentro il mio lavoro, e questo, a dispetto dell’apparenza non è da considerarsi come elemento negativo, tutt’altro: regola il metro della bellezza ed è per me vita. Quello che noi vediamo dipende dal punto di vista, se cambiamo punto di vista ovviamente muteremo l’immagine di fronte a noi. Ecco io penso che per vedere la forma del vero bisogna girare intorno, è per questo che inserisco molteplici punti di percezione. Seguendo questo motivo ho realizzato ad esempio delle opere che frontalmente rivelano un uomo grasso, mentre lateralmente sembrano magrissimi e così via. Il mio obiettivo era realizzare opere, in particolare sculture, che al loro interno riunissero diverse impressioni, per questo ho scelto l’uomo piatto, che frontalmente e lateralmente provocano diverse impressioni, creando opposte visioni. Masaru Kashiwagi, Scatto

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Joe Hisaishi – The Rain

Prima di cominciare il lavoro con il reticolo l’ombra ha la forma delle due dimensioni. Ancor più che con la scultura con il reticolo è possibile creare dei gioghi ottici in cui l’ombra è mutevole e instabile: più chiaro in prossimità dell’opera, più scura allontanandosi. La stessa idea della distanza reticolare è alla base della moderna computer grafica. Tuttavia, Masaru Kashiwagi, Tra Sogno e Realtà a differenza di questa, la materialità del reticolo in tre dimensioni – fisica e presente – provoca un disturbo nella percezione delle distanze, non essendo l’occhio umano abituato a vedere nello stesso punto di vista ciò che è davanti e ciò che sta dietro. Il lavoro con il reticolo è costruito seguendo un modello di struttura molecolare quadrata e ogni “atomo” è saldato alla stessa distanza. La bellezza di questo lavoro consiste nella possibilità di usare la terza dimensione abbassandola alla seconda, e così facendo è possibile vedere ciò che è impossibile vedere. Forse questa tecnica, più delle altre contiene una meta-ricerca che mi avvicina anche all’indagine su me stesso. Poi ci sono i disegni e le incisioni, opere che hanno una natura propria e che a me servono da progetti, a porre le basi per le mie ricerche future, in un certo senso, mi servono per chiarirmi le idee.

L’umanità dell’ombra e l’essenza rivelata Che funzione hanno le ombre che inserisce nelle sue opere e che significato veicolano? Anche per l’ombra il discorso è simile: la forma dell’ombra subisce modificazioni rispetto al fascio e alla direzione della luce che sull’opera si proietta; in sintesi per me funziona come un punto di vista. L’ombra è per me un ulteriore piano di visione, la possibilità di aggiungere altri occhi. La mia relazione con le ombre è cominciata così, anche se inizialmente sfruttavo le sue potenzialità solo sulla superficie bidimensionale. Quando ho cominciato il mio lavoro in rilievo – cioè con la scultura – volevo realizzare una forma che avesse la capacità di entrare e uscire dal muro, che comunque può considerar-


si, come l’ombra, una superficie bidimensionale. Volevo creare un tipo di lavoro che fosse a cavallo tra la seconda e la terza dimensione. Ecco, volevo reMasaru Kashiwagi, Sguardi Incrociati alizzare dei lavoMonumento pubblico a Fukuyama ri che avessero 2.5, anzi 2.7 dimensioni, di modo che con un angolo di visione di 120 gradi fosse possibile comprendere le forma come tridimensionale. Così è nato il mio rapporto con l’ombra, e grazie alla scultura si è materializzato nella terza dimensione.

I progetti futuri Ogni opera ha un rito e un proprio potere iniziatico. Quale energia farà nascere nei prossimi lavori? Futuro non so. ma vorrei capire tante cose, continuando e lavorando forse riuscirò a scoprire qualcosa.

La ricerca Su quali nodi si è focalizzata la sua indagine? Quello che mi interessa è come vediamo il nostro occhio e, d’altra parte, come l’uomo percepisce la visione. La terza dimensione è per l’uomo una costruzione mentale, frutto dell’esperienza dello studio e delle conoscenze che derivano dalla matematica, geometria etc. Capire la funzione della visione indagando la differenza di percezione tra seconda e terza dimensione è il campo d’indagine su cui mi muovo.

La filosofia orientale Esiste una differenza tra ombra e anima? Non so. Ma è possibile dire che forse esiste l’ombra dell’anima, perché l’ombra dipende dalla luce e dal punto di vista (pensiero). L’ombra nasce dalla luce, dal pensiero o dal sentimento. Se l’anima proietta un pensiero forse nasce l’ombra.

Masaru Kashiwagi, Tra Sogno e Realtà

Il modus vivendi Pur collaborando con prestigiose realtà giapponesi ha scelto di vivere nella silenziosa Venezia, perché? Perché Venezia ancora esiste e vive alla velocità di un essere umano. La velocità sembra superare anche il pensiero, ma per capire e sentire bene serve tempo. Fisicamente se usi l’automobile la sua velocità può superare quella umana, ma sentimento e pensiero non possono essere controllati dalla macchina.

Il destino Qual è la sua più bella vittoria? Vittorie non ne ho ancora avute, ma varie piccole soddisfazioni.

Masaru Kashiwagi, Il Gufo

Masaru Kashiwagi, Donne II, 2010 Tubo di rame, vite dado COURTESY LA5VENICE

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GRANDI MOSTRE La soffice presenza la Redazione

Cromie delicate come nebulose vedute veneziane, rossi e gialli arditi in trasmissione della potenza del sole d’ardere la terra, sfondamenti e ambigue prospettive a colmare la distanza tra interno e esterno, l’essere artista. In mostra presso l’ ex Chiesa del Carmine e in seconda veste presso il Palazzo Duchi di Santo Stefano – sede della Fondazione G. Mazzullo - Antonio Nunziante celebra, nella cornice incantata di Taormina, l’esodo dell’artista che sedotto dal fascino arcano e surreale del paesaggio ha fatto della luce e del tempo le sue cifre stilistiche. Accanto a motivi della tradizione classica – le rovine dei templi greci, i busti marmorei, gli scorci naturali che rasentano un verismo di prima mano – e che portano a considerare l’artista come un’evoluzione figurativa della Scuola di Scicli, il nucleo pittorico presentato conserva un’anima non immediatamente definibile, una luce endogena, che riabilita il gesto della pennellata nel suo intimo significato trasognato. Nel ciclo di opere pensato per le due mostre Panorami di Luce (fino al 30 settembre) e Viaggio a Taormina (in finissage il 30 agosto), l’artista partenopeo traccia (con opere a stretto giro realizzate negli ultimi due anni) l’evoluzione di una visione ascendente e profondissima creando dal desiderio di una notte stellata una serie possibile di viaggi, che, compiendosi a fatica sotto il caldo sole siciliano, conducono lo spettatore verso interni incantati, ove il limite tra la volta passata e la prospettiva perduta si lega al filo dell’immaginato aquilone, che il bambino stringe, in infinita visione e condanna di una bidimensionalità da sfondare all’inverso e in fuga. Nel cerchio espositivo, risulta della curatela di Giuseppe Morgana e Rossella Farinotti e dell’allestimento di Roberto Mendolia dell’ Associazione Art Promotion Taormina grazie anche al patrocinio del Comune e dell’Assessorato alla Cultura, della Provincia Regionale di Messina, della Regione

Antonio Nunziante, Verità Celata, 2010

Antonio Nunziante, Mattino, 2012

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Franco Battiato – Invito al viaggio

Sicilia, di Taormina Arte e del MIBAC, c’è spazio anche per opere che usano linguaggi presi in prestito e di rimando riconsegnati alla letteratura: Narciso, Progetto per un viaggio ancora possibile ma soprattutto Verità Celata, un gioco in cui la visione viene implicitamente bloccata e trascesa, ove il gusto per l’ordito del non detto, suggerisce l’ironia del mezzo stesso, il potere che ha la pittura di dirsi attimo ed eterno a un tempo, distante eppur partecipata, duplice illusione della sua esperibile fruizione. Dalle stelle in rotta verso i cambi umorali delle coordinate e atmosferiche e celesti il percorso espositivo prosegue nell’altra sede -la Fondazione Mazzullo stavolta- che lascia, negli spazi ricolmi di storia, a regger la colonna di pietra e le alte finestre, la seconda parte della mostra, ideale contraltare che conserva l’opera principe, quella fiera centauressa che spicca il volo dalla pietra e regina del tempo sveste l’immobilità per darsi vasta al confine liminare dell’infinito. Nel doppio tratto, nel fallibile dialogo di esperienze viscerali e inquiete del Sud (Napoli, patria dell’artista, Taormina sede della mostra), risiede l’aura della pittura di Nunziante, mistero e comunione di bagliori che contribuiscono a ridare dignità alle antiche porte in vetro, ai tavoli lineari ed esatti, alle camicie bianche, alle volute quarte di scena come arcani paesaggi perduti. Una realtà, questa siciliana costituita da un gruppo di avventurieri che coraggiosamente sta rischiando la via della promozione di grandi eventi, mostre in cui l’ardore spesso è parte integrante della riuscita stessa, in cui la distanza tra la gente del luogo e i facoltosi turisti, viene colmata d’acchito, provenienza onnicomprensiva della lingua dell’arte, notazione comprensibile ai molti popoli che lì si sono succeduti e che sembra si avvicenderanno di nuovo in un futuro molto prossimo.

Antonio Nunziante, Progetto per un Viaggio ancora possibile, 2012

Antonio Nunziante, Narciso, 2011


L’abito di Franco Vimercati di Paola Pluchino

Dmitri Shostakovich - Scherzo Op. 11

Ricorda il passaggio dell’uomo, ma a lui non presta lo sguardo, analizzando l’oggetto in luogo del suo uso. Ricorda Giorgio Morandi, per via di quelle still life che ironicamente richiamano al mondo della vita ma che nella loro traduzione celebrano il funerale dell’uomo veicolando l’espressività oggettuale per mezzo della sua stasi. A Franco Vimercati, conosciuto fotografo milanese, ma ancor prima artista e grafico poliedrico, il veneziano Palazzo Fortuny dedica la retrospettiva Tutte le cose emergono dal nulla portando in mostra una ricca collezione di opere, tracciando - grazie allo sforzo del curatore Elio Grazioli e di Daniela Ferretti per l’allestimento - il percorso di studio e d’ approfondimento teorico che sempre fu sotteso alla ricerca di Vimercati. Dopo gli studi all’Accademia di Brera, subisce delle influenze nel verso della sintesi delle forme e dell’oggettivazione del sentimento, decidendo di porre se stesso come un’artista di grado zero, tentando di far scomparire la sua firma dall’opera. Osservando i suoi lavori, e tenendo presente sia la galleria Azimut – suo primo veicolo d’ impressione – ma anche il minimalismo di matrice americana e l’influenza importantissima di Ugo Mulas ma soprattutto di Luigi Ghirri, i lavori di Vimercati s’inseriscono in un contesto storico di portata quarantennale, tra abbandoni e riprese, cambi di fuoco e raffinamenti stilistici, cifre inconfondibili della sua retorica. Lo storico palazzo lagunare incorona il fotografo che per certi versi fu precursore di taluni studi sull’annullamento semantico del mezzo fotografico, sulla scomparsa dell’aura del fotografo in favore di un oggetto dell’abitato – brocche, vasi, bicchieri – che assunsero nel bianco e nero che sempre privilegiò l’anima e la funzione, il suono e il movimento dello scorrere quotidiano. Qui, nell’eccezionalità della discrezione, per Vimercati si celava il senso primigenio del messaggio, lo spirito sottile che indicava la direzione della visione, senza che l’intervento dell’uomo potesse causare un fraintendimento di sorta intorno all’oggetto presentato. L’occhio reso trasparente può ora lasciarsi attraversare dalla luce intima e fioca cui le opere di Vimercati richiamano, in un dialogo sempre aperto con la sobria linea compositiva. Una deviazione sottile e progressiva che contribuisce a raccontare il presente attraverso la sua evidente assenza.

A lato: Franco Vimercati, Sei tondi, 1978, dia: 27.4 cm Collezione privata (in alto) COURTESY PALAZZO FORTUNY Franco Vimercati, Il ciclo della zuppiera, 1983, 19.5 × 24.5 cm Collezione privata (in basso) COURTESY PALAZZO FORTUNY

In basso: Franco Vimercati, Brocca, 1980-1981, 25 × 24.5 cm Collezione privata (sinistra) COURTESY PALAZZO FORTUNY Franco Vimercati, Rovesciate, 1997, 32 × 25.5 cm Collezione privata (destra) COURTESY PALAZZO FORTUNY

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PUNCTUM Zingari a Milano ed Arles di Alessandro Cochetti

Goran Bregovic’s Orchestra - Kalshnikov

Si stanno per concludere le mostre che hanno fatto cono- perfettamente ai fondali, accentuata inoltre dai giochi sui scere il lavoro Gitani di Josef Koudelka agli appassionati di contrasti tra il bianco e nero? fotografia che hanno avuto l’occasione di passare alla Fon- Da una parte infatti l’interesse immediato, quello che si ha dazione Forma di Milano o al Festival Internazionale della ad una prima veloce osservazione, è appunto dato dal sogFotografia di Arles durante questa estate 2012. A Milano la getto in sé. Che la popolazione gitana susciti un grande inmostra è stata dedicata esclusivamente all’autore, il quale ha teresse in qualsiasi osservatore è infatti innegabile ma, bisopersonalmente curato la disposizione degli scatti sulle pareti gna badare bene, non si deve nemmeno cadere nell’errore della galleria, mentre ad Arles si può apprezzare un’espo- di considerare l’esposizione come un reportage giornalistico sizione più piccola ma non meno a tema etnico-folkloristico. Come interessante, tanto da essere sicura- Attraverso questo suo lavoro, infatti giustamente nota Michel mente il fiore all’occhiello dell’intera Frizot, Koudelka della cultura gitasi possono apprezzare manifestazione francese. na non ci mostra nulla: pur essenprobabilmente tutti i L’autore è infatti uno dei nomi più do vero che molte foto sono prese stimati del panorama della fotografia feste di villaggio o durante caratteri distintivi del suo durante mondiale e attraverso questo suo laparticolari avvenimenti come un voro, realizzato durante il corso dei arresto o un funerale, conclusasi la stile: dalla grande primi anni sessanta presso i villaggi visione di tutte le foto nessuno che comunicatività degli scatti le abbia viste può veramente dire di degli zingari della Cecoslovacchia, si possono apprezzare probabilmente avere appreso una qualsivoglia conalla grande abilità nella tutti i caratteri distintivi del suo stisapevolezza maggiore sugli zingari le: dalla grande comunicatività degli cecoslovacchi. Sappiamo che proricerca formale scatti alla grande abilità nella ricerbabilmente sono cristiani ortodossi, ca formale. data la presenza di molti crocefissi, immagini sacre, etc., ma Da profano della fotografia mi sono posto la domanda se le nulla più. L‘interesse nel soggetto non riguarda dunque le foto fossero davvero state scattate d’istinto oppure realizza- sue peculiarità intrinseche, ovvero essere testimonianza delte a tavolino. La sensazione di trovarsi di fronte ad un lavoro la cultura gitana, bensì in ciò che l’artista ci mostra (o meglio fatto per essere considerato come un reportage giornalistico non ci mostra). Frizot dice che gli zingari appartengono ad è infatti forte ma, guardando con attenzione le foto, non si un “altrove”, e ritengo che sia questa la giusta chiave di letpuò non notare una perfezione nella composizione artistica tura. La popolazione gitana è già di per sé così interessante ed estetica che rende le foto simili, per la composizione degli nella percezione che noi abbiamo di essa, che all’artista non elementi, a dei quadri rinascimentali, nonostante il soggetto serve contestualizzarla. Tutti abbiamo già una consapevolezsia assolutamente sui generis. za innata nel riconoscere ciò che è diverso, o “altro”, senza Che Koudelka sia un fotografo attento al particolare fino bisogno di ulteriori didascalie o spiegazioni. Così Koudelka alla maniacalità è cosa nota dopotutto, ma questa fusione non ci dice nulla e non ci spiega nulla nelle sue foto, ed è tra istinto e senso estetico apparentemente studiato mi ha proprio questo che incuriosisce: il mistero, il fascino anlasciato perplesso. La domanda da porsi di fronte a questo che esotico di una popolazione diversa e senza tempo. E’ lavoro sorge dunque spontanea: che cos’è che ci colpisce di incredibile infatti come le Koudelka, la rappresentazione ed i suoi elementi compositivi foto possano essere benisin sé oppure le composizione plastica dei soggetti integrati simo state scattate anche ai giorni nostri, ma l’idea che noi avremmo degli zingari sarebbe esattamente a quella che vediamo in questo lavoro ormai vecchio di cinquant’anni: lo zingaro come elemento ai margini della società, che ha caratteristiche opposte a quelle delle persone comuni e perciò, proprio per questo motivo, assolutamente riconoscibile. Dall’altra parte però a col-

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pirci è anche qualcos’altro, che si afferra solo ad una più attenta osservazione di ogni singola foto. E’ impossibile non notare infatti come tutto, dalle persone ritratte ai fondali, sia assolutamente “perfetto”, ovvero come non ci sia nulla che sia fuori posto: da alcune geometrie nella posizione dei soggetti ai giochi tra il bianco ed il nero c’è una perfezione strutturale tale che pare infatti impossibile che le foto siano state prese d’istinto con una macchina fotografica manuale, fatta cioè per un utilizzo rapido e mobile. Prima di questo lavoro sugli zingari c’è da dire che Koudelka si fece le ossa facendo il fotografo per una compagnia teatrale praghese, e che questo sia stato sicuramente una buona palestra per sviluppare quello che in fotografia è chiamato l’occhio selvaggio (come nota Robert Delpire a proposito proprio del suo amico Koudelka), e dunque un notevole senso estetico per angolazioni, per capire quando la luce è migliore, per aspettare il momento perfetto per lo scatto. I soggetti di Gitani infatti sembrano presi sempre in atteggiamenti particolari, o per meglio dire “significanti”, e immessi in sfondi mai neutri. Che poi anche l’indole della popolazione zingara abbia aiutato a dare un ulteriore spinta verso una accentuata “significazione” è fuori dubbio (basti vedere la foto dei tre ragazzini che mostrano i muscoli, una delle più famose della serie, ma questi atteggiamenti si possono riscontrare in moltissime altre, dove si passa dal patetismo al comportamento smargiasso e comunque non neutrale), ma è anche innegabile che vi sia una composizione che fa pensare allo studio plastico sulle forme più tipico della pittura figurativa. Probabilmente sarà stata la fusione di tutte queste qualità ad aver impressionato Henri Cartier-Bresson e Elliott Erwitt che,

pare vedendo proprio questi scatti, abbiano deciso di far entrare Koudelka nella prestigiosissima agenzia Magnum, anche se l’autore sembrerebbe un elemento abbastanza atipico per lo stile dell’agenzia che da sempre predilige artisti che amano lo scatto più istintivo possibile (quello da reportage per intenderci. Basti ricordare Robert Capa o gli stessi Cartier-Bresson ed Erwitt). Ci si sarebbe aspettati infatti che le foto più calzanti sarebbero quelle fatte da Koudelka durante il sessantotto praghese: ovvero quelle immagini di guerra scattate dall’autore che furono pubblicate in tutto il mondo proprio pochi anni dopo la realizzazione del lavoro sugli zingari. Ma questo mix tra istinto e attenzione alla ricerca formale deve aver colpito i due famosi fotografi esattamente come colpisce noi oggigiorno. Con queste due mostre, di cui una italiana, l’Europa si mostra ancora attenta alla grande storia della fotografia mondiale, che non può mancare nel bagaglio culturale di qualsiasi appassionato di arti visive.

Tutte le foto fanno parte del ciclo di lavori Cikàni di Josef Koudelka (1961-66)

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Arles: rencontre avec la photographie di Margaux Buyck

Nadège Mériau, Grotto, 2011 COURTESY OF NICOLAS CESEAR

Au cours de l’été, le sud de la France accueille un florilège de festivals et d’événements. Du 2 juillet au 23 septembre 2012 se tient en Arles la 43e édition des Rencontres de la photographie. Cette année est également l’occasion pour l’Ecole Nationale Supérieure de Photographie d’Arles (ENSP), créée en 1982, de dresser le bilan de trente années de formation.

Une école française: chauvins les arlésiens? Au risque d’être accusées de chauvinisme, les Rencontres d’Arles ont choisi cette année de mettre en avant les travaux des 640 étudiants arlésiens de l’ENSP. Le pari était risqué notamment du côté du public international qui pouvait y voir l’expression d’un snobisme à la française, mais l’occasion était trop belle. L’Ecole Nationale Supérieure de Photographie d’Arles fête en effet ses trente ans d’existence. On peut cependant se demander pourquoi les organisateurs ont attendu ce trentième anniversaire pour faire le bilan. Pour François Hébel, directeur des Rencontres: dix ans, vingt ans, trente ans, c’est le temps nécessaire pour que s’épanouissent les talents de photographes, d’historiens, de commissaires, formés à l’École nationale supérieure de photographie (ENSP). Il fallait donc attendre d’atteindre une certaine maturité, que les talents éclosent avant de tirer un bilan et d’affirmer la spécificité française dans le milieu de la photographie. L’ENSP revendique une place à part entière de la photographie dans l’art contemporain. Par ailleurs, elle compte bien se démarquer des écoles allemande et américaine qui occupent la scène internationale de la photographie. Le leitmotiv de l’école d’Arles est celui de la diversité des styles. Il s’agit d’éduquer l’œil et non de le formater. Pour les enseignants, l’objectif n’est pas de fondre les étudiants dans un moule, mais de privilégier le développement et l’expression des personnalités, des talents. Cette absence de style «made in Arles» dérange parfois, certains confrères allant jusqu’à nier l’existence d’une école française. Il est vrai que les français peinent à rivaliser avec les artistes allemands et américains qui dominent le marché de l’art contemporain. On ne peut cependant reprocher à l’école d’Arles cette volonté d’atteindre l’excellence dans la diversité. Bien que les Rencontres d’Arles aient choisi cette année le titre d’école française, les organisateurs ne s’engluent pas

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Merci Marlène - Eva

dans un nombrilisme primaire ou tout un chacun s’autocongratule. On note la présence de nombreux invités venant des quatre continents. De grands artistes tels que Joseph Koudelka avec sa magnifique rétrospective Les Gitans ou encore Amos Gitaï et Klavdij Sluban sont à l’honneur. Le prix Découverte des Rencontres permet également de mettre en avant de nombreux talents venus du monde entier. Illustrer un article sur un tel événement est un choix cornélien et l’on se voit confronté à sa propre subjectivité. Nous avons choisi de suivre notre instinct en présentant un panel de quatre photographes provenant d’univers différents, nous ayant séduit, pour des motifs différents, au premier regard. Alain Desvergnes: Portraits en tant que paysages / Paysages en tant que portraits Outre l’exposition des travaux des étudiants, cette 43e édition des Rencontres de la photographie a choisi de rendre hommage aux fondateurs et enseignants de l’ENSP. Au cours de ses déambulations dans les anciens ateliers de la SCNF, le visiteur rencontrera les fameuses photos d’Alain Desvergnes, ancien directeur des Rencontres et fondateur de l’ENSP, qu’il dirigera pendant près de 16 ans. Cette série intitulée Portraits en tant que paysages / Paysages en tant que portraits retrace le périple du photographe dans le Mississippi au cours des années 60. Alain Desvergnes affirmera avoir recherché au cours de cette quête photographique les personnages des romans de William Faulkner. En effet, dans ces clichés des années 60, qui oscillent entre

Olivier Calbat, Welcome, Gourna, 2004 COURTESY OF RENCONTRES DE LA PHOTOGRAPHIE D'ARLES


réalité et fiction, on serait à peine surpris de découvrir au détour d’une photo Robert Johnson errant sur une route, pactisant avec le diable. On constate dans ces photographies une véritable symbiose entre l’homme et le décor. Les ouvriers noirs semblent enracinés dans ces champs de coton, de même que les jeunes filles endimanchées, aux cheveux bouclés, paraissent faire partie du décor, figées à jamais sur le perron de ces grandes maisons blanches typiques du sud de l’Amérique. Olivier Cablat: Egyptomania Changement de décor et départ pour l’Egypte avec un ancien élève de l’ENSP, Olivier Cablat. L’exposition consacrée à ce dernier fait sourire. Le projet intitulé Egypt 3000 naît en 2003/2004, alors que le photographe participe à un programme du CNRS à Karnak dans le sud de l’Egypte. Son travail consiste alors à identifier et photographier des objets trouvés lors de fouilles archéologiques et de réaliser des prises de vue de reportage sur les différentes activités de fouille et de restauration réalisées autour du temple d’Amon. En parallèle, Olivier Cablat recueille divers objets et images ordinaires du quotidien égyptien. A la manière des fouilles archéologiques, ce travail de récolte porte un regard nouveau sur la société égyptienne actuelle et le rapport qu’elle entretient avec son passé prestigieux. Loin des clichés touristiques, Olivier Cablat nous livre une vision qui peut paraître acerbe et ironique de l’Egypte. Dans ses photographies, les pyramides sont des entrées de parkings souterrains et des toilettes publiques, les dieux égyptiens vont au supermarché et Cléopâtre qui fume plus que de raison devient l’égérie d’une marque de cigarettes. Nadège Mériau: voyage dans les entrailles de la matière Française, vivant et travaillant à Londres, diplômée du Royal College of Art, Nadège Mériau nous fait partager un univers

Jonathan Torgovnik, Valentine with her daugters Amelie and Inez, Rwanda COURTESY OF RENCONTRES DE LA PHOTOGRAPHIE D'ARLES

étrange naviguant entre viscéral et sublime. A travers ses photos, l’artiste nous plonge dans les entrailles d’aliments tels que le pain, la pastèque, la courge… L’effet est surprenant, les légumes se transforment en des lieux souterrains, des paysages imaginaires emprunts d’étrangeté. L’éclairage et la photographie grand format subliment les aliments, pour les rendre méconnaissables. L’intérieur d’une pastèque se transforme alors en une grotte sanguinolente, la courge devient une cavité ocre à ciel ouvert dont les filaments deviennent des lianes… Jonathan Torgovnik: portraits du Rwanda On ne pouvait achever cet article sans une mention particulière pour le travail du photographe israélien Jonathan Torgovnik, vivant et travaillant en Afrique du Sud, lauréat du prix Découverte 2012 des Rencontres d’Arles. Ses photographies regroupées sous le titre de Intended Consequences (Conséquences attendues) sont le fruit d’un travail de trois ans, où le photographe a interviewé et photographié des femmes et leurs enfants issus de viols perpétrés lors du génocide du Rwanda en 1994. Ici, photographie et texte sont indissociables, pour raconter les destins tragiques de ces femmes et de leurs enfants. Si les portraits restent particulièrement neutres, Jonathan Torgovnik n’en est pas moins un reporter de guerre: il photographie son après, ses conséquences (attendues). Dans les clichés il n’y a pas d’effusions, la souffrance est dans les regards. Une photographie, une histoire est particulièrement marquante: celle de cette femme ayant eu deux filles ; l’une, fruit de l’amour avec un époux massacré et l’autre, fille du violeur et de l’assassin de sa famille. Le témoignage est cru, violent et implacable. La photographie traduit à la perfection la distance inéluctable, injuste mais compréhensible qui sépare cette mère de sa fille.

Alain Desvergnes, Gas Man, Gas Man, Mississippi, 1964 COURTESY OF RENCONTRES DE LA PHOTOGRAPHIE D'ARLES

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YOUNG DISTRICT L’inquieto errare di Kendell Geers

Il decadente che celebrò il sacro in mostra al castello di Blandy la Redazione C’è un piccolo villaggio tra la Senna e la Marna, così piccolo che solo in 800 lo abitano. In questo piccolo luogo della Francia del Nord, sorge il castello di Blandy-les-Tours, esempio di fortificazione medievale perfettamente conservata. In questa cornice, che ricorda le battaglie dei cavalieri e parimenti l’amor cortese per le gentili dame d’oltralpe, l’artista sudafricano presenta al pubblico un ciclo complesso e poliedrico di opere, in mostra fino al 7 ottobre. The Marriage of Heaven and Hell introduce i molteplici temi della ricerca di Geers: la scultura, le installazioni, il video, l’uso della parola come media significante, ma soprattutto richiama a quella Londra nera e oscura che nell’Ottocento affascinò gli scrittori e gli intellettuali. L’opera di Geers deve allora essere interpretata tenendo in considerazione la sua accezione errante e poliglotta, frutto di discendenze teoriche diverse. Di sicuro effetto l’installazione Saint Johns Pendulum: una composizione verticale in cui due moncherini sfidano vicendevolmente la rispettiva posizione. Quale forza, quale limite e quale opportunità contiene in sé questa scultura? Interpretabile come summa compositiva di matrice inglese (blakiana appunto) il matrimonio del cielo e dell’inferno che qui si rivela, lascia spazio ad un’interpretazione ambigua e sfumata. Un cielo doloroso, una terra sommersa e stanca, un contatto che può avvenire solo per contrapposte energie. Imperante in Geers il tema della libertà dell’uomo, della sua capacità interpretativa e critica, della sua leggerezza nel seguire un viaggio che spesso conduce in porti isolati e franchi, ove l’essere umano, ormai esaurito dai cliché di moda e soprattutto di lingua, si rifugia. Noncurante delle etichette che spesso sottendono la teoria della critica quest’artista riesce a produrre opere violente senza eccedere in volgarità, storia senza straforare nella noia aneddotica, interrogativi, indicando al pubblico la strada per formulare le risposte. In una cornice lontana, nella campagna del Brie, la Galleria Continua allestisce una mostra elegante e coerente, invadendo con sobria maestria compositiva gli spazi del castello di Blandy, creando, così come successo per la sua storica sede a San Gimignano, un percorso nel percorso, la scoperta di un luogo, della sua storia e della sua trasfigurazione ad opera d’arte.

Jocelyn Pook - Masket Ball

Un contatto che può avvenire solo per contrapposte energie

A lato: Act 4 Scene 7, 2009, video, 10’ 27’’ COURTESY GALLERIA CONTINUA Photo by Oak Taylor-Smith

In basso: Saint Johns Pendulum, 2010, resina, chiodi e catena 60 x 20 x 20 cm COURTESY GALLERIA CONTINUA Photo by Oak Taylor-Smith Flesh of the Shadow Spirits 59, 2011, resina 100 x 33 x 39 cm COURTESY GALLERIA CONTINUA Photo by Oak Taylor-Smith

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ITINERARI Cultura contemporanea nei borghi d’Abruzzo

Rivalutare il territorio costruendo itinerari del sapere di Martina Bollini “Conuscite”, conoscete! Così recita l’iscrizione sull’archivolto di una piccola chiesa costruita nel 1338 a Castelbasso, un borgo medievale arrampicato su una collina intorno a Teramo. Un invito perentorio a comprendere, a cercare, ma allo stesso tempo monito paradossale, in quanto rivolto a una popolazione di contadini, braccianti, soldati di guarnigione, donne del popolo. Ma questa contraddizione dà solo maggiore forza a quel “conuscite” che ha un valore quanto mai attuale. La Fondazione Malvina Menegaz sembra aver fatto proprio questo motto: nata nel 2008, ma attiva sotto altre forme dal 1998, ha reso Castelbasso un affascinante centro di produzione artistica, risollevandone le sorti. Al rischio dello spopolamento si è sostituito un numero sempre crescente di visitatori, attratti, oltre che dal paesaggio, da un’offerta culturale di alta qualità. Quest’anno la Fondazione Menegaz si è fatta promotrice di un progetto ancora più ampio, esteso anche ad un altro borgo dell’alto Abruzzo, Civitella del Tronto, grazie alla collaborazione con l’associazione culturale Naca Arte. Si tratta di un progetto che mira alla riscoperta dell’identità di due borghi non solo tramite l’arte contemporanea, ma anche tramite la musica, la letteratura, il cinema e l’enogastronomia. La contemporaneità è considerata un valore aggiunto in un territorio in cui, nel corso di questi ultimi anni, è venuta formandosi una rete culturale che valorizza questi luoghi e la loro memoria. Per tutta l’estate tre mostre animano questi luoghi. La prima ha sede a Palazzo Clemente, a Castelbasso, ed è dedicata alla “signora” dell’astrattismo italiano, Carla Accardi. “Smarrire i fili della voce” è il titolo scelto dalla curatrice Laura Cherubini. Nelle piccole sale della sede espositiva si alternano opere tridimensionali in sicofoil, il materiale che contraddistingue la sua produzione a partire dagli anni ’60, a quadri realizzati negli ultimi anni, inediti per la maggior parte. Il colore è il protagonista assoluto e questa mostra permette di vedere come, attraverso i decenni, il sistema combinatorio dei colori abbia sfruttato le proprietà di materiali diversi, ma tenendo sempre come oggetto Marina Abramovic, Balkan Erotic epic: Women in primo di ricerca the rain, 2005. Stampa cromogenica

Sullo sfondo: Civitella del Tronto

l’espressione autentica della luce. Sempre a Castelbasso, ma a Palazzo De Sanctis, è allestita la collettiva “Radici. Memoria, identità e cambiamento nell’Italia Carla Accardi, Catasta di oggi”, dove opere Sicofoil su legno dipinto, 1979 di artisti diversissimi tra loro, come Marina Abramovic, Jota Castro, Sam Durant, Mariangela Levita, Santiago Serra, sono poste in un dialogo sospeso tra passato e presente, che indaga alcuni degli aspetti più sintomatici della realtà. A questi interpreti paradigmatici spetta il compito di sottolineare i cambiamenti nei sistemi di valori, l’attaccamento o lo sradicamento dal territorio, l’erosione dell’eredità culturale. Lo scenario di questa impresa non poteva essere più appropriato; coglie in pieno il senso dell’impegno della Fondazione Menegaz, ovvero riscoprire le radici di Castelbasso e metterle nuovamente in relazione con i suoi abitanti e attori istituzionali. A Civitella del Tronto, invece, all’interno di una delle più imponenti costruzioni militari d’Europa, è allestita la mostra “Visioni. La fortezza plurale dell’arte”, curata da Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini. Il progetto è stato concepito direttamente in relazione al luogo in cui si svolge, la Fortezza Borbonica, trasformata in una “Fortezza plurale dell’arte”, ovvero un luogo che riunisce arti visive, performance, pittura e cinema. Il progetto si articola in due parti: da un lato l’esposizione di opere di artisti del calibro di Cattelan, Cucchi, De Dominicis, Jan Fabre, dall’altro la proiezione di una serie di film realizzati da artisti-registi come Mimmo Paladino, Steve Mc Queen, Julian Schnabel, Shirin Neshat. La mostra si snoda dunque tra opere che stimolano sensi diversi, presentando diverse concezioni dell’arte e del mondo. Esibita in quello che è stato l’ultimo baluardo del Regno Borbonico prima dell’annessione al nascente stato italiano, “Visioni” sembra costituirsi come una vera e propria roccaforte del sapere, che non ha esitato a cogliere l’invito scolpito sul portale del chiesa di Castelbasso. Carla Accardi. Smarrire i fili della voce a cura di Laura Cherubini 30 giugno – 2 settembre Palazzo Clemente, Castelbasso Tutti i giorni dalle 19,00 alle 24,00, escluso il lunedì Radici. Memoria, Identità e Cambiamento nell’arte di oggi a cura di Eugenio Viola 30 giugno – 2 settembre Palazzo De Sanctis, Castelbasso Tutti i giorni dalle 19,00 alle 24,00, escluso il lunedì Visioni. La fortezza plurale dell’arte a cura di Giacinto Di Pietrantonio e Umberto Palestini 1 luglio – 31 ottobre Fortezza e Museo delle armi, Civitella del Tronto Luglio e agosto dalle 10.00 alle 20.00 Settembre dalle 9.00 alle 19.00 - Ottobre dalle 10.00 alle 18.00

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(P)ARS CONSTRUENS “Nessun pianto, testa bassa e pedalare” Riflessioni libere post-sisma di Maria Livia Brunelli

Kate Bush – Babooshka

“Nessun pianto, testa bassa e pedalare: questa frase, postata su Twitter da una giovane imprenditrice ferrarese due giorni dopo il terremoto, condensa l’atteggiamento della nostra gente”. Così inizia l’articolo per l’ultimo numero dl luglio del Bollettino di Italia Nostra, scritto dalla storica dell’arte ferrarese Chiara Toschi Cavaliere e interamente dedicato al terremoto che ha colpito l’Emilia. Leggerlo è stata per me una sorpresa, perché quella giovane imprenditrice sono io. Non è facile decidere da che parte iniziare per una riflessione sulla volontà di rinascita dopo il sisma. Siamo dentro un grosso cambiamento, soprattutto qui in Emilia: si credeva che bastasse resistere fino alla fine della bufera e invece la terra sotto i piedi ci ha fatto capire che aspettare non è la soluzione. E questo è proprio il momento in cui l’arte ci può venire in aiuto. Da sempre l’artista è una spugna e un’antenna che raccoglie i segnali e gli umori; poi con la sua opera ci apre squarci di riflessioni. Quindi ora più che mai l’arte è utile. Utile per farci guardare e vedere il qui ed ora, ma soprattutto per farci spiare il poi.

Stefano Scheda, Rinascita Installazione site specific post-sisma, 2012 COURTESY MLB HOME GALLERY

Io vivo in una casa-galleria, a due passi dal Castello estense: la notte del 20 maggio un rombo fortissimo ci ha svegliato, come se un grosso Tir avesse sbagliato strada e fosse entrato in Corso Ercole d’Este. Un ruggito che sembrava provenire dalle viscere della terra. Il letto ha oscillato in maniera impressionante, e la stanza in cui dormivamo, completamente tappezzata di opere d’arte, ha tremato tutta. Varie opere sono cadute dalle pareti, qualche scultura si è rotta. Anche le due sale della galleria non sono uscite illesa dal sisma: in una lunga crepa del muro l’artista Stefano Scheda, che ha inaugurato la sua mostra due giorni dopo la prima scossa, ha deciso di innestare dei piccoli rami pieni di gemme cerate, come gesto apotropaico per la casa e il territorio… un memento mori/ready made per ricordarci che la natura è più forte dell’uomo. Tra le aziende più penalizzate del ferrarese c’è la ditta di Ceramiche Sant’Agostino: il sisma ha raso al suolo una parte dello stabilimento, provocando la morte dei due operai all’interno del reparto cottura. Come segno della battagliera volontà di “guardare avanti”, l’azienda ha ingaggiato Philippe Starck per firmare due collezioni che verranno presentate rispettivamente alla prossima edizione 2012 del Cersaie di Bologna e al Salone del Mobile 2013. Il Comune di Ferrara sta invece sostenendo la vendita delle magliette “Nessuna scossa fermerà il nostro cuore” i cui proventi andranno a sostenere i progetti di ricostruzione post-sisma. Ma la frase più simbolica per la rinascita è scritta con una bomboletta spray in una parete scrostata vicino al Duomo di Ferrara, un invito a non perdersi d’animo per una città che gli Estensi avevano reso una delle capitali culturali più all’avanguardia della loro epoca: “Nel ’500 Ferrara era New York”.

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URBAN ADDICTED Vestire il cinema, con classe

La mostra “Trame di Moda. Donne e Stili alla Mostra del Cinema di Venezia” di Ada Distefano

Venezia si prepara ad accogliere la 69’ Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica con i suoi film in concorso, i suoi protagonisti, i tanti eventi e l’immancabile glamour che da sempre accompagna e circonda la Mostra del Cinema. La città lagunare quest’anno celebra l’eleganza e il legame tra la Moda e il Cinema con la Mostra “Trame di Moda. Donne e Stili alla Mostra del Cinema di Venezia” che dal 1 Settembre 2012 al 6 Gennaio 2013 sarà ospitata nelle sale del Piano Nobile e del Piano Terra dello storico Palazzo Mocenigo di Venezia, dal 1985 aperto al pubblico come Museo e istituito come Centro Studi di Storia del Tessuto e del Costume. Questa speciale mostra, curata da Fabiana Giacomotti, scrittrice e docente di Storia della Moda e del Costume alla Sapienza di Roma,e da Alessandro Lai, costumista e storico dell’arte, si presenta, nelle sale del Palazzo Mocenigo, con un allestimento suggestivo curato dettagliatamente da Sergio Colantuoni. La mostra accoglie, accanto ai pregiati capi conservati nel Museo di Palazzo Mocenigo, oltre settanta abiti rappresentanti il legame tra la moda e il cinema di Venezia provenienti da collezioni e maison di moda. Nelle antiche e preziose sale del palazzo veneziano sono ora esposti abiti,costumi ed accessori dei grandi film girati a Venezia ma anche abiti indossati dalle attrici sul red carpet della laguna e poi ancora schizzi, fotografie e filmati d’epoca che raccontano la moda e l’eleganza che ogni anno per la Mostra del Cinema sbarca a Venezia . In mostra abiti di nove film girati a Venezia e indossati da protagoniste femminili come Silvana Mangano, fasciata negli eleganti abiti creati da Piero Tosi per Morte a Venezia e poi esplosiva in calzoncini in Mambo, Katherine Hepburn in Tempo d’Estate, protagonista di un’evoluzione di stile nel suo passaggio da donna sola ad amante di un antiquario nella Venezia anni 50, Helena Bonham Carter in costumi di inizio 900 in Le ali dell’amore, Florinda Bolkan essenziale in abiti anni 70 in Anonimo Veneziano, Angelina Jolie, elegante e seducente, in sinuosi abiti di seta in The Tourist, Gwyneth Paltrow fidanzata dolce e raffinata con abiti delicati e bon ton in Il Talento di Mr. Ripley, Alida Valli in preziosi abiti dell’ottocento in Senso , e la bambola meccanica con l’abito creato da Danilo Donati per il Casanova di Federico Fellini. E poi, ancora, il sogno e l’incanto degli abiti da favola di Dior, Emilio Pucci, Elie Saab, Chanel ,Valentino che hanno sfilato sulla croisette veneziana indosso ad attrici come Anna Magnani, Sophia Loren, Gwyneth Paltrow, Anne Hathway, Keira Knighyley , Monica Bellucci e tante altre magnifiche ed indimenticabili dive giunte nella città lagunare per le edizioni della Mostra Internazionale del Cinema di Venezia La moda e il cinema, l’una fonte d’ispirazione per l’altra e viceversa, forti di un legame speciale che da sempre vede stilisti e costumisti collaborare, grazie al proprio estro, con

Stelvio Cipriani - Anonimo Veneziano

il mondo del cinema creando abiti e costumi che nel corso degli anni hanno fatto sognare e reso indimenticabili le attrici che li hanno indossati in scena e che con essi hanno sfilato sinuose ed eleganti sul red carpet ; un legame che, al tempo stesso, vede questi grandi stilisti trarre ispirazione per le proprie creazioni dal cinema ed elevando così le attrici a vere e proprie muse e icone di moda. Particolare film “Senso” Un allestimento suggestivo e di grande impatto che fa sentire il visitatore trasportato, sulle colonne sonore dei grandi film, nel cuore del cinema con il fascino dei suoi abiti. Una mostra che celebra più che mai lo speciale e magico legame tra il cinema e la moda nella sognante e affascinante cornice di Venezia, città d’acqua, d’arte, cinema e glamour.

Particolare film “Le ali dell’amore”

Mostra del Cinema di Venezia, Leone d'oro COURTESY OF RAISTORIA

Da sinistra a destra: Anne Hathaway, Mostra del Cinema di Venezia 2008 Keira Knightley – Mostra del cinema di Venezia 2011 Sophia Loren – Mostra del Cinema di Venezia 2002 Tutte le foro: COURTESY OF VANITY FAIR WEB SITE

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IL PROIETTORE DI OLOFERNE To be or not to be? Il paradosso dei baffetti neri di Giuditta Naselli

“Non abbiamo forse occhi? Mani, sensi, affetti, passioni? Non ci nutriamo con lo stesso cibo, non ci feriamo con le stesse armi, non siamo soggetti agli stessi morbi? Se ci pungete non sanguiniamo? Se ci solleticate non ridiamo? Se ci avvelenate non moriamo?”. Così recita Felix Bressart che in Vogliamo vivere (To be or not to be, 1942) interpreta lo Shylock shakespeariano in una messa in scena realizzata con la sua compagnia teatrale per sfuggire ai nazisti che hanno da poco invaso Varsavia. Con Vogliamo vivere il regista Ernst Lubitsch sfrutta il suo retaggio teatrale creando una feroce satira che, attraverso innumerevoli gag e situazioni farsesche, ridicolizza e dissacra il nazismo. In un momento storico in cui alla Conferenza di Wannsee di Berlino viene predisposta la soluzione finale della questione ebraica, Lubitsch, intellettuale ebreo europeo, immigrato nel 1922 negli Stati Uniti, espone il suo dissenso con un’opera metateatrale nei confronti di una guerra tragica per quanto ridicola. La compagnia teatrale polacca, guidata da Joseph e Maria Tura, rispettivamente Jack Benny e Carol Lombard, costruisce una collaudata messa in scena eroicomica, abilmente condita da battute travolgenti e ritmo serrato, dimostrando quanto il confine tra realtà e finzione possa essere labile. Quando, nel 1942, il film uscì nelle sale, non fu facilmente accettato dalla critica e dal pubblico di allora per la scottante attualità del tema trattato. Perché Ernst Lubitsch, regista di commedie esilaranti e film musicali capricciosi, sceglie di girare un film comico su una tragedia come l’Olocausto? Probabilmente il regista ha l’eguale consapevolezza che ha Kierkegaard nel ritenere che il mondo è dotato di una tale oscura doppiezza da poter essere decifrata solo attraverso il paradosso, elemento intrinseco alla comicità. “Il paradosso è il presupposto del filosofare perché esso scaturisce dalla verità e dall’esistere come posti insieme nella situazione bifronte dell’esistenza.[…] il paradosso è la passione del pensiero, e la passione più alta della ragione, è volere l’urto, benché l’urto possa in qualche modo segnare la sua fine”1. Lubitsch sfrutta i dettami della comicità per rappresentare i capi della Gestapo come “fantocci senza cervello”, che Ernst Lubitsch, Sein oder Nichtsein, 1942 ridono di barzellette

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Marlene Dietrich - Lili Marleen

su Hitler (“si dice che un cognac l’hanno chiamato Napoleone, che di Bismarck ne hanno fatto una bistecca e di Hitler ne faranno una polpetta”) ma soprattutto come uomini totalmente asserviti ad un regime di cui non capiscono fin in fondo l’ideologia. Ne è dimostrazione la raffigurazione che Hannah Arendt ne La banalità del male fa di Adolf Eichmann, Ernst Lubitsch, To be or not to be, 1942 funzionario tedesco considerato uno dei maggiori responsabili dello sterminio della popolazione ebraica: “ Eichmann non s’iscrisse al partito per convinzione, né acquistò mai una fede ideologica: ogni volta che gli si chiedevano le ragioni della sua adesione, ripeteva sempre gli stessi luoghi comuni sull’iniquità del trattato di Versailles e sulla disoccupazione”2. Il regista Ernst Lubitsch trasforma il mondo in scena teatrale e viceversa, svela l’artificio illusorio dello spazio teatrale, e con esso dello spazio cinematografico, e riscrive la Storia come trasformazione del teatro in cinema, rinchiudendola tra le mura del teatro di Varsavia, dove la resistenza polacca anela alla libertà e alla fine della repressione tedesca. Prendendo dalla tradizione letteraria le figure letterarie, il regista le reinventa nello spazio cinematografico, attraverso una regia che non lascia niente al caso, facendo un omaggio a Shakespeare, che aveva imparato a conoscere quando, da giovane a Berlino, lavorava come attore nella compagnia di Max Reinhardt. Mentre Charlie Chaplin con Il grande dittatore (The Great dictator, 1940) lavora per mesi al discorso finale, Lubitsch si fa prestare le parole dal più grande drammaturgo di tutti i tempi, ma entrambi raggiungono il proprio intento, restituendo agli spettatori di tutto il mondo un cinema che si distingue per l’irriverenza e la spregiudicata modernità.

Rosella Prezzo (a cura di), Ridere la verità, Milano, Cortina, 1994, p.27. 2 Hannah Arendt, La banalità del male, Milano, Feltrinelli, 2009, p. 41. 1


ROUTES di Gabriella Mancuso

Mostre nazionali Altomonte, Convento dei Domenicani, Shawnette Poe. Collateral Rooms, dal 8 agosto al 16 settembre 2012 info: segniarte@yahoo.it / altomonteufficioturismo@gmail.com Bondo, Chiesa di San Barnaba, Pop Art e Oltre. Mostra Collettiva. La quotidianità e i suoi miti, dal 14 luglio al 16 settembre 2012 info: info@zanettiarte.com Castellamonte, Centro Ceramico Fornace Pagliero, Change Contemporary Ceramic Art, dal 28 luglio al 7 ottobre 2012 info: www.fornacepagliero.it Castelfranco Veneto, Castellano Arte Contemporanea, Mario Bozzetto. Scrittura di Luce, dal 15 giugno al 15 settembre 2012 info: www castellanoartecontemporanea.com Castiglioncello, Galleria La Virgola, Zeb. Pseudo Fascinazioni, dal 18 agosto al 30 settembre 2012 info: www.comune.rosignano.livorno. it Catanzaro, località Roccelletta, Parco Scolacium, Daniel Buren Costruire sulle vestigia. Impermanenze, opere in situ, dal 27 luglio al 14 ottobre 2012 biglietto intero: 3 euro biglietto ridotto: 2 euro info: www.intersezioni.org Città di Castello, Galleria delle Arti, Alessandro Bruschetti Futurista, dal 19 luglio al 27 settembre 2012 info: www.galleriadellearti.net

Napoli, Pan Palazzo delle Arti di Napoli, Stanley Kubrick Fotografo, dal 12 luglio al 9 settembre 2012 info: www.comune.napoli.it Roma, Galleria Minima Arte Contemporanea, Artists Contemporary, dal 27 luglio al 29 settembre 2012 info: www.mariotosto.it Rossa, fraz.Cerva (Vercelli), Galleria Canale dell’Arte, Interaction Section #1”, Mostra Internazionale d’Arte Contemporanea, dal 5 al 30 agosto 2012 info: foresteria@gmail.com Rovereto, Mart, Con gli occhi, con il cuore, con la testa, dal 24 luglio al 9 settembre 2012 info: www.mart.trento.it Venezia, Arte Communications, Open 15. Mostra Collettiva. Esposizione di Sculture ed Installazioni, dal 30 agosto al 30 settembre 2012 info: www.artecommunications.com

info: www.hit.si Parigi, Musée du Louvre, Gerhard Richter - Drawings and Other Works on Paper, dal 7 giugno al 17 settembre 2012 info: www.louvre.fr

Vernissage nazionali Bologna, Galleria d’Arte Maggiore, Sebastian Matta, Oli, Sculture e Tecniche Miste, dal 20 settembre 2012 al 20 gennaio 2013 ingresso libero, info: www.maggioregam.com Bologna, Mirò Gallery, El Remok. I’m a Material Boy, dal 22 settembre al 21 ottobre 2012, info: www.miroarchitetti.blogspot.it

Venezia, Ca’ Zenobio, 7 ways of seeing, dal 4 agosto al 28 ottobre 2012 info: www.collegioarmeno.com

Pavia, Scuderie del Castello Visconteo, Renoir. La Vie En Peinture , dal 15 settembre al 16 dicembre 2012, biglietto intero: 10 euro biglietto ridotto: 8.50 euro info: scuderiepavia.com

Mostre internazionali

Roma, St Foto Libreria Galleria, Mario Carbone Posto Fisso. Marina Abramovic e Ulay a Bologna, 1977, dal 10 settembre al 10 ottobre 2012 info: www.stsenzatitolo.it

Liverpool, Tate, Turner | Monet |Twombly - Later Paintings, dal 22 giugno al 28 ottobre 2012 info: www.tate.org.uk/liverpool

Ferrara, Museo Giovanni Boldini, Mustafa Sabbagh. Memorie Liquide, dal 20 maggio al 30 settembre 2012 info: www.artecultura.fe.it

Martigny, Fondation Pierre Gianadda, La Collezione Merzbacher. Il mito del colore Van Gogh Matisse Picasso Kandinsky, dal 29 giugno al 25 novembre 2012 info: www.gianadda.ch

Milano, Galleria 9 Colonne, Giovanna Cigala. Energia Creativa del Colore, dal 22 giugno al 10 settembre 2012, info: www.fondazionedars.it

New York, MoMa, Alighiero Boetti, Game Plan, dall’1 luglio all’1 ottobre 2012 info: www.moma.org

Milano, Spazio Oberdan, Nuovo Futurismo - Ridisegnare la Città, dal 19 giugno al 9 settembre 2012 info: www.provincia.milano.it

Nova Gorica, Galleria d’Arte Paviljon, Ljubo Radovac.. Viaggi nella Terza Dimensione, dal 5 luglio al 30 settembre 2012

Veezia, Arsenale e Giardini, Mostra Internazionale di Architettura / Common Ground, dal 27 agosto al 25 novembre 2012 info: www.labiennale.org/it

Venezia, Palazzo Cavalli Franchetti, Bertil Vallien- 0 Room, dal 28 agosto al 25 novembre 2012, info: www.berengo.com

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Eventi

Incontri

Da vedere

Bologna, Piazza Re Enzo e del PodestĂ , Arte libro, dal 21 al 23 settembre 2012 ingresso libero info: www.artelibro.it

Galatone, La Seta Rossa, Entroterra, la Residenza Artistica del Salento, dal 27 agosto al 2 settembre 2012 info: www.entroterra.es

Trivignano Udinese, Rave East VillageArtist Residency, Rave Residency: Ivan Moudov, dal 3 al 31 agosto 2012 info: www.raveresidency.com

Formia, seconda edizione Festival Arte Contemporanea Seminaria Sogniterra, 24,25,26 agosto 2012 info: seminariasogniterra.wordpress. com Milano, Cineteca Oberdan, Fra Cinema e Arte: Pablo Picasso, 23 settembre 2012 info: oberdan.cinetecamilano.it Roveredo, OpenArt 2012, Rassegna internazionale di scultura e installazioni, dal 28 luglio al 7 ottobre 2012 info: www.openart.ch Torino, Sedi varie, Lagrange. La Rue Des Artistes - La Via degli Artisti, 23 settembre 2012 info: www.spinart.it

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Lecce, Varie sedi, ArtLab. Dialoghi intorno al management culturale, dal 22 al 29 settembre 2012 info: simona.martini@fitzcarraldo.it Roma, Piazza del Verano, ArteVideo On The Road, 7 agosto 2012 info: www.artevideontheroad.net

Valle di Non, Dialoghi Silent- Canyon in Arte 2012, dall’1 giugno al 30 settembre 2012 info: www.visitvaldinon.it

Fiere Shanghai, Sh Contemporary 2012, dal 6 al 9 settembre 2012 info: www.shcontemporary.info


L’IMMANENTE E IL TRASCENDENTE Antico aperitivo futurista di Vincenzo B. Conti

Lungimiranti precursori dell’inizio del secolo scorso, intrapresero un percorso vincente indicando la via ai loro epigoni: Davide Campari, erede dell’omonima azienda fondata dal padre nell’anno dell’unificazione d’Italia, e Fortunato Depero, allievo di Giacomo Balla che già negli anni trenta celebrava il suo mecenate “L’Arte pubblicitaria è fatalmente necessaria, Arte fatalmente moderna, Arte fatalmente audace, Arte fatalmente pagata, Arte fatalmente vissuta. Un solo industriale è più utile all’Arte moderna e alla Nazione che non cento critici, che mille inutili parassiti.” diceva l’artista. A Depero il compito di magnificare l’infuso che Gaspare Campari aveva perfezionato prendendo esempio dal “tonico bitter alla maniera d’Olanda, secondo il metodo dello svedese Dott. Fernet”: oggi, il Museo Campari raccoglie i manifesti pubblicitari realizzati da tutti quegli artisti che hanno contribuito alla valorizzazione artistica del celebre marchio nel connubio antitetico di promozione commerciale del prodotto industriale e la ricercatezza del “pezzo” – fintamente- unico. Il Museo Campari, disegnato da Mario Botta, è a Sesto San Giovanni (Milano) nello storico exstabilimento liberty destinato alla produzione dell’ormai celebre bottiglietta a cono che in questi giorni festeggia gli ottant’anni dalla sua ideazione. Tra gli artisti: Bruno Munari, Federico Fellini, Ugo Nespolo,Glaser, Sambonet, Mochi, Brunetta, Sinopico, Tofano, Diulgeroff, Dudovich, Nizzoli e Leonetto Cappiello.

CSI - L’ora delle tentazioni

bellezza che l’imperatore Adriano volle al suo fianco; e come l’antico giovane impreziosì il suo animo e il suo corpo nutrito dai privilegi della corte, cosi l’azienda pontina esalta le qualità del vitigno chardonnay, arricchendolo con una maturazione in legno di un anno. Solo una tecnica di produzione eccellente consente a un vitigno bianco, e privo di importanti antiossidanti quali i tannini (presenti solo nelle bucce nere) di avere un ottimo invecchiamento, ottenuto attraverso la micro-ossigenazione del passaggio in botte di rovere di nuova lavorazione. L’attenzione in questa lavorazione realizza un vino di buon corpo, ampio e complesso nei profumi, che richiamano fortemente i tannini nobili ceduti dal rovere che svelano comunque i profumi primari dell’uvaggio. Il vitigno è situato su un terreno poco utilizzato in passato per le coltivazioni, il colore del vino non presenta particolari sfumature, se non un giallo paglierino con alcuni richiami di oro verde che non rivela il passaggio nel nobile legno: questo si riscopre in modo evidente e piacevole nella bocca, completando il bouquet organolettico già apprezzato nella degustazione olfattiva. Vino sperimentale, IGT Lazio, che viene offerto al pubblico ad un giusto prezzo, per far scoprire agli amanti del buon bere che non solo il vino rosso esprime il meglio in barrique. Ottimo con ogni piatto di pesce o con carni bianche ben speziate, perfetto l’abbinamento con spaghetti “alla gricia”.

Affacciarsi al passato, in cerca di un’idea, e proiettarsi in uno splendido futuro: questa è l’idea di Casale del Giglio per la produzione dei suoi vini d’eccellenza e in particolar modo dell’Antinoo. Il nome è stato ripreso da un antico bassorilievo, ritrovato nelle vicinanze della casa vitivinicola presso Latina, che raffigura un giovane greco di straordinaria

Antinoo Casale del Giglio, LT bott. cl 75 vol. 13,5% 11 Euro

Fortunato Depero, Campari Pavillon, 1960, courtesy Galleria Campari

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OPEN CALL di Gabriella Mancuso PREMI E CONCORSI

Bitonto, Ri-Crea Festival, concorso per la promozione, attraverso l’arte, il design, le immagini e la moda, la cultura del riuso creativo, primo premio: esposizione durante il festival termine ultimo di partecipazione: 30 agosto 2012 info: www.ricreafestival.it Catania, Stop 048degli Oggetti, Bando di concorso per artisti emergenti primo premio: residenza artistica a Berlino termine ultimo di partecipazione: 10 ottobre 2012 info: www.stop048oggetti.it

Padova, Call For Aaf Young Talents, primo premio: esposizione collettiva durante Affordable Art Fair che si terrà dal 26 al 28 Ottobre 2012, a Roma termine ultimo di partecipazione: 21 settembre 2012 info: www.affordableartfair.it

Genova, Concorso Fotografico La Forza delle Donne, nell’ambito della campagna di sensibilizzazione “Nastro Rosa”, termine ultimo di partecipazione: 31 agosto 2012 info: www.legatumori.genova.it

Pergine Valsugana, Il Dittico, sezioni: pittura, scultura, grafica, ceramica, fotografia, primo premio: esposizione info: www.spazioeventart.com

Laives, Premio La Seconda Luna, il principale obiettivo del premio è la promozione delle passioni e la loro valorizzazione Montepremi complessivo: 26.000 euro Termine pre–iscrizione: 16 ottobre 2012 Termine ultimo di partecipazione: 31 ottobre 2012 Info: www.lifelongpassionsaward.eu

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Matera, Percorsi nel Tufo 2012, Concorso fotografico primo premio: presentazione dell’opera, attestato di partecipazione e targa, termine ultimo di partecipazione: 30 agosto 2012 info: www.materafotografia.it


BOOKANEAR

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I bimbi, come sappiamo, hanno un universo parallelo contrapposto a quello degli adulti, molto elaborato e fatto di fantasie, di regole e di realtà più o meno distorte. Molte delle verità indiscusse che apprendiamo da bambini - imparate di solito da un compagno di scuola a cui l'ha detto "suo cugino" - si sedimentano nella nostra memoria provocando a volte dei veri e propri traumi, dei segreti tabù personali che ci trasciniamo fino all'età adulta, alimentando le nostre insicurezze e nevrosi personali. Agata Matteucci per The Artship

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CREDITS Castello di Monte Sant’Angelo - Via del Castello (Monte Sant’Angelo, FG); 0884 561018 -www.festambientesud.it Edinburgh Festival Fringe - High Street Edinburgh, Lothian EH1 1(QS, UK); 0131 226 0026 -www.edfringe.com Fondazione Forma per la fotografia – Piazza Tito Lucrezio Caro, 1 (Milano); 0258118067 - www.formafoto.it Fondazione Giuseppe Mazzullo - Vico De Spuches, 1 (Taormina, ME); 0942620129 - www.fondazionemazzullo.it Fondazione Malvina Menegaz - Palazzo Clemente, Via XXIV Maggio, 28 (Castelbasso, TE); 0861 50 80 00 - www.fondazionemenegaz.it Fortezza Civitella del Tronto - Corso Mazzini, 26/28 (Civitella del Tronto, TE); 0861 91321 - www.fortezzacivitella.it Galleria Campari - Via Gramsci, 161 (Sesto San Giovanni, MI); 02 62251 - www.campari.com/it/it/galleria-campari/la-galleria Galleria Continua - Via del Castello, 11 (San Gimignano, SI); 0577 943134 - www.galleriacontinua.com La5venice - Campo San Fantin, San Marco, 1895/6 (Venezia); 041 2435822 - www.le5venice.com Ler Recontres Arles Photographie - 34 rue du docteur Fanton (Arles, FR); (0)4 90 96 76 06 - www.rencontres-arles.com MLB Home Gallery - Corso Ercole I d’Este, 3 (Ferrara); 346 7953757 - www.marialiviabrunelli.com Palazzo Fortuny - San Marco, 3958 (Venezia); 041 5200995 - fortuny.visitmuve.it Regional Council of Seine-et-Marne - Castle of Blandy-les-Tours (Blandy-les-Tours, FR) -http://www.tourisme77.fr

Si ringraziano inoltre gli uffici stampa delle gallerie che con la loro disponibilità hanno sostenuto la nostra ricerca.


Fajar P. Domingo, End of the series, 2012.

Un ritratto comporta assenza e presenza, piacere e dispiacere. La realtĂ esclude assenze e dispiacere. (Blaise Pascal, Pensieri e altri scritti, Mondadori, Milano, p. 366)


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