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00 editoriale.qxp_EDITORIALE 03.03.15 13:23 Pagina 5

Editoriale

Questioni di interessi oppure interessi sparsi Jean-Claude Trichet, quando era alla testa della BCE, raccomandava agli Stati di comportarsi bene e soprattutto di non stracciarsi le vesti rendendogli così più difficile piazzare i bond dei loro debiti sovrani presso banche e investitori istutuzionali asiatici, in particolar modo ai malfidenti cinesi. Ai giornalisti insospettiti aggiungeva, comunque, che le operazioni erano super riservate perché anche la BCE in questa materia deve avere i suoi segreti. Circondato dal segreto è anche l’incontro, nel weekend che precedette il 15 gennaio, fra tre rappresentanti della Banca Nazionale Svizzera e i dirigenti della BCE per capire le modalità del QE che la Banca Europea avrebbe fatto partire da metà marzo. I nostri rappresentanti, con il presidente del direttorio Jordan in testa, appena rientrati hanno deciso immediatamente di abbandonare il tasso fisso di 1,20 franchi per euro, consigliati, si fa per dire, proprio dalla BCE ad abbandonare il legame non grato all’euro, in quanto la BNS era divenuta uno dei principali compratori di euro e questo rendeva più difficile la sua svalutazione competitiva a rilancio dell’export. Tutte le principali economie del mondo stampano infatti valuta in maniera industriale (USA, Giappone, Europa, Cina, Russia e, a seguire, mezzo pianeta). Il denaro rende zero e questo è veleno non solo per le banche e la clientela privata ma anche per tutto il finanziamento sociale legato alle pensioni, pubbliche o private che siano. Non riusciamo a capire come mai i principali analisti europei non riescano a vedere la crescita degli interessi prima di cinque o addirittura sette anni. Per ottenere la sospirata crescita, la soluzione è un consistente aumento dei salari minimi dai 1.300 euro di Francia e Germania ad almeno quei 2.000 euro che farebbero ripartire il volano dei consumi. Appena meno segrete le negoziazioni con l’Italia, per fortuna accelerate e arrivate alla tanto desiderata uscita dalla lista nera. Per un Paese che è una democrazia da quasi 725 anni trovarsi su una lista insieme a isole e isolotti che di facilitazioni fiscali ci vivono era particolarmente imbarazzante. Questi due momenti faranno parte della storia economica svizzera: il primo è tutto ancora da scrivere per la gravità delle ricadute su quasi tutti i settori dell’economia svizzera, mentre il secondo, che è collegato all’accordo fiscale con l’Italia (sul tema abbiamo pubblicato in questo numero una guida esaustiva), ci rende anche di fronte al mondo intero un Paese con una normalissima realtà fiscale. In attesa di conoscere i risultati finali non abbiamo mai preso di mira la nostra consigliera Eveline Widmer-Schlumpf. L’esito oggi noto è un accordo giusto a seguito di una legge italiana buona che mette la Svizzera in buone condizioni per il suo futuro. Resta da vedere come, oltre alle grandi banche, le medie e le piccole potranno trovare un posizionamento nel contesto che si apre. Valerio De Giorgi


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