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La moda tra movimenti e sostenibilità

LA MODA TRA MOVIMENTO E SOSTENIBILITÀ

LA BELLA STAGIONE BUSSA ALLA PORTA E ORA PIÙ CHE MAI LA MODA RACCONTA UNA VOGLIA DI RINASCITA.

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DI VALENTINO ODORICO L a donna, nella sua visione di movimento, si copre con capi dalle forme e volumi inusuali, in un gioco di tagli e grandezze particolari. Le mini giacche, come quelle presentate da Genny, si colorano nei toni degli iris viola e del glicine, coordinate agli shorts. La giacca diventa spolverino, vestaglia, pigiama, camicia per offrire momenti di composto relax. Andrea Pompilio è il portavoce di una tendenza che si è osservata su varie passerelle: proposte create e pensate sia per lui, sia per lei. Look androgeni e tagli sartoriali che si mescolano nel guardaroba in modo naturale, per un nuovo concetto di “pulizia”; tessuti classici, shorts e giacche monopetto, un racconto di stili tra urban e country, tra eleganza e sportività. Forte anche il concetto di eco-sostenibilità green: singolare il progetto di Gilberto Calzolari che propone l’approccio season-less; un’estetica marcatamente contemporanea per lo “scontro” tra tagli femminili e maschili. Il tutto è utilizzando in maniera estre-

mamente attenta ai materiali, in uno statement contro i meccanismi di produzione di massa che produce continuamente scarti e sprechi, a partire dalla partnership con C.L.A.S.S. (Creativity, Lifestyle And Sustainable Synergy). Per la collezione è stato deciso di attingere alla loro nuovissima area “Back in the loop” dedicata a soluzioni di vera economia circolare attraverso la partnership con Maeba International, leader nella selezione e nella riproposizione di tessuti italiani di alta qualità totalmente tracciabili. A questi si aggiunge l’uso di tessuti sostenibili tecnologicamente avanzati, come il canvas di cotone in mischia con Amni Soul Eco®, la prima poliammide 6.6. a biodegradazione accelerata; il poliestere interamente riciclato da plastiche recuperate dal mare, o il poliestere NewlifeTM, 100% made in Italy, riciclato meccanicamente a partire da bottigliette di plastica con catena tracciabile e trasparente. Per Salvatore Piccione i fiori e foglie, in disegni micro, vanno a dar vita ad un prato primaverile leggero e romantico. Gocce e bolle sui toni dell’azzurro e verde acqua sono stampati sul leggero chiffon che rendono fluidi quei vestiti che profumano di primavera. «Il messaggio è di positività e l’ironia dei disegni e la gioia nei colori sono volutamente enfatizzati perché abbiamo tutti bisogno di riprendere a sognare. Ho lanciato questo progetto pochi mesi, utilizzando il mio nome e cognome», queste le parole del designer. Per Mario Dice l’ispirazione nasce dal concetto di un amore libero dalle forme, dai vincoli e dalle sovrastrutture sociali. Ecco che i tessuti come denim, lino, cotone e canvas vengono arricchiti da pizzi e ricami sangallo in una scala di nuances cromatiche che vanno dai più caldi e materici mattone e caramello fino al tono acceso del corallo. Anche nella moda maschile si ha un ritorno all’essenziale. Un esempio è la collezione di Luca Larenza: il look irriverente della strada inglese è mixato al più sofisticato stile italiano sartoriale. Il trench, pensato in tagli morbidi e scivolati, è abbinato a polo in maglia caratterizzate da delicate nuance. La sperimentazione sulla maglieria porta alla elaborazione di delicati intrecci in seta e lino, utilizzati per la costruzione di raffinate polo con dettagli in contrasto e di gilet dal taglio morbido. Anche la collezione di Canali è un viaggio immaginario nel guardaroba maschile alla scoperta di sé stessi. Come in un’ideale macchina del tempo, la giornata inizia nella luce magica di una metropoli cosmopolita circondata dalla natura, prosegue sulle sabbie dorate di una spiaggia inondata dalla luce del mezzogiorno e si conclude al crepuscolo nella vegetazione lussureggiante di un’oasi lontana. Ogni momento va affrontato con stile, inventiva e passione. E per chi cerca un sogno d’evasione? Ci pensa Donatella Versace facendoci immergere nell’immaginaria città sommersa di Versacepolis, il luogo dove ciò che è conosciuto e l’ignoto si incontrano. Come il mondo si adatta con resilienza alla nuova normalità, questo mondo sottomarino offre l’opportunità di abbandonarsi alla fantasia e di nuotare in un paesaggio immaginario.

01 Mario Dice

02 Andrea Pompilio

03 Versace

LA PASSIONE DISTINGUE I LEADER

LA PASSIONE È QUEL PONTE CHE PERMETTE AL MANAGER CALCOLATORE E AL FREDDO IMPRENDITORE DI FARE UN SALTO NEL FANTASTICO MONDO DELL’IRRAZIONALITÀ.

«U no pensa che siano dei superman o delle wonder woman. Gente con i superpoteri, con la vita già scritta in un copione fatto di successi, episodi eccezionali, abilità che i più neanche immaginano. Dei predestinati. Invece no, sono “semplicemente” dei “leader”: persone che esplorano il percorso sul quale poi gli altri vanno a camminare. Si è portati a pensarli diversi dal resto del mondo (e forse in parte, un po’ lo sono…). Fondamentalmente, però, sono persone come le altre: due mani, due occhi, un naso, una bocca, emozioni. In più hanno la capacità di estrarre dal proprio interno un’energia straordinaria che la massa neanche sa o pensa di avere. Hanno la benzina che serve a mettere in moto processi importanti, progetti ambiziosi, roba che ti cade la mascella quando la vedi, conosci e realizzi. Non i soldi, non la fame di potere o successo li comandano. C’è un sentimento, un trasporto particolare, un qualcosa che sta più in alto e regola i loro comportamenti, le decisioni e la maniera con cui i veri leader agiscono: la passione. È un qualcosa che ti inebria, che mette adrenalina in circolo, che ti fa ritrovare vittima felice di ciò che stai facendo». Recita così il nuovo numero di PLUS, il nostro Magazine dedicato al mondo

L’ASSOCIAZIONE REW SI PRESENTA

SABINA GATTO Socia Fondatrice/Web e nuovi progetti CEO di Sit Immobiliare

LAURA POGGIOLI Membro di Comitato/Segreteria Founder La Relocation

ILARIA ROVEDA Socia Fondatrice/Tesoriera Founder di Reva

GEMMA DE FILIPPIS Membro di Comitato/Formazione e Sponsor – CEO di Point Service

SIMONETTA ROTA Membro di Comitato Eventi e Comunicazione Founder SR-More Than Events

ASSOCIAZIONE REW info@associazionerew.ch www.associazionerew.ch degli eventi, in questa edizione dedicato proprio ai Leader. Perché nei momenti più bui abbiamo bisogno di guide lungimiranti. Abbiamo bisogno di luce. Abbiamo bisogno di leader. E quando a scendere in campo con questa passione è una donna, ecco che si aggiunge anche qualche caratteristica distintiva! L’abilità di ascoltare, l’empatia, l’intelligenza emotiva e sociale, il sesto senso, la capacità innata di comprendere i segnali deboli del contesto, accoglierli e portarli alla ribalta. La cura. L’amore, che è energia, sensibilità, entusiasmo, è visione, è disponibilità, è apertura. Caratteristiche tradizionalmente (e anche stereotipicamente) più femminili, diventate oggi un know how implicito dell’identità di genere, esplicabili anche nei ruoli organizzativi. Quello che ci aspetta, a mio avviso, è un mondo che vada progressivamente a includere i ruoli che siamo abituati a conoscere, sostituendo al pregiudizio la necessità, al genere la meritocrazia, ai soli supermen la giusta presenza e integrazione di vertici aziendali femminili, che assieme ai leader possono creare un perfetto mix&match di valore aggiunto. E nella potenza delle donne leader credo così fortemente che già da qualche anno mi “preparo” a questa graduale e ormai necessaria integrazione dei poli attraverso lo strumento che a mio avviso è quello più efficace: il confronto con altre donne. Sono orgogliosa di essere membro del Comitato direttivo di Associazione REW con il ruolo di Responsabile della Comunicazione ed Eventi. REW è una Community al femminile che riconosce nelle nostre affiliate non solo un’affermazione professionale ed un percorso di responsabilità, capacità imprenditoriali e manageriali in diversi ambiti, ma anche un’autonomia decisionale e una predisposizione altruistica forte e coesa. Un’associazione di donne, pronte a mettersi in gioco in prima persona in un cammino di cre-

scita aperto e orientato a fare network e a condividere esperienze professionali e di vita. L’associazione ha lo scopo di promuovere, rafforzare e sostenere le donne attive professionalmente in diversi ambiti, favorire la creazione di una solida rete di contatti in ambito professionale promuovendo lo scambio di relazioni e lo sviluppo di sinergie. Si distingue per l’impegno verso le proprie associate in una proposta di incontri formativi erogati da autorevoli formatori e per il sostegno convinto di iniziative a fine benefico. Per facilitare networking e collaborazioni, abbiamo un ricco calendario di incontri online, ma non vediamo l’ora di poterci incontrare nuovamente negli eventi dal vivo. Memorabile è il nostro “Women Gala Party” che si tiene il 3 dicembre di ogni anno. Un evento che organizziamo con il cuore e la cura che contraddistingue la mia agenzia, dove ogni minimo dettaglio è studiato ad hoc. Nell’ultima edizione abbiamo infatti realizzato a mano tutte le candele, ricoprendole di glitter nella palette colori del logo REW, per impreziosire e dare identità femminile alla mise en place e realizzato ad uno ad uno i cadeau per le gentili ospiti. Questo gala è una serata dedicata alle donne, che celebra l’eleganza, la leggerezza, la generosità e il divertimento, dove gli unici ospiti maschili consentiti sono stati il Sindaco di Lugano e l’artista Fabrizio Vendramin, di cui l’agenzia Simonetta Rota – more than events ha l’esclusiva per la Svizzera. Vendramin è un vero “uomo performer”, i suoi ritratti in stile pop art sono un’esperienza emozionante da vivere e da veder nascere sotto i propri occhi, proprio come ha fatto durante il Gala Party REW, dipingendo a ritmo di musica l’iconica Marylin Monroe, come dono inaspettato per le signore in sala. E in questo anno così “particolare”, stiamo già lavorando ad un secondo evento live che si terrà in estate. Un party che vuole onorare la Vita e la gioia di stare insieme…rigorosamente only for women!

SIMONETTA ROTA MORE THAN EVENTS Via P. Lucchini 10 CH-6900 Lugano info@simonettarota.com www.simonettarota.com

UNA FAMIGLIA DI FUORICLASSE

BENTLEY MOTORS SI È SEMPRE IMPEGNATA A SVILUPPARE E REALIZZARE LE VETTURE AD ALTE PRESTAZIONI PIÙ DESIDERABILI AL MONDO. NE SONO UNA CONFERMA LE TRE VETTURE CHE CONTRADDISTINGUONO ATTUALMENTE LA FLOTTA BENTLEY: SULLA FLOTTA ATTUALE BENTLEY: NEW BENTAYGA V8, NEW FLYING SPUR V8 E NEW CONTINENTAL GT E GTC. F ondata nel 1919 da W.O Bentley, la missione della casa automobilistica era “Costruire vetture eccellenti, vetture veloci, le migliori della loro classe”. Queste parole sono ancora attuali e ben si adattano a vetture lussuose, reattive e potenti che fanno bella mostra di sé presso lo show room di Kessel Auto a Lugano, e che certamente incontreranno l’apprezzamento dei tanti estimatori ticinesi della casa automobilistica britannica. Anche se oggi la gamma vanta diversi modelli, le Bentley realizzate artigianalmente restano infatti sempre inconfondibili. Basta uno sguardo ai doppi fanali anteriori, alla calandra a nido d’ape o alla linea di cintura rialzata per riconoscere immediatamente una Bentley. La New Bentayga V8 ha solidi argomenti per legittimare le sue due caratteristiche principali, apparentemente inconciliabili: essere una vera Bentley e una vera suv. La parte frontale della Bentley Bentayga la rende inconfondibile ancor prima di vedere il marchio con la B maiuscola che sovrasta con discrezione l’imponente griglia anteriore. Sotto il cofano trovano posto diversi motori, tutti turbo e a benzina. Il 4.0 V8 biturbo sprigiona 549 CV e 770 Nm, e spinge un’auto che pesa meno (88 kg). Per chi volesse cimentarsi nel

fuori strada c’è poi anche il pacchetto All Terrain, che alle quattro modalità di guida selezionabili di serie (Sport, Comfort, raccomandato da Bentley e personalizzabile) ne aggiunge altrettante, secondo il tipo di terreno che ci si ritrova a percorrere: neve/erba bagnata, sterrato/ghiaia, fango/grandi ostacoli, sabbia. Non manca, ovviamente, il dispositivo che mantiene costante la velocità della vettura nelle discese ripide. Per un utilizzo prevalente nel traffico intenso conviene invece scegliere il pacchetto City, che provvede aiuti elettronici ulteriori per rilevare la segnaletica, l’avvicinarsi di pedoni, e un’immagine virtuale della vettura dall’alto visualizzata sullo schermo del navigatore. Il pacchetto Touring, infine, è fatto per chi effettua lunghe percorrenze, soprattutto in autostrada, e comprende ulteriori aiuti elettronici, come il cruise control adattativo che prevede anche l’avvicinarsi delle curve, rallentando di conseguenza, o le telecamere a raggi infrarossi per la guida. Da segnalare l’impegno profuso dalla Bentley per limitare per quanto possibile i consumi e avere una buona autonomia, voci dolenti per un veicolo a trazione integrale che pesa circa 2500 kg in ordine di marcia e raggiunge le tre tonnellate quando viaggia a pieno carico. Quando è inserita una delle ultime 4 marce, inoltre, se il conducente rilascia il gas la vettura procede al minimo come se fosse “in folle”, salvo riprendere l’uso del cambio (con conseguente “freno motore” in rilascio) non appena si preme di nuovo l’acceleratore o s’imbocca una discesa. Le dimensioni sono davvero ragguardevoli, ma la Bentley Flying Spur ha un carattere sportivo; in pratica, è la versione a quattro porte della coupé Continental. La sportività si esplica nelle prestazioni (con i suoi 333 km/h dichiarati, è la berlina più veloce oggi a listino) e nelle doti di guida (la trazione integrale, il retrotreno sterzante e le sospensioni pneumatiche con barre antirollio elettroniche contrastano con una certa efficacia la massa e gli ingombri). E poi, ci sono le proporzioni: la Flying Spur è relativamente bassa, e un profilo filante; lo mettono in risalto le enormi ruote (fino a 22”) e dettagli come i fari, lavorati internamente così da assomigliare a dei diamanti, e la luccicante e luminosa “B” alata simbolo del marchio, che sbuca dal cofano anteriore quando si sbloccano le porte. L’abitacolo è quello che ci si può aspettare da una Bentley dei giorni nostri: morbida pelle, spessa moquette e una miscela di legnami pregiati e inserti in metallo lucido si abbinano armonicamente a componenti moderni: come il cruscotto digitale di 12,3” e il display centrale (che, optional, può ruotare su se stesso per mostrare tre piccoli strumenti analogici). La sua “voce” del potente motore V8, non particolarmente “cattiva”, è sempre ben insonorizzata, e in autostrada non lo si sente proprio, dato an-

che che le due ultime marce del cambio robotizzato a doppia frizione sono “di riposo”. Ottimo il comfort, e non mancano gli aiuti elettronici alla guida; Difficile trovare auto rifinite con la stessa cura riservata a questa coupé, dall’eleganza tipicamente britannica: l’abitacolo della Bentley Continental GT è un tripudio di pelli con impunture a vista, vero metallo e legno pregiato. Il 4.0 è un classico otto cilindri a V. A dispetto del peso rilevante, la Bentley Continental GT è decisamente maneggevole: a questo risultato concorrono positivamente le sospensioni ad aria e della trazione integrale con una ripartizione della potenza che privilegia le ruote posteriori. Promosso pienamente il cambio a doppia frizione con otto marce: tanto dolce quanto rapido. Nata per macinare velocemente un chilometro via l’altro, questa granturismo assolve alla perfezione il suo compito: le poltrone sono ampie e confortevoli e le sospensioni “lisciano” l’asfalto. Nella versione cabriolet la Bentley Continental 8V GTC acquista ulteriore fascino, e vanta una linea equilibrata ed elegante; la capote chiusa è particolarmente ben integrata, e quando la si apre praticamente “scompare” dietro i due sedili posteriori (che garantiscono un discreto comfort). Come nella versione coupé, la scelta dei materiali e la cura riservata ai particolari è degna del prezzo di listino: l’abitacolo è rivestito con morbida pelle lavorata in base al gusto del cliente, metalli scintillanti, legni pregiati (ma anche, volendo, fibra di carbonio) e folta moquette. I rinforzi alla scocca tipici delle auto con il tetto apribile comportano un peso maggiore di 170 kg rispetto alla Bentley Continental GT, ma alla guida lo si nota poco. Grazie alla meccanica molto raffinata (sospensioni pneumatiche e trazione integrale con una ripartizione della potenza che privilegia le ruote posteriori) la GTC è abbastanza maneggevole, oltre che stabile. La Bentley Continental GTC può superare i 300 km/h con facilità. Per i giorni estivi ci sono i sedili ventilati, mentre quando la temperatura esterna scende si possono sfruttare il bracciolo e la corona del volante riscaldabili, nonché un leggero flusso di aria calda che esce dai sedili nella zona del collo.

REGINA DEL BENESSERE

LA RINNOVATA BERLINA DI RAPPRESENTANZA INTRODUCE UNA NUOVA DIMENSIONE DELL’ACCOGLIENZA INSIEME ALL’IMPORTANTE EVOLUZIONE TECNOLOGICA. ANCHE PER OFFRIRE INEDITI TRAGUARDI DI PROTEZIONE E SICUREZZA ATTIVE.

L’ammiraglia è tornata. E nella sua forma migliore: affusolata, classica nelle proporzioni quanto moderna e levigata nella sua estrema suggestione stilistica; ancor più spaziosa e ricercata, naturalmente, nonché contraddistinta da un livello tecnologico di riferimento per l’intera categoria. La Classe S riesce ad andare oltre ogni aspettativa, anche le più elevate, e in ogni dettaglio, anche dove meno te l’aspetti: l’evoluzione è significativa non tanto - o meglio, non soltanto - a livello di qualità di marcia, ma in special misura nell’interfaccia uomo-macchina e nel grado di assistenza attiva a disposizione. Ad esempio, lo stesso cruscotto dedicato al guidatore è affidato ad uno schermo digitale tridimensionale, in grado cogliere le informazioni presentate con la stessa profondità di campo che si avrebbe in natura; l’effetto è sorprendente, specie visualizzando ad esempio la mappa di navigazione con vista 3D: oltre allo stupore aggiunge il vantaggio di conservare il fuoco visivo più lontano, dunque con ritorno più immediato e facile alla vista sulla strada. Cresce inoltre la potenza di calcolo per offrire comandi vocali e non soltanto. La nuova interfaccia MBUX seconda generazione aggiunge infatti la capacità di interpretare non solo la voce naturale ma anche i movimenti stessi del conducente (direzione della testa, movimenti delle mani, linguaggio corporeo) per suggerire o attivare direttamente le funzionalità correlate. Siamo al volante della prestigiosa S 500 L, a passo lungo, ed i suoi 5,29 metri di ingombro longitudinale combinati al passo maggiorato da quasi 3,22 m possono forse destare apprensione in manovra, eppure colpiscono agilità e facilità di manovra: la manovrabilità è insospettabile a dispetto della mole. C’è il trucco, ed è costituito dalla sterzata sull’asse posteriore fino a 10 gradi, che consente di guadagnare fino a 2 metri sul diametro di volta. Anche per questi dettagli, la Classe S è la berlina di lusso più diffusa al mondo, e con quest’ultima generazione mostra tutte le qualità necessarie per restare in questa posizione invidiabile. La stessa guida è quanto mai docile, fluida, vellutata; il sei cilindri di tre litri, combinato alla spinta aggiuntiva del sistema micro-ibrido a 48V, permette di variare rapidamente l’andatura con modeste pressioni sull’acceleratore, oltre a lasciare spazio per uno scatto da fermo da sportiva. Le raffinate sospensioni pneumatiche a controllo elettronico rendono inoltre quasi inavvertibili i movimenti del corpo vettura tra le curve, ma al contempo assorbono ogni lieve imperfezione con efficacia irreale. La guida stessa lascia il campo ad una precisione che invita ad un dinamismo godibile, col contributo di un volante dal diametro insolitamente ridotto per il genere d’auto. Ed il silenzio a bordo è tale da accorgersi dello strusciare dei propri abiti sulla pelle dei sedili, quando si aggiusta leggermente la postura. L’inusuale generosità degli spazi e la raffinatezza di finitura che accompagnano la zona posteriore, che definire “lounge” appare persino riduttivo, meriterebbero un’esperienza di viaggio con autista. Dal punto di vista anteriore, il conducente si “consola” però con il grandioso schermo centrale verticale da 12,8”, con i dieci programmi di massaggio e con la guida semiautonoma di livello 3 a partire da metà 2021, che consentirà alla Classe S (inizialmente solo in Germania) di viaggiare realmente da sola in autostrada senza richiedere l’attenzione del guidatore.

ALCUNI DATI TECNICI DELLA MERCEDES S 500 4MATIC L

Motore 6 cilindri, biturbo con sistema micro-ibrido Cilindrata cm3 2.999 Carburante Benzina Potenza max. 435 cv (320 kW) + 22 cv (16 kW) Coppia max. 520 Nm a 1800-5500 giri/min. Velocità max. Accelerazione 0-100 km/h Capacità serbatoio Peso totale Trazione

250 km/h 4,9 secondi 70 litri 2.045 kg Integrale

UN PUGNO IN UNA CAREZZA

ALLE PRESTAZIONI FUORI DALL’ORDINARIO COMBINA LOOK POSSENTE E DISTINTIVO CON GUIDA ALTAMENTE DINAMICA, MA SA ANCHE ESSERE ALTRETTANTO DOCILE ED ACCOGLIENTE PER VIAGGIARE IN UN COMFORT ESCLUSIVO.

AMG e Suv: un connubio senza dubbio suggerito subito dalle linee inconfondibilmente espressive della GLE Coupé, vettura che come poche riesce a trasmettere al primo sguardo tutte le speciali qualità dinamiche assicurate dalla prestigiosa divisione sportiva Mercedes. Il profilo filante, un puro stile Gran Turismo, è la nota più in vista della vettura: cattura l’attenzione e, nel suo fluire del profilo a goccia, collega idealmente il frontale deciso e possente con la coda rastremata, suggerendo velocità e dinamismo. E tutto ciò in combinazione con i numerosi dettagli aerodinamici che aggiungono funzionalità insieme ad ulteriori tocchi di personalità. Le grembialature sottoporta assicurano inoltre protezione e contribuiscono a vivacizzare le fiancate, mentre in coda spiccano i sottili gruppi ottici così come il generoso diffusore inferiore, che divide i terminali di scarico sdoppiati. Le ruote standard da 22 pollici assicurano infine tutta la presa al suolo necessaria per garantire massima tenuta e piacere di guida. Internamente, l’ambiente è altrettanto distintivo e personalizzato per sottolineare l’esclusiva sportività del modello, senza tuttavia perdere di vista eleganza ed armonia d’insieme: il colpo d’occhio è appagante e suggestivo, suggerendo in pari misura prestazioni di livello superiore ma anche comfort ed accoglienza ai massimi livelli. Il volante vanta un diametro piuttosto compatto, ideale per il controllo, ed è una vera e propria centrale di controllo: a portata di dita si trovano i principali comandi inclusi i pulsanti che permettono di accedere direttamente alle regolazioni di assetto e modalità di marcia, per poter variare pressoché all’istante il carattere della vettura al proprio umore o alla situazione stradale. I grandi schermi nella zona superiore della plancia offrono la massima configurabilità e permettono di tenere tutto sotto controllo con un agile colpo d’occhio, mentre lo spazio di notevole respiro accoglie generose poltrone anteriori sportive così come un divano posteriore altrettanto invitante; la stessa atmosfera di bordo viene trattata tramite ionizzazione e depurazione. Fiore all’occhiello della della 63 S Coupé resta in ogni caso il comparto meccanico, nel suo complesso: la raffinatezza e le prestazioni del potente V8 biturbo in versione S, da oltre 600 cavalli, richiedono altrettanta tecnologia di punta per telaio e trazione integrale. Le sospensioni pneumatiche permettono tre tarature, a loro volta combinate alla modalità di marcia Comfort cui si aggiungono tre strategie sportive e due specialistiche per affrontare i terreni ad aderenza ridotta; il sistema 4x4 4Matic+ porta la “firma” Performance AMG grazie ad un’evoluzione specifica, con passaggio dalla trazione posteriore a quella integrale regolato senza interruzioni ed in modo istantaneo ed influenzato dallo specifico programma di regolazione della dinamica di marcia 4ETS, completato al retrotreno dal differenziale autobloccante anch’esso pilotato elettronicamente. Al top anche i freni: dischi anteriori da ben 400 mm con pinze a sei pistoncini in tinta rossa, a richiesta per i più esuberanti in tema di staccate l’impianto con dischi ceramici. Nonostante l’esuberanza decisa, la 63 S Coupé lascia però spazio anche alle carezze: il V8 ha un’erogazione quanto mai dolce ed elastica, oltre a vantare l’apporto del sistema micro-ibrido 48V nelle accelerazioni lievi nonché della disattivazione selettiva dei cilindri nella marcia a carico parziale, in modo da ottimizzare l’efficienza di funzionamento.

ALCUNI DATI TECNICI DELLA MERCEDES-AMG GLE 63 S 4MATIC+ COUPÉ

Motore Cilindrata cm3 Carburante Potenza max. Coppia max. 8 cilindri a V, biturbo 3.982 Benzina 612 cv (450 kW) + 22 cv (16 kW) 850 Nm a 2.500-4.500 giri/min. Velocità max. Accelerazione 0-100 km/h Capacità serbatoio Peso totale Trazione

280 km/h 3,8 secondi 74 litri 2.665 kg Integrale

LA SUBARU FORESTER È UNA VETTURA PERFETTA PER ANDARE OVUNQUE SI VOGLIA. SOLIDAMENTE COSTRUITA, COMPATTA E MANEGGEVOLE, MA SPAZIOSA E CONFORTEVOLE.

DI GIACOMO NEWLIN

LE SORPRESE DI UN’AUTO «NORMALE»

In una società che corre senza sapere esattamente quale sia il traguardo, trovare una persona “normale” non è un’impresa facile. Tutti e tutto dev’essere straordinario. Questa riflessione l’ho accostata, forse un po’ arditamente, all’auto che ho avuto l’occasione di provare nel viaggio da Lugano a St. Moritz e ritorno, in occasione dell’annuale Gourmet Festival che si è svolto nel mese di febbraio dell’anno passato. Finora le auto per questa occasione sono state direi straordinarie, mentre l’anno scorso era una Subaru Forester 2.0 EBoxer, un’auto di una marca che non mi diceva granché, ovvero un’auto che prima della prova potevo considerare “ordinaria”, cioè normale, ma che poi si è rivelata straordinaria per uno come me che attribuisce maggior valore a certi fattori più che ad altri; ad esempio, per me è più importante la sicurezza rispetto all’estetica. Potrei osare a questo punto una metafora prendendo a prestito l’aforisma dello scrittore e commediografo britannico William Somerset Maugham che recita: “L’uomo elegante è quello di cui non noti mai il vestito”. Ebbene per molto tempo non ho notato il “vestito”, ma la sicurezza che esprime la Subaru Forester 2.0 E-Boxer si traduce in una sensazione piacevole che accompagna tutto il viaggio. Seduto a bordo scopri man mano altri pregi, che se vogliamo rappresentano piccole cose che sommate insieme danno un grande risultato. Mi sovviene l’aforisma di un anonimo che recita così: “L’amicizia non è una grande cosa, è un milione di piccole cose”. Ora mi sono accorto di quest’auto con la quale ho quindi fatto amicizia. Non posso citare tutte le piccole cose che regala la Subaru E-Boxer, ma alcune sì: un’accelerazione vigorosa, una guida confortevole e silenziosa, il generoso spazio interno, vibrazioni quasi nulle anche “off road”, la decisione automatica quando dalla propulsione termica si deve passare a quella elettrica, il sistema chiamato “EyeSight” che dallo sguardo del conducente rileva sintomi di stanchezza, il dispositivo che in retromarcia frena automaticamente se i sensori rilevano un ostacolo, ecc.

L’azienda del Sol Levante, che come simbolo ha le Pleiadi, si è imposta per le proprie vetture entro il 2030, un obiettivo molto ambizioso, ovvero l’azzeramento degli incidenti stradali con vittime. Andando poi a frugare nella storia di questa azienda nata lontano da noi, in Giappone, ho scoperto che l’attività è partita nel 1917 con la costruzione di aerei militari per poi nel 1954 iniziare con la produzione delle prime auto. Non sapevo che il modello Subaru Legacy con trazione integrale, il cui debutto risale al 1989, è il veicolo più venduto al mondo e che nello sport automobilistico la Subaru negli anni ’90 ha collezionato diverse vittorie nei campionati mondiali di Rally. Insomma non è proprio un’auto qualunque! Come succede con le persone che non puoi giudicare a prima vista, così anche le auto non le puoi giudicare di primo acchito, poiché se le provi e con curiosità e interesse ne approfondisci la conoscenza, scopri con sorpresa qualità nascoste e impensate.

LA CASA DEL FUTURO RISPETTA L’AMBIENTE

L’ orientamento dei clienti è sempre più chiaro e definito: vogliono una casa sostenibile progettata e costruita per garantire un uso razionale delle risorse. Non dovrebbero poi mancare sistemi di gestione e automazioni per il risparmio energetico, così come dovrebbero essere inclusi impianti per l’autoproduzione elettrica. Oggi, i costi di realizzazione di una casa sostenibile sono molto più accessibili. Complice la diffusione di materiali sempre più innovativi e di una maggiore consapevolezza ambientale. Quando parliamo di una casa sostenibile, facciamo riferimento a un’abitazione che incarna i buoni principi della bioedilizia. Parliamo di un’abitazione in cui gli abitanti assumono un atteggiamento rispettoso dell’ambiente. A livello descrittivo, possiamo ridurre i principi di una casa sostenibile in alcune semplici caratteristiche. Il sole è la fonte di energia più antica che abbiamo. Con un pannello solare è possibile produrre acqua calda e soddisfare il fabbisogno domestico. Il solar cooling, inoltre, riesce a raffreddare la casa in estate oltre che risaldarla d’inverno. L’illuminazione rappresenta il 20% del consumo di elettricità mondiale. Le lampade a LED, anche se arrivano a costare 10 volte in più delle alogene o delle lampadine a incandescenza, durano da 8 a 10 volte in più e consumano molto meno. Per risparmiare ulteriormente si può contare sulla domotica con timer o sensori che regolano l’accensione e lo spegnimento di lampade. Anche ogni elettrodomestico e apparecchiatura elettrica dovrebbe essere opportunamente dimensionata. L’etichetta energetica è un buon punto di riferimento per chi vuole arredare una casa sostenibile. E, ancora, un’abitazione priva di isolamento aumenta i costi di riscaldamento e aria condizionata. La coibentazione consente invece di ridurre drasticamente i consumi energetici. In realtà, gran parte dei principi dell’architettura sostenibile vertono sul garantire un buon isolamento per abbassare il fabbisogno energetico dell’intera struttura edilizia. In questo settore sono di fondamentale importanza i materiali di costruzione e la presenza di un involucro edilizio opportunamente progettato. Il calore si può disperdere soprattutto a causa dei serramenti e gli infissi rappresentano l’anello debole dell’isolamento termico. Un’abitazione sostenibile presenta dunque infissi e vetrate intelligenti che consentono l’illuminazione naturale e garantiscono un buon isolamento. Impiegando serramenti in materiale isolante, il fabbisogno elettrico della casa, calerà di almeno il 30%. Idealmente, una casa sostenibile dovrebbe poi avere uno spazio verde, un giardino verticale o un orto in balcone dove poter coltivare e consumare a km zero. Il tetto verde estensivo o intensivo, è una soluzione ottimale per la casa sostenibile che sorge in città. Il tetto verde, in più, offre un ottimo grado di isolamento e regala aria pulita lungo il perimetro della casa. In alternativa è possibile realizzare dei giardini pensili o verticali. Nelle condizioni ideali, una casa sostenibile deve avere il 30-40% di superficie lorda orientata a sud così da massimizzare le radiazioni solari in inverno ed evitare i fenomeni di surriscaldamento in estate. Un’abitazione ecologica progettata per avere un basso impatto ambientale dovrebbe in ogni caso sorgere in un contesto paesaggistico adeguato. Non ultimo, dovrebbe essere realizzata con materiali a basso impatto ambientale. Parliamo di materiali atossici, sicuri per la salute degli abitanti e per l’ambiente. Dei materiali, in fase di progetto, bisognerà valutare anche la durata e la garanzia delle performance termiche.

FABIO BREDA (F.B.)

Fisico Dipl. ETH/SIA, Direttore di EcoControl SA

MARCO MIGLIORI (M.M.)

Consulenza Architettonica & Ambiente

CA&A Sagl LUCA RENZETTI (L.R.)

Direttore

Renzetti & Partners SA

GIUSEPPE MUSSIO (G.M.) Responsabile Rigips regione Ticino

In base alle sue valutazioni,

in che misura il patrimonio abitativo ticinese risulta essere adeguato rispetto ai principi di un’edilizia ecocompatibile?

F.B.: «Il patrimonio edilizio ticinese in buona parte appartiene ad uno standard edilizio risalente agli anni 60 e 70. Pertanto comprende edifici con isolamento termico scarso e riscaldati ancora in buona parte con derivati del petrolio (olio combustibile o gas). In tal senso c’è ancora molto da fare per rendere questi edifici meno “energivori”. Per questo motivo sia Cantone che Confederazione, negli ultimi anni, hanno votato degli importanti crediti destinati ad incentivare il risanamento energetico degli edifici e la conversione degli impianti a energie fossili ad impianti che utilizzano energie rinnovabili. Quindi la strada per rendere il patrimonio edilizio ticinese ecocompatibile è ancora lunga, ma credo che abbiamo intrapreso la retta via».

M.M.: «La maggior parte degli edifici ticinesi, nei principali centri urbani, è stata costruita negli anni 70-80 e pertanto con un concetto edile e impiantistico che risulta assai lacunoso riguardo l’ecosostenibilità. È peraltro vero che gli edifici costruiti dagli anni 2000 vengono isolati in modo migliore e, con l’introduzione nel 2008 del Regolamento sull’utilizzazione dell’energia (RUEn), è stato effettuato un ulteriore step. Con il RUEn si è voluto dare una visione globale dell’immobile sia per l’involucro edilizio sia a livello impiantistico, incoraggiando l’utilizzo di energie cosiddette rinnovabili quali pompe di calore e caldaie a legna, il tutto supportato da impianti fotovoltaici per la produzione di elettricità e/o di collettori solari termici per la produzione di acqua calda sanitaria. Anche il risanamento degli stabili esistenti deve sottostare, quando possibile (per es. esistono delle eccezioni per quanto riguarda gli edifici tutelati) alle indicazioni presenti nel RUEn sia per quanto riguarda l’isolamento sia per quanto concerne il rinnovamento completo degli impianti di riscaldamento e produzione di acqua calda sanitaria».

L.R.: «Partirei da 2 dati statistici. Sulle circa 245.000 abitazioni presenti in Ticino, meno di 21.000 sono state costruite dopo il 2008 (USTAT 31.12.2019), data in cui è entrata in vigore la RUEn (Regolamento sull’utilizzazione dell’energia). Questo regolamento è un po’ la pietra miliare sulla costruzione “ecosostenibile”, infatti il regolamento definisce le condizioni quadro atte a favorire l’utilizzazione razionale e parsimoniosa dell’energia, l’impiego delle energie rinnovabili e lo sfruttamento del calore residuo, in particolare nell’edilizia. Questo semplice dato ci fa comprendere come meno del 10% delle abitazioni presenti sul territorio ticinesi siano state concepite seguendo degli standard energetici ben definiti e di buon livello. Ovviamente questo dato non prende in considerazione tutti gli edifici che hanno effettuato un risanamento energetico. Nonostante questo, secondo uno studio di Swissinfo.ch (https:// www.swissinfo.ch/ita/emissioni-edifici-svizzera-risanamento-energeticoclima/45378228) più di 1 milione di edifici in svizzera, su un totale di 1.7 milioni, sono “non isolati” o scarsamente isolati, questo significa che circa il 60% degli edifici risulta scarsamente dotato dal punto di vista energetico. Fatte queste premesse, la risposta è sicuramente negativa, tenuto conto che il parco immobiliare ticine-

se risulta piuttosto datato (come del resto in tutta Europa) ed anche se nelle realtà immobiliari di più recente costruzione sono state applicate le normative svizzere che prevedono standard elevati in termini energetici. Annualmente, infatti, viene risanato circa l’1% del parco immobiliare ticinese, quindi i tempi previsti per l’aggiornamento complessivo si prospettano piuttosto lunghi».

G.M.: «L’armonia del paesaggio svizzero è attualmente minacciata da due fattori: l’aumento di popolazione, che porterà inevitabilmente ad uno sviluppo verticale degli agglomerati urbani, e dal gusto architettonico post-moderno. Le strutture edificate nel corso dei passati decenni per far fronte alla continua crescita della popolazione - nonostante i tantissimi appartamenti sfitti - risultano essere spesso brutte, disarmoniche e incongrue col paesaggio. Risulta dunque sempre più importante salvaguardare i nuclei ticinesi da un’edilizia scriteriata, che ne annienterebbe i valori architettonici e paesaggistici, oltre che offenderne la coerenza costruttiva e storica. Questo discorso andrebbe però esteso anche a tutte le zone residenziali e, soprattutto, quelle turistiche».

In che modo si sono andate trasformando nel corso degli ultimi anni le esigenze e le richieste della clientela nella prospettiva di abitazioni sempre più rispettose di una sostenibilità ambientale?

F.B.: «Negli ultimi anni è notevolmente aumentata la clientela che è più sensibile alle tematiche di risparmio energetico e di conseguenza anche ambientali. Questo è stato in modo significativo incentivato dalle leggi e regolamentazioni energetiche che negli ultimi 20 anni sono diventate sempre più restrittive ed esigenti. Un ruolo importante lo rivestono anche i progettisti (architetti, ingegneri, fisici della costruzione, ecc.) che grazie alla loro formazione sempre più “ecosostenibile” spingono i committenti verso scelte più ponderate energeticamente».

M.M.: «Nell’ultimo periodo, il nostro studio si è trovato a seguire la progettazione di numerosi edifici, dalle mono-famigliari alle più complesse pluri-famigliari, con strutture in legno sia con tecnologia Xlam sia con sistema a telaio. L’utilizzo di questi sistemi come elementi portanti ha ridotto in modo massiccio il consumo di calcestruzzo. Questo è un chiaro indicatore dell’orientamento dei committenti verso strutture ecosostenibili. Sono inoltre in aumento, non come nei cantoni germanofoni o francofoni, ma il trend è più che positivo, anche i clienti con esigenze ancor maggiori e che decidono di costruire o ammodernare le proprie abitazioni con standard Minergie».

L.R.: «Negli ultimi anni è innegabile uno straordinario aumento dell’interesse sull’aspetto energetico da parte del cliente finale, sia che questi acquisti la propria abitazione sia che decida di andare ad abitare in affitto, anche sull’onda di un’accresciuta sensibilità verso i temi dell’inquinamento e della sostenibilità. Va tenuto in conto, inoltre, che un crescente numero di cittadini ticinesi si è orientato verso la mobilità elettrica (nel primo semestre 2020 la prima casa automobilistica in Svizzera è un operatore di auto elettriche). E già sin d’ora si può rivelare che la mobilità elettrica aumenta drasticamente la richiesta di energia negli edifici. Fino a 10/15 anni fa chi investiva sull’aspetto energetico ed ambientale era un pioniere. In Ticino un esempio su tutti è la prima casa monofamiliare Minergie-P ad Osco, costruita nel 2007 da Fabrizio Pedrinis. Oggi invece, nel 2020, un fondo d’investimento svizzero sta costruendo 2 torri a Lugano per un totale di 153 appartamenti destinati al mercato locativo, certificate Minergie-P: solo 13 anni dopo una differenza di approccio abissale verso la problematica! Questo dato sottolinea il cambiamento delle esigenze della clientela finale: oggi avere un edificio energeticamente sostenibile diventa un fattore chiave della vendita/affitto di un immobile che non può essere assolutamente trascurato».

G.M.: «Negli ultimi anni abbiamo registrato una continua crescita di sensibilità nei confronti di tutte le tematiche della sostenibilità ambientale applicate all’edilizia. Le aree di intervento hanno posto l’attenzione sul risparmio energetico e sulla sostenibilità ambientale, promuovendo interventi tanto sull’involucro quanto sull’impianto, rivolti all’organismo edilizio nel suo complesso, riducendo le emissioni inquinanti (con la diminuzione dei consumi e con lo sviluppo delle fonti rinnovabili), migliorando il comfort abitativo (termico, acustico, ottico, ecc.), promuovendo gli indirizzi di progettazione propri della bioclimatica e del risparmio idrico».

A suo giudizio quali forme di incentivazione andrebbero sostenute a favore di una trasformazione ecosostenibile del patrimonio edilizio oggi esistente?

F.B.: «Purtroppo ma anche comprensibilmente, il fattore limitante per incentivare una trasformazione ecosostenibile del patrimonio edilizio, penso in modo particolare alle abitazioni private, è l’aspetto fi-

nanziario. Quindi i cospicui sussidi che sono messi a disposizione dagli enti pubblici sono probabilmente la miglior “locomotiva” per trainare la trasformazione degli edifici esistenti da “divoratori di energia fossile ed emettitori di inquinanti” a “costruzioni climatizzate ad energia zero o addirittura ad energia positiva (cioè produttori di energia)”. Ritengo inoltre che una spinta particolare debba essere dedicata allo sfruttamento delle superfici dei tetti per la posa di impianti solari (principalmente fotovoltaici). Questo per compensare il sempre maggior consumo elettrico dovuto agli apparecchi domestici ma anche agli impianti di produzione di caldo e freddo. In tal senso mi preme sottolineare che attualmente i consumi elettrici dovuti alla climatizzazione estiva stanno soppiantando quelli dovuti al riscaldamento invernale e, a volte, la posa di un impianto fotovoltaico diventa un alibi per compensare i consumi causati da un nuovo impianto per la climatizzazione estiva e non un mezzo per produrre più energia “gratuitamente”».

M.M.: «Nel 2020 sono stati stanziati circa 35 mio di franchi (senza contare le richieste non ancora elaborate) a livello cantonale ed è in previsione di continuare in questa direzione anche negli anni a venire. Sono inoltre disponibili anche incentivi a livello comunale per quanto riguarda il risanamento dell’involucro e degli impianti come pure per la certificazione CECE. Riteniamo pertanto lo sforzo a livello delle autorità cantonali e comunali difficilmente migliorabile anche tenendo conto della possibilità dell’aumento della SUL (Superficie Utile Lorda) per standard CECE AB, Minergie-P ecc. È però una realtà che buona parte del parco immobiliare è costituito da “vecchi stabili” a reddito nei quali i proprietari, tendono a risanare energeticamente solo dove e quando si verificano delle problematiche dovute all’obsolescenza del manufatto e non intervengano sull’intero immobile con un risanamento completo, per una vera e propria riduzione del consumo energetico».

L.R.: «Questa è una domanda difficile. Nonostante gli incentivi statali possano coprire fino al 30% dell’investimento per il risanamento dell’edificio ed ogni anno vengano rinnovati i sussidi comunali, cantonali e federali ed inoltre sono pronti ad essere messi a disposizione del cittadino nuovi pacchetti, uno su tutti quello che nel 2021 dovrebbe arrivare inerente alla mobilità elettrica, come detto precedentemente, ogni anno solo un edificio su 100 viene risanato. Molto probabilmente c’è bisogno di una maggiore informazione e comunicazione sia verso i proprietari sia verso gli specialisti del settore. Alle volte, per carenza di informazione, nonostante siano già programmati degli interventi di miglioria dello stabile, non si prendono in considerazione i benefici che vanno dall’innalzamento del valore dell’immobile, alla possibilità di usufruire di incentivi, oltre che di diminuire anche le spese di gestione future. L’isolamento termico dell’involucro dell’edificio e la produzione di elettricità mediante pannelli solari per esempio, hanno un grandissimo impatto sui consumi e le spese dell’edificio. Con una buona progettazione e attingendo ai sussidi disponibili è possibile rientrare dell’investimento an-

che in molto meno di 10 anni. Oggi lo Stato mette a disposizioni fondi e un quadro normativo davvero molto interessanti sull’argomento energetico, ma parlando con i proprietari, questo aspetto è ancora avvolto nel mistero per la maggior parte di essi».

G.M.: Se si considera che un terzo del consumo di energia utile in Svizzera è destinato al riscaldamento degli ambienti e, con una quota del 45%, quasi la metà delle emissioni di CO2 è dovuta al consumo di elettricità degli edifici. Il risanamento energetico degli immobili e la sostituzione dell’impianto di riscaldamento offrono spesso un doppio vantaggio: se l’edificio e gli impianti sono tecnologicamente all’avanguardia, di norma si riducono le spese per l’approvvigionamento di energia e la manutenzione. Allo stesso tempo si può beneficiare di incentivi pubblici. La Confederazione, i cantoni e i comuni sostengono infatti le opere di costruzione e risanamento rispettose dell’ambiente con diverse misure, soprattutto con l’obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 dannose per il clima».

In che misura le nuove promozioni immobiliari rispettano i requisiti indispensabili di risparmio energetico e rispetto dell’ambiente?

F.B.: «Nell’ambito delle nuove costruzioni, le regolamentazioni attualmente in vigore e previste per il futuro risultano sufficientemente “severe” per imporre ai committenti delle scelte energeticamente interessanti e sostenibili ecologicamente. Ritengo tuttavia che le certificazioni energetiche (label energetici tipo Minergie) non siano ancora sufficientemente considerate dai promotori privati, mentre lo sono da parte degli enti pubblici, in quanto rese obbligatorie per legge». M.M.: «Dal nostro punto di vista, si è arrivati a dei soddisfacenti requisiti costruttivi per una riduzione dei consumi durante il periodo invernale, ma per le nuove edificazioni non si tiene sufficientemente conto dell’esigente abitative per quanto concerne il benessere termico estivo, seppur previsto dalle norme vigenti. Difatti, in molti casi, si sopperisce a lacune o scelte architettoniche con l’impiego di unità termoclimatiche (facciamo comunque osservare che il RUEn in qualche modo ne limita l’utilizzo), anziché pensare e progettare un edificio a 360° (per es. l’orientamento dei serramenti o lo studio di aggetti atti a proteggerli dall’irraggiamento diretto del sole durante le stagioni più calde)».

L.R.: «Come detto inizialmente, le nuove promozioni immobiliari devono rispettare il RUEn (Regolamento sull’utilizzazione dell’energia), il quale prende in considerazione sia l’isolamento termico dell’involucro che la produzione di energia rinnovabile, da questa (già buona) base, é possibile alzare il livello con una certificazione Minergie o con un’etichetta energetica CECE di tipo “A”, etichettatura paragonabile a quella utilizzata per gli elettrodomestici o le autovetture, da “A” a “G”. In tale ottica, pur applicando i requisiti minimi, è possibile immettere sul mercato immobili che energeticamente arrivano a superare del 50% l’efficienza degli edifici costruiti prima del 2000 (dati Svizzera Energia). Oggi con una più attenta progettazione e applicazione dei parametri energetici è possibile perseguire quello che viene definito “nZEB” (near Zero Energy Building), traguardo che si prefigge la quasi totale autonomia energetica dell’edificio. In quest’ottica va citata la normativa svizzera definita RCP (Raggruppamento ai fini del Consumo Proprio), emanata nel 2018 tra i primi Paesi nel Mondo, che consente ai proprietari di organizzarsi in Comunità Energetiche in grado di produrre, consumare e vendere energia, spingendo sulla leva di un decentramento energetico che oltre ad offrire benefici economici, consentirà uno straordinario accrescimento del livello di sensibilizzazione e consapevolezza da parte del cliente finale. Ormai il futuro di edifici energeticamente autosufficienti, economicamente interessanti ed integrati con la mobilità elettrica sta diventando realtà».

G.M.: «Ritengo che attualmente sia pressoché impossibile avviare un processo di costruzione di un edificio senza prendere in considerazione tutti i criteri, le metodologie e le soluzioni che vanno nel senso del risparmio energetico e della responsabilità ambientale. In questo senso una grande attenzione va crescendo anche nei confronti dell’adozione di materiali sempre più performanti. Costruire in modo responsabile non implica solo gli aspetti pianificatori, architettonici e costruttivi. Anche la provenienza, la produzione, la lavorazione e il susseguente smaltimento dei materiali da costruzione impiegati condizionano l’ambiente, il clima e alla fine anche la qualità di vita. Il gesso, per esempio, è una delle poche risorse naturali che abbondano in Svizzera. Nelle cave della Rigips SA l’estrazione avviene secondo severe disposizioni federali e cantonali, nonché secondo piani approvati dalle autorità. Il gesso è, nel senso ecologico e biologico-costruttivo, il materiale da costruzione ideale. Non tossico, pH neutro e non infiammabile, assorbe l’umidità in esubero negli ambienti e la restituisce all’occorrenza. Siccome per il trasporto e la lavorazione dei sistemi di costruzione a secco di gesso si utilizza molto meno energia e acqua rispetto alla costruzione massiccia, l’ambiente viene ulteriormente rispettato».

GLI ASPETTI BIO-ECOLOGICI DEL GESSO

Giuseppe Mussio, Responsabile Rigips regione Ticino, presenta un materiale con interessanti proprietà da sfruttare in una prospettiva di edilizia biosostenibile.

La parola gesso viene associata alla scuola, ove è proprio questo elemento che ci veicola le informazioni che gli insegnanti trasmettono. L’universo “gesso”, però, non finisce qui: esso è, infatti, uno dei materiali più usati e diffusi nella vita quotidiana, tanto che si può definire la sua presenza discreta ma costante. Ma non tutti sanno che il 75% della produzione di gesso è assorbito dal mercato dei materiali da costruzione, e le sue prestazioni si estendono anche all’industria del cemento dove viene adoperato come ritardante. Un’applicazione affine si ha anche nella fabbricazione della ceramica, ove viene sfruttato per realizzare gli stampi. Tra le numerose applicazioni del gesso in edilizia, le lastre da costruzione completamente reinventate Rigips® Habito rendono oggi superflua ogni muratura. Infatti soddisfano senza problemi i severi requisiti di sicurezza, antincendio, insonorizzazione, resistenza meccanica e sostenibilità che in considerazione di un futuro inasprimento delle norme. Inoltre permettono massima flessibilità, sia nella configurazione della pianta e nella scelta delle superfici che nelle successive conversioni d’uso. In aggiunta sono molto più rapide da montare di una parete in muratura. Realizzate in gesso privo di sostanze nocive, inodore e con additivi naturali, esse assicurano inoltre un microclima interno gradevole e sicuro sotto l’aspetto bio-edile migliorando l’efficienza energetica. Rispetto alle costruzioni in muratura le lastre in gesso permettono altresì di ridurre notevolmente l’inquinamento ambientale e lo spreco di risorse. Da ultimo, gli scarti di lastre di gesso come pure gli intonaci di fondo in gesso possono essere raccolti e portati in appositi luoghi di smistamento. Questi prodotti di riciclaggio vengono poi reimmessi nei processi di produzione. Il gesso recuperato viene riutilizzato al 100% negli stabilimenti per la produzione di nuove lastre di gesso.

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ACTIVE SURFACES è la scelta di design che protegge da batteri, virus, inquinamento, cattivi odori e che permette di viviere gli spazi in libertà. Superficie ceramiche di alta qualità per pavimenti e rivestimenti, adatte all’uso interno o esterno in abitazioni, edifici, uffici, ospedali e luoghi pubblici.

UELI SCHNORF E PHILIPP PETER, TITOLARI DI WETAG CONSULTING, RACCONTANO - ATTRAVERSO UNA DIVERTENTE LETTERA AI POTENZIALI ACQUIRENTI - QUALI SONO I CRITERI DA TENERE SEMPRE IN CONSIDERAZIONE QUANDO SI SCEGLIE UNA CASA.

Da sinistra: Philipp Peter e Ueli Schnorf

POSIZIONE, PREZZO, QUALITÀ: COS’È PRIORITARIO?

Posizione. Posizione. Posizione. Abbiamo sentito ripetere quest’espressione moltissime volte per indicare i fattori più importati da tenere in considerazione quando si acquista una casa. Potremmo definirlo una sorta di Sacro Graal, che tutti gli agenti immobiliari devono rispettare quando sono impegnati a cercare le migliori proprietà da proporre ai loro clienti. Un’affermazione che ci sembra essere molto sensata. Tuttavia, poiché oggi non vogliamo proporvi unicamente ovvie considerazioni, permetteteci di presentarvi alcuni argomenti per contestare questo punto: ossia la posizione. Pensiamo alla triade: Prezzo. Prezzo. Prezzo! Suona anch’essa come principale considerazione per gli acquirenti alla ricerca di una casa. Oppure: Qualità. Qualità. Qualità! Anche in questo caso potrebbe essere il criterio numero uno su cui concentrarsi per facilitare la ricerca della casa dei propri sogni. La realtà è che ognuno dei tre riferimenti: posizione, prezzo e qualità è un parametro importante e va considerato nell’iter di selezione. In poche parole il successo di una ricerca è quello di poter proporre al proprio cliente la casa migliore dal punto di vista costruttivo, al miglior prezzo e nella migliore posizione. Peccato però che il pacchetto ideale non esista e chi si fa influenzare da troppe richieste rischia di perdere di vista i criteri più importanti. Quindi, ad un certo punto, sarà necessario scendere a compromessi e stabilire le proprie priorità. Queste priorità

si basano sulle esigenze, sui desideri e sui mezzi a disposizione di ciascuno. Ogni persona collocherà gli elementi posizione, prezzo e qualità nell’ordine che più le aggrada. È importate ascoltare le argomentazioni del vostro agente immobiliare, ma attenzione, non lasciate che quest’ultimo vi convinca a seguire le regole standard, perché non ci sono regole, è l’acquirente che le detta. In generale, ciò che va collocato al primo posto, sia che si tratti di posizione, prezzo o qualità, dipende dalle finanze disponibili in relazione al mercato immobiliare e all’inventario regionale degli oggetti in vendita. Più soldi si hanno, maggiori sono le opportunità di scelta e più facile è avvicinarsi a un magico win-win-win. Ma facciamo un esempio concreto. Supponete di avere un budget mediobasso e di avere una famiglia con due figli. Ovviamente vi piacerebbe vivere dove vive il vostro capo e godervi i comfort di una casa progettata e realizzata da un architetto rinomato. Detto così sembra un sogno, anche perché rischiate che il vostro agente immobiliare vi offra una piccola e squallida abitazione, in una buona posizione… unicamente per rispettare due criteri: posizione e prezzo. Ma che ne è della qualità? Dove starà la tua famiglia, dove troverai il tuo comfort, i tuoi spazi. Probabilmente a molti è capitato di vivere una situazione del genere, magari quando avete affittato il primo appartamento, il sogno era quello di avere un posto in una zona rinomata, come ad esempio nell’elegante Seefeld zurighese o nel centro storico, poi invece si è finiti a scegliere un appartamento in periferia, ma con spazi vivibili e piacevoli. In questo caso, come spesso capita, è stato il prezzo il fattore determinante! In poche parole non avevate scelta perché il budget a disposizione era definito a priori. Capirete dunque che i criteri di scelta sono direttamente influenzati da quanti soldi abbiamo a disposizione: più liquidità abbiamo a disposizione più possiamo pretendere e più facile sarà soddisfare le nostre richieste riguardanti posizione e qualità. Questo non significa che i soldi vadano sprecati, bisogna sempre pensare di fare un investimento sicuro e duraturo nel tempo. Per questa ragione la posizione diventa un fattore estremamente importante, anzi basilare. La miglior posizione di un’abitazione è assicurata da un ambiente circostante migliore, da una vista strepitosa, più privacy, scuole prestigiose e molto altro, mentre la qualità, a certi livelli, deve essere un must. Difficile definire con esattezza dove si situa la fascia alta, anche perché in alcune regioni un investimento di 2 milioni di franchi può già indicare un’abitazione elitaria, mentre in altre zone si parte dai 3,5 milioni di franchi. In ogni caso ricordate che, indipendentemente da dove vi trovate, dovete sempre esigere qualità nel design, nei materiali, nella costruzione, oltre ad una posizione esclusiva. Purtroppo abbiamo visto molte volte grandi case multimilionarie invecchiare sul mercato, con una posizione eccezionale (che le situava nella fascia di prezzo alto), ma che non rispettavano i criteri qualità e prezzo. La casa che sceglierete dovrà essere capace di rendervi orgogliosi, di rispecchiare i vostri gusti, il vostro stile di vita, di farvi sentire appagati e felici. Se siete alla ricerca della vostra casa dei sogni iniziate subito a pensare in che ordine mettereste posizione, prezzo e qualità e non perdeteli mai di vista!

01 Bissone, rif. 88726, CHF 10’500'000

02 Muralto, rif. 88740, CHF 2’760’000

03 Paradiso, rif. LUG1006, CHF 4’800'000

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CERCASI TERRENO EDIFICABILE

DEBORAH FONTANA, SALES DIRECTOR DI FONTANA SOTHEBY’S, ESAMINA LE PROBLEMATICHE DA AFFRONTARE PER PORTARE A TERMINE UN’EDIFICAZIONE, A COMINCIARE DALLA SCELTA E DALL’ACQUISTO DEI TERRENI. C ostruire la propria

casa dei sogni è ancora in voga?

«Senz’altro, da sempre poter costruire la propria casa su misura, assecondando i desideri e le esigenze personali resta la soluzione preferita. Non solo si può dare sfogo alla fantasia architettonica ma anche organizzare gli spazi abitativi in maniera ottimale. Purtroppo però costruire oggi la propria casa resta comunque un sogno. Non facile da realizzare».

Per quale motivo?

«Principalmente occorre confrontarsi con la scarsità di terreni edificabili nelle vicinanze dei centri urbani. La forte domanda condiziona i prezzi dei terreni che spesso sono proibitivi, incidendo in modo considerevole sul costo complessivo dell’edificazione. Inoltre su alcuni terreni si trovano costruzioni già esistenti in stato precario che implicano lavori di demolizione e di smaltimento, e anche questi ultimi vanno a gravare ulteriormente sull’acquirente. Un’altra tematica da non sottovalutare, per chi desidera costruire la propria casa di vacanza, sono i vincoli imposti dalla recente Lex-Weber che limita l’edificazione di residenze secondarie».

Di che prezzi parliamo?

«Ad esempio trovare oggi un terreno al di sotto dei CHF 1000 al metro quadrato nelle vicinanze di centri urbani diventa veramente difficile. Le richieste sono principalmente incentrate su terreni in una buona posizione sia di soleggiamento che panoramico, e ancor meglio se con vista lago. Anche l’accesso e la vicinanza ai servizi sono di primaria importanza. Ci sono delle ubicazioni particolarmente richieste, anche per le ville, che comprendono il Monte Brè, la Collina d’Oro, la Collina di Porza e Morcote. In queste località i prezzi si situano tra i CHF 1500 e i CHF 2500 al metro quadrato. Trovare un fondo direttamente a lago oggi è quasi impossibile ed il costo in questo segmento supera facilmente i CHF 2500 al metro quadrato».

Dall’acquisto del terreno alla realizzazione della casa, con cosa occorre confrontarsi?

«Realizzato il progetto ed inoltrato all’autorità cantonale e comunale, trascorre un periodi di circa tre mesi sempre se non prolungato da possibili ricorsi da parte dei confinanti, oggi sempre più frequenti. Superato questo iter si dovrà affrontare l’edificazione dell’immobile che senza intoppi in media dura circa 18 mesi. Dunque dal momento dell’acquisto all’entrata in casa si devono calcolare circa due anni. I tempi incerti e l’incognita di possibili ricorsi, spesso fanno optare per l’acquisto di case già esistenti per le quali nella maggior parte dei casi sono necessarie delle opere di ristrutturazione che comportano tempi più ridotti, ma che per contro vincolano l’aspetto architettonico e richiedono una maggiore flessibilità nell’organizzazione degli spazi interni».

Che consiglio dare dunque a chi desidera acquistare un terreno?

«Orientarsi su terreni che non vanno ad incidere in modo sproporzionato sull’edificazione e rivolgersi preferibilmente al mediatore di fiducia che potrà dare da subito un quadro completo sull’edificabilità, sui vincoli pianificatori, sui diritti ed oneri nonché sul corretto prezzo di mercato».

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LA RELAZIONE GENEROSA

IL MECENATISMO E LA FILANTROPIA DEL FUTURO GUARDANO ALL’ETICA, AL BENESSERE E ALLA STRATEGIA.

Il nuovo libro di Elisa Bortoluzzi Dubach e Chiara Tinonin “La relazione generosa”. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati (FrancoAngeli, 2020) mette a sistema le traiettorie evolutive del settore del mecenatismo e, più in generale, della filantropia con i nuovi approcci di studio alla generosità e con le più avanzate tecniche di fundraising. Il risultato è un manuale agile per chi cerca una donazione filantropica, ma anche un saggio ricco di spunti utili per i mecenati e per chi desidera impegnarsi di più nel sostenere la crescita della propria comunità. Abbiamo incontrato le autrici per esplorare più da vicino un ambito – il donare agli altri e impegnarsi per uno sviluppo sostenibile – che è sempre più centrale nelle agende dei paesi avanzati.

Elisa Bortoluzzi Dubach è docente universitario e consulente di relazioni pubbliche, sponsorizzazioni e fondazioni. È autrice di articoli e libri sullo sponsoring, le fondazioni erogative, il mecenatismo (www.elisabortoluzzi.com). Chiara Tinonin è consulente di fondazioni e organizzazioni non profit in ambito artistico e culturale. Scrive di mecenatismo, filantropia e politiche culturali.

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La relazione generosa. Guida alla collaborazione con filantropi e mecenati

FrancoAngeli, 2020 pp.185, 23 euro

In che modo il mecenatismo

è cambiato negli ultimi anni?

EBD: «A partire dagli anni ’90 del secolo scorso il mecenatismo e la filantropia hanno avviato un percorso di grande espansione, sia in termini dimensionali (attori e investimenti) sia processuali (strategie e modelli di intervento). Questo è stato reso possibile da alcuni fattori chiave come la rivoluzione di internet, il cui flusso continuo di informazioni ha reso possibile una sensibilizzazione in tempo reale sui problemi e i progetti di utilità sociale, la globalizzazione con le sue grandi sfide e la creazione di reti internazionali, la digitalizzazione e le migliori e più veloci modalità di connessione di mecenati e filantropi con i progetti e le organizzazioni che decidono di sostenere. Oggi si aggiungono altri due elementi significativi: il massiccio trasferimento di ricchezza alle giovani generazioni che apre a nuove mentalità e quindi al cambiamento, e la straordinaria competenza strategica con cui vengono gestiti gli investimenti filantropici che si muovono verso l’applicazione di modelli sistemici, basati cioè sulla concertazione di tutti gli attori sociali per lavorare direttamente alle radici dei problemi».

In questo contesto, perché scrivere un libro come La relazione generosa?

CT: «All’interno del grande universo della filantropia, in questo libro ci siamo interessate alla dimensione del mecenatismo, a quella particolare condizione di generosità in cui un individuo sceglie di investire denaro, tempo o reti, a favore di un artista o di un’organizzazione non profit per favorirne l’andamento o per portare a termine progetti specifici. Oggi si avverte ancora troppa separazione tra chi cerca una donazione filantropica e chi dona, e questo è dovuto soprattutto a una serie di falsi miti, o modi rigidi di guardare al mecenatismo, che il libro scardina uno a uno. Secondo il nostro punto di vista, per esempio, l’artista che necessita di sostegno per realizzare la sua opera non sta chiedendo, ma sta soprattutto offrendo qualcosa al mecenate che, a sua volta, partecipa alla realizzazione del progetto non solo elargendo denaro, ma vivendo un’esperienza che potrà addirittura cambiarlo per sempre. L’atto generoso è estremamente generativo e gli studi sul cervello ci dicono che innalza i livelli di benessere fisiologico di chi lo esercita».

Nel libro citate neuroscienze, psicologia, economia comportamentale: sguardi diversi sullo stesso tema, quello della generosità. Perché secondo lei è necessario aprirsi a una visione pluridisciplinare della filantropia?

CT: «ll mecenatismo abbraccia contemporaneamente più dimensioni: è un fatto individuale, legato a valori e desideri personali, ed è anche un’attività con importanti risvolti sociali ed economici. Poter studiare il mecenatismo intersecando scienze diverse è una grande conquista e per noi è stato straordinario osservare quanto il tema della generosità sia oggi centrale in moltissime discipline, che spesso lavorano congiuntamente per esplorare scenari ancora ignoti. Ne è esempio lo studio dell’economista Ernst Fehr, dell’Università di Zurigo, che nella postfazione del libro spiega come ha condotto la sua importante ricerca sulla correlazione tra mecenatismo e felicità insieme a un team internazionale di neuroscienziati».

In quali aree mecenati e filantropi sono particolarmente attivi a livello nazionale e internazionale?

EBD: «Secondo l’ultimo rapporto “Spotlight on Major Giving” di Wealth-X, a livello globale l’istruzione è il settore più importante, con circa un terzo dei filantropi che investono almeno una parte dei loro impegni filantropici in programmi come borse di studio, corsi di sensibilizzazione e formazione degli insegnanti. Altre aree privilegiate sono la salute e i servizi sociali, come la lotta alla povertà e alle disuguaglianze, l’arte e la cultura».

Come si individua un mecenate?

EBD: «Muovendosi in due direzioni: una esterna, analizzando e valutando gli studi di settore, le riviste specializzate, le banche dati per individuare chi esattamente può sviluppare un interesse reale per la tematica; e una interna, cioè conoscendo perfettamente gli aspetti distintivi della propria organizzazione o progetto. Troppo spesso si dà per scontata quest’ultima dimensione e ci si trova impreparati nel comunicare efficacemente visione e obiettivi di cosa si intende realizzare. Solo maturando la consapevolezza di ciò che si può offrire in una “relazione generosa”, si riuscirà a incontrare il mecenate giusto con cui collaborare. Questo è un ulteriore passo fondamentale e, in un certo senso, rivoluzionario del libro: trasformare un mecenate non solo in un “donatore”, ma soprattutto in un “ricevente”».

Quando la relazione con un mecenate si trasforma in una “relazione generosa”?

CT: «Quando oltre alla bidirezionalità del legame tra beneficiario e mecenate si inserisce anche un terzo soggetto, cioè la comunità o porzioni di comunità che beneficiano della realizzazione del progetto. Le organizzazioni non profit, così come gli artisti e gli stessi mecenati, sono sempre più attente all’utilità sociale del loro agire e all’impatto positivo che possono esercitare sui loro territori. Lo sviluppo e la condivisione di obiettivi chiari e di una visione comune tra beneficiario e mecenate può favorire il cambiamento sostenibile e per questo realizzarsi, appunto, come una relazione generosa».

La pandemia di Covid-19 è in questo senso una grande sfida che ci riguarda tutti. Come hanno reagito i mecenati all’emergenza sanitaria?

EBD: «Filantropi e mecenati si sono fortemente impegnati fin dall’inizio della diffusione del virus e in diversi modi. Nell’estate 2020 si registrava già un significativo aumento delle donazioni filantropiche. Lo studio Billionaires Insights “Riding the Storm” condotto da PwC e UBS ha rilevato che un buon quinto dei miliardari del mondo si stava impegnando di più nel settore della salute. Le cifre complessive vedevano a luglio 2020 circa 209 miliardari donare un totale di 7,2 miliardi di dollari. Secondo lo stesso studio 5,5 miliardi di dollari sono stati donati a fondazioni, ospedali o altre organizzazioni in ambito sanitario. Ventiquattro filantropi hanno concentrato le loro attività sulla produzione di dispositivi di protezione individuale o ventilatori polmonari, investendo un totale di 1,4 miliardi di dollari. Altri 10 mecenati hanno sostenuto principalmente iniziative specifiche, come la costruzione di impianti per la produzione di vaccini. Altre donazioni hanno assunto la forma di contributi non monetari, come la fornitura di dispositivi di protezione individuale».

Qual è la vostra visione per il futuro, come si svilupperà la scena filantropica nei prossimi mesi?

EBD-CT: «La crisi che seguirà l’emergenza sanitaria ci imporrà un cambiamento che si manifesti non solo in nuovi comportamenti, pratiche e procedure, ma anche in un radicale rinnovamento di mentalità. In questo senso, ci chiediamo se non sia arrivato il momento di mettere in discussione le cause dei problemi in modo più radicale. Perché, ad esempio, il sistema del settore culturale e delle industrie creative e culturali si è rivelato così fragile durante la pandemia? Sarebbe sensato, ad esempio, mettersi al lavoro concertando operatori e professionisti del settore, con attori pubblici e mecenati per studiare interventi mirati per risolvere i problemi invece di finanziare solo singoli progetti e misure per contrastare l’emergenza? La crisi ci darà l’opportunità di costruire una nuova visione per la cultura e per la sua sostenibilità finanziaria, proprio grazie alla filantropia e al nuovo modo di guardare alla generosità come potente alleato per la nostra salute».

PROMUOVERE L’ARTE IN TUTTE LE SUE FORME

Ph: © Alexandre Zveiger, Lugano

LA FILANTROPIA PER L’ARTE E LA CULTURA IN TEMPI DI CORONAVIRUS: L’ESPERIENZA DI CHRISTIAN BÜHRLE*, PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE GOETHE PER L’ARTE E LA SCIENZA.

DI ELISA BORTOLUZZI DUBACH C hristian Bührle, quando

ha capito che l’arte avrebbe avuto un ruolo centrale nella sua vita?

«Non è stato un evento specifico, piuttosto un processo graduale che è durato per anni. Fin da piccolo ho amato la pittura, l’architettura, la musica classica e il teatro, e questo mio interesse non ha potuto che intensificarsi nel tempo. Ancora oggi ricordo il viaggio per il conseguimento del diploma lungo la cosiddetta “Strada Romantica” e il mio primo incontro con le opere di Tilman Riemenschneider, Balthasar Neumann e Giambattista Tiepolo. Tre soggiorni di un mese a Firenze e Roma sono stati particolarmente formativi, nel corso dei quali ho potuto conoscere più da vicino la storia e le opere d’arte di queste due immortali città d’arte».

Quando si è avvicinato, invece, alla filantropia?

«Sono arrivato alla filantropia, che intendo più nel senso illuminista che in quello caritatevole, essenzialmente attraverso i miei molti anni di lavoro per la Fondazione Goethe per l’Arte e la Scienza, prima come consigliere, poi come segretario e presidente».

Ancora oggi presiede la Fondazione Goethe: quali sono le pietre miliari nella storia della fondazione e qual è il suo scopo?

«La Fondazione Goethe prende il nome da Johann Wolfgang von Goethe, che fu un "homo universalis" nel senso rinascimentale del termine: non solo poeta, ma anche naturalista, viaggiatore, disegnatore, romanziere, regista teatrale e statista. Le sue diverse iniziative orientano anche la scelta delle attività della Fondazione Goethe. Lo scopo della fondazione è definito in termini molto generali nello Statuto: promuovere l’arte e sostenere gli sforzi scientifici nel territorio della Confederazione Svizzera. Una pietra miliare nella sua storia è stato certamente il restauro completo della Certosa di Ittingen, nel Canton Turgovia. Per portare a termine questo progetto la Fondazione Goethe ha approvato un contributo molto elevato rispetto ai suoi standard finanziari. Tra gli altri progetti significativi cofinanziati dalla Fondazione, ma che non definirei pietre miliari, citerei lo studio cronologico-scientifico in otto volumi “Goethes Leben von Tag zu Tag”, il restauro della Collegiata di Beromünster con le sue case canoniche, le tournée della Orchestra Sinfonica Svizzera della Gioventù, la Gstaad Conducting Academy, i cataloghi ragionati delle opere di Cuno Amiet e Félix Vallotton e la pubblicazione della corrispondenza completa di Ferdinand Hodler».

Quali progetti sostiene la Fondazione Goethe in Ticino?

«La Fondazione Goethe è attiva nelle seguenti aree: letteratura e saggistica scientifica, teatro, musica, conservazione dei monumenti e ricerca scientifica, anche se in quest’ultimo caso preferiamo essere coinvolti in programmi di tutela e promozione delle specie di fauna e flora. La Fondazione riceve in media circa 175 richieste di progetti all’anno, di cui 12-15 vengono approvati, preferibilmente quelli che possono realizzare un impatto positivo e sostenibile.

Vivendo a Lugano da diversi anni, il supporto di progetti in Ticino mi sta molto a cuore. Non voglio tuttavia suscitare l’impressione che preferiamo un Cantone all’altro: tutti sono trattati allo stesso modo. In Ticino, la Fondazione Goethe ha co-finanziato negli ultimi anni diversi progetti di restauro, soprattutto in Valle Maggia. Inoltre, abbiamo conferito negli anni ripetutamente borse di studio a giovani musicisti del Conservatorio della Svizzera Italiana. Nel 2020, la Fondazione Goethe ha stanziato un grande contributo per un concerto dell’Orchestra della Svizzera Italiana (OSI), che purtroppo non ha potuto aver luogo a causa del Coronavirus».

Che cosa pensa della filantropia strategica? Che cosa dovrebbero fare donatori e mecenati per diventare motori dell’innovazione nelle arti?

«Adottare una mentalità strategica permette di raggiungere determinati obiettivi, ma questo può essere applicato alle fondazioni solo in misura limitata. Dotarsi di linee guida chiare aiuta a “separare il grano dalla pula” quando si tratta di valutare le richieste di contributo: di norma, il nostro lavoro resta un’attività reattiva, quella cioè di selezionare quelle richieste che corrispondono allo scopo della fondazione. Per diventare un motore di innovazione, tuttavia, un approccio proattivo sarebbe un prerequisito ai miei occhi indispensabile. La maggior parte delle fondazioni - compresa la Fondazione Goethe - non sono probabilmente in grado di agire in questo modo a causa delle disposizioni dei loro statuti. I mecenati che non si avvalgono di una fondazione sono avvantaggiati da questo punto di vista, perché non sono obbligati a rendere conto all’Autorità federale di vigilanza sulle fondazioni».

Spesso le speranze per la soluzione di molti problemi poggiano sui mecenati. Che cosa dovrebbe fare il settore pubblico per incoraggiare più individui ad attivarsi e divenire mecenati?

«Da quasi un anno ormai, la pandemia di Covid-19 ha impedito la maggior parte degli eventi in cui molte persone si riuniscono in uno spazio ristretto. Mi riferisco in particolare alle arti performative, come concerti e spettacoli teatrali. Nel 2020, quindi, la Fondazione Goethe si è concentrata soprattutto sulle pubblicazioni e sui progetti scientifici, la cui realizzazione è stata garantita anche durante il Coronavirus. Non appena sarà possibile eseguire concerti e spettacoli dal vivo senza restrizioni, la nostra fondazione sarà di nuovo - e sempre più - coinvolta nel sostegno di questi ultimi. Una volta superata la pandemia, ci sarà probabilmente un vero e proprio diluvio di nuovi progetti. Fondazioni e mecenati vivranno la sfida di fare la scelta “giusta” tra le molte richieste».

Secondo il suo punto di vista di filantropo, quale impatto ha avuto la pandemia sul mondo dell’arte e della cultura?

«Il problema è che la spesa pubblica è in costante aumento, soprattutto nel settore sociale. Gli aumenti conseguenti delle necessità finanziarie dello Stato e dei comuni comportano che i cittadini siano sempre più percepiti come semplici contribuenti. Ai miei occhi si tratta di uno sviluppo disastroso e controproducente. Il settore pubblico dovrebbe tornare a vedere il cittadino come un partner che, se deve essere incoraggiato a divenire un mecenate delle arti, deve essere incentivato, per esempio grazie a sgravi fiscali. Purtroppo il settore pubblico è spesso miope in questo senso, incapace di riconoscere che una concessione a potenziali mecenati porterebbe a rendimenti di gran lunga maggiori nel lungo termine».

Qual è il suo messaggio diretto ai mecenati per affrontare meglio la crisi?

«La pandemia ci ha costretto a rinunciare a molte cose, ma - nonostante tutta la sofferenza - ci ha anche portato a guardare più da vicino e a mettere in discussione le nostre azioni precedenti, a pensare a che cosa potremmo cambiare e migliorare rispetto a quanto fatto finora. Il fatto che noi filantropi possiamo contribuire a superare la crisi è una questione che vorrei lasciare aperta. Come presidente della Fondazione Goethe per le Arti e le Scienze, tuttavia, sono consapevole che, una volta superata la crisi, dovremo impegnarci più che mai nella cura e nella conservazione del ricco e vario patrimonio culturale europeo. La pandemia e i suoi effetti sulla vita culturale (musei, sale da concerto e teatri chiusi) hanno reso evidente che questa è in pericolo e ha bisogno di sostegno».

*Christian Bührle ha studiato storia dell’arte e archeologia classica all’Università di Zurigo, laureandosi con una tesi dal titolo “Die Zürcher Richard-Wagner-Bühne”. Dal 1989 al 1998 ha lavorato all’Istituto svizzero di storia dell’arte; dal 1997 al 2002 è stato curatore della collezione Emil Bührle. Dal 1994 è direttore della Fondazione Goethe per l’Arte e la Scienza. Nel 2013 è curatore della mostra “Valchirie su Zurigo - 150 anni di spettacoli wagneriani a Zurigo” al Kunsthaus Zürich. Nel 2020 è stato pubblicato il volume “Prachtgemäuer - Wagner-Orte in Zürich, Luzern, Tribschen und Venedig”, di cui è co-autore. Attualmente si sta dedicando a un grande libro sugli architetti ticinesi a Roma (Domenico Fontana, Carlo Maderno, Francesco Borromini).

SOSTENERE I PROGETTI CON SPIRITO IMPRENDITORIALE

INTERVISTA ALLA DR.SSA SUZANNE SCHENK, VICE-DIRETTRICE DELLA FONDAZIONE ERNST GÖHNER.

Lei ha avuto una brillante

carriera professionale. Vuole raccontare quali sono state le tappe più importanti?

«Ho trascorso i primi anni di vita negli Stati Uniti con i miei genitori e mio fratello maggiore. Ricordo che già all’età di 4 anni iniziai a suonare il violino e da allora mi è rimasto sempre un grande amore per la musica classica. Dopo aver frequentato il liceo a Zurigo ho poi intrapreso studi di Diritto all’Università di San Gallo (HSG), conclusi nel 1991 con un dottorato. Mentre stavo ancora completando il mio dottorato, mi è stata offerta l’opportunità di entrare nell’ufficio legale di Bank Leu a Zurigo, dove ho trascorso complessivamente 10 anni istruttivi ed entusiasmanti come avvocato. Successivamente sono entrata nell’ufficio legale del Credit Suisse. Durante questo periodo sono nati i miei due figli e ho avuto la fortuna che entrambi gli istituti bancari fossero aperti a sostenere le giovani madri, in modo da potermi occupare die figli e curare al tempo stesso la mia carriera professionale. Nel 2001 mi è stato chiesto di entrare a far parte della Fondazione Ernst Göhner per rafforzare il settore della erogazione fondi e, in particolare, per sviluppare l’area sociale, ambientale, educativa e scientifica della fondazione. Qualche anno fa sono stata infine nominata vicedirettore generale della fondazione».

La Fondazione Ernst Göhner è una delle più importanti della Svizzera. Com`è nata e qual’è il suo scopo statutario?

«La Fondazione Ernst Göhner è stata istituita nel 1957 dall’imprenditore zurighese Ernst Göhner e vanta dunque una lunga tradizione. È una fondazione filantropica che sostiene progetti nei settori della cultura, dell’ambiente, degli affari sociali, dell’istruzione e della scienza. Definisce il suo scopo come fondazione aziendale, di sviluppo e familiare. Negli anni ha sostenuto oltre 30.000 progetti di pubblica utilità e distribuito oltre 610 milioni di franchi svizzeri. Secondo lo statuto il patrimonio della fondazione deve essere gestito secondo principi imprenditoriali e attraverso iniziative imprenditoriali. Dagli scopi statutari si evince dunque una distinzione fondamentale tra attività imprenditoriali e caritative. Di conseguenza, il patrimonio viene investito in modo ampiamente diversificato in partecipazioni societarie, immobili e investimenti finanziari, il che ha spinto la fondazione undici anni fa - in considerazione delle sue dimensioni - a dotarsi di una struttura adeguata anche alle sue due controllate al 100% EGS Beteiligungen AG (partecipazioni societarie ad eccezione di DSV Panalpina A/S, che è detenuta direttamente dalla fondazione) e Seewarte Holding AG (investimenti immobiliari)».

Qual è la strategia attuale della Fondazione e in quali settori è attiva?

«Nel rispetto del proprio scopo statutario, la fondazione è attiva ad ampio raggio in tutta la Svizzera e promuove la pluralità e la diversificazione, il che si riflette non solo nella gamma dei temi sostenuti - cultura, affari sociali, ambiente, istruzione e scienza - ma anche nella diversa entità dei contributi versati. Le singole aree tematiche sono a loro volta suddivise in diverse subaree. Nel 2020 sono pervenute quasi 2.800 richieste di contributo, la maggior parte delle quali nel settore cultura. Circa il 50% delle domande trattate sono state approvate. La nostra fondazione è attiva in tutta la Svizzera, tuttavia vengono presi in considerazione anche progetti selezionati all’estero e

di cui sia dimostrato il legame con la Svizzera o con l’attività imprenditoriale della fondazione. La Fondazione Ernst Göhner promuove inoltre anche progetti particolarmente innovativi, creativi e non convenzionali, di carattere pionieristico o sperimentale, che rispondono ai cambiamenti e alle nuove esigenze della società, dove il successo non è garantito o immediatamente prevedibile e che quindi hanno difficoltà ad ottenere finanziamenti. Uno di questi è “Venture Kick” per promuovere il trasferimento dell’innovazione e l’imprenditorialità giovanile nelle università svizzere. Sono membro del consiglio strategico di “Venture Kick” da diversi anni e sono orgogliosa di come questa iniziativa si sia sviluppata in modo eccellente».

Quali criteri utilizzate per selezionare i progetti da sostenere?

«La fondazione opera fondamentalmente sostenendo progetti, sia sulla base di richieste di terzi, sia sulla base di una propria valutazione dei settori di attività più idonei. Può anche avviare e sviluppare progetti e realizzarli in collaborazione con altre organizzazioni che perseguono obiettivi simili, ma è attiva come fondazione operativa solo in casi eccezionali. I criteri per il finanziamento delle attività sono la qualità, l’efficacia, la sostenibilità, l’innovazione e l’indipendenza, nonché l’attenzione alle esigenze della società civile».

Quali progetti avete sostenuto in Ticino negli ultimi anni?

«Siamo molto attivi in Ticino e abbiamo sostenuto una molteplicità di progetti che spaziano dalla cultura al sociale anche se indubbiamente il sostegno alla cultura è stato predominante (vedi box). Abbiamo ovviamente seguito con particolare attenzione tutte le vicende e i progetti legati al Covid 19».

Che cosa consiglia alle istituzioni culturali e sociali che vogliono lavorare con la Fondazione Göhner?

«Per collaborare in maniera efficiente con la nostra fondazione raccomando innazitutto un’attenta verifica di tutte le informazioni presenti nella homepage, in particolare la lista degli ambiti e dei progetti che non sosteniamo. In caso di dubbi o interrogativi, suggerisco di fare una telefonata per accertarsi. All’atto dell’inoltro della richiesta formale di contributo, è importante verificare che la descrizione del progetto e gli altri documenti siano il più possibile completi e comprensibili. Inoltre occorre dotarsi di pazienza. I nostri uffici esaminano ogni richiesta in entrata e per questo ci vuole tempo per poter rispondere».

ALCUNI PROGETTI SOSTENUTI DALLA FONDAZIONE ERNST GÖHNER IN TICINO

Area Cultura

• Locarno Film Festival (Accademia e campo base). • Diverse produzioni di documentari, in particolare quelle di Ventura Film. • Orchestra della Svizzera Italiana (programmi di educazione musicale). • LuganoMusica (serie di concerti con musicisti svizzeri). • Festival Ticino Musica (concerti estivi in tutto il Cantone Ticino). • Casa della Letteratura per la Svizzera

Italiana, Lugano. • Restauro della chiesa di San Lorenzo

Martire (1735-1741) a Ligornetto. • Trasformazione della proprietà di

Càsoro a Lugano in un centro di produzione e di incontro per il teatro. • Festival “La Via Lattea”, per lo più nella regione di Lugano. • Museo Vincenzo Vela, Lugano: programma di sostegno in occasione del 200° anniversario della nascita dello scultore ticinese (1820-1891); mostra e catalogo “Julian Charrière.

Verso nessun polo terrestre”, MASI

Lugano, 27.10.2019-14.3.2020. • “CaronAntica, Festival di Musica

Antica a Carona” (7 concerti), sedi varie, autunno 2020-primavera 2021). • Ristrutturazione completa della casa degli artisti „Casa Sciaredo“ (1932),

Barbengo-Lugano, 2015-2023.

Area Ambiente

• Collaborazione con la Patenschaft

Berggeimeinden: Nuova scuola elementare a Novaggio. • In collaborazione con il Fondo

Paesaggio Svizzero: Patriziato di Prato, interventi di valorizzazione del paesaggio in Val di Prato. • Comune di Serravalle, interventi di restauro su beni culturali di valore storico come i muretti a secco e interventi di valorizzazione paesaggistica nella Val Patriziato di Giumaglio, interventi di riqualificazione paesaggistica sul territorio del comune.

Area Sociale

• Fondazione Provvida Madre, nuovo edificio con ulteriori spazi residenziali per adulti con gravi disabilità fisiche e mentali. • Fondazione Casa Marta, trasformazione di un edificio storico in un rifugio per i senzatetto di Bellinzona.

INTERVISTA AL DR. KAY HORSCH* DIRETTORE DELLA ON FOUNDATION.

*Kay Horsch, originariamente ricercatore nell’ambito del cancro e dell’osteoporosi, ha deciso 15 anni fa di dedicarsi alla medicina rigenerativa e alla filantropa. Una decisione questa che si basava sul suo credo nel networking e nelle partnership strategiche come parte integrante dei processi di innovazione. Il suo motto infatti è «Innovation happens where people think different».

LE NUOVE FRONTIERE DELLA MEDICINA RIGENERATIVA

Lei è il direttore della

ON Foundation, che si occupa di medicina rigenerativa. Di che cosa si tratta?

«La medicina rigenerativa è un’area sempre più importante della medicina che mira a ripristinare i tessuti e gli organi danneggiati stimolando e sostenendo i meccanismi di riparazione del corpo. I tessuti o gli organi che in precedenza erano ritenuti irreparabili possono così guarire in modo funzionale e, se possibile, essere riportati al loro stato originale. Nel campo dell’ortopedia, per esempio, la cartilagine articolare danneggiata o i dischi intervertebrali vengono ricostruiti invece di sostituire l’articolazione con una protesi di titanio o irrigidire la colonna vertebrale. In questo possiamo parlare di “ortogenesi”. “ON” nel nostro nome sta appunto per Orthoregeneration Network».

Quali sono le principali tappe nella storia della fondazione e qual è il suo scopo?

«La nostra è una fondazione molto giovane, è stata infatti istituita nel 2019. Una pietra miliare nel dare vita a questa fondazione è stato, oltre alla visione del nostro filantropo, il fatto che alcuni prestigiosi luminari e pionieri del settore, si siano messi a disposizione con entusiasmo per fare parte del Consiglio di fondazione. Un grande riconoscimento del lavoro che abbiamo fatto finora è l’aver stabilito delle partnership strategiche con alcune delle più importanti società professionali in Europa e negli Stati Uniti: la nostra rete comprende già 2000 esperti in medicina e ricerca. Sulla base di questa rete in continua crescita, la nostra missione è quella di far progredire il campo dell’ortopedia rigenerativa. Vogliamo promuovere l’innovazione e, con l’aiuto dei medici, fornire ai pazienti nuove soluzioni rigenerative che migliorino permanentemente la loro qualità di vita».

Qual è la vostra strategia di cooperazione con altre fondazioni, e quella nei confronti dei mecenati?

«Nei tre anni dalla nostra istituzione, abbiamo costruito una rete di esperti nel campo dell’ortopedia rigenerativa e stabilito processi per promuovere la ricerca e consentire la formazione continua dei medici. Il nostro è un campo altamente dinamico, il numero di questioni aperte e di studi importanti supera le nostre risorse sia in termini economici che di capitale umano. Ma non si tratta solo di questo, siamo convinti che la collaborazione con altre fondazioni e mecenati, che credono anche nella rigenerazione e vogliono fare la differenza a beneficio del paziente, sia un’opportunità significativia. In un dialogo continuo e costruttivo con loro, non solo nascono processi di apprendimento reciproco,

ma possiamo selezionare i progetti ideali e utilizzare i fondi in modo molto mirato (ad esempio la rigenerazione dei nervi dopo le lesioni spinali, la formazione continua dei medici dei paesi emergenti, ecc.)».

In quali aree è attiva la fondazione?

«Attualmente, siamo impegnati principalmente nell’area del finanziamento della ricerca e nello sviluppo di format di post-formazione innovativi e performanti che mettiamo a disposizione in formato digitale. Con le nostre borse di ricerca, sosteniamo principalmente progetti pilota di piccole e medie dimensioni che testano approcci terapeutici innovativi. In futuro, vogliamo aiutare i migliori approcci terapeutici a compiere una svolta. Non appena la pandemia lo permetterà di nuovo, siamo decisi a sostenere anche giovani medici e scienziati, in numero sempre maggiore, con borse di studio».

Perché, anche nel vostro settore, le fondazioni dovrebbero fare rete e quali sono i vantaggi per la società civile?

«L’innovazione in campo medico ha bisogno di una rete di esperti da un lato, e dall’altro di fondi sufficienti per permettere la ricerca. Con il calo degli investimenti da parte delle industrie farmaceutiche e delle istituzioni governative, le fondazioni stanno diventando sempre più importanti in questo settore. Il massimo impatto per la società civile può essere raggiunto quando fondazioni finanziariamente forti cooperano con fondazioni che hanno la massima competenza e le strutture necessarie negli ambiti che devono essere sostenuti».

Secondo lei, quali sono i temi più importanti che saranno al centro del dibattito sulla fondazione nel 2021?

«La pandemia ha dato vita ad una serie di profonde trasformazioni e questi processi continueranno per tutto il 2021. I cambiamenti in corso saranno dirompenti anche per molte fondazioni. Molte delle inizative che le fondazioni avevano deciso di sostenere non potranno essere realizzate quest’anno, pensiamo solo agli eventi culturali o, nel nostro ambito, ad alcune tipologie di seminari di formazione continua, borse di studio nella pratica clinica, ecc. Allo stesso tempo, c’è un bisogno accresciuto di fondi da parte delle fondazioni. Per tutte quelle organizzazioni del settore non profit che riescono ad essere agili e adattare i programmi, questa è un’opportunità. L’esplosione della digitalizzazione avrà anche un impatto positivo e può aumentare l’impatto delle nostre attività e ridurre i costi».

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INTERVISTA CON MASSIMILIANO PAVANELLO, SEGRETARIO GENERALE DELLA FONDAZIONE COMUNITARIA DEL VARESOTTO.

DI ELISA BORTOLUZZI DUBACH

SOSTENERE LO SVILUPPO DEI TERRITORI

Come nasce la Fondazione

Comunitaria del Varesotto e quali sono i suoi scopi statutari?

«La Fondazione Comunitaria del Varesotto, come le altre fondazioni analoghe di area lombarda, ha origine alla fine degli anni Novanta del secolo scorso su ispirazione dell’allora presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti. Nata da poco come fondazione di origine bancaria, con lo scorporo del patrimonio dalla gestione della Cassa di Risparmio, si era posta il problema di come mantenere un legame stretto su un territorio di 11 milioni di abitanti (tutta la Lombardia e le due province piemontesi di Novara e Verbania) non potendo più avvalersi degli sportelli della banca. La scelta avrebbe potuto essere quella di un decentramento amministrativo creando uffici provinciali. Si preferì, dopo avere opportunamente studiato l’esperienza ultradecennale analoga di alcune realtà statunitensi, promuovere la nascita di fondazioni che rappresentassero le comunità provinciali stimolando i soggetti locali (privati, comuni, aziende, ecc.) a sostenere queste nuove iniziative anche tramite il meccanismo della cosiddetta “sfida”, ovvero mettendo a disposizione per ogni euro raccolto un altro euro fino a giungere a 10 milioni. Sfida raccolta e conseguita, fu così che nel 2002 la Fondazione del Varesotto cominciò la sua missione».

Qual è la vostra relazione operativa con Fondazione Cariplo?

«Pur essendo un organismo giuridicamente autonomo, la Fondazione Comunitaria mantiene uno stretto legame con la Fondazione Cariplo con la quale collabora in diversi modi facendo da tramite con il territorio. Si pensi ad esempio alle cosiddette sovvenzioni territoriali. Cariplo ha riservato per sé la gestione delle erogazioni più significative, legate a progetti dal valore superiore ai 100.000 euro. Coinvolge però le fondazioni comunitarie nell’esame e nella valutazione relative a richieste di contributi sui bandi cosiddetti “emblematici”. Soprattutto gestisce in piena autonomia, pur sottostando a linee di indirizzo concordate, la gestione dei cosiddetti fondi territoriali che vengono messi a disposizione ogni anno per i progetti di minore entità. Anche nell’anno appena trascorso Cariplo ha stanziato alla Fondazione del Varesotto circa un milione e mezzo di euro per tale finalità».

Parliamo di diritti di fondatori e mecenati: avete dato vita con Fondazione Cariplo a una mostra sul mecenatismo varesino. Colpisce il numero e l’intensità dell’attività di questi mecenati a favore della città. Varese ha una cultura del mecenatismo anche oggi e che cosa differenzia i mecenati di allora da quelli di oggi?

«La nostra provincia ha avuto una forte tradizione in passato sia di mecenatismo che di attenzione al sociale. Nel secondo dopoguerra questa propensione è stata messa un po’ in sordina, non eclissata del tutto ma certamente

meno valorizzata. I mecenati di fine ottocento facevano un punto d’onore delle loro scelte quasi fosse una dovuta restituzione di parte di quelle risorse che con il loro genio e la loro operosità avevano accumulato. Oggi il fenomeno è altrettanto presente ma vissuto con più discrezione, dopo lunghi anni di attacchi strumentali frutto di ideologie pauperiste. Per certi versi si sta assistendo ad una ripresa che va incoraggiata ad aiutata anche per ricostruire la condivisione di una cultura del dono che tutti accumuna».

Come ha vissuto personalmente questo periodo di pandemia e che impressione le ha fatto la grande ondata di solidarietà che ha visto coinvolte centinaia di persone in Italia per una raccolta fondi senza precedenti?

«La pandemia è stata un’esperienza inattesa e sconvolgente che ci ha messo di fronte alle nostre debolezze e alla necessità di rideclinare valori e priorità. Oltre al timore per la propria salute e la stessa vita, ha molto pesato il clima di incertezza economica che ha portato molte famiglie a scivolare da una vita normale alle soglie della povertà».

A quali progetti ha dato vita la vostra fondazione a Varese nella prima fase della pandemia e ora in questa seconda fase e perché?

«Durante la prima fase primaverile della pandemia, la Fondazione del Varesotto ha lanciato una raccolta fondi straordinaria, denominata “Insieme per Varese”, finalizzata a sostenere iniziative legate all’irrompere della pandemia e a rispondere ai bisogni anche drammatici che ne scaturivano: potenziare e/o attivare servizi di prossimità a supporto della domiciliarità forzata di soggetti in condizioni di fragilità permanente o temporanea; gestire servizi di assistenza per quelle categorie di utenti e/o operatori rimaste scoperte dai servizi ordinari; sostenere acquisto di strumentazione e apparecchiatura a supporto delle strutture e delle organizzazioni impegnate in prima linea per l’assistenza sanitaria; riattivare iniziative di socialità comunitaria, non appena l’emergenza finirà. Successivamente è stata lanciata una seconda raccolta fondi e soprattutto si sono modulati i bandi ordinari per venire incontro alle esigenze anche indirette causate dalla situazione che la società stava vivendo. Si sono presi pertanto in considerazione progetti finalizzati a: saldare i legami e le collaborazioni delle organizzazioni del terzo settore con i diversi soggetti (singoli individui, reti famigliari, comunità ed enti pubblici) che vivono e operano nei contesti di vita, specie i più critici e vulnerabili, per favorire la ricomposizione delle risorse e la messa a sistema delle risposte; riprogrammare e ripartire dopo la sospensione, il ridimensionamento e il ripensamento dei servizi alla persona imposti dall’emergenza Covid-19, creando anche occasioni di rielaborazione dell’esperienza e delle fratture create nelle nostre comunità; costruire la fiducia, il senso di appartenenza e la solidarietà fra le persone che vivono le comunità e i territori. Per fare un esempio si sono presi in carico i progetti per i campi estivi dei bambini che avevano la necessità di uscire da un isolamento terapeutico durato mesi».

Che cosa avete imparato dalla pandemia in termini di operatività e come si modificherà il vostro modo di lavorare con il mondo non profit?

«Sotto il profilo operativo la pandemia ha costretto la Fondazione ha fare parecchi passi in avanti. Penso all’uso delle tecnologie, che pure preesistevano ma che non sempre erano sfruttare al pieno della loro potenzialità. Non potendosi vedere in presenza i consiglieri hanno cominciato ad incontrarsi in via telematica moltiplicando le occasioni e le riunioni. Questo ha consentito anche di sveltire le procedure per l’erogazione dando risposte certe in tempi brevi. La stessa comunicazione ne ha beneficiato aumentando il numero dei fruitori».

Che cosa si aspetta dalle istituzioni che state sostenendo in termini di progettualità e di rendicontazione?

«Penso che le istituzioni, penso non solo agli enti locali, ma anche alle aziende sanitarie ed ospedaliere, si siano rese conto dell’importanza di stabilire collaborazioni strutturate non episodiche. Siamo stati riconosciuti come alleati credibili ed affidabili in un momento così delicato».

Qual è la sua visione, che cosa deve cambiare nella filantropia internazionale perché quest’ultima diventi ancora più efficiente?

«Occorre ancora fare molto per accrescere la trasparenza in modo da aumentare la reputazione. La nostra gente è ben predisposta a donare ma vuole avere la garanzia che il suo gesto vada a buon fine. Questo non sempre avviene, a volte per pressapochismo, altre volte per motivi truffaldini. Bisogna fare di tutto per mostrarsi affidabili, esserlo veramente nonché saper cogliere i bisogni più rilevanti di ogni momento storico».

LAVORARE DA CASA, SI PUÒ

SECONDO IL RAPPORTO “THE FUTURE OF JOBS 2020” PUBBLICATO DAL WORLD ECONOMIC FORUM, IL COVID-19 HA CAMBIATO IL MERCATO DEL LAVORO PIÙ RAPIDAMENTE DEL PREVISTO, E QUELLO CHE FINO ALL’ANNO SCORSO ERA CONSIDERATO FUTURO È GIÀ QUI.

DI ROCCO BIANCHI La pratica del telelavoro, o smart working che dir si voglia ammesso e non concesso che siano la stessa cosa, ha subito un’espansione massiccia. A fronte degli indubbi vantaggi e del gradimento testimoniato dai lavoratori (stando a un sondaggio commissionato dal sindacato Syndicom, durante il lockdown della scorsa primavera l’80% degli intervistati si è detta molto o piuttosto soddisfatta del lavoro a domicilio), emergono diversi interrogativi, cui prima o poi bisognerà dare una risposta. Da un punto di vista economico infatti rischiano di essere numerosi i settori che rischiano di essere penalizzati, in particolare quelli che vivono dei consumi dei lavoratori durante una normale giornata lavorativa (ristoranti, bar, piccoli negozi ecc.), mentre da quello sociale bisognerà analizzare l’impatto che avrà una diversa vita comunitaria e un’altra gestione del tempo, con una maggiore promiscuità tra quello lavorativo e quello libero. Senza dimenticare la politica, che sarà chiamata a gestire l’evoluzione dall’attuale modello lavorativo (anche economico?) a un altro. Piccola premessa, nella maggior parte dei casi imprese e pubblica amministrazione hanno fatto ricorso al telelavoro, non allo smart working (che letteralmente significa lavoro intelligente, non da casa). La questione non ha solo rilevanza lessicale, poiché fraintendendo il significato delle parole si rischia di non afferrare completamente il cambiamento che esse suggeriscono. In estrema sintesi, il telelavoro è solo, si fa per dire, un diverso modo di intendere lo svolgimento della prestazione professionale, la cui natura tuttavia rimane sostanzialmente invariata e si svolge come in azienda. È una specie di delocalizzazione, o meglio domiciliarizzazione del lavoro, un fenomeno già in crescita prima del Covid 19 e che adesso ha subito un’accelerazione e un’impennata. Lo smart working è invece altra cosa, e presuppone una disciplina di produzione agile, che permette al lavoratore di organizzare le proprie mansioni in forma sostanzialmente indipendente, in cui la produzione è organizzata per fasi, cicli e obiettivi e i vincoli (i vincoli, non le regole, sia ben chiaro), in particolare per presenza e orario, sono molto più labili. Si passa dall’ufficio di una volta con le foto di famiglia sulla scrivania a tavoli sotto gli alberi con i laptop, in cui il lavoro è basato sulla contaminazione e la condivisione delle conoscenze in una comunità che è sì virtuale ma allo stesso tempo anche reale. Non per nulla a inizio secolo a San Francisco e nella Sylicon Valley, nel tempo e là dove il fenomeno fece udire i suoi primi vagiti, fu constatato un aumento non solo della produttività, ma anche della creatività. Filosofeggiando un po’, stiamo forse assistendo ai primi passi di un cambiamento della nozione stessa di lavoro, di conseguenza al declino della figura su cui si è retto il nostro modello economico negli ultimi secoli, l’homo faber. Lungi dall’esserci spinti tanto in là, quello che abbiamo vissuto la scorsa primavera durante il lockdown e stiamo vivendo in parte anche adesso è dunque una forma di telelavoro. Per di più dettata dall›emergenza, dun-

que non pianificata e, in diversi casi, poco organizzata. Se da un lato questo ha comunque permesso di continuare a portare avanti le attività, ha fatto anche emergere alcune criticità. L’Università Bocconi ha svolto diversi studi su telelavoro e smart working: nel pre-pandemia erano stati registrati effetti positivi su produttività, benessere del lavoratore e bilanciamento di vita, effetti che tuttavia sono scemati, fin quasi ad annullarsi, nel post, con sovraccarichi di lavoro, perdita di socializzazione e capacità relazionali, aumento dello stress e conseguente calo della produttività. Più che lavoratori smart, dunque, i dipendenti sono diventati cottimisti con scarso entusiasmo e ancor meno idee. Un’evoluzione tuttavia che gli studiosi fanno risalire più all’improvvisazione senza protocolli e prassi che al telelavoro in senso stretto. Da questo punto di vista prendere l’esempio del lockdown come forma lavorativa smart cui guardare è di conseguenza del tutto sbagliato. Eppure secondo l’Ufficio federale di Statistica la percentuale dei dipendenti svizzeri che lavorano da casa è raddoppiata dal 25 al 50% dall’inizio della pandemia, una curva destinata a continuare, anche se forse non con la stessa intensità, pure in futuro. Una prospettiva che solleva questioni pratiche e giuridiche, ché in Svizzera non esiste il diritto al lavoro a domicilio, per cui - potrà anche sembrare paradossale - ma chi lavora da casa senza il consenso del datore di lavoro rischia sanzioni. Addirittura stando alle norme in vigore anche durante una pandemia i membri di un gruppo a rischio possono essere obbligati a essere presenti al lavoro, purché il datore di lavoro adempia al suo dovere di diligenza e protegga adeguatamente i dipendenti. Allo stesso tempo non esiste però alcun obbligo di telelavoro, per cui in teoria anche durante una pandemia ci si potrebbe rifiutare di lavorare da casa. In teoria, appunto, ché un dipendente sottostà comunque anche al “dovere di lealtà” verso chi gli versa lo stipendio, per cui la questione è dubbia. Senza dimenticare che il licenziamento è comunque sempre dietro l’angolo. È invece indiscutibile che il diritto del lavoro (leggi, ordinanze e contratti individuali e collettivi) si applichi anche al lavoro a domicilio, per cui, ad esempio, il diritto alle pause rimane valido tanto quanto le restrizioni sul lavoro notturno e domenicale. Malgrado ciò i sindacati chiedono regole più chiare. Punti dolenti, secondo l’Unione Sindacale Svizzera, sono la protezione della salute dei lavoratori, che rischiano stress e “workalcholism” (la dipendenza dal lavoro), e i costi del materiale d’ufficio, per cui chiede che nei contratti sia specificato che l’azienda mette a disposizione degli spazi lavorativi e che lo scambio e i contatti sociali siano garantiti. Anche orari e raggiungibilità dovrebbero essere regolamentati: sembra incredibile, ma in pochi mesi siamo passati dalla necessità di riconoscere il “diritto alla connessione” a quella di introdurre il “diritto alla disconnessione”. Potere della pandemia. Da parte sua Travail.Suisse teme che alcune aziende considerino l’home office come un programma di risparmio, per cui chiede indennizzi e che gli eventuali risparmi siano equamente ripartiti tra le parti. Di tutt’altro avviso le organizzazioni padronali. Ad esempio l’Unione svizzera degli imprenditori ha recentemente pubblicato delle linee guida per i suoi associati, in cui si stabilisce che, salvo rare eccezioni e solo dietro consegna delle relative ricevute, tutti i costi per il telelavoro sono a carico dei dipendenti. Anche se la letteratura manageriale propone una visione win-win per lavoratori e per imprese ed enfatizza alcuni indubbi vantaggi competitivi, è dunque probabile che a dirimere questa e altre questioni sarà chiamata la politica, se non addirittura, come recentemente accaduto, i tribunali. Economisti, sindacalisti e imprenditori sono invece d’accordo su una cosa: il cambiamento non sarà indolore. Ad esempio il rapporto del WEF citato in apertura afferma che entro il 2025 verranno persi 85 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. A fronte di 97 milioni di posti creati, è vero; tuttavia la sostituzione non sarà né potrà essere automatica: c’è chi si adatterà, certo, ma c’è anche chi soccomberà. La posta in gioco è dunque alta; in particolare bisognerà fare attenzione a non confondere l’urgente con l’importante, il vantaggio immediato con quello a lungo termine. In ultima analisi, il vivere con il sopravvivere.

ALCUNI CONSIGLI INFORMATICI

Ph: ©Niccolò Caranti

La digitalizzazione del mondo del lavoro in ogni caso non si arresterà. Per questo diverrà indispensabile adottare accresciuti protocolli di sicurezza informatici. Fisica anzitutto, come ci ha spiegato Paolo “Il disinformatico” Attivissimo. Non tanto per gli uomini ma per le macchine, che al domicilio privato si trovano esposte molto più che in ufficio a possibili danni, da parte ad esempio di bambini o animali. Non per nulla la casa è, stando alle statistiche della SUVA, il luogo principale dove gli essere umani si infortunano; volete che non lo sia anche per i PC? La connessione dal domicilio all’azienda invece non pone soverchi problemi: i rischi di essere infettati da un virus o di subire un’intrusione da parte di malintenzionati possono infatti essere evitati con normali procedure indipendentemente dal luogo in cui si lavora. Purché naturalmente si usi il computer aziendale e non quello privato (dunque le due reti siano nettamente divise), ché altrimenti lo cose cambiano, e di molto, tanto che la sicurezza da intrusioni e infezioni da virus non può più essere garantita: il computer privato del dipendente, usato anche per le attività di tutti i giorni (social, videogiochi, internet, chat ecc.), può infatti essere un perfetto cavallo di Troia per entrare nella rete aziendale. Diverso il caso dell’interdizione del servizio (in gergo DDoS), ossia un attacco in cui si fanno esaurire deliberatamente le risorse di un sistema o un sito web fino a renderlo non più in grado di erogare il servizio proposto. Lo scopo è ovviamente farsi pagare per ripristinarne la piena funzionalità. Un ricatto informatico, in estrema sintesi, relativamente più facile da effettuarsi su una linea casalinga che su quella di un ufficio. A tutto questo si aggiunge che l’isolamento dal luogo di lavoro, venendo appunto a mancare il contatto costante con i colleghi e quindi quelle piccole, automatiche e preziosissime verifiche interne che si svolgono spontaneamente tra una scrivania e l’altra o in pausa caffè, può rendere più facile il lavoro ai truffatori informatici. La cronaca di questi mesi ne è un esempio lampante. Per questo Attivissimo consiglia di adeguare la formazione dei dipendenti: non solo tecnica, ma anche informazione sui pericoli della rete, dove abbondano truffatori e malintenzionati di ogni taglia e specie. Un giretto sulla pagina di Melani, il Centro nazionale per la cibersicurezza, in questo senso può essere molto istruttivo (www.melani.admin.ch).

La Prairie celebra la rinnovata Platinum Rare Collection attraverso l’arte

“Il platino, il più nobile dei metalli, ha avuto origine dall’eccezionale collisione di due stelle di neutroni in un angolo lontano dell’Universo, dove la gravità è estrema. Secondo la teoria della relatività di Albert Einstein, più alta è la gravità, più lento trascorre il tempo. Di conseguenza, il platino proviene da un luogo in cui il tempo è sospeso. Ha colpito la Terra in una pioggia di meteore più di 3,5 miliardi di anni fa portando con sé la propria dimensione del tempo: il Platinum Moment”. È con l’obiettivo di rompere le regole dello scorrere del tempo che La Prairie rinnova la sua iconica linea Platinum Rare Collection, che si propone come primo capito della “scienza dell’Haute-Rejuvenation” grazie al Complesso Cellulare Esclusivo brevettato di La Prairie e al nuovo ed esclusivo Multi-Peptide al Platino, appositamente sviluppato per la Platinum Rare Collection. Rinnovata anche nel packaging, la nuova collezione è celebrata attraverso una collaborazione tra l’artista giapponese Nobuhiro Nakanishi e il compositore britannico Max Richter. L’istallazione Echo of Time, è una scultura a più livelli costituita da una sequenza di fotografie delle alpi svizzere, scattate al tramonto da Nakanishi, ed accompagnata dall’epica colonna musicale Platinum realizzata da Richter esclusivamente per La Prairie.

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IL CAMBIAMENTO È GIÀ QUI

La tecnologia ha svolto un ruolo fondamentale nella crescita del digital marketing nel corso degli ultimi anni e le tecnologie che ora consideriamo più innovative saranno sempre più presenti nella nostra vita quotidiana. La convergenza tra marketing e tecnologia è dunque un tema caldo che anima il dibattito all’interno dell’affollato ecosistema delle applicazioni digitali per l’ottimizzazione delle performance e delle conversioni delle strategie di digital marketing. Rappresenta il terreno su cui si gioca la sfida della modernizzazione e della digital transformation delle aziende. La digital transformation è infatti il profondo cambiamento delle attività e dei processi organizzativi, delle competenze e dei modelli di business, che si effettua per sfruttare appieno, in modo strategico e prioritario, i cambiamenti e le opportunità che il mix di tecnologie digitali e il loro impatto accelerato hanno apportato alla società, avendo chiaro il percorso di cambiamento da implementare nell’organizzazione nel breve e nel lungo periodo. Mentre quando si parla di digital transformation ci si riferisce prevalentemente a un contesto di business, l’impatto delle tecnologie e dell’innovazione che essa porta influisce anche su altre organizzazioni come governi, agenzie del settore pubblico e organizzazioni che sono coinvolte nell’affrontare le sfide della società come l’inquinamento o l’invecchiamento della popolazione. Lo sviluppo di nuove competenze ruota attorno alle capacità di essere più agili, orientate alle persone, innovativi, attenti al cliente, snelli, efficienti e in grado di indurre / sfruttare le opportunità per cambiare lo status quo n maniera rapida e generare ricavi grazie a nuove informazioni e servizi che nascono. Il digital marketing diventa così parte integrante delle strategie di trasformazione delle aziende perché rappresenta un nuovo modo di comunicare, di raccontare la storia del proprio brand o anche semplicemente un nuovo modo di vendere attraverso canali e tecnologie nuove, più immediate, veloci ed efficienti. Innovare significa, quindi, rompere gli schemi e introdurre processi e strategie che cambino il modo di approcciare proprio mercato di riferimento, al fine di creare ecosistemi imprenditoriali funzionali ed in grado di produrre risultati soddisfacenti. Le tecnologie dai big data, cloud, IoT e l’intelligenza artificiale stanno aiutando gli imprenditori a sviluppare nuovi modelli di business e a cambiare in modo radicale il modo usuale di gestire le operation interne all’azienda. Utilizzare la marketing technology, non significa però semplicemente adottare nuove tecnologie. È un complesso percorso di change management dei processi dell’organizzazione e della cultura aziendale. È un vero e proprio progetto di trasformazione digitale che comporta la revisione dei modelli e dei processi di business. Il cambiamento organizzativo è il fondamento della trasformazione del business digitale. Questo perché cambiare la natura di un’organizzazione significa cambiare il modo in cui le persone lavorano, sfidando il loro modo di pensare, i processi di lavoro quotidiani e le strategie su cui fanno affidamento. Siamo dunque di fronte a un nuovo modo di approcciare il lavoro quotidiano di ognuno e molto probabilmente comporterà l’uscita dalla comfort zone e l’apprendimento di nuove competenze anche per chi, nell’azienda, si fa regista di questo processo di cambiamento. Quando un’organizzazione inizia un percorso di digital transformation si rende conto aver bisogno di set di competenze diverse da quelle tradizionali, per soddisfare le esigenze del cambiamento tecnologico. Le nuove tecnologie possono portare ad una nuova era di marketing esperienziale che integra consapevolezza, coinvolgimento e conversione.

ALE AGOSTINI (A.A.) Client Partner & Director EU

ROBERTO RAZETO (R.R.)

Head of International Affairs presso IULM Università

PAOLO TAOSO (P.T.)

Strategic Marketing Manager presso Comac Spa

LUISELLA GIANI (L.G.)

Head of Industry, Strategy and Transformation

EMEA PAOLO COSTA (P.C.)

Digital Manager di Sacchi Giuseppe Spa

Dal suo osservatorio

privilegiato quali nuove tecnologie o tendenze avranno un impatto maggiore sui processi di digitalizzazione delle aziende nel corso dei prossimi mesi?

A.A.: «Per molte aziende, i clienti sono già migrati al digitale. I dipendenti stanno già lavorando completamente da remoto e sono totalmente o parzialmente in un regime di lavoro “agile”. Le aziende hanno già implementato iniziative di analisi e intelligenza artificiale (AI) nelle loro attività. I dipartimenti IT hanno accelerato ad un ritmo mai visto prima, ma per la maggior parte delle aziende, le modifiche fatte fino ad oggi rappresentano solo una prima fase dei cambiamenti che saranno necessari nel prossimo futuro. È necessario rifocalizzare e accelerare gli investimenti digitali in risposta alle esigenze in continua evoluzione dei clienti, utilizzare nuovi dati e l’intelligenza artificiale per migliorare le operazioni aziendali, modernizzare selettivamente le capacità tecnologiche per aumentare la velocità di sviluppo e potenziare l'agilità organizzativa per delivery più rapide».

P.T.: «Sicuramente nei prossimi anni vedremo un mercato sempre più data driven, mi riferisco alla

reportistica a supporto delle strategie aziendali e alle previsioni a supporto delle attività di marketing o di postvendita. I dati serviranno per creare e fornire soluzioni su misura in base alle reali necessità in un’ottica sempre più customer centric. Anche l’utilizzo delle blockchain, soprattutto per la gestione dei dati, sarà sempre più diffuso. Essa, infatti, garantisce trasparenza e immutabilità dei dati e soprattutto la crittografia degli stessi».

P.C.: «È un momento particolarmente florido per parlare di nuove tecnologie, accelerato nostro malgrado dal periodo storico che stiamo vivendo; una delle tendenze che, a mio avviso, sta avendo maggiore impatto sulla digitalizzazione delle aziende è rappresentata dagli strumenti di collaboration, non solo come tools di condivisione di informazioni o di formazione ma come luoghi di lavoro immersivi dove poter esprimere il potenziale umano con naturalezza ad esempio realtà aumentata e realtà virtuale, supportata da un'altra forte innovazione quale il 5G. Un altro “trend topic” che vorrei evidenziare è la gestione del dato attraverso l’evoluzione dell’intelligenza artificiale, dove l’algoritmo elabora e reagisce in autonomia senza l’ausilio dell’uomo, in intelligenza aumentata, dove l’uomo ritorna al centro del focus sfruttando gli algoritmi per prendere decisioni».

R.R.: «Saranno diverse le tecnologie che avranno un’influenza significativa sulla trasformazione digitale. Una tra queste sarà l’implementazione di quelle tecnologie dedicate alla realtà aumentata. La possibilità di aumentare la potenzialità dei nostri sensi per poter leggere e interpretare il mondo circostante attraverso un maggior numero di informazioni, con una capacità di delocalizzare la nostra presenza, con l’opportunità di interpretare la realtà in maniera più approfondita e articolata, credo sia una risposta efficiente a una società globale che ha nella complessità la sua caratteristica principale. La realtà aumentata ci permetterà di verificare il nostro posto nella società, estendendo la nostra presenza attraverso protesi che sin ora sono state confinate allo schermo, che sia del computer o del telefono cellulare».

L.G.: «Gli assistenti digitali si stanno affermando come importante modalità di interazione con il cliente che può migliorare la soddisfazione e l’esperienza utente. Dallo studio AI at Work, condotto da Oracle e Future Workplace, - oltre 12.000 persone intervistate in 11 nazioni tra cui l’Italia - emerge che il 2020, per l’85% degli interpellati, è l’anno più stressante della propria vita lavorativa e che il 68% preferirebbe confidarsi con un chatbot, piuttosto che con il proprio manager per problematiche relative a stress e ansia. Il chatbot è sempre disponibile, non giudica ed è molto semplice uscire dalla conversazione. La tecnologia Oracle è stata adottata dal Gruppo Mondadori per offrire sostegno agli oltre 2.000 dipendenti durante la crisi sanitaria. Le soluzioni Oracle Digital Assistant, sotto forma di chatbot, hanno consentito di rispondere a tante domande – dove fare l’esame sierologico, le norme anti-Covid ecc.- riscuotendo un grandissimo successo: oltre 34.900 ‘conversazioni’ in soli 3 mesi. Nel caso Mondadori, il success rate è stato del 92%: ossia l’assistente digitale 92 volte su 100 è stato in grado di rispondere correttamente».

La digitalizzazione è un problema fondamentale per le aziende, ma quali sono i principali ostacoli che esse incontrano nella comprensione delle esigenze dei clienti o potenziali clienti?

A.A.: «La questione principale in questo senso è il tempo: lo shift della domanda dei consumatori, velocizzata dal “new normal” dettato dal Covid, ha costretto le aziende ad adattarsi in fretta al nuovo scenario. Il punto di partenza per operare nel modo corretto in termini di digitalizzazione è sempre rappresentato dalla strategia, che deve necessariamente basarsi sia su un corretto assessment della situazione attuale sia su una visione futura dei mercati, in modo tale da creare roadmap che includano punti di criticità e miglioramenti da attuare per migliorare la performance. Una strategia di business vincente deve sempre tenere in considerazione sia le risorse che gli obiettivi a lungo termine. Un’azienda che fa dell’efficienza e della capacità di adattarsi con rapidità alle evoluzioni del mercato i suoi principali punti di forza potrà agire con prontezza e persino anticipare le tendenze future, anche se il Covid è stato – ed è ancora – un fenomeno davvero imprevedibile».

P.T.: «I principali ostacoli della digitalizzazione nella comprensione delle esigenze dei clienti sono legati al fatto che molto spesso si sceglie di affidarsi a strumenti già pronti, mi riferisco al CRM per esempio. Ce ne sono tanti e tutti altamente affidabili e personalizzabili, ma la cosa che più conta in una fase di popolazione di CRM è suddividere i lead nella maniera corretta. Credo fortemente nel fattore umano, nel legare con le persone, ecco quindi che bisogna creare relazioni vere, anche se sono di tipo digitale. È solo con relazioni vere che si riesce a capire cosa cerca il cliente. Non bisogna concentrare le energie su una vendita puntuale, ma cercare di conoscere il cliente nel dettaglio per capire come servirlo al meglio e come accoglierlo in un’offerta più ampia di valori aziendali e quindi di prodotti».

P.C.: «Il processo di digitalizzazione richiede, nella maggior parte dei casi, un forte impegno in termini di risorse economiche e fisiche; il moltiplicarsi dei punti di contatto e la mole di dati che vengono generati mette costantemente a dura prova la capacità decisionale del management. Spesso gli strumenti adottati nel tentativo di comprendere e misurare l’intera gamma delle esperienze che il cliente vive nei confronti del brand, non sono parte di una strategia ma soluzioni temporanee a problemi contingenti».

R.R.: «I principali ostacoli sono tre:

1. La mancanza di uso integrato. Le tecnologie devono essere utilizzate in integrazione completa con il proprio business, rispetto al mercato di riferimento, conoscendo i clienti attuali e potenziali. Se ne devono comprendere le potenzialità e sapere utilizzare tali potenzialità nella loro pienezza. Ciò significa studio e apprendimento. 2. La mancanza di uso responsabile.

Le tecnologie possono essere invasive per il consumatore, non rispettandone la sensibilità e l’alveo della privacy. Le potenzialità delle tecnologie sono tecnicamente infinite: conoscerle significa sapere come usarle e fino a che punto spingersi nell’utilizzo. 3. La mancanza di aggiornamento.

Conoscere i trend e gli standard è importante per sapere muoversi sul mercato in maniera compatibile con esso e consapevole dei flussi dello stesso. Aggiornare le proprie tecnologie significa sapere come si evolve il mercato, saperlo leggere e implementare e/o trasformare quando ce n'è bisogno. Come il mercato della moda, sapere cosa andrà nella prossima stagione per essere, per l’appunto, alla moda». L.G.: «Spesso le aziende considerano la digitalizzazione come un’attività separata rispetto agli obiettivi dell’azienda. Nessuna realtà che voglia essere competitiva nei prossimi 5 o 10 anni, può considerare la digitalizzazione come secondaria. Oltre a una mancanza di visione strategica, spesso molte aziende si scontrano con l’esecuzione delle strategie digitali. Alcune regole? 1. selezionare un partner tecnologico con esperienza di settore, affidabile, che permetta l’accesso ad un ecosistema 2. capire quali sono le competenze necessarie per l’esecuzione della digitalizzazione, decidendo quali attività eseguire in autonomia, o quali esternalizzare 3. incentivare l’adozione dei nuovi strumenti digitali, anche con iniziative a ‘premi’, identificando all’interno dell’azienda gli ‘ambassador’ incaricati di promuovere una vera e propria innovazione culturale».

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Quali sono le strategie di marketing digitale che incidono più profondamente nell’organizzazione delle aziende e determinano i maggiori risultati in termini economici?

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A.A.: «Molte aziende stanno accelerando un passaggio molto veloce ai modelli digital first. Quanti negozi fisici, ad esempio, si sono trasformati in e-commerce pienamente funzionanti negli ultimi mesi? Tantissimi, da piccole realtà locali a grandi catene retail. Ma non si tratta solo di digitalizzare. Le aziende devono anche reinventare le customer journey, per ridurre gli ostacoli, accelerare il passaggio ai canali digitali e seguire i nuovi protocolli di sicurezza. Ad esempio, le compagnie aeree stanno rapidamente reinventando l'espe

rienza dei loro passeggeri con viaggi contactless, incentrati sulla salute e la sicurezza dei viaggiatori per far sentire i clienti a proprio agio durante i voli in questo preciso momento storico».

P.T.: «Tecnicamente qualsiasi attività nel mondo digital ha fortissimi impatti nelle organizzazioni, non credo si possa definirne una più incisiva dell’altra, questo infatti dipende dal contesto in cui opera l’azienda. Con qualsiasi attività digitale è certo che si ha la possibilità di avere molti dati, è quindi possibile misurare ogni singola attività per capirne l’andamento e in caso cambiare la direzione. Il risultato economico è solo una componente del risultato aziendale, credo che l’unica vera strategia sia quella di mettere il cliente al centro di tutte le decisioni».

P.C.: «Quando si parla di strategia di marketing digitale è buona prassi differenziare il mercato di applicazione: esistono certamente degli approcci replicabili che seguono i drivers convenzionali della consumer value, tra cui spicca la brand awarness. Questo si traduce in tutte quelle strategie rivolte a personalizzare quanto più possibile l’esperienza del cliente basata, qui come in precedenza, su una conoscenza estremamente approfondita del comportamento su tutti i canali che l’azienda mette a disposizione: dal web, all’ecommerce, al negozio fisico, alla newsletter…».

R.R.: «Sono quelle integrate, multipiattaforma e multi canale. Le strategie devono comprendere una cosa fondamentale. La rete forma degli hub di interesse (bolle), suddivisi in sub-hub e a loro volta ancora in livelli ulteriormente nidificati. Sapere muoversi attraverso i vari hub, significa mantenere una strategia fluida e incisiva e riuscire a raggiungere target definiti e massimizzare così gli investimenti».

L.G.: «Anche in reazione alla crisi sanitaria, molte aziende B2B stanno adottando un approccio “digital e mobile first” sostituendo i canali tradizionali di vendita e marketing con canali digitali e-commerce, o assistenti digitali. Le attività di content marketing diventano ancora più importanti in quanto, per essere efficaci, i contenuti devono essere altamente personalizzati, raggiungendo il cliente, proprio quando sta cercando quell’informazione».

In che modo la comunicazione digitale può migliorare i rapporti con i clienti?

A.A.: «In questo scenario, la comunicazione si intreccia profondamente con la customer experience: il cliente non si limita più alla semplice relazione con il prodotto, ma interagisce con il brand e intraprende una comunicazione bidirezionale sempre più personalizzata sulle sue esigenze. Attraverso l’impiego sistematico di app, piattaforme digitali e una comunicazione tagliata su misura del nostro tempo, si potrà arrivare ad offrire al cliente un servizio sempre più efficiente ed efficace. Il fine ultimo è sempre lo stesso: un maggior grado di soddisfazione al proprio interlocutore. Allo stesso tempo, nell’ottica della comunicazione digitale, pensiamo che sia centrale anche il tema della sostenibilità e l’efficienza energetica: far bene al pianeta significa fare bene anche al cliente in quanto persona. Per questo abbiamo creato il Progetto Karma Metrix, che misura e certifica le emissioni di CO2 dei siti web e permettere alle aziende di intraprendere percorsi virtuosi digitali verso un approccio green su Internet». P.T.: «La comunicazione digitale può essere un motivo di avvicinamento ma anche di distaccamento, può migliorare i rapporti solo se curata, ma soprattutto se viene inserita in un contesto di strategia digital. Mi spiego meglio, non sempre le aziende devono vendere qualcosa quando sono presenti sul web, ma devono soprattutto comunicare valori, informazioni, mantenere relazioni e dare supporto. Servono vari strumenti per riuscire in questo arduo compito, solo per citarne alcuni, è evidente che il sito web di un’azienda è la prima vetrina dove trovare informazioni sui prodotti. Un altro punto di contatto è il blog aziendale dove si condividono storie e consigli, un luogo virtuale dove si vuole accrescere la Brand Awareness attraverso uno scambio di idee e di informazioni. Poi arrivano le piattaforme di comunicazione social, dove si è sempre reperibili e disponibili per utenti in tutto il mondo. È chiaro che la comunicazione non può essere vista come una attività fine a sé stessa, ma è trasversale all’azienda intera. Anche il customer service, magari con una chat online, potrebbe creare un nuovo modo di comunicare immediato e funzionale, l’importante è che venga integrato correttamente nella strategia di comunicazione aziendale».

P.C.: «La comunicazione digitale ha il grosso vantaggio di raggiungere una grossa quantità di utenti in modo veloce e, se ben costruita, con un ritorno sull’investimento facilmente misurabile. Il cliente, se correttamente profilato, beneficia di contenuti realmente utili per lui e per il suo business e restituisce una quantità di dati che alimentano un circolo virtuoso azienda-cliente».

R.R.: «Profilando il messaggio e soddisfacendo le esigenze di tempo, spazio e servizio di cui il cliente ha bisogno».

L.G.: «Negli ultimi mesi si sta diffondendo una nuova modalità di rapportarsi con i propri clienti, il Caring: prendersi cura della clientela superando l’ottica di customer service. Questo è possibile grazie all’analisi avanzata dei dati e all’applicazione di algoritmi predittivi, di machine learning. L’empatia digitale si basa su una forte conoscenza del cliente che permette di offrirgli quello di cui ha bisogno al momento giusto. Ad esempio proporre risultati di ricerca personalizzati: non più centinaia di risultati, ma solo 5 che rispondano esattamente a quei servizi di cui il cliente ha bisogno. Oppure un chatbot in grado di chiedere, in modo proattivo, se il cliente vuole aiuto, in caso di esitazione prima di finalizzare un acquisto».

La digitalizzazione è un processo non solo tecnologico ma anche culturale: in che modo si può favorire la diffusione a livello aziendale di questo nuovo e diverso approccio?

A.A.: «La digital tansformation è una evoluzione prima di tutto culturale, che si focalizza sull’innovazione delle aziende attraverso l’impiego di tecnologie digitali quali l’Internet of Things, l’Intelligenza Artificiale, il Cloud e di tutti quegli avanzati strumenti che favoriscono risposte più puntuali ai cambiamenti e alle richieste di un mercato globale i costante evoluzione, dove la competitività cresce di giorno in giorno. Questa digitalizzazione è un concetto che implica un’intrinseca rivoluzione per le aziende, in particolar modo quando le tecnologie digitali servono anche per migliorare l’esperienza dei dipendenti, dei fornitori, dei partner e di tutti gli attori all’interno della catena del valore aziendale. Nel processo è incluso anche un cambiamento di leadership, inteso come strutturazione di nuovi modelli di business per il miglioramento dell’esperienza di tutte le figure direttamente o indirettamente connesse all’azienda».

P.T.: «Credo che la formazione e nuovi modelli organizzativi siano la chiave per avere successo in questo processo. Con nuovi modelli organizzativi mi riferisco soprattutto ad approcci snelli detti “agili” dove le gerarchie vengono appiattite e sostituite da gruppi funzionali con figure che lavorano su più progetti contemporaneamente. Ecco, quindi, che non avremo più figure specifiche per quel ruolo, ma figure con determinate skills che inserite nel contesto aiuteranno al raggiungimento degli obbiettivi».

P.C.: «Per mia esperienza personale è fondamentale un committement da parte dei più alti livelli aziendali e un coinvolgimento costante di tutto il c-level nei processi di trasformazione. È una condizione necessaria, senza la quale “trasformazione digitale” si trasformerebbe in uno slogan dopo breve tempo. Inoltre, come spesso accade, in molte aziende la trasformazione digitale viene associata a funzioni come ICT o Marketing, tralasciando l’importanza dell’Hr nel processo di trasformazione. Quest’ultimo diventa essenziale nell’accompagnare l’accrescimento delle competenze digitali di ogni singolo dipendente che poi diventerà esso stesso un digital ambassador».

R.R.: «Mantenendo l’attenzione sui trend sociali e cercando di trasferirli, in maniera adeguata e profilata, nella realtà aziendale di riferimento. Il successo di Netflix, per fare un esempio mainstream degli ultimi anni, si basa su un utilizzo delle tecnologie, adattate alle esigenze sociali, che trasformano il modello lavorativo esperito dai dipendenti. Una formula che è un mix di alta competenza, responsabilità, trasparenza, flessibilità e libertà. Ovviamente, come quanto detto prima, questo necessita di un costante studio e apprendimento».

L.G.: «Conoscenza, condivisione, collaborazione. I percorsi di formazione, sono più efficaci se affiancati da attività che stimolino la conversazione, la condivisione, che facciano sentire parte di una community. Un esempio? Il digital Monday. Ogni lunedì mattina 30 minuti dedicati ad approfondire un tema digitale di interesse comune».

UNA CONSULENZA SEMPRE PIÙ DIGITALE

ROBERTO GRASSI, DIRETTORE GENERALE, SOTTOLINEA COME LA DIGITALIZZAZIONE COSTITUISCA UNO DEI PUNTI QUALIFICANTI DELLA STRATEGIA DI CRESCITA DEL GRUPPO FIDINAM. Q uali sono i principali

contenuti dell’accordo di collaborazione di recente concluso tra PwC Svizzera e il Gruppo Fidinam?

«Il Gruppo Fidinam ha avviato una collaborazione con PwC Svizzera per rilevare l’intero settore di implementazione di piattaforme ERP (contabili e amministrative) su software Abacus in Svizzera. Si tratta di circa 25 collaboratori dislocati in 5 città Svizzere: Zurigo, Berna, Lucerna, Ginevra, Basilea. Allo stesso tempo, PwC Svizzera rimarrà il principale cliente del Gruppo Fidinam in questo nuovo business. In questo modo, rafforziamo la nostra presenza nel resto della Svizzera e potenziamo le nostre competenze nel digitale, un’area di business strategica per tutto il Gruppo».

Con questo accordo Fidinam rafforza la sua presenza in Svizzera e acquisisce importanti competenze in un’area di business strategica. Si può parlare di un riposizionamento del vostro Gruppo?

«Direi che si tratta di un adattamento ai tempi e alle tecnologie, più che un riposizionamento. Il campo digitale è ormai diventato un orientamento fondamentale nelle attività amministrative di piccole e medie aziende, e la razionalizzazione dei processi e dei costi un elemento concorrenziale. Noi crediamo che il nostro ruolo di consulenti e prestatori di servizi nel futuro si baserà essenzialmente in queste nuove forme di prestazione e quindi vogliamo esserci per tempo, nell’interesse dei nostri clienti e nostro. Con questa operazione, acquisiamo delle competenze in una piattaforma ERP già ampiamente diffusa oltre Gottardo, rafforzando le nostre competenze in campo digitale».

Su quali aree e attraverso quali servizi si articola attualmente la consulenza integrata e interdisciplinare offerta da Fidinam ad aziende, imprenditori e privati?

«Da oltre vent’anni abbiamo raggruppato la nostra consulenza in tre aree: fiscale, amministrativo, immo-

biliare. Ora abbiamo creato una nuova divisione digitale, valorizzando le competenze che stiamo acquisendo in questo comparto. L’integralità della nostra proposta sta proprio nell’offrire supporto a tutte le attività che caratterizzano l’amministrazione di un’azienda, dalla sua contabilità alle paghe, alle assicurazioni, e ovviamente anche alla sua fiscalità. E già da qualche anno ci siamo orientati alla digitalizzazione con Fidigit SA, società che abbiamo costituito nel 2019, apportando soluzioni digitali per le nostre unità e per i nostri clienti, e proposto nuovi prodotti orientati all’automazione di processi amministrativi a basso valore aggiunto o ripetitivi, migliorando le funzionalità per gli utenti».

In che modo la pandemia ha modificato lo svolgimento della vostra attività e con quale bilancio avete chiuso il 2020?

«Il lock down ha accelerato una tendenza alla flessibilità del lavoro e al lavoro remoto, temi che stavamo già affrontando. La reazione dei nostri collaboratori e dei nostri clienti è stata molto favorevole e, accanto alle inevitabili inefficienze iniziali, ha dimostrato una validità che travalica la straordinarietà della situazione contribuendo al mantenimento dei risultati ai livelli dell’anno precedente. Immaginiamo che questa pandemia abbia di fatto cambiato completamente il paradigma del lavoro e del rapporto con il cliente, orientato sempre di più ad un confronto sulla prestazione. Siamo comunque del parere che nulla può sostituire il beneficio tratto dall’interazione fra i professionisti e dallo scambio di esperienze e conoscenze in occasione di spontanei incontri sul posto di lavoro. Per questo manterremo sempre la presenza in ufficio quale regola nello svolgimento del proprio lavoro».

Con quali prospettive vi accingete ad affrontare il 2021 e quali sono a vostro giudizio le principali problematiche che le aziende dovranno affrontare nei prossimi mesi per avviare una fase di rilancio delle proprie attività?

«La pandemia ha sicuramente rafforzato la spinta alla digitalizzazione: in questo senso, la bravura non sta più soltanto nell’anticipare i tempi, ma anche nel cogliere con prontezza le opportunità che si presentano sul mercato. In tutti i settori constatiamo la necessità di ottimizzare i propri processi e di renderli accessibili nelle forme più efficienti. Le sfide principali sono quindi legate ai nuovi mezzi e modalità di collaborazione, comunicazione e creazione di valore, che saranno sempre più influenzati dalla digitalizzazione».

LA PREVIDENZA GIUSTA PER OGNI FASE DELLA VITA

Roberto Russi, Agente Generale, Agenzia Generale Svizzera italiana

Se c’è una cosa che abbiamo veramente imparato in quest’anno, è convivere con l’incertezza. Un evento imprevisto può limitare la nostra vita quotidiana in modo considerevole. Da un giorno all’altro, la nostra libertà di scelta può ridursi drasticamente. Per far fronte a una situazione del genere, è importante puntare le attenzioni sulle proprie responsabilità e riflettere sulle proprie esigenze. Swiss Life mette a disposizione prodotti previdenziali e finanziari all’avanguardia, che completano perfettamente il regime assicurativo del 1° e 2° pilastro.

Il sistema svizzero dei 3 pilastri

Il sistema previdenziale svizzero è composto da 3 pilastri: la previdenza statale, quella professionale e quella privata. Il 1° pilastro, l’AVS (Assicurazione per la vecchiaia, i superstiti e l’invalidità), garantisce il minimo vitale durante la vecchiaia o in caso di decesso e di invalidità. In linea di principio tutte le persone che lavorano e vivono in Svizzera sono coperte dal 1° pilastro previdenziale Il 2° pilastro, la previdenza professionale (LPP), si propone di mantenere invariato il tenore di vita abituale nella vecchiaia. Nel linguaggio comune viene chiamata spesso anche «cassa pensione». La previdenza professionale ha come obiettivo quello di integrare le prestazioni dell’AVS/AI durante la vecchiaia, in caso di invalidità e di decesso e di garantire che possa essere mantenuto il tenore di vita abituale. Ogni lavoratore dipendente con un reddito superiore al salario annuo soggetto all’AVS (salario annuo minimo ai sensi della LPP) è assicurato dalla cassa pensione scelta dal datore di lavoro, che detrae automaticamente i contributi LPP. Sia il 1° che il 2° pilastro sono obbligatori. Il 3° pilastro è facoltativo. Si tratta di un complemento volontario alle preSWISS LIFE OFFRE UNA CONSULENZA PERSONALE A 360 GRADI PER SOSTENERE I CLIENTI A VIVERE LA LORO VITA IN PIENA LIBERTÀ DI SCELTA.

stazioni dell’AVS/AI e della previdenza professionale. Consente di costituire una previdenza privata con cui tutelarsi per la vecchiaia, ma anche risparmiare sulle imposte e assicurare rischi quali decesso e incapacità di guadagno. Il 3° pilastro è composto dalla previdenza vincolata 3a nonché dalla previdenza libera 3b. I contributi alla previdenza vincolata 3a sono fiscalmente agevolati e possono essere dedotti dal reddito imponibile fino a un determinato importo massimo.

Risparmiare sulle imposte e provvedere alla terza età

L’obiettivo del 3° pilastro non è solo quello di colmare eventuali lacune previdenziali che non sono coperte dalla rendita AVS/AI e dalla rendita LPP. Propone inoltre di consentire il soddisfacimento dei propri desideri per vivere la terza età in piena libertà di scelta. Ed è qui che rientra il tema del risparmio sulle imposte. Il 3° pilastro si suddivide in previdenza vincolata 3a e previdenza libera 3b. I versamenti nella previdenza 3a vengono detratti direttamente dal reddito imponibile. La previdenza libera 3b permette di beneficiare di agevolazioni fiscali solo a determinate condizioni. Ci sono diverse modalità per risparmiare sulle imposte con una soluzione del pilastro 3a. Ad esempio è possibile dedurre dal reddito imponibile i contributi versati nella previdenza vincolata 3a fino a un determinato importo massimo. Ma esistono anche altri modi per

risparmiare sulle imposte con il pilastro 3a. Nel corso della durata, ad esempio, i proventi (interessi ed eccedenze) sono esenti dall’imposta sul reddito. I versamenti anticipati di capitale vengono tassati applicando un’aliquota speciale ridotta. Inoltre, il capitale previdenziale accumulato non è soggetto all’imposta sulla sostanza. Anche la previdenza libera 3b offre possibilità di risparmio fiscale. Sono ad esempio esenti da imposte sul reddito le assicurazioni sulla vita con finanziamento periodico e formazione di capitale, nonché le polizze a premio unico. A differenza delle rendite di vecchiaia versate dal pilastro 3a, che vengono tassate al 100%, le rendite della previdenza libera 3b sono tassate solo al 40%.

Il 3° pilastro permette agevolazioni fiscali

La pianificazione finanziaria è strategica per la previdenza privata

La pianificazione delle finanze per la terza età aiuta a capire le proprie esigenze, e a crearsi una panoramica sull’andamento delle entrate, delle uscite e del patrimonio. Per questo tipo di strategia Swiss Life offre la cosiddetta “pianificazione finanziaria”. Nel corso di un colloquio personale i nostri esperti si occupano di analizzare la situazione attuale e gli obbiettivi finanziari del cliente. Vengono tenuti in considerazione tutti i temi importanti come l’ottimizzazione delle prestazioni previdenziali, la data del pensionamento, la verifica della sostenibilità finanziaria dell’abitazione di proprietà e possibili ottimizzazioni fiscali. Così riusciamo a fare dei calcoli fatti su misura per pianificazione finanziaria del cliente. Per realizzare gli obbiettivi, Swiss Life segue il cliente negli anni a venire, dato che ci può sempre essere un eventuale mutamento delle esigenze personali. La pianificazione finanziaria offre una panoramica sulla situazione attuale.

Non dimentichiamoci di eventi inattesi come malattia e infortuni

Le assicurazioni di rischio proteggono noi e i nostri cari dalle conseguenze finanziarie legate a un’incapacità di guadagno in seguito a malattia o infortunio, nel caso in cui si necessiti di cure o in caso di decesso. Ci sono varie opzioni. Con un’assicurazione in caso di decesso per esempio, si stabilisce un ammontare di capitale in caso di morte. Cosi si tutela finanziariamente la famiglia o gli altri beneficiari. È possibile aggiungere al caso di decesso un’assicurazione in caso di incapacità al guadagno. Questo prodotto versa una rendita se viene presentata un’incapacità di guadagno in seguito a infortunio o a malattia. L’ammontare della prestazione dipende dal grado d’incapacità di guadagno e dalla prestazione assicurata. Infine, si può scegliere anche un’assicurazione di rendita in caso di necessità di cure. In caso di Swiss life, questo prodotto offre un’unica combinazione tra rendita e servizi di assistenza. Garantiamo la indipendenza finanziaria del cliente e assicuriamo il tenore di vita desiderato in caso di cura.

Chi prima arriva, meglio alloggia

Una cosa è certa: le rendite versate dal 1° pilastro e spesso anche dal 2° pilastro non bastano oggi a mantenere inalterato il tenore di vita abituale durante la vecchiaia. Per vivere una vita in piena libertà di scelta bisogna non solo effettuare versamenti in una previdenza privata del 3° pilastro, ma anche concretizzare i propri bisogni e riflettere sulla situazione finanziaria attuale. Una pianificazione finanziaria aiuta a capire le proprie possibilità finanziarie, a tener d’occhio i rischi che possono manifestarsi in futuro e a schiarire le idee sul da farsi.

Per vivere in piena libertà di scelta bisogna riflettere sul futuro.

Una storia di successo con oltre 100 anni di esperienza

Swiss Life si è trasformata in un’azienda che concentra la propria strategia su concetti di consulenza e accompagnamento. Oggigiorno la cosa più importante non è il prodotto, bensì verificare se la copertura assicurativa del prodotto è conforme alle esigenze e ai rischi reali dei clienti. È auspicabile analizzare la situazione previdenziale del cliente a tempo debito, per poter gettare le basi per un futuro tranquillo. Swiss Life offre una gamma di prodotti adatti a questo tipo di consulenza come per esempio la pianificazione del pensionamento o finanziaria. Questi tipi di prodotti servono a determinare la tranquillità finanziaria dei clienti. Inoltre, mettiamo a disposizione un ampio know how nel settore immobiliare. I nostri esperti accompagnano i nostri clienti in piena sicurezza dalla scelta dell’immobile, all’assistenza ipotecaria, fino alla firma del contratto di compravendita.

Verso un futuro propenso alla digitalizzazione e alla longevità

Il futuro della vita nella fase della terza età sta già subendo un processo di totale cambiamento. Questo grazie anche ad una nuova generazione propensa alla digitalizzazione. Affinché le nuove opportunità di organizzazione della vita possano essere opportunamente sfruttate, bisogna riflettere su questo punto. Inoltre, il coronavirus ha e continua a limitare la nostra vita quotidiana in modo considerevole. Questa malattia ci impone una situazione attuale caratterizzata da molta incertezza. La nostra vita può cambiare da un giorno all’altro. Questo ci pone di fronte a nuove sfide e solleva numerose domande. A maggior ragione una consulenza personalizzata è indispensabile per continuare a godere di una buona copertura assicurativa e vivere la vita in piena libertà di scelta. Ma a essere chiamata all’impegno non è solo la società: infatti anche le condizioni economiche e politiche devono essere adeguate all’era della longevità. Per poter vivere domani non solo più a lungo ma anche bene. Swiss Life si confronta in modo approfondito con queste tematiche e desidera farsi promotrice di un dibattito approfondito a questo proposito.

Offriamo i nostri servizi in piena sicurezza in tutta la svizzera italiana

La situazione attuale ci pone di fronte a nuove sfide e solleva numerose domande soprattutto da parte dei nostri clienti: Quali prestazioni ho assicurato? Quali ripercussioni hanno le attuali turbolenze sui mercati finanziari sul mio prodotto? Swiss Life fornisce le risposte, sfruttando le opportunità che ci offrono le nuove tecnologie. Siamo lieti di rispondere a tutte le domande. Venite a trovarci nell’Agenzia Generale della Svizzera italiana a Lugano o in uno dei nostri uffici di Bellinzona, Locarno o Chiasso. I nostri esperti saranno lieti di accogliervi anche a Biasca, Pregassona, Manno e Grono. L’Agenzia Generale della Svizzera Italiana è divisa in quattro gruppi, ognuno con un responsabile delle vendite. Il nostro obiettivo è essere vicini ai nostri clienti, per garantire competenza e massima professionalità. A tal fine, mettiamo a vostra disposizione in ogni ramo previdenziale specialisti per una previdenza a 360 gradi. Cogliete l’occasione per prendere un appuntamento con uno dei nostri specialisti oggi stesso. Saremo felici di essere a vostra disposizione.

SWISS LIFE AGENZIA GENERALE SVIZZERA ITALIANA

Roberto Russi (Agente generale)

Via Pietro Peri 18 CH-6900 Lugano +41 (0)91 911 99 11

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PASSIONE PER I DETTAGLI

Da sinistra: Luca Fochetti e Eros Mercolli

AZIENDA LEADER NEL MERCATO DEGLI ELETTRODOMESTICI, V-ZUG LANCIA EXCELLENCE LINE, IL SEGMENTO DI PRODOTTI RIVOLTI AI CLIENTI PIÙ ESIGENTI IN FATTO DI DESIGN, FUNZIONALITÀ, EFFICIENZA ENERGETICA, SOLIDITÀ, LONGEVITÀ E PRESTAZIONI. CE NE PARLANO EROS MERCOLLI E LUCA FOCHETTI, ACCOUNT MANAGERS PER TICINO E MOESANO DI V-ZUG. L’ innovazione costituisce da sempre uno dei principali punti di forza di V-ZUG… «Da oltre un secolo il nostro impegno è quello di offrire elettrodomestici innovativi e di elevato livello qualitativo. Qualunque sia la necessità, V-ZUG garantisce elettrodomestici superiori alla media. In quanto leader di mercato in Svizzera, ci identifichiamo nei valori nazionali, esportati in tutto il mondo. È questo ciò che intendiamo con il motto «La perfezione svizzera a casa vostra». Ancora oggi infatti il nostro marchio rappresenta la fierezza delle origini: «V» significa «Verzinkerei», per ricordare la nostra storia di zincatori, e «ZUG» richiama l'appartenenza alla regione di Zugo e alla Svizzera in generale».

Quali caratteristiche contraddistinguono gli elettrodomestici Excellence Line?

«I prodotti di questa linea sono innovativi, precisi, affidabili. Con i loro materiali di pregio e la purezza del design, questi elettrodomestici si integrano perfettamente in ogni cucina. Per esempio, con i nuovi forni tradizionali e a vapore della Excellence Line, dal 1° marzo 2021 effettueremo il più grande cambiamento di generazione di elettrodomestici. Questi prodotti termici sono apprezzati per il loro sistema di comando completamente nuovo, il design purista e frontali con vetro a specchio».

Un’attenzione particolare è stata posta al design di questi prodotti…

«Il design per noi è l’arte di combinare funzionalità ed estetica per creare un’esperienza d’uso positiva. L’interazione con i nostri apparecchi è naturale e intuitiva: all’utente bastano pochi comandi per ottenere l’impostazione corretta. Tutto ciò lo esprimiamo con il concetto di «simplexity». L’utilizzo è semplificato anche grazie a un display accattivante che guida l’utente nella scelta delle impostazioni. Gli elementi che caratterizzano il nostro design sono alta qualità, eleganza, atemporalità, swissness e integrabilità. Poiché i nostri apparecchi sono sinonimo di qualità e longevità, anche il design deve convincere a lungo nel tempo. Questo approccio include anche la scelta dei materiali: anche in questo caso privilegiamo la qualità e utilizziamo esclusivamente solo materiali nobili».

V-ZUG ha scelto la protezione dell’ambiente come proprio obbiettivo prioritario…

«Assolutamente sì. Consideriamo nostra precisa responsabilità impegnarci a livello locale e internazionale per un’economia, una società e un ambiente sostenibili. Gli elettrodomestici costituiscono infatti una voce significativa nel consumo giornaliero di energia e acqua, di conseguenza l’efficienza rappresenta un elemento importante nella decisione di acquisto. Investire in una dei nostri modernissimi prodotti significa risparmiare ogni giorno risorse preziose. Anche per questo abbiamo inserito tutta una serie di funzioni che consentono di verificare direttamente il consumo di corrente e acqua degli elettrodomestici e di utilizzare con consapevolezza i programmi per il risparmio».

Questa sostenibilità consapevole inizia già in fase di produzione?

«Infatti. Nel nostro stabilimento di Zugo perseguiamo l’ambizioso obiettivo di ridurre continuamente le emissioni CO2. E siamo sulla buona strada: già oggi infatti l’energia necessaria alla produzione viene ricavata al 100% da una fonte rinnovabile come l’idroelettrico. E nel centro logistico ZUGgate gestiamo uno degli impianti fotovoltaici privati più grandi del Cantone: insieme ad altre misure di risparmio energetico, questo rende l’intero complesso energeticamente autosufficiente ed ecologico».

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