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GIOVEDÌ 17 NOVEMBRE 2016
L'EVENTO LA CENA DI GALA DELLA GUIDA MICHELIN
Lumache, porcelletto nero e Bomba: tris d'assi Sandro Piovani II La
giornata parmigiana per la presentazione della Guida Michelin 2017 si è chiusa nella notte di martedì con una cena di gala, protagonisti tre chef stellati. Niko Romito (ristorante Reale, tre Stelle), Enrico Bartolini (ristorante Meduc, due Stelle) e Massimo Spigaroli (ristorante Antica Corte Pallavicina, una Stella). C'erano anche le «sfogline di Mezzani» con anolini e tortelli d'erbetta. Ma parliamo dei tre piatti che più ci hanno colpito. Per quanto riguarda Bartolini difficile decidere tra le lumache e il piccione. Abbiamo
scelto le prime: «lumache della Valtellina alla salvia e pepe verde “ultirancotta Maricha”». Con la salvia che si sente ma non è invadente, perché il «one shot» dà un'idea generale della bontà delle lumache, cucinate tradizionalmente, e abbinate a foie gras, al pepe verde e ad un tacos di mandorle: veramente un gran piatto. Come il «Porcelletto nero di Parma su crema di mais e tartufo delle golene» proposto da Spigaroli: dalla buona consistenza, col maiale nero che si esalta grazie al sapore potente ed alle equilibrate infiltrazioni di grasso e con una moderna polenta e il tartufo dei pioppeti del-
la Bassa, presente ma non ingombrante al palato. Difficile resistere anche ai piatti proposti da Niko Romito: il «riso, Parmigiano e limone» esalta la semplicità dei gusti delle materie prime. il primo di due omaggi alla nostra terra. Gusto fantastico, quasi inaspettato vista la semplicità degli ingredienti. Poi la «Bomba», dove il dolce si incrocia con il salato, con un risultato che può creare letteralmente dipendenza. Difficile resistere a questa sorta di panino, un classico cibo da strada, dove il pane dolce (chiamiamo così la «Bomba») si abbina al bollito di pancetta, insalata e senape. L'assaggio è completo, la morbidezza del pane avvolge la farcia: un gusto unico che, come con il riso, è figlio del progetto dello chef e della bontà degli ingredienti. £ © RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina a cura di Sandro Piovani - gusto@gazzettadiparma.net
Piero Gorgoni, giornalista laureato in enologia, ci spiega le regole Chichibio
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a abbandonato gli studi di Medicina a cinque esami dalla laurea, ma la passione per la tavola lo accompagna fin da piccolo quando, su quadernetti conservati dalla madre, annotava le prime ricette. Poi, lavorando come cameriere nei ristoranti per mantenersi agli studi, lo prende la passione per il vino che lo porterà a vivere tra bottiglie e degustazioni, scrittura e insegnamento. Chi meglio allora di Piero Gorgoni può dettare le regole con cui costruire una buona cantina? In quegli anni di formazione l’amicizia con Mariella e Guido Cerioni (Locanda Mariella) e con Giovanni e Nicola Maestri (Enoteca Ombre Rosse) è stata per lui determinante: tutti i martedì nel negozio di Guido ognuno portava bottiglie da degustare e così cresceva la passione e la conoscenza. Di quelle esperienze Piero Gorgoni teneva note dettagliate che una volta lette dal nostro Andrea Grignaffini (già allora motore e anima di «Spirito di vino») finirono rapidamente per essere stampate sulla rivista. Nel frattempo Piero si laurea in enologia a Milano, cominciano le consulenze, insegna enologia ad Alma. Ha collaborato per molti anni alla «Guida dei vini» dell’Espresso, è ambasciatore dei vini dell’Alto Adige e cura la fiera di vini «Autochtona» a Bolzano. Come deve essere una buona cantina, una bella carta dei vini? «La prima cosa - risponde Piero Gorgoni - è la chiarezza: infatti, la carta dei vini deve essere facilmente leggibile. In quelle più articolate, ci sia un sommario all’inizio; nelle più semplici ci sia una suddivisione partendo dal territorio: mi piace sapere che c’è stata una ricerca sul quell’area, magari con accanto i vini
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UNA PERFETTA CARTA DEI VINI più famosi della zona. Nelle suddivisioni non c’è una regola se non, ripeto, quella della chiarezza, ma può essere divertente introdurre nuove categorie trasversali, come per esempio “vini di grande bevibilità” o altre cose. La carta indichi il nome del produttore, del vino, l’annata, specifichi l’eventuale uvaggio, il
prezzo. Dalla carta deve passare il messaggio che il cantiniere conosce il suo vino e non lo ha acquistato su cataloghi o su consiglio di altri. Meglio pochi vini conosciuti, che si continua ad assaggiare, di cui si conosce lo stato evolutivo: questo è centrale, perché l’ospite è disposto ad essere coinvolto e consigliato
sempre con giusto equilibrio e in relazione ai piatti proposti dalla cucina. Nella nostra regione c’è una rivalutazione del rifermentato in bottiglia: non esiterei ad metterne in carta una decina, per esempio lambrusco con metodo classico e anche col suo fondo. Qui a Parma per esempio i vini rifermentati di Donati,
di Crocizia, di Monte delle Vigne, di Tomasetti, sia bianchi che rossi. Per un’osteria non sono necessari grandi nomi, ma piuttosto vini con buon rapporto qualità/prezzo anche non regionali, affascinanti, in cui l’oste crede. Per locali più grandi bisogna valutare la richiesta dell’ospite e assecondare la propria passione privilegiando la profondità delle annate, anche solo di qualche vino. Deve esserci un’idea di ricerca, di evoluzione: la cantina racconta l’oste, ci dice che siamo a casa sua. L’offerta a bicchiere è fondamentale, sempre in relazione ai piatti del menu. La proposta di champagne o metodo classico è irrinunciabile: finemente salina, elegante, porta sapidità, salivazione e stimola l’appetito. Sarà necessario scegliere vini di qualità, magari facendo attenzione ai dosaggi, dai più secchi ai più morbidi, senza trascurare i millesimi maturi. I vini dolci accompagnano i dessert e per loro è necessaria l’offerta a bicchiere. Darei molta importanza agli spumanti dolci, come i nostri moscati o malvasie: sono perfetti con un pre-dessert, rimettono appetito per un dessert o preparano al commiato. Non mi piacciono i tablet: il cliente chieda, l’oste risponderà e il dialogo sarà un arricchimento reciproco. La carta dei vini sia pulita e in ordine, senza strappi, con segnalati quelli esauriti, senza errori di stampa o nomi storpiati: la correttezza è segno d’amore per il vino e di rispetto per il cliente. Infine, non mi piace siano segnalati i vini biologici e affini: spesso sono indicazioni sbagliate e sembra si tratti di una specie di riserva indiana. Inoltre, quella fase è superata, infatti ogni buon vino è rispettoso dei principi naturali. Al contrario, andrebbero invece segnalati, o meglio esclusi, i vini troppo lavorati -ma questa forse potrebbe sembrare una provocazione». £ © RIPRODUZIONE RISERVATA