La stecca1 ________________________________________________________________________________ Una stecca di sigarette; una stecca di torrone ed una di cioccolato; la stecca da biliardo
4 (mil.) Un tempo, tavoletta con al centro una lunga fessura e un foro terminale, per lucidare i bottoni delle antiche uniformi | Lasciare la stecca, cessare un servizio per trasferimento o congedamento | Passare la stecca a qlcu., dare le consegne a un altro. (Zingarelli)
È di questa stecca (fig.1) che vogliamo parlare, oramai completamente scomparsa. Come illustrato egregiamente dalle foto essa serviva per proteggere le divise ed uniformi delle istituzioni (vari corpi sia civili che militari) durante la lucidatura dei bottoni (fig.3). A quei tempi i bottoni erano prevalentemente di ottone e soggetti quindi ad ossidazione e quindi a perdere la loro lucentezza. Periodicamente ed in particolare in occasione di cerimonie, sfilate, ricevimenti o servizi d’onore, dovevano essere lucidati con pezzuole inumidite in vari tipi di polveri abrasive compresa la cenere. Questa operazione se non era condotta con cautela e perizia procurava più disastri che benefici, nel senso che poteva portare a macchiare con aloni la divisa stessa in prossimità dei bottoni. Per ovviare a questo inconveniente si era ricorsi all’uso di una tavoletta di legno provvista di una lunga fessura centrale ed un foro terminale. Nel foro veniva introdotto il primo bottone e quindi la tavoletta fatta scorrere in avanti fino al secondo che veniva introdotto a sua volta, quindi fatta scorrere fino al prossimo e così via, generalmente fino ad un massimo di quattro bottoni. A questo punto si era pronti per 1
Fig.1
Ritrovata in un vecchio solaio di Rango (Giudicarie).
La stecca
Tomaso Iori
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la lucidatura. Chi ha fatto il militare della mia generazione si ricorda ancora del Sidol: un prodotto biancastro piuttosto viscoso contenuto in un barattolino di lamiera verde con un tappo a vite rosso (che perdeva sempre) (fig.2). La truppa ed i sottoufficiali provvedevano direttamente alla sistemazione delle loro divise, mentre per gli ufficiali provvedevano i loro attendenti. Ognuno quindi era provvisto di questa stecca Fig.2 della lunghezza di 30,5 cm, della larghezza di 4,5 cm e dello spessore di 4 mm. Questa stecca seguiva la vita quotidiana del militare, era il simbolo alcune volte umiliante della subalternità, del rigore e vacuità (solo apparenza) delle giornate e quindi del trascorrere del tempo. Era diventata un calendario con le tacche dei giorni trascorsi e di quelli mancanti alla fine (congedo). Ogni giorno veniva ripresa ed aggiornata, ognuno con il suo calendario. Veniva mostrata con orgoglio alle burbe (gli ultimi arrivati) dai veci (quelli che avevano già superato la meta del servizio), e utilizzata come documento di potere per assicurarsi privilegi e servizi dalle giovani reclute. Al termine del sevizio in occasione del congedo, veniva consegnata (dietro varie forme di vassallaggio) alla giovane recluta con cerimonie più o meno pesanti a seconda delle epoche, dei corpi, delle caserme, e dei loro comandanti. Da qui il modo di dire passare la stecca o lasciare la stecca. Già da oltre mezzo secolo scomparsa, viene surrogata con lunghe assicelle o manici di scopa contrassegnati come già accennato dai giorni trascorsi. Oramai con l’avvento dell’esercito professionista anche questa storia ha i giorni contati: sic transit gloria mundi. La stecca
Tomaso Iori
Fig.3
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