Lettere delle eroine
A cura di Tomaso Iori e Rosetta Infelise Fronza
Museo della Scuola di Rango
Se educhi un bambino creerai un uomo Se educhi una bambina creerai un mondo Proverbio del Ghana
Dedicato ad: Anna Chiara Maria Andrea Elena ‌...e a tutti i gli scolari
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Crediti: Museo della Scuola Bolzano Wikipedia Splash Latino
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Publio Ovidio Nasone
Nato il 20 marzo del 43 a.C. a Sulmona da una famiglia facoltosa, appartenente alla classe equestre. A 12 anni si reca a Roma per completare gli studi con il fratello Lucio, poi morto prematuramente. Frequenta le lezioni di grammatica e retorica dei più insigni maestri della capitale, in particolare Marco Arellio Fusco e Marco Porcio Latrone. Il padre lo vorrebbe oratore, ma Ovidio si sente già più portato per la poesia. Seneca il Vecchio ricorda che Ovidio declamava raramente, per lo più suasorie. Più tardi Ovidio si recò, com'era costume ormai da un secolo, in Atene, visitando durante il viaggio di ritorno le città dell'Asia minore; fu anche in Egitto e per un anno soggiornò in Sicilia. Opere: Amores, in tre libri: 49 carmi che narrano la storia d'amore per una donna Medea: tragedia a noi non pervenuta, ma lodata dai contemporanei. Heroides: 21 lettere che Ovidio immagina scritte da donne famose ai loro amanti. Tre lettere, in particolare, hanno una risposta da parte dell'uomo amato. Si tratta di una tipologia completamente nuova per la letteratura latina: il filone eroico-mitologico viene per la prima volta svolto in forma epistolare (alcuni studiosi hanno trovato per questo analogie con le suasoriae, discorsi fittizi rivolti a personaggi mitici o storici per persuaderli o dissuaderli in determinate circostanze). Vi sono numerosi parallelismi con l'epica e con la tragedia (in particolare i monologhi delle eroine euripidee) e non mancano addirittura rivisitazioni e riscritture di alcuni miti (come nel caso della lettera di Fedra a Ippolito, nella quale la matrigna veste i panni di una scaltra seduttrice piuttosto che quelli di una donna disperata). Ars amatoria, in tre libri. Medicamina Faciei Feminae: operetta sui cosmetici delle donne. Remedia amoris: 400 distici elegiaci per resistere all'amore o liberarsene. Metamorfosi, in 15 libri di esametri. Fasti, in 6 libri Tristia, in 5 libri di distici elegiaci ed Epistulae ex Ponto, in 4 libri. Epistulae ex Ponto, lettere poetiche indirizzate a vari personaggi romani. Ibis, carme imprecatorio contro un anonimo avversario di Ovidio Halieutica, poemetto sulla pesca nel Ponto. Phaenomena, poema astronomico non giunto.
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Lettere delle Eroine
La scuola non è l’unico luogo dove si studia. Molto spesso, soprattutto in passato, il luogo i luoghi dello studio potevano essere vari ed inusitati a dimostrazione dell’importanza e del fascino che l’attività intellettuale ha sempre esercitato sull’uomo e sulla donna. Sono qui riprodotte alcune straordinarie immagini tratte da un’edizione francese Ovide, Héroïdes, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniature, 1496-1498
L’artista, con queste illustrazioni, ci presenta una nuova dimensione della creazione intellettuale, che coniuga il sapere e la leggerezza femminile.
Le giovani dame qui raffigurate quasi tutte davanti ad un tavolo o ad una scrivania, su cui non mancano, ovviamente, raschietto, calamaio e penne, appaiono disinvolte e pienamente capaci di tradurre nello scritto i loro pensieri. Esprimono una sicurezza culturale ed intellettuale che presuppone un’intensa e solida formazione sui libri, sotto la guida di sapienti maestri. Allo stesso tempo sono ritratte in una dimensione privata e caratterizzata dalla loro personalità: una di loro scrive a letto, con la boccetta dell’inchiostro pericolosamente appoggiata sulle coperte; una scrive in piedi, col leggio quasi all’altezza del viso; un’altra ha il foglio sulle ginocchia, anche se è seduta davanti ad una scrivania; un’altra ancora, concentrata, con gli occhi socchiusi, va col pensiero lontano, molto lontano, come la nave che si scorge al di là della finestra aperta.
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Museo della scuola Rango
Penelope ad Ulisse
Penelope, figlia di Icario e moglie di Ulisse. Durante la ventennale assenza del marito, più di 100 giovani principi aspirarono alla sua mano. Ella, fedelissima, seppe tenerli a bada con un espediente: promise che avrebbe scelto uno dei Proci come suo sposo non appena avesse finito di tessere un lenzuolo funebre per il suocero Laerte. Di giorno tesseva, ma di notte disfaceva il lavoro compiuto e quando la sua astuzia fu scoperta, giunse Ulisse. Penelope sopravvisse al marito
L’immagine la riproduce mentre scrive la lettera col calamo. Notiamo il calamaio col tappo e l’astuccio per la polvere.
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Penelope Ulixi
Haec tua Penelope lento tibi mittit, Ulixe; nihil mihi rescribas attinet: ipse veni! Troia iacet certe, Danais invisa puellis; vix Priamus tanti totaque Troia fuit. ...
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Questa lettera te la invia la tua Penelope, o Ulisse che indugi a tornare. Ma non rispondermi, vieni di persona! Troia, odiata dalle donne greche, di certo è abbattuta; Priamo e Troia tutta a malapena valevano tanto! ...
I
Penelope Ulixi
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Fillide a Demofonte
Fillide, figlia di Licurgo, re della Tracia, sposò Demofonte, re di Atene e figlio di Teseo. Di ritorno dalla guerra di Troia, Demofonte passò dalla Tracia e lì nacque il loro amore. Demofonte partì per Atene e promise di ritornare. Un giorno le inviò una bara e le scrisse che essa si sarebbe aperta al suo ritorno. Phillis si suicidò impiccandosi. Sulla terra nella quale ella fu sepolta, crebbe un albero di mandorle che fiorì al ritorno di Demofonte. Un’altra versione della leggenda narra che Demofonte tornò, aprì la bara ed accidentalmente vi cadde dentro ed infilzandosi sulla propria spada, morì. L’immagine la riproduce mentre scrive la lettera col calamo. Notiamo il calamaio col tappo, l’astuccio per la polvere, il raschietto
II Phyllis Demophoonti Hospita, Demophoon, tua te Rhodopeia Phyllis ultra promissum tempus abesse queror. cornua cum lunae pleno semel orbe coissent, litoribus nostris ancora pacta tua est –….
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Io, la tua Fillide nata nella terra del Rodope, io che ti accolsi, o Demofoonte, lamento che tu stia lontano più del tempo avevi promesso. Avevi convenuto di tornare a gettare le ancore alle mie sponde quando le corna della luna si fossero riunite una prima volta a formare il disco completo. ...
II Phyllis Demophoonti
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Fedra ad Ippolito
Fedra, figlia di Minosse e di Pasifae; sorella di Arianna e seconda moglie di Teseo. Si innamorò del figliastro Ippolito, nato dal matrimonio di Teseo con la regina delle Amazzoni. Dopo aver saputo che la nutrice del suo figliastro l’aveva informato dei sentimenti che ella provava verso di lui,si impiccò per il disonore. Il mito di Fedra è narrato nella tragedia “Ippolito” di Euripide ed in Phaedra di Seneca. Nel 1674 Racine scrisse la tragedia Phedre e G. D’Annunzio nel 1909….. Nell’immagine notiamo il calamaio, l’astuccio per la polvere, il raschietto. L’elsa della spada rinvia al suo suicidio.
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Phaedra - Hippolyto
Quam nisi tu dederis, caritura est ipsa, salutem mittit Amazonio Cressa puella viro. perlege, quodcumque est – quid epistula lecta nocebit? te quoque in hac aliquid quod iuvet esse potest;…
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La fanciulla di Creta augura a te, eroe figlio dell'Amazzone,quel bene di cui sarà priva se non sarai tu a darglielo. Leggi fino in fondo, qualunque sia il contenuto. Che male potrà fare la lettura di una lettera? In essa ci può essere qualcosa che piaccia anche a te…...
IV
Phaedra - Hippolyto
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Enone a Paride
Enone di Pedaso, ninfa generata da un grande fiume e famosa nei boschi della Frigia, accettò di andare sposa a Paride quando egli era ancora uno schiavo. Dopo essere stato interpellato dalle tre dee: Venere, Giunone e Minerva sulla loro bellezza, Paride, partì. Entrambi piansero alla sua partenza, ma poi egli dovette seguire il suo destino, rapire Elena ed essere fonte di tanto lutto e dolore. L’immagine la riproduce mentre scrive la lettera con lo stilo sulla tavoletta di cera
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Oenone Paridi
Perlegis? an coniunx prohibet nova? perlege – non est ista Mycenaea littera facta manu! Pegasis Oenone, Phrygiis celeberrima silvis, laesa queror de te, si sinis ipse, meo. …
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Dalle balze dell'Ida la ninfa invia una lettera al suo Paride, sebbene egli rifiuti di essere suo. Leggi fino in fondo? O la tua nuova moglie te lo impedisce? Leggi tutto: questa non è scrittura vergata da mano micenea. ...
V
Oenone Paridi
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Museo della scuola Rango
Hypsipyle a Giasone Hypsipile, nota anche col nome di Isifile. (Issipile) Protagonista dell’omonima tragedia di Euripide. Era la regina dell’isola di Lemno .Durante il suo regno, la dea Afrodite maledisse l’isola perché veniva trascurato il suo tempio, così le donne furono punite con una forte alitosi che le rendeva ripugnanti agli uomini, i quali iniziarono a trascurarle, prediligendo ad esse le schiave di Tracia. Fu così che esse decisero di vendicarsi, e sterminarono l’intera popolazione maschile ( androcidio). Nell’eccidio fecero perire anche i loro padri, fratelli e figli. Solo Hypsipile ingannò le altre, facendo nascondere il padre Toante. Alcuni anni più tardi, si fermò su Lemno Giasone con gli argonauti, come tappa della loro missione per il recupero del Vello d’oro nella Colchide. Giasone la sedusse e poi l’abbandonò incinta, nonostante le avesse giurato eterna fedeltà (farà lo stesso con Medea). A questo mito allude Dante che pose Giasone nell’Inferno tra i seduttori (XVIII, 88-93). Dalla relazione nacquero due gemelli: Euneo e Nebrofono. Quando le donne di Lemno scoprirono il tradimento di Hypsipile, la condannarono all’esilio. Ella ed i suoi due figli furono venduti come schiavi al re Licurgo (ne riferisce Dante nel Purgatorio). Hypsipile aveva il compito di custodire il figlio del re che venne morso da un serpente e morì. Condannata a morte, venne salvata dai suoi due figli. L’immagine la riproduce mentre scrive la lettera col calamo, su un foglio di pergamena.
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Hypsipyle Iasoni
Litora Thessaliae reduci tetigisse carina diceris auratae vellere dives ovis gratulor incolumi, quantum sinis; hoc tamen ipsum debueram scripto certior esse tuo. …
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(Ipsipile di Lemno, discendente di Bacco, scrive al figlio di Esone: ma quanta parte dei suoi sentimenti c'è nelle parole?) Mi si dice che di ritorno con la tua nave tu sia approdato alle coste della Tessaglia col prezioso carico del vello dell'ariete dorato. ... Tuttavia avrei dovuto essere informata di questo da una tua lettera …
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Hypsipyle Iasoni
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Didone ad Enea Didone, figlia di Belo, re di Tiro (Libano), sposa di Sicheo. Alla morte del padre, il fratello Pigmalione uccise Sicheo e costrinse Didone all’esilio, ma Giunone le promise un nuovo regno. Approdata sulle coste libiche, ottenne dal re locale, tanta terra quanta ne avrebbe potuto contenere una pelle di bue. Astutamente, Didone tagliò la pelle in striscioline sottilissime e ne ricavò una corda che tese da una sponda all’altra di una penisola, su cui fu fondata Cartagine (IX sec. a. C.) Didone si innamorò di Enea, quando fece naufragio sulle sue coste e quando egli ripartì per proseguire il suo viaggio, si suicidò conficcandosi un pugnale nel petto. Didone, fondatrice di Cartagine, è la figura del più grande nemico di Roma: l’odio per Enea diventerà odio dei Cartaginesi per Roma. Nel periodo fascista furono intitolate molte strade agli eroi dell’Eneide, tranne Didone. Curiosamente e tragicamente, nella seconda guerra mondiale, la marina britannica fu micidiale nell’attacco alla marina italiana con incrociatori classe “Dido”. Nell’immagine notiamo il calamaio stretto nella mano e lo stiletto sul tavolo che rappresenta il suicidio.
VII Dido Aeneae Sic ubi fata vocant, udis abiectus in herbis ad vada Maeandri concinit albus olor. Nec quia te nostra sperem prece posse moveri, adloquor – adverso movimus ista deo; …
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Così canta il bianco cigno presso gli acquitrini del Meandro, mentre langue sull'umida erba, Quando il destino lo chiama. E non mi rivolgo a te nella speranza di poterti commuovere con la mia preghiera: questa iniziativa è contro il volere del dio.
VII Dido Aeneae
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Elena a Paride Sua madre Leda, era sposata con Tindaro. Un giorno Leda venne rapita da Zeus, camuffato da cigno; dalla loro unione nacquero Polluce ed Elena. Ancora giovinetta fu al centro di numerosi miti di seduzione. Era ritenuta la donna più bella del mondo e poiché erano molti i suoi pretendenti, Tindaro lasciò che fosse lei a decidere il suo sposo. Elena scelse Menelao, re di Sparta. Per placare la rivalità tra i pretendenti,Tindaro sacrificò un cavallo sulla cui pelle fece salire i pretendenti per farli giurare che chiunque fosse stato il fortunato sposo, sarebbero dovuti correre in suo aiuto, nel caso qualcuno avesse tentato di rapire la sposa. Per vendicare il rapimento da parte del principe troiano Paride (al quale Afrodite aveva promesso la più bella delle donne) Menelao e suo fratello Agamennone organizzarono una spedizione contro Troia, chiedendo a tutti i partecipanti di rispettare il patto di Tindaro. Nell’Iliade Elena è un personaggio tragico (obbligato ad essere la moglie di Paride dalla dea Afrodite). Alla morte di Paride ne sposa il fratello Duifilo. Altre leggende narrano diverse versioni per la fine della sua vita. Elena rappresenta, nell’immaginario europeo, l’icona dell’eterno femminino. Figura archetipa, non è mai considerata responsabile dei danni e dei lutti provocati dalle contese nate a causa della sua bellezza.
XVII Helene Paridi Nunc oculos tua cum violarit epistula nostros, non rescribendi gloria visa levis. ausus es hospitii temeratis advena sacris legitimam nuptae sollicitare fidem!...
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(Se mi fosse possibile, Paride, non aver letto ciò che ho letto, potrei ancora conservare come prima i requisiti di donna onesta.) Ma ora, poiché la tua lettera ha violato i miei occhi, mi sembra futile orgoglio non risponderti! Tu, uno straniero, hai osato profanare i sacri diritti dell'ospitalità e insidiare la legittima fedeltà di una donna sposata!
XVII Helene Paridi
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Ero a Leandro
Ero, sacerdotessa di Afrodite viveva a Sesto , mentre Leandro abitava sulla costa opposta dello stretto dell’Ellesponto, ad Abido. I due giovani si erano innamorati e Leandro, ogni sera, attraversava a nuoto lo stretto per incontrare la sua amata ed Ero, per aiutarlo ad orientarsi, accendeva una lucerna. Una notte si levò una tempesta che spense la lucerna e Leandro, disorientato, morì tra i flutti. All’alba Ero vide sulla spiaggia il corpo senza vita del suo amato e fu tale la sua disperazione che si suicidò, gettandosi da una torre. Il mito ha ispirato poeti, scrittori e musicisti. Dante Alighieri (XXVII Canto del Purgatorio)e Liszt compose la Ballata n. 2 per pianoforte. Byron, fu così coinvolto dalla storia che ne volle verificare la credibilità, attraversando lui stesso l’Ellesponto a nuoto. Schumann compose nel 1837 l’op. XII “Fantasie Stüke”, composta da 8 brani che hanno questo mito come tema. Nell’immagine notiamo il calamaio, la sinistra usa il raschietto mentre la destra tiene la penna alzata; sullo sfondo brilla una candela: è notte.
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Hero Leandro
Quam mihi misisti verbis, Leandre, salutem ut possim missam rebus habere, veni! longa mora est nobis omnis, quae gaudia differt. da veniam fassae; non patienter amo! …
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Vieni, o Leandro, affinché io possa godere realmente di quell'augurio, che mi hai inviato a parole! È lungo per me ogni indugio che differisce le gioie d'amore. Perdonami se lo confesso: non sono paziente in amore! ...
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Hero
Leandro
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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Cidippe ad Aconzio
Un giorno Cidippe navigò in pellegrinaggio verso Delo. L’isola era piena di meraviglie e Cidippe aveva soltanto 19 anni. Giunta di fronte al tempio di Artemide, in pieno mezzogiorno, qualcosa rotolò tra i suoi piedi: era una mela fresca, lucente, come appena caduta dall’albero. Ma non c’erano meli, solo marmi e ginestre. La nutrice raccolse la mela e vide che vi erano incise alcune lettere. Lei non sapeva leggere e perciò chiese alla ragazza di leggere ad alta voce ciò che era scritto sulla mela:”Giuro, per Artemide, di non sposare altri se non Aconzio”. Aconzio, nascosto dietro la colonna, fu molto soddisfatto della sua trovata: Cidippe sarebbe stata ormai legata a lui per sempre dal giuramento. La fanciulla tornò a casa, ignara delle gravi conseguenze dell’inganno, ed i suoi genitori la promisero in sposa ad un altro. Artemide però esigeva il rispetto del giuramento e la fece ammalare gravemente. L’immagine la ritrae mentre scrive la lettera a letto pallidissima. Notiamo il calamaio al cui coperchio è legato l’astuccio della polvere per asciugare l’inchiostro
XXI Cydippe Acontio Pertimui, scriptumque tuum sine murmure legi, iuraret ne quos inscia lingua deos. et, puto, captasses iterum, nisi, ut ipse fateris, promissam scires me satis esse semel………
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Mi è giunta la tua lettera, Aconzio, dove è solita giungere e ha quasi insidiato i miei occhi. Ho avuto molta paura ed ho letto il tuo scritto in silenzio, perché la mia lingua, inconsapevolmente, non giurasse su qualche divinità. ...
XXI Cydippe Acontio
Ovide, Héroïdes, traduction d’Octovien de Saint Gelais. Entre 1496 et 1498, Manuscrits Occidentaux, fr. 875, Paris, Bibliothèque nationale de France, miniatura.
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