UniversitĂ IUAV di Venezia Corso di Laurea Magistrale in Architettura Anno Accademico 2013 - 2014
TESI DI LAUREA
Ex zuccherificio Eridania di Ceggia: fabbrica nel paesaggio, fabbrica del paesaggio studente: Tommaso Matino | matricola 275489 relatore: prof.ssa Margherita Vanore
Ex zuccherificio Eridania di Ceggia: fabbrica nel paesaggio, fabbrica del paesaggio Tommaso Matino | matricola 275489 Relatore prof. Margherita Vanore
indice INTRODUZIONE pag.6
RIFERIMENTI pag.8
PARTE PRIMA: ANALISI 1. IL TERRITORIO DI BONIFICA DEL BASSO PIAVE 1.a LA BONIFICA E LA SUA STORIA COME ELEMENTO DI IDENTITA’ TERRITORIALE pag.13 1.b ASPETTO ODIERNO DEL TERRITORIO: MORFOLOGIA E INSEDIAMENTO ANTROPICO pag.15
2. IL TERRITORIO DI BONIFICA TRA PIAVE E LIVENZA 2.a CENNI STORICI pag.17 2.b CARTOGRAFIA STORICA pag.18 2.c MATERIALE AEROFOTOGRAMMETRICO (XX-XXI sec. d.C.) pag.20 2.d IL TERRITORIO NEL SUO ASPETTO ODIERNO: “SEGNI” ED ELEMENTI IDENTIFICATIVI pag.21
3. CEGGIA E IL TERRITORIO CIRCOSTANTE 3.a LETTURA DEL TERRITORIO COME “SOMMA” DI VARI LAYER pag.23 3.b LETTURA PARALLELA DI DUE ASPETTI COMPLEMENTARI DEL PAESAGGIO: GLI ELEMENTI NATURALI E IL COSTRUITO pag.25
4. LA PRODUZIONE SACCARIFERA 4.a STORIA DELLA SOCIETA’ ERIDANIA pag.31 4.b I PRINCIPALI ZUCCHERIFICI ERIDANIA NEL NORD ITALIA pag.33 4.c IL PROCESSO PRODUTTIVO DELLO ZUCCHERO pag.34
5. LO STABILIMENTO ERIDANIA DI CEGGIA 5.a STORIA pag.35 5.b DESTINAZIONI D’USO (PRECEDENTI L’ABBANDONO) DI AREE E FABBRICATI pag.36 5.c TRASFORMAZIONE DELLA FABBRICA NEL TEMPO pag.36
6. DESCRIZIONE DELLO STATO DI FATTO 6.a DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DA SOPRALLUOGO pag.38 / pag.45 6.b RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - COPERTURE pag.39 6.c RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - ATTACCO A TERRA pag.41 6.d RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - PROSPETTI E SEZIONI pag.43
PARTE SECONDA: PROGETTO 1. STRATEGIA D’INTERVENTO 1.a IL TERRITORIO pag.48 1.b IL CENTRO URBANO pag.49 1.c L’ AREA DI PROGETTO pag.51
2. IL PROGETTO 2.a MASTERPLAN pag.53 2.b CORPO DI FABBRICA PRINCIPALE pag.54 / pag.65
TAVOLE INTEGRATIVE: MASTERPLAN CON SEZIONI TERRITORIALI pag.55
PIANTE pag.57 PROSPETTI pag.59 SEZIONI pag.61
FOCUS pag.63
2.c SISTEMA COSTRUTTIVO pag.66 2.d DETTAGLI pag.68 2.e MODELLO 1:500 - FOTOGRAFIE pag.72
introduzione
La riflessione sviluppata da questa tesi parte da un presupposto fondamentale: la valorizzazione di un territorio parte sempre dalla conoscenza e dalla comprensione di tutti gli aspetti che hanno portato il territorio stesso ad assumere l’aspetto che oggi vediamo. In mancanza di questa consapevolezza, risulterebbe difficile, se non impossibile, operare scelte progettuali motivate e rispettose degli elementi di valore di territorio, paesaggio e comunità. Concentrarsi su un’area della pianura padano-veneta è una sfida interessante, perché ci si confronta con un ambiente estremamente antropizzato, dove l’aspetto naturale è stato in molti casi già sconvolto da un intervento umano che non ha soltanto occupato il suolo, ma ne ha profondamente mutato la stessa conformazione fisica. Il nuovo carattere del territorio è dunque il risultato di questa pesante trasformazione: nel caso delle terre di bonifica, come il Basso Piave, persino gli elementi
naturali sono diretta conseguenza di un disegno umano, avvertibile nelle rigide geometrie che ripartiscono i terreni. Terreni che, senza l’intervento umano, non solo non avrebbero questa forma, ma non sarebbero nemmeno praticabili in quanto acquitrini. Tenendo dunque ben presente questo background, è stata operata una selezione volta a capire quali “tasselli” della storia del territorio di bonifica potessero essere particolarmente rappresentativi e portatori di significato. Il tassello scelto per elaborare questa tesi è un edificio, ora in disuso, che rappresenta un pezzo importante del passato di quest’area, dal punto di vista economico, sociale e anche paesaggistico. L’ex zuccherificio Eridania di Ceggia, infatti, non è stato solamente una comune fabbrica di un bene di consumo (lo zucchero), ma è stato anche fabbrica del paesaggio a cui appartiene, poiché ha attinto alla coltura del territorio e alla
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manodopera locale, contribuendo in modo decisivo allo sviluppo economico e infrastrutturale di Ceggia e dintorni. E’ stato quindi uno stabilimento che ha donato un’identità ben definita a questo piccolo centro abitato nel mezzo della campagna sandonatese, e un senso di appartenenza alla sua comunità. Dopo la chiusura dello stabilimento, avvenuta quasi quindici anni fa, l’economia locale ha perso questa forte specializzazione, andando ad uniformarsi a logiche di pianificazione analoghe a quelle già adottate nel resto del nord Italia: aree produttive che non si radicano nel territorio, ma vi si sovrappongono semplicemente e, di fatto, vanno ad aggiungere costruzioni a un paesaggio già saturo, seguendo un interesse speculativo che non tiene conto delle differenti realtà locali. Del complesso Eridania, un tempo epicentro economico e sociale, è rimasto quindi soltanto un rudere dimenticato, senza più un ruolo forte, e senza più re-
lazioni con quel territorio che la fabbrica stessa ha contribuito a creare. Per ripristinare un legame tra lo zuccherificio e il suo contesto, ma soprattutto tra Ceggia e il suo territorio, in questa tesi si è cercato di seguire un approccio non convenzionale alle risorse del luogo. Per superare il “vuoto d’identità” lasciato dalla chiusura dell’Eridania, il presupposto non è stato quello di musealizzare e celebrare le vestigia del passato industriale, bensì di rifunzionalizzare il complesso produttivo seguendo una logica che comprenda le peculiarità, le qualità e le potenzialità di Ceggia. In realtà, ad una prima lettura sommaria, Ceggia non sembra presentare una quantità innumerevole di risorse: si tratta di una realtà urbana disomogenea e piuttosto disgregata, che perdipiù sembra volgere le spalle a un elemento importante come il canale Piavon che la attraversa da nord a sud. Tuttavia, la mancanza di spiccati punti di forza è stata un indubbio stimolo ad una più ap-
profondita riflessione su come si possa recuperare un dialogo con il territorio senza per questo dover costruire ancora e occupare altro suolo. Ecco dunque che puntare sulla pratica, la ricerca e la sperimentazione dell’agricoltura e delle tecnologie ad essa connesse, si presenta come uno spunto per rapportarsi saldamente con il territorio e le sue attività, ma anche come un nuovo impulso all’arricchimento di un settore economico di importanza significativa. Attraverso questa nuova destinazione, l’opificio dismesso torna ad essere fabbrica del paesaggio, poiché le attività promosse si relazionano direttamente con il contesto agricolo; in parallelo, dal punto di vista architettonico, si è cercato di enfatizzare la condizione di fabbrica nel paesaggio come motivo di integrazione del fabbricato nell’ambiente campestre, sfruttando le suggestioni date dal manufatto in abbandono aggredito dalla natura spontanea. Del resto, anche questi sono criteri per valorizzare
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le rimanenze del passato industriale; criteri forse addirittura più “filologici” delle semplici conservazione e monumentalizzazione. Attraverso quest’intervento, infatti, si cerca di instaurare con il paesaggio un dialogo concettuale, funzionale e formale, che enfatizzi le relazioni pregevoli e le arricchisca. Fondamentale è poi la possibilità per il soggetto di intervenire sul paesaggio, materialmente (attraverso il lavoro agricolo) o sotto forma di ricerca e innovazione. Si tratta sicuramente di una condizione più contemporanea di interagire con il paesaggio, rispetto a interventi che mirano al puro sfruttamento delle risorse o alla semplice contemplazione turistica degli aspetti più emergenti. Nell’idea formulata da questa tesi, quindi, l’ex zuccherificio torna a essere parte attivamente integrante di un paesaggio che non viene più ignorato, ma valorizzato consapevolmente nei suoi elementi più qualificanti.
riferimenti Questo intervento non pretende di essere un unicum ma si inserisce in un preciso filone di interventi che presentano un approccio simile o analogo ai siti post-produttivi e ai cosiddetti paesaggi di transizione; eccone di seguito alcuni. a.
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RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI F.Mancuso, “Archeologia industriale del Veneto” - Pizzi Editore, 1990 Lotus Navigator 02 - “I nuovi paesaggi”, 04/2001 M.Smets, “Il nuovo paesaggio delle infrastrutture in Europa”, in Lotus n.110/2002 M.Vanore, “Infrastrutture culturali - Percorsi di terra e d’acqua tra paesaggi e archeologie del Polesine” - Il Poligrafo, Padova, 2010 C.Visentin, “Travelling the water landscape of drainage”, in Architecture and archaeologies of the production landscapes - Iuav, Venezia, 2012 P.Donadieu, “Può l’agricoltura diventare paesistica?”, in Lotus n.101/1999 F.De Pieri, “Gilles Clemént in movimento”, in G.Clemént, “Manifesto del Terzo Paesaggio” - Quodlibet, Macerata, 2005 B.Dolcevita, “Paesaggio Veneto” - Amilcare Pizzi Editore, Milano, 1984 R.Phillips, “Riconoscere gli alberi” - De Agostini, Novara, 2011 8
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j. a. Latz + Partners, Landschaftspark, Duisburg, Germania, 1994 Il progetto prevede la conversione dell’immensa area delle ex acciaierie Thyssen in un parco dedicato a sport e divertimento che sfrutta le architetture industriali dismesse, aggredite dalla vegetazione, come teatro e strumento di attività ricreative. b. c. Cittaarchitettura, Tecnopolo, ex Officine Reggiane, Reggio Emilia, 2013-14 Una porzione delle ex Officine Reggiane viene trasformata in centro studi per la ricerca industriale. Peculiare è l’intervento di allestimento interno con strutture in legno che si snodano tra i pilastri e le travi in ferro del capannone preesistente. d. Renzo Piano, Auditorium Paganini, Parma, 1999 Uno dei tanti zuccherifici dismessi dalla società Eridania nel territorio del nord Italia: in questo caso il recupero ha previsto la realizzazione di un auditorium / centro congressi. L’abbattimento delle facciate di testa e di coda del fabbricato crea una suggestiva continuità tra interno ed esterno. e.f. LC Architettura, Città dell’Altra Economia, Roma, 2010 Le vecchie strutture in ferro del Mattatoio del Testaccio vengono preservate e integrate in una struttura destinata ad un mercato a chilometri zero e alla sede di diverse attività “sostenibili” volte alla tutela del territorio. g. Herzog & De Meuron, Tate Modern Gallery, Londra, 2000 La sede della collezione d’arte moderna della Tate Gallery trova spazio in questa ex centrale elettrica sul Bankside. Viene mantenuto intatto e “spettacolarizzato” il grande spazio vuoto che attraversa l’intera altezza dell’edificio, che era destinato ad ospitare i macchinari della centrale. Anche la poderosa ossatura di metallo viene lasciata quasi completamente a vista. h. Desvigne & Dalnoky, Parc d’Issoudun, Indre, Francia, 1995 Un esempio di come il paesaggio campestre e la vegetazione ripariale possano essere utilizzati in maniera architettonica e in armonia con il paesaggio. i. 5+1AA, Docks di Marsiglia, Marsiglia, Francia, 2013 Intervento di “ricucitura urbana” di un tratto del waterfront di Marsiglia, con il recupero degli ex magazzini industriali. j. VRD, Rive de la Haute Deule, Lille, Francia, 2009-11 Progetto di recupero di un polo di produzione tessile: i diversi ambiti sono stati riorganizzati per “gradienti di naturalità” e sono stati messi in atto dei processi di rinaturalizzazione di estese aree ex industriali.
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parte prima analisi
1 Il territorio di bonifica del Basso Piave 1.a LA BONIFICA E LA SUA STORIA COME ELEMENTO DI IDENTITA’ TERRITORIALE fonte: Museo della Bonifica di San Donà di Piave
Il territorio preso in esame in questa prima lettura a vasta scala è il Basso Piave, ossia il tratto finale del corso del fiume (gli ultimi 30 km prima della foce). Questo territorio trova una precisa delimitazione nei confini del Consorzio di Bonifica del Basso Piave, che comprende 15 bacini di bonifica, 3 fiumi (Piave, Livenza e Sile) e 9 canali principali. La conformazione del paesaggio e i suoi elementi distintivi sono il risultato di una trasformazione antropica durata quasi quattro secoli. Il processo di bonifica si è compiuto per gradi ad iniziare da quando, nelle antiche lagune di Caorle, Eraclea, Jesolo, il regime palustre è andato sostituendosi al regime lagunare, e da quando le popolazioni locali hanno cominciato a interessarsi all’agricoltura anziché dipendere interamente dall’economia legata ai traffici marinari della Serenissima. I primi consorzi idraulici sorsero tra XVII e XIV secolo, e nonostante si basassero interamente sulla manodopera degli abitanti dell’entroterra costiero veneto, portarono comunque ad una significativa modificazione del territorio. Tuttavia, fu con la Rivoluzione Industriale che la bonifica ebbe un impatto più radicale nel Basso Piave. I primi passi, nel 1800, verso la bonifica idraulica si ebbero con l’avvento della macchina a vapore. La possibilità di applicare un motore alle macchine per il sollevamento dell’acqua (ruote idrauliche, turbine, eliche, ecc.) favorì nel Basso Piave, verso la metà del secolo, la diffusione delle idrovore: ebbero così inizio i primi prosciugamenti meccanici. Inizialmente, essi vennero gestiti privatamente dalle singole aziende agricole, ma ben presto le risorse da mettere in gioco si rivelarono più cospicue di quanto i singoli proprietari terrieri potessero permettersi. Fu così che vennero istituiti, verso la fine del secolo, i primi “consorzi di bonifica”, ciascuno costituito dalle varie proprietà ricadenti nel proprio comprensorio. La Prima Guerra Mondiale (1914) interruppe ogni attività e distrusse quanto era stato realizzato fino ad allora nel Basso Piave, sia dai privati che dai Consorzi. Ne conseguì il riallagamento del territorio e il ritorno della palude e della malaria. Nell’immediato dopoguerra (1920-21), la bonifica delle zone palustri ritrovò
significativa importanza in tutta Italia, e nel Basso Piave venne ripristinato, con grande sforzo della popolazione locale, il sistema di prosciugamento delle terre presente prima del conflitto mondiale; in questo modo si tornò a fronteggiare con decisione il problema delle malattie (come la malaria) e della scarsità di cibo. La lotta antimalarica conobbe il proprio culmine con l’istituzione dell’omonimo Istituto per la Lotta Antimalarica nelle Venezie. Questo Istituto, dal 1923 al 1953, svolse ininterrottamente, in aggiunta al normale servizio sanitario dei singoli Comuni, un’estesa opera di difesa e profilassi contro l’anofelismo, che venne sradicato definitivamente alla fine degli anni 40 con l’introduzione dell’insetticida DDT. Nel marzo 1922 il Congresso di S.Donà affrontò, definì e regolamentò tutti gli aspetti della bonifica e diede avvio alla cosiddetta “Bonifica Integrale”. Fu una tappa decisiva nella storia della trasformazione del territorio, in cui i affrontarono: - i problemi idraulici della difesa territoriale, del deflusso delle acque e del prosciugamento delle paludi; - i problemi economico-finanziari dell’esecuzione e gestione della bonifica e della conseguente trasformazione fondiaria; - i problemi agronomici dell’utilizzo dei terreni di bonifica; - i problemi sociali e i rapporti di lavoro della manodopera contadina da insediare nel territorio In seguito al prosciugamento dei terreni, quindi, si ebbe una bonifica agraria, ossia la riorganizzazione delle colture, la costruzione di edifici rurali e la relativa organizzazione aziendale “a mezzadria”. A seconda della varia natura delle varie terre sottratte all’acqua (e a seconda del grado di salsedine), la bonifica agraria nel Basso Piave risultò di difficoltà di volta in volta differente, richiedendo, nel complesso, circa 7 anni per assestarsi in modo soddisfacente. La maggior parte delle opere di bonifica nel Basso Piave avvenne negli anni Venti e Trenta, tra la I e la II Guerra Mondiale. Dapprima a mano, successivamente con sistemi meccanici, vennero realizzate difese perimetrali, reti di scolo, strade e impianti di prosciugamento. Un altro significativo progresso a livello 13
infrastrutturale fu la costruzione di nuove strade, molte delle quali asfaltate, che integrarono la rete viaria esistente. Tra gli interventi sanitari è da annoverare la costruzione dell’Acquedotto del Basso Piave, iniziata nel 1930 e proseguita fino al 1970. L’opera si deve alla riunione, nel 1928, degli 8 comuni del Basso Piave (S.Donà, Jesolo, Eraclea, Caorle, Torre, Ceggia, Musile, Noventa) con i consorzi di bonifica sandonatesi, e attinge tuttora alle sorgive di Candelù e Negrisia (TV), oltre che alle acque, depurate, di Sile e Livenza. L’acquedotto è andato a sostituire la preesistente rete idrica fondata su pozzi che raccoglievano acqua di falda (acqua che risentiva però della salsedine e della temperatura troppo elevata data dalla vicinanza della falda alla superficie) o, a San Donà, convogliava le acque del Piave (che però era sempre più spesso in secca a causa delle varie centrali idroelettriche a monte). L’assetto idraulico attuale dell’area del Basso Piave è andato a configurarsi dopo la fine della II Guerra Mondiale, con il completamento del “sistema Brian”; tale sistema rende il canale Brian (confluenza di Piavon e Grassaga), opportunamente ingrandito e arginato, l’emissario generale di un comprensorio di 44.000 ettari. Il Brian è collegato a una rete di circa 530 km di canali e canalette, che fungono da serbatoio in caso di piena e, in situazione normale, da strumento di irrigazione dei terreni grazie all’intervento di 27 centrali di pompaggio che mantengono costante il livello dell’acqua.
Alcune suggestive immagini che ben riassumono il paesaggio agricolo nelle terre di bonifica: geometrie nette e definite scandiscono la pianura in un susseguirsi di campiture variopinte, che cambiano all’alternarsi delle stagioni fonte: “Paesaggio Veneto�, a cura di Bruno Dolcevita, Amilcare Pizzi Editore, Milano 1984
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1.b ASPETTO ODIERNO DEL TERRITORIO: MORFOLOGIA E INSEDIAMENTO ANTROPICO
Il territorio del Consorzio di Bonifica del Basso Piave è lambito, a est, dalle acque dell’alto Adriatico, e a sud dalla Laguna Veneta; come abbiamo visto, è solcato dai tratti terminali di tre fiumi, il Piave, il Livenza e il Sile: questa condizione, unita alla natura e all’altimetria sfavorevole dei suoli, ha fatto sì che per molti secoli, prima della Bonifica, i terreni fossero di natura palustre. In seguito alla regimentazione delle acque, il territorio si presenta fortemente segnato dalla presenza di un reticolo irregolare di canali, che, unito all’insieme di fossi e scoline, rende l’aspetto d’insieme marcatamente geometrico. La stessa conformazione attuale del territorio, dunque, è quasi completamente di matrice antropica, e si è definita negli ultimi due secoli nel suo assetto odierno. L’unica effettiva rimanenza dell’ambiente naturale ante-bonifica è il bosco planiziale di Olmè di Cessalto, che con i suoi 28 ettari è il più esteso bosco della pianura veneta; è documentato dalla cartografia veneziana sin dal XVII secolo. Anticamente sorgeva sul limitare delle paludi, e ora mantiene la propria forma originaria anche all’interno di un territorio profondamente trasformato.
Sezione schematica N-S del territorio
A connotare significativamente l’aspetto del territorio, quindi, sono soprattutto i segni dell’intervento umano, gli insediamenti urbani e produttivi, e le infrastrutture a contorno. Per prima cosa va annoverata una presenza infrastrutturale puntiforme, capillare e fondamentale alla stabilità del regime delle acque del comprensorio di bonifica: si tratta dei numerosi impianti idrovori, che consentono il deflusso delle acque, e degli impianti irrigui, che ne garantiscono la regolare e uniforme distribuzione, fondamentale per le attività agricole. Per quanto riguarda gli insediamenti urbani veri e propri, si può facilmente identificare già a una prima lettura come essi si sviluppino estensivamente lungo la costa, e lungo i corsi di Piave, Livenza e Sile. Nella fascia costiera distinguiamo, da sud: Cavallino, Jesolo, Eraclea Mare, 15
Caorle; nell’entroterra i centri più rilevanti sono, in ordine di grandezza: San Donà di Piave (l’area urbana più estesa del comprensorio) San Stino di Livenza, Motta di Livenza e Ceggia. A questi centri principali si aggiunge tutto l’edificato diffuso tipico dell’area PadanoVeneta, fatto di piccole aggregazioni urbane, capannoni, case singole, edifici commerciali sparsi lungo le arterie stradali, che vanno molto spesso a ibridare il contesto campestre circostante e creano, dal punto di vista paesaggistico, dei preoccupanti “non-luoghi” cresciuti durante il Novecento nel solo nome del profitto economico. Purtroppo, molto spesso, è anche questo “sciame edilizio” che va a caratterizzare in modo determinante l’identità di un’area territoriale. Fortunatamente, l’area del Basso Piave non è così ricca di infrastrutture da aver causato un totale deturpamento del paesaggio di bonifica: si contano
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essenzialmente l’autostrada A4-E55, che attraversa il comprensorio da ovest a est passando in prossimità di Cessalto, la linea ferroviaria Venezia Trieste, che attraversa San Donà, Ceggia e S.Stino, e la SS14, sostanzialmente parallela alla ferrovia ma più a sud. E’ interessante vedere come le aree industriali, commerciali e artigianali, evidentemente sorte durante e dopo il boom economico della seconda metà del Novecento, non vadano più a seguire rigorosamente, come in precedenza, la conformazione delle acque e del territorio fisico, bensì vi si sovrappongano come delle piastre, dislocate in base alle logiche sottese alla vicinanza alle infrastrutture, o più semplicemente, alla disponibilità di terreni liberi a basso costo. Ecco quindi le zone industriali di San Donà, Ceggia, Motta di Livenza e Cessalto, che sono sorte alle porte dei rispettivi paesi; oltre a queste, sono ancor più eclatanti le cosiddette “aree produttive” di Calstorta, Prataviera, via Calnova, Ronche di Fossalta e gli outlet in prossimità di Noventa di Piave: in tutti questi ultimi casi si tratta di complessi sorti dal nulla, circondati da un ambiente agricolo che, per quanto intensivo, non ha a nulla a che vedere con l’acritica standardizzazione dei capannoni prefabbricati. In questo contesto permangono tuttavia alcuni debolissimi segni dell’industria appartenente alla prima metà del Novecento, anche se si tratta essenzialmente di “tracce”, dato che pressochè tutti questi
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a. Consorzio di Bonifica del Basso Piave: sistemi insediativi e produttivi caratterizzanti il territorio b. Opifici storici e centrali elettriche lungo il corso del Piave
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siti sono attualmente in rovina o vittima di recenti demolizioni in vista di interventi speculativi. Nella fattispecie, a San Donà di Piave (un tempo centro industriale e manifatturiero di notevole importanza), sono ancora leggibili i segni di una cava di ghiaia in una zona golenale del Piave a nord-ovest del centro cittadino, e, poco distante, le gru dell’ex porto fluviale; permangono i resti dei muri perimetrali dell’ex jutificio, demolito recentemente, e un fabbricato, oggi pesantemente rimaneggiato e irriconoscibile, che ospitava un mulino lungo via Carozzani. Tuttavia, la rimanenza più evidente del passato industriale nell’intero comprensorio di bonifica del Basso Piave è sicuramente l’ex zuccherificio Eridania di Ceggia, alle porte dell’abitato, lungo il canale Piavon. Questo manufatto si può ascrivere all’interno di un ricco sistema di edifici, composto da opifici storici e centrali elettriche, che costella tutto il corso del fiume Piave e dei suoi affluenti principali, e conta numerose costruzioni ancora visibili e, in qualche caso, tuttora in attività. E’ importante tenere presente di questo sistema per riuscire a collocare in modo critico ogni singolo edificio all’interno della propria epoca, con le relative esigenze produttive, il relativo apparato tecnologico, ma soprattutto, il relativo stretto rapporto con il territorio: quest’ultimo, forse, è l’aspetto che più si è perso oggigiorno.
2 Il territorio di bonifica tra Piave e Livenza 2.a CENNI STORICI L’identità dell’area tra Basso Piave e Livenza, prima del tardo Settecento, era rappresentata dalla sua condizione acquitrinosa. L’ambiente paludoso è stato sfruttato dalla Repubblica Serenissima come elemento difensivo, e proprio questo aspetto ha fatto sì che il territorio non abbia subito trasformazioni significative nei secoli, malgrado il fitto avvicendamento di varie dominazioni. Prima della bonifica, si trattava di terre di margine, di attraversamento (non a caso, già in epoca romana vi transitava la via Annia che collegava Adria ad Aquileia); l’insediamento umano ha preso significativamente piede soltanto quando è stato possibile uno sfruttamento economico del territorio oltre ad una vita sufficientemente salubre. Non sorprende, quindi, che le trasformazioni più pesanti appartengano sostanzialmente agli ultimi due secoli. II sec. a.C - Impero Romano
V sec. d.C. - Longobardi Sotto la dominazione romana, Ceggia non esisteva ancora:il suo territorio era un’area di intensa produzione agricola. Nel II sec. a.C. fu importante la costruzione della via Annia (voluta da Tito Annio Rufo nel 131 a.C.), strada romana che collegava Padova, Altino e Aquileia e incentivò lo sviluppo economico locale
X secolo - Marchesato di Verona
Intorno al 900 d.C. nacque la prima aggregazione di Ceggia, il cui stesso nome deriva dal latino “cilia maris” (confini del mare): si trattava infatti dell’ultima fascia di territorio non palustre, che gli abitanti delle campagne scelsero come luogo più salubre per stabilirsi, dopo che le aree circostanti vennero invase dalle acque. Dal punto di vista politico, Ceggia fu oggetto di una contesa plurisecolare tra signorie e comuni (come i da Camino e gli Scaligeri)
XIV secolo - Repubblica di Venezia Nel 1389 Ceggia entrò a far parte del territorio della Repubblica Serenissima, che intervenne sulle aree boschive con un’estesa opera di disboscamento, atta ad estendere le zone paludose in modo da poterle sfruttare come strumento difensivo del territorio in caso di incursioni nemiche
XVIII secolo - Repubblica di Venezia
XVIII secolo - Impero Austroungarico PRIMA DEL TRATTATO DI CAMPOFORMIO (1797): durante il dominio veneziano, il canale Piavon divenne un’arteria del traffico fluviale. Lungo il suo corso avveniva il trasporto di legnami per l’edilizia e la cantieristica navale.
DOPO CAMPOFORMIO: il territorio di Ceggia, conquistato poche settimane prima dall’esercito napoleonico, entra a far parte dell’Impero Austroungarico. Iniziano le prime opere di bonifica delle zone acquitrinose tra Piave e Livenza
XIX secolo - Dominazione napoleonica
XIX secolo - Regno Lombardo-Veneto
Dal 1806 al 1815 il territorio di Ceggia passò nuovamente sotto l’egida napoleonica, divenne Comune, e venne annessa al distretto di San Donà di Piave. Proseguì anche l’attività di bonifica.
XX secolo - Regno d’Italia
Nel periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano, le campagne dell’area di Ceggia vennero abbandonate, ed ebbe luogo un fenomeno di subsidenza (abbassamento repentino di vaste aree di territorio) che permise alle acque fluviali di avanzare e dare luogo ad una vasta zona acquitrinosa che si estendeva fino ai margini ell’attuale urbana. Oltre questi ultimi, si estendeva la Silva Cerbonia, risalente all’era postglaciale
Dopo il Congresso di Vienna (1815), che sancì la fine del dominio napoleonico, Ceggia entrò a far parte del Regno Lombardo-Veneto, sotto il quale rimase fino al 1866
XX secolo - Repubblica Italiana
Con il Risorgimento, il Veneto fu parte del Regno d’Italia (1866). Ne seguirono numerose innovazioni che incisero sul territorio e sull’economia locale; prima fra tutte, la linea ferroviaria Mestre-Venezia-Portogruaro, completata nel 1886, che munì Ceggia della sua stazione. Venne migliorata anche la strada carrabile di collegamento con Mestre, garantendo la possibilità di pendolarismo alla manodopera locale. La popolazione raddoppiò, fino a raggiungere i 1800 abitanti circa
Con la I Guerra Mondiale, l’espansione economica di Ceggia si interruppe; il paese divenne uno scalo militare strategico e nel 1918 venne creata una piccola deviazione del Piavon per mano degli austriaci. L’economia locale riprese solamente nel Ventennio, con la costruzione dello zuccherificio (1929), attività cardine della produzione per oltre 60 anni.
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2.b CARTOGRAFIA STORICA
Impero Romano (I-II sec. a.C.)
Nella rilevazione delle centuriazioni nell’area veneto-friulana, dedotta da elaborazioni di immagini satellitari, si può notare come l’area tra Piave e Livenza sia prevalentemente acquitrinosa. La centuriazione romana si ferma a nord di San Donà di Piave.
1558 - Carta del Trevigiano, Cristoforo Sabbadino
1798 - Kriegskarte, Anton Von Zach
L’ambiente paludoso è abbastanza ben descritto da questa carta, che evidenzia la presenza diffusa di corsi d’acqua irregolari e bacini stagnanti.
La dettagliata carta militare del Von Zach rappresenta accuratamente il territorio, indicando anche i primi segni dell’attività di bonifica: si possono ad esempio individuare i corsi dei canali Piavon e Grassaga, non troppo differenti da quelli. E’ ben visibile anche l’esteso bosco di Cessalto. L’area a sud di Ceggia, tuttavia, presenta ancora uno scarso insediamento antropico e nessuna area agricola.
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1820 circa - Mappa catastale austriaca
1880 circa - Mappa catastale austro-italiana
Il paesaggio (qui in un inquadramento più ristretto, relativo all’area di Ceggia) è fittamente ripartito in diversi possedimenti terrieri a destinazione agricola; l’area a sud dell’abitato è stata oggetto di una prima bonifica che ne ha permesso la coltivazione. Nel corso del secolo, si estende l’area edificata lungo la sponda ovest del canale Piavon e sorgono i primi insediamenti sulla sponda est.
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2.c MATERIALE AEROFOTOGRAMMETRICO (XX-XXI sec. d.C.)
fonte: Infrastruttura dei Dati Territoriali della Regione Veneto (è stato fatto un focus sull’area di Ceggia in mancanza di materiale completo relativo al territorio circostante)
Le immagini aerofotogrammetriche raccontano l’evoluzione urbana di Ceggia nella seconda metà del Novecento: raccontano cioè di quel periodo di tempo in cui la conformazione del territorio di bonifica è ormai consolidato nella sua veste attuale, e si sviluppa dunque l’insediamento umano tramite la crescita delle aggregazioni urbane e dell’edificato diffuso. Se nel 1954 l’area produttiva di Ceggia era identificabile con il complesso Eridania e
il nucleo urbano con l’area compresa tra il canale Piavon (sponda ovest) e la linea ferroviaria, nei successivi sessant’anni si assiste ad un’evoluzione significativa, che si può dividere in due differenti segmenti: il primo va dagli anni ’50 agli anni ’80, e vede la crescita dell’abitato di quasi tre volte la propria dimensione; il secondo va dagli anni ’80 ad oggi, in cui ad una più moderata crescita dell’abitato (soprattutto lungo la SS14 in direzione est) si va affian-
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cando una cospicua espansione dell’area industriale/artigianale, soprattutto dopo la chiusura dello stabilimento Eridania. Proprio la chiusura dello zuccherificio ci racconta anche un altro aspetto del territorio, ossia le campagne circostanti Ceggia. Da una discreta varietà di colture (con preponderanza di quella bieticola), si è passati negli ultimi 15-20 anni a una sostanziale monocoltura di mais.
2.d IL TERRITORIO NEL SUO ASPETTO ODIERNO: “SEGNI” ED ELEMENTI IDENTIFICATIVI
L’area considerata da questa lettura a scala territoriale è compresa tra il Piave e il Livenza, in particolare tra San Donà di Piave e San Stino di Livenza. In questa lettura verranno considerati due piani di lettura: planimetrico e “in alzato”, in modo da rendere più completa la percezione dell’insieme tra territorio e edificato. Come inquadramento planimetrico, all’interno del comprensorio di bonifica del Basso Piave, consideriamo l’area occupata principalmente da tre bacini: Cavazuccherina, Ongaro Superiore e Bella Madonna. Ceggia, nel bacino Bella Madonna, occupa una posizione sostanzialmente baricentrica in quanto è quasi equidistante da S.Stino e San Donà. Ceggia sorge lungo il canale Piavon, che deriva dal fiume Lia e confluisce nel canale Brian. 21
Il canale Piavon, inoltre, presenta una derivazione, il Canalat, che si dirama tortuosamente dal centro abitato di Ceggia in direzione est per poi ricongiungersi al canale d’origine dopo qualche chilometro. Sulla morfologia del territorio di bonifica, l’alternarsi di aree abitate, piastre industriali e edificato diffuso valgono le considerazioni fatte nei paragrafi precedenti. Ad una scala più ravvicinata, tuttavia, sono leggibili segni ed elementi caratterizzanti che sfuggono a una lettura più ampia. Un segno territoriale molto visibile dall’alto è costituito dalle tracce della via Annia, di cui resta il basamento del ponte romano che attraversava l’antico corso del Piavon, pochi chilometri a est di Ceggia. Nella stessa zona, poco distante, emergono distintamente i perimetri quadrangolari di due basi militari statunitensi dismesse, che occupano ciascuna un’area di qualche ettaro. Contribuiscono a segnare il territorio in modo molto visibile le infrastrutture viarie e ferroviarie. Ceggia, nello specifico, sorge lungo la SS14 (che collega Venezia con il Friuli e il confine sloveno), è servita dalla linea ferroviaria Venezia-Trieste e beneficia dell’autostrada A4 - E55 (casello di Cessalto).
a.
b.
a. Area tra Piave e Livenza: polarità principali e rapporti di distanza b. Vie di comunicazione attraverso terra e acqua: schematizzazione
Le vie d’acqua navigabili, un tempo anch’esse infrastrutture di vitale importanza e ora in disuso quasi totale, sono i fiumi Piave e Livenza, oltre ai canali Piavon e Grassaga. Nella lettura “in alzato” a questa scala, sono stati identificati alcuni landmark che spiccano nella pianura di bonifica come punti di riferimento visivo. Principalmente, questi riferimenti sono rappresentati dai campanili delle chiese dei vari paesi; pur tuttavia, a rimarcare la componente produttiva presente in que-
sta porzione di territorio, sono presenti dei landmark costituiti da ciminiere e fabbricati industriali (tra cui l’ex zuccherificio Eridania di Ceggia, che presenta un corpo di fabbrica sufficientemente alto per essere individuato da qualche chilometro di distanza, sebbene non sia più presente la ciminiera). Altri punti d’appoggio dello sguardo, infine, sono alcuni edifici residenziali piuttosto alti di San Donà e Noventa di Piave e alcune antenne per le telecomunicazioni.
CEGGIA
CESSALTO
FOSSALTA - CHIARANO
ERACLEA
TORRE DI MOSTO
S.GIORGIO DI LIVENZA
MUSILE DI PIAVE
NOVENTA DI PIAVE
Confronto grafico tra Ceggia e i principali centri urbani (di dimensioni comparabili) dell’area tra basso Piave e Livenza
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3 Ceggia e il territorio circostante
3.a LETTURA DEL TERRITORIO COME “SOMMA” DI VARI LAYER In un primo momento, nella lettura planimetrica “fuori scala” di Ceggia sono stati individuati sei diversi layer che vanno a connotare l’ambiente urbano, le sue relazioni, la sua storia e il suo rapporto con il territorio. In ognuno di questi layer è stato evidenziato il perimetro dell’area ex-Eridania, che per dimensioni, collocazione e importanza, ricopre un ruolo cardine. L’idrografia è stata considerata come il primo elemento di definizione del terreno: ecco quindi evidenziati il Piavon e il Canalat, oltre alle canalette secondarie che da essi si diramano. In seguito viene distinta nettamente la cosiddetta “copertura del suolo”, ovvero la distribuzione dell’edificato nel territorio. Abbiamo dunque un nucleo storico principale, identificabile sulla sponda ovest del Piavon, che si estende fino a toccare la linea ferroviaria. Tale nucleo, nel corso degli ultimi 30-40 anni, ha visto nascere simmetricamente un secondo polo residenziale, sulla sponda est, la cui estensione è quasi il doppio dell’a-
bitato originario e la cui forma segue lo snodarsi della SS14 in direzione est. La stessa SS14, al momento attuale, demarca rigidamente il confine tra l’edificato (a nord) e la campagna coltivata (a sud). Spostando nuovamente lo sguardo sulla sponda ovest del Piavon si può osservare come l’area dell’ex zuccherificio vada a collocarsi in corrispondenza di un’ansa quasi ad angolo retto del canale stesso, ma costituisca tuttavia un’ideale prosecuzione dell’asse urbano principale di Ceggia. A sud-ovest del complesso Eridania è andata a crearsi l’attuale zona artigianale di Ceggia, che consiste fondamentalmente in una lottizzazione di capannoni ad impianto più o meno reticolare, a cavallo della SS14 in direzione ovest. E’ da notare come questo insediamento abbia una scala assolutamente aliena al tessuto urbano storico, caratteristica comune a tutti gli insediamenti industriali contemporanei, che non prevedono nemmeno un debole elemento di raccor23
do con il contesto (elemento che invece ritroviamo nell’area Eridania nella forma del viale alberato di accesso, e delle palazzine dei servizi). A livello infrastrutturale, quest’ultima visuale ravvicinata ci permette di notare alcuni elementi che vanno a sommarsi a quanto già visto nell’analisi a scala più ampia. Il primo elemento di indubbio impatto sulla morfologia urbana è la diramazione della linea ferroviaria Venezia Trieste all’interno dell’area Eridania, una curva a semicerchio che tuttora funge da linea di confine tra l’area residenziale e la zona produttiva di Ceggia, “abbracciando” una piccola area-cuscinetto costituita da campi coltivati. A questa scala è anche leggibile il secondo asse viario che segna l’abitato, ossia quello nord-sud costituito dalla SP58, che collega Ceggia a Cessalto (e, di conseguenza, all’autostrada), interseca l’asse est-ovest della SS14 e prosegue in direzione sud lungo l’argine del Piavon. Il canale viene attraversato in tre punti
distinti: a nord dell’abitato dal ponte della SP 58; all’altezza di Piazza XXIII Martiri da una passerella pedonale; a sud dal ponte della SS14. In seguito all’individuazione delle principali direttrici del traffico veicolare, è stato possibile anche evidenziare quali sono attualmente i maggiori nodi di traffico che affliggono Ceggia; sicuramente il principale elemento problematico è proprio la SS14, che “taglia in due” l’abitato costituendo un limite non agevolmente valicabile. Ceggia presenta diversi luoghi di importanza sociale e storico-architettonica, che ospitano in molti casi le attività più significative del paese. Due sono i principali spazi pubblici di aggregazione: Piazza XIII Martiri, su cui si affacciano municipio e biblioteca civica, a.
e il giardino pubblico che sorge lungo via Pola. Esistono tuttavia altri spazi verdi piuttosto estesi, appartenenti a strutture religiose o a istituti privati, ma che sono facilmente leggibili nella veduta planimetrica. Lungo via Duca d’Aosta, inoltre, si estende il mercato settimanale del paese, e per l’occasione la strada viene chiusa al traffico. Sono presenti diverse strutture scolastiche di primo e secondo grado, pubbliche e private; il complesso più significativo è dato dal polo scolastico di via Folegot, di recente costruzione, che ospita anche alcuni campi sportivi. I luoghi di maggiore socialità, tuttavia, rimangono nella parte di Ceggia a ovest del canale Piavon, la parte cioè identificabile come centro storico. Oltre al complesso ex Eridania (che
comunque, allo stato attuale, è chiuso al pubblico e significativamente degradato), sono presenti poche altre emergenze architettoniche di valore storico, riassumibili nel complesso di villa e oratorio Bragadin (XVI secolo) e nella chiesa di San Vitale, il cui campanile è anche identificabile come principale landmark del centro abitato di Ceggia.
a. Chiesa di San Vitale b. Oratorio Bragadin c. L’edificio che ospita municipio e biblioteca civica in Piazza XIII Martiri d. Villa Bragadin e. L’altra parte di Piazza XIII Martiri
b.
c.
d.
e.
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3.b LETTURA PARALLELA DI DUE ASPETTI COMPLEMENTARI DEL PAESAGGIO: GLI ELEMENTI NATURALI E IL COSTRUITO - SCALA 1:5000
GLI ELEMENTI NATURALI Come già detto, il territorio di bonifica ha la peculiarità di presentarsi con una forte componente geometrica impartita dai corsi d’acqua artificiali, nonchè dal “pattern” di fossi e scoline dei terreni di coltura intensiva. L’inquadramento a questa scala più ravvicinata permette però di ottenere diverse informazioni anche sulla vegetazione nel l’area di Ceggia: anche alberi e vegetazione spontanea, infatti, seguono l’impronta di questo paesaggio fortemente antropizzato. Le alberature a filare si snodano soprattutto lungo le strade più importanti (come la SS14 in direzione ovest, la SP58 verso Cessalto), e lungo le canalette di dimensioni più significative (ad esempio, la canaletta che si dirama da Ceggia in direzione nord-ovest e si raccorda con il bosco Olmè di Cessalto, ma anche la diramazione del Piavon a nord-est dell’abitato). Tuttavia, in prossimità dei corsi d’acqua, la vegetazione ripariale non è arborea ma prevalentemente erbaceopalustre, priva di piante a medio-alto fusto e ricca di specie arbustive e canneti, in quanto nelle immediate vicinanze dei canali di bonifica le caratteristiche ambientali non si discostano molto da quelle dell’ambiente acquitrinoso. Sono presenti, in piccola parte, anche delle “masse verdi”, che a differenza del già citato bosco planiziale, sono frutto di piantumazione: i pioppeti. Nella Pianura Padana, infatti, si concentra il 70% della pioppicoltura italiana, unico esempio di arboricoltura effettivamente praticato nel nostro Paese. Il paesaggio campestre è dunque scandito da questi piccoli boschi artificiali, contraddistinti da compattezza
e regolarità geometrica. Anche se molto più disomogenee e meno regolari, anche le siepi campestri sono un elemento che si deve all’intervento umano e che caratterizza il paesaggio. Presenti da secoli nel territorio rurale veneto, le siepi campestri hanno più funzioni, oltre alla delimitazione dei
confini di proprietà: una siepe può fornire legna da ardere, pali, tutori e legacci per vigne e orti; può offrire riparo alle colture dal vento, ma anche essere la dimora di animali e selvaggina; inoltre, funge da rinforzo, con le radici, alle sponde dei fossati. Infine, nella lettura d’insieme dell’am-
a.
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c.
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Alcuni elementi rappresentativi del paesaggio: a. Bosco di Cessalto in località Olmè b. Fossi e scoline nel paesaggio campestre c. Siepe campestre d. Vegetazione ripariale e. Pioppeto
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biente naturale di Ceggia (che per quanto naturale, è comunque fortemente segnato dall’intervento umano), non può sfuggire la significativa presenza del sistema di 5 vasche presente nell’ex complesso Eridania. La loro scala è più territoriale che urbana, e il piccolo ecosistema che vi si è creato all’interno è di rilevante importanza e soggetto a tutela. La chiusura dello zuccherificio, nel 2001, ha determinato infatti una stabilizzazione dell’ambiente delle vasche, nate per la decantazione delle acque industriali, e ha portato a un rapido processo evolutivo della fauna preesistente di uccelli limicoli. La presenza costante di acque pulite ha favorito lo sviluppo di una flora acquatica propria delle acque stagnanti. Questo ambiente è piuttosto protetto in quanto sorge su un sistema di terrapieni dell’altezza media di 6-7 metri, che crea un ambito naturale nettamente separato dall’ambiente circostante, non leggibile dall’esterno (se non da un punto di vista sopraelevato) e per questo estremamente suggestivo.
b.
a. Il biotopo delle vasche d’acqua nell’area ex - Eridania b. Specie arboree più diffuse nel territorio di Ceggia
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b.
IL COSTRUITO Questa breve indagine sull’edificato di Ceggia si è concentrata sul rapporto tra pianta e alzato, tra planimetria e vedute panoramiche. La lettura è stata condotta alla stessa scala dell’approfondimento sul paesaggio “naturale”, in modo da ottenere un raffronto più immediato tra due aspetti effettivamente complementari nella definizione dell’identità di un territorio, sia pure di dimensioni relativamente esigue. Il tessuto urbano di Ceggia si presenta fortemente eterogeneo, fatto di grosse addizioni recenti ad un nucleo storico di dimensioni contenute. Ne deriva un
ordito irregolare, che vede accostati insediamenti incompatibili per scala ed estensioni, e soprattutto, non segue un disegno d’insieme, caratteristica peraltro ricorrente nelle urbanizzazioni “a macchia d’olio” del Nord Italia. L’impressione è quella di una serie di scatole chiuse, affiancatesi l’una all’altra nel corso delle varie espansioni condotte nel tempo, senza una particolare progettualità né tantomeno un interrogativo critico sul genius loci. A ulteriore riprova di ciò, è abbastanza evidente come non vi sia un centro ben definito che dia un senso e una dire-
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zione all’edificato. La piazza principale, piazza XIII Martiri, altro non è che un allargamento della via parallela al canale Piavon, via Roma, ed è organizzata in un’ottica più monumentale che sociale, con quote disomogenee e una vegetazione puramente decorativa. Il canale Piavon, che nella storia è stato indubbiamente un importante motore dello sviluppo di Ceggia, è completamente ignorato dall’assetto urbano, e solo negli ultimi 4-5 anni si è pensato di creare un percorso lungofiume raccordato alla viabilità cittadina. Per il resto, non vi è alcuno spazio pubblico che tenga in
considerazione l’acqua. Vi è poi il grande vuoto urbano dato dall’ex zuccherificio lungo il Piavon, un’area che per grandezza è paragonabile all’intero centro storico di Ceggia e che ne costituisce in qualche modo l’antitesi, considerando la SS14 come un asse di simmetria. La posizione dell’area ex-Eridania, all’ingresso del centro urbano, sul limitare della zona artigianale, lungo il Piavon e speculare rispetto alla campagna coltivata, costituisce un forte elemento di interesse in quanto è una vera e propria “cerniera” tra tutti gli elementi del paesaggio ciliense, che può trasformarsi, potenzialmente, da cesura a spazio di raccordo. Attualmente, tuttavia, questo spazio non è che un’assenza, priva di destinazione d’uso e di collegamenti con il resto della città. L’indagine fotografica implementa con ulteriori dettagli quanto visto nell’analisi
planimetrica. In questa indagine, il canale Piavon è stato utilizzato come principale riferimento: le inquadrature panoramiche dai tre punti di attraversamento (ponte della SP58, passerella pedonale e ponte della SS14) permettono di leggere il rapporto dell’edificato con l’acqua, mentre le panoramiche relative a 5 waterfront e a uno dei fronti principali di Piazza XIII Martiri permettono di capire la composizione e la qualità dell’edificato. Osservando il tratto del Piavon che attraversa il nucleo storico di Ceggia, questo repertorio di immagini conferma quanto considerato fino ad ora: ciascun fronte di edifici è intrinsecamente frammentato, spesso senza alcuna continuità stilistica, volumetrica e altimetrica, e altrettanto spesso senza rilevante qualità architettonica. La maggior parte dei fabbricati appartiene ad un’epoca successiva agli anni Cinquanta, ed è stata inoltre oggetto di successivi rimaneggiamenti, 28
con superfetazioni, aggiunte, ibridazioni stilistiche il più delle volte infelici. Come già accennato, nell’ultimo lustro l’amministrazione ha tentato di ricucire, per quanto possibile, l’asse viario principale con il canale, creando in parallelo un percorso pubblico lungofiume, tuttora in costruzione, che presenta numerosi punti di accesso da via Roma e piazza XIII Martiri. Anche la passerella pedonale rientra in questo sistema di interventi, sebbene non sia collegata ad una sufficiente rete di percorsi pedonali sulla sponda est del Piavon. L’attraversamento di Ceggia resta dunque subordinato a percorsi frammentati e non concepiti in modo organico. E’ inoltre da notare come il percorso lungofiume sia un camminamento rettilineo che mantiene sempre la stessa quota e la stessa sezione, senza dialogare con il corso d’acqua ma affiancandolo semplicemente. Allo stesso modo, il percorso pubblico non è elemento di raccordo
A. Panoramica dal ponte della SP58
B. Panoramica dalla passerella pedonale sul canale Piavon
C. Panoramica dal ponte della SS14
D. Panoramica dalla SP58 nel tratto che costeggia il canale Piavon
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nemmeno nel suo margine rivolto verso gli edifici privati, poiché non si relaziona con i pochissimi spazi di verde privato che si affacciano sul canale, perdendo un’occasione di creare un nuovo fronte cittadino prospiciente l’acqua. Paradossalmente, il rapporto di minor cesura con l’acqua del Piavon si ha proprio nell’area ex-Eridania, in cui è evidente una continuità della vegetazione tra la
sponda del canale e il terreno retrostante, sebbene non esista un vero e proprio percorso lungofiume, ma soltanto un piccolo rilievo arginale, per quanto compatto, regolare e consolidato. Sempre da questo punto di osservazione, si può apprezzare in modo maggiore il rapporto con il territorio circostante, in quanto sono ben evidenti i confini dell’abitato (del quale si può apprezzare
1. Waterfront sul canale Piavon tra il ponte della SS14 e la passerella pedonale | ovest
2. Waterfront sul canale Piavon tra la passerella pedonale e il ponte della SP58 | ovest
3. Waterfront sul canale Piavon tra il ponte della SP58 e la passerella pedonale | est
4. Waterfront sul canale Piavon tra la passerella pedonale e il ponte della SS14 | est
5. Quinta di edifici su piazza XIII Martiri | ovest
6. Waterfront sul canale Piavon lungo la SP 58 (via Piavon) | sud
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una piacevole prospettiva culminante nel campanile di S.Vitale), e il paesaggio campestre della sponda opposta, segnato dai suoi elementi caratteristici; il contatto con il panorama circostante si rafforza se si sale sul terrapieno delle vasche d’acqua, dove lo sguardo può spaziare anche in direzione ovest.
4 La produzione saccarifera La coltura della barbabietola e la produzione dello zucchero sono state due attività fondamentali e propulsive per lo sviluppo economico di Ceggia, dapprima centro meramente agricolo nel mezzo delle campagne bonificate. Pur tuttavia, all’impulso dato dall’attività saccarifera non è seguita, in questo specifico caso, una particolare espansione urbana. La natura prevalentemente agricola del territorio si è mantenuta nel tempo, poiché lo stabilimento Eridania ha monopolizzato per molti anni la produzione locale; pertanto si è assistito all’insediamento di nuovi stabilimenti, di dimensioni comunque non significative, soltanto dopo gli
anni Ottanta. E’ inoltre da notare come lo zuccherificio non abbia portato alla realizzazione di infrastrutture pubbliche, quartieri operai e servizi finanziati direttamente dalla società Eridania: Ceggia infatti ha sempre orbitato attorno a San Donà di Piave, già sensibilmente sviluppata in questo senso nella prima metà del Novecento, e non vi erano dunque interessi strategici per rendere Ceggia un polo urbano attrattore. Di seguito, verrà approfondita la storia della società Eridania in Italia, in modo da poter comprendere lo scenario nel quale, nel 1929, è andato a inserirsi il tassello costituito dal sito produttivo di
Ceggia. La produzione dello zucchero in Italia è stata per lungo tempo una risorsa economica non trascurabile, sebbene al giorno d’oggi essa si sia ridimensionata fino quasi a sparire, come testimoniano i numerosi zuccherifici abbandonati nella Pianura Padana. Si tratta di un patrimonio architettonico (oggi sovente oggetto di puntuali elementi di tutela) che vale la pena di osservare nel suo insieme, per notare come i suoi manufatti siano uniti da un linguaggio formale simile, e abbiano tutti rappresentato un elemento di forte identità del territorio, oltre che motivo di significative trasformazioni.
4.a STORIA DELLA SOCIETA’ ERIDANIA 1872
1890-1900
27/02/1899
A Genova viene fondata la Società Anonima per la raffineria degli zuccheri. Inizialmente si dedica soltanto alla raffinazione dello zucchero, tuttavia negli anni ’80 dell’Ottocento comincia a occuparsi anche della coltivazione della barbabietola e per questo ottiene provvedimenti protezionistici da parte dello Stato italiano.
La produzione saccarifera italiana registra un significativo incremento. Gli zuccherifici attivi passano da 4 a 33 e la produzione di zucchero arriva a coprire abbondantemente la domanda nazionale. In questo decennio nascono 24 nuove ditte saccarifere.
A Genova (già sede della grande industria saccarifera Ligure-Lombarda) si costituisce la “Società Anonima Eridania, fabbrica di zucchero”, i cui membri sono inizialmente 12 imprenditori liguri, decisi a prender parte alla fiorente filiera di produzione, raffinazione e commercio dello zucchero nella Penisola. Il primo stabilimento nasce a Codigoro, sul Delta del Po. Il nome stesso della società rende omaggio al nome classico del fiume Po: Eridano.
1900
1900-1910
Viene inaugurato il secondo zuccherificio Eridania, a Forlì, che con il suo sostenuto regime di produzione garantisce un sostanziale incremento dei profitti per la società genovese.
Eridania attua una serie di campagne pubblicitarie e informative destinate ai contadini del nord Italia, promuovendo la conversione delle colture alla bieticoltura. La finalità è quella di garantire una produzione bieticola sufficiente a giustificare gli ambiziosi progetti d’investimento previsti dalla società. La promozione della coltura della barbabietola passa anche attraverso l’istituzione di accattivanti concorsi che premiano l’efficienza produttiva, la qualità delle colture e la rotazione quadriennale delle stesse. La risposta da parte degli agricoltori è positiva, e Eridania incrementa la capacità produttiva di diversi suoi stabilimenti (nel 1912 gli impianti giunsero a una capacità tra 8000 e 12000 quintali/giorno, a seconda dello stabilimento).
I conflitto mondiale (1915-18)
1918-1925
La società Eridania investe parte del suo capitale nel sostegno dell’industria bellica nazionale (fabbriche di armi, acquisto di mezzi militari), e nell’acquisto di terreni da destinare alla produzione bieticola.
Il primo Dopoguerra vede il consolidamento dell’Eridania come una delle realtà produttive più solide e fiorenti d’Italia, tanto da essere indipendente dall’estero. Un altro aspetto significativo e moderno per l’epoca è la stipula di contratti partecipati con i produttori, che si traducono in un ulteriore aumento della produzione. Nel 1923 nasce a Mezzano (RA) il Centro Seme Bietole, sorta di laboratorio di ricerca che porta all’introduzione di un nuovo seme di bietola che, a parità di peso, garantiva un più elevato contenuto in saccarosio.
1927-1930
1936-1942
II conflitto mondiale (1912-45)
Eridania incorpora numerose realtà produttive dell’industria saccarifera italiana: nel 1929 la Società Zuccherifici Nazionali (che a sua volta ha già acquisito gran parte della Ligure Lombarda), nel 1930 la Società Zuccherificio Agricolo Ferrarese, la Zuccherificio Ostigliese, la Distilleria Padana e la Raffineria Ferrarese. Il 19/10/1930 nasce il gruppo “Eridania Zuccherifici Nazionali”.
Negli anni precedenti alla II Guerra Mondiale, Eridania destina parte degli stabilimenti alla produzione di alcool carburante (ad esempio Cavanella Po e Pontelagoscuro), da impiegare nella guerra coloniale. Il settore saccarifero è incostante, e i miglioramenti qualitativi della produzione vengono affidati a concorsi tra i coltivatori in collaborazione con i tecnici della società.
I bombardamenti mettono in seria difficoltà l’industria Eridania: la stessa sede amministrativa di Genova subisce ingenti danni e nel 1944 solo 29 dei 55 zuccherifici registrano un’effettiva produzione di zucchero. Soltanto tre impianti non riportano danni: Ceggia, Codigoro e San Vito.
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1946-1960
1960
1967
Messa in ginocchio dalle sciagure della Guerra Mondiale, l’industria saccarifera registra quantitativi sempre minori di produzione. Viene quindi attuata una serie di misure volte a garantire la ripresa del settore: scelta dei semi, difesa delle bietole contro le malattie, ottimizzazione della lavorazione, concimazione intensiva dei terreni.
In seguito alla costituzione del Mercato Comune dello Zucchero, l’intera industria bieticola italiana soffre la propria inferiorità rispetto alla concorrenza europea, in particolar modo per la qualità inferiore delle bietole. Per quanto riguarda Eridania, vengono chiusi gli stabilimenti improduttivi e ne vengono ammodernati altri. In totale la società nel 1960 dispone di 19 zuccherifici, e di altri 7 facenti capo a società associate, prevalentemente in Pianura Padana.
Eridania entra a far parte del gruppo industriale Monti e assorbe altre 4 società saccarifere: Distillerie Italiane e Saccarifera Lombarda (Milano), Saccarifera Sarda (Oristano) e Emiliana Zuccheri (Genova).
1968-1975
1981-1983
1992-2001
Eridania compie un nuovo riassetto societario, volto a ottimizzare la produzione per garantire una maggiore competitività nel Mercato Comune Europeo. Gli stabilimenti passano da 27 a 18 ma la produzione passa da 30000 quintali/giorno a 50-80000 quintali/giorno. La ristrutturazione porta comunque scontenti e proteste tra i lavoratori.
La società passa dal gruppo Monti al gruppo Ferruzzi, e gli impianti produttivi vengono ridotti a 13.
Il gruppo Ferruzzi viene assorbito dal francese Beghin Say, ma le vicende giudiziarie dei vertici del colosso industriale portano la società Eridania ad una condizione economica precaria, che si conclude nel 2001 con l’acquisizione da parte di Sacofin s.p.a. (formata dalla Cooperativa Produttori Bieticoli di Minerbio (BO), da Finbieticola e dalla Società Esercizi Commerciali Industriali s.p.a., quest’ultima già proprietaria degli zuccherifici Sadam).
2003
2005-2014
I soci del gruppo Sacofin si spartiscono i 7 impianti rimasti sul territorio e vengono costituite due distinte società: Italia Zuccheri s.p.a. e Eridania Sadam s.p.a.
Le direttive UE del 2005 costringono a una ristrutturazione dell’industria saccarifera su scala europea. In Italia rimangono attivi solo 4 zuccherifici, uno dei quali di proprietà di Eridania Sadam. Dal 2007 a oggi si associano a Eridania, uno al posto dell’altro, due partners europei che in questo modo possono importare zucchero di produzione estera da distribuire assieme al prodotto italiano: prima Tate&Lyle (UK) e poi Cristal Co (F).
Donne al lavoro nelle colture di barbabietola fonte: “Paesaggio Veneto”, a cura di Bruno Dolcevita, Amilcare Pizzi Editore, Milano 1984
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4.b I PRINCIPALI ZUCCHERIFICI ERIDANIA NEL NORD ITALIA (durante la campagna saccarifera del 1960)
CONFRONTO FOTOGRAFICO 1.
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4.c IL PROCESSO PRODUTTIVO DELLO ZUCCHERO fotografie: archivio G. Pasqualini - Co.Pro.B
1.
2. Le barbabietole da zucchero raggiungono i punti di scarico (1) a bordo di chiatte (in un primo periodo) e di autocarri (più avanti) e vengono stoccate in un silo
Le barbabietole vengono trattate nelle stazioni di diserbo e spietratura (2) (che eliminano impurità e pietrame) e infine vengono lavate della terra aderente alla buccia
L’acqua del lavaggio, in seguito, viene fatta decantare, viene addizionata di cloro e infine riciclata
3.
4. Le bietole pulite vengono tagliate in fettucce, le polpe fresche (3), e inviate al diffusore (4), che tramite acqua calda, estrae il sugo zuccherino
Il sugo zuccherino estratto (sugo greggio) viene depurato da tutte le sostanze che ne impediscono la cristallizzazione come zucchero. La depurazione avviene per mezzo di anidride carbonica addizionata con piccole dosi di calce: mescolando la soluzione al sugo (5), vengono fatte precipitare le sostanze estranee non necessarie
Le polpe fresche vengono dunque pressate e destinate all’alimentazione animale (fresche o essiccate) L’acqua di pressatura viene riciclata per l’estrazione
5.
6. Il sugo uscente (sugo denso), subisce infine la cristallizzazione sotto vuoto: il sugo viene separato più volte dall’acqua madre tramite centrifugazione; l’acqua madre viene di volta in volta riconcentrata e cristallizzata finchè non si ottiene il melasso, da cui lo zucchero non è più cristallizzabile
Il sugo così ottenuto (sugo leggero), viene dunque inviato agli evaporatori (6), riscaldati a vapore
7.
8. Lo zucchero cristallizzato è grezzo. Esso viene dunque raffinato (7) tramite un primo lavaggio in centrifuga con acqua di condensa, dopo il quale viene ridisciolto nella stessa acqua, ricristallizzato e ricentrifugato.
9.
Il saccarosio uscente viene controllato ed essiccato (8) ed infine insaccato (9)
10. I sacchi di zucchero da 50 chilogrammi vengono stoccati (10) e infine caricati su autocarri o vagoni ferroviari per la distribuzione commerciale
Lavorazione: da agosto a ottobre Durata complessiva: 70/80 giorni
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5 Lo stabilimento Eridania di Ceggia
Nei suoi settant’anni di attività, lo stabilimento Eridania ha subito diverse trasformazioni in base alle mutate esigenze tecnologiche e produttive. Attraverso questa analisi sono state ricostruite tre principali “tappe evolutive” dell’edificio, con la relativa indicazione del percorso legato al processo produttivo. Come si può notare, l’iter produttivo si è servito in un primo momento del canale
Piavon come infrastruttura di trasporto; infrastruttura ben presto integrata, e poi gradualmente rimpiazzata, da ferrovia e rete viaria asfaltata. Ad ogni modo, l’andamento del processo produttivo ha sempre seguito una direzione identificabile con l’asse longitudinale del corpo di fabbrica principale, sia pur con diramazioni laterali di volta in volta differenti.
Nella visione d’insieme sono invece raccolte tutte le tracce dei fabbricati susseguitisi nel tempo all’interno dell’area Eridania, le cui tracce sul suolo rimangono tuttora, nonostante le demolizioni e le bonifiche avvenute tra il 2003 e il 2008. E’ dunque possibile una lettura efficace delle rimanenze architettoniche soltanto se si è consapevoli del sistema di relazioni in cui esse erano contenute.
5.a STORIA (ATTRAVERSO ALCUNE FASI) fotografie: archivio G. Pasqualini - D. Cosua
1929
1930
1949-1958
A Ceggia inizia la costruzione dell’impianto, giudicato “strategico” poiché: 1) le terre bonificate sono ideali per la coltura della barbabietola da zucchero 2) nella zona non sorgono altri zuccherifici 3) la vicinanza del canale Piavon permette la fornitura di acqua e funge da via di trasporto delle merci 4) la linea ferroviaria contribusce al trasporto merci
Installazione del rotore e della lavatrice bieticola. Nelle prime campagne saccarifere, la fabbrica dà lavoro a circa un migliaio di persone e vengono trasformati 10.000 quintali di barbabietole al giorno
Attività della fabbrica al culmine del regime produttivo
2000
2001
2003
La gestione della fabbrica passa dall’Eridania alla cooperativa Co.Pro.Bi. Urge un ammodernamento dei macchinari per un importo di circa 100 miliardi di lire; senza questo rinnovo lo zuccherificio è destinato a chiudere per gli alti costi di mantenimento e la poca resa economica
Chiusura definitiva dello stabilimento
35
Inizio della bonifica dell’area dall’amianto. Prima proposta di tutela dell’area delle vasche di lagunaggio e affidamento delle stesse ad enti di salvaguardia ambientale su concessione del Comune di Ceggia
5.b DESTINAZIONI D’USO (PRECEDENTI L’ ABBANDONO) DI AREE E FABBRICATI fonti: arch. Doriano Pavanetto - soc. Eridania
5.c TRASFORMAZIONE DELLA FABBRICA NEL TEMPO PRIMA FASE
Fabbricati
Processo produttivo
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SECONDA FASE
Fabbricati
Processo produttivo
TERZA FASE
Fabbricati
Processo produttivo
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6 Analisi dello stato di fatto 6.a DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICA DA SOPRALLUOGO 1.
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1. Panoramica dal canale Piavon in direzione sud 2. Panoramica dal canale Piavon in direzione nord (Ceggia) 3. Prospetto sud dell’ex fabbricato raffineria 4. Prospetto est dello zuccherificio, lungo il Piavon 5. Visione d’insieme da nord-est 6. Visione d’insieme da sud; in primo piano la vasca maggiore 7. Inquadratura da sud-ovest (area delle vasche più piccole) 8. Panoramica dalle vasche d’acqua in direzione nord (Ceggia) 9. Prospetto ovest 10. Il cancello dello stabilimento da Via dello Zuccherificio 11. Visione d’insieme da nord-ovest 12. Visione d’insieme dalla SS 14
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6.b RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - COPERTURE con indicazione dei punti di vista dell’indagine fotografica
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1. Panoramica delle vasche d’acqua in direzione nord 2. Panoramica dalle vasche in direzione nord-est 3. Inquadratura dalle vasche in direzione della SS 14 4. Inquadratura del fronte edificato della zona artigianale 5. Prospetto sud 6. Edifici del complesso Eridania (ex palazzine uffici) 7. Edifici del complesso Eridania (ex palazzine uffici) 8. Inquadratura verso nord dell’ex diramazione ferroviaria 9. Inquadratura dell’ex diramazione ferroviaria al suo incrocio con la SS 14 10. Via dello Zuccherificio vista dall’incrocio con la SS 14 11. Edifici del complesso Eridania (ex palazzine uffici) 12. Prospetti nord e ovest dall’altra sponda del Piavon
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N
6.b RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - ATTACCO A TERRA con indicazione dei punti di vista dell’indagine fotografica
stato di fatto rilievo dell’esistente
6.d RILIEVO DELLO STATO DI FATTO - PROSPETTI E SEZIONI Aggiornamento da rilievo 2005 arch. D.Pavanetto - società Eridania
sezione A-A’
prospetto nord-ovest
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sezione B-B’
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prospetto sud-est
prospetto sud-ovest
prospetto nord-est
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1. Visione d’insieme da nord-est 2. Prospetto est dello zuccherificio, lungo il canale Piavon 3. Via dello Zuccherificio vista dall’incrocio con la SS14 4. Il cancello dello stabilimento da Via dello Zuccherificio 5. L’edificio all’ingresso del complesso Eridania, con il vecchio bilico per camion 6. Inquadratura dell’ex diramazione ferroviaria al suo incrocio con la SS14 7. Prospetto ovest 8. Panoramica dalle vasche in direzione nord (Ceggia)
9. Panoramica dal canale Piavon in direzione sud 10. Panoramica delle vasche d’acqua in direzione dello stabilimento 11. Panoramica dalle vasche in direzione nord-est (campagna ciliense) 12. Inquadratura dello zuccherificio da sud-ovest (vasche più piccole) 13. Tracce dei binari ferroviari nell’area di progetto 14. Pianterreno del corpo di fabbrica principale 15. Primo piano del corpo di fabbrica principale
43
44
parte seconda progetto
45
1 Strategia d’intervento
a.
Il ripensamento e il recupero dell’area dell’ex zuccherificio Eridania nasce nell’ottica di considerare tutti gli aspetti del territorio circostante, operando su più scale e rapportandosi con i diversi elementi identitari del paesaggio. Questo ragionamento viene condotto sia dal punto di vista compositivo, sia, parallelamente, dal punto di vista strategico e funzionale: la relazione del nuovo progetto con il territorio deve essere motivata da una sufficiente conoscenza / comprensione del contesto.
1.a IL TERRITORIO Il territorio di bonifica presenta aspetti paesaggistici peculiari, che possono essere letti e compresi strutturando una serie di itinerari su larga scala. L’intenzione è quella di privilegiare la cosiddetta “slow mobility”, ossia gli spostamenti ciclo - pedonali, in un’area dove la viabilità di collegamento è costituita quasi esclusivamente da arterie di traffico pesante come la SS14, pericolose e disagevoli per chi non desidera o non può spostarsi in automobile. Ne deriva l’ipotesi di una rete di percorsi dalla duplice funzione: conoscenza del territorio ma anche raggiungimento dei poli di principale interesse tra San Donà e Motta di Livenza, tramite percorsi alternativi e separati dai flussi del traffico veicolare. Attraverso le direttrici nord-sud e estovest, sono stati immaginati cinque diversi itinerari, alcuni collegati tra loro o derivati l’uno dall’altro, che permettano, a chi ne fruisce, l’attraversamento “turistico” del territorio così come l’utilizzo di una vera e propria rete viaria parallela a quella del trasporto su gomma o su rotaia, che mette in gioco altri punti di vista sul paesaggio. Le polarità messe in collegamento con Ceggia sono: Cessalto, San Donà di Piave, San Stino di Livenza, le località di Olmè e Grassaga; tuttavia, questa ipotesi ha anche la possibilità di estendersi facilmente ad altre località del comprensorio di bonifica, poiché utilizza la rete di canali e corsi d’acqua come matrice dei percorsi stessi.
a. Schema di un’ipotetica rete territoriale di percorsi di mobilità “lenta” b. Rappresentazione sul fotopiano c. d. Descrizione e schematizzazione dei 5 itinerari studiati per l’ attraversamento del territorio di bonifica b.
c.
d.
46
1.b IL CENTRO URBANO L’analisi condotta nell’indagine planimetrica dell’abitato di Ceggia ha evidenziato come, di fatto, Ceggia volga le spalle sia alla campagna circostante, sia al canale Piavon, e come il tessuto urbano sia fortemente disomogeneo e incoerente. A ciò si è andato ad aggiungere, dopo l’abbandono del complesso, il grande “vuoto” generato dall’ex complesso Eridania. Proprio questo elemento, dalla posizione strategica e cardinale nella geografia urbana, può trasformarsi da punto critico a risorsa e volano per la creazione di nuove relazioni formali e funzionali. La prima considerazione nell’ideare il concept di progetto è stata la necessità di mantenere e rafforzare la marcata assialità che contraddistingue l’area Eridania, culminante nell’area delle vasche d’acqua: assialità, come già illustrato, che è anche il risultato delle esigenze della produzione saccarifera, e che rimanda quindi alla storia dell’area dello zuccherificio. La definizione e l’accentuamento di questa direttrice compositiva mette inevitabilmente in relazione l’asse urbano principale, via Roma, con l’asse costituito da via dello Zuccherificio e dalla fabbrica, significativamente ruotato rispetto al precedente, ma visivamente contiguo. Questa relazione fu volutamente creata al nascere dello stabilimento, ma è andata pressochè perduta con l’ingrandimento della SS14 e con l’aumento esponenziale dei flussi di traffico: il progetto prevede dunque la risoluzione del nodo di traffico della strada statale tramite diverse soluzioni di regimentazione della viabilità, che si possono dedurre dal masterplan. Un altro elemento essenziale nel progetto è il rapporto con il canale Piavon. Compatibilmente con la necessità di mantenere la sicurezza del sito e prevenire il rischio di allagamenti, l’idea è quella di creare uno sconfinamento del corso d’acqua nell’area di progetto, in corrispondenza del punto dove in passato era situato l’attracco fluviale a servizio dello zuccherificio. Tale sconfinamento viene accompagnato dalla creazione di una porzione di terreno ad una quota ribassata, che consente l’avvicinamento all’acqua, e al raccordo del percorso lungofiume al tratto già esistente a nord del ponte della SS14. Di concerto con la definizione del programma funzionale, poi, è stato scelto di creare un dialogo diretto con il paesaggio campestre della sponda est del Piavon, prospiciente lo zuccherificio. Ecco dunque che prende una prima forma la suggestione di portare la campagna coltivata all’interno dell’area di progetto, rimarcando il vuoto urbano ma dotandolo di una precisa funzione, emblematica del nuovo possibile approccio della città di
Ceggia al suo territorio. Sorge dunque spontaneo il quesito: come porre in relazione un paesaggio di coltura con l’attigua zona artigianale, destinata oltretutto ad espandersi? In questo caso, la scelta è stata di operare una cesura, e di rendere il più possibile impermeabile il fronte dell’area di progetto, generando una prosecuzione, lungo tutto il lato sud-ovest dell’area, del terrapieno che ospita le vasche d’acqua. Questa sorta di barriera va a marcare con forza il margine dell’intervento ed esplicita l’intenzione di interrompere l’attuale continuità tra la lottizzazione di capannoni, senza qualità formale, e
lo zuccherificio, con la sua architettura portatrice di identità, valore storico e qualità formale. Anche verso la SS14, infine, si è voluto creare quantomeno un “diaframma” che permetta di mediare tra il forte traffico della strada e il nuovo carattere dell’area. In definitiva, il concept di progetto mostra come siano state operate delle scelte di volta in volta differenti al fine di creare, recuperare o negare un rapporto con l’ambiente circostante, nella speranza di ridefinire un assetto urbano più coerente di quello attuale, e soprattutto, che sia sotteso a una logica di consapevole valorizzazione del territorio.
e.
f.
e. Sintesi grafica dell’aggregato urbano con la sovrapposizione dei possibili percorsi territoriali f. Lettura dell’edificato di Ceggia come insieme di “isole urbane”, non comunicanti tra loro, che compongono il tessuto urbano con “pattern” non coerenti. Ceggia volge le spalle alla campagna e al canale, ed è disomogenea al proprio interno
47
CONCEPT
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1.c L’ AREA DI PROGETTO In seguito alla chiusura dello zuccherificio Eridania e alla cessazione della coltura bieticola, Ceggia ha conosciuto un profondo riassetto della propria economia. Si è passati da un centro produttivo facente parte di una importante rete industriale nazionale, ad una realtà di scarso rilievo, non competitiva né strategica, in quanto non vi è più alcuna specializzazione. Le aree produttive più attive, infatti, sono oggi dislocate lungo l’autostrada A4 o nelle immediate vicinanze di San Donà di Piave. La crescita, negli ultimi anni, delle attività presenti nella zona artigianale di Ceggia, non ha presentato lo sviluppo di realtà peculiari o di spicco: come già evidenziato nell’inquadramento a scala territoriale, “piastre produttive” analoghe a queste punteggiano i centri minori del territorio padano-veneto senza significative differenze l’una dall’altra. Non si registrano, inoltre, piani di investimento nel settore terziario, già sufficientemente assorbito dai capoluoghi e dai comuni ad essi limitrofi. In definitiva, l’area di Ceggia può essere facilmente identificata come un luogo dalle potenzialità inespresse, oppure (seguendo la logica di cieca speculazione tanto cara ad alcune amministrazioni locali) ancora sottosviluppata rispetto alle sue possibilità. Tuttavia, l’approccio che ha condotto alla stesura del programma funzionale del progetto di ripensamento dell’area Eridania ha seguito un approccio differente, che rovescia intenzionalmente i suddetti punti di vista. In primo luogo, non si è voluto considerare il “sottosviluppo” come un fattore
negativo, bensì come una significativa opportunità. Da qui alcuni quesiti: in un territorio come quello della Pianura Padana, oberato di aree edificate, tanto da sembrare, in molti luoghi periferici, un’unica conurbazione priva di identità, è ancora prioritaria l’esigenza di occupare il suolo con ulteriori costruzioni? Perché non concentrarsi invece su un tipo di ambiente che viene spesso dato per scontato, ossia la campagna coltivata? L’agricoltura è un’attività economica di primo piano nel nord Italia: perché non lavorare proprio sulla ricerca e sulla specializzazione delle tecnologie agricole? Dopotutto, lo zuccherificio attingeva per forza di cose all’agricoltura, e tramite essa ha plasmato tangibilmente il paesaggio: perché non ripartire proprio da qui? Anche il paesaggio dell’agricoltura intensiva possiede una sua peculiarità e una sua qualità, che possono essere evidenziate e valorizzate da un progetto consapevole. E’ così che nasce la scelta di immaginare lo zuccherificio dismesso, fulcro della passata attività industriale legata al territorio, come centro di un nuovo impulso, che attinge sempre alla realtà territoriale di Ceggia, ma contribuisce ad una sua innovazione più sostenibile e rispettosa. In primo luogo, quindi, l’area ex-Eridania deve prevedere aree che possano essere direttamente coltivabili: non una semplice estensione della campagna circostante, ma una sua replica “laboratoriale” in scala ridotta, che ne riproponga, reinterpretati, gli elementi chiave per farne oggetto di ricerca. Alle aree coltivabili devono essere poi affiancate strutture didattiche per consen-
49
tire un approfondimento scientifico delle tecniche e delle tecnologie a servizio dell’agricoltura: una vera e propria scuola che abbia come oggetto la ricerca sul paesaggio. L’attività produttiva di questo parco didattico, assieme a tutte le altre realtà già presenti nel territorio, può poi essere proposta a cittadini e consumatori attraverso un mercato “a chilometri zero” a cui afferisca tutta la produzione locale, dai prodotti alimentari, alla piccola manifattura artigianale, fino ai prodotti di derivazione erboristica. Il mercato diventa quindi spazio di aggregazione sociale, affiancando gli spazi pubblici di Ceggia e proponendosi come un’attività che possa richiamare pubblico anche dalle località limitrofe. Oltre a ciò, vanno necessariamente previste aree ricreative e percorsi che mettano in gioco tutti gli elementi ambientali peculiari dell’area ex-Eridania, dall’affaccio sul canale Piavon al suggestivo biotopo delle vasche d’acqua. Non va dimenticato, infatti, che il complesso dell’ex zuccherificio è raccordato a itinerari ciclopedonali di collegamento con Ceggia e con le località circostanti, in un’ottica di conoscenza e promozione del territorio, oltre che nell’intenzione di realizzare un piccolo sistema infrastrutturale legato alla mobilità lenta. Infine, in questa nuova riorganizzazione funzionale devono trovare posto anche attività di incentivo per l’imprenditoria locale legata all’agricoltura, tramite start-up che promuovano e appoggino le iniziative che sfruttino costruttivamente le risorse territoriali.
Riorganizzazione funzionale dell’area di progetto
50
2 Il progetto 2.a MASTERPLAN L’area di progetto rivela già dalla planimetria generale un’organizzazione volta a raccordare, ricucire, mettere in relazione l’area stessa con il contesto circostante. Il primo aspetto che definisce il nuovo intervento è la forte assialità. La direttrice di Via dello Zuccherificio, che attualmente si arresta all’altezza della cancellata d’ingresso del complesso Eridania, trova una sua prosecuzione in un sistema rettilineo di coperture che giungono fino al corpo di fabbrica principale, creando una sorta di “piazza coperta” che può ospitare il mercato e altre rassegne durante la bella stagione. Solo la copertura iniziale e quella finale si diramano da questo asse così definito, per insinuarsi nelle altre parti dell’intervento (collegando ad esempio tra loro le palazzine all’ingresso dell’area) fino a spingersi, in un caso, fino al canale Piavon e a creare una sorta di belvedere su diversi livelli. Gli altri margini della piazza (est e ovest) oltre che dal disegno della pavimentazione, sono definiti da cinque alberi ad alto fusto per ogni lato, che garantiscono zone ombreggiate e nel contempo segnano i limiti con l’argine del Piavon e con l’area coltivata. L’argine, nel tratto corrispondente alla larghezza della piazza-mercato, presenta inoltre un sensibile arretramento verso la piazza stessa, oltre ad avere una parte ad una quota più bassa di 1,5 metri rispetto al suo culmine, una sorta di piattaforma ribassata che sfiora il pelo dell’acqua. In parallelo al sistema d’accesso di Via dello Zuccherificio, pensato per la viabilità carrabile e nello specifico per gli automezzi relativi al mercato, è stato pensato anche un secondo accesso, più a sud, dedicato al traffico ciclopedonale. Esso riprende il tracciato del vecchio snodo ferroviario: il percorso originario è stato “estruso” in un terrapieno che valica la SS14 e si raccorda con il resto dell’itinerario ipotizzato in direzione di San Donà di Piave. L’arrivo nell’area di progetto, quindi, in questo caso, avviene discendendo da una quota più alta di circa 6 metri, cosa che permette di scorgere quasi tutto l’intervento nella sua interezza, e di intuire la presenza delle vasche d’acqua, altrimenti invisibili da quota terra. Il suddetto terrapieno è affiancato, ad ovest, da un frutteto, che oltre a implementare l’area di coltivazione del complesso, funge da zona-filtro tra la strada statale, gli edifici residenziali di via Annia e il complesso stesso, nella sua porzione dedicata alle coltivazioni. Il terreno coltivato fiancheggia tutto il
Modello di studio 1:500
prospetto sud-ovest del corpo di fabbrica principale, e come anticipato in precedenza, è delimitato da un terrapieno artificiale che segna il margine tra zona artigianale di Ceggia e l’area di progetto. Tale terrapieno asseconda, nel suo lato esterno, l’andamento digradante delle arginature delle vasche (di cui rappresenta un’ideale prosecuzione) mentre nel lato interno è strutturato su tre gradoni, di altezza circa 2 metri ciascuno, ricoperti di vegetazione, che integrano, nella loro forma, i sistemi di copertura per un’eventuale sosta, oltre a puntuali elementi di risalita che permettono di collegare un gradone all’altro. L’innesto del terrapieno nel sistema delle vasche è marcato da due setti trasversali di contenimento, tra i quali si inserisce un accesso all’area di progetto; tali setti sono scavalcati superiormente dal percorso che corre lungo tutta la sommità delle vasche e del terrapieno stesso. La parte opposta del terrapieno va a digradare in una rampa che riporta il percorso di sommità a quota terra. In corrispondenza dell’arrivo della rampa è situato un altro accesso, in questo caso dedicato esclusivamente ai mezzi agricoli, che trovano riparo sotto un’estesa copertura, ricavata anche in questo caso nel lato interno del terrapieno. Il lato est del corpo di fabbrica principale, quello cioè rivolto verso il Piavon, affaccia su un’estesa zona a prato che ripropone l’attuale condizione di continuità tra l’area ex-Eridania e l’argine del corso d’acqua. In due soli punti si è scelto di intervenire, sebbene con delle sovrapposizioni lievi, che non alterassero questa condizione. Il primo intervento consiste nel recupero di un’altra porzione del vecchio tracciato ferroviario, che qui diventa un nuovo collegamento tra la piazza antistante l’ex zuccherificio e il termine dell’intero complesso di edifici; la forma sinuosa di questo percorso pavimentato va a costituire uno dei segni più evidenti del progetto, stabilendo un dialogo tra due parti molto distanti e diverse tra loro. Il secondo intervento è la creazione di 51
una grande pedana circolare, che va a giustapporsi all’impronta lasciata sul terreno di un vecchio silos oggi demolito. Questa pedana circolare può fungere da palcoscenico per eventuali rappresentazioni o rassegne all’aperto, in combinazione con gli spalti ricavati dalla modellazione di una parte del terrapieno delle vasche. Proprio questi ultimi fanno parte di una delle soluzioni più significative dal punto di vista dell’interazione tra le varie parti dell’area di progetto, ossia il sistema di platea teatrale e rampa di risalita al terrapieno. Viene scelto il nome di “sistema” per questo insieme di elementi, poiché esso è a tutti gli effetti un unico oggetto architettonico, perfettamente in linea con l’ex fabbrica, che va quasi ad incastonarsi nel terreno rilevato, e ne consente l’attraversamento, e lo sfruttamento come teatro all’aperto, oltre a essere il principale accesso al sistema di vasche d’acqua. Questo sistema sancisce una biforcazione dell’assialità che accompagna tutto l’intervento, collegandosi alle forme curve e organiche del sistema di vasche, e, contemporaneamente, al lungo “molo” orizzontale culminante in un un belvedere all’interno dello specchio d’acqua più grande. La “testa” dell’intera area di progetto è dunque sicuramente rappresentata dal complesso delle cinque vasche, sottoposto a tutela e quindi non modificabile se non con interventi leggeri e rispettosi dell’ecosistema in esso contenuto. L’intervento più invasivo, consistente nella rampa di accesso, si è pertanto concentrato esclusivamente all’esterno, mentre nell’ambito del biotopo la scelta è stata di realizzare dei semplici percorsi di attraversamento in legno, che si sovrappongono al terreno senza interferire con esso. Anche il pontile che si estende fino al centro dello specchio d’acqua più grande trova il suo appoggio su una lingua di terra già esistente. Rimane inalterata, in quest’area, anche la vegetazione preesistente, di tipo palustre - ripariale.
2.b CORPO DI FABBRICA PRINCIPALE
Uno degli aspetti più suggestivi che sono emersi durante il sopralluogo nello stabilimento Eridania, dismesso ormai da più di dieci anni, è il carattere di “rovina” che l’edificio ha assunto, specialmente dopo la rimozione della copertura e l’abbattimento delle superfetazioni più recenti. Queste operazioni hanno sicuramente concorso ad accelerare il degrado dell’edificio, ma nel contempo hanno suggerito un punto di vista differente sul manufatto architettonico; quest’ultimo ha acquisito un rapporto più armonioso con il paesaggio, trovandosi in questa condizione molto più disgregata e permeabile. Uno degli obiettivi del progetto è stato sicuramente quello di non ignorare questi spunti, ma anzi di enfatizzarli, pur senza musealizzare lo zuccherificio alla stregua di un sito archeologico. E’ stata quindi seguita, a livello compositivo, una logica d’intervento poco aggressiva, che assecondasse le condizioni attuali dell’edificio, pur mantenendo le parti di nuova costruzione immediatamente riconoscibili e distinguibili da esso. In primo luogo, è stata mantenuta l’idea dello “scoperchiamento” dell’edificio, preservando lo scheletro della copertura (capriate e travetti di metallo), ripulita da telai e vetrate dei serramenti rimasti. In questo modo, lo spazio interno diventa, in maniera ancora più eclatante, una prosecuzione dello spazio esterno. Solo in un primo tratto dell’edificio, corrispondente nella misura alle prime tre capriate, è stata mantenuta la copertura esistente, perché in questo breve segmento essa non è stata oggetto di demolizioni negli anni passati. E’ stato fatto riferimento alla “misura” di tre capriate in quanto l’ex zuccherificio si articola in modo pressochè modulare, in accordo con la struttura interna portante composta da travi e pilastri metallici. La modularità è ripresa anche dal disegno dei prospetti, con lesene e marcapiani, e dalla struttura del tetto. Questo aspetto è un altro dato distintivo dell’edificio che si è rivelato fondamentale per ideare un progetto di riorganizzazione interna. Si è scelto infatti di inserire, all’interno del fabbricato privo di copertura, una serie di volumi di differente grandezza, la cui misura facesse riferimento allo scheletro metallico dell’edificio, integrandolo, in alcuni casi, nella stessa struttura portante del nuovo intervento. I volumi inseriti hanno un rapporto contrario alla crescita in altezza delle facciate dello zuccherificio: mano a mano che si procede verso la facciata di testa, a sud-est, le quinte del fabbricato industriale raggiungono ben quattro livelli, mentre i nuovi interventi passano da due a un piano soltanto.
La destinazione d’uso di questa porzione di edificio funge quasi da manifesto all’intero progetto: qui è contenuta, infatti, una serie di laboratori produttivi, ciascuno provvisto della propria area destinata alla vendita; dunque, una sorta di prosecuzione lineare della piazzamercato, che qui va ad arricchirsi anche dell’attività di produzione. Ciò che enfatizza al massimo la componente spettacolare di questo spazio, tuttavia, sono sicuramente i sei carpini che crescono all’interno di vasche la cui base è contenuta nella copertura dei volumi al pianterreno. Questi alberi si fanno largo all’interno della maglia strutturale in metallo dell’edificio, assecondandone la verticalità e aggiungendo all’ambiente una presenza naturale forte e inequivocabile. Essi reinterpretano il concetto di rovina aggredita dalla natura, diventando un importante elemento compositivo che segue la scansione modulare della fabbrica. Una scala priva di copertura permette l’accesso alla passerella che affianca in quota gli alberi, per tutta la lunghezza dello zuccherificio, e che oltrepassa la facciata sud-est per raggiungere una seconda scala che ridiscende a livello terra. Lo zuccherificio presenta poi diverse espansioni sulla facciata nord-est (l’ex reparto di depurazione delle polpe e, più a sud, un piccolo magazzino), oltre ad un volume completamente separato (l’ex centrale termica). In questi volumi si è scelto di ricomporre, alle quote preesistenti, i solai crollati, in modo da creare ambienti regolari e ripetibili nei vari piani, e poter configurare quindi aule didattiche, laboratori di ricerca e uffici con i relativi servizi. In particolare, l’ultimo piano del volume un tempo occupato dal reparto depurazione (attualmente composto da una struttura portante di 52
metallo rivestita da pannelli di lamiera) è stato trasformato in un volume pieno, dal tetto piano, che si inserisce come una sopraelevazione sul corpo di fabbrica sottostante, adottando un linguaggio formale diverso, ma una distribuzione simile delle forature in facciata. Anche le coperture degli altri due volumi sono state rese piane e praticabili, ottenendo così, nel complesso, tre terrazze, a quote differenti, che offrono prospettive panoramiche sul canale Piavon e sul paesaggio campestre a est della fabbrica. Il collegamento orizzontale, al pianterreno, di questi fabbricati è affidata a un lungo camminamento coperto, di nuova costruzione, che si addossa alla facciata nord-est e ne percorre quasi tutta la lunghezza, presentandosi come una sorta di “cesura” tra esterno e interno, uno spazio di attraversamento compatto e con poche aperture che opera una mediazione tra il parco lungofiume e gli spazi chiusi destinati alle varie attività. Per collegare i diversi piani in verticale è stato invece inserito, nell’angolo nord-est dell’edificio, un blocco scale dalla forma slanciata, appuntita, distinguibile dal resto della costruzione, che richiama vagamente il landmark della ciminiera ora non più esistente; si tratta di un sottile richiamo a un “segno” che affermava, anche a distanza, la presenza dello zuccherificio nel territorio. Questo blocco scale è generato, al pianterreno, da un volume scatolare di un piano, sorto sul il perimetro di un piccolo fabbricato preesistente, trasformato e uniformato al registro formale delle nuove aggiunte. Questa sorta di “piastra di raccordo”, che viene raggiunta da una delle pensiline della piazza, contiene l’ingresso alla parte di fabbrica convertita in centro studi, in modo da separare i percorsi dei fruitori dal tragitto dei clienti del mercato (continua) coperto.
0 10 20
100 m
N
MASTERPLAN 1,0
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H
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8,0 B’
B
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H’
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waterfront sul canale Piavon
sezione A-A’
sezione B-B’
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pianta piano terra
0
laboratorio didattico
accoglienza / bookshop
bar caffetteria
uffici / spazi per incubatori d’impresa
unità commerciale
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unità commerciale + unità produttiva
mercato scoperto
magazzino unità commerciale
unità commerciale
unità commerciale + unità produttiva
unità commerciale
unità commerciale
unità commerciale
unità commerciale
unità commerciale
unità commerciale + unità produttiva
pianta primo piano
laboratorio didattico
laboratorio didattico uffici / spazi per incubatori d’impresa
unità commerciale + unità produttiva
unità commerciale + unità produttiva
unità commerciale + unità produttiva
unità commerciale + unità produttiva
magazzino
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PIANTE
PROSPETTI
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prospetto nord-ovest
prospetto sud-ovest
prospetto nord-est
prospetto sud-est
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SEZIONI
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FOCUS: INGRESSO ALL’ AREA ERIDANIA E RAPPORTO CON IL CANALE PIAVON 5
10
50 m
N
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1,5
1,5
attacco a terra - stato di fatto
0,5
2,0
1,5
1,5
4,0
2,0
G
1,5
1,0
G’
1,5
attacco a terra - progetto
sezione G-G’ (rif. masterplan)
Il sistema principale di edifici del complesso ex-Eridania è poi formato da una seconda costruzione, in linea con lo zuccherificio, che ne prosegue la sagoma avendo la medesima larghezza: si tratta dell’ex magazzino dello zucchero, che si compone di una porzione più alta, a tre piani, e da una ad un piano soltanto, ambedue con tetto a falde. In accordo con la filosofia di un riutilizzo “consapevole” della fabbrica, è stato
scelto di mantenere la parte a tre livelli come magazzino delle attività produttive ospitate nel nuovo intervento. La struttura è stata quindi preservata e integrata con un dispositivo montacarichi e una scala che collegano tra loro i piani. Nel segmento di edificio più basso, invece, si è scelto di intervenire più incisivamente. Si è quindi ricavato, al suo interno, uno spazio a patio, mantenendo le pareti perimetrali esistenti, ma interrompendo a metà falda la copertura
a doppio spiovente. Le mezze falde restanti sono state sostituite da due coperture vetrate dalle stesse dimensioni e con la medesima pendenza, e si è chiuso l’ambiente sottostante tramite un serramento verticale a tutta altezza, anch’esso in vetro. E’ andato così a configurarsi un sistema di due corridoi vetrati che cingono il vuoto centrale, all’interno dei quali è possibile ipotizzare la crescita di un giardino d’inverno come ulteriore spazio di sperimentazione e ricerca. Nel
patio, la cui larghezza in pianta riprende esattamente quella degli edifici modulari inseriti nel corpo di fabbrica più grande, il piano di calpestio è rialzato di 50 centimetri rispetto ai due ambienti laterali, e un camminamento lungo l’asse centrale prosegue anche oltre la facciata sud. Su quest’ultima sono state operate due aperture che permettono il passaggio e la continuità visiva tra interno ed esterno del patio; continuità che si ritrova anche nella piantumazione delle specie arbo-
ree, che prosegue oltre la facciata senza un’evidente soluzione di continuità. La piattaforma rialzata che fuoriesce dalla serra è delimitata, a est e a sud, da una parete con rivestimento a “verde verticale” che si snoda lungo tutto il lato est del fabbricato, garantendo la coibentazione della parete (la più soggetta alle escursioni termiche e all’azione del vento). Questa parete “abbraccia” idealmente una porzione dell’edificio, scandita verticalmente da numerose
fenditure in corrispondenza delle lesene sottostanti, per poi andare a creare il vero e proprio elemento di testa di tutto il complesso dell’area Eridania. Nel fare ciò si riallaccia armoniosamente, in pianta, ai diversi percorsi che culminano a ridosso della rampa di accesso alle vasche. E’ dunque una demarcazione artificiale, ma naturale al tempo stesso, a fungere da ultimo filtro tra il costruito e lo spazio naturale.
(segue)
0
Sezione H - H’ (rif. masterplan): prospetto nord - ovest, sezione trasversale della piazza e rapporto con il canale Piavon
sezione D-D’
59
5
10
50 m
2.c SISTEMA COSTRUTTIVO CONCEPT
60
Il sistema costruttivo adottato per l’intervento deve interfacciarsi con la preesistente struttura in muratura, metallo e calcestruzzo, assecondando il più possibile la maglia di travi e pilastri che contraddistingue gli edifici industriali dell’epoca e che costituisce uno degli elementi formali più caratterizzanti dell’ex zuccherificio. Tuttavia, le nuove strutture devono anche ottemperare a criteri di reversibilità e disassemblabilità, in modo da consentire una trasformazione dell’edificio nel tempo, al variare delle esigenze relative alla sua fruizione.
a.
E’ quindi prevista una struttura mista con un‘ossatura di travi in acciaio (preesistenti), travi in legno lamellare, e tamponamenti e solai in legno OSB per tutte le parti dell’intervento che si relazionano con le murature esistenti: un sistema leggero, resistente e facilmente trasformabile senza un’eccessiva produzione di scarti, dato che molti degli assemblaggi sono di tipo meccanico. La “leggerezza” e del sistema costruttivo permette inoltre la realizzazione di sopraelevazioni che abbiano un comportamento elastico, e il cui peso non carichi eccessivamente le strutture sottostanti. b.
Una porzione del nuovo intervento, tuttavia, per essere ancora più flessibile nel tempo è completamente autoportante, con una struttura in legno lamellare che segue, nel suo disegno, l’ordito di travi e pilastri in metallo della struttura esistente, ma non vi si appoggia e lo lascia visibile. Anche in questo caso, solai e tamponamenti esterni sono in legno OSB. Il blocco scale che si innesta a nord-est sulla struttura è l’unico elemento previsto con una struttura in calcestruzzo armato. I rivestimenti e le partizioni interne sono realizzate in gesso cartonato su telaio metallico. Il rivestimento esterno dei nuovi interventi è in lamiera di acciaio ad ossidazione programmata (Corten), che si accorda con il carattere fortemente industriale dell’edificio ma nel contempo rende estremamente riconoscibili i volumi di nuova costruzione.
a. Schematzzazione dei diversi sistemi costruttivi adottati nelle varie porzioni dell’intervento nell’ex zuccherificio b. Esploso in assonometria del pacchetto funzionale relativo a una parete esterna c. d. Due riferimenti: - Cittaarchitettura, “Tecnopolo”, ex Officine Reggiane, Reggio Emilia, 2013-14 - Fernando Alda, “Riqualificazione del parco Victoria Kent”, Camas, Siviglia, Spagna, 2010-11 c.
d.
61
2.d DETTAGLI Planimetria dell’attacco a terra con indicazione delle sezioni significative considerate e dell’impiego delle diverse tecnologie costruttive
0
5 10
X Y Y’
X’
Sezione significativa X-X’ (1:200) con indicazione dei dettagli costruttivi analizzati
Carpinus betulus Carpino bianco
1 2
3
62
50 m
RAPPRESENTAZIONE DI 3 NODI FUNZIONALI NELLA SEZIONE SIGNIFICATIVA X-X’ - SCALA 1:50
Connessione parete verticale esterna / copertura con dettaglio delle vasche di terra
1 Doppia membrana bituminosa incrociata mm 4+3
Ghiaia di fiume
Strato protettivo con materassino in fibra di legno mm 30
Doppia membrana bituminosa incrociata mm 4+3
Vasca di contenimento in lamiera di rame 10/10
Tavolato in OSB 4 spess. mm 15
Terra di coltivo con impianto di irrigazione
Riempimento con coibentazione in lana minerale spess. cm 16 dens. 160 Kg - mc Profilo in legno RVHdim 60x160
Feltro separatore immarcescibile in tnt
Doppio tavolato in OSB 4 mm 15+15
Strato in argilla espansa
Travi in legno lamellare KVH dim. 120x240 Bocchettone di drenaggio
Bocchettone di drenaggio
Attacco a terra di una parete verticale esterna
2
Attacco a terra di una parete verticale esterna
3
Lamiera in Corten-A spess. mm 12
Sottostruttura in profilo di alluminio dim. mm 75x100 Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Isolante in fibra di legno dens. 50 kg - mc Profilo in legno KVH dim. mm 160x60
Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Lamiera in Corten-A spess. mm 12
Sottostruttura in lamiera zincata da mm 6 dim. mm 75x50 Pannello in magnesite stuccato e dipinto spess mm 12
Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Massetto in cls armato e fibrorinforzato addittivato con quarzo e ossidi naturali, frattazzato e rifiniti con resine densificanti e cera acrilica spess. cm 8
Isolante in fibra di legno dens. 50 kg - mc Massetto in cls armato e fibrorinforzato addittivato con quarzo e ossidi naturali, frattazzato e rifiniti con resine densificanti e cera acrilica spess. cm 8
Massetto alleggerito per protezione impianti spess. cm 10 Pannello in polistirene sinterizzato e preformato per alloggiamento impianto riscaldamento a pavimento spess. cm 8
Massetto alleggerito per protezione impianti spess. cm 10 Pannello in polistirene per alloggiamento impianto riscaldamento a pavimento spess. cm 8
Massetto ripartitore in cls spess. cm 10
Massetto ripartitore in cls spess. cm 10 Vespaio in ghiaione di fiume costipato spess. cm 40
Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Pannello in magnesite REI 60 stuccato e dipinto spess mm 12 Barra metallica con sigillante chimico per ancoraggio a fondazione Connettore metallico hold-down per ancoraggio parete
Vespaio con elementi modulari in materiale plastico rigenerato H 35
Soletta di fondazione in cls armato spess. cm 200
Mod
Tub antig
Agg
Can
Vas imp filtra
Tas
Trav
Doppio profilo in legno KVH dim. mm 160x60 fissato alla fondazione con connettore in acciaio e fissaggio chimico Guaina bituminosa armata spess. mm 4
Barra in acciaio per connessione a fondazione esistente
63
Sezione Y-Y’ (1:50) sezione significativa Y-Y’verde della parete verde sezione-tipo della parete modulare modulare (scala 1:100)
Modulo della parete verde (1:20)
Lamiera in Corten-A spess. mm 12 Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Isolante in fibra di legno dens. 50 kg - mc Pannello in OSB 4 spess. mm 15 Pannello in magnesite REI 60 stuccato e dipinto spess mm 12 Barra metallica con sigillante chimico per ancoraggio a fondazione Connettore metallico hold-down per ancoraggio parete
Modulo di sostegno in acciaio zincato
Tubazione di adduzione liquido antigelivo (glicole propilenico) Aggancio maniglia di sollevamento Canalina metallica di drenaggio Vasca di contenimento con membrana impermeabilizzante in PVC e feltro filtrante Tasselli di fissaggio Travetto in legno lamellare del telaio
Prospetto nord-est dell’ex magazzino (1:500) Modulo di sostegno in acciaio zincato
Tubazione di adduzione liquido antigelivo (glicole propilenico) Aggancio maniglia di sollevamento Canalina metallica di drenaggio Vasca di contenimento con membrana impermeabilizzante in PVC e feltro filtrante Tasselli di fissaggio Travetto in legno lamellare del telaio
La “parete verde” del progetto si snoda lungo tutto il prospetto nord-est del fabbricato dell’ex magazzino. Oltre ad essere un elemento di sicuro impatto visivo, il verde verticale funge da protezione e garantisce isolamento termico all’ambiente interno, in corrispondenza della parete perimetrale maggiormente soggetta alle escursioni termiche e all’azione del vento. Il sistema scelto per questo specifico caso si basa su un telaio in legno lamellare, fissato alla parete in mattoni sottostante in corrispondenza delle lesene, a cui vengono ancorati degli elementi modulari metallici, ciascuno composto da una vasca amovibile contenente la terra da piantumare, un pannello grigliato per la crescita delle piante rampicanti e un sistema di irrigazione munito di impianto antigelo. In corrispondenza degli ancoraggi del telaio alle lesene sono state mantenute delle aperture a tutta altezza, che scandiscono il disegno del prospetto e consentono nel contempo l’aerazione dell’intercapedine tra parete perimetrale e contro-parete, mantenendo asciutto il sistema e scongiurando l’eventualità di ammaloramento dei materiali. Questo tipo di parete verde non sfrutta la coltura di tipo idroponico (abbastanza diffusa in questo tipo di soluzioni), per privilegiare la crescita su terra, anche completamente spontanea e non programmata, di piante erbacee e specie rampicanti appartenenti al territorio.
2.e MODELLO 1:500 - FOTOGRAFIE
66
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