il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano La Rubrica - Up & Down Nba News
You can’t C Me
Chi salvera’
i Blazers?
IL LIBRO SULLA ST ORIA RECEN TE DELLA JUVECASERTA IN VENDITA ANCHE ON LINE SCRIVENDO A info@a40m inutidalparadiso.c om
FOCUS - CHI SALV A I TRAIL2BLAZER S
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OCCHI PUNT ATI SU LE NUOVE REGOLE NBA
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ROOKIE TIME EVAN TURNER
Stars ‘N’ Stripes ideato da: scritto da:
Domenico Pezzella Alessandro delli Paoli
IL PERSONAGGIO RAS HARD LEWIS
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IL PROFILO RUDY GAY
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MADE IN ITALY JONAS MACIULIS
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L’A NA LI SI CHAR LOT TE BOB CATS
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LO STUDIO DESAPARECIDOS: DAJUAN WAGNER
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Bennedetto Giardina Raffaele Valentino
Nicolò Fiumi
Domenico Landolfo
Stefano Panza
Vincenzo Di Guida Guglielmo Bifulco Stefano Livi
info, contatti e collaborazioni:
Lorenzo de Santis
domenicopezzella@hotmail.it
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E’ già terminata la ‘favola’ di Por tland? FOCUS
Ripartire, ritrovare se stessi, ricompattarsi come squadra, questi alcuni degli obbiettivi che i Blazers si pongono dopo un viaggio ad East, andato peraltro molto male con brutte sconfitte sul campo dei New Jersey Nets e dei Sixers ma con una parziale rivincita sul campo dei Celtics dove, seppur sconfitti, hanno dimostrato carattere e voglia di lottare, ora rimane Washington e poi si torna a casa, per evitare che la striscia di sconfitte, ora di 5 partite, continui fino a compromettere la stagione. Ma ci si potrebbe chiedere perchè una squadra giovane ma comunque vincente nelle ultime stagioni, abbia bisogno di affrontare questo processo di parziale ricostruzione. Iniziamo da quest'estate, in cui la società resta sostanzialmente a guardare da spettatrice una delle sessioni di mercato più bollenti della storia, vuoi
perchè il nucleo della squadra c'è ed è in età verde vuoi perchè il nuovo general manager Rich Cho, assunto poco prima del draft, non aveva grande spazio salariale, le nuove facce di questa stagione sono i soli Wesley Matthews, proveniente dai Jazz e firmato per 5 anni e il rookie Armon Jonhson. Le vere novità sono avvenute
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L ORENZO ORENZO
dietro la scrivania, infatti oltre al già citato Cho sono è cambiato quasi tutto lo staff dirigenziale. Se pochi sono arrivati, nessuno è partito, nemmeno quel Rudy Fernandez che avrebbe fatto carte false per cambiare aria, e dunque coach Nate McMillan ha ritrovato praticamente la stessa squadra della scorsa stagione, con gli
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stessi punti di forza ma anche con le stesse debolezze, a partire da un parco giocatori che passano più tempo in infermeria che in campo, tanto da far venire qualche dubbio sulla bontà dello staff medico. Arriviamo allora alla stagione attuale, dove il record di 8 vittorie a fronte di 10 sconfitte non sembra ricalcare il valore reale della
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squadra, anche se il calendario è stato piuttosto ostico, Trovare le ragioni di una simile involuzione potrebbe essere semplice giudicando il con 12 delle 19 gare fin qui rendimento del giocatore disp ut a t e in t r a s f e r t a e più rappresentativo della molte sconfitte, tra le quali squadra, quel Brandon Roy il 98-96 contro i Nets e il 95scelto nel draft 2006 alle 99 con i Celtics, sono arrivaspalle del nostro Andrea te al fotofinish. Proprio queBargnani, che complici sto uno dei grandi problemi numerosi problemi fisici, che coach McMillan deve quest'anno non sta andando risolvere, infatti nelle ultime oltre i 18.3 punti di media partite (Boston esclusa), I con il 42% dal campo e solo Blazers negli ultimi quarti 2.6 assist e non sta dimohanno subito la bellezza di strando quella leadership quasi 30 punti di media, a che da lui ci si aspettava fronte di appena 17.3 segnaquando appena 2 estati fa fu ti, vanificando quindi buone firmato per 5 anni al massigare negli ultimi 12 minuti mo salariale.Vedendolo giodi g i o c o . S p es s o i n f a t ti, care, Roy non sembra felice Po r t l a n d s i t r o va s o p ra della sua situazione, tanto anche in doppia cifra inida non nascondere un “mal ziando l'ultimo periodo, e di pancia” dovuto probabilproprio allora sembra stacmente alla co mpetitività carsi la spina con un attacco limitata della sua squadra statico che non riesce più a nella ostica Western trovare la via del canestro, Conference, dove difficilcon numerosi tiri che arrivamente anche quest'anno si no sulla sirena dei 24 seconandrà oltre il primo turno di di. Se l'attacco soffre, nemplayoff, se playoff saranno. meno la difesa se la passa Ne ll'occ hio del ciclone troppo bene, concedendo anc he la panchina, che agli, avversari medie dal porta alla causa meno di 20 campo di circa il 50%, decisamente troppo se si vuole avere successo nell'NBA. punti a partita, con i vari Fernandez, Batum e
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Cunningham che non sembrano all'altezza dei primi 5 giocatori che entrano in campo e un pacchetto lunghi piuttosto leggerino, composto da Aldridge, Camby e Sean Marks considerate però le assenze di Greg Oden e Joel Przybilla, nei piani iniziali centro titolare e riserva. Nota positiva sicuramente il già citato Wesley Matthews, che nelle ultime partite sta viaggiando a oltre 20 punti di media, ma va detto che ora come ora le
opzioni offensive latitano. Spetta come sempre all'allenatore, Nate McMillan, alla sua 5 stagione sulla panchina dei Blazers, che deve riunire la squadra verso comuni obbiettivi, sperando nei ritorni al top della condizione di giocatori importanti come Roy e Przybilla (Oden ha concluso la sua stagione) e nella definitiva esplosione di Nicolas Batum, giocatore dal potenziale strabordante che ha mostrato ad intermittenza.
TUTTI I NUMERI DI BRANDON ROY
TUTTI I NUMERI DI WES MATTHEWS
La maledizione della prima scelta si abbatte ancora contro i Portland TrailBlazers Quando si sceglie un giocatore con la prima scelta assoluta al draft, si va incontro a numerose incognite, infatti se questo giocatore non rende come ci si aspetta è facile che chi lo ha scelto debba cambiare mestiere. La storia dell'Nba è piena di prime scelte che si sono rivelate delle grandi delusioni, o comunque non hanno reso meglio di atleti scelti dopo di loro. Ultimo caso in ordine cronologico è quello di Greg Oden, draftato con la numero 1 nel 2007 dopo una stagione strabordante ad Ohio State chiusa con 15.7 punti e quasi 10 rimbalzi ed oltre 3 stoppate. Da quel 28 giugno del 2007, Oden ha giocato in 4 stagioni appena 82, gare, ripartiti in due annate. Infatti il suo primo anno lo salta completamente per un microfrattura alla cartilagine del ginocchio destro, nel secondo salta oltre un mese per ulteriori problemi alle ginocchia e il 5 dicembre 2009 si rompe la rotula del ginocchio sinistro in una partita contro I Rockets, terminando anzitempo la sua stagione. La sfortuna però non abbandona questo giocatore che il 17 novembre 2010, quasi al termine della sua riabilitazione subisce una nuova microfrattura alla cartilagine del ginocchio, stavolta però quello sinistro. Certo che il ragazzo è ancora giovane, ma a soli 22 anni dovrà già cambiare il suo stile di gioco, passando da essere uno schiacciatore e stoppatore impressionante a un giocatore che trova i suoi punti sotto il ferro, implementando il suo bagaglio tecnico e aggiungendo della sagacia tattica. Cosa sicuramente complicata, perchè oltretutto non stiamo parlando di un giocatore già affermatosi al panorama Nba, ma di un ragazzo che non ha mai, per varie ragioni, fatto
parlare di se per ciò che faceva sul campo. Ora anche la franchigia dei Blazers si trova a uno snodo fondamentale, dovendo decidere in estate se rinnovare la fiducia a Oden con un estensione contrattuale o “scaricare” una prima scelta al draft che doveva portare, nei piani della dirigenza, la squadra al livello delle migliori 3-4 squadre della lega. Una soluzione che potrebbe essere una via di mezzo tra le due citate sarebbe quella di firmare il ragazzo con un contratto annuale, in modo da stimolarlo a far meglio e comunque dandogli una nuova possibilità. Umanamente non può che dispiacere per questo ragazzone, che ancora una volta si trova a dover affrontare una lunga e faticosa riabilitazione, sperando, al suo ritorno, di poter mostrare finalmente il suo valore sui campi Nba.
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OCCHI PUNTATI SU...
B Ba as st ta a e e e ec cc co o l le e r re eg go ol le e
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DI
N ICOLO ’ F IUMI
Da sempre la NBA ha un occhio di riguardo molto attento alla propria immagine che riflette al resto del mondo. Si parla, del resto, di un business multi miliardario e che attira su di se l’interesse di milioni, se non miliardi, di appassionati di tutto il mondo, e dunque è necessario non crearsi una brutta nomea. Come stava accadendo nel periodo precedente l’approdo di David Stern a capo della Lega con la L maiuscola, quando le risse in campo erano all’ordine del giorno e la NBA sembrava un campionato per i cosidetti gangsta-players piuttosto che per veri campioni. Poi, come detto, con l’arrivo dell’avvocato da New York, le cose si sono messe ad andare in una direzione molto diversa, facilitate anche dallo sbarco di campioni come Magic Johnson, Larry Bird, Isiah Thomas e Michael Jordan, con le loro leggendarie rivalità. Ma, dopo il ritiro dell’innarrivabile numero 23, le cose, lentamente, hanno ripreso a prendere una piega sbagliata.
Niente più teatralità nel dimostrare la propria disapprovazione e poche parole anche con i direttori di gara. La sanzione? Tecnico e multa salata
e ec cc ce es ss si i, , e e n nu uo ov ve e e e N Nb ba a
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Sempre di più erano i giocatori talentuosi ma indisciplinati, l’arrivo di molti giovani dalle high school faceva giungere al professionismo ragazzi ancora immaturi e in campo gli atteggiamenti riprovevoli si moltiplicavano. Squadre come i famigerati Portland “Jail” Blazers sono nella memoria recente di tutti quanti. La mega rissa di Auburn Hills del 2004 fu poi la goccia che fece traboccare il vaso e portò a un primo inasprimento delle regole sul campo nella stagione 2006/2007, quando venne dato potere agli arbitri di essere più severi con i giocatori eccessivamente lamentosi. Giro di vite che, in verità, non sortì grandi effetti. Da allora a oggi sono passate tre stagioni dove all’Olympic Tower le cose non devono essere piaciute molto, arrivando così ai giorni nostri, all’inizio della stagione 2010/2011, quando David Stern e il suo vice, Stu Jackson , preso atto di una situazione, a loro parere, fuori controllo per quello che riguarda il comportamento dei giocatori nei confronti degli arbitri, hanno deciso di istituire una politica che potremo quasi definire di “tolleranza zero” contro ogni tipo di dissenso verso i direttori di gara. “Lo facciamo perchè vogliamo che tutti quanti siano responsabili dell'immagine che diamo della nostra Lega – il commento di Jackson Vogliamo mandare un messaggio forte e ridurre al minimo le proteste dei giocatori, sensibilizzando tutti al rispetto per il gioco" , aggiungendo poi che “la mentalità di ogni giocatore deve essere quella di astenersi dal protestare e concentrarsi solo sul gioco. Disponiamo di una grande Lega con grandi giocatori. Cerchiamo, quindi, di impegnarci per migliorare gli attacchi, le difese ed essere competitivi al massimo. Le proteste non fanno parte di questo gioco. Lamentarsi non ha mai portato un fischio a trasformarsi in un non-fischio o viceversa”. Sulla carta i provvedimenti presi sono stati quelli di dare un margine di protesta ristrettissimo ai giocatori, quasi nullo, ritenendo meritevoli di fallo tecnico i seguenti atteggiamenti: Qualsiasi tipo di mimica aggressiva, come alzare i pugni in aria, in qualsiasi zona del campo;
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Mostrare disapprovazione verso l’arbitro in qualsiasi modo, come per esempio portarsi le mani alla testa in segno di incredulità; Correre direttamente verso l’arbitro per lamentarsi di una chiamata o di una non chiamata; Eccessive richieste di spiegazioni, anche in tono civile; Regole alle quali sono state affiancate nuove e più pesanti sanzioni pecuniarie, così ripartite: 2,000 dollari di multa fino al quinto fallo tecnico; 3,000 dollari di multa dal sesto al decimo; 4,000 dall’undicesimo al quindicesimo; Una giornata di squalifica più 5,000 dollari di multa per ogni fallo tecnico dal sedicesimo in poi; In sostanza, queste regole, rispecchiano effettivamente le parole di Jackson: un giocatore non deve minimamente pensare agli arbitri, ma solo al gioco, anche se rimane un minimo margine di dialogo, confermato da Ron Johnson, vice presidente delle “referees operations” della NBA, il quale ha fatto sapere che “la NBA vuole che arbitri e giocatori, comunque, parlino e si confrontino per capirsi l’un l’altro. E se questo non è un fatto che distrae dalla partita, allora ben venga.” Il punto su cui, però, tutta la direzione della NBA ha fatto leva per giustificare questa presa di posizione è uno, preciso e specifico: il rapporto con i tifosi e l’idea che essi possono farsi dei giocatori e della Lega. Come infatti dicevamo in apertura, un istituzione come la NBA deve essere sempre attentissima a curare la propria immagine nei confronti di chi la guarda e, di conseguenza, la finanzia. A sentire le parole dei grandi capi, si era arrivati a un punto di allarme rosso. Sempre Stu Jackson ha dichiarato: "Una ricerca tra i tifosi ci ha mostrato come in molti ritengano che i giocatori NBA si lamentino troppo e in misura maggiore rispetto ai giocatori delle altre leghe sportive e, rivedendo le partite, abbiamo notato questo grande ammontare di proteste nei confronti degli arbitri, sia per fischi sbagliati che per quelli mancati" concetto rafforzato anche da Ron Johnson che sostiene invece come “nella NBA i giocatori
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abbiano un collegamento molto più diretto col pubblico. Non ci sono maschere che ti proteggono (come nell’hockey o nel football), non c’è nulla che possa nascondere la tua espressione. I tifosi si aspettano di vedere i giocatori di hockey che fanno a botte, i manager del baseball che litigano con gli arbitri. Ma questo non è il nostro caso, non è quello che i tifosi vogliono vedere e ce lo hanno fatto capire molto bene, pertanto credo sia giusto fare il possibile per venire incontro alle loro esigenze, visto che alla fine si parla sempre di un business. Se ti lamenti cinque, sei volte con un arbitro, magari visto da dentro l’arena non sembra niente di che, ma in televisione, dove l’attenzione è tutta su di te, fa un pessimo effetto.” Neanche a farlo apposta, si finisce a parlare sempre di soldi, di business, di interessi. Ma sappiamo bene come sia la realtà americana. Parliamo ora dei giocatori. Se dalle stanze dei bottoni le opinioni sono ben chiare e inflessibili, cosa ne pensanso, invece, i protagonisti che vanno in campo sera dopo sera di questa nuova politica della NBA? “ Non si possono eliminare le emozioni dal gioco del basket. Credo che presto i tifosi e tutti quelli che ci guardano e capiscono di questo sport si renderanno conto che c’è un problema.” firmato, LeBron James, alias il due volte MVP in carica della Lega spalleggiato anche da Michael Beasley, dei Minnesota Timberwolves: “E’ una decisione che ha dei pro e dei contro. Certo, alcune volte devi solo stare zitto e concentrarti sulla partita, ma penso che per il bene dei tifosi e di chi ci guarda, sia giusto vedere anche un po’ di emozioni in campo ogni tanto. Non credo che mi vogliate vedere giocare sempre con la stessa espressione, dando l’impressione di farlo senza divertirmi.” Come era prevedibile, le nuove disposizioni hanno incontrato un netto scetticismo da parte dei giocatori che in questo inzio di stagione, probabilmente ancora abituati al vecchio regime, hanno dimostrato di fare una discreta fatica ad adattarsi. Al primo di dicembre, infatti, le statistiche ci raccontano come, in 271 partite giocate, siano stati sanzionati 188 falli tecnici (384 mila dollari di sanzioni totali…), 0,69 a partita, che, parametrati su un intera stagione porterebbero il totale
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a 853, contro i 741 totali dell’anno scorso. I capoclassifica tra i singoli sono Carmelo Anthony, 17 partite giocate, e Dwight Howard, 18 partite giocate, entrambi a quota 8. Anthony l’anno scorso chiuse a quota 13 tecnici in 69 partite, mentre Howard finì nuovamente primo, affiancanto da Rasheed Wallace (c’erano dubbi?), a quota 17 in 82 gare. Ai ritmi di quest’anno, il numero 15 dei Nuggets finirebbe l’anno a quota 38 falli tecnici, accumulando così 160 mila dollari di multe e 23 partite di squalifica, mentre a Superman andrebbe solo leggermente meglio, con 36 falli tecnici, da cui scaturirebbero 150 mila dollari di multa e 21 partite di squalifica. Se è vero che il nuovo regolamento dovrebbe rendere più gradevole la fruizione di una partita di basket per il tifoso medio, cosa dovrebbero dire i sostenitori di Nuggets e Magic privati dei propri migliori giocatori per un terzo della stagione? Anche l’adattamento degli arbitri, comunque, al momento mostra il fianco a diverse critiche. I casi di tecnici o, peggio ancora, espulsioni quanto meno particolari cominciano ad essere abbastanza numerosi. E’ il caso di Lamar Odom, sanzionato di fallo tecnico in una gara contro i Suns dopo un suo canestro con fallo subito al quale ha fatto seguire lo sventolio del pugno in aria. In segno di esultanza però. L’arbitro ha frainteso e il numero 7 di Phil Jackson ha lasciato lì anche 2 mila presidenti spirati. A Rip Hamilton, invece, è andata decisamente peggio. In un partita contro i Lakers, è stato espulso per doppio fallo tecnico dopo ben 4:59 di gioco. La sua colpa? Aver parlato troppo con un arbitro. Nessuna protesta plateale, ne urlo o comportamento fuori dalla norma. Solo “eccesso di parola”. E conseguente espulsione. Insomma, certamente le cifre viste sono figlie di questo primo periodo di nuove regole a cui tutti devono fare il callo, ma se, per evitare che i giocatori si lamentino troppo con gli arbitri, devono volare tecnici come se piovesse e fra qualche mese, quando tanti giocatori arriveranno verso la soglia dei 16 falli tecnici, dovremmo vedere partite “azzoppate” per la mancanza di tante stelle troppo chiaccherone, allora, forse, è il caso di rivedere un attimo la situazione.
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ROOKIE TIME
L L’’e et te er rn no o s se ec co on nd do o:: E Ev va an n T Tu ur rn ne er r
Soprannominato cosi sin dai primi ‘mock’ dello scorso Draft Nba. Puntualmente dietro a Wall a giugno ed ora anche in campo
Che il salto dalla NCAA alla NBA non sia facile, è cosa nota. Non sarebbe certo la prima volta che un collegiale non riesce ad affermare subito il suo potenziale al piano di sopra, ma su Evan Turner le speranze erano decisamente diverse. Sin dai primi mock draft era considerato “l'eterno secondo”, preferito nettamente a John Wall, ma la maggior parte degli addetti ai lavori non esitava a
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B ENNY ENNY G IARDINA IARDINA
vederlo più pronto, nell'immediato, rispetto all'attuale playmaker dei Wizards. Previsione, finora, completamente sbagliata, visto che l'ex Kentucky è già protagonista a Washington, mentre la guardia dei Sixers ancora deve ambientarsi in una squadra dove la concorrenza tra gli esterni è alta. L'ultima stagione all'Ohio State University lo aveva consacrato come una delle migliori promesse del basket NCAA, chiudendo con medie straordinarie: 20.4 punti, 9.2 rimbalzi 6.0 assist e 52% dal campo, con questo biglietto da visita si è presentato al draft 2010, convincendo i Sixers a puntare su di lui per la riprendersi dopo un'annata storta. Le aspettative iniziali, però, vengono messe in dubbio sin dalla Summer League, con Turner atteso tra i protagonisti principale, salvo poi rivelarsi una delle più grandi delusioni. Con soli 9.9 punti di media, oltre ai 2.8 assist e 3.3 palle perse, la nuova guardia di Philadelphia ha sorpreso in negativo tutti quelli che avevano puntato su di lui, e in preseason la situazione non è certo migliorata. Chiudendo con 7.7 punti, 3.7 assist e 5.8 rimbalzi di media, non è riuscito a conquistare la fiducia di coach Doug Collins, che ha preferito relegare il rookie in panchina nelle prime apparizioni in regular season, giudicandolo ancora incompatibile con Holiday e Iguodala: «Non riesce ad esprimersi al meglio [con Iguodala e Holiday]. Non riesce a trovarsi bene quando la palla non va a lui. Così, a livello offensivo, è soltanto un tiratore, e non è assolutamente il suo miglior ruolo». Nonostante un inizio di stagione altalenante, per Turner arriva subito l'opportunità per mettersi in mostra da titolare, contro i Knicks, approfittando dell'infortunio di Iguodala. Risultato? Doppia doppia da 14 punti e 10 rimbalzi, buona difesa sugli esterni newyorkesi e canestri pesanti per siglare la seconda vittoria stagionale dei Sixers, con buona pace dei tifosi Sixers che sembrano potersi permettere di aspettare il rientro di Iguodala senza fretta. Nel match successivo contro i Thunder arrivano altre conferme, ma da lì in poi a farla da padrona è l'incostanza, e col rientro di Iguodala inizia a trovare meno spazio. Il rookie da Ohio State continua a mostrare scarsa precisione al tiro, andando in doppia cifra solo una volta (a Washington, 11 punti) e Philadelphia continua a sprofondare, in quella che sarebbe dovuta essere la stagione del rilancio. È chiaro che la giovane guardia dei Sixers non sia ancora pronta ad essere protagonista in quetsa stagione, a differenza dei suoi
avversari Wall e Griffin, ma, anche se a sprazzi, ha mostrato di essere comunque un buon prospetto per il futuro. La sua crescita è in mano a Collins, che finora comunque ha cercato di dargli fiducia, e soprattutto nelle mani della dirigenza dei Sixers. Ormai questa squadra, verosimilmente, ha ben poche ambizioni, e resistere alle pressioni di Iguodala può essere dannoso. Se dovessero cedere la loro stella per ricostruire da capo, i Sixers potrebbero diventare la squadra ideale per Turner, che in un colpo solo troverebbe spazio nel ruolo di guardia, ma soprattutto zero pressioni, in una squadra senza alcuna velleità di qualificarsi ai playoff.
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IL PERSONAGGIO
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Cerc disperat Rashard DOPO LA FINALE NBA CON I LAKERS, L’EX SEATTLE SONICS NON E’ STATO PIU’ LO STESSO, ORA PIÙ CHE MAI
Venti milioni di dollari per 12 punti a partita, 0.84 punti per ogni milione di dollari. Sopravvalutato sarebbe il primo aggettivo che ci viene in mente, ma Rashard Lewis è tutto tranne che un sopravvalutato. Magari strapagato, perché un contratto da 120 milioni di $ per 6 anni lo valgono soltanto i grandi del gioco. Ma finora Rashard aveva comunque rispettato il contratto firmato con i Magic 3 anni fa, onorandolo con delle presta-
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casi tamente d Lewis
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R AFFAELE AFFAELE VALENTINO ALENTINO
zioni davvero eccellenti, come nella stagione 2008-2009 dove con 17 punti di media era risultato il secondo miglior scorer della squadra dopo Dwight Howard, guadagnandosi pure la convocazione per il suo secondo AllStar Game (il primo l’aveva giocato nel 2005 ai tempi dei Seattle Sonics). Ma non era stata la regular season giocata ad impressionare, bensì i playoff, dove Rashard è risultato decisivo per il raggiungimento della finale da parte dei Magic. Con il suo tiro da fuori aveva letteralmente spaccato in due le difese di Boston prima e Cleveland poi, segnando anche il canestro decisivo in gara 1 della finale di Conference contro l’allora squadra di Lebron James. Purtroppo per lui la corsa di quei Magic si fermò contro Kobe e i suoi Lakers, ma Lewis ha comunque dimostrato di poter essere una pedina fondamentale nello scacchiere dai Magic. Lo scorso anno invece Rashard è partito con il piede sbagliato: sospensione per le prime dieci giornate dopo essere stato trovato positivo al test contro l’assunzione degli steroidi. Dopo le scuse di rito da parte dell’ex Sonics, il suo rendimento in regular season è calato drasticamente, “solo” 14 punti a partita. Nei playoff è andato addirittura peggio segnandone solo 12.9 di media, venendo letteralmente annullato da Kevin Garnett nelle finali di Conference. Questa doveva essere la stagione del riscatto per Lewis ma le prime 20 partite da lui giocate sembrano confermare tutto il contrario. 12.5 punti, 4.4 rimbalzi e solo 1 assist a partita, ma più che le cifre ci interessa fare notare come Lewis appaia poco coinvolto nei giochi di coach Stan Van Gundy. Sarebbe davvero un peccato per i Magic rinunciare all’apporto un giocatore così atipico, che permette molti mismatch in campo grazie alle sue qualità: impiegato da ala piccola con la sua altezza può portare il difensore in post basso, mentre da ala grande può portare il difensore fuori dall’area e batterlo o in velocità o con l’altra sua arma, il tiro da 3 punti. Crediamo che comunque Van Gundy farà di tutto per coinvolgere maggiormente il nativo di Houston e riportarlo sulla retta via, anche perché è dalle sue mani che passa il destino dei Magic.
QUEST LE CIFRE NE
...LE CIFRE IN QUESTA STAGIONE...
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IL PROFILO
Rudy Gay è l’uomo giust per il futuro dei Gri
Gregario di lusso o potenziale superstar? Non servono ulteriori preamboli a qualunque discorso possa riguardare l’ala piccola dei Memphis Grizzlies Rudy Gay, se non porsi la domanda su cosa potrà diventare il numero ventidue dei Grizzlies nella lega. La crisi d’identità che nelle ultime stagioni ha pervaso il giudizio sul ragazzo, gli ha inevitabilmente creato un immagine poco consona ad un giocatore da massimo salariale, a dispetto dell’avergli appicicato addosso l’etichetta di un talento cristallino tanto abbagliante e bello da vedere quanto fine a se stesso,
un tantino “overpayed” dalla sua proprietà, sulla scia del folle consumismo dei proprietari delle franchigie NBA. Ma al di là delle leggende e delle dicerie, nella sostanza andiamo ad analizzare un giocatore che in un contesto eternamente perdente come quello della squadra del Tennessee, eppure estremamente talentuoso e promettente, porta numeri abbastanza inequivocabili, che recitano più di ventuno punti a gara, con 6 abbondanti rimbalzi, 2 assist e quasi un paio di stoppate e rubate ad allacciata di scarpe. Il tutto con rispettabilissime percentuali, 48 %
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G UGLIELMO UGLIELMO B IFULCO IFULCO DI
to izzlies
dal campo, 41 % da tre punti, 83% dalla lunetta. Bastassero solo queste statistiche a parlare per lui, potremmo semplicemente ritenerlo un giocatore sensazionale, ma nel caso dello slanciato Gay si è sempre portati a pensare a quanto egli non abbia la stoffa mentale giusta per compiere il definitivo passo in avanti e quindi a quanto non sia in grado di
rispettare il proprio talento, talmente notevole da scomodare, nel corso degli anni, paragoni con Pippen e McGrady, due “ex” (uno, vabbè..) alquanto devastanti e decisivi durante il loro rispettivo “prime”. Osservando semplici skatches delle partite di Gay si nota una somiglianza nella grazia di movimento con i due nomi appena citati abbastanza netta: il passo felpato, rapido, lungo e supportato dal buon trattamento di palla lo rende una delle ali piccole più dinamiche ed incisive della lega. La tendenza ad ammazzare le partite creando dal palleggio sottopressione non è parte dello stile del ventiquattrenne da Baltimore, giacchè Rudy ha bisogno di essere innescato dal suo sistema offensivo per trovare il “ritmo giusto”, che consta di soluzioni dinamiche che spezzano la difesa schierata. Dovrebbe e potrebbe essere potenzialmente un faro, un punto di riferimento per il suo team, ma vive della luce riflessa dei suoi compagni di squadra, probabilmente per un livello di intensità emotivo poco marcato, e questo ne impedirà quasi definitivamente la consacrazione fra i primi della lega. Dal punto di vista tecnico gli si può giusto rimproverare una scarsa visione di gioco, testimoniata dall’esiguo numero di assist smazzati per i compagni. Assodato che non tutto ciò che luccica è oro, non possiamo che non esimerci dal valutare anche il positivo rovescio della medaglia: quello che infatti non è assolutamente compromesso, è il giudizio globale sul suo valore assoluto come cestista, che è assolutamente eccelso e che può portarlo tranquillamente ad essere inserito, negli anni a venire, in un contesto di franchigia NBA con ambizioni di argenteria, come pedina impiegabile in quintetto base, oppure portando energia, qualità ed atletismo per ambo le fasi dalla panchina; immaginarlo ad esempio a Boston a fare da chioccia a Paul Pierce o ai Lakers a cambiare Artest in fase difensiva, ma soprattutto offensiva rende l’idea di quanto il suo talento prima o poi lo porterà ad essere considerato come una pedina necessaria per un perfetto ingranaggio difesa/attacco di un quintetto aspirante all’anello NBA. Il problema, triste dirlo, è che Memphis lo ha re-imprigionato questa estate rifirmandolo per sfruttare i suoi freschi 24 anni di vita. Gli orsi, tuttavia, ad ora possono garantirgli una buona base tecnica per crescere con ambizioni elevate, certamente la strada è ancora in fase di salita, ma ancora non è tempo di pianti o rimpianti. Un contorno con nomi del calibro di Marc Gasol, Zach “zibo” Randolph, OJ Mayo può essere una polizza più che soddisfacente per il prossimo lustro, oltre il quale il destino gli mostrerà il conto, quello giusto. Ciò di cui possiamo rimanere sicuri è che prima o poi, non sappiamo dove, ma il suo nome potrà cambiare molti equilibri nella geografia delle contenders. Fino ad allora non potremo che ammirare il suo talento seducente, barolabile e di fine consistenza nella città di Elvis.
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L’ANALISI
Charlotte Bobcats
Che est fosse quest'anno una polveriera lo sapevano in tanti, che anche Larry Brown volesse accendere qualche miccia a maggior ragione era preventivabile, ma che il crollo dei Bobcats fosse così verticale, davvero non ce lo so aspettavamo. Squadra altalenante tra bel gioco e belle vittorie, poi capace di essere annientata dal go to guy di serata. Sei vittorie e undici sconfitte, una marcia zoppa e davvero incoerente, specie se ci aggiungiamo il gomito malato di Gerald
Wallace e la "paranoica vita sul parquet" di Stephen Jackson, che tra l'altro è stato anche sospeso dalla Nba per comportamento irriguardoso nei confronti degli arbitri al termine della gara contro gli Hornets. La cosa fa arrabbiare a non poco il coach, che dice di avere sempre bisogno di un giocatore come lui in campo, ma che adesso oltre a risolvere una problematica emergenza vittorie si troverà costretto anche a una squadra rimaneggiata e senza grossi punti di
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forza. Una squadra forse al costruita, con molti scarti derivanti da trade strane e atte a liberare spazio nel cap salariale. Una di quelle squadre dure, arcigne, che specie in casa non fa sconti, di quelle che piacciono a Larry Brown che partendo dalla difesa vuole costruire da capo. fa ben sperare la coppia di play, con DJ Augustine che sta bruciando le tappe di crescita e come suo backup Shaun Livingston mai così pimpante e tornato quasi sui livelli che indussero i Clippers (ah sciagurati!) a puntare su di lui anzichè prendere Iverson.Magari poi Wallace e Jackson sono giocatori più "completi" che guardie pure, sta di fatto che alternandosi tra lo spot di shooting guard e small forward (un po' deludente Derrick Brown), riescono a dare tanti punti alla squadra. La parte dei lunghi vede tanti ragazzoni in fase di trampolino di lancio verso palcoscenici ritrovati o meno. Thomas si conferma prodotto di sostanza e qualità, Mohamed fa quel che può, Diaw in calo ma costante nelle sue prestazioni a rimbalzo e in fattore punti. C'è poi il caso Kwame Brown, appena rientrato, ma di cui diremo in separata sede. Charlotte vuole che i suoi "felini" tornino a graffiare, e non vuole più ritrovarsi a perdere i vari randagi in giro per le città, in casa e in trasferta. Serve ordine il pugno di ferro di Larry Brown. Si può lavorare bene, ma bisogna dargli tempo. Sua eccellenza Air dallo scranno privilegiato guarda, osserva, non storce il naso, per il momento tutto tace sul fronte orientale.
Brown and Brown, dopo Detroit coach Larry e Kwame di nuovo assieme Dimenticatevi la storia per un minuto: Kwame Brown non avrebbe mai dovuto prendere il numero 1 del draft globale nel 2001, e che non è il problema degli Charlotte Bobcats. Nove anni e cinque squadre NBA dopo, lui è un ragazzo che giocano con contratto annuale di 854.000 $. Lui è il centro puro per definizione: alto, largo e solido. E può giocare bene sui post difensivi, la vera debolezza evidente degli arancioni.Questo è stato evidente Lunedi notte contro i Minnesota Timberwolves. In 11 minuti partendo dalla panchina, ha lottato e si è scontrato senza paura fisicamente contro Darko Milicic in un modo che non aveva fatto vedere. Ha chiuso con tre stoppate, tre rimbalzi e tre punti e ha retto bene il confronto anche contro Kevin Love. E lo ha fatto dopo aver saltato le ultime sette settimane con una grave distorsione alla caviglia. Quello che può fare colma un bisogno che questa squadra ha mostrato. Serve intensità e freschezza, lui ne ha da vendere… «Pur senza allenarsi, pur se è altissimo, ha bloccato i tiri con puntualità, ha preso rimbalzi e ha mosso bene i piedi in difesa. E’ sorprendete quello che sa fare, e quello che può migliorare. Avrà passività, cattive mani e un gioco offensivo limitato, ma se riesce a giungere a quel tipo di forma in cui può sostenere quello che ha fatto Lunedi per 20-25 minuti in una partita, lui sarà il giocatore più conveniente in questo roster». Parola di coach Larry Brown, sottoscritta dal mentore e artefice di quel numero1 al draft, Micheal Jordan.
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Fonte foto: facebook.com
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Correva l’anno di grazia 2002 e la Cleveland dei canestri attendeva con ansia il suo Salvatore. Dopo i fasti di fine anni ’80 e inizio anni ’90, la squadra che una volta fu di Mark Price aspettava con pazienza la rinascita. Lontana anni luce dalle epiche sfide playoff con i Chicago Bulls di Michael Jordan, la franchigia del “mistake on the lake” (l’errore sul lago) così come è soprannominata la città di Cleveland, era piombata in un baratro rischiarato solo per qualche breve periodo dall’interregno del due volte All Star (1996 e 19997) Terrel Brandon, sublime playmaker con pericolose e costanti frequentazioni con la vecchia e cara lista infortunati. I primi anni del nuovo millennio avevano riservato solo amarezze ai Cavs. La stagione 2001-2002 non cambia lo scenario: 29 vinte – 53 perse, e vai con la lotteria del draft. Nelle precedenti apparizioni diciamo che Cleveland aveva pescato la pagliuzza più corta e che gli esperimenti Chris Mihm e Trajan Langdon non avevano dato gli esiti sperati. In squadra i Cavs hanno una point guard cinque stelle extralusso come Andre Miller, che ovviamente capito l’andazzo cambia stazione, e da free agent si accasa a Los Angeles sponda Clippers. Serve un esterno talentuoso e con punti nelle mani. Cleveland sceglie alla sesta. Il sogno è Jason Williams, ma sul prodotto di Duke mettono gli occhi i Bulls che lo chiamano alla 2a, subito dopo Yao Ming. Si cambia obiettivo. Ci sarebbe quel Caron Butler, realizzatore di classe purissima, ma con in squadra Ricky Davis e Lamond Murray…non se ne fa nulla. La scelta cade su Dajuan Wagner. Pausa scenica. Ai più giovani è un nome che dirà poco, chi ha qualche anno in più ricorderà benissimo che l’atleta in questione era semplicemente presentato
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come il nuovo Allen Iverson. Il front office dei Cavs prende dal frigo la bottiglia buona e la stappa. Bisogna festeggiare. Finalmente la sorte sorride alla franchigia dell’Ohio. Piccola digressione sul draft. La lottery del 2002 fu piena di colpi ad effetto. Qualche spunto: Mike Dunleavy Jr. alla 3a, Drew Gooden alla 4a, e Nikoloz Tskit'ishvili alla 5a, rispettivamente per Golden State, Memphis e Denver. Subito dopo Wagner i Suns pensano bene di chiamare un certo Amare Stoudemire. Miami invece si tutela con Caron Butler. Altre stranezze? Detroit pesca Tayshaun Prince alla 23a, Philadelphia prende da San Antonio John Salmons alla 27a. Questo per il primo giro. Al secondo i nostri Cavs, chiamano malvolentieri e poco convinti l’ala-centro di Duke Carlos Boozer. La saga delle stranezze è chiusa da un Luis Scola chiamato alla 55a dai soliti sospetti, i San Antonio Spurs. Roba da inchiesta dell’FBI. Nell’estate del 2002 Cleveland è pronta a farsi travolgere dalla sinfonia wagneriana, non quella di Richard, immortale genio della musica classica, ma dal rap di strada di Dajuan (4 febbraio 1983). Il nuovo
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Iverson dicevamo. Trattasi di comboguard (all’epoca andavano di moda), di 187 cm, rapido, esplosivo e con un’innata capacità di fare canestro. Buon sangue non mente. Figlio di Milt Wagner, campione Nba 1988 con i Los Angeles Lakers con un ruolo marginale, campione Ncaa nel 1986 con Luoisville, con un ruolo tutt’altro che marginale. Il padre di Dajuan non è molto presente nella vita del figlio, che cresce a Camden (New Jersey), tra bande, spacciatori e prostitute. Se ne prende cura il nonno, che però muore quando Juanny ha solo 11 anni. Wagner costruisce la sua “rep” nel quartiere a tal punto da venir soprannominato “Da Messiah”, il Messia. Frequenta come suo padre la Camden High School dove incanta a dir poco. In breve, conduce la scuola al titolo di Stato e nella stagione da Senior in una sola gara, contro Gloucester Tech, (finale 157-67) segna 100 punti, mettendosi definitivamente sulla mappa cestistica del paese. Chiude la stagione da Senior scollinando per nove volte sopra quota 50, fermando l’asticella a 42.5 punti di media a partita, andando a stabilire il record di miglior realizzatore di sem-
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pre dello stato di New Jersey con 3462 punti segnati. Irreale. Nello stesso anno partecipa al McDonald's All American Game dove ne timbra 25. Nel 2001 riceve il Naismith Prep Player of the year, un titolo assegnato solo ai più promettenti giocatori dell'NBA (come Kobe Bryant, LeBron James, Shane Battier, Chris Webber). Con grande sorpresa degli addetti ai lavori non si dichiara eleggibile per il draft, ma decide di passare un anno a spassarsela al College. La lotta per aggiudicarselo è furibonda. Gli argomenti migliori li presentano i Memphis Tigers di coach John Calipari, che guarda caso annoverano nello staff un certo Milt Wagner. Nonostante la presenza del padre Dajuan non si dimostra uno studente modello. Salta costantemente le lezioni, frequenta molte le feste e si fa scortare per il campus da una posse che conta almeno una dozzina persone, gente che non considerereste propriamente degli illuministi. Poco male, Juanny anche al college fa la differenza: 21.2 punti, 3.6 assist e 2.5 rimbalzi in 36 partite, e il record di punti segnati in una stagione con 762. Per il titolo di Freshman of the year della Conference USA non si inizia neanche a discutere I Tigers oltre Wagner non hanno tantissimo e al Torneo Ncaa escono subito. Juanny si rifà al NIT dove conquista il trofeo di MVP e l’Honorable Mention AllAmerica pick da parte dell'Associated Press. Al training camp dei Cavaliers si presenta con un nuovo tatuaggio nuovo di zecca recante la scritta “All Eyez on Me”(Tutti gli occhi su di me), frase che riprende il titolo di uno dei più grandi successi di Tupac. Disputa una prima stagione da 13.4 punti di media e 2.4 assist. Numeri discreti, ma iniziamo ad emergere i problemi. I Cavs sono una squadra a dir poco imbarazzante, dove spadroneggia l’ego di Ricky Davis. Dajuan non ha l’impatto che egli stessa si aspettava, e di certo non è il nuovo Iverson. Con una stagione da 17 vinte e 65 perse si va di nuovo in lotteria. La ruota gira alla grande. Prima chiamata assoluta. Arriva Lebron James. Il “Prescelto” nella squadra del “Messia”. Non c’è storia. L’arrivo di James ai Cavs viene festeggiato da Wagner con
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un altro tatuaggio sempre ispirato a Tupac Shakur: “Me against the world" (Io contro il mondo). Di Wagner non si parla più. Dopo solo un anno inizia una clamorosa parabola discendente, acuita da gravi problemi di salute. Un intervento chirurgico all’ulcera gli consente di disputate solo 44 partite, le sue medie scendono a 6.4 punti in soli 16’ di impiego. La salute ballerina e la scarsa condizione fisica mettono in luce i suoi difetti tecnici. Persa l’incredibile velocità e l’atletismo debordante, rimane una guardia nel corpo di un play, con limitata visione si gioco e un tiro in sospensione poco affidabile per gli standard Nba. Ma le cose peggiorano. Nel corso della stagione 2004-05, nella quale aveva giocato appena 11 partite, fu ricoverato in ospedale per una grave forma di colite. I Cavaliers non rinnovano il suo contratto per la stagione 2005-06. Il 25 ottobre 2005 viene operato al Mt. Sinai Medical Center per l'asportazione del colon: rimane fuori dalle competizioni per l'intera stagione. Per la stagione 2006-07 firma un contratto con i Golden State Warriors, ma disputa solamente una partita. Una storia incredibile. Con la carriera Nba giunta così velocemente al capolinea Juanny tenta anche la carta Europa. Nel 2007 firma un contratto con in Polonia con il Prokom Trefl Sopot. In un’edizione malriuscita di “Lost in translation”, Wagner fa rapidamente le valigie e se ne torna negli States, dove si affida alle cure di Tim Grover (ex trainer di Michael Jordan), guru dell’ A.T.T.A.C.K athletic training. Da quel momento in poi qualche comparsata ai training camp, un po’ di leghe minori e nulla più. La fortuna è cieca ma la sfortuna ci vede benissimo. I problemi di salute e le eccessive aspettative hanno distrutto quella che poteva essere una promettente carriera. Oggi Dajuan Wagner è a tutti gli effetti un Desaparecidos, che vive nella speranza che il destino si ricordi di lui e gli conceda un’ultima chance sul grande palcoscenico Nba. Oggi passati i tempi della copertine di “Slam” e “Sports Illustrated” nessuno si ricorda più del Messia. Una fede svanita troppo presto.
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ERIK SPOELSTRA Stiamo parlando dell’allenatore con la maggiore pressione sulle spalle, non solo nell’NBA e non solo nel basket. Ogni sua mossa è seguita, giudicata, analizzata,criticata. È vero, ha l’onore di poter allenare una sorta di dream team, ma sa benissimo che in caso di mezzi passi falsi sarebbe il primo a saltare. L’ombra di Pat Riley incombe minacciosa ad ogni sconfitta dei suoi Miami Heat. Non è facile allenare in questo clima, specialmente per un coach alle prime armi. Eppure, nonostante un inizio molto difficoltoso e due infortunati illustri – Haslem e Miller -, Miami sembra finalmente aver trovato la retta via. L’intesa tra Wade e James, crocevia delle fortune degli Heat, migliora di partita in partita, e la recente striscia di 6 vittorie consecutive ha lanciato la franchigia della Florida nelle primissime posizioni ad est. A quanto pare a Spoelstra (e probabilmente a tutti gli allenatori di tutti gli sport) serviva solo un po’ di tempo per migliorare l’amalgama.
NEW YORK KNICKS Ha cambiato tanto in estate. Era l’estate in cui sarebbero scaduti tutti contratti più fragorosi, l’estate in cui finalmente i Knicks potevano lasciarsi tutto alle spalle e ripartire da zero. Ma dopo un mercato discreto, le prime uscite della squadra di coach D’Antoni non hanno entusiasmato, al punto che dopo la sconfitta casalinga contro Houston del 16 ottobre il bilancio era di 3-8. Da quel momento, però, 11 vittorie ed una sola sconfitta, per mano degli Hawks. Stoudemire e Felton si sono integrati alla perfezione, Gallinari ha acquisito sempre maggiore personalità e molti dei giovani della squadra stanno emergendo con facilità. Il pubblico non solo si diverte, ma inizia anche a sognare. New York non superava il 60% di vittorie da quasi un decennio. La Grande Mela ha finalmente ritrovato la sua squadra di basket. TONY PARKER Simbolo di una squadra che è partita col miglior bilancio di sempre nella storia degli Spurs, 20-3. Perché proprio Parker? Perché nell’ultimo mese ha occupato le pagine dei giornali per delicate questioni di cronaca rosa. Ma nonostante sia stato lasciato dalla bella Eva e il suo indice di gradimento popolare sia pericolosamente crollato, lui non ha fatto una grinza, almeno per quanto riguarda il parquet: 17 punti e 7.1 assist a partita, e i suoi Spurs che dominano la Western dopo un’annata in cui erano stati dati per bolliti. In una lega in cui troppo spesso i problemi extra-cestistici influiscono sui rendimenti dei giocatori, Parker sta dando testimonianza di cosa sia la serietà professionale.
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CLEVELAND CAVALIERS Dal giorno in cui LeBron James ha deciso di portare il suo talento a South Beach, tutti i tifosi dei Cavs hanno sbirciato il calendario per conoscere la data del Ritorno del Re. Anzi, dell’ex Re. Quel giorno era il 2 dicembre, e tutta Cleveland, rimasta comunque vicino alla squadra, avrebbe dato qualsiasi cosa perché gli ex compagni di Lebron annichilissero lui e i suoi Miami Heat. Ebbene, non è andata esattamente così. James ha dominato la partita in lungo e in largo, siglando 38 punti ed umiliato a tratti Williams e compagni, evidenziando quanto i Cavs siano poca cosa senza la loro ex stella. L’ennesima delusione sportiva per lo sfortunato popolo che abita il Mistake on the Lake.
pensava che un ex Coach of The Years, che ha assaggiato anche il palcoscenico delle Finals, potesse immediatamente rilanciare una squadra che sul mercato estivo si era mossa bene - ma non benissimo -. Johnson ritrovava Harris, poteva contare su un Brook Lopez ormai quasi nell’Olimpo dell’NBA, e su una terza scelta assoluta poi rivelatasi ancora acerba come Favors. Eppure i Nets sono ancora laggiù, a condividere con i Wizards (anch’essi meritevoli di finire in questa rubrica) l’ultimo posto della debole Eastern Conference. La testa è altrove, forse al prossimo trasferimento della franchigia, ma il miliardario Prokhorov da quando è arrivato ha incassato solo batoste. L’impressione è voglia invertire la rotta, magari cominciando dall’allenatore. Uomo avvisato… LA DIFESA DEI SUNS
Cambiano gli allenatori ma non cambia la sostanza. Miglior attacco e peggiore difesa, come accade un po’ troppo spesso da qualche anno a questa parte. Magari i tifosi si divertiranno, le televisioni faranno a gara per trasmettere le partite dei Suns, ma così non si vince. Chiedere a Mike D’Antoni. Phoenix incassa 109.91 punti a partita, un’enormità. Concede anche la più alta percentuale di tiro agli avversari, che contro i Suns centrano la retina nel 49% delle conclusioni. Nonostante un Nash AVERY JOHNSON sempreverde è necessaria un’inversione di tendenza, altrimenti quest’anno si rischia addirittura di restare fuori dai playoff. Un Era arrivato ai Nets come l’uomo della rinascita. New Jersey era bilancio del 50% (11-11 per ora), infatti, potrebbe non bastare reduce dalla peggior stagione nella storia della franchigia, e si nella Western Conference.
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Anthony dice no ai Nuggets La notizia era nell'aria da un pò di tempo, ma Carmelo Anthony pare aver sciolto tutti i dubbi circa la sua permanenza ai Denver Nuggets nella prossima stagione. Stando ai roumors, non sarebbe bastato il ritorno in panchina di coach Karl (dopo le note vicende di salute) a convincere il giocatore, che avrebbe ormai scelto di lasciare il Colorado. Resta ora da vedere se lo farà prima della deadline del 24 febbraio o attenderà l'estate quando da free agent avrà la possibilità di guardarsi liberamente attorno. Le soluzioni più probabili
appaiono al momento Knicks e Nets; la franchigia del owner Russo Prokhorov avrebbe messo a disposizione dei Nuggets il rookie Favors, Humphries e, soprattutto, Devin Harris, ma lo scambio non convince nè i Nuggets (che si ritroverebbero eventualmente con tre PG con Billups e Lawson oltre ad Harris) nè il giocatore che si ritroverebbe in una squadra ancor più debole dei Nuggets. La soluzione più caldeggiata dal cestista sarebbe quella che lo riporterebbe a casa nel 2011 da free agent, nei New York Knicks di Mike D'Antoni; pare infatti che il brillante inizio di regular season dei Knickerbockers abbia sciolto ogni riserva dell'ex Syracuse che andrebbe nella prossima stagione a formare assieme a Stoudamire e Felton un trio di notevole spessore, che con un supporting cast composto da Gallinari, Chandler, Fields e Douglas farebbe dei Knicks uno degli attacchi più esplosivi della pista. Ci potrebbe essere però un terzo incomodo tra Knicks e Nets; gli Orlando Magic starebbero infatti seriamente pensando d'affiancare a " Superman" Howard un altro All-Star per poter essere davvero competitivi per l'anello e, vista l'attuale impossibilità d'arrivare a Chris Paul, la scelta potrebbe ricadere proprio su Melo. I Magic hanno le potenzialità per mettere d'accordo Denver e giocatore, potendo contare sulle prestazioni sportive ed il contratto(in scadenza 2011 con opzione in favore del team d'appartenenza per l'anno successivo) di Vince Carter al quale potrebbero aggiungere un ulteriore giocatore per invogliare i Nuggets alla cessione( Pietrus?); i Nuggets potrebbero così, sempre in eventualità, ritrovarsi un buon impianto tecnico o in alternativa un a dir poco cospicuo tesoretto per il 2011 tra i 18 Mln di Carter, i 16,5 di Kenyon Martin ed i 13,1 di Billups (che diventerebbero 14,2 in caso Denver esercitasse l'opzione per la prossima stagione, come al momento sembrerebbero intenzionati a fare) che sarebbe possibile reinvestire nel prossimo mercato free agent dove potrebbero magari provare a ricongiungere l'accoppiata Billups-Prince (in scadenza con i Pistons al termine di questa stagione). Per quanto concerne il cestista, l'idea di giocare con Dwight Howard e d'essere affiancati a giocatori del calibro di Lewis e Nelson, il tutto in un contesto che esalta notevolmente le caratteristiche offensive dei giocatori quale quello di Van Gundy, potrebbero allettare Melo a tal punto da optare per la Florida lasciando a secco la Grande Mela. Il serial crime continua. Stay tuned.
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Jamison-Cavs, è tutto finito? Visto l'inizio di stagione non esaltante (7-14 il record) per i Cavaliers e le obiettivamente, poche possibilità di risalita per la stagione in corso, Cleveland starebbe pensando di scambiare Antawn Jamison per liberarsi del suo contratto da 13,3 Mln di dollari, che scadrà nel 2012 (anno in cui percepirà 15 Mln) così da poter reimmettere almeno parte di questa cifra, la prossima estate. Dal canto suo lo stesso Jamison, arrivato la scorsa stagione per essere 'aggiunta decisiva per iraggiungimento dell'anello, non sarebbe certo contrario ad un even-
tuale trasferimento vista la voglia che accompagna l'ex Tar Heels di poter raggiungere l'anello ora che, a 34 anni, le possibilità si assottigliano in maniera repentina. Ovvio che, il suo contratto di certo non leggero, non facilita le eventuali voglie dei Cavs e del giocatore; si parla di un suo possibile inserimento nella trattativa con i Sixers per Iguodala e di un suo possibile approdo in maglia Nets in cambio di Troy Murphy, che in entrambe i casi non rappresenterebbero di certo un grosso balzo in avanti per "Mr. Inside", ma è tutto ancora in fieri.
New York guarda al futuro, i Knicks cercano spazio per il 2011 Nonostante l'ottimo inizio di stagione, i New York Knicks sarebbero alla ricerca di una point guard in grado d'uscire dalla panchina per fare da backup all'ottimo Raymond Felton e dare il proprio apporto in termini di punti. La franchigia allenata da coach D'Antoni cercherebbe però una PG con contratto in scadenza 2011 così da non caricare sullo spazio salariale della prossima stagione che potrebbe portare all'acquisto di un All-Star. I nomi circolati sono quelli di TJ Ford, Jason Williams e dei due Utah Jazz Earl Watson e Ronnie Price fino ad arrivare ai free agent Javaris Crittenton, Juan Dixon, Anthony Johnson e Damon Jones. Secondo i roumors uno di questi giocatori è destinato a diventare un Knickerbockers entro qualche settimana. Il presidente dei Sixers, Rod Thorne, ha rilasciato delle dichiarazioni riguardo il possibile approdo di Iguodala a Cleveland, provando a sminuire la trattativa, dicendo che Philadelphia " sta soltanto cercando di accertarsi del valoredi ogni giocatore".
I roumors in realtà confermano che i 76-ERS sarebbero ormai abbastanza convinti di lasciar partire l'ex Arizona per liberarsi del suo quadriennale da 56 Mln di dollari e lasciar definitivamente spazio a Thaddeus Young ed i Cavs sarebbero tra gl'interlocutori preferiti dalla dirigenza di Phila vista l'esigenza tecnica ed ambientale che hanno d'arrivare ad un giocatore come Iguodala e visto, soprattutto, la trade exception di 14,5 Mln di cui dispone Cleveland. Ma comunque sarà una matassa che con ogni probabilità sarà sbrogliata solo in prossimità della trade-line di febbraio.
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Y Yo ou u c ca an n’’tt c c m me e A LESSANDRO
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DELLI
DI
PAOLI
M R . D O UB L E F A C E
Chissà cosa ne pensa Jerry West, meglio noto come Mr. Clutch, per la capacità di essere stato determinante nei secondi finali delle partite più o meno accese della storia del basket americano. West, come molti sanno, è anche chiamato Mr. Logo per aver ‘prestato’ la propria silhouette in palleggio alla Lega che ne ha fatto uno dei marchi sportivi più conosciuti al mondo, il logo NBA appunto. E’ notizia recente che la Nba ha vietato ai giocatori di ‘distorcere’ il logo, indossando a rovescio le headbands, le fascette tergisudore che tanti utilizzano. Ebbene, la principale vittima di questa restrizione made in Stern è lo spettacoloso Rajon Rondo. Il play dei Celtics, di fronte a questo divieto, ha rinunciato del tutto al suo essere fashion sul parquet e ha preso a non indossare più la fascetta. Starà studiando una headbands doubleface? Se fosse così, non ditelo a Jerry West.
S P A RA K O BE ? E’ il sogno di molti avversari, ma anche dei suoi detrattori. Arriverà un giorno in cui il ‘24’ gialloviola lascerà il parquet dello Staples Center per dedicarsi al gioco virtuale. Purtroppo, o per fortuna, sta solo a voi scegliere, quel momento non è ancora arrivato e non lasciatevi ingannare dallo spot che gira da qualche tempo su tv ed internet. Bryant, supportato da altre personalità dello star system americano, come l’attore Stanley Tucci, ha partecipato al lancio del videogioco “Call Of Duty: Black Ops”, ultima serie dello ‘sparatutto’ più famoso del momento. I Kobe-haters, coloro che odiano il 5 volte campione Nba animando, peraltro, un noto blog, non potranno neanche avere la soddisfazione di ritrovare il giocatore tra le potenziali vittime del gioco. Tempi duri per gli Anti-Black-Mamba.
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DIVORZIO ALL’ITALIANA Quanto ci sia di vero nel detto “Il matrimonio è la tomba dell’amore” non ci è dato di sapere ma, qualcosa, iniziamo a sospettarlo. Quanti di voi, tra i lettori di sesso maschile, s’intende, ha provato invidia nei confronti di Tony Parker, e non certo per il fatto di giocare al fianco di Tim Duncan, alzi la mano. La bellezza, il fascino e… la bellezza di Eva Longoria hanno fatto innamorare mezzo mondo. Appassionati di basket e di tv rimangono puntualmente incantati quando sul piccolo schermo appare la protagonista di Desperate Housewives, serie televisiva
di successo al di qua ed al di là dell’Oceano. Anche il terribile play francesino è stato catturato da viso angelico di Eva ed è finito per sposarla. La coppia perfetta. Il giocatore e l’attrice. Riflettori puntati tanto sui parterre dei ‘palace’ americani, quanto sulle notti di gala dello showbiz internazionale. La personalità della Longoria è dirompente quasi quanto un lay up del giocatore degli Spurs ed ecco che il nostro Tony viene subito ribattezzato Mr. Longoria. Giusto per far capire chi la comanda sui giornali. Peccato, però, che Parker non sia stato in grado di apprezzare e cogliere appieno la fortuna che gli era capitata. La saggezza popolare, in questo caso, ci torna nuovamente in aiuto proponendo due facce della stessa medaglia; sta a voi scegliere la vostra preferita, se sia meglio propendere per un classico “La crisi del settimo anno” oppure per la più prosaica ma ugualmente efficace “Il signore da' pane a chi non ha denti”. Fatto sta che il capitano della nazionale di basket transalpina si lascia cadere in tentazioni. Tanto bravo il nostro TP a servire assist in campo, altrettanto bravo a far segnare sul proprio tabellino la più classica delle ‘steal’, palle rubate. Vittima è proprio un ex destinatario delle pregiate assistenze sui legni americani: Brent Barry. Il figlio del grande Rick, reo di avere una moglie piacevole alla vista, si è visto, infatti, rubare la bella Erin. Travolgente notte di passione o storia seria non sappiamo e, francamente, ci interessa ben poco. Matrimonio in frantumi e riviste scandalistiche ad aumentare vertiginosamente il numero di copie vendute. Di sicuro dovranno mettersi in fila quelli che hanno voglia di consolare, e perché no conquistare, il cuore della fascinosa Eva ora che l’ex marito è intento a curare le attenzioni di Erin Barry. Il mitico Giorgio Terruzzi, se mai un giorno dovesse abbandonare il giornalismo a quattroruote e dedicarsi a quello della palla a spicchi avrebbe già in mente il voto per te, caro Tony: Voto Zero.
La lente di ingrandimento di Stars N Stripes sulla LegaA
Jonas Maciu lis
Il gue rrie ro de ll’O limpia
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Il lituano ago della bilancia di coach Piero Bucchi MADE IN ITALY ‘VISTA PANORAMICA’
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N ICOLA ICOLA A RGENZIANO RGENZIANO
Se si vuole capire bene cosa sia il concetto di un giocatore definito ago della bilancia, beh non si può allora non parlare di Jonas Maciulis. Classe 1985 frutto della sempre fiorente fucina di talenti lituana è un giocatore ormai in crescita esponenziale straordinaria, un’ala piccola moderna con ciò che però di “classico” non si vedeva. Quasi sue metri su cui sono distribuiti 105 kg di muscoli, Jonas ha bruciato presto le tappe dalle giovanili dello Zalgiris riuscendo ad esordire già nella stagione 2003/2004 non ancora diciottenne tra le fila del Nevezis Kedainiai. Ma se l’esordio può non destare stupore altrettanto non si può dire della stagione della conferma: il giovanissimo Maciulis infatti l’anno dopo ha fatto registrare numeri di alta classe attestandosi infatti sui 14 punti e 6 rimbalzi di media, cifre di tutto riguardo che non hanno potuto restare indifferenti alla casa madre del Kaunas che infatti lo riporta alla base la
stagione successiva. Allo Zalgiris in quattro anni gli danno molta fiducia e lui la ripaga a modo suo riuscendo anche in Eurolega ad attestarsi sui 14 di media con il 40% dall’allora arco dei 6.25. Dedito come pochi al lavoro in palestra conquista un bagaglio tecnico di sicura affidabilità: è agile in difesa, ma al contempo non soffre pari ruolo piu’ fisici, fa canestro con continuità non affidandosi solo al seppur ottimo bagaglio di tiro grazie ad un’ottima base di fondamentali che gli permetti di avere anche un discreto uno contro uno. Gioca in tutte le nazionali giovanili con cui conquista anche la medaglia doro ai mondiali under 21. Nella “maggiore” non tarda a ritagliarsi il suo spazio risultando sempre presente, sino ad essere a 25 anni uno dei leader della rifondazione lituana che ha portato la squadra gialloverde a conquistarsi un meritatissimo bronzo agli ultimi mondiali in Turchia (in cui ha viag-
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giato sui 9 di media). Maciulis è diventato ago della bilancia per l’Armani Jeans Milano dalla scorsa stagione dove dopo una prima parte di adattamento forse un po’ piu’ lunga del previsto, ha chiuso con numeri rispettabili la regular season (8.4 punti e 3.2 rimbalzi con il 40.2% dal perimetro). Nei playoff però Jonas è stato certamente tra i piu’ costanti e produttivi della formazione di Piero Bucchi, risultando importante e a volte determinante nelle semifinali con Caserta. Nella se p p u r m i s s i o n i m p o s s i bl e de ll a fi nal e c o ntro i l MontePaschi Siena è riuscito forse a far vedere il meglio di se realizzando anche il top di punti in Italia (19). Per la stagione in corso l’Armani Jeans ha deciso di puntare ancora su di lui, una scelta del resto coerente per un giocatore che si troverà spesso a coprire le spalle al piu’ “titolato” pari ruolo Hawkins, ma che di
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certo sta vivendo il periodo piu’ prolifico della sua maturazione risultando piu’ che mai cardine nello scacchiere milanese quando si tratta di dare maggior solidità e “pulizia” alla compagine meneghina. La grande capacità di Maciulis infatti e’ di saper fare bene cose semplici, ma quanto mai efficaci, rendendosi utilissimo difensivamente ed in fase di rimbalzo grazie a doti importanti sia fisicamente, sia dal punto di vista della comprensione del gioco. A 25 anni il “ragazzone” di Kaunas ormai è pronto per esser considerato un all around di livello europeo ed è pronto a vincere qualcosa di importante. A Milano lo hanno capito bene e se lo tengono stretto…
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