Stars 'N' Stripes Finals Edition

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il periodico online per gli amanti della palla a spicchi d’oltre oceano TU T TO SU LL’AT T O FI NALE DEL C AMP IO NATO NBA

RA N DOL PH F A I RTA L Y

Da b r ut t o a na t r oc c o l o c h e n e ss u n o v o l e v a , al c i g n o d e i G ri z z l i e s

OK LAHO MA CITY

G e n i o e s r e g o la t e z z a al f i an c o d i D ur an t. E’ q u e s t o q u e l lo c h e s e r v e ?

Finalmente

SARA’ RINASCITA O RIVO LUZ IONE IN CASA CELTICS?

Dopo la delusione del 2006 è arrivato il momento del tedesco

Nowit zki


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NBA F IN A LS GA M E O N E

6-11

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NBA FINALS DIRK NOWITZKI

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NBA FINALS TYSON CHANDLER

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NBA FINALS MARC CUBAN

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N NB BA A F FI IN NA AL LS S J JJ J B BA AR RE EA A

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NBA FI NALS GAME FIVE

3 30 0-3 35 5

NBA FI NALS GAME SIX

3 36 6-4 41 1

NBA FI NALS JASON TERRY

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Il primo atto è dei ‘Big Three’

NBA FINALS ‘GAME ONE’

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA DI

Ci hanno messo tre quarti. I Miami Heat portano a casa la prima partita delle Finali vincendo la quinta vittoria consecutiva nei playoff. Una vittoria che suggella, forse la prima volta in maniera assoluta, la forza del Big Three, anzi del Big Two. Tutto nelle mani di Lebron james e Dwyane Wade, tutto tra terzo e quarto periodo. Rispettivamente uno ciascuno che hanno riscritto immediatamente la storia di una Finale che dal passato si era presentata al presente con tanti punti di interesse, con tante storie e tanti retroscena che avevano riempito pagine di giornali o siti web prima di iniziare a correre per il campo. Poi è stato tempo di giocare.

TEAM STAT COMPARISON

DA LL AS @ MI AM I

P OINT S 84 FG 25- 67 (.373) 3P 9-22 ( .409) FT 25- 32 (.781) REB. 6-36 ASSISTS 18 T URNOV ERS 1 1 STEALS 6 B LOC KS 8 FAST BREAK 1 2 F OUL S 22 LARGEST LEAD 8

92 31-80 ( .388) 11-24 ( .458) 19-26 ( .731) 16- 46 20 12 5 4 7 21 12

E quando si è scesi in campo per il primo punto della partita, per la prima ‘guerra’ della battaglia, allora tutte le carte sono state scoperte. Quelle di Bosh (cavalcato più e più volte nel primo tempo per metterlo immediatamente in ritmo e non provare a farlo entrare nei giochi e nel clima Finals solo nella parte finale della sfida) e James per gli Heat (il primo canestro di Wade è arrivato con poco più di 4 minuti sul cronometro del primo quarto), mentre dall’altra parte quelle diverse tra attacco e difesa dei Mavericks. La difesa a zona piazzata a pochi minuti dalla chiusura del primo quarto è stata la

prima spallata. Poi in attacco il quintetto con Barea, Stojakovic e Terry a turno diversamente collocati al fianco del tedesco, ha fatto il resto dei primi 24’. L’inizio di secondo tempo passa inosservato fino ad arrivare al momento che ha poi cambiato l’inerzia del match: nel finale Lebron si prende la squadra per mano, mette due triple fondamentali e lancia gli Heat in un quarto periodo in cui, poi, la firma in calce alla vittoria l’ha messa Dwyane Wade che era stato cheto sino a quel momento con 6 punti in fila e un assist stupendo per Bosh che lancia i titoli di coda. ‘BIG THREE’. Uno per volta. Un


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momento ciascuno. insomma l’immagine che si erano sempre fatta chi ad inizio stagione ha dovuto mettere assieme Lebron James, Dwyane Wade e Chris Bosh. la fotografia esatta di quella chimica trovata in stagione regolare e che ha portato Miami fino a questo punto. Equilibri trovati con quintetti affidati a James o Wade con insieme Bosh e gli altri gregari e tanti minuti a quello con tutti e tre sul rettangolo di gioco. Equilibri trovati nell’accettazione da parte di Bosh di essere, dei tre, quello che doveva aspettare e stare agli ‘ordini’ degli altri due aspettando che il flusso della partita arrivasse dalle proprie parti, piuttosto che pretendere palloni e possessi continui come gli altri due con la consapevolezza che al momento giusto dalle mani del numero 3 o del numero 6 sarebbero arrivati i palloni giusti al momento giusto se solo poi ne avrebbe fatto buon uso. Volente o nolente, dunque, l’ex Raptors è stata la chiave di volta di una squadra che all’inizio sembrava voler accontentare tutti e tre allo stesso modo con possessi alternati che hanno

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portato solo a gioco discontinuo, a partite perse ed una squadra incapace di gestire la presenza di tre ottimi giocatori. Poi la svolta che è stata quella alla quale si sono ispirati gli Heat per vincere il primo atto. Palcoscenico diviso a turno. Il primo a prenderselo è stato James, poi nel finale quando The Chosen One sembrava perdere qualche colpo è arrivato Dwyane Wade ed infine quando serviva diversificare il tutto è giunto anche il momento di Chris Bosh al quale è toccato infilare l’ultimo colpo sulle spalle del toro texano. AN SI A DA PRESTAZIONE. Sembrava quasi di vedere un rookie alla sua prima finale. Certo a conti fatti per Jason Terry quella contro gli Heat era la sua seconda finale di carriera, ma una mano imprecisa, quasi come se sentisse il peso e l’importanza del match più di quanto un veterano non dovrebbe sentire, è costato caro ai Mavericks. La sua imprecisione ha inciso prima di tutto sul tipo di gioco che Dallas normalmente produce quando lui è in campo, più che sul risultato. La sua imprecisione ha impedito alla difesa di distogliere gli occhi dal tedesco e dal resto dei bombardieri, ma soprattutto ha privato coach Carlisle di quell’arma di cui i Mavs non possono fare a meno: l’imprevedibilità. Di quei canestri mandati a bersaglio come conigli cavati fuori da un cilindro; di quei canestri che spezzano o ti danno l’inerzia del match. Di quei canestri che spezzano in due la partita e la consegnano in mano a chi di dovere: Dirk Nowitzki. Chi invece ha pagato noviziato, età e fisico degli avversari è stato Peja Stojakovic che non solo è stato un peso per Carlisle in difesa, ma soprattutto in attacco dove ha sotterrato l’ascia di guerra dopo averci maciullato per bene i campioni in carica dei Lakers. Scotto pagato anche da JJ Barea che era arrivato a questa Finale come uno dei possibili migliori attori non protagonisti e che invece ha vagato troppo per il campo senza mai arrivare ad una conclusione adeguata per il risultato finale.


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Game One press room

NBA FINALS ‘GAME ONE’

SPOELSTRA: «Giochiamo contro un’ottima squadra offensiva e noi non abbiamo avuto molto ritmo in attacco. Credo sia stata più una battaglia in difesa oggi, chiudendo il pitturato e cercando di recuperare in tempo sugli scarichi. Ci siamo riusciti, ma è una sfida e questa è solo gara 1. Loro sono una squadra che ha avuto ottime percentuali fino a oggi, quindi dobbiamo continuare ad essere concentrati e difendere il fattore campo. Quando arrivi a questo livello devi giocare intensamente in difesa, non puoi concedere punti facili agli avversari. Noi oggi non abbiamo avuto a disposizione tiri qualitativi e allora abbiamo dovuto vincerla difendendo, come già in questi playoffs abbiamo dimostrato di poter fare. Inoltre la panchina è stata importante per noi durante tutto il campionato e anche oggi ci ha dato una mano, sia con impatto difensivo, sia con la freschezza ritrovata di Mike Miller e Udonis Haslem».

BOSH: «Sapevo che la loro difesa avrebbe concentrato la maggior parte delle attenzioni su Dwyane e James e così ho cercato di sfruttare l’inizio di partita per entrare nel ritmo dell’incontro e prendere confidenza, con tiri da sotto e tiri liberi. Credo che come squadra possiamo fare di meglio. Abbiamo commesso molti errori. Loro ci rendono la vita difficile perché sono una grande squadra e lo continueranno a fare, perciò non possiamo continuare a commettere questi errori, difensivamente e offensivamente. Sappiamo di poter trarre vantaggi dalla loro difesa a zona perché spesso non ci sono i giusti accoppiamenti difensivi a rimbalzo e quindi possiamo guadagnarci possessi extra che per noi sono vitali. Domani lavoreremo coi video e cercheremo di correggere i nostri errori». JAMES: «Faccio quello che serve per la squadra, che sia difendere su Terry, o su Kidd o su chiunque altro. Accetto la sfida e stasera la sfida era marcare Terry e cercare di portarlo fuori dalla partita. Dobbiamo stare più attenti, in generale. Abbiamo concesso troppo nel terzo quarto non prestando attenzione ai dettagli e concedendo troppo a una squadra che gioca un ottimo attacco. Nell’ultimo periodo, poi, siamo riusciti a rallentare il ritmo e imporre la nostra difesa. Io e Dwyane abbiamo trovato alcuni canestri importanti e così siamo riusciti a portarla a casa. Per quel che mi riguarda, nel quarto periodo ho cercato di vincere il mio matchup individuale in difesa, mentre in attacco ero solo concentrato a muovere la palla, a non perderla e creare buoni tiri per la squadra».

N ICOLÒ ICOLÒ F IUMI IUMI DI

EER RIIK K S SP PO OEELLS STTR RA A

CHRIS BOSH

LEBRON JAMES


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R RIIC CK K C CA AR RLLIIS SLLEE

D DIIR RK K N NO OW WIITTZZK KII

S SH HA AW WN N M MA AR RIIO ON N

CARLISLE: «Non è stata una questione di ritmo della partita. Abbiamo battuto i Lakers, che giocano a ritmo controllato, e i Thunder, che invece giocano ad alti ritmi. Semplicemente dobbiamo fare meglio. Dobbiamo tirare meglio e, soprattutto, andare meglio a rimbalzo. Gli abbiamo concesso 10 rimbalzi offensivi più di quelli che abbiamo preso noi, quindi 10 opportunità di tiro che noi non abbiamo avuto. Questi sono stati i due problemi fondamentali oggi. Ci sono stati momenti in cui abbiamo giocato meglio, ma, semplicemente, non abbiamo segnato tiri che normalmente avremo messo. Loro sono stati più opportunisti di noi oggi, la chiave è quella, perché durante tutti i playoffs la nostra forza è stata proprio quella di essere più opportunisti degli avversari». N O W I T Z K I : «Loro hanno due dei migliori closer della Lega. Hanno segnato canestri importanti nell’ultimo quarto, LeBron sta tirando bene dall’inizio dei playoffs. Hanno avuto a disposizione tiri aperti e li hanno segnati, ma quello che ci ha ucciso sono stati i rimbalzi offensivi. Hanno mosso la nostra difesa a zona impedendoci di trovare gli accoppiamenti sotto canestro. Specialmente nell’ultimo periodo, quando siamo riusciti a negargli buoni tiri con la nostra difesa, loro hanno guadagnato tiri extra con i rimbalzi offensivi che hanno fatto la differenza. Ma siamo una squadra di veterani e non possiamo farci abbattere da una sconfitta. Dobbiamo tornare qua per vincere in gara 2. L’ho già detto altre volte. Quando parti in trasferta sei contento di tornare a casa anche solo sull’ 1 a 1, quindi in gara 2 avremo un’altra opportunità per metterci nelle condizioni ideali per tornare a Dallas». M A R I O N : «I rimbalzi e la panchina hanno fatto la differenza stasera. La loro panchina ha fatto meglio della nostra e a rimbalzo ci hanno dominati. In attacco non siamo stati noi, non siamo andati ai nostri ritmi. Difensivamente non abbiamo fatto neanche male, ma giocando a questi ritmi offensivi non possiamo esprimere il nostro vero basket. Abbiamo giocato sempre attacchi a metà campo e loro sono stati bravi a toglierci quello che di norma noi facciamo. Tenere una squadra sotto il 40% al tiro e a 92 punti solitamente equivale a una vittoria per noi».


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James-Wade: che Show

DI

DO OM ME EN NI IC CO O PE EZ ZZ ZE EL LL LA A

Nel primo tempo tutto è nato ed è finito dalla lunga distanza. Con l’ingresso in campo di Terry e del secondo quintetto, quello d’attacco, Dallas si è fatta molto più pericolosa e riuscendo a smuovere la difesa avversaria. Al suono della prima sirena lunga, quella dell’ intervallo, i numeri danno ragione ad entrambe, visto il primo tempo di chiudono con 6/14 dalla lunga distanza. Poi con lo scorrere del match, quando tutto sembrava andare silenziosamente verso il tedesco, ecco arrivare il colpo di grazie, il surplus che altri non hanno: Wade-Lebron. Di 46 punti il fatturato finale frutto dei 24 dell’ex Cleveland e 22 per il talento di Marquette che a fine gara ha cosi commentato: «L’arma principale è non farli segnare. Poi ad essere sinceri ultimamente vinciamo in questo modo e cioè con pazienza. Restiamo calmi quando i tiri non vanno e prima poi iniziano ad entrare. Nel secondo tempo abbiamo fatto un grande lavoro in difesa, ma anche in attacco dove possiamo contare su due giocatori particolari ed importanti in fase di costruzione del gioco, ma nonostante tutto è solo una partita»


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Stojakovic spara a salve

NBA FINALS: Up&Down

D i s i c u r o l a ga r a1 u n segnale lo ha dato: Joel Anthony non può marcare D i r k N o w i t z k i d e n tr o e fuori dall’area. Vicino a canestro non ha il ‘passo tecnico’ del tedesco, lontano è semplicemente troppo lontano e l’arco da tre p u n t i è u n a ng o lo d i c a m p o do v e l o s te ss o Anthony non preferisce andare. Decisamente m eg l i o H a s l e m p e r m o b il it à e capacità di entrargli sotto pelle. La stessa capacità che ha James e che ha innervosito e tolto dal match Terry che dopo i 12 punti del primo tempo ha sparato letteralmente a salve. Addirittura senza proiettili Peja Stojakovic che chiude la sua prima sfida di Finale in assoluta con 0 punti e 0/3 dal campo. Cosi come questo primo episodio, magari, ha tolto un po’ di ruggine dalle spalle di Marion che ha giocato un primo tempo da incubo per poi recuperare terreno nel secondo.


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La ‘remuntada’ di Dallas

NBA FINALS ‘GAME TWO’

N NI IC CO OL LÒ Ò F FI IU UM MI I DI DI

Storica. Leggendaria. Epica. Sono solo tre degli infiniti aggettivi che si potrebbero affiancare alla rimonta dei Dallas Mavericks (la quarta in questi playoff, dopo le rimonte da -14 in gara 6 contro Portland, il -16 in gara 1 contro i Lakers e il -15 in gara 4 contro Oklahoma City, tutte in trasferta) negli ultimi 7’14’’ di gara due. Quindici punti di scarto recuperati nell’ultimo quarto di una partita di Finale non si vedevano dal 1992. Erano i primi capitoli della saga Jordan, e i Bulls rimontarono dal 6479 fino alla vittoria i Portland Trail Blazers di Clyde Drexler. Diciannove anni dopo le Finals ci hanno regalato un altro momento irripetibile, sublimato dal sottomano di Dirk Nowitzki, ma che in precedenza aveva avuto più protagonisti, alcuni dalla parte giusta, altri da quella sbagliata della storia. ANATOMIA DI UNA RIMONTA: Se vi foste dimenticati cosa è successo dopo la tripla del +15 di Dwyane Wade, con celebrazione a un

TEAM STAT COMPARISON

DALLAS @ MAI MI

centimetro dalla panchina dei Mavs, ecco un rapido riassunto. Con 6:18 da giocare la palla va a Nowtizki, che, circondato dalle maglie bianche degli Heat, trova libero Terry nel mezzo angolo destro. Per il Jet segnare dai 4 metri è un gioco da ragazzi. Nell’azione successiva Chalmers sbaglia un tiro da 3 punti. Rimbalzo lungo preda di Jason Kidd che lancia lungo ancora per Terry, da solo sotto il canestro avversario, per il più facile dei lay up. 8877 con 5:45 alla fine e Spoelstra che chiama time out (questione che tornerà d’attualità più avanti). Al rientro, James sbaglia un appoggio a un centimetro dal canestro e sull’attacco di Dallas, Chalmers commette fallo sul tiro ravvicinato di Terry, che, dalla lunetta, segna il suo sesto punto consecutivo, dopo averne collezionati 8 fino a poco prima. Miami vede i Mavs rientrare sotto la doppia cifra e prova a giocare col cronometro. Ne viene fuori un tiro dalla

media di Bosh allo scadere che scheggia il primo ferro. Dallas di nuovo in attacco. Prima la palla viene sporcata fuori dal campo, poi Nowitzki, marcato da Bosh (altra chiave di lettura), attira il raddoppio di James che libera Marion, il quale ha un corridoio per arrivare al ferro e segnare il -7. Qui arrivano due punti per Miami, con LeBron che va a subire un fallo su penetrazione e segna entrambi i tiri liberi. 9081. Ma è un vantaggio effimero. Ancora Nowitzki chiama a se i raddoppi degli Heat e pesca Kidd libero, su una rotazione errata di LBJ, per la tripla del -6 con 3:53 da giocare. L’attacco degli Heat ormai non esiste più. James tiene palla in mano 20’’ per poi prendere un fade away da 5 metri che si ferma sul primo ferro. Rimbalzo Nowitzki. La fiducia è tutta per gli uomini di Carlisle ora. Terry attacca dal palleggio Chalmers e gli stampa in faccia l’arresto e tiro del -4, con dedica a chi pensava che

POI NTS 95 93 FG 36 -7 5 ( .4 80 ) 34 -7 3 ( .4 66 ) 3P 6- 17 (.353) 9-30 (. 300) FT 17 -2 1 ( .8 10 ) 16 -2 4 ( .6 67 ) REB . 11-41 6-30 ASS IS T S 18 13 TU R N OV E RS 20 12 ST EAL S 8 15 BLOCKS 2 6 FA S T BREAK 13 16 FOUL S 20 ( 1 /0 ) 1 7 (1 /0 ) LARGEST LEAD 9 15


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partita e serie fossero già finite. Secondo time out Spoelstra a questo punto. Si ritorna in campo e Chris Bosh aggiunge un’altra macchia alla sua partita, perdendo palla in isolamento contro Chandler. 2:45. Nowitzki blocca per Terry, si apre nel mezzo angolo e segna il canestro del -2. All’American Airlines Arena si sente solo la voce di Mark Cuban. Heat che provano ad affidarsi a Wade. Kidd e Dirk lo raddoppiano e forzano il numero 3 a scaricare palla per il tiro dalla media di Haslem che si ferma contro il ferro. Primo possesso per il pareggio di Dallas. Nowitzki di nuovo blocca e si apre nel mezzo angolo, ma Terry questa volta non lo serve. L’attacco si inceppa e Miami ottiene l’unico stop difensivo degli ultimi sette minuti di partita, con James che cancella Nowitzki e Kidd che non segna il canestro disperato sulla sirena. Gli Heat hanno la grande occasione per chiudere l’incubo, ma la buttano via letteralmente. Prima James palleggia senza un fine particolare per 23’’ per poi tirare da tre fuori equilibrio e con la mano di Marion in faccia. Il rimbalzo è, però, per i ragazzi di Spoelstra, che provano allora a muovere la palla. Ma la paura ormai è troppa e chiunque tocca il pallone, dopo un attimo, lo restituisce a LeBron che ancora deve forzare da 3, questa volta con due uomini addosso. Il rimbalzo è nuovamente Heat. Haslem avrebbe un appoggio comodo da sotto, ma Kidd gli tocca il pallone. Lo stesso numero 40 prova a salvarlo buttandolo verso metà campo, dove le mani più veloci sono quelle di Marion che tocca verso Kidd, lanciando il contropiede del pareggio, con assist dello stesso Matrix per l’appoggio facile facile di Nowitzki. 90-90, 57’’. Ma la storia è ancora lontana dall’essere fatta. Spoelstra chiama un altro, inevitabile, timeout. Tutto ciò che ne viene partorito è l’ennesimo tiraccio da 3 punti fuori equilibrio, questa volta di Wade, che concede ai Mavs la palla del sorpasso, concretizzata mirabilmente dalla tripla di Nowitzki, lasciato inspiegabilmente solo dietro l’arco. Time out Miami, l’ultimo. La palla si muove verso la metà campo offensiva. Rimette James. Miller e Chalmers tagliano verso i due angoli opposti. Terry perde totalmente l’ex Kansas, pescato puntualmente da LeBron per l’immediata tripla del pareggio. 93-93, 24’’ alla fine, time out Carlisle, faccia di Terry che fissa il vuoto. Ma Dallas ha l’inerzia dalla sua parte. E gli accoppiamenti difensivi. Non si sa per quale motivo, quando le squadre rientrano in campo, Bosh è su Nowitzki. Il tedesco non ci può credere. Palla per lui al gomito. Uno contro uno con giro dorsale e Bosh saltato come un birillo. Miami avrebbe ancora un fallo da spendere, ma nessuno lo fa. L’aiuto di Haslem arriva troppo tardi. L’appoggio con la mano sinistra infortunata è un gioco da ragazzi. La storia ormai è fatta, per il tiro da metà campo di Dwyane Wade non c’è più posto. IL GIOCO CHIAVE: Basterebbero le statistiche per trovare i motivi dell’ultimo incredibile parziale Mavericks. 22-5 il totale, 9/10 dal campo Dallas, 1/10 Miami. Con LeBron James, Dywnae Wade e Chris Bosh a 0/6. Ma guardando bene gli ultimi sette minuti, ci si accorge di come Miami non abbia avuto risposte a una giocata particolare dei Mavs in attacco. Trattasi di un pick’n’roll sul lato sinistro del campo giocato, però, con due bloccanti, Nowitzki il primo, Chandler il secondo, e Jason

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Terry come palleggiatore. Un set offensivo che ancora non era stato sfruttato da Dallas in questa Finale e che ha colto gli Heat totalmente impreparati e incapaci di rispondere difensivamente. Grande confusione ha causata la presenza contemporanea di Nowitzki e Chandler a bloccare. Il difensore del tedesco era obbligato a scegliere se stare con Nowitzki o aiutare sul palleggio di Terry (liberando però Nowitzki per un tiro dai 5 metri che rendeva impossibile ogni recupero di un quarto difensore), pericoloso sia col tiro che con eventuale penetrazione, calcolando che subito dopo sarebbe arrivato il blocco di Chandler. E anche qui l’uomo di Chandler avrebbe dovuto decidere se aiutare forte su Terry, che aveva preso vantaggio sul suo uomo grazie ai due blocchi, lasciando però libero Chandler di muoversi indisturbato verso canestro per un probabile alley oop, o appunto, esporsi alla penetrazione di Terry senza concedere appoggi facili all’ex New Orleans Hornets. Il più in difficoltà di tutti, con sorpresa di nessuno, è apparso Chris Bosh, completamente confuso sul come adeguarsi e con parecchie responsabilità sul canestro di Nowitzki del -2 e sulla tripla del primo sorpasso. Per la cronaca, da questa giocata sono venuti 8 punti per Dallas (le triple di Kidd e Nowitzki e il tiro dal mezzo angolo del tedesco sopra citato) e l’unica volta in cui non sono andati a segno è stato più per una cattiva lettura di Terry che per un reale impatto della difesa. GESTIONE DEI TIME OUT: Come avevamo anticipato, un altro ruolo fondamentale nel finale della partita è stato quello della gestione dei time out da parte di Erik Spoelstra. Anche se in realtà non si può fare grande colpa al coach di Miami, che stava assistendo alla totale autodistruzione dei suoi in campo. Per quattro volte in 5’45’’ l’uomo di fiducia di Pat Riley mette le mani a forma di T per fermare l’incontro. La prima volta a seguito dei due canestri di Terry che riducono il vantaggio di Miami a 11 punti, saggia chiamata, per avvisare i suoi di non alzare il piede dal gas. Poi dopo il canestro sempre di Terry del -4, per cercare di organizzare un singolo attacco decente. Risultato: palla persa di Bosh in isolamento. Ancora time out, obbligato dopo il pareggio di Nowitzki in contropiede. Ne scaturisce un tiraccio da tre punti fuori equilibrio di Wade, in seguito al quale Dallas attacca, in maniera assai intelligente, senza chiamare minuto, leggendo le difficoltà difensive di Miami e impedendo a Spoelstra di inserire Anthony per Bosh o Haslem. L’ultimo time out è proprio dopo questo possesso che porta al sorpasso Mavs, sul 93-90. Miami organizza la rimessa, ma segna per un errore difensivo madornale di Terry, più che per propri meriti, mettendo in atto uno schema che avrebbe dovuto premiare Wade, o al limite James, i quali venivano dagli errori al tiro già accennati. L’effetto di questa catena di time out è stata l’impossibilità di Miami di organizzare un tiro nei tre secondi rimanenti dopo il canestro del 95-93 di Nowitzki. Avesse Spoelstra avuto un altro time out a disposizione, la palla sarebbe stata avanzata nella metà campo dei Mavs, per una rimessa con 3’’ da giocare. Resterà poi sempre da capire perché gli Heat non abbiano speso quell’ultimo fallo a disposizione nell’azione decisiva, invece che lasciare arrivare Nowitzki fino al ferro


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Game T wo press room

NBA FINALS ‘GAME TWO’

«Prima della partita sapevo che il dito non mi avrebbe dato fastidio e così è stato. Sono riuscito a tenere i polpastrelli più in basso e così ho mantenuto il contatto con la palla. Avevo il palmo della mano aperto e i polpastrelli mi hanno permesso di controllare la palla. Non sono comunque riuscito a tirare come volevo neanche questa sera, ho sbagliato molti tiri comodi, proprio come in Gara 1, e quindi dovrò essere più preciso in gara 3 se vorremo vincere di nuovo. Abbiamo parlato nel time out di che rimonta avessimo fatto, dopo la mia tripla del sorpasso, e di concentrarci sulla rimessa per non concedergli tiri da 3 punti ma spingerli dentro. Non so bene cosa sia successo, Chalmers era completamente libero e ha segnato il canestro del pareggio. Per noi è stato un colpo piuttosto duro. Ma nel time out successivo ci siamo detti che loro avevano ancora un fallo da spendere. Così ho attaccato il canestro un pò in anticipo pensando che mi avrebbero fatto fallo. Ma non è successo e così ho potuto appoggiare comodamente al tabellone. E' stata una grande rimonta. Siamo una squadra di veterani, non ci esaltiamo troppo nei momenti positivi ma nemmeno ci abbattiamo eccessivamente in quelli difficili. In questa lega devi giocare sempre fino alla fine, specialmente durante le Finali. Puoi anche essere sotto di 20, ma devi continuare a provarci. Non puoi mai sapere cosa può succedere e noi oggi abbiamo continuato a crederci e provarci fino all’ultimo».

N ICOLO ICOLO’ F IUMI IUMI DI

DIRK NOWITZKI

JASON TERRY

«Incredibile. Non so come stesse il suo dito, ma a lui non importava. Ha continuato a fare tutto il possibile per portarci alla vittoria e i tiri che ha segnato sono tiri su cui lui si allena tantissimo. Sapeva che sarebbe arrivato il suo momento, indipendentemente dalle sue condizioni fisiche ed è stato pronto a sfruttarlo nel migliore dei modi. Abbiamo cavalcato quel momento che è stato il punto di svolta della partita. Siamo usciti dal time out, dopo il -15, sapendo che se non avessimo segnato sarebbe finita lì per noi. Durante il time out ci siamo guardati negli occhi e, specialmente io parlando con Dirk, ci siamo detti che non esisteva che uscissimo di scena in quel modo, perdendo male e con loro che magari chiudevano la partita facendo festa tra schiacciate e tiri da tre punti. Abbiamo continuato ad aver fiducia in noi stessi, ce l'abbiamo messa tutta e ne siamo usciti vincenti. Per buona parte dell'incontro abbiamo perso palloni che li hanno mandati in contropiede e per cui non hanno dovuto affrontare la nostra difesa su metà campo. Ma per quei 7 minuti abbiamo trattato meglio il pallone, abbiamo attaccato meglio e in difesa non li abbiamo fatti respirare, costringendoli a prendere tiri difficili e a faticare su ogni possesso. Questo ha fatto la differenza per noi»

«Ho giocato assieme a Larry Bird quando era il migliore di tutti. I giocatori come lui, come Dirk, in questi momenti non sentono il dolore. Quando arrivi a questo punto devi giocare e, se senti dolore, devi trovare il modo per renderti insensibile ad esso. Avevamo bisogno di giocate difensive e il lineup con tre piccoli è andato in campo perchè c'era bisogno di dare riposo ad alcuni giocatori, oltre al fatto che Haywood si era infortunato e Chandler stava giocando da molti minuti consecutivi e quando poi è rientrato ha fatto alcune giocate difensive importanti. Senza dubbio è stato importante, appena finiti sotto di 15, segnare quattro punti rapidi con Terry e poi da lì dare un segnale forte a livello difensivo. Siamo già stati in situazioni simili in questi playoffs e i ragazzi oggi hanno dimostrato di saper gestire queste situazioni. Abbiamo visto come, se riusciamo a difendere con aggressività, abbiamo sempre una chance di vittoria contro chiunque. Oggi, senza difesa, non saremo qui a parlare della nostra vittoria. Non credo ci sia da dire molto sugli arbitri. Se credo che in campo i miei giocatori non siano tutelati mi arrabbio io per loro e cerco di difenderli, è parte del mio lavoro, così come lo è, se necessario».

RICK CARLISLE


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LEBRON JAMES «Certamente fa male. Abbiamo due giorni per ripensare ai nostri errori e a come abbiamo sprecato un vantaggio di 15 punti. Ci siamo fatti del male da soli, ma ora vediamo cosa riusciamo a fare come squadra. (sulla questione dei festeggiamenti dopo la sua tripla) Anzi tutto, ogni squadra in questa Lega, quando riesce a piazzare un parziale del genere ha delle reazioni. Che possono essere urla o cinque ai compagni. Fa parte del gioco. Una celebrazione è quando scendono i coriandoli dal soffitto e si stappano le bottiglie di champagne. Ovviamente loro hanno giocato molto bene. Noi abbiamo giocato molto bene in difesa all'inizio, ma nel finale loro sono riusciti a fare meglio di noi. Abbiamo commesso errori mentali e sbagliato tiri aperti. Eravamo avanti di 15 e sapevamo che loro erano una squadra in grado di rimontare. Non avevamo bisogno di segnare un altro canestro per vincere, ma di fermarli con la nostra difesa e non l'abbiamo fatto. Hanno meritato di vincere».

ERICK SPOELSTRA

«E’ una serie apertissima ora. Con il punteggio di 1 a 1 non vediamo l’ora di raccogliere la sfida. Sarà difficile, ma non vediamo l’ora. Siamo un gruppo che ha molta fiducia e che gioca molto bene fuori casa. Dopo la tripla di Dwyane non c’è stata proprio nessuna celebrazione. Ero semplicemente eccitato per il fatto che lui avesse segnato un canestro che ci aveva portati a +15. Non è stato un problema di ritmo offensivo. Il problema è stato concedere troppo a loro quando eravamo in difesa. Loro hanno cominciato 1/10 dal campo nel quarto periodo ed eravamo 88-73 per noi. Da li in poi hanno segnato 22 punti. Dei 24 totali del quarto. Eravamo avanti di 15, se il loro parziale fosse stato anche solo di 12-0 avremmo comunque vinto di 3. Dobbiamo tornare ai nostri livelli e impedire a una grande squadra, come sono loro, di poter prendere i tiri comodi che hanno preso oggi nei momenti decisivi. Kidd ha segnato da 3 piedi per terra, Terry ha segnato da solo in contropiede e poi ha messo un jumper completamente libero, Dirk ha segnato la tripla del sorpasso completamente libero. Non è il modo in cui sappiamo difendere, dobbiamo essere molto più concentrati».

DWYANE WADE «E’ il quarto periodo più difficile da digerire che potessimo avere. Quando ha cominciato ad andare male non ha più smesso. Questi sbandamenti sono piuttosto insoliti per noi su entrambi i lati del campo, ma siamo comunque un gruppo che combatte sempre. Appena domani saliremo su quell’aereo per Dallas, i nostri corpi, le nostre menti, i nostri spiriti saranno pronti ad affrontare gara 3. Sarà una lunga serie. Non siamo contenti per come è andata stasera ma abbiamo ancora un’opportunità in gara 3. Abbiamo avuto momenti in cui non siamo andati bene durante l'anno e ci siamo sentiti con le spalle al muro, ma abbiamo sempre risposto facendo vedere il nostro meglio. Abbiamo giocatori con il carattere per reagire a una partita del genere. Certamente non siamo contenti di come sia andata, il modo in cui abbiamo chiuso la partita è molto strano per noi. Offensivamente se fossimo stati in grado di muovere la palla probabilmente saremo riusciti a portarla casa nonostante la pessima prestazione difensiva degli ultimi minuti». CHRIS BOS H. «Ha fatto il suo movimento abituale. Mi ha ingannato con il giro dorsale mentre cercavo di chiudergli il palleggio, ed era quello che voleva. Per una frazione di secondo ho difeso male e mi ha punito. Dal canto nostro abbiamo eseguito male nei momenti decisivi. Non siamo sotto choc o cose del genere, semplicemente siamo arrabbiati. Ma dobbiamo fare i conti con la realtà, renderci conto che ora la serie è in parità e concentrarci sulla prossima partita. Non so dirvi cosa sia successo esattamente. Avevamo l'inerzia dalla nostra parte. Loro ci hanno tolto sicuramente ritmo in attacco, ci hanno obbligati a tiri che non avevamo preso fino a quel momento e ci siamo ritrovati a giocare contro il cronometro. Dovremo mettere apposto un pò di cose e fare meglio in gara 3».


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S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

Il colpo mancino di Dirk

DI

N IIC CO OL LO O’ F I IU UM MI I

DIRK NOWITKZI – Arriva con un dito della mano sinistra infortunato e gioca fasciato. Per tre quarti fatica, ha brutte percentuali di tiro e vede James e Wade poco per volta prendere il proscenio in maniera quasi ineluttabile. Ma quando l’incubo di una nuova sconfitta sembra sempre più reale, sfodera una delle prestazione più incredibili dei playoff NBA. 24 punti e 11 rimbalzi non testimoniano assolutamente quello che ha fatto in quegli ultimi 6 minuti abbondanti. La freddezza con cui gioca è tanto motivo di ispirazione per i compagni, quanto monito di sciagura per gli avversari. Segna con una tranquillità irreale il jumper da 5 metri che toglie le ultime certezze a Miami. Con altrettanta leggerezza sposta l’incubo nella testa di LeBron e compagni con la tripla del 93-90. Cazzia Terry dopo l’errore imperdonabile su Chalmers e mette l’ultima pennellata sul suo affresco divino ridicolizzando Bosh nell’uno contro uno vincente. Totale. DWYANE WADE – Dimenticare la sua prestazione sarebbe criminale. 36 punti, 5 rimbalzi, 6 assists e il 65% al tiro. Le palle perse dei Mavs gli aprono spazi in campo aperto che cavalca da purosangue quale è. I punti facili lo mettono in ritmo e comincia a segnare anche i tiri da fuori che non sono esattamente specialità della casa. La tripla del +15 sembra il punto esclamativo sulla sua prestazione e tutti cominciano a pensare al suo record di 43 punti nei playoff, pronto per essere battuto.

Poi anche lui finisce nel pantano. Il tiro da fuori non entra più, Kidd lo imbriglia con la sua difesa, Dallas sale in cattedra e a lui rimane in mano solo un pugno di mosche. Ma è comunque il migliore dei suoi.

SHAWN MARION – Riappare sui radar NBA The Matrix, alla seconda partita di spessore consecutiva in queste Finals. Segna 20 punti, cattura 8 rimbalzi, trova il tempo di dare 3 assists, il tutto con 9/14 dal campo e il suo classico stile non convenzionale. Soprattutto, in queste due partite, è stato quella terza opzione offensiva di cui Dallas ha disperatamente bisogno per avere un attaccante affidabile da alternare a Nowitzki e Terry. Da non sottovalutare nemmeno il suo lavoro difensivo di primissimo livello contro LeBron James. RICK CARLISLE – L’allenatore dei Mavs le ha provate tutte, ben conscio di non poter finire sotto 0-2 per darsi una chance di vittoria finale. Prima un accenno di zona nel primo quarto, rimessa rapidamente nel cassetto dopo due attacchi vincenti degli Heat. Poi la gestione particolare di Nowitzki, cambiato con anticipo per averlo in campo più a lungo nel finale. Il tentativo dei tre piccoli (Kidd, Barea, Terry) all’inizio dell’ultimo quarto, quando i suoi erano arrivati a -2, salvo subire il 13-0 di parziale e scivolare sotto di 15 lunghezze. Dentro allora il quintetto classico e, al terzo tentativo, la trovata risolutiva, con il pick’n’roll con doppio bloccante che ha lasciato senza risposte Miami e riaperto una serie che si stava rapidamente chiudendo.


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Chris Bosh è un fantasma NBA FINALS: Up&Down

C H RI S B O S H – Un disastro. Totale, non esistono mezzi termini. 4-16 al tiro (dopo il 5/18 di gara 1), 2 palle perse di cui una sanguinosa durante la rimonta avversaria. Una prestazione difensiva al limite dell’oscena, in confusione totale sui pick’n’roll e con la ciliegina finale del canestro della vittoria concesso a Nowitzki facendolo appoggiare comodamente palla al ferro e senza spendere il fallo che ancora aveva a disposizione. E’ bastato poco per fare dimenticare a tutti la sua splendida serie contro i Bulls. Dopo due partite, i Big,

a Miami, sono due. ERIK SPOELSTRA – E’ probabilmente un po’ severo mettere il coach degli Heat tra le note negative. Non si può certo dire che non abbia avvisato i suoi che Dallas non fosse morta anche una volta sotto di 15 a 7 minuti dalla fine. Ma non possiamo nemmeno dimenticarci di come siano usciti i suoi giocatori dai 4 timeout chiamati nell’ultimo quarto, con una saga di oscenità offensive e un solo canestro, quello di Chalmers, giunto per una distrazione difensiva. Certo, il dubbio è sempre se sia la chiamata del coach ad essere carente o l’esecuzione dei suoi giocatori, ma, senza controprova, ci affidiamo a quello che abbiamo

vista sul campo: poca organizzazione.

PEJA STOJAKOVIC L’arma in più dei Mavericks per tutti i playoffs, è per ora il pezzo mancante nel puzzle di Rick Carlisle. Se in gara 1 si era fermato a 0/3 dal campo, questa volta è il suo allenatore che lo ferma dopo 5 scialbi minuti sul terreno di gioco. Appare improvvisamente spaesato e completamente avulso da questo livello. E i maligni tornano a ricordarsi dell’airball contro i Los Angeles Lakers.


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L’ultimo ‘respiro’ è di Bosh

NBA FINALS ‘GAME THREE’

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA DI

Uno sport crudele. Se a Carlisle avessero detto di firmare, sotto di due, per il pareggio e quindi l’overtime o la tripla della vittoria, con pallone nelle m ani di chi in preceden z a a v e v a segnato 12 punti in fila, l’ex Pacers lo avrebbe fatto addirittura col sangue. Ed invece mai dire mai in questo gioco. Mai dire mai con Miami avanti in doppia cifra a campi invertiti, mai dire mai quando la tua superstar fa tutto quello che gli è normale per arrivare al suo tiro e la palla si incoccia sul secondo ferro per la sconfitta di misura. Ora per Dallas doppio compito: recuperare la serie, mettere a punto il sorpasso e battere anche la cabala e le statistiche che vogliono vincenti al titolo che strappa il terzo

TEAM STAT COMPARISON

MI AMI @ DALLAS

P OINT S 88 FG 34- 78 (.436) 3P 8-19 ( .421) FT 12- 15 (.800) REB. 9-36 ASSISTS 20 T U RNOV ERS 1 3 STEALS 8 B LOC KS 5 FAST BREAK 1 4 F OUL S 2 7 (0/ 0) LARGEST LEAD 1 4

86 28-70 (. 400) 8- 21 (.381) 22-27 (. 815) 12-42 18 14 3 8 16 14 (0/ 0) 5

episodio con la serie in parità dopo i provenisse anche da altre parti. Un primi due. qualcosa, però riuscito in parte, ma almeno va dato atto a coach Spoelstra H A R D I N ‘ D A ’ P A I N T - Attaccare il di aver dimostrato di aver fatto i compitturato. Attaccare i lunghi di Dallas piti a casa nel trasferimento della o meglio attaccare Tyson Chandler serie in texas e di aver messo in atto il che senza Haywood aveva il compito suo primo accorgimento tattico. di difendere da solo il fortino texano vicino a canestro (provando a mettere SUPER MARIO - Un continuo entrare nelle mani di Bosh quella voglia di ed uscire dalle grazie di Spoelstra. Un v i t t o r i a d a p r o t a go n i s t a c h e l ’ e x continuo entrare ed uscire dall’idea di Raptors stava per mandare all’aria se compagno di squadra affidabile e di non avesse segnato il tiro della vitto- livello per vincere il titolo, da parte di ria dopo scelte scellerate ed idee di Wade e James. Eppure il suo nome è pallacanestro offensiva tutta sua ndr). quello uscito sulla ruota vincente di Alternare i giochi. Provare a far senti- gara3. Il suo nome è stato quello chiare a Dallas di non potersi concentrare mato a risolvere i problemi che in solo sugli esterni, ma che il pericolo attacco, prima ancora che in difesa,


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Bibby (il prescelto per compiere l’ultimo passo ndr) lasciava di volta in volta ai vari Terry e Barea. Certo poi devi accettare il rischio che quello che scende in campo sia il Dottor Jekyll, ovver la parte buona, e non il Mister Hyde. E per fortuna degli Heat la prima serata a Dallas è s t ata anche e soprattutt o d i M a r i o ‘ D o t t o r J e k y l l ’ Chalmers che ha risposto a suon di triple.

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dura solo pochi minuti, il tempo per i Mavs di sparare le prime cartucce, far sentire che ci sono e poi finire in calando il quarto, ma facendo salire i numeri di giri del motore di Lebron James che attacca il ferro e firma il primo vantaggio. Due i break di 7-0 per i texani in mezzo alle sfuriate di Dwyane Wade che fa impazzire Kidd e la difesa dei Mavericks che se lo vedono arrivare fino in fondo in ogni modo; con o senza la palla. Al suono della I L M A T C H – Pronti via e l’impatto di essere nel Texas sirena del primo tempo sono19 i punti dell’ex Marquette che però valgono solo quasi due possessi di vantaggio, per ‘colpa o merito’ di Marion e Nowitzki. Di parziali e di contro parziali è fatto anche il terzo periodo di gioco, con quello molto simile al finale di gara2 per i Mavs che con un perentorio 15-2 rimettono le cose a posto, prima dei colpi a mo’ di fioretto da una parte e dall’altra con i quali si va verso la fine l’ultima parte di gara. Il finale sembra una fotocopia di quello di Miami. James in disparte, la questione diventa tra Wade e Nowitzki (con tanti tiri sbagliati sugli scarichi da parte dei compagni del tedesco e Terry in prima linea) e Bosh che dopo aver sbagliato l’impossibile in termini di letture offensive e tiri non presi salva la faccia con il tiro che poi da il vantaggio decisivo agli Heat.


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Game Three press room

NBA FINALS ‘GAME THREE’

SPOELSTRA: «Questa è una serie destinata a vedere prevalere chi avrà maggiore resistenza fisica e mentale. Noi non siamo sempre stati all’altezza della situazione stasera, ma abbiamo avuto la forza di segnare canestri pesanti nei momenti importanti. Come in gara 2 si sono ripresentate situazioni dove giocatori decisivi come Wade, James e Nowitzki possono sempre segnare. Il tiro finale di Dirk non è differente da tanti altri tiri suoi di gara 2 che ha segnato. Và dato merito a Haslem, però, che è stato bravo a mantenere il suo corpo tra Nowitzki e il canestro e a forzarlo a un fade away. E’ stata un’ ottima giocata sia offensiva che difensiva, e poteva finire in ogni modo. Il tiro finale di Bosh non era disegnato per lui e proprio per questo abbiamo dimostrato di avere grande fiducia in noi e nei nostri compagni. Ci sono stati molti possessi nell’ultimo quarto dove la palla si è mossa e alla fine siamo riusciti a trovare l’uomo libero per il tiro migliore».

W WA AD DEE -- J JA AM MEES S BOSH: «Abbiamo dimostrato cosa voglia dire essere una squadra. Era una partita che non potevamo perdere e l’abbiamo voluta vincere con tutti noi stessi. Io mi sento bene, cercherò di curare l’occhio per non avere fastidio nelle prossime partite. Siamo qui per vincere un titolo, quindi non posso fermarmi né di fronte a un infortunio né di fronte alle critiche che possono arrivare. Credo di aver giocato meglio rispetto a gara 2. I miei compagni hanno fiducia in me e io devo ripagarli producendo giocate importanti, che siano tiri, passaggi o penetrazioni. Lavorando con la squadra e in sala video ho imparato a capire molte cose. E così sull’ultima azione sapevo come si sarebbero mossi Nowitzki e Chandler, considerando che Wade e James stavano giocando un pick’n’roll. Al contempo sapevo che Udonis avrebbe bloccato per me e così ho preso il tiro con molta calma e serenità»

N ICOLÒ ICOLÒ F IUMI IUMI DI

EER RIIK K S SP PO OEELLS STTR RA A WADE: «Sapevamo che era una partita che non potevamo perdere per riprenderci subito il fattore campo. Non è stata solo una grande vittoria, ma anche una grande partita. Abbiamo risposto in tutti i momenti in cui loro sembravano prendere l’inerzia della gara. Ho cercato di essere un leader e guidare i miei compagni verso la vittoria. E’ un lavoro che era già cominciato ieri in allenamento e tutti i miei compagni hanno risposto alla grande. Udonis ha difesa benissimo su Nowitzki nell’ultimo possesso. Voleva essere su di lui alla fine di gara 2 ma lo svolgimento dell’azione glielo aveva impedito, così ha accettato la sfida stasera. E’ stato fra lui e il canestro e lo ha costretto a un tiro più difficile del normale». JAMES: «Sulla giocata decisiva loro hanno raddoppiato Dwyane, Chandler è venuto in aiuto su di me e a quel punto ho visto Chris libero. Quello è il suo tiro, la sua posizione, l’avrei passata a lui anche se avesse sbagliato gli ultimi 15 tiri presi. E infatti ha segnato. Questo testimonia la fiducia che abbiamo fra di noi, indipendentemente dal momento della partita. Abbiamo giocato, poi, una grande partita in difesa. Dallas è una squadra con grandi giocatori che in attacco possono creare per loro ma, soprattutto, per i compagni. La nostra difesa, stasera, è stata in grado di impedire a loro di fare le cose che sanno fare meglio quando attaccano».

C CH HR RIIS S B BO OS SH H


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R RIIC CK K C CA AR RLLIIS SLLEE N O W I T Z K I : «Abbiamo avuto le nostre opportunità per vincere, ma prima di tutto non possiamo sempre finire dietro nel punteggio. Lo abbiamo fatto più volte e oggi e alla fine il dover sempre recuperare lo paghi. Nonostante questo siamo arrivati al finale di partite con le nostre opportunità per vincere, ma non siamo stati abbastanza pronti. Va dato merito alla loro difesa che ci ha tenuto sotto il 40% dal campo anche oggi e ha messo i nostri tiratori fuori ritmo. Noi avremmo dovuto essere più furbi all’inizio quando gli abbiamo fatto prendere ritmo troppo presto. Abbiamo perso qualche pallone in meno rispetto a gara 2, ma continueremo ad avere palle perse contro questa difesa, perché sono grossi e atletici. Ma continuando a lavorarci possiamo migliorare questa statistica in vista di gara 4. La mia idea non è cambiata. Era una partita fondamentale e perderla così in volata fa male, ma loro comunque ne devono vincere altre due. Perciò speriamo di migliorare le nostre percentuali di tiro e giocare una partita migliore in generale».

CARLISLE: «L’assenza di Haywood, ovviamente, ha creato alcuni problemi perché lui è presenza fissa nelle rotazioni. Mahinmi ha giocato con grande energie, in certe situazioni anche troppa, ma questo era preventivabile. Stasera quello che ci ha fatto male è stato che ci siamo scavati la fossa da soli, tranne forse nei primissimi minuti. Andavamo sotto di 5/7 punti, poi recuperavamo, tornavamo pari, magari avanti di un punto e un attimo dopo eravamo già lì a scavarci la fossa di nuovo, finendo sotto di altri 5/6 punti. Loro hanno giocato meglio di noi, noi dobbiamo migliorare sotto tanti aspetti, prima di tutto portando di più la palla a canestro. Nel corso della partita dobbiamo essere più costanti e avere meno passaggi a vuoto. Sappiamo che nei playoffs possono accadere episodi come il tiro da centrocampo di Chalmers che poteva essere un infrazione di campo, ma dobbiamo saper reagire e non farci abbattere da questi».

D DIIR RK K N NO OW WIITTZZK KII

J JA AS SO ON N K KIID DD D

KIDD: «Dobbiamo trattare meglio il pallone. Indipendentemente dalle situazioni, non possiamo permetterci di concedere a questa squadra così tanti canestri facili in contropiede. Dobbiamo anche segnare di più, perché creiamo ottimi tiri, ma non li segniamo. Continueremo a prenderli anche in gara 4, sperando che la situazione migliori. Loro hanno giocato molto duro nelle ultime due partite. Non solo hanno segnato in campo aperto, ma hanno saputo segnare anche canestri difficili e tiri da tre punti che assolutamente dobbiamo togliergli. Ma prima di tutto dobbiamo migliorare le nostre percentuali, specialmente nei minuti conclusivi della partita. Haywood ci mancherà perché è un fattore in difesa, ma può anche segnare in attacco, ma non deve essere un alibi, perché comunque dobbiamo proteggere l’area, cercando al contempo di uscire sul perimetro a contestare i tiri da 3 punti».


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Chalmers ‘stoppa’ Dallas

DI DI

D DO OM ME EN NI IC CO O P PE EZ ZZ ZE EL LL LA A

DI R K N O W I T Z K I

Nel bene o nel male il momento più caldo della prima delle tre serate in Texas è di impronta tedesca. Nel bene perché senza quei 12 punti in fila nella parte conclusiva del quarto periodo non si stava nemmeno parlando di finale avvincente e punto a punto. Nel male perché proprio da quelle mani e nella zona che volev a (anche se con un piccolo errore di esecuzione e di preparazione del gioco finale) è partito l’ultimo tentativo di allungare il brodo e provarci al supplementare. Senza contare che poi i numeri di WunderDirk dicono: 34 punti, 11 rimbalzi ed il tutto sempre senza una mano. T Y S O N CH A N DL E R Ma la sconfitta dei Mavericks è un peccato anche per la prova di Tyson Chandler. Un fattore in difesa l’ex

Hornets e Bobcats, dove è stato presente su tutti i palloni, ma soprattutto su tutte le chiusure di aiuto mettendo sempre corpo e centimetro di fronte agli avversari. Una presenza continua su ambo i lati del campo per una prova che avrebbe avuto tanto di suo anche con soli 5 punti all’attivo.

D W Y A N E W A D E -M A R I O CH A L M E R S Dall’altra parte della barricata, invece, due soli nomi: Wade e Chalmers. Il primo per come anche in gara3 ha saputo ergersi a protagonista e trascinatore nel momento in cui James ha smesso di esserlo in attacco segnando 7 punti nel secondo tempo (29 con 12/21 per l’ex Marquette). Il secondo per la freddezza e la sicurezza con la quale ha piazzato le triple che ogni volta hanno stroncato i tentativi di rimonta prima di quella finale nel quarto periodo. Alla fine 4/6 il dato statistico dalla lunga distanza per l’ex Kansas.


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J - Te r r y n o n p r e n d e i l v o l o

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PE J A S T O J A K O V I C

Sei minuti appena. Questo il minutaggio di Pe ja Stojakovic che ancora una volta ha trascorso più tempo in panchina a guardare i compagni che in campo a tirare. Il tallone d’Achille del killer dei Lakers ed in parte anche dei Thunder continua ad essere uno: la difesa. L’idea di Carlisle di posizionarlo nel ruolo di ‘4’ per avere vantaggi in attacco non paga in difesa per un giocatore che diventa più un azzardo che altro.

della sfida.

S HA W N M A R I O N Tra le fila dei texani, poi, non ha certo entusiasmato Marion, che proprio non ci riesce ad essere un vero fattore: due palle perse, 10 punti e 4/12 dal campo.

L E B R O N J A M E S - C HR I S B O S H In casa Heat ancora una volta due nomi: Chris Bosh e Lebron James. Con l’ultimo canestro dalla media distanza dopo i tanti passati inopinatamente ed i tanti errori di lettura su situazioni di pick and roll non volute da Wade, l’ex compagno di squadra di Bargnani salva solo la faccia, dal momento che il suo ruolo agli Heat non sembra essere proprio quello di aspettare di arrivare nei minuti conclusivi per decidere di alzare la mano e provarci. Per quanto riguarda The Chosen One, una sfida un po’ simile a quella persa a South J AS O N T E RR Y Beach. Partenza a mille, canestri di rara bellezza, ma Nessun tipo di problema si è mai fatto, invece, lo stes- dopo aver segnato 10 punti nel primo tempo, ne mette so Carlisle nel mettere in campo nei momenti impor- sette tra terzo e quarto periodo con qualche errore di tanti del match Jason Terry, che però cosi come nel troppo. Ed allora meno male che c’era Wade. 2006, buca di nuovo i tiri fondamentali della vittoria. Almeno tre quelli sbagliati nel finale compresa la tripla che avrebbe potuto girare completamente l’esito


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Dallas: è pari contro tutto e tutti

NBA FINALS ‘GAME FOUR’

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA DI

Contro tutto e tutti. Contro il dito della mano sinistra ancora malandato, contro il virus influenzale che nemmeno lo faceva parlare, ma soprattutto contro un Wade che ancora una volta ha dovuto dimostrare di essere il padrone assoluto di questa squadra. Nowitzki completa l’opera iniziata da Terry tra fine terzo ed inizio quarto periodo mettendo 12 punti nei soli 12’ finali e guidando i Mavericks ad una vittoria fondamentale che pareggia la serie e da ancora ai texani la possibilità di ripresentarsi in Florida con un qualcosa di concreto tra le mani. «Una vittoria di cuore, una vittoria sudata e guadagnata possesso dopo possesso. Quando siamo scesi in campo sapevamo delle condizioni di Dirk che questa sera ha avuto un cuore enorme, ed ognuno di noi del supportino cast sapeva

TEAM STAT COMPARISON

MIA MI @ DAL L A S

che doveva dare qualcosa in più e alla fine siamo arrivati alla vittoria» le parole di Chandler che si sostituisce a Nowitzki che invece scappa via negli spogliatoi per il giusto riposo.

con il cervello che con la foga agonistica. Carlisle se ne è accorto ed ecco la mossa che ha cambiato il tutto: Barea in quintetto base al posto di Stevenson che tra l’altro ne ha giovato visto qualche problemino fisico. Barea rinasce rispetto alle prime tre uscite LA MOSSA DI CARLISLE - Gli mancava della serie e la sua velocità, prima ancora qualcosa. Gli mancava quella velocità che che punti, porta Dallas al successo. nelle serie precedenti aveva messo in ginocchio Portland, Lakers ed Oklahoma. L’ASTINENZA DI MIAMI - Determinata Gli mancava il vero JJ Barea. Il portorica- principalmente dallo scossone che la squano dalla panchina, non è riuscito a trovare dra ha ricevuto ogni qual volta il numero 6 quella sostanza, che invece in precedenza ha passato un tiro costruito per lui o quanera riuscito a dare. Probabilmente il peso to meno che fino a quel momento aveva della prima finale in assoluto ed il fatto di preso senza che fosse arrivata l’esortazione dover fare la differenza subito ed in pochi a tirare persino del ragazzo delle bibite minuti, gli avevano tolto quella serenità sugli spalti. Fuori ritmo. Questo il concetto interiore che invece gli serviva per azionare per racchiudere quanto detto. Già perchè il turbo e guidare il corpo prima di tutto ad ogni tiro sbagliato o rifiutato da James,

POI NTS 83 FG 32 -7 5 ( .4 27 ) 3P 2- 14 (.143) FT 17 -2 4 ( .7 08 ) REB . 15-44 ASS I ST S 19 TU R N OV E RS 15 ST EAL S 8 BLOCKS 5 FA S T BREAK 9 FOUL S 23 ( 0 /0 ) LARGEST LEAD 9

86 29-73 ( .397) 4-19 (. 211) 24-30 ( .800) 12-41 13 11 7 2 6 18 (1/0) 7


S T A RS ‘ N ’ S T R IP E S

Wade ha provare a rimediare e quando la palla non gli finiva tra le mani gli altri hanno dovuto arrangiarsi con i propri mezzi e con rispetto parlando non si è certo nelle mani di due dei primi cinque di questo sport. Black out imperdonabile che la luce prodotta dal personale generatore dei 32 punti di Wade non ha potuto sopperire. CHI HA VISTO LEBRON JAMES? - Ci sarà pure un’interruttore sul quale c’è scritto da una parte devastante e dall’altra fantasma. Ci sarà in egual modo, qualcuno o qualcosa nella sua mente che nel momento meno opportuno si diverte a cambiare quel ‘mode’ e rendere uno dei primi di questa Lega per mezzi fisici che porta a spasso e talento (anche se mettersi a lavoro per migliorare l’affidabilità del proprio tiro e movimenti in post basso cosi come per esempio ha fatto nel tempo Bryant) in un giocatore normale e che prova ad aggirare un ostacolo che però ogni volta gli batte in faccia. In genere da un giocatore come Lebron ti aspetti che faccia quel salto disumano per superare quell’ostacolo e dove per salto si intende punti, leadership e cattiveria per portare a casa la vittoria. Ed invece, cosi come a Cleveland la decisione del LBJ è stata quella di voler essere ecumenico, quella di voler mettersi nelle mani

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dei compagni di squadra, compreso Wade, che però in egual modo si aspettavano da lui quel qualcosa in più per girare le sorti del match. La sua gara4 è stata la chiave della croce degli Heat e la delizia di Dallas. Da quei tiri passati e non presi, da quella riluttanza ad arrivare al ferro e far esplodere tutta la sua potenza, da quella indecisione mostrata a tutto il mondo dalla lunga distanza, non si è più ripreso, nemmeno con una tripla doppia. IL MATCH – Subito dentro Barea, subito Dallas con un numero di possessi e di velocità di altissimo livello, anche se a darsi battaglia nei primi minuti sono solo ed esclusivamente Dirk Nowitzki e Chris Bosh con sei punti a testa. Cheto il ‘Big Two’ di Miami, Barea e Terry provano a non far rimpiangere il riposo del tedesco e nel finale è ancora il portoricano a segnare i liberi della parità. I tanti errori al tiro e le palle perse di Dallas permettono a Miami di prendere il primo vero break della serata con la tripla di Miller per due possessi pieni di distanza. I Mavs non si danno per vinti, ancora una volta, recuperano punto su punto e tripla su tripla con Stevenson arrivando anche al +4 prima del risveglio di Wade (mentre Lebron fermo a quota 4). L’ex Marquette decide in un attimo di prendere la situazione tra le mani, segnare e far segnare punti con gli Heat che si ritrovano avanti alla fine del primo tempo. Ecumenico il Lebron James del terzo periodo che continua a passare palloni a profusione industriale e a tirare il giusto. A tenere a galla Miami, allora ci pensa il solito Wade ed il solito Bosh, mentre dall’altra parte Dallas nel finale torna a sbagliare tiri importanti ed apre l’ultimo periodo sotto di 5. Terry ritorna in campo indiavolato. Segna due canestri in fila che spediscono Miami nel buco nero offensivo dove James si trasforma in un fantasma allo stato puro, Wade si carica la squadra sulle spalle (peccato solo per la palla persa sull’ultima rimessa ndr), ma alla fine il biondo tedesco influenzato segna due canestri che uniti ai liberi di Terry chiudono la questione e rimandano tutti a gara5.


STAR S ‘N’ STR I PES

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Game Four press room N ICOLÒ ICOLÒ F IUMI IUMI DI

NBA FINALS ‘GAME FOUR’

SPOELSTRA: «Questa serie è così. Ogni partita è decisa dagli episodi. C’è grande equilibrio, ma loro oggi hanno fatto molto meglio di noi nel quarto periodo. Abbiamo fatto male in generale, e anche quando siamo riusciti ad avere una serie di buone difese in attacco non abbiamo avuto fiducia uno dell’altro. E quindi siamo a questo punto. Gara 4, dove ognuna delle due squadra ha fatto il proprio dovere, vincendo almeno una partita fuori casa. Non resta che concentrarsi su gara 5. Personalmente devo cercare di fare un lavoro migliore per mettere LeBron nelle condizioni ideali per rendere ma più in generale dobbiamo essere più concentrati. Oggi nell’ultimo periodo quando avevamo 8/10 punti di vantaggio abbiamo concesso loro troppi canestri facili facendoli rientrare in partita». W A D E : «Ho avuto una buona serata offensiva, ma alla fine è quello per cui sono qua. Devo fare giocate decisive, che si tratti di un canestro di una palla rubata, di correre dietro a Terry sui blocchi e di stoppare qualcuno. Ma siamo alle Finali e alla fine di ogni partita devi essere certo di aver lasciato ogni singola goccia di sudore del campo e questo non vuole necessariamente dire che uscirai dal campo con la vittoria. Però sento che abbiamo giocato con la massima intensità, senza lasciare nulla di intentato. Abbiamo perso troppi palloni nell’ultimo quarto, ma siamo comunque riusciti a costruirci un’opportunità per vincere, che era quello che volevamo fare».

ERIK SPOELSTRA

DWYANE WADE

JAMES : «Loro hanno giocato molto bene in attacco. Io devo cercare di essere più presente in attacco. Devo continuare ad attirare raddoppi per creare tiri aperti per i compagni, ma anche cercare di essere io stesso in ritmo. Continuo ad avere fiducia in me stesso perché so che i miei compagni hanno fiducia in me. Posso andare in palestra ad allenarmi, ma è quello che già faccio dopo ogni partita dall’inizio dell’anno. Non è certo il fatto di aver segnato solo 8 punti che mi urta, ma il fatto che abbiamo perso. Se avessi segnato 8 punti ma avessimo vinto allora sarei soddisfatto. Ma non ho aiutato i miei compagni in attacco e queste cosa mi dà fastidio».

LEBRON JAMES


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RICK CARLISLE NOWITZKI: «Ho avuto una brutta serata di tiro, ma ho lottato per cercare di fare il meglio possibile. Nel quarto periodo eravamo in una brutta situazione ma ne siamo usciti col cuore. Il gruppo è stato fantastico, in particolare Terry ha segnato tanti canestri pesanti che ci hanno permesso di rientrare in partita. Nel finale, sull’isolamento contro Haslem, avrei voluto giocare col cronometro, ma ho notato che mi concedeva la destra, così ho preferito sfruttare le spazio per arrivare a canestro e appoggiare al tabellone e a segnare anche se oggi avevo già sbagliato almeno 4/5 appoggi da sotto. Queste sono le Finali. Non importano le tue condizioni fisiche. Devi andare in campo e dare tutto quello che hai senza tirarti mai indietro. Inoltre sapevamo di doverci dare una chance per non tornare a Miami sotto 3-2. Ora andrò a casa, cercherò di riposarmi e di arrivare sano per gara 5».

JASON TERRY

C A R L I S L E: «La nostra difesa è salita di livello nel quarto periodo. Dopo avergli concesso 9 rimbalzi offensivi nel primo quarto gliene abbiamo lasciati solo 6 nel resto della partita e questo è stato l’aggiustamento più importante di tutta la partita. Loro hanno grandi giocatori che devi rispettare. Noi dal canto nostro dobbiamo solo andare in campo ed eseguire i nostri schemi che non sono particolarmente complessi, ma devono essere giocati col cuore. Dirk ha faticato. Aveva la febbre ieri, non ha partecipato allo shoot around pre partita, ha avuto brutte percentuali di tiro per tre quarti. Siamo riusciti a limitare i suoi minuti nel primo tempo per tenerlo il più fresco possibile in vista degli ultimi due quarti e poi lui ha fatto tutto il possibile quando è stato in campo, sia quando c’è stato da segnare che quando c’è stato da liberare i compagni. E’ uno dei più grandi giocatori di sempre e vuole la palla in mano quando conta. Non ha paura di prendersi le sue responsabilità e quindi noi lo cerchiamo con continuità, anche se non è semplice perché la difesa fa di tutto per impedircelo»

DIRK NOWITZKI TERRY: «Sapevamo che Dirk non stava bene, ma per noi non è cambiato niente. Non ha mai saltato una partita per colpa dell’influenza o della febbre. Abbiamo dovuto apportare alcuni cambiamenti necessari al nostro line up per ovviare ai problemi che avevamo con alcuni loro giocatori, ma il nostro spirito è rimasto invariato. Io sono andato in campo aggressivo come sempre e ho cercato di prendere e segnare i miei tiri. Abbiamo vinto una partita inusuale per noi, con percentuali e punteggi bassi, ma sappiamo che queste sono le Finali e dobbiamo tener duro. Se continuiamo a giocare prima o poi la situazione volgerà a nostro favore e troveremo i nostri tiri e li segneremo. Vorremo poter giocare controllando il punteggio, ma per ora non è stato possibile, quindi dobbiamo perseverare e lottare fino alla fine»


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Nowit zki a suon di record

DI DI

DO OM ME EN NI IC CO O PE EZ ZZ ZE EL LL LA A

DI RK N O WI T Z K I

L’unico neo della sua serata a parte la febbre? L’errore dalla lunetta nella seconda metà di gara che gli ha tolto la possibilità di continuare a far correre il tassametro in merito ai tiri liberi segnati consecutivamente nei playoff. Prima di quell’errore, però, Nowitzki si è tolta comunque la soddisfazione di strappare a Reggie Miller (altro record polverizzato dopo quello strappatogli in stagione regolare da Ray Allen per le triple) chiudendo la striscia sul 26/26 dalla lunetta. Per il resto tutto è passato dalle proprie mani. Terry e Chandler gli hanno preparato la tavola, ma a servire e mangiare l’ultima portata, quella prelibata era compito suo, febbre o non febbre. Alla fine il tedesco chiude con 21 punti, 11 rimbalzi e 9/10 ai liberi.

D W YA N E W A DE Ma se il tutto diventa una questione di numeri sono sbalorditivi quelli di Wade non solo per quantità, ma anche per importanza. L’Mvp delle Finals del 2006 ne mette 32 con 13/20 dal campo, 6 rimbalzi e 6/9 dalla lunetta. Lui si che ha fatto il suo dovere.


STAR S ‘N’ STR I PES

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James ‘desaparecidos’

NBA FINALS: Up&Down

L E BR O N JA M ES

Questa gara4 potrebbe diventare un’altra pagina di storia, la sua storia, pesante, in senso negativo, se alla fine i Dallas Mavericks dovessero vincere il titolo Nba. Per il momento l’ex Cleveland Cavaliers può solo provare a resettare tutto a partire da giovedì, cancellare questa sua prova e magari fa pensare che non sia successo niente. Ed invece qualcosa è successo. Un fantasma. Solo cosi può essere definita la prova di The Chosen One che ha segnato il suo ottavo punto sul finire di terzo periodo. Il tirar male in una serata buia come la notte, ci poteva anche stare, il non tirare, il non provare ad attaccare il ferro, il non far sentire la sua presenza e limitarsi solo ed esclusivamente a passare palloni e provare a servire assist, quello proprio non ci stà. Senza il suo apporto e senza la sua presenza gli Heat diventano una squadra norma-

le e lo si è visto (tutto l’attacco ne ha risentito con 11 punti in 10’).


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‘JeT’ fa decollare i Mavericks NBA FINALS ‘GAME FIVE’

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA DI

Di cuore, di voglia, di orgoglio, ma soprattutto di gregari. Cosi Dallas porta a casa la seconda vittoria in fila che vale il 3-2 nella serie che ora è ad un passo dall’essere conclusa a favore dei Mavs che avranno due match point nelle sfide a Miami. Match ad alto punteggio, match emozionante segnato nel bene e nel male da due elementi: le percentuali al tiro dei Dallas e dall’infortunio di Wade nel primo quarto. «Non molliamo mai. Sapevamo che questa era la nostra partita, sapevamo che questo era il nostro momento e non ci siamo fermati. Sapevamo che se avessimo segnato più di 100 punti la partita era nostra e alla fine cosi è stata. Cosa serve nelle due partite a Miami? Beh noi vinceremo la prossima» le dichiarazioni dell’eroe di serata Jason Terry.

TEAM STAT COMPARISON

MIAMI @ DALLAS

P OINT S 103 FG 37- 70 (.529) 3P 8-20 ( .400) FT 21- 26 (.808) REB. 9-36 ASSISTS 25 T URNOV ERS 1 8 STEALS 5 B LOC KS 4 FAST BREAK 1 1 F OUL S 2 6 (0/ 0) LARGEST LEAD 6

112 39-69 (. 565) 13-19 (. 684) 21-27 (. 778) 4-26 23 11 8 3 14 20 (1/ 0) 9

VELOCITA’ E PRECISIONE - non poteva non passare attraverso la mossa che aveva portato alla vittoria in gara4, il successo fondamentale di gara5. La perseveranza di Carlisle in un quel dettaglio, la velocità, è stata la chiave della serie. Probabilmente se Barea fosse stato, in termini principalmente di precisione al tiro, quello delle ultime due uscite, un’aggiustamento (in una fase in cui si vive e si vince di aggiustamento) del genere sarebbe arrivato anche prima nella serie. A volte più ci si pensa e più diventa paradossale pensare come una squadra come i Mavs, avanti con gli anni, sia stata molto più efficace quando ha spinto il piede sull’acceleratore, che quando ha provato a mantenere un ritmo compassato e con-

trollato. E l’acceleratore di questi Mavs è ‘Made in Portorico’. Jota Jota il nickname, Barea il cognome. L’uomo che ha messo in crisi Spoelstra che le ha provate tutte per evitare che il folletto sudamericano del texas arrivasse a quel ferro senza che arrivassero per forza due punti o una circolazione vorticosa di palla ed un tiro piedi per terra per i compagni di squadra. Insomma ora sicuro non verrà più ricordato solo come il fidanzato di Miss America, la signorina Rivera. L ’ U S A T O G A R A N T I T O - Tutto in due nomi: Jason Kidd e Jason Terry. Ma forse più che per il ‘Jet’ l’aggettivo è proprio per l’ex New Jersey Nets che a 38 anni suonati è riuscito ancora una volta a fare la diffe-


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renza. nel finale il suo nome e numero di maglia è venuto fuori più di una volta e non solo per quel ‘piccolo dettaglio’ che l’accompagnato per tutta la carriera, gli assist (6), ma anche per quella freddezza e quella mano guidata dagli ‘Dei del basket’ che forse sono arrivati al limite di una lista di grandi di questo gioco senza un anello al dito. Tredici punti e difesa stratosferica ancora una volta divisa tra la jersey numero 3 e quella numero 6 degli Heat. Insomma al terzo tentativo non poteva sbagliare, non con quella missione sulle spalle di dare ancora più esperienza e ‘vissuto’ ad un gruppo che di questa dote ne aveva abbastanza.

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IL MATCH – Carlisle si affida ancora a Barea e alla velocità in apertura. Spoelstra aspetta che James torni in ritmo partita ed il primo break della serata arriva per mano del tedesco di Wuzburg, Nowitzki, che firma sei canestri nel 9-2 di parziale a metà primo quarto. Wade e Bosh provano a tenere a galla gli Heat, prima che l’ex Marquette abbandonasse il campo per infortunio. Dallas perde per un attimo la Trebisonda in difesa e Miami prima recupera e poi mette la testa avanti con due tirploni di Chalmers. Con Wade momentaneamente out, James prova a prendere il timone della nave tra le mani, senza però riuscire a darne la rotta giusta. Dallas continua ad aggrapparsi ai ‘The Others’ , mentre Wade torna a firmare il vantaggio Miami per un colpo su colpo fino ai minuti finali. Poi arriva il momento di WunderDirk: dieci punti negli ultimi 4’ e texani avanti all’intervallo. Due volte Miller dalla distanza per provare a non far sentire ancora l’assenza di Wade, ma Dallas è in stato di grazia. Kidd mostra gli artigli, Barea le ruote motrici e Nowitzki canestri pesanti per un tentativo di allungo sopito dagli Heat che ricuciono lo strappo a fine terzo quarto. Gli ultimi 12 minuti sono un qualcosa che di sicuro entrerà nella storia di queste Finals. Niente Nowitzki, ma Barea, Kidd e Terry. Questi i protagonisti della rimonta prima (dal 95:99) alla vittoria poi, questi i tre che nel momento del bisogno hanno piazzato i canestri e le giocate decisive della partita.


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Game Five press room

NBA FINALS ‘GAME FIVE’

ERIK SPOELSTRA JAMES: “Dobbiamo essere migliori in difesa nei minuti finali. Anche oggi abbiamo commesso alcuni errori decisivi, cosa che non era accaduta nelle precedenti tre serie. Non abbiamo scelta a questo punto. Abbiamo lavorato tutto l’anno per avere il vantaggio del fattore campo, e ora è il momento di sfruttarlo. Non abbiamo apportato grandi cambiamenti nei minuti in cui abbiamo giocato senza Dwyane, perché quello ormai è il nostro attacco da un anno e non c’è molto che tu possa cambiare a questo punto in pochi minuti. Abbiamo giocato la nostra partita, usando le nostre opzioni classiche. Alcune hanno funzionato altre no. Ma non si può certo incolpare il nostro attacco della sconfitta, perché guardo le percentuali e vedo che sono ottime. L’abbiamo persa in difesa».

DWYANE WADE

N NI IC CO OL LO O’ ’ F FI IU UM MI I DI DI

SPOELSTRA: «E’ una serie equilibrata che si gioca sui singoli possessi. Noi siamo stati bravi a vincerne una fuori casa, ma poi loro hanno risposto vincendo le altre due. Quindi ora dobbiamo tornare a Miami e fare lo stesso. Pensavo che Wade non avrebbe potuto giocare nel secondo tempo e in realtà non lo avevo nemmeno visto tornare in panchina. L’ho rimesso in campo per avere una chance in più per vincere. Niente è stato facile per noi dall’inizio dell’anno e certamente non comincerà ad esserlo adesso. Per le prossime gare dobbiamo tornare ad essere bravi a chiudere le partite nell’ultimo quarto, cosa che ci è riuscita bene negli ultimi due mesi e che invece ora sembra mancarci improvvisamente. Durante l’anno siamo stati bravi anche a migliorarci in vari aspetti del gioco ed è quello che servirà a LeBron, che oggi comunque ha giocato una partita più aggressiva, consistente, avendo un impatto importante sulla gara».

LEBRON JAMES W A DE : «Non voglio parlare del mio infortunio. Ho avuto la possibilità di tornare in campo e finire la partita ed è questo che mi interessa. Quando sei in campo non ci sono scuse, devi solo fare il possibile per consentire alla tua squadra di vincere. Loro sono una grande squadra offensiva, difficile da marcare. Hanno l’inerzia dalla loro, avendo vinto due partite di fila, ma questa serie è molto equilibrata, si decide possesso su possesso. Ogni squadra può ribaltare una partita in ogni momento, perciò andremo in campo cercando di fare il meglio possibile in vista di gara 6. Siamo fiduciosi di poter allungare la serie».


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RICK CARLISLE NOW ITZKI : «E’ una grande vittoria per noi, soprattutto perché così Miami non tornerà a casa sostanzialmente con due occasioni per chiudere la serie, ma dovrà preoccuparsi, intanto, di pareggiare. Dobbiamo affrontare la prossima partita come se fosse gara 7 e cercare di giocare con la stessa intensità che abbiamo avuto stasera. Jason Terry è stato fenomenale per tutta la partita. Sin da quando è entrato e ha segnato un paio di canestri, ma anche in situazioni di pick and roll ha creato opportunità per Chandler o per i tiratori negli angoli. Anche Barea, partendo titolare ha avuto grande importanza con le sue penetrazioni a centro area. Abbiamo avuto più punti dal contropiede, ma soprattutto abbiamo segnato quei tiri che fino a oggi non avevamo messo. Senza quelli adesso, forse, non saremo qui a parlare di una vittoria».

JASON TERRY

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CARLISLE: «Abbiamo avuto migliori percentuali, miglior impatto difensivo che ci ha portato ad avere più impatto in attacco. E’ la prima volta che segniamo oltre 100 punti nella serie. Non puoi mai sapere quando il tuo attacco si sbloccherà, quindi devi sempre darti una chance con la difesa. Dobbiamo continuare a seguire il nostro piano, che è quello di essere intensi, di difendere duro. Sappiamo che loro hanno grandi giocatori che ci mettono grande pressione, ma capiamo anche il momento attuale e sappiamo che non possiamo distrarci. Terry ha giocato una partita totale. Non si è limitato ad essere il secondo realizzatore della squadra, ma ha anche creato per i compagni. Un esempio è l’assist per il tiro da 3 punti di Kidd nel finale. E’ stato bravo ad attirare su di se la difesa e a vedere il compagno libero. E’ stato sensazionale. Anche in difesa».

DIRK NOWITZKI TERRY: «Da quando sono a Dallas la squadra ha sempre contato su di me per avere giocate decisive nel quarto periodo, che fossero canestri o passaggi smarcanti. E questo indipendentemente da come fossi andato negli altri tre quarti. Grazie a Dio ci sono riuscito anche questa sera. Nelle prime partite il mio tiro non era entrato e così ho dovuto mettere palla per terra che è una cosa che faccio meno spesso e a cui, forse, loro non era preparati. Ho detto ai miei compagni che non avremo continuato a sbagliare i tiri che avevamo sbagliato fino ad ora e di andare in campo concentrati e pronti per ricevere sugli scarichi, perchè era l’unico modo in cui avremo potuto sbloccare la situazione e così è stato. Ora vogliamo andare a Miami e vincere gara 6, ma dobbiamo essere più concentrati, perché è vero che abbiamo attaccato bene, ma in difesa non abbiamo la nostra solita intensità. Va bene se segniamo 100 punti, ma non possiamo concedere lo stesso a loro una seconda volta.».


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La regola delle quattro ‘J’

DI

D OMEN OMENI IC CO O P EZZEL EZZE LL LA A

HA S L E M V S N O W I T Z K I

Haslem-Nowitzki. Il bello di una sfida tra attacco e difesa. Il primo ha impedito che il tedesco prendesse posizione nelle s ue ‘comfort zone’ per il tiro nel quarto periodo. Il secondo ha piazzato il suo solito contributo di canestri (29 e 9/18) apparecchiando la tavola per le portate finali dei ‘The Others’. J A S O N T E R R Y - J A S O N K I D- J J B A R E A Terry, Barea e Kidd. Con un supporting cast come quello di gara5 che porta la sfida a punteggi cosi alti

(in pieno stile della serie contro i Lakers) i Mavs fanno fatica a perdere con chiunque. Se poi il portoricano che era entrato in questa partita con malapena il 30% al tiro chiude con 17 punti (4/5 da tre punti), se Kidd alla veneranda età di 38 anni difende ancora come nelle Finali con la maglia dei Nets e scodella assist al bacio, ma soprattutto se Jason Terry non conosce limiti anche con il difensore attaccato ai pantaloncini (21 con 8/12 dal campo e 6 assist) allora la questione si fa dura per Miami. Ma in generale si farebbe dura anche se a campi invertiti Dallas continuasse a tirare con il 68% da tre (13/19) ed il 56% abbondante generale. Lo sa bene Wade che ancora una volta ha provato da solo a salvare capra e cavoli dopo l’infortunio che rendono i suoi 23 con 6/12 dal campo, più importanti di quanto si possa pensare


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Pesa l’infor tunio di Wade NBA FINALS: Up&Down

L ’ IN F O RT U N I O

momento di Lebron James che prima dell’inizio del quarto periodo era in linea con una prova che in caso di vittoria avrebbe messo tutti a tacere sulla sua incisività intesa come assist e coinvolgimenti dei compagni (oltre che dimostrazione che questi Heat sarebbero stati in grado di vincere anche senza il contributo di Wade). Tripla doppia (17 punti, 10 rimbalzi e 10 assist) che avrebbe fatto tanto parlare, ma che forse alla fine verrà solo ricordata come lo specchietto delle allodole di un ultimo periodo ancora deludente dal punto di vista di leadership: 2 soli punti per l’ex Cleveland che ha perso ritmo offensivo da qualche parte nel Texas e non l’ha più ritrovato. Rispetto a gara4 il primo passo di un miglioramento, almeno nei numeri, si è visto anche se la speranza di Spoelstra e dei compagni è quella di ritrovare il giocatore devastante col ritorno a South Beach.

Una decina di minuti abbondanti nel primo quarto ed arriva il fattaccio. In penetrazione e nel tentativo di slalom per superare il corpo di Cardinal, Wade si infortuna ad una gamba ed è costretto ad uscire un paio di volte dal campo per capire prima l’entità del ‘danno’ e poi passare sotto le mani del terapista per tornare in campo con possibilità di non sentire dolore. Tornato in campo l’ex Marquette si ritrova a fare tutto da solo, ma senza una MI K E B I B B Y gamba sola è molto difficile. Chi invece non ha mai ritrovato se stesso ed il passo L E B RO N JA ME S dei vecchi tempi, in questa serie è Mike Bibby. L’ex D’altra parte l’infortunio di Wade poteva essere il Atlanta è un fattore sì, ma in negativo per gli Heat specie in difesa dove non tiene Barea per un singolo minuto. Il tutto potrebbe essere giustificato se mettesse qualche canestro ma alla fine il suo score dice: 2 punti in 15 minuti.


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Game, set and match Dallas NBA FINALS ‘GAME SIX’

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA DI

«Incredibile, ancora non ci credo». Queste le ultime parole che finiscono, però, sulle copertine di tutti i giornali e di tutti i siti internet non solo perché arrivate dall’Mvp delle Finali 2011, ma soprattutto perché quell’Mvp è Dirk Nowitzki. Tredici anni di attesa per arrivare a quell’agognato anello, cinque anni per liberarsi da quell’incubo datato 2006 e togliersi quell’etichetta di perdente che in tanti gli avevano affibbiato durante la sua carriera. Incompiuto. Gli è sempre mancato quell’ultimo passo sia personalmente che a livello di squadra ed il tutto è stato riunito in questa versione dei Dallas Mavericks con tanto di infortunio a Caron Butler annesso: «E’ stato

TEAM STAT COMPARISON

DALLAS @ MI AMI

un lungo cammino – ha continuato il tedesco – ma alla fine siamo arrivati al traguardo. Ma ancora non ci credo». Parla di destino e fede, invece, Jason Terry: «Negli ultimi cinque anni abbiamo vissuto col pensiero e dormito con gli incubi di quella finale. Ora sarà tutto cancellato. Non abbiamo mai perso la fede nel raggiungimento dell’obiettivo finale ancor di più in noi stessi». Bastano queste testimonianze per capire che la vendetta dei Mavericks è giunta a compimento e che Dallas ha battuto il Big Three di Miami portandosi a casa l’anello.

nel 2007, anche se in quel caso prima di prendere la via degli spogliatoi ci fu l’abbraccio di Tim Duncan e le fatidiche parole «Un giorno questa Lega sarà tua». Cosi come negli ulti anni con la maglia dei Cavaliers che dopo quella Finals sono sempre arrivati ad un passo dall’atto finale dopo una post season di altissimo livello. Insomma sempre ad un passo dal compimento di quel salto di qualità per battere coloro che di volta in volta sono stati considerati i migliori e poi finiti in Finale. Orlando, Boston e ora Dallas con la maglia degli Heat. Timidi gli accenni di congratulazioni agli avversari. Canotta tirata via dai pantaloncini, testa bassa ANCORA A TESTA BASSA - Cosi come e dritto verso gli spogliatoi dove di

POI NTS 105 FG 41 -8 2 ( .5 00 ) 3P 11- 26 (.423) FT 12 -1 8 ( .6 67 ) REB . 10- 40 ASS I ST S 19 TU R N OV E RS 14 ST EAL S 11 BLOCKS 1 FA S T BREAK 17 FOUL S 24 ( 1 /0 ) LARGEST LEAD 13

95 34-72 ( .472) 7-23 (. 304) 20-33 ( .606) 9-39 20 17 7 3 13 14 (3/0) 9


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sicuro avrà trascorso i suoi 20-30 minuti peggiori dell’anno dopo quelli che lo hanno portato a South Beach la scorsa stagione. Un periodo di tempo nel quale l’unica domanda sarà stata: perchè? Di sicuro la risposta non è ancora arrivata. Probabilmente The Chosen One non ha ancora trovato quel dettaglio che ancora gli manca e che invece gente come l’amico Wade o l’amico cestistico Bryant hanno ormai da tempo: cattiveria agonistica e quel pizzico egoismo unito alla consapevolezza di farlo perchè si è un gradino rispetto ai compagni, anche se portano il nome di Dwyane Wade. Insomma tornando alla frase di Duncan del 2007, la Lega Lebron l’ha conquistata, ma ora gli manca l’anello. Ma quando arriverà?

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IL MATCH – Pronti via e Miami vuole subito dare la propria impronta alla partita. Dallas prova a far sfogare gli avversari con un Nowitzki da 1/4 al tiro e due falli a carico. Dall’altra parte James ha qualcosa da dimostrare e lo fa entrando subito in ritmo nella prima parte del primo quarto con sei punti in fila. Poi tutto si spegne. Carlisle mette Terry in campo ed i Mavs cambiano volto. L’esterno texano firma sette punti quasi consecutivamente all’interno del mega parzialone di 4-19 che porta Dallas avanti al suono della prima sirena dopo essere anche stata sotto di 9. Nel secondo periodo succede praticamente di tutto. Dal blackout di Miami che viene messa in ginocchio da due triple in fila di Stevenson ed una Dallas di ‘gregari’ a quello altrettanto buio dei texani che staccano la spina per qualche giro di lancetta di troppo per permettere alle triple di Eddie House ed una Miami senza Lebron James di chiudere a metà secondo periodo un parziale di 11-0. Tutto qua? Assolutamente no. Tanto per non farsi mancare nulla arriva anche l’ammucchiata con rissa sfiorata dopo un timeout chiamato, ed iniziata da Stevenson che spintona Haslem e finita da Chalmers che scatena il putiferio. Ancora una volta finita? Ancora una volta la risposta è sempre no. Nowitzki continua a sparare a salve, ma Dallas riporta al testa avanti con 10 punti in fila ancora di Terry che chiude il primo tempo a quota 19 e con il vantaggio Dallas. Il ‘fuoco’ di Nowitzki apre il terzo quarto. Dallas, Barea e Marion tengono sotto controllo match ed avversari che continuano a vedere una delle sue ‘SuperStar’ andare in giro per il campo senza fare nulla di buono. Nella frazione finale il liet motive negativo di James ed un Wade che ci mette quel pizzico in più per salvare la faccia è sempre lo stesso. Dallas si affida al portoricano Barea e alla sua velocità. Ma nei momenti che scottano arrivano prima i centri di Wunderdirk e poi quelli degli altri due super veterani Kidd e Terry che chiudono la contesa.


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Game Six press room

N NI IC CO OL LÒ Ò F FI IU UM MI I DI DI

NBA FINALS ‘GAME SIX’

SPOELSTRA: «Non importa dirlo, ma non si è mai abbastanza preparati per un momento come questo. Devo fare i complimenti a Dallas. Nessuna delle due squadre ha meritato il titolo più dell’altra, ma i Mavs se lo guadagnati con le giocate giuste al momento giusto. Abbiamo avuto le nostre opportunità senza sfruttarle, e ora c’è un grande senso di vuoto nel nostro gruppo di giocatori. Non ci sono scuse né alibi. Dallas stasera è andata in ritmo alla fine del primo quarto, mettendoci fuori partita. Bisogna dargli credito per averci fermato nel momento in cui potevamo far nostra la partita. Hanno due futuri Hall of Famers, grande esperienza, sconfitte nel passato che li hanno resi migliori. Bisogna dar loro il credito che meritano. Dirk Nowitzki è uno dei migliori giocatori NBA di sempre. E già lo era quando lo incontrammo nel 2006, ma da allora è riuscito a migliorare ancora pur essendo oltre i 30 anni. E questo è un grande insegnamento per tutti. E’, probabilmente, uno dei giocatori più indifendibili dell’intera Lega.»

ERIK SPOELSTRA

LEBRON JAMES WADE: «Il termine crollare (“choke”) è abusato nello sport. Abbiamo perso le Finali contro una squadra che era ovviamente migliore di noi. Quindi, diamo credito ai Mavericks e basta. Non sei mai pronto quando la tua stagione finisce, che tu sia alle Finali o al primo turno. Chiaro che se arrivi alle Finali e non vinci il titolo fa male uguale che tu perda a gara 6 o a gara 7. Domani sarà ancora peggio, e così sarà per un po’ di tempo. Ma ci servirà per riflettere e per lavorare e trovare lo stimolo per essere di nuovo qui il prossimo anno. Il nostro obiettivo era vincere il titolo e non ci siamo riusciti. Faremo il possibile per riuscirsi il prossimo anno».

JAMES: «In questa serie non sono riuscito a fare quello che ho fatto nelle altre e che ci ha aiutato a vincere le partite. Nei playoffs c’è pressione in ogni partita. E’ stato così con Chicago, con Boston e anche dopo la sconfitta di gara 4 con Philadelphia. Non importa a che punto dei playoffs sei, ogni partita, ogni possesso conta. Come ogni anno lavorerò in estate per migliorarmi individualmente e come giocatore di squadra. Sono arrivato alle Finali nel 2007 e mi mancavano quattro partite, nel 2011 ne sono mancate due. Spero di farcela il prossimo anno»

DWYANE WADE


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MARK CUBAN CARLISLE: «Sono veramente felice per Mark Cuban, per Dirk, per l’organizzazione intera dei Mavs che un’organizzazione di grande classe, così come quella dei Miami Heat. Pochi minuti dopo la fine della partita Pat Riley è sceso in campo per farci i complimenti ed è una cosa che abbiamo apprezzato molto. Verrà il loro momento, ma adesso è il nostro. Questa è una squadra speciale, di sicuro la più speciale in cui sia mai stato. Qui non ci si concentra su cosa non sai fare, ma su cosa puoi fare. Non ci si concentra sui nostri limiti, ma su quello che questo gruppo può fare insieme. Ed è fantastico essere assieme a loro. Al mio terzo anno a Dallas ho imparato tantissimo da questi ragazzi, specialmente da Jason Kidd. La sua visione di gioco è completamente differente e stare in campo con lui è una benedizione assoluta. Non credo ci siano dubbi che Dirk sia l’MVP e uno dei migliori giocatori di sempre. Dopo aver tirato malissimo nel primo tempo, nel secondo è stato una sentenza. Sono veramente emozionato per lui. Dopo gara 4 era diventata una questione personale. I ragazzi non avrebbero mai accettato una sconfitta. Dirk e Jet hanno dovuto convivere con quello che è successo 5 anni fa e dopo questa sera i demoni sono definitivamente cancellati».

DIRK NOWITZKI

CUBAN: «Quello che ho imparato da queste Finali è che la chimica di squadra è fondamentale. Che conta avere giocatori che si fidano uno dell’altro e dell’allenatore. Non c’è una formula magica per vincere subito. E’ un lento processo che va seguito e devi ignorare quello che le persone dicono dall’esterno. Devi essere opportunista nel costruire la squadra e questo è quello che abbiamo sempre cercato di essere. Ho notato in questi anni come i giocatori nuovi, che arrivavano da altre squadre, inizialmente avevano un idea di Nowitzki, ma poi lo vedevano allenarsi giorno dopo giorno, con la durezza che ci mette sempre, e allora tutti cambiavano idea, rimanendo impressionati. Io su di lui non ho mai avuto un dubbio. Mi ricordo come qualche anno fa, sul mercato fosse disponibile Kobe Bryant e Dirk venne da me dicendomi che se lo avessi scambiato lui non avrebbe avuto problemi, e avrebbe capito. Ma io non ci ho mai lontanamente pensato a una cosa del genere, perché Dirk ha creato le basi per l’etica di questa squadra. E l’etica con cui va in campo una squadra è un elemento fondamentale».

RICK CARLISLE NOWITZKI: «Questa vittoria è speciale perché arriva dopo 13 anni di battaglie in cui non siamo mai riusciti ad arrivare all’obiettivo. Forse se avessi vinto un titolo appena arrivato nella Lega non avrei lavorato così duro come ho sempre fatto in questi anni. Sono felicissimo per Jason Kidd. E’ stato un vero e proprio guerriero a 38 anni nel difendere così uno dei giocatori più atletici della Lega. E’ nella Lega da sempre, ha giocato 3 finali. Per tutta la stagione ho continuato a ripetere che c’era un grande gruppo, e oggi siamo tutti campioni. Quando entri nella Lega cerchi di dimostrare che puoi starci. Poi ci sono stati gli All Star Game, i punti, i premi personali. Ma arrivi a un certo punto dove l’unica cosa che vuoi è il titolo. Ed è fantastico sapere che ora nessuno ce lo potrà portare via. Per un anno intero saremo la squadra migliore della Lega e per noi è un grande risultato. Ho rinnovato il contratto per 4 anni la scorsa stagione senza sapere cosa ci riservava il futuro. Perdere Caron a stagione in corso è stato un colpo durissimo, ma al contempo Peja è stato una grande acquisizione. Sono veramente contento. Anche per i tifosi, che hanno sofferto con noi in questi anni».


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L’Mvp di WunderDirk

DI

D OMENICO OMENICO P EZZELLA EZZELLA

JA S O N T E R RY

parte finale di quelle corse: i punti. Quindici con cinque errori dal campo e una scheggia impazzita nella Alla fine il titolo di Mvp è parte finale della serie. andato a Dirk Nowitzki, ma se avessero fatto una EDDIE HOUSE scelta di cuore in base a Dall’altra parte della barricata, la menzione principale quanto visto nelle ultime va ad Eddie House, senza il quale Miami avrebbe due o tre partite, beh il chiuso partite e serie già a metà secondo quarto; 9 nome di Jason Terry non punti tre bombe micidiali che hanno dato ossigeno e era poi cosi spregevole. speranza agli Heat che poi si è sciolta come neve al Anche e forse merito suo sole. se Dallas ha vinto gara5. Merito suo se è arrivata, prima ancora, la rimonta in gara4, ed è stato anche merito suo se io texani hanno sbancato Miami e si sono laureati campioni Nba. Alla fine The Je-T ha fatto impazzire James in attacco e chiude con 27 punti 11/16 e 3/7 dalla lunga distanza. JJ B A RE A Al suo fianco lo ‘speedy Gonzalez’ del Porto Rico. L’uomo che ha messo ko i Lakers, l’uomo che ha messo ko i Thunder e l’uomo che dopo tante difficoltà nella prima parte della serie, è riuscito a trovare la


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‘Stecca’ ancora James NBA FINALS: Up&Down

L E B R O N J AM E S E come neve al sole si è sciolto, ancora una volta Lebron James. La partenza dopo la pessima gara5 sembrava far presagire fuoco e fiamme, ed invece dopo la scintilla fatta scoccare con i primi sei punti, quella arrivata sull’ex Cleveland è stata una secchiata di acqua gelata più che di benzina. Fuori da ogni considerazione mentale del basket. Un plus/minus da capogiri, ma nel senso peggiore del termine (-24) e battuto ripetutamente da Jason Terry in difesa. La tripla doppia di gara5, i 21 di gara6 non gli serviranno a cancellare un’altra estate infernale anche se al fianco dell’amico Dwyane Wade (che a differenza di The Chosen One è rimasto sul campo fino a quando ha dovuto prima di rientrare negli spogliatoio dopo una partita non brillantissima da 6/16 al tiro e 17 punti).

MI K E B I B B Y Di sicuro molto peggio sarà stata la serata di Mike Bibby. Arrivato come quella pedina mancante ad un mosaico vincente, nei playoff l’ex Sacramento si è spesso e forse anche volentieri, dimostrato come l’anello debole in cabina di regia, ma non in attacco ma in difesa. Il suo uomo è sempre stato quello ad arrivare al ferro e cosi è stato anche nella Finale. La sua non difesa ha, infatti, costretto coach Spoelstra a non farlo entrare nemmeno per un minuto e piazzare Chalmers come arma tattica su barea. Una bocciatura non indifferente per un altro giocatore accorso alla chiamata vincente di lebron e wade ed invece si è ritrovato a mani vuote.

E RI C S P O E L S T R A Dietro la lavagna anche chi, in casa Heat, ha diretto il tutto nell’ultimo atto. Male la gestione e la decisione di Spoelstra di non voler mettere tiratori al fianco di Wade e James nel momento in cui Dallas non ha fatto altro che riempire l’area per evitare facili canestri. Una decisione mal presa che poteva anche cambiare l’inerzia del match.


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Nba Champ


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DIRK NOWITZKI

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Dirk Nowitzki ha atteso cinque anni per ritornare sul palcoscenico delle Finals. Cinque anni caratterizzati da poche gioie, come il titolo di MVP conquistato nel 2007, e molti dolori, leggasi le eliminazioni in serie al primo e secondo turno di playoffs. Cinque anni passati a ripensare a quegli ultimi 6’ minuti di gara -3 delle Finals 2006 con Miami. Dallas conduce la serie 2-0, ed è avanti in doppia cifra in pieno controllo della partita. Poi arriva un blackout totale, Gli Heat trascinati da un sontuoso Dwayne Wade, e dal cuore e l’orgoglio di Zo Mourning e Udonis Haslem, risorgono come l’araba fenice dalle proprie ceneri, e tramortiscono -ferendola a morte una Dallas - che da quella incredibile sconfitta non si riprenderà più, consegnando il titolo nella mani dei ragazzi di Pat Riley. Di quella squadra che implose l’anno successivo sotto la guida di coach Avery Johnson perdendo al primo turno dei playoff contro i Golden State Warriors, sono rimasti solo Dirk Nowitzki, Jason Terry e il proprietario Mark Cuban. Tutti e tre hanno aspettato questo deja-vu, cinque lunghi anni per consumare la propria vendetta. N ELL E MA N I E N EL LA TE ST A D I D IRK – I numeri con i quali il tedesco è entrato nella finale parlavano chiaro: 28.4 punti e 7.5 rimbalzi di media di playoff. Statistiche strepitose, che però non dicono assolutamente nulla di quello che l’uomo da Wurzburg è stato capace di fare nella post season, dove ha dimostrato di essere- in questo momento- il giocatore di basket più forte del globo terracqueo. Dopo aver risolto al primo turno la pratica Trailblazers, ha dilaniato la difesa dei Lakers spazzando via i Campioni in carica con un secco 4-0. Poi è arrivata la serie con i Thunder, e lì il pittore Dirk ha dipinto il suo capolavoro. Gli ultimi cinque minuti di gara 4 con i Thunder sono entrati di diritto nella storia del gioco. Canestri impossibili, leadership, orgoglio e classe. Wunderdirk: una divinità in mezzo ai comuni mortali. E dire che di cose meravigliose ne aveva fatte vedere durante gli anni, perché un trofeo di MVP non si vince a caso. Eppure qualcosa è cambiato. Quello del 2011 è un Nowitzki diverso. Più sereno, più maturo, più in pace con se stesso. L’esperienza dell’età (33 anni) e le esperienze della vita gli hanno insegnato tanto. Come quella dolorosa che nel 2009 lo vide protagonista in negativo a causa dell’arresto dell’ex compagna Cristal

La classe del biondo tedesco è tutto merito suo: Holger Geschwinder Ex cestista (era il capitano della Nazionale Tedesca nelle Olimpiadi di Monca ’72), ex allenatore, ex dirigente sportivo. Holger Geschwindner 66enne da Bad Nauheim, è soprattutto lo scopritore, il mentore e l’allenatore personale di Dirk Nowitzki. Lo nota per la prima volta quando Dirk aveva 16anni. Un caso fortuito ma felice. La squadra giovanile di Nowitzki scende in campo prima della partita che vede Geschwindner nelle vesti di allenatore. La gara si prolunga ai supplementari. Geschwindner osserva attentamente quel lungagnone biondo. Il resto è storia. I due lavorano insieme da 16 anni. E’ Geschwindner l’artefice dei grandi miglioramenti di un ragazzo passato dalla A2 tedesca alla Nba in solo colpo. Parliamo di una sorta di guru, che applica alla pallacanestro un approccio olistico, integrando gli allenamenti con metodi provenienti da discipline sportive diverse (scherma, canoa), e non direttamente affini allo sport come danza e musica. Dopo la dolorosa eliminazione ai playoff del 2007, Geschwindner convinse Nowitzki a intraprendere insieme un viaggio on the road in Australia. Il viaggio della “mia vita”, dichiarò Nowitzki al ritorno da quella indimenticabile esperienza.

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Taylor, che Dirk avrebbe voluto sposare prima di scoprire che si trattava di una truffatrice di professione. Eventi del genere o ti ammazzano o ti rendono più forte. Nowitzki ha scelto la seconda strada, ma è stato un percorso lungo e difficile, compiuta insieme al suo mentore, nonché coach personale Holger Geschwindner, una sorta di secondo padre per Dirk. Con Geschwindner in questi anni Nowitzki ha lavorato sulla postura, sulla tecnica, sull’equilibrio, e sulla “testa”. Perché il vero salto di qualità Dirk lo ha fatto a livello mentale. Non solo capacità di leggere i raddoppi, di sfruttare i mismatch dall’alto dei suoi 213 centimetri, di demolire gli avversari in single coverage con il suo incredibile tiro tratto dall’infinto arsenale offensivo a disposizione, ma soprattutto la capacità di “aspettare la partita” come si dice in gergo. Quella qualità che appartiene solo ai grandissimi, che serve a distanziare i Jordan, i Bryant, i Duncan dal resto della compagnia. TH E CL OSER - Niente e nessuno è riuscito, questa volta, a rovinare il suo sogno. Nowitzki ha tenuto una media di 26,5 punti e 9,5 rimbalzi a partita, segnando nei decisivi quarti periodi ben 62 punti. E’ stato lui il vero “closer”, l’uomo che fa la differenza quando più conta. Dopo la vittoria in gara -1, Miami anche in gara -2 sembra avere la serie in pugno. A sette minuti dalla sirena gli Heat conducevano 88-73, e Dallas aveva un piede nella fossa. Ma due lampi di Jason Terry accendono la rimonta. Nowitzki risponde presente, dando vita alla seconda più grande rimonta nella storia delle finali Nba. Sul 90-81, Dirk si scatena mettendo nove punti di fila, con giocate da tramandare ai posteri, compreso il canestro del pareggio a quota 90, la tripla del sorpasso per il 93-93. Dopo l’incredibile bomba del 93 pari di Mario Chalmers, arriva pure il canestro della vittoria (95-93) di sinistro, in sottomano, tra le braccia protese di Bosh e Haslem. Eroico. Miami riprende il controllo della serie sbancando Dallas in gara -3. Nowitzki riporta in parità la serie con una leggendaria gara -4, giocata con un dito della mano sinistra fasciato, e con la febbre a 38. Risultato: 21 punti del “biondo” e vittoria per 86-83, sempre rimontando nel finale. Leggendario. Gara -5 è il classico pivotal game. La partita dove la serie “gira” e prende una direzione precisa. Nowitzki ha la testa sulla partita, mentre Wade e James perdono tempo a ironizzare infantilmente sull’influenza del tede-


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LACURIOSITA’

Dirk il primo ‘Whiteman’Mvp dopo Larry Bird Dirk Nowitzki è il secondo europeo a conquistare il titolo di “miglior giocatore della Finali Nba”. Il primo nel 2007 fu Tony Parker dei San Antonio Spurs. Nowitzki è il primo giocatore “bianco” a vincere l’agognato trofeo da quando lo conquistò il grande Larry Bird nel 1986 con la maglia dei Boston Celtics. Nowitzki nella serie di finale ha tirato un fantascientifico 45/46 ai liberi. Nella storia della Nba nessun MVP delle Finals si era aggiudicato il premio viaggiando con il 97% dalla lunetta.

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sco nel precedente episodio della serie. Dirk Nowitzki è ancora una volta straordinario, segna 29 punti, di cui 11 nel quarto periodo, con 9/18 dal campo e 10/10 ai liberi, e i Mavs battono gli Heat 112-103, dando l’impressione di aver dalla loro l’inerzia tecnica ed emotiva della serie. Si arriva a gara -6- I texani hanno due match point a disposizione, entrambi sul campo degli Heat, ma poco importa. Così come poco importa per Nowitzki disputare un primo tempo da incubo: 3 punti con 1-12 al tiro. Ma la squadra c’è. Dallas conduce 63-61 all’intervallo e aspetta il suo condottiero, che nel secondo tempo puntualmente arriva. Mentre nell’ultimo quarto Miami e il suo falso Re (Lebron James) sprofonda sotto il peso della pressione, Nowitzki si erge maestoso sul proscenio delle Finals con un finale degno di un Hall of Famer. Dallas è Campione Nba. Dirk Nowitzki è l’uomo di riferimento di una squadra che lo ha seguito e ha continuato a giocare per lui sempre, consapevole che Wunderdirk non avrebbe tradito le attese. LAVORO DI SQUADRA – Se c’è un’altra cosa che il tedesco ha imparato nel corso degli anni è che nessuno vince da solo. Lo ha testato sulla sua pelle. Per portare a casa l’anello poteva non bastare una serie da 30 punti di media. Nowitzki doveva coinvolgere i compagni, perché di fronte aveva comunque la difesa più tosta di tutta la Lega. Dirk sapeva di aver bisogno del miglior Jason Terry, l’altro Mavs col dente avvelenato dal 2006. Il “Jet” si è fatto attendere per tre partite, ma quando è decollato, ovvero da gara -4 in poi, non ce n’è stato più per nessuno. Lo stesso dicasi per il Venerabile Jason Kidd, che a 38 anni ha dato ancora lezioni di playmaking, difendendo come meglio non si poteva su mostri atletici e tecnici come Wade e James. Così come dello spirito boriqua di JJ Barea, della sostanza di Tyson Chandler, e della difesa di Shawn Marion, riuscito a rendere amaro “Il ritorno del Re James” alle finali Nba. MVP – Dirk Nowitzki è l’MVP delle Finali Nba 2011. Un MVP lo riconosci dallo sguardo. Gli occhi di Nowitzki durante i festeggiamenti sul campo per il titolo della Western Conference vinto contro i Thunder, erano gli occhi di un uomo che guardava avanti eclissandosi dal contesto. Avanti verso quel traguardo che stava aspettando da cinque anni.

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di

DAVIDE AVIDE M AMONE AMONE

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Trentotto anni e non sentirli. Ecco come l’ex Nets è arrivato all’apice della carriera: il titolo Nba Si può vincere un titolo a 38 anni suonati, durante la parabola discendente della propria carriera e dopo aver perso tante occasioni per farlo? Due parole, per questa risposta: Jason Kidd. Ebbene sì, uno dei più totali playmaker dell’ultimo ventennio, ancora però sprovvisto di anello, ce l’ha fatta a conquistarlo proprio quest’anno, con i suoi Dallas Mavericks. E’ decisamente una favola, quella del Jasone. Scelto nell’estate del 1994 dai Mavs allora allenati da Don Nelson, Kidd non si trattiene molto nel Texas e dopo un biennio non fortunatissimo viene spedito ai Phoenix Suns. Nell’Arizona arrivano i primi risultati individuali,


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infatti diventa il primo assist-man della Lega dal 1999 per tre stagioni consecutive. Ma anche con i Suns Kidd non ha lunga vita e viene scambiato nell’estate del 2001 per Stephen Marbury ai Nets. Nel New Jersey, il Jasone dà spettacolo e diviene il principale fautore di due piccoli grandi miracoli. Il primo, nel 2002, quando con una squadra mediocre attorno porta alle Finals i Nets dopo un cammino davvero commovente, fermato solamente dai Los Angeles Lakers del duo Shaq-Kobe; il secondo, l’anno successivo, quando centra ancora una volta il sogno delle Finals, perse stavolta però, per mano dei San Antonio Spurs. Da qui in poi, un lungo silenzio, sino al suo ritorno a “casa” nel 2008: no, non parliamo di San Francisco, sua città natale, ma la città che per prima lo ha accolto e che ha..colto il suo talento, i Dallas Mavericks. Al suo arrivo, il Jasone trova una squadra ancora scossa dalla cocente sconfitta maturata nelle Finals 2006. Le difficoltà ci sono e sono evidenti: nonostante buone Regular Seasons e un roster decisamente all’altezza, nel Texas c’è sempre qualcosa che non va. Ad alti livelli, psicologicamente, la squadra si scioglie, il pubblico si raffredda, l’atmosfera giusta si perde. Sino a quest’anno. Nella stagione 2010/11 Kidd, assie-

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me ai suoi Mavs intraprende un cammino particolare. Lo si capisce sin dall’inizio che questa squadra, guidata dai due, ha un qualcosa di speciale, nel momento in cui nonostante l’assenza pesantissima di Caron Butler la squadra riesce sempre a trovare nuove forze vitali da protagonisti inaspettati. Accade questo sia in stagione regolare, dove Dallas ottiene il seed n°3, sia durante i Playoffs. Qui il Jasone gioca in maniera assolutamente divina, infilando con costanza anche quel tiro dal perimetro che spesso gli era mancato in carriera. A livello di numeri e statistiche, oggettivamente nulla di eclatante, specie se rapportati a quelli del Kidd macchina di triple-doppie che tutti avevano potuto ammirare nel New Jersey. Ma il suo apporto è fondamentale, è il metronomo del gruppo, nonché il principale punto di riferimento dopo e assieme a Nowitizki. Le vittorie arrivano, la fiducia aumenta. 4-2 di carattere contro i temibili Blazers al primo turno, sweep clamoroso ai danni di quelli che erano i Campioni del Mondo in carica degli ultimi due anni, i Los Angeles Lakers nell’ultima stagione di Phil Jackson, nel secondo. Le Finali di Conference contro i Thunder, poi, scivolano via agevolmente (4-1 sofferto ma meritato). E per la terza volta, Jason Kidd vede il sogno chiamato Finals. L’avversario di Jason stavolta si chiama


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Miami, la Miami dei Big Three Wade-James-Bosh, la Miami data per favorita dalla maggior parte degli addetti ai lavori, la Miami che aveva sostanzialmente dominato la Eastern Conference e che aveva raggiunto le Finali con un brevissimo cammino (15 partite appena). Ma soprattutto, la Miami che aveva psicologicamente distrutto i Mavericks di Nowitzki nel 2006. Ostacolo insormontabile? Forse, ma non per Kidd che capisce che questa è davvero la sua ultima possibilità di raggiungere il tanto agognato anello. Certo, le difficoltà ci sono. Diminuiscono i punti, si abbassano le percentuali dalla lunga distanza, aumentano le palle perse; Dallas si trova sotto 2-1 dopo tre gare ma compiono una vera e propria impresa, ribaltando la serie e portando a casa l’anello in 6 partite, vincendo in quel di South Beach il match decisivo, con carattere e convinzione. Nowitzki è il chiaro dominatore di queste Finals, Terry è assolutamente dominante e fondamentale nelle ultime tre partite vinte dai Mavs, il fattore triple incide, perché Dallas inizia a vincere proprio quando apre la scatola dal perimetro. Ma, signori, il Jasone è ovunque e il suo apporto è fondamentale. Si trova nel posto giusto, al momento giusto sempre. Mette triple importanti nei momenti di maggiore importanza. Si trova in mezzo a

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tutte le situazioni più calde e fa sempre la cosa giusta, difensivamente e offensivamente. L’anello arriva. Finalmente arriva e per Kidd, molto più che per altri è clamorosamente meritato. Entra nell’olimpo dei vincenti proprio al tramonto della sua carriera, proprio nella squadra che lo aveva lanciato e dalla quale è ritornato. Una favola, una favola che ora il 38enne Californiano non vuole far finire. Cosa riserva, quindi, il futuro del Jasone? Beh, sul palco durante la premiazione al termine di gara6, ai microfoni della Espn si è lasciato sfuggire un “Ritirarmi? Ora? Questo gruppo mi ha fatto rinascere, non posso lasciarli per almeno altri due anni!”. Ovviamente, passata la sbornia di felicità delle Finali e passato il frizzante e surreale momento aspettato da ben 17 anni, verranno fatte delle considerazioni più razionali e maggiormente equilibrate. Pensare che un 38enne possa giocare ancora per altri due anni ad alti livelli, dopo così tanto kilometraggio cestistico, è difficile da concepire. Ma tutto questo riguarderà il futuro di Kidd e di Dallas. Per ora godiamoci anche noi questa favola, che ha portato un 38enne sognatore a raggiungere il proprio sogno, quando esso sembrava essere ormai svanito.


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JASON TERRY

Il deco del ‘Jet’


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Di certo i playoff che si sono conclusi in Florida con gara-6 verranno ricordati come i playoff che hanno finalmente dato lustro, onore, riscatto e soprattutto anello (in quest’ultimo caso stravaganze di Cuban permettendo) a giocatori tacciati fino a pochi giorni fa d’essere dei top player, ma perdenti. Iniziando dal MVP delle Finals Dirk Nowitzki e da Jason Kidd più volte vicini a compiere l’ultimo passo verso l’immortalità professionistica passando per Tyson Chandler e Shawn Marion, da molti ritenuti degli eterni incompiuti non in grado d’incidere ai massimi livelli continuando con Peja Stojakovic che pur non mettendo quasi


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mai piede sul parquet nelle finals è riuscito al crepuscolo della sua carriera, quando ormai nessuno più ci credeva, a scacciare i fantasmi di quella tripla fallita nelle finali di conference del 2002 contro i Lakers di Shaq e Kobe che avrebbe probabilmente permesso al serbo ed ai mitici Kings di C-Webb di battagliare per l’anello contro i New Jersey Nets proprio di Jason Kidd. Tra coloro che si sono certamente redenti dal peso dell’insuccesso c’è senza ombra di dubbio il sesto uomo per eccellenza degli ultimi anni, colui che assieme a WunderDirk aveva vissuto in prima persona la cocente delusione dell’anello sfuggito nel 2006 per mano degli Heat allenati da coach Riley: Jason Terry. “The Jet”, l’archetipo del sesto uomo che qualunque allenatore vorrebbe, uomo in grado di rivoltare le partite con le sue triple ed il suo catch and shoot uscendo dalla panchina, è stato senz’ombra di dubbio uno degli uomini decisivi nella fase finale della serie contro Wade&Co. bucando la retina da ogni dove e rendendosi a

dir poco fondamentale nelle cruciali gare 5 e 6 che hanno portato il titolo NBA 2011 verso il Texas, terra di football americano dove i Dallas Cowboys la fanno da padrone, ma dove, grazie all’impresa dei ragazzi di coach Carlisle, il basket in questi giorni è riuscito a ritagliarsi il giusto spazio.Eppure il “Jet” di Seattle sentiva già prima dell’inizio della stagione che questa poteva essere, per sé e per i suoi, l’annata del successo visto il tatuaggio sul braccio destro ritraente il trofeo NBA marchiato ad ottobre, poco prima dell’inizio della regular season; eppure in pochi pronosticavano per i Mavs di Terry una stagione del genere. La regular season ha avuto cifre leggermente sotto gli standard abituali per il prodotto di Arizona, ma è nei playoff che il tweener di Dallas ha iniziato ad ingranare sul serio iniziando con una fantastica gara-3 (persa) contro Portland che l’ha visto autore di 29 punti e 7 assist per poi risultare decisivo come spalla del fuoriclasse di Wuzburg nelle decisive gare 5 e 6 con 20 e 22 punti e 8

LE STATISTICHE NEI PLAYOFF DI JASON TERRY

...COSI DURANTE LA REGULAR SEASON


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assistenze, che hanno permesso ai Mavs di affrontare in semifinale di conference i campioni uscenti dei Los Angeles Lakers. Proprio contro i gialloviola la combo guard dei texani ha dato sfogo alle proprie capacità balistiche al tiro firmando prima 23 punti in gara 3 e poi la “leggendaria” gara-4, che ha visto l’ex Hawks disintegrare la retina avversaria con 32 punti ed un extraterrestre 9/10 da 3 punti, eguagliando il record di bombe segnate in una partita di post-season. Leggermente sottotono nella serie contro i Thunder a parte gara-1 e 4 dove mette a referto rispettivamente 24 e 20 punti, ma il risultato viene comunque ottenuto: le finals contro gli Heat. Una finale carica di mille significati soprattutto per i due uomini più rappresentativi della franchigia di Mark Cuban, Nowitzki e Terry, coloro che avevano vissuto sulla propria pelle la caustica delusione della sconfitta inaspettata del 2006 contro la Miami di un imberbe, ma già immarcabile, Wade e dell’ultimo Shaq in grado di fare la differenza. Ora però i ruoli erano totalmente invertiti con Miami favoritissima per la vittoria finale ed i Mavs destinati a fare da sparring partner per la profetizzata ascesa di Lebron sull’Olimpo dei vincitori. Ma Terry era sicuro di poter portare a casa il tanto agognato titolo di campione NBA; del resto ne era sicuro già a ottobre come dimostra il tatuaggio. Proprio riguardo al Larry O’Brien Trophy a poche ore da gara-1 the Jet disse parlando dell’eventualità di toglierlo in caso di sconfitta: “So benissimo che farà più male toglierlo, rispetto a quanto mi ha fatto male quando me l’hanno fatto, ma è una cosa che dovrò fare”(…) L’ho fatto perchè ero convinto che avevamo una concreta possibilità di arrivare fino a questo punto. Sappiamo che tutti danno Miami per favorita, ma siamo concentrati e convinti di potercela fare”. Nelle prime tre gare però Terry appare in difficoltà non riuscendo a segnare come sa e non riuscendo a far male dalla linea dei 3 punti con continuità anche se libero; la serie è sul 21 per gli Heat e le cose paiono complicarsi per Nowitzki e compagni. In gara-4 le cose iniziano a cambiare con il

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N°41 dei Mavs che trascina al pareggio nella serie i suoi e con Terry che inizia finalmente a dare seri segnali di risveglio soprattutto a livello di presenza in campo nei momenti decisivi avviando il parziale cruciale per il rientro dei Mavs in partita. Proprio alla fine di gara-4 arrivano le dichiarazioni che racchiudono tutto i carattere del 33enne di Seattle: “Se sono diventato il giocatore che sono è perché ho studiato a lungo il gioco, perché mi ci sono immerso dentro completamente…E sapete cos’ho imparato? Che in questa lega ci sono momenti di gloria e subito dopo ci sono momenti umilianti; a far la differenza è il modo in cui rispondi ad entrambi.(…) So che Dirk mi vorrebbe zitto prima delle gare. Dopo aver sfidato Lebron a fermarmi per 7 gare di Finali, mi ha giurato che se gettavo ancora fuoco sulla cenere mi avrebbe obbligato al silenzio stampa. Invece era il mio modo di rispondere a tre gare in cui James ha avuto la meglio su di me, il mio modo di motivarmi, di abbracciare la sfida e vedere se dall’altra parte sono in grado di fare altrettanto, con la stessa determinazione”. In gara-5 il “Jet” torna ai suoi massimi livelli realizzando 21 punti e 6 assist e segnando due triple fondamentali, prima per impattare sul 100 pari a 3’ dalla fine e poi per ammazzare la gara a 33’’ dal termine con una bomba che porta Dallas al +7 ed a giocarsi il match ball in gara-6 in quel di Miami. Proprio in Florida Terry gioca il primo tempo della vita con Nowitzki che chiude con 1/12 dal campo e l’ex Arizona che chiude con ben 19 punti i primi due quarti trascinando i suoi di peso in vantaggio di due all’intervallo. Nel secondo tempo si sveglia il Tedesco e grazie anche a due incursioni di Terry in momenti fondamentali della partita i Mavs riescono a chiudere alquanto agevolmente la pratica gara-6 ed a conquistare quindi l’anello e la gloria. A quasi 34 anni finalmente il Jet ha finalmente e meritatamente spiccato il volo verso l’anello. E adesso attenzione a quello che si tatuerà prima dell’inizio della prossima stagione, potrebbe voler vaticinare un bis.

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TYSON CHANDLER

Dalle ‘stalle’ alle ‘s

In estate Mark Cuban, dopo l’acquisizione di Tyson Cleotis Chandler dagli Charlotte Bobcats, aveva detto: “L’ultimo tassello che mancava alla nostra squadra per poter ambire al titolo, ora siamo davvero pronti.”. Mai dichiarazione fu più profetica: oggi 14 giugno 2011 Cuban può tranquillamente fumarsi il sigaro della vittoria (Red Auerbach docet) con il suo centro che è stato decisivo ai fini della conquista del primo titolo NBA dei Dallas Mavericks.

La sua presenza al centro dell’area ha impedito agli avversari, tra cui Dwyane Wade e Lebron James, di trovare facili conclusioni nel pitturato. Per non parlare dell’ottima difesa a uomo su Chris Bosh, tenuto al 41% dal campo. Tyson, insieme a Jason Kidd, è stato l’anima difensiva dei neocampioni NBA, ma non si può certo dire che in attacco sia stato nullo. 9.7 punti e 8.8 rimbalzi in 37 minuti di gioco con quasi il 60% dal campo, con oltre 4 rimbalzi offensivi di media, vero e proprio


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School. Il progetto non funzionò, ma Chandler crebbe di anno in anno fino a diventare un fattore (soprattutto nella metà campo difensiva) dei Bulls. Ma quando Chicago offrì un contratto superlativo a Ben Wallace, Chandler fu costretto a fare i bagagli e trasferirsi a New Orleans. Qui fece registrare la sua miglior stagione, conclusa con 9.3 punti e 12.4 rimbalzi di media, secondo in assoluto nella speciale classifica individuale dietro Kevin Garnett. Dopo altri due anni trascorsi alla corte di Chris Paul viene scambiato con i Charlotte Bobcats in cambio del pari ruolo Emeka Okafor, il 28 luglio 2009. Il 2009-2010 è una stagione costellata dagli infortuni per Chandler che gioca solamente 51 partite con 6 punti e 6 rimbalzi di media in 22 minuti. Quando veniva dato da tutti per spacciato, Tyson risorge dalle ceneri e gioca una solida regular season con Dallas, che lo aveva preso il 13 luglio 2010 in cambio di Matt Carroll, Eduardo Najera ed Erick Dampier, totalizzando 10 punti e 9.4 rimbalzi in 73 partite di regular season. Nei playoff gioca una meravigliosa serie contro i Thunder, lottando con Perkins in un duello che alla fine lo vede vincitore, in 5 partite chiude con 8 punti e 10.5 rimbalzi di media. Il resto è storia, Chandler è a tutt’oggi da considerare come uno dei migliori 5 pivot della lega, difensivamente è sotto al solo Dwight Howard ed è stato fondamentale nel piano di gioco di coach Carlisle, specialmente quando Nowitzki si prendeva qualche (giustificata) pausa nella propria metà campo. La prossima stagione sarà quella della riconferma per Chandler, se riproporrà le prestazioni viste quest’anno, allora nessuno si lamenterà più della seconda scelta assoluta in quel famoso draft.

LE STATISTICHE NEI PLAYOFFS

stelle’

spauracchio della difesa degli Heat. Il culmine di una stagione fantastica per il centro da Dominguez High School (Los Angeles), selezionato al Draft del 2001 come 2a scelta assoluta dai Bulls , che volevano formare una nuova coppia di “Twin Towers” affiancandolo a Eddy Curry, anche lui appena uscito dall’High

...COSI IN REGULAR SEASON...

TUTTI I NUMERI DELLA CARRIERA NBA


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MARK CUBAN: THE BOSS Cento ne pensa, una buona parte ne fa, qualcuna la dice soltanto per dare un po’ d’aria alla bocca. Mark Cuban è così, istintivo quanto provocatorio, ma non per questo meno geniale. L’ultima sua idea, quella di sostituire gli anelli di campione NBA (che sono a carico delle franchigie e non dell’NBA) con dei ‘più moderni’ braccialetti, ha riscosso poco consenso, specie fra i suoi giocatori. Giocare per l’anello non è solo un modo di dire, lo status symbol del mondo NBA ha un suo valore e l’idea di Cuban rimarrà nel cassetto. O al massimo sarà un regalo ufficioso per i suoi giocatori. ‘Bigger than life’: gli americani definirebbero così la sua forte personalità a tutto tondo, quella del selfmade man a stelle e strisce, partito vendendo sacchi della spazzatura e impartendo lezioni di disco-dance quando altro non era che nipote di immigrati russi (Chabenisky il cognome, poi contratto, dei nonni) ed ora sempre in prima linea, grazie ad una mentalità aperta e soprattutto ad un conto in banca che lo rende il 459esimo uomo più ricco del mondo, con un patrimonio stimato intorno ai 2.5 miliardi di dollari. Cuban è quello che sta dietro la panchina, in jeans e maglietta, come uno spettatore qualsiasi. “Mi vesto come vent’anni fa e compro il cibo al supermercato. Non cambierò solo per il fatto che a livello finanziario mi è andata bene”. Giacca e cravatta, al massimo, sono per partecipare alla versione americana di “Ballando con le stelle”, uno dei vezzi televisivi che si è concesso in questi anni, annoverando anche una comparsata in ‘Walker Texas Ranger’ ed una a Raw!, trasmissione della WWE di wrestling. La menta-

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M ICHELE ICHELE TALAMAZZI ALAMAZZI DI

lità imprenditoriale, giurano e non possiamo far altro che crederci, Cuban l’ha sempre avuta: di lui dicono che potrebbe vendere un chilo di sabbia nel bel mezzo del Sahara. Dai sacchi della spazzatura alle lezioni di ballo, dalla Microsolutions, la sua prima compagnia che risolveva problemi informatici, alla Broadcast.com, rete che gli permetteva di seguire on-line le radiocronache delle partite degli Indiana Hoosiers: Cuban ha fatto la sua fortuna tramite il web, come si conviene nel terzo millennio. La cessione della sua creatura a Yahoo, nel 1999, gli fruttò la bellezza di 5.9 miliardi di dollari: con una ‘minima’ parte di quel ricavo, 285 milioni di dollari, acquistò nel 2000 i Dallas Mavericks da Ross Perot jr. Li prese che erano una squadra da 40%, ora li ha portati al titolo. Ha messo Dirk Nowitzki al centro di tutto, l’ha reso il giocatore franchigia, la stella assoluta, l’Mvp delle finali, che stava per diventare nel 2006 e che è diventato oggi, con cinque anni di ritardo. Anche riprendendosi Jason Kidd nel 2008, quando già aveva 35 anni, al posto del giovane e rampante Devin Harris. Ha portato i Mavericks in alto, come una sua azienda, anche se difficilmente stavolta, una volta raggiunto l’apice, venderà per trarne un ricavo. Perché è sì un uomo d’affari ma anche e soprattutto un tifoso, ex abbonato, sempre a contatto con la squadra: frequenta lo spogliatoio, la sala pesi, scherza con i giocatori e prima della palla a due si mette in canotta e braghini, sul parquet, per una sessione di tiro. E’ il prototipo del proprietario moderno, giovane, appassionato, dinamico, ed il basket per lui è soprattutto un divertimento, visto “se le cose vanno male perdo 100 milioni di dollari, non me ne accorgerò neanche. E poi nella NBA, se le cose vanno male, non si fallisce ma si ha la prima scelta…”. Sempre pronto a metterci la faccia, a volte anche troppo, se è vero che nell’arco di poco più di un decennio ha scialacquato oltre un milione e mezzo di dollari in multe comminategli dalla NBA e che persino il moderato Dirk Nowitzki a suo tempo gli suggerì di ponderare meglio le parole. Memore dei 250mila lasciati a Stern e soci in occasione delle NBA Finals 2006, stavolta ha scelto il silenzio stampa, tornando a parlare solo con indosso cappellino e maglia celebrativa. Senza gettare benzina sul fuoco dei Miami e LeBron haters, ma godendosi il successo che aspettava dalla delusione del 2006. Non contro Miami, ma per se stesso e per i suoi Mavericks. Per i quali non ha mai badato a spese: ne agli inizi, quando dotò gli spogliatoi di tecnologia e videogames all’avanguardia e comprò un jet privato da 36 milioni di dollari per le trasferte, ne oggi, visto che ha pagato di tasca sua la parata per i festeggiamenti a Dallas. Non rinuncerà mai a tutto questo, ma state certi che uno così avrà bisogno presto di una nuova sfida: persa a suo tempo l’asta per i Chicago Cubs, il baseball lo attira e i Los Angeles Dodgers sono un’ipotesi. Ma c’è chi scommette anche su una squadra WNBA: è molto amico di Nancy Lieberman, e ha convinto Donnie Nelson a mettere l’ex leggenda del basket rosa sulla panchina dei Texas Legends, squadra di D-League affiliata ai Mavs. Ovunque possa portare il suo carisma, chi non vorrebbe uno così, ‘bigger than life’, capace di far parlare di sé in qualsiasi momento?


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JJ BAREA

Speedy ‘Jota Jota

In ogni squadra da titolo che si rispetti c’è l’Mvp (Dirk Nowitzki, ovviamente), c’è il secondo violino (Jason Terry), ci sono i ‘grandi vecchi’ (Jason Kidd e Shawn Marion), ci sono gli specialisti difensivi (Tyson Chandler ma anche DeShawn Stevenson) e c’è la variabile impazzita. Il che non vuol necessariamente dire che sia un gio-

catore scarso o un signor nessuno, ma è quello che meno t’aspettavi a certi livelli. Quello che parte titolare più volte nella serie finale (3) che in tutta la regular season (2), quello che dopo quattro gare da 8-32 dal campo, ne spara due da 32 punti con 13-23, quello che nelle serie precedenti si era preso il palcoscenico con un


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M IIC CH HEL ELE E

a’ Barea

impatto devastante, in rapporto ai minuti giocati: 11.5 punti e 5.5 assist in 18 minuti di media nella cavalcata contro i Lakers, 11.4 e 3 in 17 minuti nella finale di Conferencee contro Oklahoma City, con il 46% da tre. Ovviamente la variabile in questione è Josè Juan Barea da Mayaguez, Portorico. Dove tutti guardano al base-

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TA TAL LA AMA MAZZI ZZI

ball, mentre JJ cresce sul campo da basket, ma non troppo: la sua statura si ferma a 180 cm sulle guide, mentre i suoi compagni lo prendono in giro sostenendo sia anche più basso. Quest’anno, durante una partita contro i Clippers, con Barea in lunetta in un momento di silenzio, un tifoso losangeleno si è alzato urlando “ehi, chi ha dimenticato il bambino in campo?”. “Tutta la panchina è scoppiata a ridere” ricordano Nowitzki e Terry, che pure confessano “ma gioca come se fosse due metri”. Ecco, semplificando JJ Barea è tutto qui, in questo aneddoto: un piccoletto con la faccia da bambino, che a basket ci sa giocare per davvero (non si esce dal Northeastern University come secondo marcatore di tutti i tempi dietro Reggie Lewis con 2209 punti per niente), ma che oltre al talento ha qualcosa dentro. Potremmo chiamarlo orgoglio portoricano, ma poi a smentirci ci sarebbero anche gli esempi di suoi connazionali decisamente più ‘lazy’, ed allora restiamo sulla voglia di arrivare, qualcosa che deve appartenere per forza ad uno di 180 cm scarsi che vuole farsi strada nello sport dei giganti. “Il migliore per entrare in area e decidere cosa fare”. Così l’ha definito Federico Buffa durante le NBA Finals, e circostanziando la definizione alla serie agli ultimi playoff si può essere moderatamente d’accordo. Senza dubbio, invece, che lo sia stato nella serie con Miami. Dove contro la netta superiorità fisica degli esterni dei Miami Heat serviva correre, e soprattutto trovare qualcuno che li potesse mettere in difficoltà a difesa schierata; c’ha pensato il brevilineo JJ, l’unico esterno dei Maverick davvero in grado di arrivare al ferro, non certo con l’impatto fisico quanto piuttosto battendo rotazione e aiuti con la rapidità e la capacità di concludere in layup anticipando la stoppata. Ad essere tutto ciò c’è arrivato lasciando Portorico per il New England, passando sopra la delusione tipica degli undrafted dopo un quadrienno coi fiocchi a Northeastern, prendendo l’esperienza in D-League come l’occasione per dimostrare che il suo livello era quello superiore. Con 8 partite a quasi 30 punti di media, due quarantelli, la maglia numero 11 ritirata dai Forth Worth Flyers e la nuova chiamata dei Mavericks. Per farne il backup di Devin Harris prima (senza troppa considerazione minutaggio) e di Jason Kidd poi. E fu proprio in quel momento, nella seconda parte della stagione 2008-2009, che coach Rick Carlisle, a causa gli infortuni di Jerry Stackhouse e Josh Howard, sperimentò per la prima volta il quintetto con tre piccoli (Kidd, Terry e Barea) che poi è risultato decisivo in queste Finals. Ripartendo da lì, Barea è diventato il secondo portoricano della storia a vincere un titolo NBA (il primo fu Butch Lee, nel 1980 con i Lakers), e forse ora il suo volto sarà un po’ più popolare, così da evitare che qualche addetto alla sicurezza dell’American Airlines Center non lo faccia passare, com’è successo più volte, l’ultima quest’anno, nella sua quinta stagione NBA. Ah, già, secondo i ben informati starebbe pensando di impalmare la signorina Zuleyka Rivera, aka Miss Universo 2006… ma questa è un’altra storia, sempre made in Portorico.


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The Others one

MARION, CARLISLE, STEVENSON

RICK CARLISLE - La prima sliding doors di questa vittoria. Un allenatore che è partito da Dallas per provare a vincere a Detroit, passando per Indiana e che ha dovuto aspettare cjhe si riaprissero proprio le porte del Texas per alzare quel trofeo. Un allenatore che come la sua stella si doveva strappare di dosso quella etichetta di perdente o meglio di eterno incompiuto che che si era procurato negli anni perdendo partite, come ai Pacers, oppure arrivando ad un passo dal successo con una formazione che di talento ne aveva. Tutto ha una fine. per tutto c’è un inizio. Per Carlisle questo titolo Nba è la fine di un incubo, la fine di una rincorsa e l’inizio di un nuovo capitolo, ma soprattutto di una nuova sfida: provare a bissare il tutto la prossima stagione. SHAWN MARION - Lui nel Texas non c’era mai stato, ne era presente in maglia Mavericks quando gli Heat portarono a casa la vittoria proprio contro Dallas. Eppure The Matrix aveva più di un dente avvelenato proprio nei confronti degli Heat. Già perchè nella sua carriera sono state solo tre le squadre girate e canotte vestite prima di finire ad indossare quella di Dallas. Tre tra cui proprio quella dei Miami Heat con i quali, specie con coach Spoelstra, non ha certo avuto un rapporto idilliaco, tanto per usare un eufemismo. A Dallas ci è arrivato, però, via Toronto Raptors. In Canada attraverso la voglia di Miami di avere Jermaine O’Neal ovvero un lungo da mettere a guardia del canestro. Sotto quel canestro a Miami, Marion ha finito per conquistare il suo primo titolo Nba. E pensare che qualcuno lo aveva considerato proprio la spalla di Wade per un futuro da titolo. Sliding Doors. DESHAWN STEVENSON – E’ stato uno dei personaggi più in vista di questa serie, dentro e fuori dal campo. Specialista difensivo dei Mavericks, è risultato un’addizione importante dopo l’infortunio occorso a gennaio a Caron Butler. Nelle finali ha dato un ottimo contributo anche in attacco, tirando con ottime percentuali da dietro l’arco dei tre punti. Famoso anche per le storie tese con Lebron James, che vanno avanti dal 2008 quando con i suoi Wizards incrocio il cammino del Prescelto, e lo bollò come “Sopravvalutato”. In soccorso di James arrivò il suo amico Jay –Z, ch compose un brano un brano nel quale derideva i giocatori dei Wizards. Memorabile la risposta di Stevenson: “Wow, Jay-Z è un uomo da 500 milioni di dollari e perde tempo a comporre canzoni su di me”. Memorabile come la maglietta con la scritta “Hey LeBron, how’s my Dirk taste?”, esibita dopo la conquista del titolo.

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D II G UIDA UIDA-P EZZELLA EZZELLA


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L’Albo d’Oro della Nba

1946/47 1947/48 1948/49 1949/50 1950/51 1951/52 1952/53 1953/54 1954/55 1955/56 1956/57 1957/58 1958/59 1959/60 1960/61 1961/62 1962/63 1963/64 1964/65 1966/67 1967/68 1968/69 1969/70 1970/71 1970/71 1971/72 1972/73 1973/74 1974/75 1975/76 1976/77 1977/78 1978/79

Philadelphia Warriors; Baltimora Bullets; Minneapolis Lakers; Minneapolis Lakers; Rochester Royals; Minneapolis Lakers; Minneapolis Lakers; Minneapolis Lakers; Syracuse Nationals; Philadelphia Warriors; Boston Celtics; St. Louis Hawks; Boston Celtics; Boston Celtics; Boston Celtics; Boston Celtics; Boston Celtics; Boston Celtics; Boston Celtics; Philadelphia 76ers; Boston Celtics; Boston Celtics; New York Knicks; Milwaukee Bucks; Milwaukee Bucks; Los Angeles Lakers; New York Knicks; Boston Celtics; Golden State Warriors; Boston Celtics; Portland Trail Blazers; Washington Bullets; Seattle SuperSonics;

1979/80 Los Angeles Lakers; 1980/81 Boston Celtics; 1981/82 Los Angeles Lakers; 1982/83 Philadelphia 76ers; 1983/84 Boston Celtics; 1984/85 Los Angeles Lakers; 1985/86 Boston Celtics; 1986/87 Los Angeles Lakers; 1987/88 Los Angeles Lakers; 1988/89 Detroit Pistons; 1989/90 Detroit Pistons; 1990/91 Chicago Bulls; 1991/92 Chicago Bulls; 1992/93 Chicago Bulls; 1993/94 Houston Rockets; 1994/95 Houston Rockets; 1995/96 Chicago Bulls; 1996/97 Chicago Bulls; 1997/98 Chicago Bulls; 1998/99 San Antonio Spurs; 1999/2000 Los Angeles Lakers; 2000/01 Los Angeles Lakers; 2001/02 Los Angeles Lakers; 2002/03 San Antonio Spurs; 2003/04 Detroit Pistons; 2004/05 San Antonio Spurs; 2005/06 Miami Heat; 2006/07 San Antonio Spurs; 2007/08 Boston Celtics; 2008/09 Los Angeles Lakers 2009/10 Los Angeles Lakers 2010/11 Dallas Mavericks 2011/12 ????????


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OCCHI PUNTATI SU...

Una stagione di alto livello, un finale di stagione memorabile, ora i Grizzlies hanno un futuro roseo davanti a se ed un Rudy Gay ancora da recuperare

‘Z-Bo la stell

Tra le tante storie e le numerose sorprese che questa stagione ha portato con sé, nessuno dimenticherà facilmente la favola che ha caratterizzato buona parte dei playoff, la favola di una piccola città del Tennessee, Memphis, e soprattutto della sua stella più lucente, quel Zach Randolph che ha fatto sognare una città, uno stato e, perché no, una nazione intera. I Grizzlies


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D DI I

S ST TE EFA FAN NO O

PA PAN NZ ZA A

o Fair y tail’: la di Memphis hanno chiuso la stagione regolare con 46 vittorie (terzo record di sempre della storia della franchigia dopo le 50 nel 2004 e le 49 nel 2006), che hanno garantito alla squadra di coach Lionel Hollins l’ottava piazza valida per l’infelice accoppiamento contro gli Spurs. Memphis era reduce da 12 partite di playoff con altrettante sconfitte, e il confronto con i texani non prometteva

certo di sfatare questo tabù. Ma è proprio con la prima sfida tra queste due squadre che nasce la splendida favola di Randolph, capace di mettere in scacco la squadra di coach Popovich con una prestazione maiuscola da 25 punti e 14 rimbalzi, permettendo ai Grizzlies di espugnare San Antonio e sfatare quel tabù che pesava come un macigno sulle spalle della squadra del


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Tennessee. Finalmente, dunque, dopo anni di anonimato e la pesante etichetta del classico “sprecone di talento”, dopo essere stato malamente scaricato dai Knicks, aver partecipato alla desolazione dei Clippers, aver giocato sotto i propri standard per molti anni, aver ottenuto la ribalta dei giornali per questioni che con lo sport avevano poco a che fare, finalmente Z-Bo ha ottenuto la sua rivincita. In pochi giorni si è trasformato da brutto anatroccolo a principe azzurro idolatrato da suoi tifosi e apprezzato dagli appassionati, che hanno ammirato la sua determinazione, la sua tenacia, oltre ad un repertorio offensivo da far impallidire qualunque ala forte di questa lega. Randolph ha infatti chiuso la stagione a 20.1 punti e ben 12.2 rimbalzi a stagione diventando il leader dei Grizzlies, specialmente dopo l’infortunio che a due mesi dal termine della regular season ha messo fuori gioco Rudy Gay. Dopo l’exploit in gara 1, Z-Bo ha avuto qualche difficoltà nella sconfitta di gara 2 prima di prendersi tutto il palcoscenico nelle due vittorie casalinghe, quelle che hanno lanciato in orbita le speranze della franchigia del Tennessee. In gara 5 non sono bastati i suoi 26 punti conditi da 11 rimbalzi nella clamorosa sconfitta firmata da Gary Neal, ma la serie è stata prolungata soltanto di una partita, in quanto è proprio nel ritorno a Memphis che Randolph ha sfoderato la gara della vita, con 31 punti e 11 rimbalzi nella sfida decisiva che ha regalato il primo storico passaggio del turno ai ragazzi di coach Hollins. L’impresa (una numero 8 che batte una numero 1 del tabellone) ha ovviamente una risonanza a livello mondiale, e il simbolo non può che esserne Zach Randolph, un po’ per il suo contributo sul campo (assolutamente indiscutibile), un po’ per i problemi avuti in passato, un po’ per quell’immagine un po’ goffa che dà di sé (come è diversa ad esempio la struttura fisica di Dwight Howard..). Ed è così che una città tra le più piccole e povere che partecipato ad un campionato professionistico americano, dimenticata dai media, che ogni anno riscontra un’emigrazione di massa dei giovani in cerca di fortuna nelle città più grandi e ricche, ottiene la sua piccola rivincita proponendosi prepotentemente alla ribalta con una squadra giovane e frizzante, ma soprattutto con un leader finalmente libero di poter esprimere tutte le sue doti e tutto il suo carisma. Come se non bastasse, alla vigilia della semifinale di Conference contro Oklahoma City, sulla città di Memphis si abbatte un’alluvione che fa innalzare pericolosamente il livello del Mississipi, inondando la città in breve tempo. Ma neanche questo ostacolo impedirà ai tifosi dei Grizzlies di recarsi in massa al Fedex Forum e di sostenere a gran voce la propria squadra ed il proprio idolo, finalmente portatori di soddisfazioni e di rivalsa verso una città cui la sfortuna sembra non voler dare tregua. La serie contro i Thunder terminerà con la vittoria di Durant e compagni soltanto dopo sette accesissime sfide (leggendaria la quarta, terminata dopo tre overtime) dopo che al debutto i Grizzlies erano riusciti a sovvertire il fattore campo andando a vincere in Oklahoma grazie a 34 punti e 10 rimbalzi di un sempre più incredibile Zach Randolph. L’apporto di Z-bo in semifinale è notevole: chiude con 22,8 punti di media, 5 gare su 7 in doppia doppia (tra cui gara 3 a quota 21) ed una leadership che fino a questo punto della sua carriera era sempre stata

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mascherata da pigrizia ed indolenza. Delle quattro sconfitte contro i Thunder Randolph gioca ai suoi livelli soltanto la quarta, quella terminata in triplo overtime (34 e 16 le sue cifre), mentre nelle altre tre trova in Nick Collison l’unico veramente in grado se non di fermarlo almeno di limitarlo, dopo che persino Sua Maestà Tim Duncan terminò ridicolizzato e con la coda tra le gambe il primo turno contro un giocatore che ha mostrato una varietà di modi per andare a canestro davvero unica. Randolph era in scadenza di contratto, ma tra gara 1 e gara 2 di primo turno, dopo cioè aver espugnato il campo degli Spurs, la dirigenza non ha esitato ad offrire un quinquennale al 30enne Z-Bo. Forse una mossa rischiosa, azzardata, ma dettata anche dalla riconoscenza che una squadra ed una città intera ripongono nei confronti di questo giocatore diventato finalmente un simbolo (più che) positivo. Con una squadra giovane, col ritorno di Rudy Gay, con maggiori credenziali nei propri mezzi, con la probabile riconferma anche di Gasol, con cui il numero 50 forma probabilmente la coppia di lunghi meglio assortita della lega, chissà che Z-Bo non si renda conto di poter puntare finalmente in alto.

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FOCUS

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Tutti i dei Bo Celt

RIPARTE DA DOC RIVERS LA R

Quella che è volta al termine sarà certamente r parola fine su alcune delle dinastie più profic degli Dei Losangelini per mancanza di bramos spogliatoio, passando per la chiusura del ciclo d'età e per guai fisici che si sono abbattuti s Blanca, al secolo Manu Ginobili, e Tim Duncan con i Boston Celtics che, nonostante le semif deluso le aspettativi di fans, aficionados e semp ceano, dando probabilmente il la alla fine dell sano per tutti, specialmente quando da oltre qu care spesso oltre ottanta partite l'anno, ma gli soltanto nei 35 anni di Garnett e nei prossimi Rasheed Wallace che ha impoverito l'area co infatti, le scelte del gm Danny Ainge hanno lasc di Tony Allen, ritrovatosi in quel di Memphis e


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i mali oston tics

RINASCITA DEI BIANCOVERDI

ricordata come la stagione che ha decretato la cue e longeve dell'ultimo lustro. Dalla caduta sia e probabili, ma non accertati, problemi di o degli Speroni texani per sopraggiunti limiti su uomini chiave quali "el narigòn" di Bahia n, nel clutch moment della stagione, per finire finali di conference raggiunte, hanno di certo plici appassionati della palla a spicchi d'oltreol'era dei "big three". Di certo le primavere pasuindici anni a questa parte si è "costretti" a gioerrori ed i mali di Boston forse non risiedono 36 di "He Got Game" Ray Allen o nel ritiro di olorata dei biancoverdi. Mai come quest'anno ciato più d'una perplessità, a partire dall'addio capace di diventare un uomo

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DI

M IRKO IRKO F URBATTO URBATTO


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chiave togliendo il posto nello starting five a Oj Mayo, passando per lo scambio delle ultimissime ore della deadline di febbraio, che ha visto partire un uomo cardine dello spogliatoio di Doc Rivers prima ancora che sul parquet come Kendrick Perkins, trasferito assieme a "KryptoNate" Robinson alla volta dell'Oklahoma in cambio di Jeff Green ,vecchio pupillo di Ainge (da cui fu selezionato come quinta scelta nel draft 2007 prima d'e ssere girato agli allora Seattle Supersonics nella trade che portò Ray Allen nel New England), e Nenad Kristic. Di certo a pesare è stato anche l'addio di Tom Thibodeau che, dopo quattro anni di apprendistato nel Massachussets da difensive assistant coach, ha spiccato il volo verso l' Illinois e verso la finale di conference con i suoi Bulls. Il futuro ora per i Celtics ha un nome e cognome: Rajon Rondo; è infatti su di lui che Ainge e Rivers punteranno nel futuro prossimo. Il play di Kentucky, depositario di un contratto da 46 milioni di dollari per i prossimi quattro anni, ha, per assurdo, dimostrato proprio quest'anno, a causa dei numerosi problemi fisici sopraggiunti alla quale è stata dovuta una forma non eccellente palesatasi anche nei playoff e nella serie contro gli Heat, il suo essere fondamentale per il gioco dei biancoverdi. Ritmo, assistenze, iperattività all'ennesima potenza e atletismo, tutte caratteristiche in cui il numero 9 eccelle e che sono gioco forza venute a mancare nel momento in cui l'ex 21ma scelta del draft 2006 ha avuto problemi fisici che ne hanno limitato l'apporto sul parquet e sulle quali punteranno a Boston per ripartire. Capitolo "big three": Ainge ha già affermato d'essere disposto ad ascoltare proposte riguardanti i tre, consapevole di dover avviare un'operazione di ringiovanimento per permettere ai suoi di tornare in tempi rapidissimi a livelli di eccellenza assoluta. Dei tre, vuoi per motivi di contratto, vuoi per empatia ed affezione di pubblico ed ambiente, quello con maggiori chance di restare è certamente Paul Pierce, proprietario di altri tre anni di contratto da oltre 47 milioni totali. Per quanto concerne Garnett e Allen il discorso potrebbe presentarsi diverso.

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Entrambi sono titolari di un solo anno di contratto (Garnett supererà i 21 milioni di dollari, Allen ne percepirà 10) e potrebbero trovare più di un estimatore in franchigie che ambiscono al titolo in tempi brevissimi ed hanno bisogno d'inserire giocatori di livello assoluto e d'esperienza benchè sul sunset boulevard della loro carriera. Ainge potrebbe così provare a strappare giovani promettenti o first round pick future sulle quali tentare di ricostruire un ciclo vincente. Di certo pare si riparta dall'estensione del contratto di Jeff Green, abbastanza deludente in questo primo scorcio di carriera nei Celtics, ma sul quale Ainge e Rivers paiono voler puntare forte nell'immediato futuro. Probabile la partenza di "Big baby" Glen Davis, voglioso di giocarsi le proprie carte in NBA partendo in starting five, cosa che Rivers a quanto pare non ha intenzione di garantirgli. Resterà, a meno di scambi, Jermaine O'Neal ancora sotto contratto per un anno ad oltre sei milioni mentre appaiono incerte le posizioni di Krstic, West e Murphy con il primo che pare avere maggiori chance di restare rispetto agli altri due. Abbastanza scontati gli addii di Arroyo, Pavlovic e Wafer con il rookie Bradley che potrebbe andare a farsi le ossa in D-League. Discorso a parte merita infine Shaquille O'Neal, non in grado di dare un apporto continuativo nell'arco di questa stagione, sempre più prossimo al ritiro, ma che pare invogliato nel tentare ancora un'ultima avventura che però, probabilmente, non sarà a Boston. Bisognerà rinforzare l'area dei tre secondi, cosa non facile vista la penuria di lunghi che attanaglia il basket moderno, e bisognerà trovare alternative negli esterni alle scorribande di Rondo, all'uno contro uno di Pierce e alla mano letale di Allen da oltre l'arco. Ma è troppo presto per spingersi oltre con le previsioni visto anche l'incubo lockout che incombe su tutto il professionismo cestistico americano. Nel 2007, quando fu costruito questo nucleo si era a conoscenza della poca futuribilità del progetto, ma da quest'estate in poi a Boston si farà di tutto per non ritornare nell'anonimato in cui si era caduti prima dell'avvento di Garnett e Ray Allen e dell'insediamento dei "Big Three".

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IL PERSONAGGIO

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L ORENZO ORENZO D E E S ANTIS ANTIS

R-Westbrook: croce o delizia?

Quando la tua squadra ha appena vinto una gara 2 di una finale di conference, ribaltando oltretutto il fattore campo, e nelle televisioni, sui giornali e nelle radio non si parla di altro che di te e del fatto che non hai giocato l'ultimo quarto per scelta tecnica vuol dire che sei un grandissimo giocatore e ormai una stella riconosciuta globalmente. Effettivamente Russel Westbrook un grande giocatore lo è,

ma la polemica scaturita dal finale della seconda partita della serie non scaturisce da sue dichiarazioni ad effetto dopo la scelta di coach Scott Brooks di richiamarlo in panchina ,dopo una brutta gestione offensiva, ma da un clamore mediatico forse ingiustificato, che ha scatenato le ire di altri giocatori dei Thunders come Kendrick Perkins, che ha dichiarato “Abbiamo vinto, pareggiato 1-1,torniamo ora sul parquet di


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casa e si parla solo di Russel in panchina nell'ultimo quarto?”. Probabilmente il centrone ex-celtics ha ragione, ma si sa che nello sport spesso contano più i protagonisti che non le squadre o le partite in se, e Westbrook ha dimostrato di meritarsi pienamente l'etichetta di protagonista. Infatti il terzo anno da UCLA, scelto con la numero 4 assoluta al draft 2008 dai Seattle Supersonics, è letteralmente esploso in questa stagione, peraltro confermando le enormi potenzialità già lasciate intuire nelle precedenti annate. Westbrook è un playmaker con ottima visione di gioco, come dimostrano gli oltre 8 assist per allacciata di scarpe, ma anche un realizzatore straordinario, capace di veleggiare tranquillamente oltre i 20 punti per tutta la stagione, tanto da essere persino convocato come riserva per l'All Star Game, svoltosi lo scorso 20 febbraio allo Staples Center di Los Angeles. Ora, riconoscendo che ci troviamo di fronte ad un diamante che brilla di luce propria, dobbiamo anche riconoscere che la scelta di coach Brooks nella già citata gara 2 non è parsa del tutto scellerata, perchè stiamo parlando di un giocatore che, spesso, eccede in attacco, mandando fuori ritmo gli altri giocatori. Nel caso specifico di gara 2, sembra che la colpa non fosse imputabile del tutto a Westbrook, bensì ai suoi compagni, che non avrebbero eseguito correttamente lo schema programmato. In ogni caso, il playmaker di Long Beach è il giocatore con più palle perse dell'intera lega (316 in 82 partite) e con uno dei peggiori scarti tra assist e palloni regalati agli avversari. In particolare in questi playoff ha confermato questo trand negativo e specialmente nella serie contro Dallas, ad esempio in gara 3 dove ha messo si a referto 30 punti, miglior realizzatore dei suoi, ma ha anche perso ben 7 palloni e si è beccato il quinto fallo tecnico della sua postseason. Il Westbrook migliore si era paradossalmente visto nella decisiva gara 7 contro i sorprendenti Memphis Grizzlies, quando nonostante scarse percentuali al tiro (4 su 12) e pochi punti a referto per uno come lui (14, ma 6 grazie ai tiri liberi finali) ha guidato la squadra con una leadership se vogliamo anche più silenziosa del solito, con 14 assist e 10 rimbalzi e grande sangue freddo nei momenti decisivi. Ora che i Thunder sono usciti dai playoff in 5 partite contro i Mavs di Dirk Nowitzki, e nell'ultima gara della serie Westbrook ha messo a referto si 31 punti, ma con 28

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tiri, il playmaker degli ex Supersonics dovrà forse interrogarsi su quale sia il giocatore che serve di più alla sua squadra, se il realizzatore (che però ha bisogno di diversi possessi per essere efficace) o il creatore di gioco (per se ma sopratutto per gli altri) capace di mettere in ritmo i compagni di squadra. Ad esempio Kevin Durant, che spesso, in questa finale di conference, è apparso in difficoltà a crearsi tiri da solo, mentre è stato il solito giocatore devastante quando messo in grado di correre o di ricevere palloni con i piedi per terra sul perimetro. Quello che manca al prodotto di UCLA, data anche la giovanissima età (stiamo parlando di un ragazzo di appena 22 anni) è forse proprio la capacità di leggere tra le righe di una partita e di rendersi conto di quello che la squadra e l'allenatore gli chiedono, senza voler a tutti i costi strafare per dimostrare le proprie eccezionali capacità. Certo che, quando questi Oklahoma City Thunder raggiungeranno il loro completo potenziale e impareranno a giocare per essere vincenti di squadra e non solo individualmente (e a dir la verità hanno già ampiamente cominciato), parleremo probabilmente di una squadra capace di portarsi a casa qualcosa di davvero importante, lasciando agli avversari solo le briciole.

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IL PERSONAGGIO - 1

Marc, l’altra fac della famiglia G

Primo febbraio 2008, i Los Angeles Lakers annunciano attraverso il loro sito ufficiale l'arrivo in gialloviola di Pau Gasol, catalano dei Memphis Grizzlies. È il colpo del decennio per la maggior parte degli addetti ai lavori, una “furbata”, per non scadere in altre definizioni, visto che in Tennesse, in cambio della stella spagnola, vanno Javaris Crittenton, Kwame Brown (ancora in lizza per

essere la peggiore prima scelta di sempre), il contratto del già pensionato Aaron McKie e, infine, i diritti della 48a scelta del draft 2007, Marc Gasol. Dopo un paio di stagioni piene di alte e bassi a Barcellona, Marc inizia a dimostrare di non essere semplicemente il fratello di Pau, giocando un'ottima stagione a Girona, chiusa vincendo il premio di MVP della Liga ACB. Da qui all'NBA

il salto è br ossa, senza talento non nella tranqu di media, s tra le matr prime appa


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ccia Gasol

reve, e Memphis è la piazza ideale per farsi le a più Pau Gasol e Mike Miller. I giovani e il n mancano, e Marc si trova subito a suo agio uillità di Memphis. 11.9 punti e 7.4 rimbalzi secondo quintetto dei rookie, migliore centro icole dietro solo a Brook Lopez, e sin dalle arizioni sui parquet americani si capisce che

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B ENEDETTO ENEDETTO G IARDINA IARDINA DI

il pezzo pregiato del pacchetto proveniente da L.A. è proprio lui, il fratello di Pau Gasol. Purtroppo per lui e per Memphis, la guida tecnica di Iavaroni non è il massimo, e la squadra naufraga in regular season, lasciando ampio spazio alle individualità, Rudy Gay e O.J. Mayo su tutti. L'anno successivo, sotto la guida di Lionel Hollins, Memphis si impone come una delle sorprese della satgione, e Marc trova la sua dimensione: 14.6 punti e 9.3 rimbalzi di media, titolare senza alcuna discussione, nonostante la scelta (scriteriata, tra l'altro) di Thabeet al draft, e Memphis va ad un passo dall'ottava piazza. Ma il bello deve ancora arrivare. Questa stagione viene annunciata come quella della crescita definitiva per i Grizzlies, e Marc Gasol risponde presente all'appello, nonostante i numeri della regular season indichino un'involuzione. Cifre simili a quelle del primo anno (11.7 punti e 7.0 rimbalzi), ma l'impatto in campo è fondamentale per i Grizzlies, che tornano a disputare la post-season dopo 5 anni. Marc è la perfetta spalla per Zach Randolph, la stella della squadra, e ai playoff alza notevolmente il suo livello, acquistando un ruolo fondamentale nella serie che ha portato Memphis nella storia. I Grizzlies fanno fuori gli Spurs, squadra col miglior record a ovest e per lungo tempo anche nell'intera NBA, salvo poi essere rimontati e sorpassati in volata dai Bulls, Marc gioca una serie sontuosa insieme a Randolph, senza subire la presenza di un mostro sacro come Duncan tra gli avversari, e la stagione per Memphis continua fino a gara 7 delle semifinali di Conference. Anche qui, Marc dimostra di non essere intimorito dai grandi palcoscenici, ed è ancora una volta uno dei migliori dei suoi, e la disfatta in gara 7 non macchia né la sua stagione, né quella dei Grizzlies. A 26 anni Marc, nel pieno della maturità, si trova in una squadra in continua crescita, e fa una strana impressione vederlo agli altari della cronaca a differenza del fratello, 3 anni dopo la famigerata trade. È l'ennesima conferma che la carriera di Marc può essere brillante anche senza il riflesso di Pau, anzi, proprio il flop di quest'ultimo ha regalato un po' più di pubblicità al centro dei Grizzlies, ormai pronto a farsi spazio nell'elite dell'NBA.


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Basketball Coaches Clinic Lionel Hollins, Kevin Eastman, Don Showalter, Ettore Messina, Sergio Scariolo e Dirk Bauermann: bastano i nomi dei sei relatori per capire perché il Clinic Internazionale ‘Giovanni Papini’, in programma dall’1 al 3 luglio a Pesaro, sarà il più importante a livello europeo. Organizzato da Giorgio Gandolfi, con la Confindustria di Pesaro e Urbino, in collaborazione con la Federazione Italiana Pallacanestro ed il Comitato Nazionale Allenatori, il clinic, che avrà la NIKE come sponsor tecnico, è intitolato alla memoria di Giovanni Papini, allenatore toscano scomparso nel 2009, legato al periodo d’oro del basket pistoiese. Con il patrocinio della Provincia e del Comune di Pesaro ed il supporto della Scavolini Siviglia, il Clinic avrà come partner la FIBA, la Federazione Internazionale di Basket,che ha concesso a questo clinic il titolo di “WABC Global Coaching Clinic”, cioè tra i clinic più prestigiosi al mondo, la NBCA, l'Associazione Allenatori NBA, la EUABC, l'Associazione Europea degli Allenatori, la AEEB, l'Associazione Spagnola degli Allenatori, e la Scavolini Siviglia. La FIBA ha Oltre a questo Clinic per allenatori Pesaro ospiterà, nei giorni 2 e 3 Luglio, anche un altrettanto importante evento, il 2° Clinic Internazionale per Preparatori Fisici “Enzo Grandi”, il compianto preparatore fisico della Nazionale e della Virtus Bologna, organizzato dal Comitato Nazionale Allenatori e dall'APFIP, l'Associazione

Cast d’autore all’Int ernational ‘Giovanni Papini’


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Basketball Coaches Clinic Preparatori Fisici Italiani di Pallacanestro. Di primissimo livello i sei relatori del Clinic per allenatori. A distanza di anni torna in Italia per un clinic un capo allenatore NBA, Lionel Hollins dei Memphis Grizzlies, la squadra rivelazione dei playoff NBA, che in questi giorni sta disputando la semifinale di Conference contro gli Oklahoma City Thunder. Con lui arriveranno Kevin Eastman, guru dei fondamentali, da sei stagioni assistente sulla panchina dei Boston Celtics (con un titolo NBA vinto) e presente ogni estate ai più importanti camp USA, come quelli di LeBron James e Kobe Bryant, e Don Showalter, capo allenatore della Nazionale USA Under 17, campione Mondiale 2010. Non da meno la presenza degli allenatori europei: ci saranno Ettore Messina, uno dei più vincenti in Europa, a cui aspirano molte top squadre italiane ed europee (e si parla anche di un interessamento di squadre NBA), e capi allenatori delle nazionali: Sergio Scariolo, coach della Nazionale spagnola con cui è campione europeo in carica, e Dirk Bauermann, coach del Bayern Monaco e della Nazionale tedesca (per informazioni: allenatori@fip.it). La location sarà quella del cosiddetto ‘Hangar’ di Viale dei Partigiani, dove ha giocato per molti anni la Scavolini. Si terrà invece alla Palestra Campanara, dove gioca la Scavolini volley feeminile, il Clinic per preparatori fisici. Anche a questo evento parteciperanno relatori di altrettanto grande livello, come Francesco Cuzzolin, prepatore fisico dei Toronto Raptors della NBA e della Nazionale Italiana, Jesse Wright, preparatore fisico dei Philadelphia 76ers della NBA, Joan Ramon Tarragò, preparatore fisico delle giovanili del Regal Barcellona, e Mladen Mihajlovic, preparatore fisico della Stella Rossa Belgrado, tutti nomi di spicco nel campo della preparazione fisica a livello internazionale (per informazioni: apfip@libero.it). Due appuntamenti, quindi, che faranno di Pesaro il punto di riferimento del basket nazionale e non solo, nel primo weekend di Luglio.


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LA CORSA VERSO IL DRAFT

M ICHELE ICHELE TALAMAZZI ALAMAZZI DI

Williams o Irving chi la numero uno? Kyrie Irving&Derrick Williams: quello del prossimo 23 giugno a Newark sarà il loro Draft. Sono i due individuati come candidati a diventare giocatori franchigia, forse gli unici di un lotto che non sembra entusiasmante (manca di Harrison Barnes, Terrence Jones, Jared Sullinger e Perry Jones, tutti rimasti al college) ma 'rischia' di essere molto più profondo, qualitativamente, di quel che appare a prima vista. Un po' come è accaduto al draft 2009, rivelatosi nei recenti playoff tramite Taj Gibson e Jeff Teague, ma già prima protagonista con Darren Collison, Omri Casspi, Toney Douglas, e ancora Sam Young, DaJuan Blair e Jonas Jerebko al secondo giro. Un draft particolare, dove è molto probabile che tra i primi 5 il solo Williams venga scelto effettivamente per ciò che ha mostrato al college. Perché se Valanciunas e Vesely l'han fatto in Eurolega, Irving ha soprattutto avuto il merito, nelle sue 11 apparizioni a Duke, di non intaccare il suo status, mentre Knight, che pure qualcosa di buono l'ha lasciato intravedere, se verrà scelto alla 3 è perché O'Connor, il GM di Utah, s'è innamorato del suo potenziale. Per non parlare di Enes Kanter, fermo da un anno a livello agonistico vista l'ineleggibilità a Kentucky: di lui si parla ancora per l'Hoop Summit dell'anno scorso. La Draft Lottery ha detto Cleveland. E il GM di Minnesota, David Kahn, ha preso poco sportivamente la sconfitta (i Twolwes erano quelli con più palline nell'urna), adducendola al fatto che l'NBA abbia bisogno di 'storie' da raccontare e riferendosi a quella di Nick Gilbert, 14enne figlio di Dan, proprietario dei Cavs, afflitto da una malattia neurologica e portafortuna della franchigia dell'Ohio alla Lottery. Citando l’esempio dell’anno precedente, quando a vincere la lotteria per Washington c'era la vedova dell'ex proprietario Abe Pollin. Esternazioni poco simpatiche a parte (Kahn ha poi ritrattato spiegando come stesse scherzando, ma intanto non ha fatto una bella figura e non è la prima volta) la primissima scelta andata ai Cavaliers è in realtà quella dei Clippers, che i velieri cedettero (nell'ambito dell'affare Baron Davis), insieme al suo 2,8% di essere la prima assoluta. Così i Cavs non hanno solo la 1, ma anche la 4. Ma se nei giorni seguenti la Lottery il ‘problema’ di Cleveland sembrava essere quello di scegliere quale lungo, tra Valanciunas e Kanter, affiancare a Irving, ora, ad una settimana dal Draft, l’indecisione regna sovrana.


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Irving, numero 1 per i più, con potenziale definito e la comparison con Chris Paul, o Williams, upside intrigantissimi a fronte di un ruolo poco definito? I Cavs hanno anche provato a scambiare la 4 per la 2, per sceglierli entrambi, Minnesota non ha ancora definito la propria strategia, tra ipotesi di cessione del pick o una virata su Kanter. Questo perché alla 2 non si può ignorare Williams, ma anche e soprattutto perché alla guida dei Twolvex c’è il signore di cui sopra, David Kahn. Kyrie Irving sarà probabilmente la terza point guard scelta al numero 1 negli ultimi quattro draft, dopo Derrick Rose e John Wall. La tesi è avvalorata dal fatto che, storicamente, gli esterni puri di talento in NBA difficilmente tradiscono. Negli ultimi dieci anni, i 'bust' più clamorosi in sede di prime cinque chiamate so n o s tati Jay Williams e Shaun Livingston, entrambi messi ko dai problemi fisici. Al contrario, andando indietro nel tempo, sono stati presi Wall, Evans, Westbrook, Rose, Conley, Felton, Williams, Harris e Chris Paul. E proprio il regista degli Hornets è il giocatore cui Irving viene maggiormente accosta-

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to; chiaro, in sede di draft le comparison fioccano gratuitamente ed anche generosamente, ma questa è una di quelle che sembra essere più calzante di altre. Perché Kyrie, nei suoi due scorci di college basketball, ha lasciato infatti intravedere caratteristiche simili, da point guard che sa mediare bene tra il mettere in ritmo i compagni e prendersi responsabilità offensive. Questo perché è tecnicamente un giocatore più avanti di altri, per decision making e varietà di soluzioni offensive. Grazie a ball-handling e crossover di ottimo livello può crearsi lo spazio sufficiente per prendersi l'arresto e tiro dalla media, pur se ancora non è un opzione che gli aggrada particolarmente, forse anche perché sin qui, nella sua carriera, non ne ha avuto grande bisogno. Ha un tiro da tre affidabile (46% a Duke, su quasi 4 tentativi a gara), sia scoccato sugli scarichi sia eseguito dal palleggio, pur se in questa situazione deve migliorare in rapidità e sicurezza nella parte conclusiva per poterselo prendere anche ad un livello superiore. Ed ovviamente, Irving quando punta il ferro è straordinariamente efficace: il primo passo è bruciante, i cambi di direzione laterali, velo-


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cissimi, gli permettono di procurarsi facilmente un vantaggio, per poi sfogare il suo talento naturale, nel concludere (tenendo molto bene i contatti e con varietà di soluzioni in lay-up) o nel trovare lo scarico sugli aiuti dei lunghi. Tra i difetti c'è quello di non essere un verticalista clamoroso, ma francamente non lo è nemmeno Chris Paul; in compenso, in campo aperto è una delizia da veder giocare, perché sa condurre una transizione così tanto bene quanto sa finirla, e soprattutto perché ad una velocità elevata è sempre in controllo: ergo, sa prendere spesso la decisione più semplice ed efficace. In un anno dove un infortunio al piede lo ha costretto a guardare da fuori ben 26 partite, Irving ha comunque lanciato i segnali giusti in ottica draft: negli highlights, due partite su tutte. Il 1° dicembre, contro Michigan State e Kalin Lucas, 31 punti con 13-14 ai liberi, e 28 (con 9-15 dal campo) contro Arizona, l'ultima sua recita collegiale di 11 brevissimi atti, proprio nel duello indiretto con Derrick Williams. Se era già un NBA-ready, lo scopriremo presto. Derrick Williams è l'altro serio candidato alla numero 1, ma alla fine potrebbe anche venire scelto oltre la numero 2. Perché Minnesota nel ruolo è coperta con Beasley, uno dei giocatori cui l'ala di Arizona viene accostata fra le comparison. Minnie, che sembra prendere in considerazione anche l’idea di cedere l’ex Miami per far posto a Williams, non esclude una trade che la tolga d’impaccio e la metta, qualche posizione più indietro, in grado di scegliere ciò di cui ha bisogno e con un veterano in più derivante dalla trade. A parte tutti questi discorsi, però, il solo fatto che Williams sia arrivato, come status, tra le top two e ad insidiare il pick numero 1, è considerevole se pensiamo che due estati fa era al numero 72 del ranking liceale di ESPN e in quello di Rivals non figurava nemmeno tra i primi 150. L'enigma in ottica NBA è quello del ruolo, a metà tra i due di ala. Da combo-forward, Williams ha un fisico imponente (107 kg) per giocare ala piccola ma è un po' sottodimesionato come ala grande (203 cm). Però ha una doppia dimensione interessantissima, specie quella

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frontale in pieno divenire: nel tiro da tre è passato dal 25% al 57%, e due serate da 5-6 nel finale di stagione certificano una confidenza non da tiratore occasionale e valgono ben una meccanica lontana dai manuali del gioco. Il paragone che viene in mente è quello con David West, per una struttura fisica simile e per il tiro da fuori: Williams, però, è molto di più. Nel suo bagaglio ci sono anche il palleggio arresto e tiro e la capacità di battere l'uomo dal palleggio: meglio se attaccando il recupero difensivo, perché se deve scollinare oltre i 3-4 palleggi si rischia la palla persa. Ecco perché Williams è letale quando, dopo aver ricevuto in post, può girarsi e giocare frontalmente contro il proprio marcatore: nel breve i suoi piedi sono più rapidi della media, tecnica (leggi anche uso di entrambe le mani), potenza ed aggressività nell'attaccare il ferro fanno il resto. Sui giochi a due, Williams ha di fatto tre soluzioni: rollare contro gli avversari più piccoli, aprirsi per il tiro da tre, aprirsi per ricevere e prendere slancio contro l'eventuale recupero del difensore. Non vorremmo essere nel coach che deve fare la scelta su come marcarlo. Alla Draft Combine, lui si è autodefinito un’ala piccola: probabile che la massa e l'assenza di una velocità di base da esterno puro non ne facciano mai un vero ‘3’, ma nel caso state certi che lavorerà come un matto per diventare un 4 efficace al piano di sopra. In quell’ottica, ricorda un po’ Shawn Kemp, con meno verticalità ma più potenza. “Nei suoi geni c'è la facilità a migliorare” dice il suo coach di Arizona, Sean Miller; ed allora ecco che è lecito aspettarsi presto un altro passo in avanti nel gioco perimetrale (anche difensivamente, visto che fatica ancora contro i più piccoli) ed in quello spalle, dove a buoni movimenti sul perno non combacia ancora una solida capacità di lettura dei raddoppi. Intanto, la sua stagione è stata un crescendo fantastico, con 19.5 punti e 8.3 rimbalzi di media, una sola gara sotto la doppia cifra e la perla di quella straordinaria contro Duke, al torneo NCAA: 32 punti, 13 rimbalzi e quel 5-6 da tre che avrà fatto sbavare gli scout NBA. Dall'altra parte c'era Irving. Il Draft 2011 passa da loro.


CON IL PATROCINIO PATROCINIO DI PA

IN COLLABORAZIONE CON

Giorgio Gandolfi G iorgio G andolfi Comune di Pesaro

Provincia di Pesaro

PRESENTANO

CLINIC INTERNAZIONALE “GIOVANNI PAPINI”

PESARO 1-2-3 Luglio

Palasport, Viale dei Partigiani Technical Sponsor

RELATORI

LIONEL HOLLINS INFORMAZIONI Comitato Nazionale Allenatori Sito Internet: www.fip.it/cna/ ISCRIZIONI Comitato Nazionale Allenatori E-mail: allenatori@fip.it 06-3685.6548/6574 PRENOTAZIONE ALBERGHI Eden Viaggi Tel. 0721-442950 Fax: 0721-25354 E-mail: prenotazioni.clinic@edenviaggi.it MGM Holiday Tour Operator Tel. 0541-963629/954361 Fax: 0541-954544 E-mail: info@michelacci.com UFFICIO STAMPA FIP E-mail: ufficio.stampa@fip.it 06-3685.6500/6578/6583 UFFICIO STAMPA CLINIC Studio Mirò Tel. 0721-410333 E-mail: comunicazione@studiomiro.com Michele Talamazzi Cellulare: 348-0784253

Capo Allenatore Memphis Grizzlies NBA

KEVIN EASTMAN Assistente Allenatore Boston Celtics NBA

DON SHOWALTER Capo Allenatore Nazionale USA U.17 Campioni del mondo

ETTORE MESSINA SERGIO SCARIOLO Capo Allenatore Nazionale Spagnola, Campione d’Europa

DIRK BAUERMANN Capo Allenatore Nazionale Tedesca

CREDITI PAO 4 PARTNER PARTNER

SPONSOR UFFICIALI FIP



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