Anno 24, n. 78 - Giugno 2018 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
La Virgo Potens vincerĂ
Le dita del caos e le dita di Dio la battaglia odierna
Editoriale
Sotto il segno del caos… e della speranza!
S
i fa sempre più incalzante la sensazione che il nostro mondo stia sprofondando nel caos: caos politico, caos sociale, caos culturale, caos intellettuale, caos perfino nella Chiesa, con il Vaticano diventato, nelle parole di un noto opinionista americano, ritenuto moderato, “disfunzionale”.
Non è solo la “fine delle ideologie”, con lo scioglimento delle differenze fra destra e sinistra. Non è solo la diffusione del “pensiero debole”, col disfacimento delle categorie intellettuali che, fino a poco tempo fa, offrivano certezze. Tutti i confini sembrano svanire, perfino quelli che dovrebbero essere, invece, di prima evidenza come il sesso. Oggi è di moda il “gender fluid”.
Spariti i punti di riferimento, il nostro mondo è diventato come un deserto di sabbia che si muove al minimo soffio di vento, capriccioso e imprevedibile. “L’immaginazione al potere!” urlavano i sessantottini ebbri di spirito libertario. Oggi ci rendiamo conto come, più che l’immaginazione, a governare i destini del nostro mondo sia sempre di più la pazzia.
Mentre l’Unione Europea snatura le identità tradizionali del nostro continente, la sinistra promuove la massiccia immigrazione di altre razze, altre culture, altre religioni. Dal modello di “integrazione” si è passato al modello “multiculturale”: l’Europa sta diventando un melting pot etnico-culturale in cui le differenze diventeranno divergenze e tensioni, prodromi di inevitabili conflitti culturali, etnici e religiosi. Appunto il caos. “Caos e post-modernità – affermava già nel 1992 Plinio Corrêa de Oliveira – sono concetti che si avvicinano sempre di più, al punto di tendere a confondersi l’un l’altro”. Il caos è l’esito finale, la manifestazione più autentica e radicale, di quella “dittatura del relativismo” denunciata da Benedetto XVI.
2 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Per noi cattolici, l’avanzare del caos suppone una sfida storica che tocca i fondamenti della nostra Fede. La Fede, secondo S. Paolo, è un “rationabile obsequium”, un ossequio della ragione. Essa si fonda su certezze razionali illuminate dalla grazia divina. Il caos, invece, poggia sul vuoto. Fede e caos si escludono a vicenda. Un mondo che sprofonda nel caos è un mondo nel quale vengono meno le stesse fondamenta della Fede.
Con la Fede viene la speranza, definita da S. Tommaso: “un moto o tendenza verso un bene futuro, arduo e possibile da raggiungere mediante l’aiuto di Dio”. L’oggetto ultimo della speranza è Dio. Di nuovo, speranza e caos si escludono a vicenda. Se non esiste un fine oggettivo, immutabile, la speranza diventa voglia effimera.
La terza virtù teologale è la carità, quell’“amore di benevolenza” che protende verso un essere appetibile. In un mondo nel quale niente è saldo, e tutto può essere il contrario di tutto, la carità non riesce a fissarsi su niente. Diventa anch’essa volatile e vana.
Forse mai nella storia la situazione generale è stata tanto sfavorevole per la Fede come ai giorni nostri.
Però, come ha scrito P. Thomas de Saint Laurent nel suo splendido «Libro della Fiducia»: “Quando tutto sembra perduto, quando sembra che non ci sia più speranza, è l’ora di preparare l’incenso. Il Te Deum sta per cominciare!”
“Dove indirizzare quindi le speranze? – si domanda Plinio Corrêa de Oliveira – verso lo stesso Dio che mai abbandonerà la sua Chiesa santa e immortale e che, per mezzo di essa, opererà nei giorni lontani o vicini segnati dalla Sua misericordia e per noi misteriosi, la splendida rinascita della Civiltà Cristiana, il Regno di Cristo per il Regno di Maria”.
Sommario Anno 24, n° 78, giugno 2018
Editoriale: Sotto il segno del caos... e della speranza Lula: la fine di una farsa Quando la storia dà ragione Teologia della liberazione, o marxismo per cristiani? La magica arte dell’affabulazione al servizio della Rivoluzione La Tradizione minacciata Le dita del caos e le dita di Dio La Virgo Potens vincerà Sancta Maria Militum La nuova Chiesa di Karl Rahner La Nouvelle Théologie. Eresia del secolo XX Dalla Rivoluzione francese al Concilio Vaticano II Bisagno: la faccia pulita della Resistenza Quando le unioni omosessuali provocavano nausea … ai giacobini! Nel cinquantenario di Donna Lucilia Corrêa de Oliveira Il mondo delle TFP Beato Angelico: pittore del divino
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Copertina: Di fronte a un mondo che sprofonda nel caos, resta viva la promessa di vittoria della Madonna, raffigurata in veste di Sancta Maria Militum, che nel 1091 apparve nella battaglia contro i saraceni a Scicli (RG).
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 24, n. 78 giugno 2018 Dir. Resp. Julio Loredo
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Attualità
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Lula: la fine di una farsa
a stampa italiana ha dato ampia copertura all’incarcerazione dell’ex presidente brasiliano Luiz Inácio da Silva, detto Lula. Con rare eccezioni, il tono è stato enfatico. Perfino un quotidiano ritenuto moderato, il Corriere della Sera, ha strombettato il leader marxista come “politico di razza come pochi”, “profeta”, “artefice del miracolo economico” e altri epiteti tanto altisonanti quanto privi di veridicità.
Lula è stato condannato in prima e seconda istanza a dodici anni di prigione per corruzione. Una pena minuscola di fronte ai suoi tanti crimini. Infatti, nella storia del Brasile non si era mai visto un tale “assalto alla diligenza” da parte di un partito di governo (il PT, Partito dei Lavoratori) ai danni dello Stato, cioè del popolo. Stiamo parlando di decine di miliardi di euro in tangenti, finanziamenti illeciti e favoreggiamento. Appellatosi al Supremo Tribunale Federale (tra l’altro, quasi tutto nominato dal PT), questi ha respinto la sua richiesta di habeas corpus: il presidente sarebbe dovuto andare in carcere, dove già lo aspettavano molti suoi compagni di partito, tutti condannati per corruzione. 4 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
di Julio Loredo
Lula ha studiato con cura la sua uscita di scena. L’ultimo atto prima di consegnarsi alla Polizia è stato una cerimonia religiosa alla quale hanno partecipato vescovi e sacerdoti, oltre a personaggi dell’estrema sinistra, come Manuela d’Avila, candidata del Partito Comunista. Erano tutti lì, a rendere l’ultimo omaggio al “compagno Lula”. Puzzando di cachaça (grappa, lo ha detto Gleisi Hoffman, attuale presidente del PT, al suo fianco durante la cerimonia), Lula si è congedato con un discorso lacrimoso (foto sopra). I suoi seguaci avevano promesso di “incendiare il Brasile”. Niente di tutto ciò è successo: è stato l’ennesimo bluff di una sinistra che ormai ha perso l’appoggio popolare, checché ne dicano i giornali italiani. Il comunismo politico in Brasile è un fenomeno marginale. Nelle ultime elezioni politiche i partiti dichiaratamente comunisti hanno ottenuto un magro 2,8% dei voti. Molto più insidiosa, invece, è la sinistra cattolica. “Il Brasile è un paese visceralmente cattolico – scriveva Plinio Corrêa de Oliveira – Se la Chiesa si oppone a un suo nemico, difficilmente costui riuscirà a impadronirsi del potere, e tanto meno a conservarlo”. Purtroppo, e già dagli anni Quaranta del secolo scorso, lungi dall’opporsi ai nemici del
cattolicesimo, importanti segmenti del clero brasiliano li ha anzi favoriti, scivolando verso sinistra fino a costituire ciò che Plinio Corrêa de Oliveira definiva un Quinto Potere, spesso più decisivo degli altri quattro nel favorire la socializzazione del paese.
Sotto l’egida di personaggi come mons. Helder Câmara, l’“arcivescovo rosso” di Olinda-Recife, questo Quinto Potere man mano è diventato la più influente forza di sinistra in Brasile, promuovendo sistematicamente le riforme socialiste e, allo stesso tempo, osteggiando ogni reazione conservatrice. Negli anni Sessanta e Settanta, questo stesso Quinto Potere promosse la Teologia della liberazione (Tdl) e il suo braccio militante, le Comunità ecclesiali di base (Ceb), con le quali intendeva mettere in atto “una vera Rivoluzione” di stampo comunista. Non è una coincidenza che, proprio in Brasile, la Tdl abbia avuto alcune delle sue manifestazioni più radicali.
Un esempio fra tanti. Nel 1968 venne alla luce il “Documento Comblin”, un testo scritto dal sacerdote belga Joseph Comblin, teorico delle Ceb e docente presso il seminario di Olinda-Recife. Il documento tratteggiava le tappe di un’insurrezione popolare, con un’ultima fase di violenza, fino all’instaurazione di una dittatura socialista con tanto di tribunali rivoluzionari per eliminare gli oppositori. Il sacerdote, di origine belga, fu espulso dal Brasile per “attività sovversive”. Ciò non impedì ad alcuni vescovi di solidarizzare con lui, implicitamente appoggiando la via insurrezionale.
Il braccio politico di questo Quinto Potere era, appunto, il Partido dos Trabalhadores (PT, Partito dei Lavoratori), dichiaratamente marxista, nato e sviluppatosi col patrocinio della Tdl e delle Ceb. Il PT è stato fondato il 10 febbraio 1980 nel convento delle Suore di Sion, a San Paolo, con la consulenza di importanti teologi della liberazione, tra cui il domenicano fra Betto, mentore ideologico di Lula. Annoverava addirittura un vescovo “cappellano”, mons. Claudio Hummes, futuro cardinale. Il suo programma era molto semplice: “Trasformare il Brasile in una seconda Cuba”. Tutto condito da un discorso religioso ispirato alla Tdl. “Comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa”, proclamava Ernesto Cardenal. “Quello che vogliamo è marxismo nella teologia”, rincarava Leonardo Boff.
Il PT non disdegnava il ricorso alla violenza, come dimostra il sodalizio col movimento guerrigliero MST (Movimento dei Senza Terra), capeggiato da João Pedro Stédile, autoproclamatosi marxista leninista. I leader del PT erano soliti fare corsi di addestramento a Cuba, e parteggiavano per
Lula è una creazione del cattocomunismo e, specialmente, della Teologia della liberazione promossa da certi vertici della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb)
Da sopra: mons. Claudio Hummes, vescovo di Santo André, futuro cardinale, affianca Lula durante gli scioperi operai nel 1980; Lula consulta il dominicano Fra Betto, “teologo” del PT, e il cardinale Paulo Evaristo Arns, arcivescovo di San Paolo; alcuni vescovi danno appoggio a Lula dopo la sua condanna definitiva
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 5
Attualità
Quando la storia dà ragione
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rimo fra tutti a battersi contro l’ascesa di Lula da leader sindacale a candidato presidenziale fu il prof. Plinio Corrêa de Oliveira, allora presidente del Consiglio nazionale della TFP brasiliana. Dagli anni Sessanta, la TFP conduceva una campagna contro l’infiltrazione comunista nella Chiesa. Negli anni Settanta, questa campagna si orientò, concretamente, contro la Teologia della liberazione e il suo braccio militante, le cosiddette Comunità ecclesiali di base (Ceb).
Nelle presidenziali del 1989, Lula arrivò al ballottaggio insieme a Fernando Collor de Mello, candidato del centro-destra. In quell’occasione Plinio Corrêa de Oliveira pubblicò un lungo manifesto allertando l’opinione pubblica contro l’incombente pericolo*. Eccone l’essenza:
“Negli anni Cinquanta, l’agitazione di sinistra iniziò a voler incendiare il nostro paese, promuovendo agitazioni sociali ed eleggendo al Congresso non solo socialisti ma anche cattocomunisti. Questa novità era il risultato di profondi cambiamenti negli ambienti religiosi brasiliani, che andranno accentuandosi fino ai giorni nostri, dando origine al progressismo, ispirato alla Teologia della liberazione e rappresentato dalle Comunità ecclesiali di base.
“Questa è la base elettorale di Lula. Lo stesso candidato della sinistra dichiarò: ‘È la Chiesa progressista che appoggia la mia campagna’. L’altro polo cattolico, quello di destra, è rappresentato dalla TFP. Come associazione di laici, la TFP non rappresenta la gerarchia cattolica, ma non può esimersi dal rispondere alle innumerevoli domande di chiarimento.
“Conviene insistere su un punto assolutamente centrale dell’attuale dibattito elettorale: il radicalismo del pensiero del candidato della sinistra. Al Gramna, organo ufficiale del Partito comunista cubano Lula dichiarò: ‘Cuba è il modello per l’America Latina’. Un cattolico non può votare per il comunismo. Così, secondo la legge elettorale vigente, l’unica alternativa che i brasiliani hanno è di votare per il candidato Collor de Mello”. Plinio Corrêa de Oliveira chiudeva il manifesto dichiarandosi consapevole che questo intervento diretto nella politica nazionale avrebbe aizzato l’odio dei “fanatici anti-TFP”. E così fu.
Collor fu eletto presidente col 53% dei suffragi. La sinistra non poteva tollerarlo. Prima scatenò una serie di scioperi selvaggi che seminarono lo scompiglio in tutto il Paese. E poi partì alla caccia dei “responsabili” della sconfitta di Lula, a cominciare da Plinio Corrêa de Oliveira, portato davanti ai Tribunali per violazione della legge elettorale. La morte del leader cattolico, nell’ottobre 1995, impedì che il processo giungesse a termine. Il sacrificio valse la pena. Nel 2010 cominciò una fortissima reazione popolare contro il PT (Partito dei Lavoratori) che, nel 2016, ha portato alle dimissioni della presidente Dilma Rousseff, erede di Lula e alla condanna dell’ex presidente..
*. Plinio Corrêa de Oliveira, “Nella drammatica situazione del Brasile, la TFP prende posizione nella contesa elettorale fra Collor de Mello e Lula, come anche di fronte alla Teologia della liberazione e alle Ceb”, Folha de S. Paulo, 29 novembre1989.
Una delle manifestazioni anti-PT che costellarono il Brasile nel 2015 e 2016, e portarono alle dimissioni della presidente Dilma Rousseff e alla condanna di Lula 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Papa Francesco riceve in Vaticano João Pedro Stédile, leader del Movimento dei Senza Terra, di orientamento marxista-leninista eversivo
la guerriglia in America Centrale, come ad esempio i Sandinisti.
Proiettato dalla propaganda internazionale come leader del nuovo socialismo latinoamericano, Lula è un tipico prodotto del movimento della Teologia della liberazione. Fu, infatti, questi a lanciarlo come leader sindacale durante gli scioperi nella zona industriale di San Paolo nel 1980, punto di partenza della sua carriera politica. E fu anche questi a spingerlo a fondare il PT. Lula si è sempre mostrato riconoscente nei confronti dei suoi mentori. Nel messaggio che egli, ormai presidente, inviò ai partecipanti all’11º Encontro Intereclesial das CEBs, nel 2005, possiamo leggere:
“Cari compagni e compagne delle Comunità ecclesiali di base. (…) Comprendo l’importanza di questo vostro incontro, come rappresentanti delle radici più popolari e più impegnate del nostro Paese. (…) Voi ben sapete quanto mi sono care le CEB, e quanto io riconosca il ruolo che le Comunità ecclesiali di base hanno svolto nella resistenza alla dittatura militare, nella formazione dei Movimenti Popolari, nell’appoggio al movimento sindacale e, in particolare, al PT. Credo che il nesso fra fede e impegno sociale, fra fede e politica, abbia prodotto frutti di grande valore per il nostro popolo. (…) Dio benedica la vostra lotta!”.
Arrivato al potere nel 2003, il PT presto tradì le sue promesse, trasformandosi nella maggiore macchina di arricchimento personale che il Brasile abbia mai conosciuto. Esagerando però. Lo stesso “compagno” Fidel Castro, amico intimo di Lula, gli consigliò in un viaggio all’Avana di essere più prudente. La disinvoltura con la quale il PT svuotava le casse dello Stato, mentre distruggeva la società brasiliana con misure socialiste, ha finito per sollevare una reazione popolare che nel 2016 ha travolto il governo di Dilma Rousseff, erede di Lula.
I media italiani hanno sistematicamente oscurato questa reazione, che ha coinvolto la maggioranza dei brasiliani. Massicce manifestazioni, che a volte superano il milione di partecipanti, costellano ormai tutto il Paese. Il loro slogan è semplice: “Il Brasile non sarà mai comunista!”. Perfino il Potere giudiziario, solitamente cauto, si è fatto sentire. Non meno di 3mila giudici e magistrati hanno firmato una petizione al Supremo Tribunale Federale contro l’habeas corpus di Lula. L’esito lo conosciamo: la star della sinistra mondiale è stato portato in una prigione nello stato del Paraná che, ironia del destino, fu inaugurata proprio mentre egli era presidente.
La condanna di Lula sferra un durissimo colpo alla sinistra.
Perde, prima di tutto, proprio Lula, la cui carriera politica è arrivata al capolinea. Perde poi il PT, che non possiede un candidato “pulito” da presentare alle elezioni. Perde il Movimento dei Senza terra, il cui leader João Pedro Stédile aveva promesso inutilmente di incendiare il Brasile nel caso in cui Lula fosse stato incarcerato. Perde anche la macchina propagandistica mondiale, che ci aveva messo trent’anni per creare il mito Lula, salvo poi vederlo dietro alle sbarre.
Soprattutto, però, perdono certi vertici della Conferenza episcopale brasiliana (Cnbb), che si erano sempre battuti in favore del leader marxista e del PT. Perde anche il movimento della Teologia della liberazione, privato di un suo simbolo politico.
Infine, perde la linea politica di Papa Francesco, che più volte aveva dimostrato la sua simpatia per il PT. Nel 2016, per esempio, egli era intervenuto a sostegno del vacillante governo della Rousseff. Nel 2015, e di nuovo nel 2016, egli aveva accolto in Vaticano l’incontro mondiale dei cosiddetti movimenti popolari, organizzato da João Pedro Stédile. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 7
Attualità
Teologia della liberazione:
Nonostante recenti incursioni della Teologia della liberazione nel nostro Paese, di questa ideologia di estrema sinistra, punto di riferimento del
“Vestito da guerrigliero io mi
sento come parato da sacerdote. La guerriglia e la Messa sono la stessa celebrazione”
Mons. Pedro Casaldáliga, vescovo di São Félix do Araguaia, Brasile
“Ciò che intendiamo per teologia della liberazione è il coinvolgimento nel processo rivoluzionario. Dobbiamo attuare una rivoluzione sociale che rompa lo status quo e introduca la società socialista”
“Per l’America Latina non c’è altra alternativa se non il socialismo” Mons. Sergio Méndez Arceo, vescovo di Cuernavaca, Messico
Gustavo Gutiérrez, O.P., teologo
“Il socialismo è solo una tappa verso il Regno di Dio”
P. Pablo Richard, teologo
“Io mi proclamo un socialista e un rivoluzionario”
Mons. Gerardo Valencia Cano, vescovo di Buenaventura, Colombia
“Il nostro energico rigetto del capitalismo fa orientare le nostre azioni e sforzi verso l’instaurazione di un tipo di organizzazione sociale socialista”
Mons. Raúl Zambrano Camader, vescovo di Facatativá, Colombia 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
o marxismo per cristiani?
sotto l’egida dell’attuale pontificato, pochi italiani conoscono le fondamenta Partito dei Lavoratori brasiliano (PT). Eccone alcune perle: “Comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa”
P. Ernesto Cardenal, teologo
“Dobbiamo procedere attraverso la resistenza armata e la conscientizazzione all’interno delle Comunità Ecclesiali di Base”
“Noi non vogliamo riforme. Vogliamo la Rivoluzione!”
XVI Incontro delle CEB brasiliane
Mons. Tomás Balduino, arcivescovo di Goiás, Brasile
“Ciò che proponiamo è marxismo, materialismo dialettico, nella teologia” Leonardo Boff, OFM, teologo
“Il progetto socialista è fondamentalmente ordinato a qualcosa che sta nel progetto di Dio. Nel socialismo reale sovietico abbiamo scoperto valori del Regno di Dio. Dobbiamo riconoscere gli inestimabili valori del Regno che i sovietici hanno saputo costruire col socialismo”
Leonardo Boff, OFM
“La teologia della liberazione è più importante del marxismo per la rivoluzione in America Latina”
Fidel Castro TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 9
Attualità
Abracadabra: la magica arte dell’affabulazione al servizio della Rivoluzione di Diego Zoia
Immigrazione: fenomeno naturale o manovra di guerra psicologica rivoluzionaria? Un professore tedesco, di formazione marxista, svela la tattica della sinistra per riscattare il socialismo creando una nuova classe proletaria. Anche con l’utilizzo propagandistico di parole talismaniche.
L
a ricetta — o, se preferite, la strategia — da qualche tempo a questa parte è sempre la stessa. Le polpette velenose che cercano di farci ingoiare (con la pretesa che siano da noi facilmente deglutite e perfino apprezzate) hanno sostanzialmente la stessa base con qualche differenza d’ingrediente.
Negli anni Cinquanta del secolo passato si cominciò con il famoso slogan “Black is beautiful!”, per giustificare e promuovere il Civil Rights Movement, precorritore del Sessantotto. Si è continuato, sullo stesso stile, con l’altrettanto noto slogan “Diverso è bello!”, tanto caro ai fanatici dell’ideologia di genere. In tal modo si introducono e adibiscono concetti e parole, impiegati in modo quasi magico, per giustificare, o piuttosto per crearvi un clima favorevole, all’ulteriore passo che le forze della Rivoluzione intendono compiere nella loro marcia autodistruttrice. Oggi, tale tattica viene applicata a una
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questione che affligge molto la nostra Europa: l’immigrazione.
In verità, questa strategia malefica dell’impiego talismanico, quasi magico, delle parole è un’arte antica: come non pensare a quella che fu la “magia” di Giordano Bruno, che proprio attraverso l’uso affabulatorio delle parole sperava di convertire addirittura il Papa alla sua perversa filosofia?
In uno dei suoi più famosi saggi, il professor Plinio Corrêa de Oliveira spiegò ed illustrò questa strategia, chiamandola trasbordo ideologico inavvertito (1): mediante l’uso distorto di parole, o mediante il conio di neologismi studiati ad arte, ed utilizzando quel potere persuasivo insito in ogni parola stessa, è ormai dimostrato che codesti affabulatori possono (financo con successo!) orientare il pensiero di una larga parte di popolazione, che inavvertitamente si trova a mutare radicalmente la propria percezione ed interpretazione della realtà e, di
“Negli ultimi anni il ‘profugo’ del terzo mondo ha sostituito il ‘proletario’ come figura salvifica della sinistra”
Rolf Peter Sieferle
conseguenza, del modo di porvisi e di agire- senza nemmeno rendersene conto. È quasi un massiccio lavaggio di cervello, studiato ad arte nei laboratori della guerra psicologica rivoluzionaria.
Nello scenario attuale facilita questa amplissima campagna di distorsione della realtà l’immane apparato dei nuovi mezzi di comunicazione, in particolare con l’impiego dei social media, piazze virtuali ove chiunque, indiscriminatamente, può esercitarsi tanto nel compiere il bene (riaffermando ad esempio la verità e l’oggettività dell’ordine naturale), quanto nel commettere il male (ad esempio con la diffusione di notizie fasulle, le famose fake news).
Una concreta applicazione del trasbordo: l’opinione di un cattedratico tedesco
Di quest’opera di trasbordo ideologico inavvertito applicata alla questione delle immigrazioni si è occupato il professor Rolf Peter Sieferle (19492016), docente di storia all’Università di San Gallo. Nel suo saggio «Migrazioni. La fine dell’Europa», pubblicato in lingua italiana per i tipi della LEG, e terminato poco prima della sua morte — quasi una sorta di testamento spirituale — il professor Sieferle, studioso di Storia, Scienze politiche e Sociologia (con particolare competenza sulla storia delle società umane), formula le sue ipotesi sulle cause delle migrazioni, descrivendo il processo di legittimazione di questo immane fenomeno.
L’originalità di questo sforzo accademico di Sieferle non risiede tanto nell’approccio alla questione “immigrazione”, esaminata in una prospettiva principalmente tedesca, quanto piuttosto nel fatto che l’autore non può certamente essere definito un reazionario, provenendo egli stesso, quale membro di spicco, dagli ambienti della SDS, la Lega tedesca degli studenti socialisti, ente sindacale che al tempo in cui lo stesso Sieferle vi militava era uno dei principali organi della sinistra extraparlamentare. Del pensiero marxista il professor Sieferle fu profondo
conoscitore, essendosi laureato con una tesi in filosofia proprio su Karl Marx.
Questi strumenti permettono all’autore di rileggere il lancio di alcuni leitmotiv tipici dell’immigrazionismo in una chiave che possiamo definire “religiosa”.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 11
Attualità Già nel 1965, Plinio Corrêa de Oliveira aveva denunciato la nuova tattica della guerra psicologica rivoluzionaria attraverso l’uso di “parole-talismaniche” che operano nel paziente un trasbordo ideologico inavvertito
al contempo per screditare coloro che esprimono dubbi in merito a questa politica come bruti egoisti (‘nazisti’, ‘razzisti’ eccetera)”: operazione di demonizzazione perfettamente riuscita, constata Sieferle.
“Negli ultimi anni — scrive Sieferle — il ‘profugo’ del terzo mondo ha sostituito il ‘proletario’ come figura salvifica della sinistra. Entrambe le costruzioni, però, hanno tratti deliranti. Il vero lavoratore non voleva assolutamente la ‘rivoluzione’ come rinnovamento escatologico del mondo, bensì voleva diventare un membro riconosciuto della società civile che gli offrisse un posto di lavoro e che lo assicurasse contro i rischi della vita mediante lo Stato sociale. Per la sinistra questo costituiva un tradimento dei propri principi. […] Nella seconda metà del XX secolo il ‘proletariato’in quanto soggetto storico si fuse sempre più con i ‘popoli oppressi’, come immaginati dall’antimperialismo di sinistra nel quadro di un esteso contesto di sfruttamento”. Sarà il crollo dell’impero sovietico a imprimere nella coscienza della sinistra questa svolta pseudo religiosa: i movimenti di protesta antimperialisti “non si definivano più come proletari in termini marxisti, bensì come rappresentanti della vera fede, in senso religioso culturale, minacciata dall’Occidente [...] La sinistra percepì sempre più questi dannati del mondo come rifugiati da proteggere, come nuova classe inferiore globale, a cui però non veniva più assegnato un carattere proprio di potenziale soggetto storico bensì subiva solamente in modo passivo, oggetto dell’assistenza di iniziative per i rifugiati”.
Ecco dunque venir coniato negli anni Novanta il concetto di xenofobia, parola talismano strumentale per abbattere nelle coscienze quelle “resistenze naturali nel popolo contro l’immigrazione di massa, e 12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Ne conseguono gli altri due leitmotiv talismanici: il profugo, ovvero il presentare indiscriminatamente l’immigrato come chi “fugge dalla guerra” (“la modalità narrativa del profugo ha il vantaggio di potersi appellare direttamente agli istinti di solidarietà […] Questi sentimenti ingenui sono strumentalizzati da coloro che detengono il potere in politica e nei media”); e dunque l’integrazione (“perché si dovrebbe integrare dei rifugiati? Infatti, se si trattasse davvero di rifugiati sarebbero orientati a tornare nella loro patria dopo l’eliminazione dei motivi di fuga. Il collegamento diretto tra aiuto e integrazione fa concludere, piuttosto, che coloro che ne sono responsabili non vogliano affatto semplicemente ‘aiutare dei profughi’, ma che inseguono altri scopi. A loro non interessa aiutare gente estranea, ma cercano, per motivi diversi, di favorire l’immigrazione di massa”).
Nella trilogia xenofobia-rifugiato-integrazione trovano dunque un favorevole humus le suggestioni parareligiose ed escatologiche della sinistra (e, aggiungiamo noi, di una certa falsa destra) antioccidentale. L’approccio paternalistico con cui ancora oggi i più si accostano agli immigrati suscita nel professore di San Gallo domande inquietanti: “l’esultanza per l’immigrazione di massa di musulmani in Germania [e in Europa, n.d.r.] è forse la vendetta segreta della sinistra per il crollo del socialismo? Dopotutto islamisti e sinistra hanno uno spauracchio comune: l’America, Israele, l’Occidente”.
Salvo poi eventualmente accorgersi del fatto che “il terrorista islamico, il jihadista, il salafita non sono figure salvifiche, ma traditori della causa umanitaria […] La sinistra potrebbe improvvisamente scoprire caratteristiche preoccupanti nel rifugiato: misoginia, omofobia, comportamento autoritario, predisposizione alla violenza, rifiuto della raccolta differenziata e del risparmio energetico, in breve si
trasforma in un reazionario ‘fascista’, da cui non emana più alcuna promessa di salvezza”.
Questo piano assolutamente miope e irrazionale, concepito alla luce della visione escatologica parareligiosa che la Rivoluzione ha di se stessa, permetterebbe alla sinistra di “pian piano riprendere essa stessa il ruolo della figura salvifica, soprattutto in senso negativo, come lotta contro il neofascismo e il neoliberismo”. Pensano forse, si domanda Sieferle, “di poter strumentalizzare i jihadisti contro il nemico comune, l’Occidente, l’imperialismo e il neoliberismo per far sorgere alla fine la repubblica mondiale socialista dalle rovine della vecchia società?”
Un dato è certo: nonostante l’impiego di nuovi slogan utopisti (“nessuno è illegale”, “tutti sono uguali”, “refugees welcome”), artatamente urlati nei cortei o predicati sulle piazze mediatiche dei social media e della televisione, nella miope visione della sinistra “qualsiasi cosa siano i rifugiati, non si può loro assegnare lo status di soggetti della storia”.
Un vicolo cieco
Siamo convinti che ai rimedi spirituali (la preghiera e la sincera conversione alla Fede cattolica sono premessa essenziale per la riuscita di qualsiasi grande impresa e la soluzione di qualunque umana difficoltà) debbano essere uniti ad una genuina riscoperta del vero, grande spirito missionario che lungo i secoli ed in epoche recenti ha infiammato tanti italiani e tanti europei che si sono spesi per diffondere il Vangelo tutto il mondo.
Immigrati, profughi, rifugiati, o comunque si voglia chiamarli non solo debbono essere “aiutati a casa loro” per un mero calcolo economico. È necessario che i singoli e le Nazioni con i loro governi comprendano nuovamente che solo attraverso la predicazione del Vangelo sarà possibile ottenere quei frutti di pace e di progresso morale e financo materiale vantaggiosi per tutti: Pax Christi in Regno Christi. 1. Plinio Corrêa de Oliveira, «Trasbordo ideologico inavvertito e Dialogo», Il Giglio, Napoli, 2014.
Il saggio postumo del professor Sieferle fa dunque riferimento all’Europa, seppur in un’ottica principalmente germanica. E l’Italia?
Considerava Plinio Corrêa de Oliveira: “Mentre una grande e gloriosa nazione cattolica come l’Italia patisce la circolazione di tossine comuniste in tutto il suo organismo, i musulmani si strutturano sempre più fortemente”. Sembrerebbe un’analisi attuale, formulata solo ieri: invece, il grande pensatore e leader cattolico brasiliano poteva affermare ciò, con voce profetica, sul giornale “O Legionário” del 21 luglio 1946.
Ora che siamo giunti al dunque, quali rimedi adottare per contenere e riparare alla situazione?
“L’esultanza per l’immigrazione di massa di musulmani in Europa è la vendetta segreta della sinistra per il crollo del socialismo” TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 13
Attualità
La tradizione minacciata. La crisi dell’identità nello spazio pubblico europeo contemporaneo
di Renato Cristin
Si fa sempre più incalzante la sensazione che il nostro mondo stia sprofondando nel caos: caos politico, caos culturale, caos sociale, caos intellettuale, perfino caos religioso ed ecclesiastico. Questo caos è circostanziale? Passeggero? È l’esito inevitabile del divenire storico dei nostri tempi? Oppure è una tattica studiata ad arte da certi ambienti di potere per meglio gestire la situazione? È questo ultimo il parere di Renato Cristin, professore di ermeneutica filosofica all’Università di Trieste, che all’argomento ha dedicato un recente libro: «I padroni del caos» (Liberilibri, Macerata 2017, 447pp).
I
l Novecento è passato sull’esistenza storica degli europei come un ciclone: all’inizio ha modificato numerosi assetti nazionali che si erano consolidati nel corso dei due secoli precedenti, sconvolgendo o risistemando, a seconda dei casi e dei punti di vista, la vita dei popoli (la disgregazione dell’Impero austro-ungarico ne è l’esempio più vistoso), poi ha instaurato due totalitarismi assolutamente criminali come il comunismo e il nazionalsocialismo, che hanno schiacciato nazioni ed etnie, religioni e culture in nome di follie ideologiche che, sicuramente per quanto riguarda il comunismo, non sono ancora state del tutto debellate. In seguito, la progressiva edificazione di un progetto in sé nobile e giusto, cioè l’unione fra gli Stati europei, ha prodotto in ciascun popolo un effetto positivo per la consapevolezza di appartenere alla grande famiglia continentale, ma con l’unificazione europea si è avuto anche l’effetto negativo rappresentato dall’avvento di quella struttura accentratrice che è l’Unione Europea, con i suoi apparati operativi, funzionali ed efficaci ma tendenzialmente dispotici, a partire dalla Commissione.
“I nuovi padroni dell’Europa si sono accorti che il caos è più facile da governare di quanto lo sia l’ordine” 14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
“L’identità va difesa con ogni mezzo. Dobbiamo elaborare un insieme teorico in grado di reagire a questa deriva spirituale, culturale e sociale. Come contributo a questa elaborazione, la mia proposta consiste in una teoria che si fonda su due perni, il primo teoretico e il secondo pratico: la riaffermazione dell’identità e la rigenerazione della tradizione” (Nella foto: il Palais de Justice, a Parigi)
Se con il primo effetto i popoli hanno accresciuto il loro senso di identità nel più ampio spazio identitario europeo, con il secondo essi hanno misurato la volontà delle istituzioni comunitarie di annullare quanto possibile le nazioni e di arrivare alla liquidazione dei popoli, ovviamente non fisica ma identitaria. In tutta questa sequenza di eventi, a farne le spese sono state dunque la tradizione e l’identità dell’Europa, dei suoi popoli e delle sue nazioni. (1)
Nella sfera pubblica, istituzionale e civile, dell’Europa attuale, la tradizione è stata lasciata sopravvivere in forme più folkloristiche che spirituali e religiose, perché le prime sono più facilmente assimilabili da fattori esterni ed estranei che dovessero essere introdotti nello spazio europeo, mentre le forme dello spirito, in quanto più intensamente radicate nell’esistenza storica e più direttamente collegate con le idee e con i valori, ovvero con le strutture profonde della civiltà europea, rappresentano un intralcio per eventuali (ma già ben profilatisi) tentativi di dispersione e di sostituzione dell’identità idonei a un maggiore controllo ossia a una più arcigna limitazione dei popoli e delle loro legittime istanze, sociali o culturali.
Dinanzi a questo quadro piuttosto deprimente, che lascia intravedere un futuro decisamente fosco, credo che gli svariati e plurali orientamenti legati alla convinzione che l’identità vada difesa con ogni mezzo, debbano elaborare un insieme teorico in grado di reagire a questa deriva spirituale, culturale e sociale. Come contributo a questa elaborazione, la mia proposta, cui qui posso soltanto accennare, consiste in una teoria che si fonda su due perni, il primo teoretico e il secondo pratico: la riaffermazione dell’identità e la rigenerazione della tradizione.
Oggi, la posta in gioco intorno all’Europa è di portata globale, perché il ruolo che il nostro continente potrà avere nello scenario planetario dipenderà non solo dalla sua entità economica ma anche dalla sua identità culturale, sociale e politica. Perciò sull’Europa si sono concentrate forze eterogenee che – difendendo interessi ideologici ed economici, interessi cioè di potere, diversi da quelli tradizionali europei, divergenti dalle necessità storicamente consolidatesi e attualmente visibili dei popoli del continente – vogliono non tanto indebolirla economicamente, quanto trasformarne le strutture originarie e di lunga durata, disintegrarne le coordinate culturali, modificarne la TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 15
Attualità
Frasi scelte *
La nuova Europa non sarà un insieme sostanzialmente omogeneo e quanto possibile integrato, ma un melting pot etnico-culturale in cui le differenze diventeranno divergenze e tensioni, prodromi di inevitabili conflitti culturali ed etnici.
Siamo in una guerra civile di tipo ideologico, culturale e politico fra europei di sinistra e di destra.
Il caos è la negazione dell’essenza dell’Europa.
Oggi il caos ha inghiottito ogni equilibro e identità, trasformati in livellamento e indistinzione. Al politicamente corretto non si può rispondere se non con strumenti di pari gittata, esercitando cioè nei suoi confronti la critica radicale e senza cedimenti.
L’ideologia dominante ha frantumato il quadro precedente sostituendolo con un vuoto – il caos appunto – manipolabile, e usa oggi l’affluenza immigratoria per stravolgere la prospettiva e i canoni, gli ordini e le tradizioni.
La sinistra, dogmaticamente e perciò irrimediabilmente immigrazionista, si ritrova oggi affiancata da una Chiesa che ha abbracciato la medesima opzione.
Intorno alla lingua si combatte la parte più delicata e meno appariscente del conflitto fra le visioni del mondo oggi in campo. (…) La battaglia sulla lingua è, pur nella sua atmosfera rarefatta, lo scontro decisivo fra opposte concezioni dell’uomo e della società.
La forza del totalitarismo islamico sta nell’approfittare del senso di colpa degli occidentali per obbligarli ad abbassare la guardia. Finché i musulmani restano prima di tutto, e in molti casi soltanto musulmani, nessuna integrazione è possibile.
Il problema di fondo è l’irriducibilità dell’islam al sistema culturale europeo. * Tratte dal libro «I padroni del caos»
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composizione sociale, religiosa e perfino etnica, in una parola: distruggerne l’identità.
Come ho avuto modo di esporre dettagliatamente nel libro sopra citato, una reazione liberal-conservatrice ancorata alla nostra tradizione spirituale e religiosa dovrebbe individuare un punto di convergenza e di partenza che non è più differibile, pena la progressiva scomparsa della nostra stessa identità. A tal fine, si tratta di ribadire «una centratura storico-culturale tradizionale e una ri-attestazione identitaria europea e occidentale, la cui esigenza va espressa in una tesi che racchiuda la riflessione su ciò che è proprio di una cultura come carattere primario della pur aperta relazione con le culture estranee, e come alternativa sia al multiculturalismo sia a quell’enfasi filosofica e sociopolitica che ha forgiato il mito sessantottesco e postmoderno dell’altro e dell’alterità». (2) La riaffermazione della tradizione deve dunque avvalersi anche della critica di quell’agglomerato teorico riassumibile nel titolo di pensiero dell’alterità, di quel coacervo di tendenze e di discipline che, provenendo dalle linee teoriche della composita galassia della sinistra europea e occidentale, ha plasmato le coordinate con cui ci si dovrebbe rapportare all’altro extra-europeo. In questo schema concettuale e procedurale, che è una delle stampelle su cui si regge la vasta operazione di aggressione allo spirito europeo a cui stiamo oggi assistendo, la spinta anarchico-decostruzionistica erede del nihilismo sessantottino si è saldata con l’intento funzionalburocratistico da cui è animata l’odierna azione politica. Il potere nell’attuale guida dell’Europa viene infatti esercitato in forma meramente tecnocratica, perché la politica ha abdicato al suo compito classico, e nella sua essenza sempre valido, di concretizzare sul piano pragmatico le esigenze, da quelle più semplici a quelle più elevate, dei popoli che da essa dovrebbero sentirsi rappresentati. Assistiamo a un esercizio del potere che, mirando solo ad autoriprodursi, soffoca legittimità nazionali e valori tradizionali, spargendo disordine nella società e al tempo stesso tentando di imporre un regime per quanto concerne le opinioni, che non si fa carico della responsabilità politica in senso alto, negando così le origini metafisiche e, in questo senso, religiose dell’agire politico, dalle quali nacque la sacralità anche nella dimensione laica e nella vita pubblica in generale. Annullare il sacro significa distruggere l’essenza dello spirito europeo e cancellare il senso teleologico insito nella storia europea, del quale la tradizione – religiosa e culturale – è la custode.
Tradizione significa (e implica) ordine, non immutabile ma strutturale. Nulla è immutabile sulla terra, e tuttavia nelle trasformazioni vi sono alcune costanti. La storia dell’Occidente, per esempio, si è svolta lungo assi precisi e riconoscibili, nel succedersi delle generazioni e nell’intersecarsi delle popolazioni, nel percorso di assestamento delle nazioni e nell’intreccio delle loro relazioni, che spesso sono state, purtroppo, conflittuali e perfino belliche. Quando però i cambiamenti toccano l’essenza e non più soltanto le forme, si colpiscono quelle strutture portanti da cui dipende l’essere europeo stesso, l’essere cioè dell’uomo europeo in un certo modo piuttosto che in un altro. Perciò l’attacco, da parte dei fautori dell’alterità psico-spirituale e dell’alterazione dei fondamenti su cui si reggono i popoli europei, doveva necessariamente investire le articolazioni originarie di questi popoli, cioè la loro identità, la loro tradizione.
La tradizione pone dunque un problema agli attuali eurogovernanti; li pone dinanzi a una responsabilità che essi non vogliono assumersi, perché ritengono che, paradossalmente, sia più facile gestire il caos che l’ordine. Infatti, il caos implica una frammentazione generale, dei princìpi e dei valori, delle idee e delle opinioni, delle strutture mentali e delle forme sociali, e permette l’indebolimento e la liquidazione dell’identità, mentre l’ordine esige continuità, nei confronti della storia e della spiritualità, nei confronti dell’origine e dei suoi sviluppi. E poiché l’origine dell’Europa risiede nell’articolazione spirituale fra grecità e latinità, cristianesimo ed ebraismo, prendersi cura della continuità di questa complessa essenza originaria significa sostanzialmente rispettare la tradizione, riporre fiducia nelle sue possibilità interne di rinnovamento senza snaturarla, senza cioè costringerla a subire mutazioni indotte da quegli interessi, più sopra delineati, per i quali la coscienza identitaria è un ostacolo da abbattere. Il caos è dunque la conseguenza della negazione della tradizione e la premessa per la continuità di questa operazione anti-identitaria.
è quindi al suo interno che va trovata la soluzione a questo dramma che si sta consumando sotto ai nostri occhi: la tragedia della deculturazione, della de-identificazione del nostro continente. È difficile convincere le istituzioni comunitarie e quelle dei singoli Stati che la strada da esse imboccata conduce alla distruzione, e tuttavia, dopo aver svolto l’analisi critica del loro operato, questo tentativo è l’unica possibilità che resta a chi, movimenti politici o culturali e singole persone, ha a cuore il destino della nostra civiltà. Ciò che serve è un atto di orgoglio per quanto essa ha prodotto, in quasi tre millenni di storia, in tutti gli ambiti della vita umana e, in particolare, in quello in cui la politica si intreccia con la cultura e con la religione, nel quale cioè maggiormente si esprime la nostra identità e sono maturati i frutti della tradizione. Un appello per l’identità, da rivolgere non solo alle istituzioni politiche ma anche a quelle della religione cristiana, e in particolare alla Chiesa cattolica, che da alcuni anni ha obliato la tradizione europea in favore di un terzomondismo incompatibile con essa, introducendo in Europa quella sinistra teologia della liberazione che tanti danni ha causato in America Latina non solo al cristianesimo ma anche alla società in generale. Questo appello non è un’aspirazione velleitaria, ma un progetto concreto e realizzabile di ripresa della nostra tradizione identitaria, un progetto culturale, politico, filosofico e religioso: l’euroidentitarismo si colloca pienamente sul piano politico tradizionale e rappresenta, sul piano spirituale e culturale, la nuova forma, rigenerata e attualizzata, del conservatorismo.
1. Queste riflessioni si collegano alle tesi sviluppate nel mio libro «I padroni del caos», Liberilibri, Macerata 2017. 2. Ivi, p. 14.
L’Europa oggi si trova sotto il segno del caos, per una volontà di snaturamento generalizzato, in parte intenzionale e in parte inconsapevole, la cui genesi si trova, purtroppo, all’interno dell’Europa stessa. Ed “L’Europa oggi si trova sotto il segno del caos, per una volontà di snaturamento generalizzato, in parte intenzionale e in parte inconsapevole”
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 17
Le dita del caos e le dita di Dio di Plinio Corrêa de Oliveira
Dopo la caduta dell’Impero Romano d’occidente fu la Chiesa a riportare l’ordine in Europa. E sarà ancora la Chiesa, liberata dalla crisi che oggi la attanaglia, a riportare l’ordine di fronte al caos post-moderno.
N
on molto tempo fa, chi avesse detto che il mondo stava sprofondando nel caos sarebbe stato ascoltato con indifferenza: come accreditare una tale previsione alla luce della prosperità e dell’ordine che sembravano regnare in Occidente? Come se il mondo non occidentale non facesse parte del pianeta, per cui sarebbe bastato il mantenimento dell’ordine in Europa e America per poter affermare che tutto andava bene e che il caos era impossibile.
Si riteneva il caos come il catastrofico culmine di tutti i disordini e di tutte le sciagure. Come ammettere allora che da una situazione “evidentemente” ordinata potesse avere origine un tale parossistico “disordine”? Ecco l’obiezione, apparentemente inattaccabile, che l’ottimismo allora imperante avrebbe mosso a quanti sarebbero stati certamente bollati come “profeti di sventura”.
Sta scorrendo rapido il tormentato 1992. L’esame più superficiale della realtà fa rilevare che la parola “caos” - fino a poco tempo fa spauracchio di tanta gente ritenuta sensata - è diventata una parola di moda. 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Infatti, nei circoli intellettuali di grido, autodefinitisi postmoderni, la parola “caos” ha qualcosa di compiaciuto, di elegante, più o meno come un piacevole soprammobile da tenere fra le dita, per trastullarvisi e vederlo più da vicino. Invece di destare paura, il caos è visto oggi come fonte di speranza. Al contrario, la parola “moderno”, che tanto rendeva felici agli occidentali, sembra essere divenuta decrepita. Splendente di giovinezza ancora fino a poco fa, in essa sembra essere spuntata una chioma bianca, senza che riesca a nascondere rughe e dentiera. Poco manca perché finisca nella pattumiera della storia. Essere moderni, quanto era bello qualche anno fa! Oggi è cosa antiquata! Chi non vorrà essere coinvolto nella obsolescenza di tutto quanto è moderno, dovrà dirsi “post-moderno”. Ecco la formula.
“Caos” e “post-modernità” sono concetti che si avvicinano sempre di più, al punto di tendere a confondersi l’un l’altro. C’è addirittura chi vede in eventuali ecatombi domani, un radioso punto di partenza per il dopo domani.
Così, gente che ancora ieri non si stancava di imprecare al medioevo, vi ricorre oggi per giustificare il suo ottimismo.
Attualità
Cioè, il territorio dell’Impero Romano d’occidente si trovò, a un certo punto, sconvolto contemporaneamente da due forze nemiche, che ne attanagliavano i resti moribondi: i barbari provenienti dalle rive del Reno e gli arabi che, attraversato il Mediterraneo, avevano invaso lunghe fasce del litorale europeo. L’Europa crollò nel caos. Tutta la struttura dell’Impero Romano d’occidente ne uscì frantumata. Rimase in piedi solo la struttura ecclesiastica, che da Roma aveva ricevuto l’ordine di non abbandonare i territori dove esercitava la sua giurisdizione spirituale.
Tuttavia, dallo scontro fra eserciti e razze, in mezzo allo sconquasso generale, lentamente va formandosi nelle campagne la struttura feudale. E i libri nelle biblioteche dei conventi, in cui si era rifugiata la cultura greco-latina, cominciarono a proiettare luce sulle nuove generazioni che a poco a poco imparavano che vivere non era solo lottare, ma anche studiare. Piano piano, senza che nessuno se ne accorgesse, le febbricitanti dita del caos andavano producendo un nuovo tessuto: la cultura medievale, i cui splendori adesso scoprono i post-moderni a vantaggio della loro dialettica, come se ancora fino a ieri non fosse stata ignorata o vilipesa.
E, come il prestigiatore che estrae il coniglio dal capello, gli attuali profeti del caos e della post-modernità estraggono dalle ombre delle odierne agitazioni, così come dalle drammatiche turbolenze dell’alto medioevo, motivi per illudere i nostri contemporanei con le speranze e le luci di una nuova era.
dizioni presenti della Santa Chiesa di Dio dalle condizioni di allora!
Così come un figlio sente raddoppiare il suo amore e la sua venerazione quando vede la madre finita in disgrazia e oppressa dalle avversità, è con raddoppiato amore e indicibile venerazione che qui mi riferisco alla Santa Chiesa di Dio, nostra madre. Precisamente in questo momento storico in cui a Ella spetterebbe rifare, all’eterna luce del Vangelo, un mondo nuovo, la vedo in un doloroso e deprimente processo di “autodemolizione” e noto “il fumo di Satana” penetrato da nefaste fessure (cfr. S.S. Paolo VI, allocuzioni del 7/12/68 e 29/6/72). Dove indirizzare quindi le speranze del lettore? Verso lo stesso Dio che mai abbandonerà la sua Chiesa santa e immortale e che, per mezzo di essa, opererà nei giorni lontani o vicini segnati dalla Sua misericordia e per noi misteriosi, la splendida rinascita della Civiltà Cristiana, il Regno di Cristo per il Regno di Maria.
(Titolo originale: “Os dedos do caos e os dedos de Deus”, Folha de S. Paulo, 01-07-1992).
La civiltà fu intessuta dalle mani benedette della Chiesa; non dalle dita tremanti, sporche e contaminate del caos.
Ma c’è qualcosa che dimenticano di considerare nella cornice storica a cui loro fanno riferimento. È la Chiesa. La Chiesa, sì, nella quale mai smisero di brillare santi che lasciarono sulla terra la saggezza degli insegnamenti e la forza viva degli esempi, e che tuttora il mondo non scorda. Molti sacerdoti che, fedeli alla dottrina e alle leggi della Santa Chiesa, si recarono dappertutto suscitando anime che cominciarono ad illuminare le tenebre come, originariamente, per azione del Creatore le stelle cominciarono a brillare nel firmamento.
La civiltà fu intessuta da queste mani benedette; non dalle dita tremanti, sporche e contaminate del caos.
In questa prospettiva, il lettore si volgerà naturalmente verso la Chiesa di oggi, sperando da essa un’azione simile a quella svolta nell’alto medioevo. E ha ragione, perché della Chiesa si può dire quel che si dice della Madonna nella Salve Regina: “vita, dulcedo et spes nostra”. Ma la storia mai si ripete con meccanica precisione. E come sono differenti le con-
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 19
Maggio: mese della Madonna
La Virgo Potens vincerà! di Plinio Corrêa de Oliveira
Nel 1938, la Radio Bandeirantes chiese a Plinio Corrêa de Oliveira, allora leader delle Congregazioni mariane in Brasile, di tenere un breve programma mariano in occasione del mese di maggio, dedicato appunto alla Madonna.
G
razie a Dio, attecchisce sempre di più nei cattolici brasiliani la convinzione che il destino dell’umanità oggi sia inscindibilmente legato alla Chiesa e che, di conseguenza, il miglior modo di lavorare per la soluzione della tremenda crisi che attanaglia il nostro secolo sia lavorare per l’espansione della dottrina cattolica.
La storia registra il caso di nazioni costruite su fondamenta diverse da quelle della Chiesa, e che nel corso dei secoli hanno conosciuto una relativa stabilità. Tali furono, per esempio, l’Egitto, l’India, la Cina, il Giappone, Grecia e Roma. Mentre, però, in Oriente tale stabilità si trasformava in stagnazione letale, nel caso della Grecia e di Roma si dimostrò precaria. La civiltà greco-romana finì per soccombere sotto il peso della propria decadenza, fino ad essere 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
umiliata in extremis dalle orde di barbari che calavano dal Nord.
Diverso è il caso della civiltà cristiana occidentale, nata dalla Chiesa, sviluppatasi sotto l’influsso della Chiesa, costituitasi per la realizzazione di un ideale di perfezione e di progresso che solo la Chiesa ha saputo mostrare all’uomo. Fuori dalla Chiesa, l’Occidente non potrà trovare nemmeno quella stabilità precaria che contraddistinse alcune civiltà pagane orientali.
La civiltà europea e cattolica si ispirava in Nostro Signore Gesù Cristo. Nella civiltà cristiana medievale rifulgeva la maestà infinita di Cristo e la grande dolcezza con cui Si mostrò agli Apostoli sul monte Tabor. Nella sua prodigiosa fecondità, essa conteneva le fondamenta di una struttura morale e materiale molto superiore, per grandiosità e magni-
ficenza, alle concezioni dei filosofi greci, degli statisti romani e dei poeti orientali. Stava, però, nella sua essenza il pericolo che, se tale civiltà non fosse perseverata nella sublimità della sua vocazione, sarebbe facilmente crollata fino agli insondabili abissi diabolici dell’apostasia, i cui frutti oggi vediamo nei due fratelli gemelli, così diversi e così somiglianti: l’anarchia e la schiavitù. (1)
Per il mondo contemporaneo non c’è altra via che l’Ordine perfetto del Cattolicesimo. O è questo, o è il caos completo, l’annichilimento. Non è, dunque, senza angoscia che molti spiriti, perfino fra quelli in cui non brilla la Fede cattolica, si chiedono se la stessa Chiesa non potrà naufragare nella tempesta della crisi moderna. Non manca chi, di recente, con suprema demenza, proponesse di sostituire la Croce di Nostro Signore Gesù Cristo con un’altra croce, diversa da quella del Nostro Redentore, e alla quale si ispira oggi una grande e possente nazione. (2)
È proprio per queste anime cieche, deboli o fuorviate, che proponiamo oggi l’invocazione di Virgo potens. Ecco il tema della nostra meditazione nel mese di maggio, mese di Maria. Non è dalle baionette pagane, né dall’oro semitico, né da qualsiasi altra risorsa umana, che la Chiesa aspetta il grande trionfo che salverà, ancora una volta, la Civiltà cristiana. Per disegno divino, la Chiesa è indistruttibile. Lo è oggi come lo è sempre stata, e come sempre lo sarà. Solo da Dio, per l’intercessione di Maria Santissima, vengono le grandi grazie che hanno dato il trionfo a Costantino, che hanno fatto indietreggiare Attila, che hanno sconfitto i musulmani a Lepanto.
vincibile, nella sua umiltà incommensurabile, nella sua purezza indicibile.
Si congiurino contro l’infallibile Cattedra di Pietro il demonio, il mondo e la carne… La Vergine Potente trionferà! E, nel momento della loro sconfitta, l’oro degli avversari della Chiesa sarà come fango, i loro cannoni saranno giocattoli!
Sentendo queste parole, qualche spirito scettico potrà sorridere sdegnato, esprimendo un’irritata censura. Io, però, dico: un giorno verrà – e chissà se non sarà domani – in cui la Vergine Potente trionferà, suscitando una nuova legione di crociati, dando al Papa una vittoria, incruenta e gloriosa, come quella di S. Leone Magno che, ostentando la Croce di Cristo, fece indietreggiare il terribile Re degli Unni.
No! Nonostante il sorriso degli scettici, le ingiurie dei malvagi e l’incredulità dei timorosi, la Virgo Potens vincerà!
1. Ricordi il lettore che siamo nel 1938. Il leader cattolico si riferisce al duplice pericolo del comunismo e del nazismo. 2. Allusione alla svastica. 3. L’Internazionale comunista fondata da Lenin. Nella foto: la Madonna delle Milizie, di Scicli (RG), che apparve durante la battaglia dei Normanni contro i Saraceni, nel 1091.
Di Maria Santissima dicono le Sacre Scritture: “Tu sola universas haereses interemisti – Tu sola hai schiacciato tutte le eresie”. Maria è più potente della Terza Internazionale (3), più forte dei Cesari moderni, invincibile contro tutti i poteri di questo mondo, politici, militari o finanziari. Lei è la Vergine potente che schiaccerà il male nei nostri giorni, come ha già schiacciato il capo del terribile serpente. La sua forza, come abbiamo detto, non sta nei cannoni né nei soldi. La sua forza sta nella sua carità in-
“Nonostante il sorriso degli scettici, le ingiurie dei malvagi e l’incredulità dei timorosi, la Virgo Potens vincerà!”
Plinio Corrêa de Oliveira tiene un discorso all’Azione Cattolica di Santos, primi anni Quaranta TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 21
Maggio: mese della Madonna
Sancta Maria Militum di Claudia Pilato
Ma, ahimè, anche questa volta Belcane aveva fatto male i suoi conti. Infatti il conte Ruggero, nonostante l’inferiorità numerica delle sue truppe, non si perse d’animo, anzi invitò tutti i cavalieri e i fanti che trovò nella città di Scicli e nei dintorni, a combattere insieme a lui in nome di Dio.
S
ulla costa meridionale dello splendido triangolo siciliano, sorge la bella cittadina di Scicli, fondata dai Romani nel 212 a.C. Divenuta città reale con i Normanni, ebbe da Federico II il motto araldico “Urbis inclita et victoriosa”. Essendo, per posizione geografica, una finestra perennemente aperta agli sguardi della sua “grande sorella” Africa, è stata più volte esposta alle incursioni dei musulmani. Fin qui niente di nuovo sotto il sole, dato che il mondo intero conosce il variegato scenario storicoculturale della Sicilia che il suo popolo ha saputo fondere armoniosamente, riuscendo a trasformare la realtà bizantina come l’araba, la normanna e la sveva, l’angioina e l’aragonese, in una civiltà autentica e diversa.
Ciò che forse è meno noto è che proprio a Scicli, nel ragusano, si venera, sia in un dipinto del Settecento, che in una statua di grandezza naturale, la Madonna delle Milizie.
Si racconta che nel 1091 l’emiro Belcane, capo dei saraceni, sognava di occupare l’intera isola, nonostante fosse già stato battuto più volte in terra siciliana dal Gran Conte Ruggero d’Altavilla. Sicuro della vittoria, si prendeva beffa di Ruggero e dei cristiani, giurando di volerne fare macello. 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Nessuno di quei cavalieri e di quei fanti si tirò indietro, anzi tutti si precipitarono per sbarrare il passo all’invasore, ma vistisi alle prese con forze soverchianti, si appigliarono all’unica ancora sicura di salvezza: invocare fervidamente l’aiuto della Madonna, affinché li liberasse dal giogo di quel tiranno, nemico giurato dei seguaci di Suo Figlio.
E fu così che la Regina del Cielo apparve miracolosamente “su un cavallo bianchissimo, ricca d’una celeste armatura, con in capo una corona regale e con in mano una spada, la quale sfolgorava in tal guisa che feriva i Saraceni negli occhi. Bella poi in sì gran maniera, che in terra non poteva figurarsi bellezza maggiore. Rivolta allora al suo popolo sciclitano disse: En adsum, ecce me, Civitas dilecta, protegam te dextera mea! E in così dire, postasi alla testa dell’esercito cristiano e dato di sprone al cavallo, cominciò a vibrare la spada contro i nemici del Suo Figliolo, che più ne uccise Ella sola con quel potente suo braccio, di quello che si sarebbe potuto sperare da un esercito intero”. Quello stesso giorno, dopo che l’emiro Belcane perse la vita sotto il brando del valoroso Ruggero, la Madre di Dio, prima di salire al cielo, lasciò impresse su una dura pietra le orme del suo cavallo.
In verità, circa la natura dell’orma lasciata sulla pietra, vi sono pareri discordanti. Infatti, alcuni sostengono che la Vergine avesse impresso in quella pietra il vestigio del suo medesimo piede all’atto dello smontar da cavallo. La verità è che non è facile
optare per l’una o per l’altra tesi dal momento che oggi non è più possibile capire se si tratti di pedata umana o di cavallo. Colpevole di ciò è il tempo, il cui inesorabile trascorrere leviga anche le pietre più dure, e la devozione dei fedeli che nel toccarla sembrano sentire ancora di più l’ardente amore della loro Madre Celeste. L’“insigne miraculum” non passò inosservato neppure alla Sacra Congregazione dei Riti, la quale, sotto il pontificato di Clemente XII, decretò il 10 marzo 1736 che “ogni anno, il sabato prima della domenica di Passione, venisse celebrata, con solenne magnificenza e devozione la festa di Sancta Maria Militum nella chiesa distante tre miglia dalle mura della città di Scicli, in ricordo del miracolo avvenuto nell’anno 1091”.
Circa la veridicità storica di questo sovrannaturale intervento della SS. Vergine non sembrano sussistere dubbi ragionevoli. Nonostante i pochi documenti a noi pervenuti, ben s’inserisce nello scenario delle grandi imprese militari del Gran Conte Ruggero impegnato in quei dì a espugnare le ultime resistenze saracene arroccate ai forti di Butera e Noto.
festanti a Scicli. Ma non è certo sulla base del folklore che la Santa Sede si è pronunciata…
In verità, l’intervento sovrannaturale della Regina delle Milizie va inserito nel provvidenziale disegno divino della nostra redenzione, all’interno del quale Maria Santissima è l’aurora che rischiara il cammino della peregrinante umanità, immersa nelle tenebre del peccato. È il braccio che colpisce coloro che vogliono danneggiare il popolo eletto di Dio. È Colei che da sola vince tutte le eresie nel mondo intero. È Colei che il popolo cristiano ha sempre venerato con l’appellativo Auxilium Christianorum. Questo è un ruolo assegnatoLe dall’inizio dei tempi: “Porrò inimicizie tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”.
Ruggero II il Normanno, primo Re di Sicilia, incoronato da Nostro Signore Gesù Cristo
Mosaico nella chiesa della Martorana, Palermo
Questa inconsueta iconografia della Madonna a cavallo, non è certo frutto di un’antica tradizione che affonda le sue radici in arcaici riti superstiziosi, propri di un popolo abituato a fantasticare della liberazione dal giogo dello straniero. Questo infatti è un falso storico, frutto dei vecchi cliché di stampo illuminista, facilmente contestabili.
Né tantomeno siamo in presenza di un avvenimento meramente folkloristico. Ogni anno, verso la fine di maggio, viene riproposto, in ricordo di quel glorioso dì, un finto combattimento tra Cristiani e Saraceni, che attrae numerosi turisti, i quali si recano
Lo straordinario avvenimento di Scicli è solo un particolare di questo maestoso disegno divino. Tanti altri ne potremmo illustrare come esempio. Primo fra tutti, la vittoria dei Cristiani contro i Turchi a Lepanto, avvenuta il 7 ottobre del 1571, in memoria della quale S. Pio V, allora pontefice, istituì la festa in onore di Maria Santissima delle Vittorie.
La mezzaluna che campeggiava sulla bandiera di Belcane è la stessa che venne ammainata a Lepanto, per issare al suo posto allo squillo di trombe, la bandiera pontificia.
Storia di un passato ormai sepolto? Non diremmo proprio, anche alla luce di recenti avvenimenti.
Di fronte alla nuova minaccia di un certo islamismo sempre più militante, i cattolici non possono non sperare, oltre ai fattori temporali, anche nell’aiuto provvidenziale che, come mostra l’episodio di Scicli, non manca mai nei momenti cruciali, purché si invochi la Madre di Dio con Fede incrollabile. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 23
Chiesa
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La nuova Chiesa di Karl Rahner nel saggio critico di Stefano Fontana
tefano Fontana, direttore dell’Osservatorio internazionale “Cardinal Van Thuan” per la Dottrina sociale della Chiesa (foto sotto), ha pubblicato con l’editore Fede & Cultura un agile volume (107 pp.), ben scritto, di taglio divulgativo, senza note o altro apparato critico, sul pensiero di Karl Rahner o, meglio, sul rahnerismo come “nuovo cattolicesimo”, nuova dottrina di una “nuova Chiesa”.
di Don Samuele Cecotti Fontana mette coraggiosamente in luce la portata totalizzante del paradigma rahneriano capace di sostituirsi completamente al cattolicesimo così come consegnatoci dalla Tradizione. Dalle pagine del volume emerge chiaramente la radicale inconciliabilità tra il cattolicesimo e il neo-cattolicesimo rahneriano.
Parlare dunque di “Chiesa di Karl Rahner” significa parlare d’una realtà intrinsecamente altra dalla Chiesa cattolica pur dandosi il rahnerismo “nella” Chiesa cattolica. In fondo Fontana denuncia la presenza tumorale d’una neo-chiesa nella Chiesa, d’un neo-cattolicesimo rahneriano nel Corpo ecclesiale. Corpo e massa tumorale non si identificano pur tendendo il cancro a invadere metastasicamente l’intero Corpo, il rahnerismo vive parassitariamente nella Chiesa la cui identità pretende però sostituire liquefacendola dall’interno.
La denuncia del rahnerismo come pericolo mortale per il cattolicesimo non è nuova, tra tutti il grandissimo padre Cornelio Fabro che, dopo Il trascendentale esistenziale e la riduzione al fondamento del 1973, nel 1974 diede alle stampe «La svolta antropologica di Karl Rahner», vero capolavoro di critica teologica capace di cogliere e confutare il fondamento teoreticamente e dogmaticamente eversivo del sistema rahneriano.
Alla scuola di padre Fabro, avendo presenti i più recenti saggi critici in tema di autori qualificati come Gherardini, Livi, Cavalcoli, Lanzetta, etc., Fontana offre al grande pubblico un testo lucidissimo che presenta, in brevi capitoli, il nocciolo del neo-cattolicesimo costruito in sistema dal gesuita tedesco.
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Con verità Fontana riconduce il rahnerismo teologico alle sue premesse filosofiche, ovvero ad Heidegger, senza dimenticare Kant e Hegel, e così ne
“Fontana denuncia la presenza tumorale d’una neo-chiesa nella Chiesa, d’un neo-cattolicesimo rahneriano nel Corpo ecclesiale”
smaschera il fondamento anti-realista dato dal trascendentalismo moderno. Tutto il sistema teologico di Karl Rahner poggia sul trascendentale esistenziale di Heidegger, sulla nozione heideggeriana di Essere. La trascendenza di Dio non è quindi più quella della metafisica classica ma è intesa “in senso esistenziale e storico: Dio è l’orizzonte che ci precede e che ci fa conoscere tutto il resto senza essere a sua volta conoscibile” (p. 16). L’inconoscibilità di Dio, il Suo essere (per Rahner) Silenzio, abisso, tenebra, rende impossibile una Rivelazione come comunicazione di Verità da Dio all’uomo, per il gesuita si fa esperienza della trascendenza nella esistenza ed è dunque nell’esistenza che Dio si autocomunica. Il mondo, la storia divengono così Rivelazione, storia profana e storia sacra coincidono, la voce di Dio è udibile ascoltando le vicende storiche “che accadono nell’umanità del mio tempo, perché è lì che Dio mi parla” (p. 17).
Come si vede, prima ancora che questo o quel dogma, è il fondamento stesso della Verità Rivelata ad essere ferito mortalmente. La nozione di Rivelazione è radicalmente altra in Rahner e nella Chiesa, per il tedesco la Rivelazione è atematica e il suo luogo teologico è il mondo inteso come storia. La Rivelazione pubblica conclusasi con la morte dell’ultimo apostolo, contenuta nella Scrittura e nella Tradizione, è dissolta nell’orizzonte storico-mondano. Ecco perché, scrive Fontana, “le correnti rahneriane non accettano il concetto di evangelizzazione” (p. 19), coerentemente il rahnerismo non può ammettere l’evangelizzazione semplicemente perché non c’è
nulla da evangelizzare essendo il mondo, proprio il mondo, il luogo teologico, la manifestazione di Dio. La Chiesa stessa è parte del mondo e del mondo deve leggere i segni. È il mondo, come storia, manifestazione di Dio che deve guidare/insegnare, la Chiesa, non più magistra, deve farsi discepola e ancella del mondo: è “il nuovo senso di laicità che si sta imponendo nella Chiesa cattolica” (p. 21), la Chiesa “è mondo a tutti gli effetti […] deve diventare sempre più mondo, sciogliendosi al suo servizio” (p. 22).
Ciò, ad esempio, porta alla più netta negazione della Dottrina sociale della Chiesa, alla negazione stessa della sua legittimità, della sua possibilità. Infatti “se la Chiesa deve imparare dal mondo, la Dottrina sociale della Chiesa è un assurdo” (p. 40). Coerentemente, se pur assurdamente, Rahner rifiuta la Dottrina come insieme di verità, afferma il primato della pastorale ovvero della prassi da cui dipenderebbe la dottrina, la libertà in senso moderno liberale, l’utopia come slancio futurologico che inserisce vitalmente in quel “processo storico e mondano” da cui emerge la rivelazione di Dio.
Dalle pagine di Fontana si comprende come il rahnerismo non sia semplicemente una eresia ma propriamente un’altra “fede”, un sistema alternativo al cattolicesimo e ad esso inconciliabile. E tuttavia non come tale si presenta, il rahnerismo infatti non si pone quale “nuova religione” a sé ma piuttosto pretende di rileggere integralmente il Cristianesimo mutandone natura dall’interno. E tutto muta infatti se è TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 25
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La Nouvelle Théologie: eresia del secolo XX
arl Rahner si inserisce nelle correnti più estreme della chiamata Nouvelle Théologie, più volte condannate da Pio XII, che nel 1950 pubblicò perfino un’enciclica specificamente contro di essa: Humani Generis.
La Nouvelle Théologie fu l’erede diretta del Modernismo, condannato nel 1908 da s. Pio X, che lo definì “la sintesi di tutte le eresie”. Condannati, i modernisti si nascosero in ciò che Antonio Fogazzaro, figura di spicco della corrente, chiamò una “frammassoneria cattolica”. Lungi dal velare il carattere di setta segreta, essi anzi se ne vantavano: “Non ci resta che aspettare il giorno in cui, grazie a un lavoro silenzioso e segreto, avremo guadagnato per la causa della libertà una porzione più ampia delle truppe della Chiesa”, scriveva il modernista George Tyrrell nel 1910.
Questo “lavoro silenzioso e segreto” cominciò a dare i primi frutti negli anni Trenta del secolo scorso, col cosiddetto “problema teologico”. I grandi focolai furono la facoltà domenicana Le Saulchoir e la facoltà gesuita di Lyon-Fourvière. Si parlava – già allora! – di “cambio di paradigma teologico”. “Il cambiamento di prospettiva operatosi dolorosamente e tragicamente con il modernismo fu ripreso e riproposto dalla Nouvelle Théologie”, spiega don Germano Pattaro, allora docente di teologia al Seminario Patriarcale di Venezia.
I nuovi teologi adducevano come pretesto quello stesso dei modernisti, e prima di loro dei cattolici liberali: adattare la Chiesa allo “spirito dei tempi”. A tale scopo, si adoperarono per reinterpretare tutta la dottrina cattolica, a cominciare dalla filosofia che ne era alla base, secondo i canoni dell’esistenzialismo, non si sa perché ritenuto più à la page. Secondo loro, la Rivelazione non è avvenuta nella storia, ma dalla storia. In altre parole, la stessa storia è veicolo di Rivelazione. “Dio parla per eventi — secondo Marie Dominique Chenu — l’economia della rivelazione non è una storia in cui avviene una rivelazione, ma una storia di per sé rivelatrice”.
Non era, però, qualsiasi storia che mediava la Rivelazione, bensì quella rivoluzionaria: “La progressiva socializzazione. Lo sviluppo della classe operaria, la militanza sociale della donna, l’organizzazione della coscienza internazionale, la liberazione dei popoli dal giogo coloniale, la liberazione sessuale”. I nuovi teologi introdussero così una confusione fra la storia della salvezza (soprannaturale), e la storia profana. Essendo mediatrice di Rivelazione, quest’ultima è di per sé sacra. In questo modo, sacralizzarono le rivoluzioni in corso all’epoca, specialmente quelle di segno socialista e comunista.
Pari passu, svilupparono una nuova ecclesiologia, manipolando il concetto di “popolo di Dio”. Volevano distruggere ogni gerarchia nella Chiesa, in favore di una visione ugualitaria, laica e desacralizzata. “La mia visione della Chiesa mette in discussione il sistema piramidale, gerarchico e giuridico — affermava Yves Congar — la mia ecclesiologia è quella del «popolo di Dio»”.
“Il cambiamento di prospettiva operatosi dolorosamente e tragicamente con il Modernismo fu ripreso e riproposto dalla Nouvelle Théologie”
D. Germano Pattaro
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Pio XII condannò più volte questa corrente. Nel 1943 pubblicò l’enciclica Mystici Corporis Christi, nella quale avvertiva contro gli errori della Nouvelle Théologie in campo ecclesiologico. Poi, in due allocuzioni nel 1946 ai Padri Gesuiti e ai Padri Domenicani, il Pontefice fu molto chiaro: “Che nessuno indebolisca o sconvolga ciò che non dovrebbe mai cambiare. Molto si è detto, e in maniera assai leggera, su una «nuova teologia» secondo cui la teologia cattolica dovrebbe svilupparsi seguendo l’evoluzione generale delle cose, diventando così qualcosa in perpetuo movimento senza mai essere saldamente ancorata. Se dovessimo assumere un tale parere, cosa diventerebbe dei dogmi immutabili della Chiesa cattolica? Che ne sarebbe dell’unità e della stabilità della fede?”.
Nel 1947 il Papa promulgò l’enciclica Mediator Dei, una condanna alla Nouvelle Théologie in campo liturgico. Finalmente, il 12 agosto 1950, Pio XII pubblicò l’enciclica Humani generis, specificamente rivolta alla Nouvelle Théologie. In essa, il Papa mette in guardia contro coloro che “senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l’ipotesi monistica e panteistica dell’universo soggetto a continua evoluzione”. Purtroppo, i venti della storia – anche all’interno della Chiesa – soffiavano dall’altra parte. Tutti i nuovi teologi si ritrovarono “periti” durante il Concilio Vaticano II.
accolto il paradigma rahneriano: la missione non è più evangelizzazione ma promozione umana e azione filantropica, il peccato originale è reinterpretato come male storicamente sedimentato in strutture di sfruttamento, tutto il Cristianesimo deve essere demitizzato e deellenizzato, la Divinità di Cristo sarà allora non dato ontologico ma espressione storica del rapporto trascendentale dell’uomo con Dio, la Resurrezione non evento reale ma convinzione della Chiesa, etc.
L’idea che Rahner offre della Rivelazione è da Fontana ricollegata a quella dei modernisti condannati da san Pio X e entrambe fatte risalire ad Hegel. Tanto per i modernisti di primo ‘900 quanto per Rahner “Non si dà una verità dogmatica oggettiva, svelataci da Dio e acquisita dalla Chiesa come conoscenza, ma si dà una storia dentro la quale la Chiesa – sotto la spinta di quanto verrà chiamato ambiguamente “segni dei tempi” – interpreta la Parola […] Secondo Rahner la storia dell’evoluzione del dogma è la storia della sua progressiva rivelazione [perché] la rivelazione avviene nell’incontro tra coscienza e storia” (p. 68). Com’è possibile che un simile sistema sia stato lasciato crescere dentro la Chiesa? Com’è possibile che in qualche decennio quasi ogni ambiente ecclesiale sia stato infettato dal rahnerismo? Com’è possibile che Rahner abbia pesantemente ispirato i due recenti Sinodi sulla famiglia? Molto interessanti le pagine che Fontana dedica a Kasper, perfetto discepolo di Rahner. Si diceva, com’è possibile? Forse perché “la prospettiva rahneriana concilia la Chiesa col mondo, toglie gli ostacoli, ci permette di non avere più nemici, di accomodarci nel mondo come a casa propria […] È quindi dolce al palato. La Chiesa può vantare i suoi successi, ma in realtà sono i successi del mondo” (p. 87).
Fontana dichiara che “scopo di questo libretto era di mostrare i pericoli di Rahner in parrocchia e di favorire questa nuova consapevolezza dal basso” (p. 88), “coltivare dal basso la capacità di riconoscere gli elementi del rahnerismo in parrocchia, di contrastarli nel piccolo e di liberare il nostro quotidiano ecclesiale da questa tendenza” (p. 88).
Chiudono, quasi appendice, quattro articoli di Fontana pubblicati sul quotidiano on-line La Nuova Bussola Quotidiana che mostrano, qualora ce ne fosse bisogno, tutta l’attualità del saggio critico su Rahner.
Il lavoro di Fontana è coraggioso e prezioso, capace in poche pagine di cogliere l’essenziale del sistema rahneriano, tutta la sua pericolosità, la sua natura gnostica. Il rahnerismo, in fondo, non solo rende impossibile la Dottrina sociale della Chiesa e l’idea stessa di diritto naturale, ma converte l’escatologia in utopia rivoluzionaria e il “Cristianesimo” nell’immanentismo, nell’ateismo più radicale.
Confidiamo questo breve saggio di Stefano Fontana sia letto e meditato da molti, anche tra il clero, e possa favorire un onesto confronto e una salutare critica al neo-cattolicesimo rahneriano. Segnaliamo che l’Osservatorio Van Thuan sta ospitando sul proprio sito web un interessante dibattito su Rahner e la Dottrina sociale della Chiesa. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 27
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Dalla Rivoluzione francese al Concilio Vaticano II:
come il nostro mondo ha smesso di essere cristiano Gesù. In questo periodo, la Madonna è apparsa in Francia ben tre volte: Rue du Bac (1830), La Salette (1846) e Lourdes (1858). Questa situazione è continuata, con sfumature, fino alla metà del secolo scorso. Fino agli anni Cinquanta, infatti, la pratica religiosa in alcune regioni, come la Vandea, era praticamente del 100%.
Oggi, invece, la pratica religiosa non supera il 2% a livello nazionale: “Il cattolicesimo è cambiato radicalmente, sia nei suoi aspetti religiosi sia in quelli sociali. Diventando minoritario, andando cioè sotto una certa soglia statistica, anche i suoi effetti sociali e culturali non sono più gli stessi”. Cosa è successo?
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er i tipi della Seuil, di Parigi, è uscito recentemente il volume di Guillaume Cuchet «Comment notre monde a cessé d’être chrétien. Anatomie d’un éffrondement» (Come il nostro mondo ha smesso di essere cristiano: Anatomia di un crollo). L’autore, docente di Storia contemporanea presso l’Università di Parigi Créteil, ha già scritto diversi volumi sul cattolicesimo in Francia*.
Nel secolo XIX, ricorda Cuchet, il 75% dei missionari nel mondo erano francesi. Dopo gli orrori della Rivoluzione francese, e in parte come reazione ad essa, la Chiesa cattolica ebbe un vigoroso rinnovamento: mentre la devozione al Sacro Cuore si diffondeva come mai prima, la Provvidenza adornava la Francia con una fioritura di santi, come san Pietro Giuliano Eymard e santa Teresina del Bambino 28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Cuchet analizza l’edizione del 1947 della Carte religieuse de la France rurale, che già mostrava importanti falle nella struttura religiosa di Francia: mentre alcune regioni, come la Vandea, registravano un’altissima pratica religiosa, altre, come il Limousin, erano quasi piatte. Come mai? La risposta ci offre una chiave di lettura della crisi religiosa della Francia moderna: “Dalla carta emerge con chiarezza che i paesi che hanno accettato la politica religiosa della Rivoluzione francese, sono diventati i ‘cattivi’ della situazione, mentre quelli che l’hanno respinta, o addirittura avversata, hanno continuato ad essere ‘virtuosi’”. In altre parole, è nella Rivoluzione francese che vanno cercate le cause mediate della crisi spirituale e religiosa in Francia.
“La scristianizzazione in Francia – afferma Cuchet – è una storia vecchia e risale almeno fino alla Rivoluzione francese, con alcuni alti e bassi. Dopo la Seconda guerra, la Chiesa aveva messo in atto iniziative missionarie che avevano, se non ribaltato, almeno stabilizzato la crisi. Negli anni Sessanta del secolo scorso, invece, c’è stata una rottura di portata paragonabile solo a quella della Rivoluzione. Dal 1965 al 1966, tutti gli indicatori hanno cominciato a crollare in modo brutale. Un esempio: men-
“Negli anni Sessanta del secolo scorso c’è stata nella Chiesa una rottura di portata paragonabile solo a quella della Rivoluzione francese, che io non vedo come non attribuire al Concilio Vaticano II”
Guillaume Cuchet
tre nel 1965 il 94% dei francesi era battezzato, oggi la cifra si aggira intorno al 30%. E mentre il 35% andava alla Messa, oggi non superano il 2%”.
Con logica tutta francese, l’autore si domanda cosa mai sia successo in quegli anni per provocare una tale catastrofe. E risponde: “Fra il 1965 e il 1966, ossia in appena due anni, la Chiesa cattolica ha perso un terzo dei fedeli, soprattutto giovani. Ci deve essere un avvenimento che spieghi questo crollo così vistoso e veloce. Io non vedo altro se non il Concilio Vaticano II. Il maggio 1968 ha avuto un ruolo nell’acuire la crisi, ma non l’ha certo provocata”. Cuchet non arriva a tale conclusione a cuor leggero: “Per molto tempo noi, sociologi e storici, abbiamo avuto qualche rimorso nel sostenere questa tesi, perché avevamo paura che potesse portare acqua al mulino degli avversari del Concilio, che avevano fatto appunto di questa terribile ‘coincidenza’ un punto di polemica. La mia tesi non è che il Concilio Vaticano II abbia propriamente provocato la crisi, poiché essa occorre anche nei paesi protestanti, ma l’ha sicuramente detonata all’interno del cattolicesimo, comunicandole poi un’intensità tutta particolare”.
nel 1963. Secondo me, la polemica intorno alla questione liturgica ha velato un aspetto molto più importante e profondo del problema: l’abbandono della cultura cattolica come punto di partenza per la Fede”.
* Tratto da un’intervista a Guillaume Cuchet, Le Figaro, 30 marzo 2018.
Interpellato sul futuro del cattolicesimo in Francia, Cuchet risponde: “Tutta la questione, molto complessa, sta nel sapere che cosa nel Concilio abbia potuto produrre un effetto così devastante: i suoi testi, la loro interpretazione, la loro applicazione, i suoi effetti indiretti? Taluni affermano che la causa vada cercata nella riforma liturgica, iniziata “La scristianizzazione in Francia è una storia vecchia e risale almeno fino alla Rivoluzione francese. L’analisi sociologica mostra che le regioni che hanno accettato la politica religiosa della Rivoluzione, sono piombate nella crisi spirituale, mentre le regioni che l’hanno rigettata hanno invece continuato a essere virtuose” TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 29
La vera storia
Bisagno: la faccia pulita della Resistenza Intervista ad Aldo Gastaldi
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oche volte si è vista una manovra propagandistica così estesa ed egemone come quella che, in Italia, presenta la Resistenza partigiana contro i nazisti nella Seconda guerra mondiale come un’impresa pensata ed eseguita esclusivamente dal Partito comunista che, infatti, se ne assunse il merito. Da noi, dire partigiano, purtroppo, è praticamente dire comunista.
La realtà è però molto diversa. Nella Resistenza c’erano anche i monarchici, fedeli al giuramento fatto a Sua Maestà. Per lo più reduci del Regio Esercito, usavano al collo un fazzoletto blu proprio per distinguersi dai comunisti. E c’erano anche i cattolici. Mentre alcuni, influenzati da quel Cattolicesimo democratico di sapore murriano che poi avrebbe dato vita alla Democrazia cristiana, vi furono portati da un rigetto del Fascismo di chiara ispirazione sinistrorsa, altri invece vi furono guidati da una Fede autentica, senza alcuna connotazione politica. 30 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Fu il caso del genovese Aldo Gastaldi (“Bisagno”), soprannominato il “Primo Partigiano d’Italia”.
Militare di grande visione e coraggio, Bisagno fu subito riconosciuto dai suoi uomini come capo della Resistenza nella zona di Genova. Fu uno dei primissimi a salire in montagna e venne eletto comandante della Divisione Cichero, la più famosa e temuta della Regione. Di formazione profondamente cattolica, la sua militanza era dettata dall’idealismo e dal senso del dovere civico. Egli voleva la libertà per la sua Patria. Una libertà intesa non solo come rigetto ai totalitarismi, ma soprattutto come possibilità per l’Italia di continuare sulle vie del Cattolicesimo. Una posizione molto diversa da quella del Partito comunista, che vedeva nella Resistenza un’opportunità per impossessarsi del potere, sfruttando il naturale desiderio degli italiani di liberarsi dal giogo nazional-socialista. Bisagno diventò, anche suo malgrado, un contraltare al Partito comunista.
Bisagno dimostrò doti militari molto superiori a quelle di tanti altri arruolatisi nella Resistenza. Egli tuttavia considerava la guerra come un male e la conduceva con spirito superiore. Volendo evitare inutili spargimenti di sangue, in molte occasioni risparmiò la vita ai soldati della Repubblica sociale italiana. “Il nemico va combattuto ma non odiato”, ripeteva.
Purtroppo, non tutti conoscono la figura di Aldo Gastaldi, detto Bisagno. Possiamo cominciare tracciando, in poche righe, la sua vita prima della guerra?
Aldo nacque il 17 settembre 1921 sulle alture di Genova, nel quartiere di Granarolo. Primo di cinque figli crebbe in una famiglia molto semplice; mio nonno grande invalido di guerra aveva un piccolo negozio di vernici, mia nonna era casalinga. Entrambi, metteranno al centro della vita familiare l’educazione dei figli, un’educazione ferma fondata sulla Fede. Aldo visse la sua fanciullezza in un modo che definirei normale. Era amante dello sport, della vita all’aria aperta, della natura. Non amava assolutamente il chiasso delle compagnie, rifiutava di trascorrere il tempo al cinema o chiuso nei locali pubblici. Pur essendo vivace ed estroverso, si notava in lui sin dalla prima giovinezza un’attrazione verso il silenzio e un’avversione chiara verso la mondanità.
Scriveva così alla famiglia all’età di 19 anni: “Quasi tutti amano la città, cinema, teatri e chiassose compagnie; io alla città preferisco la montagna, al cinema e al teatro preferisco lo spettacolo dell’alba e del tramonto. Di ciò sono felice; il mio amore verso la natura e verso la montagna è tanto grande, cari genitori, che nemmeno Voi lo potete immaginare”. Durante la guerra partigiana visse un vero e proprio calvario ad opera delle infiltrazioni partitiche comuniste. Fu osteggiato, gli furono affiancate a sua insaputa spie del partito. A fine guerra non gli fu consentito scendere a Genova, per partecipare alla liberazione della città.
Bisagno morì il 21 maggio 1945 cadendo accidentalmente (secondo la versione redatta dal commissario politico della divisione), dal tetto della cabina del mezzo su cui stava viaggiando, mentre accompagnava a casa gli alpini del battaglione Vestone. Finalmente aveva trovato la pace che cercava: “La mia mente non trovò nessuno sulla terra che potesse darmi né tranquillità né giustizia. Trovai l’una e l’altra in Dio”. Ricordando questo gigante della Fede, abbiamo intervistato a Genova Aldo Gastaldi, nipote di Bisagno.
Completò gli studi di perito elettrotecnico all’istituto Galileo Galilei di Genova con il desiderio di iscriversi alla facoltà di Ingegneria.
Poco dopo arrivò la chiamata alle armi e Aldo partì per la caserma di Casale Monferrato, dove iniziò il suo percorso di soldato semplice. Diventò poi caporale, sergente e infine ufficiale, dopo il trasferimento nella caserma di Caperana. La formazione militare che ricevette in quel luogo (che oggi ospita la Scuola delle Telecomunicazioni delle Forze Armate) sarà fondamentale per la vita che di lì a poco avrebbe iniziato in montagna. Dopo l’8 settembre, Bisagno prese la decisione di darsi alla macchia. Quali furono le sue motivazioni? Essendo di area cattolica, come erano i suoi rapporti con i reparti legati al Partito comunista? Ci può tracciare il suo ruolo nella Resistenza ligure?
Aldo intuì immediatamente dopo l’armistizio, che la caserma di lì a poco sarebbe stata occupata dalle truppe straniere. Nascose pertanto le armi nel giardino di una canonica con il pieno appoggio di un parroco di Chiavari, sgravandolo prima da qualunque responsabilità nel caso in cui le cose non fossero andate come previsto.
Aurelio Ferrando (“Scrivia”), in una delle numerose testimonianze di cui disponiamo, afferma che la maggior parte dei giovani che salirono in montagna avevano un’età compresa tra i 18 e i 25 anni.
Non avevano pertanto alcuna formazione politica e nulla sapevano in merito. L’inganno dell’ideologia si insinuò successivamente tra le fila partigiane, con l’indottrinamento da parte dei commissari politici inviati dal Partito comunista. Bisagno prese posizioni nette nei confronti del fenomeno, che definì un “inganno ai giovani saliti in montagna per combattere per la libertà”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 31
La vera storia
Sono certo che Aldo riuscì a rimanere un uomo libero grazie alla sua fede e ad intravvedere in quella subdola alternativa, proposta ai giovani quale baluardo di libertà, un tremendo inganno.
Lascio immaginare ai lettori cosa potesse comportare questa intuizione seguita da prese di posizione nette al fine salvaguardare gli uomini che in lui avevano riposto completa fiducia.
Preferisco non essere io a definire il ruolo di Bisagno nella Resistenza ligure. A farlo in modo preciso furono i suoi uomini, e paradossalmente una spia fascista di Alessandria, parte del cui rapporto emerge nel film documentario “Bisagno” di Marco Gandolfo. Quest’uomo, infiltratosi nel comando zona, mirava a fornire precise e complete informazioni ai suoi capi, al fine di neutralizzare la Divisione.
Fece un resoconto precisissimo della personalità e dell’operato di tutti i principali attori della formazione e descrisse Bisagno come il vero elemento ostativo ai loro disegni. Lo definì “il cemento della formazione”, colui che “tiene uniti gli uomini”. Questo documento, interessantissimo, fa emergere chiaramente il dualismo che si era creato a seguito delle infiltrazioni partitiche: “Vi è quindi un dualismo: Bisagno da una parte e comunisti dall’altra”. Da ciò che racconta, sembra evidente che la forza ispiratrice di Bisagno fu la sua grande fede cattolica. Lei ravvede nel suo antenato tracce di santità?
L’anima di tutto l’operato di Aldo fu la sua fede in Cristo. Fu quella che guidò ogni sua azione.
Facciamo attenzione però a non attribuire al termine “cattolico” un significato politico che vada a contrapporsi ad altre ideologie. Sarebbe decisamente sbagliato. Chi segue Cristo diventa inevitabilmente
elemento di contraddizione, diventa scomodo al mondo, ma non perché lo abbia deciso a priori.
La Fede di Aldo è semplice, genuina, abbraccia e infiltra ogni cosa. Il suo abbandono in Dio è sempre presente, in ogni sua azione, in ogni sua lettera. Mai però diventa proselitismo o contiene tracce di buonismo o di compromesso. È una questione intima personale, ma che abbraccia ogni suo gesto, al punto che altri uomini affascinati dal suo comportamento gli chiesero di più, domandarono a lui il perché di alcuni accadimenti, comportamenti e prese di posizione.
È qui il cuore della “rivoluzione” che compie un santo, che poi è l’unica autentica via possibile. Illuminare inconsapevolmente chi lo circonda di una luce che non gli appartiene, ma che affascina, trascina e al contempo lo trascende.
È il caso di Sergio Piombelli (“Fiore”), un giovane partigiano ateo che, dopo aver chiesto due colloqui con Bisagno chiese il Santo Battesimo prima di essere fucilato nel bosco delle Paie a Calvari.
Gli uomini erano affascinati anche dalla sua purezza fisica, che non ostentava mai, ma che “traspariva da ogni suo gesto” racconta uno dei suoi uomini. Vi sono molti altri episodi analoghi, arrivati a noi, che confermano quanto Aldo sia stato docile alla Grazia sin dalla più tenera età.
Per Bisagno era chiaro che l’impegno della Fede e l’impegno politico, perfino militare, non solo non erano contraddittori, ma si ispiravano a vicenda. Cosa disse o scrisse il suo antenato a questo riguardo?
Non è semplice rispondere a questa domanda in modo esaustivo.
Aurelio Ferrando (“Scrivia”) in una sua testimonianza affermava testualmente: “Ciò che più mi colpiva di Aldo è che quando mi trovavo con lui, notavo che metteva tutto il suo impegno e le sue forze nel fare al meglio ciò che in quel dato momento gli era chiesto fare”.
Una sera, in cui i soldati della caserma di Caperana erano in libera uscita, Aldo invece di andare a passeggio con loro per la città di Chiavari, si fece chiudere in armeria. Doveva infatti nei giorni seguenti istruire i suoi uomini sulla manutenzione delle armi, e quella sera volle imparare a smontare e rimontare un’arma al buio. Monumento a Bisagno a Fascia 32 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Gli uomini erano affascinati dalla sua purezza, che non ostentava mai, ma che “traspariva da ogni suo gesto”, secondo quanto racconta uno dei suoi uomini Riteneva importante avere e trasmettere la padronanza di una manutenzione di emergenza che in determinati contesti poteva essere di vitale importanza. È un particolare a mio parere molto significativo.
Abbiamo altresì testimonianza da parte di don Giuseppe Pollarolo, un sacerdote che lo confessava regolarmente in montagna, che il suo rapporto con le armi era dilaniante. La consapevolezza di cosa volesse dire usare un’arma lo dilaniava, gli creava una sofferenza immensa, che peraltro non poteva lasciar trasparire ai suoi uomini per ovvi motivi.
In merito all’impegno politico la questione è delicata.
Vi sono rapporti ai distaccamenti chiarissimi in merito, in cui Bisagno invitava gli uomini a ragionare con la propria testa e a non lasciarsi ingannare da “nuove forme di fascismo che rivivono tra le file partigiane sotto altri nomi”.
Aldo non aveva un partito. Bisagno lottava per liberare la Patria dall’invasore, di politica, diceva, se ne sarebbe parlato a guerra finita e senza armi in mano… Sempre don Pollarolo affermava: “Gastaldi sapeva bene che con le armi in mano era facile a pochi imporre con la forza un’idea, un partito, un’ideologia”.
Viviamo un tempo in cui amare il proprio Paese e lottare per la Patria, viene fatto passare da una concezione deviata di democrazia quasi come una forma di intolleranza e mancata apertura verso il prossimo.
Parlando dei martiri di Otranto nel 1980, S. Giovanni Paolo II disse: “I Beati Martiri ci hanno lasciato – e in particolare hanno lasciato a voi – due consegne fondamentali: l’amore alla patria terrena; l’autenticità della fede cristiana. Il cristiano ama la sua patria terrena. L’amore della patria è una virtù cristiana”. Papa Wojtyla ci ha mostrato quanto bella e grande possa essere la memoria viva delle proprie radici na-
zionali, quante energie spirituali e umane sprigioni. E ci ha fatto capire che avere una forte identità non significa affatto intolleranza verso le identità altrui. La fine di Bisagno fu alquanto strana. Ci furono accertamenti, indagini?
Sulla morte di Aldo vi sono certamente fondati dubbi. Sono certo che Dio permetterà un giorno di fare luce anche sulla sua tragica fine.
Oggi però guardiamo alla sua vita, alla semplicità, purezza e bellezza della sua testimonianza di fede, dalla quale nasce tutto il suo agire. Scopriremo insieme alla drammaticità del suo vissuto, alcune perle di una bellezza immensa.
A questo proposito, consiglio a chiunque voglia approfondire la conoscenza di questo giovane uomo la visione del film documentario BISAGNO di Marco Gandolfo.
Un lavoro meraviglioso, serio, documentato e ricco di testimonianze dirette, dal quale emerge in modo chiaro e soprattutto vero il suo vissuto.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 33
Rivoluzione culturale
Quando le unioni omosessuali provocavano nausea … ai giacobini! tatezza, perorava “l’abolizione degli affetti privati”.
C’era poi il problema dell’ugualitarismo. Secondo i rivoluzionari, il carattere esclusivo del matrimonio religioso ledeva l’egalité proclamata come fondamento della Rivoluzione. Il matrimonio, sostenevano, è appena un contratto sociale che chiunque può sottoscrivere liberamente.
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l matrimonio civile fu introdotto in Francia nel settembre 1792, durante il periodo giacobino della Rivoluzione francese, che precedette di poco il Terrore. Fino ad allora, l’unico matrimonio era quello religioso, e si regolava secondo il Diritto canonico. Il disegno di legge rivoluzionario era stato presentato, come parte del nuovo Codice civile, dall’estrema sinistra nella Convenzione: i giacobini, i montagnard e gli enragé. Il loro scopo era chiaro: distruggere l’istituzione della famiglia.
“I vincoli famigliari – dichiarava in aula il deputato Chénier – sono il fondamento della cellula famigliare, una contro-società insopportabile poiché ostacola gli unici vincoli validi, quelli del cittadino e della patria”. Il deputato Lequinio rincarava: “Saremo lieti se i bambini non conoscessero i propri genitori”. Dello stesso parere l’abbé Sieyès: “Il legislatore dovrebbe mettere un limite ai vincoli famigliari”, mentre Saint-Just, soprannominato “l’angelo della morte” per la sua spie-
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Nel 1791 era stata discussa la prima versione del nuovo Codice civile, che definiva il matrimonio “un contratto civile che permette a due persone di unirsi”. In questo modo si introduceva anche il divorzio, poiché per definizione un contratto può essere rescisso col consenso delle parti. Il dibattito fu molto acceso. I deputati giacobini, montagnard ed enragé facevano gara a chi la sparava più grossa. Nessuno voleva passare per moderato.
In mezzo alla bagarre, Lequinio volle fare una precisazione: “Il matrimonio è un contratto civile per vivere insieme fra due persone di sesso differente”. Non l’avesse mai detto! Gli Atti della Convenzione registrano una “valanga di risate, ironie e insulti”. Non mancò chi urlasse: “Che schifo!”. Il deputato Sédillez ebbe l’ultima parola: “Il cittadino ci prende per scemi? Tutti sappiamo cos’è il matrimonio!”. Ecco il triste primato della nostra modernità: far passare come normale qualcosa che gli stessi giacobini ritenevano insensata e ripugnante…
(Nella foto, il Procuratore Fouquier-Tinville, che condannava chiunque alla ghigliottina per il semplice sospetto di non essere fervente rivoluzionario)
Lucilia Corrêa de Oliveira
Nel cinquantesimo di Donna Lucilia Corrêa de Oliveira
“H
o cominciato a leggere queste pagine ignorando totalmente l’altissimo valore del contenuto. Ciò che inizialmente era una semplice curiosità è maturato velocemente diventando una franca simpatia, che è andata man mano crescendo fino a sfociare in ammirazione e stupore. Più che la biografia di una donna straordinaria, stavo leggendo la vita di una vera santa, nella pienezza del termine”. Questo l’incipit di un lungo parere, scritto dal celebre teologo spagnolo Fra Antonio Royo Marín, O.P., su una biografia di Lucilia Corrêa de Oliveira, madre del dott. Plinio, pubblicata nel 1995. Abbiamo da poco celebrato il cinquantesimo della sua scomparsa, avvenuta a novantadue anni il 21 aprile 1968, a San Paolo del Brasile.
“La virtù – scrisse mons. François Trochu – passa facilmente dal cuore delle madri al cuore dei figli”. Plinio Corrêa de Oliveira deve molto alla mamma: dalla Fede cattolica, apostolica e romana, alla formazione del suo carattere, fondamentalmente opposto alla modernità rivoluzionaria. Da lei Plinio ebbe l’impronta spirituale che segnò la sua vita: “Lei mi spinse sulle vie della Fede fin dove arrivarono le sue braccia”. Da lei imparò la disciplina che poi lo caratterizzò. Da lei assorbì quell’amore materno che poi perfezionò nell’amore per la Madonna.
Lucilia Corrêa de Oliveira fu, soprattutto, una dama. Una dama che seppe mantenere il suo rango aristocratico con uno spirito che derivava dal suo intenso amore a Dio, secondo la famosa formula di S. Ignazio di Loyola: “Soyons distingués ad maiorem Dei gloriam”. In contrasto con lo spirito laico e ugualitario, Donna Lucilia rappresentò in modo esimio l’ideale di dama cattolica. Nel cinquantesimo del suo ingresso in Cielo, siamo lieti di offrire ai nostri lettori una sintesi della sua vita, e dell’influenza che ebbe sul figlio, Plinio Corrêa de Oliveira. “Più che la biografia di una donna straordinaria, stavo leggendo la vita di una vera santa, nella pienezza del termine”
Antonio Royo Marín, O.P. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018 - 35
Lucilia Corrêa de Oliveira
Âe
ingrazio ancora la Madonna — e con quanta commozione — di avermi fatto nascere da donna Lucilia, che venerai e amai tanto quanto mi fu possibile. E dopo la sua morte non ci fu un giorno che non la ricordassi con indicibile tenerezza. Anche alla sua anima chiedo che mi assista fino alla fine con la sua bontà ineffabile e spero di ritrovarla in Paradiso, alla corte luminosa delle anime che più hanno amato la Madonna”. Ecco quanto scriveva il prof. Plinio Corrêa de Oliveira nel suo testamento spirituale.
Affidato a Dio sin dalla nascita
Donna Lucilia a Parigi, nel 1913
Donna Lucilia Corrêa de Oliveira modello di madre cattolica
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Non si può comprendere la figura di questo grande leader cattolico contro-rivoluzionario se si prescinde dalla mamma, donna Lucilia Ribeiro dos Santos Corrêa de Oliveira (18761968). Madre dolce e premurosa, per ben sessanta anni ella lo accompagnò passo dopo passo, insegnandogli i fondamenti della Fede, illuminandolo col fulgore delle proprie virtù, avviandolo sulla strada della perfezione, rincuorandolo fino all’ora estrema: “Io la amai fino all’estremo con cui un figlio può voler bene a sua madre”. Questo amore trascendeva di molto il piano meramente umano, trovando il suo fondamento ultimo, la sua espressione più perfetta, nella comune Fede cattolica, vale a dire nella vita della grazia divina. Impareggiabile educatrice, donna Lucilia seppe inculcare nell’anima di suo figlio quella Fede cattolica, apostolica e romana alla quale egli dedicherà tutta la vita. Nel consegnare la sua anima a Dio, questa nobildonna meritò il maggiore elogio che un figlio possa fare alla madre: “Mia madre mi insegnò ad amare Nostro Signore Gesù Cristo, mi insegnò ad amare la Santa Chiesa Cattolica. (...) Ho ricevuto da lei qualcosa che deve essere preso profondamente sul serio: la Fede Cattolica Apostolica Romana e la devozione al Sacro Cuore e a Nostra Signora”. La stessa nascita di Plinio si dovette a un suo atto di eroismo cristiano. Durante la gravidanza, il medico le annunciò che il parto sarebbe stato rischioso e che molto probabil mente lei o il bambino sarebbero morti. Le chiese dunque di considerare la possibilità di
un aborto. Donna Lucilia rispose in maniera tranquilla, ma ferma: “Dottore, questa non è una domanda da farsi a una madre! Lei non avrebbe dovuto neppure pensarvi!”
Decise allora di abbandonarsi nelle mani di Dio, consacrandoGli il nascituro. Molti anni dopo, ella scrisse al figlio: “Lo sai Plinio, tu sei stato affidato a Dio prima di nascere. Perciò, con fede e amore nel Signore, non puoi che esserne felice. Tanto più che io prego per te giorno e notte, ed è naturale che le preghiere di una mamma cattolica, anche se con scarsi meriti, siano accolte dalla Madonna, pure Lei una mamma, e da Nostro Signore Gesù Cristo”.
Non stupisce che le prime parole che Plinio abbia pronunciato, quando aveva appena sei mesi, siano state “Gesù” e “Maria”. In risposta alla domanda “dov’è Gesù?”, il fanciullo puntava il ditino verso una statua del Sacro Cuore che la mamma teneva nella camera da letto. La profonda devozione di donna Lucilia permeava tutto il focolare, creando un ambiente di compostezza e di pietà, al quale Plinio si abbeverò sin da piccolo.
“Mia madre mi insegnò ad amare Nostro Signore Gesù Cristo, mi insegnò ad amare la Santa Chiesa Cattolica”
Il ruolo di donna Lucilia non si esaurì nel portare Plinio al fonte battesimale e condurlo alla Prima Comunione. Ella si prodigò tutta la vita per impartirgli una solida formazione cattolica, fondamento dello straordinario apostolato che in seguito svolgerà. Donna Lucilia insegnò personalmente il primo Catechismo a Plinio e alla sorella. Questo insegnamento era fatto col cuore: “Io ero perfettamente convinto che Gesù fosse Dio perché mamma lo faceva diventare molto chiaro quando narrava le Sacre Scritture”. A quattro anni, il piccolo Plinio soleva mettersi in piedi su un tavolo per ripetere davanti a un “auditorio”, composto dai vari domestici di casa, le lezioni ricevute dalla mamma!
“Un’autentica dama cattolica”
Il prof. Plinio Corrêa de Oliveira non prendeva mai l’iniziativa di parlare di sua madre. Tuttavia, sollecitato dagli amici più intimi, egli a volte lasciava traboccare i sentimenti del cuore. Ricordando la figura materna, in un’occasione affermò:
“Lei era un’autentica dama cattolica. (...) Voi non potete immaginare quanto mi abbia ispirato nella vita. (...) Io scrutavo continua-
Plinio all’età di dodici anni
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Lucilia Corrêa de Oliveira “Mamma era un’eccellente consolatrice. Quando ricorrevo a lei per qualche afflizione o problema, bastava sentire la sua voce vellutata, ‘Figlio, che cosa c’è?’, perché la metà del problema svanisse...”
A sin., Plinio all’età di quattro anni, a Parigi
Donna Lucilia si prodigava per alimentare nei figli il senso del meraviglioso
A dx., Plinio vestito da “maharaja” in occasione del carnevale del 1919
mente e con molta attenzione la sua bellissima anima, arrivando sempre alla stessa conclusione: era una signora cattolica! Ecco perché io la amavo con tanto slancio. La sua anima era così bella che, se per assurdo lei fosse stata la mamma di un altro, io l’avrei amata lo stesso e avrei trovato il modo di esserle vicino”.
La devozione che caratterizzò la vita di donna Lucilia fu senza’altro quella al Sacro Cuore. Molto spesso la giovane madre si recava alla chiesa dedicata al Sacro Cuore vicino casa sua, portando il piccolo Plinio e sua sorella Rosée.
Fu qui, nel clima soprannaturale che caratterizzava questo tempio, che si formò nello spirito di Plinio quella visione della Chiesa che lo avrebbe segnato in profondità. “Compresi — egli ricorda — che l’origine del suo modo di essere stava nella sua devozione al Sacro Cuore di Gesù per mezzo della Madonna”.
Dall’amore materno alla devozione mariana
Plinio deve alla mamma anche l’esperienza dell’amore, che mai potrà essere sottovalutata: “Mamma era un’eccellente consolatrice. Quando ricorrevo a lei per qualche afflizione o problema,
“Mamma era un’autentica dama cattolica. Io scrutavo continuamente e con molta attenzione la sua bellissima anima, arrivando sempre alla stessa conclusione: era una signora cattolica! Ecco perché io la amavo con tanto slancio” 38 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
bastava sentire la sua voce vellutata, ‘Figlio, che cosa c’è?’, perché la metà del problema svanisse... L’affetto di mamma era coinvolgente. Quando ero piccolo a volte mi svegliavo durante la notte, solo per scorgere mamma seduta al mio fianco, che mi accarezzava facendo il segno della croce sulla mia fronte. Era come un balsamo profumato e rassicurante che mi faceva star bene. “Questo affetto non diminuiva mai, a prescindere dalle circostanze o dal suo stato di salute. Io sapevo di poter contare su di lei sempre e fino in fondo. Quando la Madonna mi diede la grazia di ascoltare la Salve Re-
gina per la prima volta, io capii mamma totalmente, e capii che il suo amore mi aveva avviato a quello, indescrivibilmente più alto, perfetto e celestiale, della Madre di Dio. Così nacque la mia devozione alla Madonna”.
Madre affettuosissima ma ferma
L’anima di donna Lucilia era caratterizzata da un’immensa capacità di affetto. “Ella possedeva un’enorme tenerezza — ricorda suo figlio — fu affettuosissima come figlia, affettuosissima come sorella, affettuosissima come sposa, affettuosissima come madre, come nonna e Plinio il giorno della Prima Comunione, nel 1917
L’avvocato João Paulo Corrêa de Oliveira e donna Lucilia Ribeiro dos Santos nel giorno del loro matrimonio, nel1906
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Lucilia Corrêa de Oliveira
perfino come bisnonna. Ella spinse il suo affetto fin dove le fu possibile. Ma ho l’impressione che in lei ci fosse una cosa che dava il tono a tutti questi affetti: il fatto di essere, soprattutto, madre!”.
Questa sua enorme tenerezza non era tuttavia né molle, né condiscendente. Veniva, anzi, completata da una nitida nozione dell’antagonismo fra bene e male, fra verità e errore, fra bellezza e bruttezza, e dal conseguente rigetto di tutto quanto è cattivo, sbagliato o turpe. Nel pronunciare la parola “demonio”, per esempio, donna Lucilia mostrava un tale disgusto che inculcava un naturale orrore nei confronti del nemico del genere umano. Commentava al riguardo il prof. Plinio Corrêa de Oliveira:
“C’era un aspetto in mia madre che apprezzavo molto: continuamente, e fino al profondo dell’anima, ella era una signora! Nei rapporti con i figli, manteneva una materna superiorità che mi faceva avvertire quanto male avrei fatto se avessi per caso trasgredito la sua autorità, e quanto un tale atteggiamento da parte mia le avrebbe causato tristezza, essendo al tempo stesso una brutalità e una malvagità. Signora ella lo era, poiché faceva prevalere il retto ordine in tutti i campi della vita.
“La sua autorità era soave. A volte mamma un po’ castigava. Ma perfino nel suo castigo o nel suo rimprovero, la dolcezza era così evidente che confortava la persona. Il rimprovero non escludeva la benevolenza. Mamma era sempre pronta ad ascoltare le giustificazioni dei figli. La bontà costituiva l’essenza della sua signorilità. Ossia era una superiorità esercitata per amore all’ordine gerarchico delle cose”.
“Lo sai Plinio, tu sei stato affidato a Dio prima di nascere. Perciò, con fede e amore nel Signore, non puoi che esserne felice” 40 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
La sua fu, dunque, un’educazione allo stesso tempo severa e dolce. A casa, non permetteva mai un cambio di orario per mero capriccio. Le sue giornate erano scandite da precise abitudini. Insisteva sempre nella regolarità delle preghiere la mattina, la sera e prima di ogni pasto. La sua meticolosità era tale che il dottor Plinio la chiamerà poi affettuosamente “Lady Perfection”.
Oltre a ciò, si pensi poi alla sua scrupolosità nell’osservare le maniere convenienti al proprio rango sociale.
Dama aristocratica
Donna Lucilia apparteneva infatti alla tradizionale classe dei “paulisti di quattrocento anni”, cioè discendenti dai fondatori o dai primi abitanti della città di San Paolo. Ella incarnava lo spirito migliore dell’antica aristocrazia paulista e il tratto aristocratico fu una costante della sua vita, insieme all’affabilità delle maniere. Questo tratto non aveva niente di mondano. Quando nel 1961 morì suo marito, l’avvocato João Paulo Corrêa de Oliveira, ella smise di portare gioielli. Interpellata dal figlio sulla ragione di questo gesto, rispose: “Una signora si adorna per lo sposo. Adesso non ne ho più motivo”.
Lo spirito aristocratico di donna Lucilia derivava dal suo intenso amore di Dio. La perfezione delle belle maniere è il frutto di un’ascesi che si può raggiungere solo con un notevole sforzo di virtù. L’uomo è fatto di anima e di corpo. La vita dell’anima è destinata a manifestarsi sensibilmente attraverso quella del corpo, la carità ad esprimersi con moti esterni di cortesia. La cortesia è un rito sociale alimentato dalla carità cristiana, anch’essa rivolta alla gloria di Dio.
“Uscì con maestà”. . .
“Uscì con maestà da una vita che seppe condurre con onore”
Tre fotografie di Donna Lucilia nel 1968, poche settimane prima della morte
Il 20 aprile 1968 donna Lucilia trascorse serena gli ultimi momenti di vita. Distesa sul letto, gli occhi chiusi, ella muoveva appena le labbra in una continua preghiera a Dio misericordioso. Sentendo arrivare l’ora suprema, alzò la mano destra e, con gesto delicato ma fermo, fece un grande segno della croce. Dopodiché incrociò le braccia sul petto e spirò soavemente. Avrebbe compiuto novantadue anni il giorno dopo. Un parente più tardi commentò: “Uscì con maestà da una vita che seppe condurre con onore”. Scrisse il dott. Plinio: “Dopo la sua morte non ci fu un giorno che non la ricordassi con indicibile tenerezza. Alla sua anima chiedo che mi assista fino alla morte con la sua bontà ineffabile. Spero di ritrovarla in Paradiso, alla corte luminosa delle anime che più hanno amato la Madonna”.
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Il mondo delle TFP
Messico: diffusione del Santo Rosario
M
éxico necesita de la Virgen, Messico ha bisogno della Madonna. Ecco il nome dell’iniziativa che si prefigge di distribuire diecimila Rosari nel Paese noto per la devozione alla Madonna di Guadalupe e per la guerra dei Cristeros. Giovani volontari hanno percorso le città del nord, a partire da Chihuahua, diffondendo in campagne pubbliche il foglietto illustrato qui a fianco, che offre una corona del Rosario alle persone che la richiedano. Al grido di “¡Por México, Viva Cristo Rey!”, i giovani volontari hanno preso contatto diretto col pubblico della strada, riscontrando un’accoglienza inaspettata. Sembra quasi che la pesante lastra della cultura laicista rivoluzionaria, che dal 1910 opprime il Messico, si stia finalmente spaccando. Le persone oggi hanno il coraggio di proclamare la propria Fede cattolica, ricordando che il Messico fu consacrato al Sacro Cuore di Gesù. Rinasce anche l’interesse per l’epopea cristera, raccontata perfino al cinema qualche anno fa.
Interessante, soprattutto, il contatto con i giovani, per cui attualmente sono in cantiere diversi incontri di apostolato, in Messico e negli Stati Uniti.
U
Perù: sul tetto del mondo
na delle attività che più successo sta riscuotendo in Perù sono i pellegrinaggi della Madonna di Fatima. Portata da volontari di Tradición y Acción por un Perù Mayor, la Madonna percorre non solo le grandi città ma anche i paesi più sperduti sulle Ande. Recentemente, il pellegrinaggio ha toccato diverse località del Titicaca, il lago navigabile più alto del mondo: ben 3850 metri sul livello del mare. Accolta dalle popolazioni in festa, la Madre di Dio ha donato loro una parola di sollievo e di speranza.
Sopra, la Madonna di Fatima sul lago Titicaca A dx., la campagna raggiunge anche le popolazioni indigene più isolate 42 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / GIUGNO 2018
Malta: in favore della vita
L
a sera di domenica 22 aprile si è svolta a La Valletta, capitale di Malta, una manifestazione di protesta contro le proposte del governo socialista per abolire la protezione legale agli embrioni, permettendo quindi il loro congelamento. Una folla ha accolto il richiamo dell’organizzazione promotrice, la Life Network Foundation, per esprimere la totale contrarietà dei cattolici maltesi a tale attentato contro la vita umana da parte del governo del Primo ministro socialista, Joseph Muscat. Presenti alla marcia i due vescovi dell’Isola, nonché molti sacerdoti e suore. La Società maltese per la Civiltà cristiana, Pro Malta Christiana, ha partecipato pienamente alla manifestazione con il proprio stendardo, e attraverso la diffusione di volantini ai manifestanti. La società rappresenta gli ideali delle TFP a Malta. La presenza del nostro stendardo ha suscitato moltissime espressioni di ammirazione e di stima.
Al termine della sfilata, è seguita la celebrazione della Santa Messa in rito romano antico nella chiesetta di San Paolo nella città di Birkirkara, nel corso della quale il canonico Nicholas Doublet ha benedetto lo stendardo di Pro Malta Christiana.
O
Germania: appello al ministro degli Interni
ggi, nessuna manifestazione in favore della vita può aver luogo in Germania senza che sia massicciamente disturbata, bloccata o persino prevenuta dai militanti abortisti. Invece di criticare tale clima di terrore, molti giornali lo promuovono. Non solo, spesso demonizzano pure le varie associazioni pro vita. Così si toglie il diritto di parola ai difensori della vita umana innocente, ledendo gravemente i loro diritti costituzionali.
Nel febbraio scorso, la campagna SOS Leben (SOS Vita) lanciata dalla TFP tedesca ha presentato una sottoscrizione al ministro degli Interni allora in carica, Thomas de Maizière, affinché mettesse fine a questo clima di terrore. Il documento ha ricevuto decine di migliaia di firme di adesione. SOS Leben attende ancora una risposta da parte del Ministero, che nel frattempo è passato nelle mani di Horst Seehofer.
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Il mondo delle TFP
Paesi Bassi: la radicale intolleranza dei campioni della tolleranza
A
fine maggio ero stato invitato dalla Fondazione Civitas Christiana (la TFP olandese) a dare alcune conferenze a Nimega. Il programma prevedeva una giornata di apostolato giovanile, con una dozzina di ragazzi, sul tema: “La sacralità della Civiltà cristiana”, e una mezza giornata di conferenze per una sessantina di simpatizzanti adulti, sul tema “Plinio Corrêa de Oliveira: il crociato
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del secolo XX”. Infatti, anche nel Paese dei tulipani sta crescendo l’interesse per questo grande leader cattolico contro-rivoluzionario.
Sabato pomeriggio, come parte del programma giovanile, siamo andati al centro di Nimega per realizzare una protesta contro un poster immorale diffuso nella città, che mostra due omosessuali mentre si baciano. Hugo Bos, direttore della TFP dei Paesi Bassi, aveva giustamente definito il poster “altamente sconveniente per la morale pubblica e, specialmente, diseducativo per i bambini”. La manifestazione consisteva nella distribuzione, in modo pacifico e legale, di un foglietto sollecitando le persone a firmare online una sottoscrizione di protesta.
Pochissimi minuti dopo l’inizio della campagna, ecco che arriva una caterva di militanti LGBT. Erano intorno a cento. Alcuni avevano il volto coperto da sciarpe, oppure indossavano caschi integrali. Erano evidentemente preparati per la guerriglia urbana. Inferociti, ci hanno subito aggredito fisicamente in modo piuttosto violento. Solo la nostra calma e superiorità morale, e soprattutto uno speciale
aiuto della Madonna, hanno impedito che la cosa degenerasse. La polizia ha poi arrestato diversi teppisti LGBT sui quali adesso pendono procedure penali per violenza fisica aggravata e resistenza a pubblico ufficiale. Gli energumeni ci hanno bombardato con palloncini ripieni di vernice e lanciato negli occhi polvere urticante e brillantina. Hanno stracciato tutti i nostri foglietti, strappandoli con forza dalle nostre mani e hanno cercato, senza riuscirci, di rubare anche i nostri striscioni. A un certo punto, abbiamo cominciato a pregare il Santo Rosario. Incuranti del carattere strettamente religioso dell’atto, i teppisti LGBT ci hanno strappato dalle mani i Rosari, rompendoli e deridendoli. L’odio alla Fede era evidente.
La Polizia, molto gentile e disponibile, ci ha protetto solo in parte. Anche loro avevano paura di essere poi processati per “atti omofobici”. Non è la prima volta che mi trovavo sulla piazza ad affrontare energumeni LGBT. Questa volta, però, ho avuto tempo di ponderare meglio alcune riflessioni.
1. Mi ha colpito il clima di terrore ideologico imposto dalla lobby LGBT in Olanda, Paese in teoria liberale e tollerante. Ben quattro tipografie si sono rifiutate di stampare i nostri foglietti, per paura delle rappresaglie. Alla fine, una piccola tipografia amica ha accettato l’incarico, ma di nascosto. Dov’è andata a finire la libertà di stampa? Ecco un elemento tipico delle dittature: il controllo della stampa. 2. La stessa Polizia ci ha detto di non poterci proteggere più di tanto, perché dovevano essere molto attenti a non incappare in qualche “reato di omofobia” che può comportare il licenziamento e anche un processo penale. Dov’è finito il diritto del cittadino a essere protetto dalle forze dell’ordine? Ecco un altro elemento tipico delle dittature: il controllo della Polizia.
morale. Noi presentavamo, in modo sereno, un punto di vista: quello della morale cattolica e del diritto naturale. L’intolleranza della dittatura LGBT, però, è radicale, totale, assoluta. Nessuno ha il diritto di manifestare un punto di vista diverso dal loro. Chi lo fa rischia, letteralmente, la pelle. Ecco un terzo elemento della dittatura: il controllo del pensiero con la forza bruta.
4. Quando, ormai senza foglietti, abbiamo cominciato a pregare il Santo Rosario, la furia degli LGBT ha raggiunto il parossismo. Non solo ci hanno strappato i Rosari dalle mani, ma ci hanno provocato sessualmente, praticando in nostra presenza atti lascivi, e perfino mettendoci le mani addosso, senza che noi potessimo reagire del tutto perché qualsiasi gesto deciso da parte nostra per scrollarci di dosso queste persone sarebbe stato ipso facto bollato come “violenza di genere”. La situazione era francamente sgradevole, anche per la possibilità che qualcuno di loro fosse infetto da AIDS. Ecco ancora un elemento della dittatura: la virtuale proibizione di praticare la propria religione, anche in campo morale. Stiamo camminando, in modo velocissimo, verso quella “dittatura del relativismo” denunciata da Papa Benedetto XVI. In Olanda, sono ormai riusciti a instaurare un clima di terrore ideologico. Spero che fatti come questi – frequenti anche nel nostro Paese – possano aprire gli occhi a tante persone sul pericolo che, nel nostro continente, si instauri una dittatura LGBT. (JL)
3. La nostra protesta, oltre a essere pacifica, era saldamente motivata sia dal punto di vista intellettuale che
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Il mondo delle TFP
Svizzera: Rosario pubblico a Basilea
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ulla Münster Platz, davanti alla Basler Münster, la cattedrale di Basilea, una volta cattolica e dedicata a Maria Santissima, oggi invece simbolo del protestantesimo elvetico, l’associazione Helvetia Christiana, consorella delle TFP, ha tenuto un Rosario pubblico per il rinnovamento morale della Svizzera (foto sopra). Alcuni amici si sono aggregati ai ragazzi della TFP nella recita della preghiera mariana, chiedendo a Dio per mezzo della Madonna che il Paese resista alle cattive tendenze del momento, tenendo lontane dai suoi confini l’agenda LGBT e altre infamie della cosiddetta “rivoluzione culturale”. Alla fine, il grido “Für die Schweiz! Tradition! Familie! Privateigentum!” ha chiuso in bellezza una serata carica di significati simbolici.
Irlanda: contro l’aborto
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n preparazione per il referendum che potrà decidere di depenalizzare l’aborto in Irlanda, l’Irish Society for Christian Civilisation, consorella delle TFP, sta realizzando una vasta campagna, che comprende “carovane”, come quella della fotografia, per impedire che l’Isola Verde soccomba a questo terribile male. (Foto: gli stendardi della TFP nel Flagstaff View Point, Newry)
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Campeggio estivo giovanile 2018
“Eroismo e Santità” Luogo: Glencomeragh, Co. Waterford, Irlanda Data: 2-9 luglio 2018 Per: ragazzi fino ai 18 anni Lingua: inglese, con traduzione simultanea all’italiano Programma: conferenze di spiritualità, storia e cultura; visite culturali; attività sportive e recreative; Santa Messa quotidiana; disponibilità di sacerdoti per la confessione Per informazioni: telefonare 348-3812471, oppure inviare una mail a info@atfp.it
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Beato Angelico: pittore del divino
di Plinio Corrêa de Oliveira
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l Beato Angelico è il miglior pittore degli angeli che io conosca. Egli rappresenta gli angeli in corpo umano come creature risplendenti di grazia. I suoi corpi angelici hanno una trasparenza, una freschezza, una bellezza che il corpo umano non ha. Sono creature senza peccato originale. Le sue figure superano il sesso. Hanno un’anima così pulita e onesta, che sono pronti a qualsiasi atto di virtù. Così forti che sono pronti a qualsiasi atto di governo. Così guerrieri che sono pronti a qualsiasi battaglia. E, allo stesso tempo, sono molto pacifici. Tutti i contrasti si ritrovano in una sintesi magnifica.
È evidente che Fra Angelico avesse un grande talento. Egli, però, fu chiamato dalla Provvidenza per una forma di produzione artistica in cui il semplice talento non bastava. Egli riuscì, come nessun altro, a dare una forma artistica al soprannaturale. Dipingere le cose naturali suppone talento. Riuscire, però, a cogliere il riflesso sottile, impalpabile, dell’azione della grazia nelle fisionomie, dipingere cioè la santità provocata dalla grazia, è qualcosa di straordinario. Ed è proprio ciò che il Beato Angelico fece.
Osservate i suoi angeli. È qualcosa di imponderabile, ma si direbbe che, non solo nella loro fisionomia, ma in tutto il loro portamento, e nei colori degli abiti, traspare una sorta di una purezza soprannaturale che non è la castità comune. Vi è qualcosa come un superiore equilibro dell’anima, una serenità, una pulizia interiore, che mostra una purezza trascendentale, che non è semplicemente la negazione dell’impurità, bensì la proclamazione della temperanza totale, con molta elevazione di spirito. Nel fondo dello sguardo di questi angeli si intravede un riflesso della grazia che nessun artista, nemmeno il più bravo, riuscirebbe a dipingere se non fosse egli stesso un santo. Nello sguardo di questi angeli vediamo un riflesso di Dio. Essi mi ricordano il brano conclusivo della Divina Commedia in cui, dopo aver raggiunto l’apice del Paradiso, Dante scorge nello sguardo della Madonna un barlume della luce divina.