Anno 22, n. 68 - Marzo 2016 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
Ancora per quanto tempo?
Innova signa et immuta mirabilia
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li storici li chiamano “periodi di discontinuità”. Sono situazioni storiche speciali in cui alcuni paradigmi – psicologici, culturali, politici, sociali – che sorreggevano lo Zeitgeist dell’epoca cominciano a sgretolarsi. Non è una semplice variazione superficiale, come potrebbe essere la sostituzione di un governo di centro-destra per uno di centro-sinistra, bensì un rovesciamento dei paradigmi, ovvero di quelle concezioni profonde, e a volte subcoscienti, che stanno alla base di tutte le nostre scelte. Gli ultimi mesi sono stati ricchi di eventi che stanno mettendo a dura prova alcuni paradigmi sui quali si è cercato di costruire la nuova Europa. Aggrediti dalla realtà molti europei si stanno domandando: ma siamo proprio sulla strada giusta?
Da oltre mezzo secolo si cerca di costruire un’Europa laica, che rinnega le sue radici cristiane in nome della modernità, salvo poi trovarsi inondata da immigranti, molti dei quali fanno della loro fede una bandiera, e se ne infischiano della modernità. Ciò rischia di mettere in crisi la laicità di questa Unione Europea che, di colpo, si ritrova sprovveduta di fronte a una religione ostile e in forte espansione. Sapranno gli europei cogliere il
momento e capire, come diceva il cardinale Biffi, che “solo la riscoperta del fatto cristiano potrà difendere l’Europa contro l’assalto dell’islam”? Siamo alle strette: o ridiventiamo cristiani, o corriamo il rischio di scomparire.
Da oltre mezzo secolo si cerca di costruire un’Europa senza frontiere interne, salvo poi scoprire che proprio tale apertura permette la libera circolazione di armi e di terroristi. Ciò mette in crisi le stesse fondamenta sulle quali poggia il trattato di Schengen. Sapranno i paesi europei cogliere il momento e capire che devono riappropriarsi della propria sovranità – per quanto arcaico possa sembrare il concetto – o rischiare di restare sguarniti di fronte al terrorismo islamista?
Da oltre mezzo secolo si cerca di costruire un’Europa multiculturale, salvo poi scoprire che, mentre più gli europei abiurano la propria cultura, tanto più quel vuoto viene riempito da culture fortemente identitarie, molto diverse e in alcuni casi ostili alla nostra. Tutti i modelli di “multiculturalismo” sono falliti. Sapranno gli europei cogliere il momento e capire che devono riappropriarsi con fierezza della propria cultura, elemento indispensabile, oltre alla Fede, per conservare la propria identità?
Forse siamo nel momento giusto per meditare su tutto ciò. Fra poco entreremo nella Settimana Santa. Nostro Signore Gesù Cristo morirà di nuovo per i nostri peccati e risorgerà al terzo giorno. Nel film The Passion, Mel Gibson pone sulle labbra del nostro Divino Salvatore, mentre si avvia agonizzante verso il calvario, le parole “Io faccio nuove tutte le cose!”, un riferimento al brano biblico Innova signa et immuta mirabilia (Ecc. 36, 6). Al quale segue: Excita furorem, et effunde iram. Tolle adversarium, et afflige inimicum (Risveglia lo sdegno e riversa l’ira, distruggi l’avversario e abbatti il nemico). E tutto rifiorisce.
Con la sua passione e morte, Nostro Signore Gesù Cristo ha cambiato la storia. Ha abbattuto il Nemico e aperto l’era della grazia. ChiediamoGli, per i meriti infiniti del suo Preziosissimo Sangue, che elargisca, per mezzo di Maria Santissima, quelle grazie specialissime che potranno far chiudere l’era presente e aprirne una nuova: quella del trionfo del Cuore Immacolato di Maria.
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Sommario Anno 22, n° 68, marzo 2016
Innova signa et immuta mirabilia Aborto e gender; Messa tradizionale; Chiesa anglicana Che Guevara, missionario di violenza Speciale: islam e immigrazione Dobbiamo accettare o rifiutare l’immigrazione? Che cosa è la tolleranza? È in gioco l’identità della Germania Corano e jihad La condizione della donna nell’islam Don Bosco spiega l’islam ai bambini Gerarchie giuste e necessarie Le preghiere di Plinio Corrêa de Oliveira Il mondo delle TFP Gesù muore sulla croce
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Copertina: Una tradizionale processione di Venerdì Santo in Puglia, come ce ne sono tante nella nostra Penisola. Per quanto tempo ancora potrà reggere la nostra cultura di fronte alla massiccia immigrazione islamica?
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 22, n. 68 marzo 2016 Dir. Resp. Julio Loredo
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Attualità
Arcivescovo Svjatoslav Ševčuk:
Aborto e gender uccidono la famiglia A mietere vittime in Ucraina non è solo la guerra nel Donbass. Altrettanto, anzi dieci volte peggio, fanno aborto e ideologia gender
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ell’omelia durante la festa della “Synaxis della Theotokos”, nell’ambito delle celebrazioni natalizie orientali, l’Arcivescovo Maggiore Svjatoslav Ševčuk, capo della Chiesa greco cattolica ucraina (foto sopra), ha attaccato duramente l’aborto e l’ideologia gender, fattori di distruzione della famiglia.
Infatti, nella patriarcale Cattedrale della Risurrezione di Cristo, a Kiev, il Prelato ha affermato: “I vescovi cattolici, di ambedue i riti, latino e orientale, hanno denunciato molto chiaramente in un recente documento, il nuovo pericolo che rischia di schiavizzare il popolo ucraino. Questo pericolo si chiama ideologia gender. Esiste più di un modo per uccidere la vita. Oggi, questa ideologia tenta di distruggere la famiglia, trasformandola in qualcosa che può essere costruita e decostruita a piacimento. Già papa Benedetto XVI aveva avvertito contro questa ideologia, affermando che essa distrugge le nazioni, demolendo il fondamento proprio della società. L’istituzione famigliare, infatti, è anteriore alla nazione e allo stato. “Nel Vangelo di oggi, abbiamo visto un re che uccide bambini innocenti: Erode. Quanti Erode nel mondo moderno! Questi nuovi Erode non solo ucci4 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
dono i bambini nascituri, ma continuano ad ucciderli anche dopo. Noi tutti piangiamo per le nostre vittime nel Donbass. Quanti morti per la guerra! Bisogna, però, dirlo e denunciarlo: in questi due anni, sono morti dieci volte più ucraini con l’aborto che con la guerra.
“Ecco ciò che dobbiamo ricordare durante le festività natalizie: la verità sulla vita, la verità sulla famiglia e la sua missione nel mondo moderno. La Natività di Cristo ci rivela una verità fondamentale sulla famiglia: la famiglia è l’unione fruttifera d’amore fra un uomo e una donna. Non esiste un altro modo di vivere insieme che si possa chiamare famiglia. E la missione di tale unione è di collaborare con Dio per procreare nuova vita. In questo modo le persone si uniscono nell’amore per ricevere i doni che Dio vorrà darci su questa terra. E il dono maggiore è quello della vita.
“La famiglia di Nazareth era già la cellula della Chiesa. È questo l’insegnamento dei Padri della Chiesa sin dall’inizio della cristianità. La tradizione ucraina chiama la Madonna ‘Porta della Misericordia’, perché attraverso di Lei è venuta la vita al mondo e con Essa la salvezza”. (Fonte: Department of Information, Ukrainian Greek-Catholic Church, 8 gennaio 2016)
Grande aumento della Messa tridentina negli Stati Uniti
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roprio nel Paese ritenuto da tanti un modello di modernità, la Messa tradizionale sta conoscendo un auge inaspettato.
Mai abolita, la Santa Messa detta tridentina o di S. Pio V, o più propriamente gregoriana poiché si fonda sulla forma promulgata da papa S. Gregorio Magno (590-604), ha avuto una fortuna sempre crescente, specialmente dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI, nel 2006, che faceva seguito al Motu Proprio Ecclesia Dei di Giovanni Paolo II, del 1984.
Oggi, sono più di cinquecento le Messe regolari celebrate nel rito tradizionale in altrettante chiese americane. Ben il 92% delle diocesi conta almeno una Messa tridentina. Questo, senza menzionare le Messe occasionali e quelle celebrate all’interno di istituti religiosi. Negli ultimi anni, 1.048 novelli sacerdoti hanno chiesto di poter celebrare la Messa nella forma straordinaria.
La chiesa anglicana verso l’estinzione?
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ustin Welby, arcivescovo di Canterbury e leader religioso della Chiesa d’Inghilterra, ha inviato una lettera ai vescovi anglicani di tutto il mondo nella quale parla di “situazione catastrofica”. La chiesa anglicana ha perso quasi ogni rilevanza nel Regno Unito, dove appena l’1,4% della popolazione frequenta il “servizio” domenicale. Una caduta del 66% rispetto al 1960.
“I nostri dati mostrano una prospettiva tetra. La Chiesa d’Inghilterra è a una sola generazione dall’estinzione”, aveva già ammonito il predecessore di Welby, Lord Carey. In soli due anni gli anglicani hanno perso 1,7 milioni di fedeli, mentre il numero dei musulmani è cresciuto di 900mila nello stesso periodo. Gli anglicani affiliati alla chiesa sono scesi dal 21% nel 2012 al 17%.
Al contrario, la religione cattolica, che rappresenta l’8%, rimane pressoché invariata, avendo perso appena il 2% dagli anni Ottanta. Questa tenuta si spiega anche per il crescente numero di conversioni dall’anglicanesimo alla Santa Chiesa Cattolica Romana. Mentre il 29% dei cattolici dichiara di non andare mai in chiesa, ben il 48% degli anglicani non visita mai i templi. Un motivo della perdita di fedeli è l’ordinazione di donne al sacerdozio e perfino all’episcopato
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I miti della Rivoluzione
Che Guevara, missionario di violenza
La nostra rivista ha già dedicato alcuni articoli a smascherare il surreale mito di Ernesto “Che” Guevara (*). Com’era il leader guerrigliero in realtà? In questo numero ne offriamo ai nostri lettori un vivido ritratto, descritto da chi lo ha conosciuto personalmente
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rentatré testimonianze dirette. Trentatré cubani che hanno conosciuto personalmente Ernesto Guevara de la Serna, detto “Che”, e sono sopravvissuti all’esperienza. Buona parte dei loro compagni non ha avuto la stessa sorte: sono stati fucilati dall’irascibile comandante, che non tollerava la minima avversità nei suoi confronti. Trentatré testimonianze raccolte, con cura, dal cubano Pedro Corzo nel libro «Che Guevara, missionario di violenza» (Spirali, Milano 2009). Ex prigioniero politico, l’autore, scrittore e giornalista, dirige oggi, a Miami, l’Instituto de la Memoria Histórica contra el Totalitarismo.
Aspetto personale sgradevole
L’aspetto personale del Che era molto sgradevole. “All’inizio la gente lo chiamava El Chancho, il Porco, perché non gli piaceva lavarsi. Non mi va di parlare di cose personali, ma quell’uomo aveva sempre addosso un odore di rognone fritto che spaccava il naso a chiunque”, ricorda il suo istruttore militare 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
in Messico, Miguel Sánchez, detto El Coreano. Per tale motivo, forse, fu sempre un solitario. Egli socializzava di rado. Oltre al suo temperamento misantropo, il fatto è che nessuno supportava il suo odore.
Nelle innumerevoli discussioni con i cubani – dei quali disprezzava la razza meticcia e ne scherniva l’accento caraibico – questi chiudevano la questione dicendogli: “Tu nemmeno ti lavi!”, come riferisce Jaime Costa, assaltatore del Cuartel Moncada, membro della spedizione del Granma, comandante dell’Ejército Rebelde. “Queste discussioni erano roba di ogni giorno. Era il suo carattere prepotente e sprezzante a suscitare l’antipatia della gente”. Originariamente, Guevara era soprannominato dai compagni proprio El Chancho, il Porco. Il nomignolo “Che” (gergo basso-popolare argentino per rivolgersi a un’altra persona), era il modo spregiativo con cui i cubani, stanchi delle ironie razziste di Guevara, gli rispondevano per le rime. Poi, alla fine, è rimasto legato al suo nome.
“Le caratteristiche del Che erano quelle di un uomo senza valori morali. Era ingiusto, crudele, non conosceva pietà. La sua vita a Cuba è costellata di tradimenti. La vera immagine di Ernesto Guevara è assolutamente il contrario di quella mostrata dalla propaganda. Tutto quello che dicono i sostenitori di Guevara è un’assoluta menzogna” Lázaro Asencio, comandante del Segundo Frente del Escambray
Carattere prepotente e pieno di odio
Tutti i testimoni concordano nel descrivere il suo carattere come arrogante, prepotente e pieno di odio.
“Credo che Guevara fosse caratterizzato da un atteggiamento prepotente, arrogante e sprezzante. Odiava tanto, anzi secondo me sapeva solo odiare. Provava molto disprezzo nei confronti del popolo cubano. Era un uomo di odio, di risentimento, di vendetta e anche di basse passioni”, dichiara un suo ex commilitone, Armando Fleites, fondatore e capo del Segundo Frente Nacional del Escambray, cioè della guerriglia nel centro dell’isola, nonché comandante capo dell’Ejército Rebelde.
La pensa in modo identico Lázaro Asencio, anch’egli capo del Segundo Frente: “Le peggiori caratteristiche del Che sono presenti in tutti e in ciascuno dei suoi gesti. Anche nella vita privata, le
caratteristiche del Che erano quelle di un uomo senza valori morali, anzi era un amorale, totalmente amorale. (…) Guevara era un guerrafondaio, ingiusto, crudele, non conosceva pietà. La sua vita a Cuba è costellata di tradimenti. (…) La vera immagine di Ernesto Guevara è assolutamente il contrario di quella mostrata dalla propaganda. Tutto quello che dicono i sostenitori di Guevara è un’assoluta menzogna”. Non diversamente racconta Orlando de Cárdenas, giornalista, amico personale di Fidel Castro, collaboratore del Movimiento 26 Julio: “Il suo modo di fare con gli altri era molto brusco, molto rude. Era un tipo assolutamente asciutto, freddo, senza sentimenti. Era dispotico e insolente fino alla villania”.
Un commilitone di Che Guevara, Lázaro Guerra, non lesina parole denigratorie: “Era una perfetta canaglia, un criminale, un codardo”. Negli in-
“Credo che Guevara fosse caratterizzato da un atteggiamento prepotente, arrogante e sprezzante. Odiava tanto, anzi secondo me sapeva solo odiare. Provava molto disprezzo nei confronti del popolo cubano. Era un uomo di odio, di risentimento, di vendetta e anche di basse passioni”
Armando Fleites, fondatore e capo della guerriglia del Escambray, comandante capo dell’Ejército Rebelde
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I miti della Rivoluzione
conta il suo principale biografo, il cubano Enrique Ros.
Fu la sua prima moglie, la peruviana Hilda Gadea, militante comunista, a indottrinarlo sul marxismo-leninismo. Fu pure Gadea a presentargli, in Messico, il rivoluzionario cubano Antonio López, detto Ñico, che lo introdusse nel gruppo di Fidel Castro, che allora cospirava contro il presidente cubano Fulgencio Batista, addestrandosi alla guerriglia in una proprietà rurale.
contri sociali cui il Che partecipava insieme a Fidel Castro, era frequente sentire il commento degli altri invitati: “Ma guarda che carogna si è portato qui Fidel!”. Usa toni identici un altro suo compagno nella guerriglia della Sierra Maestra, Agustín Alles Soberón: “Era un tipo freddo e arrogante, uno psicopatico. (…) Una volta scrisse ‘Odio la civiltà!’”.
Indifferente ai problemi sociali dell’America Latina
L’immagine dell’idealista, addolorato per i problemi sociali dell’America Latina, e quindi impegnato nelle lotte liberatrici per risolverli, si infrange davanti al fatto che, nei suoi innumerevoli giri per il Continente negli anni Cinquanta, sui quali scrisse numerosi Diari, Ernesto Guevara mai menzionò una sola situazione sociale o politica che gli destasse preoccupazione. Voleva solo “fare la vita da milionario”, come scrisse in una lettera al padre. Mentre era in Guatemala nel 1954, esplose la rivoluzione di Castillo Armas. Guardando i combattimenti dalla finestra ebbe questa reazione, raccontata a una zia: “Me la faccio sotto delle risate nel vedere la gente che scappa sotto le bombette lanciate da questi aerei”.
L’assalto al Cuartel Moncada in Santiago de Cuba, il 26 luglio 1953, punto di partenza ideale della Revolución, che produsse titoli cubitali in tutta America Latina, non trovò nessuna eco nelle lettere né nei Diari del Che. “Guevara in gioventù non ha mai avuto nessuna preoccupazione di carattere sociale. Era un tipo indifferente, un bohémien che non si interessava ai problemi del suo paese né dell’America Latina. (…) Era solo un turista spensierato”, rac8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Il Che, racconta Miguel Sánchez, l’istruttore militare del futuro gruppo guerrigliero, “era un avventuriero che il destino aveva portato in Messico. A leggere la sua biografia ci si rende conto che partecipò alla spedizione del Granma [lo yacht che portò i guerriglieri a Cuba] per puro miracolo. (…) Sono convinto che nemmeno lui sapesse perché si fosse messo in quel pasticcio”. Un motivo, però, c’era, e lo rivelò alla moglie Hilda: “Sono assetato di sangue!”.
Crudele con gli animali
Miguel Sánchez riferisce anche di un aspetto poco conosciuto della personalità di Che Guevara: la sua crudeltà con gli animali. Mentre era in Messico, egli usava acchiappare gatti randagi con grandi reti e, dopo averli martoriati con lo scalpello, li sbatteva per terra fino a ucciderli: “Era una cosa orrenda, una crudeltà che non avevo mai visto. Vedendo ciò, non ebbi più dubbi sulla sua crudeltà e sul suo sadismo. Era una persona priva di compassione. Prima sfogò i suoi istinti criminali sui poveri animali, poi sappiamo tutti le storie delle cose che fece a Cuba. (…) Aveva istinti psicopatici”.
Il primo crimine
Sbarcato a Cuba, non ci mise molto a commettere il suo primo delitto: l’assassinio di Eutimio Guerra. Mentre il Consiglio discuteva se giustiziare o no questo contadino, accusato di tradimento, il Che estrasse la pistola e gli sparò un colpo in testa: “Da quel momento, io non ero più il medico della spedizione, ora ero diventato un rivoluzionario”, scrisse nel suo Diario. Commenta a proposito Enrique Ros: “Il Che è diventato un rivoluzionario perché ha commesso un omicidio a sangue freddo. Non per le sue idee o per le sue imprese, ma solo perché ha ammazzato un altro essere umano”.
Questo fu solo l’inizio di una lunghissima serie di assassinii a sangue freddo. “Lui ammazzava la gente senza scomporsi, come se fosse una cosa senza
A dx., la guerriglia del Escambray: fu decimata da Fidel Castro per le sue posizioni anticomuniste, e perché faceva ombra alla guerriglia della Sierra Maestra Al centro, Jesús Carreras
molta importanza”, racconta il suo compagno, comandante Jaime Costa.
Un testimone dell’assassinio di Eutimio Guerra, il comandante Roberto Bismarck, opina: “Il Che non è mai stato altro che un assassino, un ipocrita e uno sfaticato”.
Il massacro di Santa Clara
Resterà nella storia, per esempio, il massacro di Santa Clara.
Anticipandosi alla seconda colonna, guidata dal comandante Camilo Cienfuegos, Che Guevara conquistò la città di Santa Clara, nel cuore dell’isola. Senza aspettare ordini superiori, cominciò a uccidere militari e civili senza dar loro la possibilità di difendersi. Racconta Jaime Costa: “Senza procedere a nessun interrogatorio, [Che] cominciò ad ammazzare tutti. Le prime non erano fucilazioni, ma vere e proprie esecuzioni alla cinese, con un colpo alla nuca”.
Una volta arrivato, Cienfuegos si rese conto di ciò che stava accadendo ed esclamò: “Questo è un bagno di sangue! Ci sono un mucchio di morti! Dove sono le carte dei processi?”. Le carte, ovviamente, non c’erano.
Il boia di La Cabaña
Dopo il trionfo della Revolución, Che Guevara fu nominato procuratore del Tribunale rivoluzionario in stanza nella prigione La Cabaña, chiamato Comisión Depuradora, una sorta di Norimberga non solo contro gli oppositori di Fidel Castro, ma anche contro chi potesse fargli ombra. Fu qui che il Che commise la maggior parte dei suoi crimini.
“Era un uomo sempre disposto ad ammazzare. Non faceva domande né processi, semplicemente era disposto a togliere la vita a chiunque”, racconta Lázaro Guerra, un suo commilitone. Fu proprio alla Ca-
baña che Guevara coniò la massima “Nel dubbio, ammazzalo!”. Scrive José Vilasuso, pubblico ministero della Comisión Depuradora: “Le fucilazioni erano tanto frequenti, che la pulizia non poteva essere mai sufficiente. Restavano sempre pozze di sangue”.
L’avvocato Napoleón Vilaboa, membro della Comisión Depuradora, racconta: “Le sentenze erano dettate prima che il processo iniziasse. Prima del processo si sapeva già quali condanne sarebbero state pronunciate. Guevara segnalava personalmente con una matita o una penna le persone che sarebbero state fucilate”. Difficilmente gli imputati trovavano un avvocato difensore, i pochi che si azzardavano ad assumere tale ruolo venivano a loro volta accusati di “complicità”, e quindi processati e fucilati. I testimoni parlano di almeno 800 fucilazioni nel breve periodo (1959-1960) in cui Che fece da procuratore del tribunale rivoluzionario.
L’uccisione di Jesús Carreras
Uno degli episodi più bui nella vita di Che Guevara è l’uccisione del comandante Jesús Carreras. Tra i fondatori del movimento rivoluzionario a Cuba, Carreras comandava il Segundo Frente Nacional de Escambray, cioè la guerriglia nel centro dell’isola, strategicamente più importante di quella comandata da Fidel Castro sulla Sierra Maestra, cosa che il Líder Máximo non poteva tollerare. Inviò, quindi, Che Guevara ad operare anche in quella zona, cosa che Carreras, militare molto superiore, impedì. L’argentino se la legò al dito.
Dopo il trionfo della Revolución, Che Guevara fece arrestare Carreras e il suo aiutante, il comandante americano William Morgan. Dopo un processo farsa, furono entrambi fucilati. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 9
I miti della Rivoluzione
Pessimo leader
Che Guevara non fu mai un buon leader guerrigliero. Anzi, era un incompetente. Ricorda Miguel Sánchez: “El Chancho non aveva la minima capacità organizzativa. (…) Tutti i progetti cui partecipò finirono in un fallimento. Ha fallito come marito, come padre di famiglia, come guerrigliero e anche come rivoluzionario. (..) Era un incompetente in tutto quello che intraprendeva. (…) Era un ignorante in questioni militari”. Che Guevara era consapevole di questa inefficienza. “Io di guerra non so niente – ammise una volta al comandante Huber Matos – io mi sono battuto, ma ho anche dovuto correre parecchio e darmela a gambe”. Tutto nel Che è menzogna, perfino il suo famoso Diario, in realtà rimaneggiato postmortem da Fidel Castro e quindi adulterato
L’avventura militare nella Repubblica Dominicana, nel 1959, fu un disastro. Quasi tutti i suoi uomini furono uccisi dall’esercito di Rafael Leónidas Trujillo. Egli stesso dovette essere messo in salvo in fretta e furia.
La sua spedizione nel Congo, nel 1965, finì pure in catastrofe. Fu “una specie di manuale della sconfitta, un manuale di tutto ciò che non si deve fare”, come espone il suo biografo Enrique Ros. Guevara fallì anche in Bolivia, dove trovò la morte nel 1969. Il suo movimento non ebbe mai l’appoggio dei contadini. Conclude Ros: “Nelle sue guerre, Che commise tutti gli errori che un guerrigliero può commettere”.
Il Diario adulterato
Tutto nel Che è menzogna, perfino il suo famoso Diario in Bolivia. I manoscritti furono, infatti, portati a La Havana e redatti di nuovo, agli ordini di Fidel Castro. “Quando venne pubblicato – ricorda Huber Matos – Fidel ci mise quello che gli interessava e tolse quello che avrebbe potuto nuocergli. Il Diaro del Che è una storia adulterata”.
La fabbricazione del mito
Diversi testimoni sollevano un quesito assai inquietante: a metà degli anni Sessanta, Ernesto Che Guevara era diventato una presenza ingombrante in Cuba. Lo stesso Fidel Castro voleva sbarazzarsene. Perciò lo inviò in Bolivia, senza il minimo appoggio logistico, verso una morte sicura. “Fu una bidonata per togliersi il Che di torno. Non ho il minimo dubbio”, afferma Huber Matos. Morto il personaggio, se ne fece un mito, poi manipolato con scaltrezza per l’avanzamento della rivoluzione comunista nel mondo intero. Si lamenta Orlando de Cárdenas, già collaboratore intimo di Fidel Castro: “Si è svolta una campagna per trasformarlo in una specie di mito. La sua morte prematura, le condizioni in cui morì hanno favorito l’immagine che si vuole dare di lui. Ma noi che lo abbiamo conosciuto, ben sappiamo che lo hanno totalmente trasformato”. “Si è data un’altra immagine del Che, un’immagine lontanissima dalla realtà di quello che fu quest’uomo”, conclude Agustín Alles Soberón, che lo conobbe intimamente sulla Sierra Maestra.
* Che Guevara, il mostro dietro il mito, “Tradizione Famiglia Proprietà”, marzo 2012. 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Speciale: islam e immigrazione
Islam e immigrazione Dov’è il limite alla tolleranza?
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Speciale: islam e immigrazione
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I limiti alla tolleranza
i sono sempre meravigliato che la sinistra laicista, portata a strillare al minimo accenno di influenza cattolica sulla vita pubblica dei nostri paesi, favorisca invece l’immigrazione musulmana, proprio nel momento in cui l’islam sta vivendo un periodo di grande esaltazione religiosa. Ne è esempio la Spagna di Zapatero: mentre si cercava di restringere fino quasi a eliminarla l’ora di religione cattolica nelle scuole, si stabiliva invece l’ora di religione musulmana.
Questa sinistra non è, dunque, laica né laicista. È anticattolica. Prova per la civiltà cristiana europea quell’“odio patologico” denunciato da Benedetto XVI. Vuole distruggerla e, pur di raggiungere lo scopo, è disposta a suicidarsi portando in Europa il credo islamista. Questo odio patologico è condiviso anche da una certa sinistra cattolica che, sbandierando l’“accoglienza”, è disposta a inondare il nostro continente di masse eterogenee che rischiano di deturparne la fisionomia e distruggerne le radici. Senza curarsi che ciò potrebbe significare la scomparsa della Santa Chiesa cattolica, come sta succedendo nel Medio Oriente. È ovvio che vi sono alcuni immigranti legittimi, bisognosi di accoglienza. Ma è altrettanto ovvio che un certo islam sta approfittando delle porte aperte per penetrare l’Europa.
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La stragrande maggioranza degli europei, ottimisti e spensierati, guardava questo processo con gli occhi assonnati di chi non vuole grane: purché io possa godermi ancora un po’ questa bella vita… Nemmeno l’afflusso sproporzionato di rifugiati mediorientali durante l’estate 2015 era riuscito a svegliarli dallo splendido sonno.
Tutto ciò si è frantumato la notte di Capodanno, quando migliaia di giovani di origine musulmana hanno sistematicamente molestato ragazze in diverse città tedesche, con atteggiamenti arroganti di chi sa di poter contare sull’impunità. Di colpo, l’immigrazione ha mostrato il suo volto peggiore.
Rivelando profondissime crepe nell’anima europea, che pochi pensavano potessero esistere, ciò ha innescato un ripensamento a tutto campo: mentre le sfere politiche si interrogano sul futuro del Trattato di Schengen e parlano di alzare muri ai confini, in campo cattolico ci si comincia a interrogare sui limiti della tolleranza e dell’accoglienza. È come se, di colpo, ce ne fossimo accorti che il pericolo non è più alle porte ma nel cortile di casa.
Nel 1683 i turchi dovettero arrivare fino alle mura di Vienna, capitale dell’Impero e porta d’ingresso all’Europa occidentale, perché gli europei si decidessero finalmente a reagire. Fin dove dovrà arrivare oggi la minaccia islamista perché l’Europa si desti? (JL)
Agosto 2015: immigranti medio orientali tentano di entrare in Ungheria
Dobbiamo accettare o rifiutare l’immigrazione?
Qualche utile riflessione di S. Tommaso d’Aquino
di John Horvat II
La morale cattolica ci obbliga di accogliere, sempre e comunque, gli immigranti? Oppure, ci sono casi in cui esiste l’obbligo morale di respingerli? L’autore ci riporta una voce autorevole, vecchia di otto secoli, eppure perfettamente attuale
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l problema dell’immigrazione non è nuovo. Se n’era già occupato nel secolo XIII S. Tommaso d’Aquino nella sua celebre Summa Theologica (I-II, Q. 105, Art. 3). Ispirandosi agli insegnamenti delle Sacre Scritture, relativi al popolo ebreo, il Dottor Angelico stabilisce con chiarezza quali siano i limiti dell’accoglienza agli stranieri. Forse possiamo trarne qualche lezione. S. Tommaso: “Con gli stranieri ci possono essere due tipi di rapporti: l’uno di pace, l’altro di guerra. E rispetto all’uno e all’altro la legge contiene giusti precetti”.
S. Tommaso afferma, dunque, che non tutti gli immigrati sono uguali, perché i rapporti con gli stranieri non sono tutti uguagli: alcuni sono pacifici, altri conflittuali. Ogni nazione ha il diritto di decidere quale tipo di immigrazione può essere ritenuta pacifica, quindi benefica per il bene comune; e quale invece ostile, e quindi nociva. Come misura di legittima difesa, uno Stato può rigettare elementi che ritenga nocivi al bene comune della nazione.
Un secondo punto è il riferimento alla legge, sia divina sia umana. Uno Stato ha il diritto di applicare le proprie leggi giuste. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 13
Speciale: islam e immigrazione Per S. Tommaso, non tutte le immigrazioni sono benefiche. Un’immigrazione sproporzionata, che non abbia come meta l’integrazione, può distruggere gli elementi di unità psicologica e culturale della società, attentando contro il bene comune
In terzo luogo, S. Tommaso menziona coloro che vogliono stabilirsi nel paese. E qui il Dottor Angelico pone una prima condizione per accettarli: il desiderio di integrarsi perfettamente nella vita e nella cultura della nazione ospitante.
L’Angelico passa poi all’analisi dell’immigrazione “pacifica”.
S. Tommaso: “Infatti gli ebrei avevano tre occasioni per comunicare in modo pacifico con gli stranieri. Primo, quando gli stranieri passavano per il loro territorio come viandanti. Secondo, quando venivano ad abitare nella loro terra come forestieri. E sia nell’un caso come nell’altro la legge imponeva precetti di misericordia; infatti nell’Esodo si dice: ‘Non affliggere lo straniero’; e ancora: ‘Non darai molestia al forestiero’”.
Qui S. Tommaso riconosce che ci possano essere stranieri che, in modo pacifico e quindi benefico, vogliano visitare un altro paese, oppure soggiornarvi per un certo periodo. Tali stranieri devono essere trattati con carità, rispetto e cortesia, cosa richiesta ad ogni uomo di buona volontà. In tali casi, la legge deve proteggere questi stranieri da qualsiasi sopraffazione. S. Tommaso: “Terzo, quando degli stranieri volevano passare totalmente nella loro collettività e nel loro rito. In tal caso si procedeva con un certo ordine. Infatti non si riceveva subito come compatrioti: del resto anche presso alcuni gentili era stabilito, come riferisce il Filosofo, che non venissero considerati cittadini, se non quelli che lo fossero stati a cominciare dal nonno, o dal bisnonno”. 14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Una seconda condizione è che l’accoglienza non sia immediata. L’integrazione è un processo che richiede tempo. Le persone devono adattarsi alla nuova cultura. L’Angelico cita anche Aristotele, il quale afferma che tale processo può richiedere due o tre generazioni. S. Tommaso non stabilisce un tempo ideale, affermando soltanto che esso può essere lungo. S. Tommaso: “E questo perché, ammettendo degli stranieri a trattare i negozi della nazione, potevano sorgere molti pericoli; poiché gli stranieri, non avendo ancora un amore ben consolidato al bene pubblico, avrebbero potuto attentare contro la nazione”.
L’insegnamento di S. Tommaso, fondato sul senso comune, suona oggi politicamente scorretto. Eppure, è perfettamente logico. L’Angelico evidenzia che vivere in un’altra nazione è cosa molto complessa. Ci vuole tempo per conoscere gli usi e la mentalità del paese e, quindi, per capire i suoi problemi. Solo quelli che vi abitano da molto tempo, facendo ormai parte della cultura del paese, a stretto contatto con la sua storia, sono in grado di giudicare meglio le decisioni a lungo termine che convengano al bene comune. È dannoso e ingiusto mettere il futuro del paese nelle mani di chi è appena arrivato. Anche senza colpa, costui spesso non è in grado di capire fino in fondo cosa stia succedendo, o cosa sia successo, nel Paese che ha scelto come nuova patria. E questo può avere conseguenze nefaste. Illustrando questo punto, S. Tommaso nota come gli ebrei non trattavano tutti i popoli in modo uguale. Vi erano nazioni più vicine e, quindi, più facilmente assimilabili. Altre, invece, erano più lontane o addirittura ostili. Alcuni popoli ritenuti ostili
non potevano essere accettati in Israele, vista appunto la loro inimicizia.
S. Tommaso: “Ecco perché la legge stabiliva che si potessero ricevere nella convivenza del popolo alla terza generazione alcuni dei gentili che avevano una certa affinità con gli ebrei: cioè gli egiziani, presso i quali gli ebrei erano nati e cresciuti, e gli idumei, figli di Esaù fratello di Giacobbe. Invece alcuni, come gli ammoniti e i moabiti, non potevano essere mai accolti, perché li avevano trattati in maniera ostile. Gli amaleciti, poi, che più li avevano avversati, e con i quali non avevano nessun contatto di parentela, erano considerati come nemici perpetui”. Le regole, però, non devono essere rigide, possono ammettere eccezioni:
S. Tommaso: “Tuttavia qualcuno poteva essere ammesso nella civile convivenza del popolo con una dispensa, per qualche atto particolare di virtù: si legge infatti nel libro di Giuditta, che Achior, comandante degli Ammoniti, ‘fu aggregato al popolo d’Israele, egli e tutta la discendenza della sua stirpe’- Così avvenne per la moabita Rut, che era ‘una donna virtuosa’”.
responsabilità per il bene comune, partecipando alla vita politica, economica, sociale, culturale e religiosa. Diventando un cittadino, l’immigrante passa a essere membro di una vasta famiglia, con un’anima comune, con una storia e un futuro comune, e non soltanto una sorta di azionista in un’azienda, al quale interessano appena il profitto e i benefici. Poi S. Tommaso insegna che l’immigrazione deve avere sempre in mente il bene comune: essa non può sopraffare o distruggere la nazione.
Ciò spiega perché tanti europei provano una sensazione di sconforto e di apprensione di fronte alle massicce e sproporzionate immigrazioni di questi ultimi anni. Un tale flusso di stranieri, provenienti da culture molto lontane e perfino ostili, introduce situazioni che distruggono gli elementi Un Paese deve di unità psicologica e culturale della nazione, distruggendo perciò la stessa usare giustizia e capacità della società di assorbire orcarità nel trattare ganicamente nuovi elementi. In quegli immigranti. sto caso, si sta chiaramente attentando Soprattutto, però, contro il bene comune.
deve salvaguardare la concordia e il bene comune, senza i quali un Paese non può durare a lungo
È possibile, dunque, ammettere eccezioni, secondo le concrete circostanze. Tali eccezioni, tuttavia, non sono arbitrarie, hanno bensì sempre in vista il bene comune della nazione. Il generale Achior, per esempio, rischiando la propria vita, era intervenuto presso Oloferne in favore degli ebrei, guadagnandosi in questo modo la loro eterna gratitudine, nonostante la sua origine ammonita. * * *
Ecco alcuni principi in tema di immigrazione enunciati da S. Tommaso d’Aquino, sette secoli orsono. Dai suoi insegnamenti si desume con chiarezza che qualsiasi analisi sull’immigrazione deve essere guidata da due idee-chiave: l’integrità della nazione e il suo bene comune. L’immigrazione deve avere sempre come scopo l’integrazione, non la disintegrazione o la segregazione, cioè la creazione di piccole “nazioni” contrastanti all’interno del Paese. Oltre a godere dei benefici offertigli dalla sua nuova Patria, l’immigrante deve assumerne anche gli oneri, cioè la piena
Aspetto secondario ma molto importante: quello economico. In mezzo alla più grave crisi economica degli ultimi decenni, l’Europa si può permettere di prendere in carico milioni di immigrati senza ledere il bene comune dei suoi cittadini?
L’immigrazione organica e proporzionata è sempre stata un fattore di sanità e di forza per la società, introducendovi nuova vita e nuovi talenti. Quando, però, diventa sproporzionata e incontrollata, mettendo in pericolo le fondamenta della società e dello Stato, allora diventa pregiudizievole per il bene comune.
Ciò sopratutto quando si tratta di immigrazione, almeno potenzialmente, ostile, secondo le categorie proposte da S. Tommaso. È il caso, per esempio, dei musulmani, rappresentanti di popoli che per secoli sono stati in guerra con l’Europa, cercando la sua distruzione.
Farebbe bene l’Europa a seguire i saggi insegnamenti del Dottor Angelico. Un Paese deve usare giustizia e carità nel trattare gli immigrati. Soprattutto, però, deve salvaguardare la concordia e il bene comune, senza i quali un Paese non può durare a lungo. Questo per non parlare della Fede cristiana, il più profondo elemento fondante della nostra civiltà. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 15
Speciale: islam e immigrazione
C h e c os a è l a t ol le r a n z a ?
di Plinio Corrêa de Oliveira
I
Oggi, il termine “tolleranza” è usato in senso esclusivamente elogiativo, come anche i suoi derivati “accoglienza”, “fratellanza”, “misericordia” e via dicendo. La tolleranza è sempre un bene? Oppure vi sono casi in cui è un male, e può costituire perfino un crimine?
n tema di tolleranza, la confusione, oggi, è talmente grande che, prima di entrare nel merito della questione, mi sembra conveniente chiarire il termine. Che cosa è esattamente la tolleranza?
Immaginate la situazione di un uomo che ha due figli. Uno ha principi solidi e volontà ferma, l’altro ha principi indecisi e volontà vacillante. Nel luogo dove la famiglia sta trascorrendo le vacanze estive è di passaggio un insegnante che potrebbe impartire ai ragazzi lezioni scolastiche straordinariamente utili per entrambi. Il padre vuole che i suoi figli approfittino dell’occasione, ma è anche consapevole che ciò implicherebbe privarli di alcune gite, a cui tengono tanto. Calcolati i pro e i contro, egli arriva a una con16 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
clusione: è meglio che i figli rinuncino a qualche svago, perfettamente legittimo, piuttosto che perdere una rara opportunità di svilupparsi intellettualmente. Comunica, quindi, ai due figli la sua decisione: dovranno assistere alle lezioni dell’insegnante. Dopo un momento di riluttanza, il primo figlio accetta la volontà del genitore. L’altro, invece, brontola, si agita, supplica il padre di non imporgli questo dovere. Egli è talmente irritato da far temere un movimento di rivolta.
Di fronte a ciò, il padre mantiene la sua decisione per quanto riguarda il buon figlio. Considerando, invece, quanto costa al figlio mediocre lo sforzo intellettuale, e volendo evitare qualsiasi occasione di attrito che possa incrinare i rapporti famigliari, preferisce salvaguardare la pace domestica e
La tolleranza è un tipo di assenso dato senza approvazione, e perfino con certo sdegno sceglie di non insistere, sollevando quindi il secondo figlio dall’obbligo di seguire le lezioni. Nei confronti del figlio mediocre e tiepido, il padre acconsentì a malavoglia. Il suo permesso non è affatto un’approvazione. Anzi, gli è stato quasi estorto con la forza. Per evitare un male (la tensione con il figlio), egli ha acconsentito a un bene minore (le gite vacanziere), rinunciando al bene maggiore (le lezioni). È questo tipo di assenso, dato senza approvazione e perfino con certo sdegno, che si chiama tolleranza.
A volte la tolleranza è un assenso dato, non a un bene minore per evitare un male, bensì a un male minore per evitarne uno maggiore. Sarebbe il caso di un padre che, avendo un figlio pieno di vizi, nell’impossibilità di combatterli tutti allo stesso tempo, sceglie di combatterne uno per volta, chiudendo temporaneamente un occhio sugli altri. Questa tolleranza nei confronti di alcuni vizi è un assenso dato con profondo sdegno, allo scopo di evitare un male maggiore e per permettere la graduale conversione del figlio. Questo è tipicamente un atteggiamento di tolleranza. * * *
La tolleranza può essere praticata solo in situazioni anomale. Se non ci fossero i figli cattivi, non ci sarebbe bisogno di tolleranza da parte dei genitori. Così, in una famiglia, più i membri saranno costretti a praticare la tolleranza tra loro, più la situazione sarà anomala.
Ciò è di prima evidenza, per esempio, nel caso di un esercito o di un ordine religioso in cui i capi o i superiori siano costretti a usare una tolleranza illimitata nei confronti dei loro subordinati. Un tal esercito non è in grado di vincere battaglie. Un tale ordine non è in ascesa spirituale verso le vette della perfezione cristiana.
In altre parole, la tolleranza può essere una virtù. Però, è la virtù caratteristica delle situazioni anormali, traballanti, difficili. Potrebbe essere una virtù nei cattolici fervorosi, ma solo in epoche di desolazione, decadenza spirituale e rovina della civiltà cristiana.
Ecco perché la tolleranza è così frequente in questo nostro secolo di crisi e di catastrofi. In ogni momento, il cattolico odierno è nella contingenza di dover tollerare qualcosa: sul tram, per strada, nel posto di lavoro o di villeggiatura, ecc. Ovunque egli trova situazioni peccaminose che gli provocano un urlo interno di indignazione, che egli deve dissimulare per evitare un male maggiore. In tempi normali, tale urlo sarebbe un dovere morale, dettato dall’onore e dalla coerenza.
Per inciso, è curioso rilevare la contraddizione in cui cadono gli adoratori di questo secolo. Da una parte, esaltano le sue qualità fino alle stelle mentre silenziano i suoi difetti. Dall’altra, non cessano di biasimare i cattolici intolleranti, supplicandoli di mostrare tolleranza nei confronti del secolo. E non si stancano di proclamare che questa tolleranza deve essere costante, totale, estrema. Non si rendono conto della contraddizione in cui cadono. Se la tolleranza si esercita, per definizione, nei confronti di un’anomalia, nel proclamare la necessità di molta tolleranza nei confronti di questo secolo, affermano l’esistenza di molte anomalie. * * *
Alla luce di queste considerazioni, è facile vedere quanto sia errato e fuorviante il discorso sulla tolleranza oggi.
Di solito, oggi, si dà a questa parola un senso elogiativo. Quando diciamo che qualcuno è “tollerante”, affermiamo implicitamente che è una persona di grande anima, cuore generoso, larghe vedute, disinteressata, comprensiva, simpatica, giudiziosa, beTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 17
Speciale: islam e immigrazione
Non si tratta di sapere se dobbiamo essere tolleranti o intolleranti, come norma. Si tratta, piuttosto, di chiederci quando dobbiamo essere l’uno o l’altro. Questo è così ovvio che sembra quasi superfluo ricordarlo. Tuttavia, in pratica, quante volte è necessario ricordare questo principio!
Così, ad esempio, con il pretesto di riscuotere la loro simpatia, nessuno ha il diritto di essere tollerante nei confronti di amici che vestono in modo immorale, hanno una vita dissoluta, vantano atteggiamenti licenziosi o frivoli, difendono idee temerarie o sbagliate e via dicendo.
nevola e via dicendo. Al contrario, il qualificativo di “intollerante” porta con sé una lunga scia di rimproveri: spirito grezzo, temperamento bilioso, malevolo, incline alla diffidenza, odioso, vendicativo, pieno di risentimento, ecc.
In realtà, nulla di più unilaterale. Infatti, se vi sono casi in cui la tolleranza può essere un bene, vi sono altri casi in cui è un male. E può costituire perfino un crimine. Quindi, nessuno merita plauso per il fatto di essere metodicamente tollerante, oppure intollerante, bensì per essere l’uno o l’altro secondo le circostanze.
Il problema, quindi, si sposta. Non si tratta di sapere se dobbiamo essere tolleranti o intolleranti, come norma. Si tratta, piuttosto, di chiederci quando dobbiamo essere l’uno o l’altro. * * *
Innanzitutto, va notato che vi è una situazione in cui il cattolico deve essere sempre intollerante. E questa regola non ammette eccezioni. È quando, o per compiacere qualcuno o per evitare un male maggiore, gli si chiede di commettere un peccato. Ogni peccato è un’offesa a Dio. Ed è assurdo pensare che vi siano situazioni in cui Dio possa essere virtuosamente offeso. 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Un altro esempio: un cattolico ha un dovere di lealtà nei confronti della filosofia scolastica. Non gli è lecito, con il pretesto di attirare la simpatia di un determinato ambiente, professare un’altra filosofia. È una forma di tolleranza inammissibile. Pecca contro la verità chi professa un sistema di pensiero nel quale sa che vi sono errori, anche se non sono direttamente contro la Fede. In tali casi, i doveri dell’intolleranza vanno oltre. Non è sufficiente astenersi dal fare il male. Non bisogna mai approvarlo, sia per azioni sia per omissioni.
Un cattolico che, di fronte al peccato o all’errore, assume un atteggiamento di simpatia o di indifferenza, pecca contro la virtù dell’intolleranza. Questo succede, per esempio, quando assiste con un sorriso, senza restrizioni, a una conversazione o una scena immorale, o quando, in una discussione, riconosce che l’altro ha il diritto di professare qualsiasi punto di vista in tema di religione. Questo non è rispettare l’avversario, bensì acconsentire ai suoi errori e suoi peccati. Qui si sta approvando il male. E questo non è mai lecito per un cattolico. A volte si arriva a questa situazione pensando che non si è peccato contro l’intolleranza. Ciò accade quando certi silenzi di fronte a errori o mali danno l’idea di un’approvazione tacita.
In tutti questi casi, la tolleranza è un peccato, e solo l’intolleranza è una virtù. * * *
Noi diamo testimonianza davanti agli uomini del nostro amore per il bene e del nostro odio per il male, per la gloria di Dio. Leggendo queste affermazioni, è comprensibile che qualche lettore si infastidisca. L’istinto di socialità è naturale nell’uomo. E questo istinto ci induce a convivere con gli altri in modo armonico e piacevole.
Oggi si moltiplicano le occasioni in cui, nella logica della nostra argomentazione, un cattolico è costretto a ripetere, di fronte al nostro secolo, l’eroico “non possumus” di Pio IX: non possiamo accettare, non possiamo concordare, non possiamo tacere.
E subito si leva contro di noi quell’ambiente di guerra, fredda o calda che sia, con la quale i sostenitori degli errori e delle mode moderne perseguitano con un’intolleranza implacabile, e in nome della tolleranza, tutti quelli che osano essere in disaccordo con loro. Una cortina di fuoco, di ghiaccio o semplicemente di cellophane, ci avvolge e ci isola. Una scomunica sociale velata ci tiene a margine degli ambienti moderni. Proprio ciò che l’uomo, per il naturale istinto di socialità, teme quasi tanto quanto la morte. O forse più della morte.
Esageriamo? Per beneficiare della “cittadinanza” in tali ambienti, ci sono uomini che lavorano fino ad ammazzarsi con un infarto, e donne che digiunano più degli asceti della Tebaide, compromettendo seriamente la propria salute. Perdere una “cittadinanza” tanto “pregiata” solo per amore dei principi… ecco cosa vuol dire amare veramente i principi stessi! E poi c’è la pigrizia. Studiare una questione, dominarla interamente, avere sempre a mano gli argomenti a suo favore… quanta fatica! Quanta pigrizia! Pigrizia nel parlare e nel discutere, ancor più nello studio. E, soprattutto, la pigrizia diventa suprema quando bisogna pensare seriamente a qualcosa, assumerla interamente, identificarci con un’idea, con un principio! Abbiamo la pigrizia sottile, impercettibile ma dominante, nell’essere seri, nel pensare seriamente, nel vivere in modo serio, rigettando quanto ci allontana da quell’intolleranza inflessibile, eroica e imperterrita, che, con frequenza sempre crescente, è diventata il vero dovere del cattolico nei giorni nostri.
La pigrizia è la sorella dell’indifferenza. Molti ci chiederanno perché tanta fatica, tanta lotta, tanto sacrificio, se una rondine non fa primavera. A cosa serve il nostro sacrificio, se gli altri non migliorano? Strana obiezione! Come se dovessimo praticare i comandamenti solo perché gli altri li pratichino… Come se fossimo esonerati dal praticarli finché gli altri non ci imiteranno… Noi diamo testimonianza davanti agli uomini del nostro amore per il bene e del nostro odio per il male, per la gloria di Dio. E anche se tutto il mondo ci dovesse biasimare, noi continueremo a farlo. Il fatto che gli altri non ci accompagnino non intacca i diritti che Dio ha alla nostra totale obbedienza.
Queste ragioni non sono le uniche. C’è anche l’opportunismo. Conformarsi alle tendenze dominanti, apre tutte le porte e facilita tutte le carriere. Prestigio, comfort, denaro, tutto diventa più facile e più ottenibile se si è d’accordo con le tendenze dominanti.
Donde si vede quanto costa oggi il dovere dell’intolleranza. Quanto qui espresso fa da battistrada al prossimo articolo, in cui saranno analizzati i limiti dell’intransigenza e i mille modi per schivarla.
(Plinio Corrêa de Oliveira, “O que è a tolerância?”, Catolicismo, n° 75, marzo 1957. Foto del titolo: Luca Giordano, Gesù scaccia i mercanti dal Tempio.) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 19
Speciale: islam e immigrazione
È in gioco l’identità della Germania Intervista con Mathias von Gersdorff
I fatti di Capodanno a Colonia hanno messo allo scoperto una grave “crisi esistenziale” in Germania, che si trova oggi largamente impreparata per gestire la peggiore crisi sociale e culturale della sua storia recente. Il risveglio non è stato facile, scatenando un rovente dibattito interno, del quale i mezzi di comunicazione italiani non hanno dato adeguata copertura. Che cosa sta succedendo in Germania?
Lo abbiamo chiesto a Mathias von Gersdorff, scrittore, analista, direttore della campagna Kinder in Gefähr (Ragazzi a rischio), della TFP tedesca. Tradizione Famiglia Proprietà: I mezzi di comunicazione hanno impiegato più di ventiquattro ore per riportare i fatti di Capodanno a Colonia. A cosa attribuisce Lei questo ritardo, in un’epoca in cui le notizie volano in tempo reale? Mathias von Gersdorff: I fatti di Capodanno a Colonia hanno portato all’attenzione dell’Europa e del mondo una situazione che in Germania covava già da qualche tempo. Da noi, la questione dell’immigrazione domina completamente il dibattito pubblico almeno dalla scorsa estate. Da anni io scrivo su argomenti riguardanti i media e la pubblicità. Non mi ricordo di aver mai visto un tema così pervasivo e duraturo. Si tratta, per noi tedeschi, di una questione esistenziale che avrà molteplici sviluppi. Ciò
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che è in gioco è la nostra identità, il nostro spirito, il nostro essere tedeschi ed europei.
Dal dopo-guerra, è stata attuata in Germania una tremenda rivoluzione culturale tendente ad attenuare, fino a eliminarli, tratti psicologici e culturali che, per più di un millennio, avevano caratterizzato la nostra personalità, la nostra cultura, la nostra civiltà. Questo processo è avvenuto in tutti i paesi europei, con sfumature diverse. Credo che un europeo della Belle Époque faticherebbe a riconoscersi nella cultura oggi dominante. C’è stata poi una terribile crisi della Fede, la cosiddetta secolarizzazione. La pratica religiosa è crollata. La Chiesa cattolica, oggi, in Germania è materialmente ricca ma spiritualmente poverissima.
Quella luterana sta anche peggio. Non si vogliono riconoscere le radici cristiane del nostro continente.
Le sinistre di ogni colore, e anche un certo tipo di “bon vivant” centrista, hanno applaudito questo processo, salutando con entusiasmo la scomparsa della Germania tradizionale. Hanno quindi elogiato l’apertura delle nostre frontiere all’immigrazione musulmana, vedendovi un fattore di disfacimento della nostra civiltà, tramite il “multiculturalismo”. Non posso non ricordare in merito le parole di Benedetto XVI sull’Europa che “odia se stessa”, un atteggiamento che egli riteneva “patologico”. Lo fanno per convinzione ideologica? Per ingenuità? Suppongo che c’entrino entrambi.
Il moltiplicarsi dei problemi provocati da un’immigrazione che rifugge ogni integrazione, sommato alla crescente percezione che la Germania non è in grado di assorbire un’immigrazione così sproporzionata, però, ha cominciato a covare un profondissimo disagio in crescenti settori dell’opinione pubblica, che si è quindi polarizzata sempre di più. E questo già prima dei fatti di Colonia. Negli ultimi mesi, il dibattito pubblico era diventato sempre più irritato e aggressivo, con innumerevoli articoli giornalistici e talkshow televisivi critici nei confronti della politica migratoria della cancelliera. La stessa
Polizia, già da qualche tempo, sta facendo sapere che non riesce più a controllare certe situazioni.
In tale ambiente già surriscaldato, il “caso Colonia” ha avuto l’impatto di un terremoto, accentuando ancor di più il disagio nei confronti della politica delle frontiere aperte.
Ha contribuito al clima di insofferenza la figuraccia della Polizia, che si è dimostrata inadeguata per controllare tutte le aggressioni, cominciate alle 18:30, cioè molto prima del Capodanno, senza che da parte delle forze dell’ordine ci fosse la possibilità di una reazione proporzionata. Tradizione Famiglia Proprietà: A cosa attribuisce questa inefficacia?
Mathias von Gersdorff: Un rapporto interno della Polizia, recentemente divulgato, mostra come le attuali strutture delle forze dell’ordine siano inadeguate per gestire una situazione che ormai rischia di sfuggire dalle mani. La folla di immigrati ha cercato di ostacolare la Polizia in ogni modo, anche lanciando contro di essa petardi.
Ha avuto un certo ruolo anche la cautela, a mio avviso a volte eccesiva, che le forze dell’ordine devono mostrare quando trattano con gli immigrati, per non cadere nella gogna propagandistica del politica-
L’opinione pubblica si è polarizzata sempre di più. E questo già prima dei fatti di Colonia. Negli ultimi mesi, il dibattito pubblico è diventato sempre più irritato e aggressivo
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Speciale: islam e immigrazione L’imam della moschea di Colonia brandisce, minaccioso, la “spada dell’islam” La moschea è stata inaugurata nel 2011 alla presenza dell’allora sindaco Jürgen Roters, che aveva pure rilevato “diversi problemi per causa dell’opinione contraria della gente della regione”
mente corretto. Infatti, un’eccessiva fermezza nel controllare gli immigrati musulmani scatenati sarebbe suscettibile di essere bollata come “razzista” o “xenofoba”. I poliziotti ci pensano due volte prima di intervenire.
Come se non bastasse, la strategia di comunicazione della Polizia non poteva essere peggiore. Il primo gennaio è stato emesso un comunicato stampa dicendo che la festa era andata in modo del tutto pacifico e ordinato. Ciò era palesemente falso. Oggi sappiamo che, a notte inoltrata, le pattuglie che presidiavano la stazione centrale avevano chiesto rinforzi, puntualmente rifiutati.
Il caso è esploso soltanto un paio di giorni dopo, quando il numero di denunce per molestie sessuali era già salito a più di duecento. Poi è ancora aumentato. Oggi sono più di seicento. Per queste ragazze, il Capodanno è stato un incubo. I giornali tedeschi hanno cominciato a divulgare quanto accaduto soltanto il 4 gennaio, quando anche la Polizia ha cominciato a rilasciare comunicati più realistici.
Da allora, la rabbia che già covava nella pancia di tanti tedeschi si è moltiplicata. Il clima politico e sociale in Germania è cambiato in modo sostanziale. Uno sviluppo che, ripeto, era già visibile molto prima di Capodanno. Non ho mai visto una polarizzazione così accentuata.
Tradizione Famiglia Proprietà: Lei crede che queste aggressioni siano state programmate? Oppure si è trattato di un fenomeno spontaneo? Mathias von Gersdorff: Personalmente penso che tutto sia stato organizzato. È difficile coinvolgere più di mille persone in uno stesso luogo senza una convocazione. Gli stessi fatti si sono, poi, ripe-
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tuti in altre città: Francoforte, Stoccarda, Amburgo, ecc. Oggi si sa che la convocazione è corsa sui social network. Questi ragazzi si sono fissati un appuntamento. Molti avevano in tasca fogli con frasi in tedesco di contenuto sessuale, da rivolgere alle ragazze. Chi ha preparato questi foglietti? Chi li ha distribuiti? Anche se, forse, parte dei ragazzi erano semplici balordi che hanno approfittato della situazione, è innegabile una regia. Tradizione Famiglia Proprietà: Come hanno reagito le femministe?
Mathias von Gersdorff: La rabbia è esplosa subito dopo, coinvolgendo quasi tutti i settori politici. Il movimento femminista, invece, si è mantenuto sulla difensiva. Le femministe hanno un’idea a dir poco ingenua della società multiculturale. Hanno quindi cercato di relativizzare le molestie, dicendo che non avevano nulla a che fare con l’immigrazione né tantomeno con l’islam.
Va notato che il femminismo in Germania è diviso sulla questione islam. Un settore, maggioritario, afferma che l’islam non c’entra niente con il problema immigratorio e le tensioni che ne derivano. Un altro settore, al contrario, comunque sempre di sinistra, denuncia la minaccia islamista contro le donne. Fanno parte di questo secondo settore anche alcune donne musulmane, come Nekla Kelek, di origine turca, che in questi anni ha denunciato la crescente radicalizzazione dell’islam. Nel suo libro «La sposa venduta» (Die verkaufte Braut), descrive molto bene l’islamizzazione della Turchia sotto Erdogan. Tradizione Famiglia Proprietà: È possibile che gli immigranti musulmani passino a praticare azioni ancor più violente sul territorio tedesco?
Mathias von Gersdorff: A dirlo è nientemeno che la Bundesnachrichtendienst, l’agenzia federale d’intelligence. Nel suo ultimo rapporto afferma che la situazione della sicurezza pubblica oggi è più grave che nel settembre 2001, all’indomani dell’at-
La soluzione non può che poggiare su una vasta conversione delle anime a Dio e, quindi, su un ripristino dello spirito religioso cristiano tacco alle Torri Gemelle. Sempre a Capodanno, mentre a Colonia succedeva il finimondo, la stazione centrale di Monaco è stata evacuata per un allarme bomba, interrompendo tutto il traffico ferroviario dal sud dell’Europa.
Già una città ha annullato il tradizionale carnevale per paura di attentati. La presenza della polizia nelle strade è aumentata. Ieri parlavo con una signora che mi diceva di essere contenta perché sua figlia andava a lavorare in Messico, dove si sentirà più tranquilla. Figuriamoci! Sempre più tedeschi si ritengono ormai ostaggi nel proprio paese. Quanto potrà durare questa situazione prima di esplodere? Tradizione Famiglia Proprietà: La Germania e l’Unione Europea sono preparate per affrontare l’assalto dei fondamentalisti islamici?
Mathias von Gersdorff: Se volessero, potrebbero affrontarlo. Devono, però, decidersi, se reagire o no. L’Occidente è in una profonda crisi di identità. Basti pensare alla grottesca ideologia del genere. Chi crede che non vi siano soltanto uomini e donne, ma una galassia di “generi”, non può difendere un patrimonio di civiltà, che è fondato comunque sui valori. Per quanto riguarda la Germania, esiste il diritto all’asilo politico, tradizionalmente molto generoso. Poi ci sono i trattati di Schengen e Dublino. Siamo pronti a cambiare sostanzialmente questa impalcatura legale? Tradizione Famiglia Proprietà: I tedeschi approvano la politica della cancelliera Angela Merkel di aprire le frontiere all’immigrazione di massa?
Mathias von Gersdorff: Frau Merkel si trova in un vicolo cieco. Lei continua a ripetere che la Germania è in grado di rispondere a questa sfida. Ormai, però, si tratta di mere auto-giustificazioni. Anche all’interno del suo partito, la sua popolarità è ai minimi. Il segretario generale della CDU è arrivato a chiedere di espellere mille rifugiati ogni giorno. Figure di primo rango della politica tedesca si sono pronunciate a favore di una politica restrittiva, tra questi l’ex-cancelliere Gerhard Schröder, il governatore della Bassa Sassonia Stephan Weil e quello della Baviera Ed-
mund Stoiber. Anche il Partito liberale è dello stesso parere. Il consenso ormai è di farla finita con questa politica. La grande domanda è come.
Tre ex-giudici costituzionali, dei quali due della Corte costituzionale federale (Bundesverfassungsgericht) affermano che la politica della cancelliera è incostituzionale. In molte città si stanno organizzando milizie e ronde cittadine. Più di un sindaco ha respinto la “quota” di immigranti allocata al suo comune. Perfino i vescovi, solitamente tanto loquaci in favore dell’accoglienza, se ne stanno zitti. Il 13 marzo ci saranno elezioni regionali in alcuni Länder. Allora vedremo quanti tedeschi appoggiano Angela Merkel. Tradizione Famiglia Proprietà: C’è il pericolo che questa reazione sia monopolizzata da una certa destra nazionalista?
Mathias von Gersdorff: Per adesso questa domanda è alquanto prematura. Rispondo a livello meramente ipotetico.
Credo che la reazione sia troppo vasta e profonda perché possa essere monopolizzata da una fazione. Può succedere, però, che in assenza di un’autentica leadership, alcuni elementi validi siano ammaliati da figure messianiche. Viene in mente, per esempio, il ruolo che certa propaganda sta attribuendo a Vladimir Putin.
La soluzione non può che poggiare su una vasta conversione delle anime a Dio e, quindi, su un ripristino dello spirito religioso cristiano. Laddove la grazia divina interviene, attraverso la Santa Chiesa, tutto è possibile. Il nostro punto di riferimento assoluto in questa situazione di crisi esistenziale deve essere la promessa del trionfo del Cuore Immacolato di Maria, enunciato dalla Madonna a Fatima nel 1917. In questi momenti così concitati, è assolutamente necessario avere una visione soprannaturale delle cose. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 23
Speciale: islam e immigrazione
L
Nel frattempo in Scandinavia…
a Polizia svedese è stata accusata di insabbiare sistematicamente casi di aggressioni sessuali compiute da musulmani, per non aizzare ulteriormente il clima anti-immigrazione, portando quindi acqua al mulino della destra. Il caso è esploso all’indomani dei fatti di Colonia, quando il quotidiano Dagens Nyheter, di Stoccolma, ha domandato perché episodi simili in Svezia non siano stati investigati e i colpevoli puniti.
È stato appurato, infatti, che già in diverse occasioni bande, anche di cinquanta ragazzi, perlopiù afgani, avevano assalito ragazzine durante festival giovanili, come il We Are Sthlm. Il capo della sicurezza al festival, Peter Agren, ha dovuto ammettere: “Questo è un punto dolente. A volte non presentiamo nessuna denuncia perché pensiamo che possa fare il gioco dei Democratici”. I Democratici svedesi (Sverigedemokraterna) sono un partito di matrice nazionalista, che negli ultimi mesi è cresciuto sensibilmente nei sondaggi. Nelle elezioni generali del 2014, ha raggiunto il 12,9% dei suffragi, eleggendo 49 deputati.
L’esempio della Germania ha dato coraggio alle ragazze svedesi, che in sempre maggior numero stanno, a loro volta, presentando denunce alla Polizia locale. Per esempio, nella cittadina di Kalmar, sono stati già segnalati undici casi di molestie sessuali, sempre per opera di bande di immigrati magrebini o mediorientali. Anche a Malmö, la popolazione si è lamentata alla Polizia della crescente pratica del Taharrush, arabo per “molestia collettiva” o “stupro di gruppo”.
Prendendo atto delle accuse, il primo ministro Stefan Löfve (foto sopra) ha condannato questa versione svedese di Colonia, parlando di “doppio tradimento: alle donne e alla democrazia”. “Andremo fino in fondo con gli accertamenti – ha promesso il Premier, di centro-sinistra – non chiuderemo gli occhi né guarderemo dall’altra parte. Dobbiamo affrontare questo problema serissimo”.
La Svezia è il paese europeo che ha accolto più immigranti, proporzionalmente alla sua popolazione. Ma di fronte alla crescente reazione pubblica, il governo ha annunciato un giro di vite in materia di immigrazione. Le cose non vanno meglio nella vicina Norvegia.
“Abbiamo perso la città”, ha dichiarato un portavoce della Polizia di Oslo. Egli si riferiva specialmente alla situazione nei quartieri a maggioranza musulmana, come Grønland, ad appena un paio di fermate dal Parlamento e una dalla Stazione centrale. Il maggiore quotidiano di Oslo, l’Aftenposten, solitamente pro-islamico e favorevole al multiculturalismo, ha denunciato che nel quartiere circolano pattuglie della Sharia Police. E cita l’immigrante Fatima Tetouani: “Grønland è più musulmano del Marocco”.
Nel solo 2015 si sono registrati, nei quartieri centrali di Oslo, più di cinquecento rapine e quarantanove stupri. Nella maggior parte dei casi, la Polizia non ha potuto arrivare ai colpevoli. Il capo della Polizia di Grønland, Inge Sundeng, parla di “vittime quasi dimenticate”. 24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
La guerra santa è nata da un’interpretazione abusiva del Corano, oppure è stata praticata sin dall’inizio?
L’opinione di due specialisti
Corano e jihad
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 25
È
Speciale: islam e immigrazione
apparso di recente un interessante saggio sulla jihad nel Corano. Gli autori, due docenti francesi d’islamistica, vi sfrattano non pochi miti (1).
Gli autori aprono segnalando come nel Corano, già nelle Sura del periodo meccano, cioè prima dell’Egira (622), si alternino con identica valenza teologica versetti che offrono la pace ai “credenti” (cioè ai soli musulmani), e versetti che, invece, minacciano la guerra contro i “miscredenti”. Tali appelli alla guerra sono tanto più impellenti quanto sono accompagnati da promesse di ricompense e di castighi divini, sia in questa vita sia nell’aldilà. Essendo il Corano la parola stessa di Allah, tutti i versetti sono recepiti con lo stesso valore teologico. Taluni analisti minimizzano il ruolo della religione nell’espansione dell’islam, vedendovi appena fenomeni socio-politici. Un esame oggettivo, invece, mostra che, sin dall’inizio, c’è stata la volontà di imporre “la legge di Dio”, e dunque un modello politico-religioso di società islamica, ai “miscredenti”.
“Combatti i miscredenti”
Dopo l’Egira inizia il periodo detto medinese, nel quale il carattere guerrafondaio dell’islam diventa quasi esclusivo: “Combattete coloro che non credono in Allah, che non vietano quello che Allah e il
Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati” (9,29). “Uccidete i miscredenti ovunque li incontriate” (2,191); “Maledetti! Ovunque saranno trovati, saranno presi e massacrati” (33, 61), ecc.
È proprio il periodo medinese quello rivendicato dai salafiti e dai fondamentalisti come modello di società islamica pura e autentica.
A Medina, dopo un periodo di consolidazione, Maometto passa all’offensiva. E non smetterà mai di guerreggiare sino alla sua morte, nel 632. Queste guerre saranno sempre giustificate con versetti calati ad arte. Si comincia con assalti alle carovane meccane, per rifornirsi di viveri, soldi e donne. Man mano diventano vere battaglie contro tutti. Maometto presenta le sue vittorie militari come prova della veracità della nuova rivelazione. Le sue guerre si dirigono, in particolare, contro cristiani ed ebrei, che egli costringe alla conversione, pena l’espulsione. Tutto approvato, anzi spronato, da Allah. A Medina era rimasto un solo clan ebreo. Il “profeta” stringe d’assedio il loro quartiere, costringendoli alla resa. Secondo la Sîra (biografia di Maometto), solo quattro ebrei si convertirono. Gli altri, più di novecento, furono passati al filo della spada. Le donne e i bambini furono venduti come schiavi.
Mappa delle conquiste islamiche nei primi due secoli
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Nel periodo meccano, Maometto sembrava ancora convinto della possibilità di armonizzare il nuovo messaggio con le antiche Scritture. Arrivato a Medina, però, egli si rese conto che la “gente del Libro” non lo avrebbe accettato come “Sigillo dei profeti”. Allora rivolge contro di loro il suo sdegno che, come recita il Corano, coincide con quello di Allah. Sia la Sîra siano i Maghazi (racconti delle spedizioni belliche del “profeta”) offrono descrizioni dettagliate delle sue guerre contro cristiani ed ebrei per imporre la nuova religione. L’islam diventa un gruppo religioso coeso, in guerra contro qualunque opposizione a qualunque livello. La volontà del capo, Maometto, coincide con quella di Allah. Nasce il sogno di un impero islamico cappeggiato da un “califfo”, vale a dire un “luogotenente del Profeta”. Nell’espansione dell’islam vediamo, dunque, un intreccio di fattori psicologici e materiali, sempre fondati sulle credenze religiose. Perfino ai giorni nostri, intellettuali arabi come Mohamed Talbi giustificano le “spedizioni del Profeta” (Maghazi al-Nabi) come guerre necessarie per impedire che l’islam scomparisse.
Corano e jihad
Nel Corano, la radice j-h-d compare ben quarantuno volte. Diciannove volte si riferiscono esplicitamente al combattimento con l’uso di violenza.
Esempio tipico è il versetto 9,73: “O Profeta, combatti (jahid) i miscredenti e gli ipocriti, e sii severo con loro” (9,73); oppure il 9,41: “Dovete lanciarvi nel combattimento, lottando (jahidu) nelle vie di Allah”. Altre sei si riferiscono ad azioni militari. Appena due designano vagamente una “pressione” per imporre la fede islamica, mentre le altre quattordici sono assai vaghe.
Il Corano pone i combattenti della jihad (mujahidin) al di sopra degli altri musulmani, promettendo loro laute ricompense. Molti versetti sono dedicati proprio a loro. Non devono chiedere mai la pace (47,35); saranno assistiti nella guerra da battaglioni di cavalieri angelici (48,4-7; 3,124-125), ecc. Devono combattere contro gli empi, gli infedeli, i briganti, gli apostati e, di modo generale, contro tutti quelli che non credono nell’islam.
A volte, Allah stesso organizza le battaglie dei mujadidin (8,42). Egli si ingaggia “fisicamente” nelle guerre dei credenti ed è al loro fianco (47,35). Ed è così che l’islam si è sempre diffuso con la violenza. Gli studiosi francesi citano uno dei più grandi teologi musulmani, Muhammad al-Ghazali (10581111): “Io non ho mai visto una sessione di dibattito che sia finita con la conversione di una sola persona all’islam. Le conversioni sono sempre avvenute per altre cause, soprattutto per la lotta con la spada. Non abbiamo ereditato dai nostri antenati il costume di diffondere l’islam con le discussioni”.
Una cavalcata vittoriosa, frenata in Europa con la battaglia di Poitiers, nel 733
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Speciale: islam e immigrazione
Maometto guida le sue truppe contro il clan Banu Qaynuqa
“Piccola” e “grande” jihad?
Si usa dire che il Corano distinguerebbe tra la “piccola” e la “grande” jihad, e che solo la prima si riferirebbe all’uso della violenza, mentre la seconda indicherebbe, in modo generico, la lotta contro il male. In realtà, come dimostrano gli studiosi francesi, questa è una distinzione apparsa solo nel IX secolo, allorché si stinse il primo ardore delle conquiste musulmane. Essa, però, non sostituirà mai il significato guerriero iniziale. Né si può contrapporre, nei testi coranici, la jihad al quital (combattimento) oppure alla harb (guerra).
Sebbene nel Corano vi siano sedici ricorrenze di jihad in senso ambiguo, e quindi legittimamente interpretabili come lotta spirituale, non si può negare che tutte le altre ricorrenze, specialmente quelle del periodo medinese, si riferiscano esplicitamente alla guerra santa, senso assunto dai musulmani della prima ora, con a capo il “profeta”. D’altronde, la separazione fra islam “spirituale” e islam guerrafondaio non è così netta. La storia è piena di esempi di musulmani “spirituali”, come i sufi, che si gettano nella guerra quando si tratta di difendere la propria fede.
Anche molti hadith, anch’essi libri canonici per i musulmani, corroborano il senso militare della jihad: “L’Inviato di Dio disse: Ho ricevuto l’ordine di combattere i popoli finché essi confessino che non vi è un’altra divinità all’infuori di Allah. Chi non crede, potrà essere colpito nella sua persona e nei suoi beni” (Sahih al-Buckhari). 28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Nei trattati di diritto islamico (fiqh), il capitolo sulla jihad riguarda esclusivamente l’aspetto militare: al “territorio dell’islam” (dar al-islam), dove vige la legge coranica, si contrappone il “territorio della guerra” (dar al-harb), che va sottomesso. Dal secolo X, alcuni teologi islamici interpongono, fra questi due territori, quello delle “tenebre” (muhadana), uno spazio dove la conciliazione (suhl) può essere tollerata, in attesa che venga assimilato, ineluttabilmente, al primo. L’esito è sempre lo stesso: la sottomissione.
Una soluzione?
I docenti d’islamistica terminano chiedendosi se vi sia una soluzione. E rispondono che il problema non è tanto le discordanti interpretazioni dei vari versetti del Corano quanto, a monte, la credenza che il Corano sia la stessa parola di Dio rivelata al “profeta”. Finché questo dogma non venga meno, vi saranno sempre fazioni islamiste che, sulla scia dello stesso Maometto, interpreteranno la jihad come guerra santa, da portare avanti fino all’annichilimento degli “infedeli”.
1. Marie-Thérèse et Dominique Urvoy, Le jihad dans le Coran et dans l’histoire, in “Le Figaro Histoire”, febbraio-marzo 2015, pp. 58-65. Marie-Thérèse Urvoy è docente d’islamistica e di storia medievale araba presso l’Istitut Catholique de Toulouse. Dominique Urvoy è docente di pensiero e di civiltà arabi presso l’Università di Toulouse-II.
L a c o n d i zi o n e d el l a d o n n a n el l ’ i s la m e i f a t t i d i C o l o n i a: c ’ è u n a r e l az i on e ?
S
di Alessandra Boga
Esiste una relazione fra i fatti di Colonia e la condizione della donna nella religione musulmana? Un’analisi per spiegare perché la risposta è positiva
i sono sprecati tanti articoli sui giornali sulle molestie e gli stupri di massa avvenuti nella notte di San Silvestro in Germania, soprattutto a Colonia ma anche ad Amburgo, Stoccarda e in altre città europee. I responsabili sono stati descritti dalle vittime come cittadini “mediorientali e nordafricani”. Tra loro, hanno stabilito gli inquirenti che li hanno identificati, c’erano molti giovani arrivati in Europa come profughi. Alcuni erano pure ubriachi quando sono “entrati in azione”. È sempre antipatico, politicamente scorretto – usando un termine oggi assai inflazionato – tirare in ballo la religione in casi come questi, ma è un dato di fatto che i colpevoli delle violenze sulle donne nella notte di Capodanno provengono da Stati islamici e loro stessi sono nati e cresciuti nell’islam: sono musulmani.
Ora, errare è umano ed un uomo può anche agire contro la propria religione. Lo stesso bere vino fino ad ubriacarsi è contrario all’islam. Inoltre non bisogna mai dimenticare che non sia giusto “fare di ogni erba un fascio”, e che anche uomini nati nei paesi occidentali, cristiani, possano molestare e stuprare donne. Tuttavia, si può affermare che le recenti molestie e stupri di massa non c’entrino nulla con la condizione della donna nell’islam? Ricordiamo che nel Corano c’è scritto che “gli uomini sono preposti alle donne” (Sura IV, intitolata
proprio “Le Donne”, 34-35); che “gli uomini sono un gradino più in alto” rispetto a loro (Sura II, 228); e che quando gli uomini “temono la disobbedienza” delle mogli, la raccomandazione è “ ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele” (Sura IV, 34). Per non parlare della delicata questione del velo, del fatto che la testimonianza di una donna in tribunale valga la metà di quella di un uomo, che l’eredità spettante ad una femmina sia la metà di quella di un maschio, che all’uomo musulmano sia permessa la poligamia fino a quattro mogli – con l’impossibile condizione di essere “giusto” con tutte – che all’uomo musulmano sia permesso di usare a proprio piacimento le donne al suo servizio, e così via.
A ciò aggiungiamo le arringhe piene di versi misogini che vengono propinate dagli imam ai musulmani, pure nelle moschee in Occidente; versi misogini che vengono inculcati come ordini divini, che quindi non si discutono, pena il non essere considerati “veri musulmani”, che in certi casi può portare a rischiare o a perdere la vita. Nel libro “Islam. Istruzioni per l’uso” (Oscar Mondadori, 2009) dell’arabista ed islamologa Valentina Colombo, in un capitolo intitolato “Donne e islam” si riporta quanto ha scritto in proposito un’intellettuale tunisina, Raja Benslama: TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 29
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“La discriminazione (della donna) si costruisce sull’odio, un certo odio sapientemente elevato a sistema, è una mina in azione, è una macchina che attacca le donne, e continua a spezzare le vite di tutti gli esseri resi minori. (...) I nostri testi sacri non possono più essere una fonte di legislazione se non creando le peggiori disuguaglianze liberticide. Dobbiamo rinunciare all’idea, che secondo me è un’impostura intellettuale, molto diffusa anche fra le femministe e fra le antifemministe islamiche, che l’islam abbia liberato la donna, che la sharia le renda giustizia, che la metta in condizione di parità rispetto all’uomo. Questa cosa non è vera, è una vera negazione della realtà storica”. Inscindibilmente connesso al tema della donna, è quello della sessualità. I testi sacri islamici ne parlano assai, basta ricordare le famose 72 vergini del Paradiso di Allah, con le quali vengono “attirati” potenziali terroristi suicidi. Il versetto coranico 223 della Sura II (“La Vacca”) recita: “Le vostre donne sono il vostro campo, entrate nel vostro campo secondo il vostro desiderio”. Esso può essere interpretato da un uomo come la legittimazione ad abusare di una donna, fosse anche la propria moglie. Invece la Sura IV, 24 dice: “E vi sono vietate le mogli sposate di altri popoli a meno che non siano cadute nelle vostre mani (come prigioniere di guerra o schiave comprate)”. Ebbene, le donne molestate a Colonia facevano parte
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di “altri popoli”, professavano una religione diversa dall’islam – inoltre dubitiamo che si siano fermati a pensare di rispettare le donne sposate.
In generale, i musulmani considerano le donne occidentali delle poco di buono, una sorta di prostitute, anche perché “non portano il velo”, simbolo di modestia, di castità e di fede in Dio, ma troppo spesso, come sappiamo, anche di appartenenza della donna all’uomo. La loro libertà turba e nello stesso tempo attrae i musulmani più conservatori, che le vedono come simbolo supremo di degrado morale con il quale possono fare ciò che vogliono. Così si possono spiegare i “fatti della notte di Capodanno”, un fenomeno talmente vasto, che è impossibile che non fosse organizzato. Culturalmente i molestatori/stupratori si sono sentiti in diritto di non rispettare quelle donne, perché erano in giro anche da sole di notte a divertirsi, cosa inconcepibile nel contesto islamico. Per lo stesso motivo l’imam di Colonia Sami Abu Yusuf, salafita, ha dichiarato ad una tv russa che la colpa di quello che è successo, è delle donne stesse, le vittime: “Non c’è da sorprendersi che vestendosi mezze nude e profumate gli uomini le abbiano aggredite. È come mettere benzina sul fuoco”. Tale dichiarazione è arrivata proprio quando le denunce di molestie nella città tedesca sono arrivate a quota 521, oltre a tre di stupro.
Pio XII: la dignità della donna “Oh, come vorremmo che, insieme con voi e animate dal medesimo spirito ed ardore, si stringessero intorno al trono della Vergine tutte le donne d’Italia e del mondo, per apprendere dai suoi eccelsi esempi il segreto di ogni grandezza e il modo di attuare in se stesse i divini disegni! Se la costante tradizione della Chiesa suole proporre alle donne cristiane Maria, quale sublime modello di Vergine e di Madre, ciò dimostra l’alta stima che il Cristianesimo nutre verso la donna, l’immensa fiducia che la stessa Chiesa pone nel suo benefico potere e nella sua missione a vantaggio della famiglia e della società. (…) “Qual è e deve essere l’idea-base del vostro movimento, se non quella che già vi spinse fin dal principio a fondare il vostro Centro e Noi indicammo a suo tempo: «la conservazione e l’incremento della dignità che la donna ha ricevuto da Dio». La dignità della donna!
“Benché spesso se ne parli, non sempre si mostra di possederne un concetto esatto e veritiero, tale da prevenire errate illazioni, ingiustificati lamenti e talora rivendicazioni infondate.
“Anzitutto, neppure al presente mancano voci, che tendono a sminuire o ad ignorare totalmente l’indiscutibile merito spettante alla Chiesa per aver restituito alla donna la primitiva dignità, che anzi ripetono essere proprio la Chiesa intimamente avversa alla cosiddetta «emancipazione della donna dal regime feudale». (…) Occorre forse ricordare la nota sentenza di S. Paolo, nella quale si rispecchiano la sostanza e il volto di tutta la civiltà cristiana? «Non vi è più Giudeo nè Greco, non vi è schiavo nè libero, non uomo nè donna, ma tutti voi siete un solo in Cristo Gesù » (Gal. 3, 28). (…) Per concludere, come ha ricordato sul quotidiano La Repubblica lo scrittore algerino Kamel Daoud, nel mondo di Allah “la donna è la posta in gioco, senza volerlo. Sacralità, senza rispetto della propria persona. Onore per tutti, ad eccezione del proprio. Desiderio di tutti, senza un desiderio proprio. Il suo corpo è il luogo in cui tutti si incontrano,
“Occorre forse anche qui ripetere in che consista il fondamento della dignità della donna? Esattamente il medesimo che sorregge la dignità dell’uomo: l’uno e l’altra figli di Dio, redenti da Cristo, con l’identico destino soprannaturale. Come si può dunque parlare di Personalità incompleta della donna, di menomazione del suo valore, d’inferiorità morale, e derivare tutto ciò dalla dottrina cattolica?
“Vi è inoltre un secondo identico fondamento di dignità per l’uno e l’altro sesso: infatti sia all’uomo che alla donna la Provvidenza divina ha assegnato anche un comune destino terreno, il destino cui tende l’intera storia umana, e al quale accenna il precetto del Creatore, dato, per così dire, in solido, ai due progenitori: «Prolificate e moltiplicatevi e popolate la terra e sottomettetela e abbiate potere...» (Gen. 1, 28). In virtù di questo destino temporale comune nessuna attività umana resta per sè preclusa alla donna, i cui orizzonti pertanto si estendono sulle regioni della scienza, della politica, del lavoro, delle arti, dello sport; subordinatamente però alle primarie funzioni a lei fissate dalla natura stessa. Infatti il Creatore, mirabile nel trarre l’armonia dalla moltiplicità, pur stabilendo un comune destino a tutti gli uomini, ha voluto ripartire tra i due sessi uffici differenti e complementari, quasi vie diverse che conducono ad una unica mèta”.
(Brani del Radiomessaggio alle donne del Centro Italiano Femminile, in occasione del pellegrinaggio al santuario di Loreto, domenica 14 ottobre 1956)
escludendola. Il passaggio alla vita – perché la donna dona la vita – che impedisce a lei stessa di vivere. È questa libertà che il rifugiato, l’immigrato, desidera ma non accetta. L’Occidente è visto attraverso il corpo della donna: la libertà della donna è vista attraverso la categoria religiosa di ciò che è lecito o della ‘virtù’”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 31
Speciale: islam e immigrazione
Don Bosco spiega l’islam ai bambini
Qui di seguito riportiamo una pagina del trattato popolare sulla religione dal titolo «Il Cattolico istruito nella sua religione: trattenimenti di un padre di famiglia co’ suoi figliuoli, secondo i bisogni del tempo, epilogati dal Sacerdote Bosco Giovanni» (Tipografia De Agostini, Torino 1853, Parte II, cap. XIII), scritto a modo di dialogo fra un padre e il figlio maggiore
S
e vi piace, io vi parlerò delle altre religioni cominciando dal Maomettismo.
F. Sì, sì, cominciate per dirci che cosa s’intenda per Maomettismo?
P. Per Maomettismo s’intende una raccolta di massime ricavate da varie religioni, le quali praticate giungono a distruggere ogni principio di moralità. F. Il Maomettismo da chi ebbe principio?
P. Il Maomettismo ebbe principio da Maometto.
F. Oh! di questo Maometto abbiamo tanto piacere di sentire a parlare: diteci tutto quello che sapete di lui.
P. Troppo lungo sarebbe il riferirvi tutto quello che le storie raccontano di questo famoso impostore: io procurerò soltanto di farvi conoscere chi egli fosse, e come abbia fondata la sua Religione. Nacque Maometto da povera famiglia, di padre gentile e di madre ebrea, l’anno 570, nella Mecca, città dell’Arabia, poco distante dal Mar Rosso. Vago di gloria e desideroso di migliorare la sua condizione andò vagando per più paesi, e riuscì a farsi agente di una vedova mercantessa di Damasco, che poscia lo sposò. Egli era così astuto che seppe approfittare delle sue infermità per fondare
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una religione. Patendo di epilessia, male caduco, affermava che quelle sue frequenti cadute erano altrettanti rapimenti a tener colloquio coll’Angelo Gabriele. F. Avrà egli pure tentato di operar miracoli in conferma della sua predicazione?
P. Maometto non poteva fare alcun miracolo in conferma della sua religione, perché non era mandato da Dio. Dio solo è autore dei miracoli. Siccome però vantavasi superiore a Gesù Cristo, subito gli si chiese che al par di lui facesse miracoli. Egli alteramente rispondeva che i miracoli erano stati. Con tutto ciò vantavasi di averne operato uno, e diceva che, essendo caduto un pezzo della luna nella sua manica, egli aveva saputo racconciarla; in memoria di questo miracolo i Maomettani presero per divisa la mezza luna. Voi ridete, o miei figli, e ben con ragione, perciocché un uomo di simil fatta non doveva considerarsi predicatore di una nuova religione. Appunto per questo si sparse la fama che egli era un impostore, e come perturbatore della pubblica tranquillità, i suoi concittadini volevano imprigionarlo e porlo a morte. Pel che egli prese la fuga, e ritirossi nella città di Medina con alcuni seguaci che l’aiutarono a rendersene padrone.
F. In che cosa propriamente consiste la religione di Maometto?
P. La religione di Maometto consiste in un mescolamento di giudaismo, di paganesimo e di cristianesimo. Il libro della legge Maomettana è detto Alcorano, ossia libro per eccellenza. Questa religione dicesi anche Turca perché è molto diffusa nella Turchia; Musulmana da Musul, nome che i Maomettani danno al direttore della preghiera; Islamismo, dal nome di alcuni suoi riformatori; ma è sempre la medesima religione fondata da Maometto.
F. Perchè Maometto fece quel mescolamento di varie religioni?
P. Perchè i popoli dell’Arabia essendo parte Giudei, parte Cristiani, ed altri Pagani, egli, per indurli tutti a seguirlo, prese una parte della religione da loro professata e trascelse specialmente quei punti che possono maggiormente favorire i piaceri sensuali. F. Bisognava proprio che Maometto fosse un uomo dotto?
P. Niente affatto, sapeva nemmeno scrivere. Parlando di cose contenute nella Storia Sacra confonde un fatto coll’altro; per esempio, attribuisce a Maria, sorella di Mosè, più fatti che riguardano Maria, madre di Gesù Cristo, con moltissimi altri spropositi.
F. Questa mi par bella: se Maometto era ignorante, né fece alcun miracolo, come potè propagare la sua religione?
P. Maometto propagò la sua religione, non con miracoli o colla persuasione delle parole, bensì colla forza delle armi. Religione che, favorendo ogni sorta di libertinaggio, in breve tempo fece diventar Maometto capo di una formidabile truppa di briganti. Insieme con costoro scorreva i paesi dell’Oriente guadagnandosi i popoli, non coll’insinuare la verità, non con miracoli o con profezie; ma per unico argomento egli innalzava la spada sul capo dei vinti gridando: o credere o morire.
e contro il culto del vero Dio. Per esempio, scusa dal peccato chi nega Dio per timore della morte; permette la vendetta; assicura a’ suoi seguaci un paradiso, ma pieno di soli piaceri terreni. Insomma la dottrina di questo falso profeta permette cose tanto oscene, che l’ animo cristiano ha orrore di nominare.
F. Che differenza passa tra la Chiesa Cristiana e la Maomettana? P. La differenza è grandissima. Maometto fondò la sua religione colla violenza e colle armi: della gioventù: Don Bosco GesùL’apostolo Cristo fondò la sua Chiesa con parole di pace, con i ragazzi del suo oratorio
F. Sono questi gli argomenti da usarsi per convertire la gente? Senza dubbio, essendo Maometto tanto ignorante, avrà disseminato nell’Alcorano molti errori?
P. L’Alcorano si può dire una serie di errori i più madornali contro la morale
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 33
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Gerarchie giuste e necessarie
a cura di Diego Zoia
Assistiamo oggi a un lento e continuo movimento verso l’uguaglianza totale in ogni campo. Si tratta di un fenomeno spontaneo? Oppure di un preciso disegno rivoluzionario? Alcune riflessioni in merito, tratte dagli scritti del prof. Plinio Corrêa de Oliveira.
N
on vi è oggi alcuna trasformazione che non produca, che non favorisca, direttamente o no, l’incamminarsi della società verso uno stato di cose completamente egalitario. Ciascuno di noi è testimone di molteplici vicende, fra loro forse non connesse, che apportano piccole modifiche nella vita quotidiana in senso sempre più egalitario.
Un movimento lento e continuo verso l’uguaglianza totale
Così, ad esempio, i rapporti fra professori e allievi. Non molto tempo fa, il rispetto dovuto al pro-
fessore si manifestava in diversi modi: ci si alzava in piedi quando entrava in classe; nessuno avrebbe tenuto in testa un cappello in sua presenza, né si sarebbe permesso di rivolgersi a lui in modo grossolano e via dicendo.
L’ineguaglianza fra professori e allievi, che è giusta e necessaria, cominciò a svanire dopo il maggio del 1968. Poco alla volta, l’autorità del maestro andò scomparendo. Mentre il maestro cercava di essere nient’altro che un simpatico compagnone, l’allievo non voleva altro che il proprio divertimento. Tali cambiamenti, però, sono avvenuti gradualmente. Pochi se ne sono accorti. Alla fine, l’insegnamento ha subito un radicale mutamento.
Negli aspetti esteriori dell’esistenza, si nota la tendenza a sfumare sempre di più la naturale differenza fra i sessi 34 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Lo stesso si può affermare delle regole di cortesia e del savoir-vivre. Prima, un giovane doveva alzarsi, sui mezzi pubblici, per cedere il posto a una persona più anziana, un uomo doveva cedere il passo a una signora, o aprirle la porta. Tali segni di educazione mostrano delle ineguaglianze giuste e necessarie. Tuttavia, giorno dopo giorno, stanno diventando sempre più rari. Siccome, però, l’abbandono dei modi cortesi avviene poco a poco, così anche questo processo è impalpabile. Ce ne accorgeremo, con sorpresa, solo quando si sarà giunti a certi estremi. Quando si introducono nella vita quotidiana di oggi tali cambiamenti, è sempre con l’intento di livellare e di abolire utili segni di preminenza o di superiorità.
L’assommarsi di tali mutamenti configura una rivoluzione, che tuttavia procede per lo più inavvertitamente, poiché per ciascuna di queste piccole trasformazioni si riesce a trovare una puntuale giustificazione. Questa rivoluzione egalitaria non esplode come una bomba; è invece impalpabile, quasi fosse un anestetico sprigionato nell’aria.
L’egalitarismo s’insinua negli aspetti esteriori dell’esistenza, nel modo di comportarsi in società, o ancora nel campo dell’economia, della politica, della religione, delle relazioni internazionali, della cultura, e addirittura nel rapporto stesso fra gli uomini e Dio. Senza dubbio, l’aspetto più cospicuo della nostra epoca sembra essere questa vasta rivoluzione, che orienta a proprio vantaggio il corso degli eventi in un lungo processo (talvolta graduale e surrettizio, talvolta dichiarato e brutale), allo scopo d’instaurare nel mondo l’eguaglianza totale.
falsa “liberazione”, rinunciando così all’eleganza, allo charme e alla delicatezza femminile. Ed è proclamando un erroneo concetto di eguaglianza che le lobby LGBT fanno oggi proselitismo dell’omosessualità, cercando d’imporre il riconoscimento sociale di pratiche contro natura.
Un altro esempio: la differenza fra le età viene quanto possibile ridotta. L’ideale di padre alla moda è di essere “il miglior amico” dei suoi figli. I nonni alla moda non esitano a vestirsi come degli adolescenti, e a comportarsi con la stessa spontaneità dei loro immaturi nipoti. Le automobili tendono sempre di più ad assomigliarsi, anche nel colore, confondendosi in una banale monocromia. Le costruzioni moderne sono pressoché identiche. Non v’è nulla di più tristemente noioso di una sfilza di palazzi nella periferia di qualsiasi città del mondo. Anche i grattacieli, perfino quelli più stravaganti, non consentono affatto di distinguere se ci si trova a Parigi, a Boston, a Shangai o a Buenos Aires. Tutti i centri commerciali si assomigliano, contrariamente ai negozi tradizionali dei centri storici. La crescente scomparsa della cortesia ha prodotto una spontaneità volgare e aggressiva. Si aggiunga a ciò l’esagerata esaltazione dello sport e delle prodezze fisiche, col disprezzo per le attività intellettuali. Così scompare la naturale superiorità del lavoro intellettuale su quello meccanico.
Questo immenso movimento, che è in marcia da molti secoli, genera un potente flusso che avanza senza fermarsi, alternando mulinelli lenti e profondi, sbalzi bruschi e passaggi di calma apparente.
Qualche esempio dell’avanzata del movimento egalitario universale
Negli aspetti esteriori dell’esistenza, si nota la tendenza a sfumare sempre di più la naturale differenza fra i sessi. I modelli maschi che sfilano nelle passerelle, per esempio, sono sempre più spesso androgini. Contemporaneamente, si assiste alla svalutazione, alla deviazione, all’inversione dell’immagine della virilità. Quanto alle donne, è da quasi un secolo che han cominciato a tagliarsi i capelli alla garçon, iniziando un percorso che le ha condotte fino ad abbigliarsi quasi fossero uomini, nel nome di una
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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Non è nemmeno trascorso un secolo dacché la società si caratterizzava con l’essere un insieme di famiglie armoniosamente diversificate. Oggi, la norma è l’individualismo. Mai tanti esseri umani hanno abitato da soli. Al posto di una gerarchia di famiglie articolate in gruppi sociali, così da formare un quadro variopinto e armonioso, v’è un grigio affollamento d’individui indifferenziati, l’uno accanto all’altro come i granelli di sabbia su una spiaggia, con l’unica aspirazione di essere rigorosamente identici ai loro vicini e di confondersi nella massa amorfa. Il movimento egalitario tende alla soppressione delle differenti classi sociali: contadini, artigiani, operai, impiegati, funzionari, militari, persone di media e alta borghesia, nobili e aristocratici, tutto deve essere passato al frullatore. In particolare, si cerca l’abolizione sistematica di qualsiasi influenza aristocratica sulla vita della società.
In campo economico, si avanza passo dopo passo verso l’idea comunista per cui la proprietà è un furto. Per questo, occorre punire i ricchi. Nessuno può guadagnare “troppi” soldi. Molti trovano normale che la maggior parte del reddito privato debba essere confiscato dallo Stato per essere dunque mal gestito “per la collettività”. Chi possiede un patrimonio, non dovrà metterlo più in mostra, e sarà malvisto chi ha dei domestici. Le automobili di lusso dovranno sempre più assomigliare a veicoli più modesti. Si dovrà rinunciare a ricercare l’eccellenza anche negli oggetti che ci circondano. Perfino l’alta gastronomia dovrà indirizzarsi verso uno stile minimale.
Le eredità e i lasciti testamentari, che sono un modo per trasmettere, all’interno di una famiglia, non solamente un patrimonio materiale, ma una storia, un’identità, una personalità propria – in una parola, una tradizione senza cui andrebbe persa la civiltà – sono divorati da uno Stato insaziabile. Malauguratamente, un gran numero di cattolici si è lasciato intossicare da tale ideologia egalitaria contraria alla proprietà. In campo politico, si smorza sempre più la naturale distinzione fra governanti e governati. La maniacale ossessione di coloro che oggi occupano importanti cariche di sembrare “normali”, e il comportarsi sempre come se fossero dei volgari zotici, non ha corrispondenza alcuna se non con la rabbiosa volontà dei sudditi, volta sistematicamente a sminuirli dalle loro funzioni. Tutto il contrario della disposizione di spirito anticamente espressa dall’aforisma “noblesse oblige”.
Nemmeno sfugge al progressivo cambiamento egualitario la sfera religiosa. L’essenziale distinzione tra clero e fedeli tende a sparire. I preti si vestono come dei civili, e i laici (prime fra tutti, le donne) si arrogano il servizio all’Altare. La pompa, i paramenti sacri, l’architettura e l’arte raffinata sono rifiutati e rimpiazzati da cose che rasentano la miseria: tessuti grossolani, forme spoglie, statue orripilanti. Il Primato pontificio e la potestà petrina sono contestati. Le distinzioni gerarchiche interne al clero si assottigliano. La Chiesa cattolica non deve più presentarsi come l’unica vera religione: sarebbe antipatico. In-
Al posto di una gerarchia di famiglie articolate in gruppi sociali, così da formare un quadro variopinto e armonioso,
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vece, considerare su un medesimo livello tutte le religioni diventa obbligatorio.
Parallelamente, vediamo come in tutto il mondo le divise militari perdono il loro sfarzo, diventando meramente funzionali, quasi fossero tute da lavoro. Non ci sono più quegli ornamenti che conferivano prestigio e dignità ai militari. Anche il copricapo, che dava una nota di autorità, è sempre più sostituito dal berretto. L’uniforme è un’evidente testimonianza di ineguaglianze giuste e necessarie, che il movimento egalitario vuol dissolvere.
A livello internazionale, si vagheggia di fondere tutti i popoli e gli stati in una sola repubblica universale, così da far scomparire le legittime caratteristiche e le differenze fra le nazioni, con lo scopo di annientarne a poco a poco la loro sovranità. È quanto mai opportuno rimarcare che la sovranità è, nel diritto pubblico, l’immagine della proprietà. La marcia forzata verso l’integrazione europea è un triste esempio di tale movimento, che tende all’egalitarismo mondiale.
In tal senso, una constatazione che forse potrà apparire aneddotica, senza pur esserlo, è il venir meno del ruolo degli ambasciatori nelle relazioni internazionali, in concomitanza col declino delle sovranità. L’ambasciatore, uomo di salotto e di rappresentanza, fine conoscitore della mentalità del paese ove si trova e dei rapporti di forze politiche talvolta complessi, vede oggigiorno la sua nobile carica ridotta a una mera comparsa ornamentale. L’addetto
commerciale, o il capo dei servizi segreti, rivestono oggi maggior importanza.
Nel mondo della cultura, poi, gli esempi dell’avanzata egalitaria sono molto numerosi. Tutti hanno come comune denominatore l’abolizione della differenza fra il bello e il brutto nelle produzioni artistiche.
Egalitarismo e odio verso Dio
Gli stessi rapporti fra gli uomini e Dio non sfuggono al cambiamento livellatore. La mentalità moderna è, infatti, profondamente influenzata dal panteismo, dall’immanentismo e da tutte le forme esoteriche di religione che tendono a stabilire fra Dio e gli uomini rapporti d’uguaglianza mentre divinizzano l’umanità.
L’ateo è un egalitario che, volendo evitare l’assurdità dell’affermazione che l’uomo è Dio, cade in un altro assurdo, affermando che Dio non esiste. Il laicismo è una forma di ateismo, e quindi di egalitarismo. Esso afferma l’impossibilità di giungere alla certezza dell’esistenza di Dio. Quindi, nella sfera temporale, l’uomo deve agire come se Dio non esistesse, ossia, come qualcuno che ha detronizzato Dio.
San Tommaso insegna che la diversità delle creature e la loro disposizione gerarchica sono un bene in sé, poiché così risplendono meglio nella creazione le perfezioni del Creatore. E dice che, tanto tra gli angeli quanto tra gli uomini, nel paradiso terrestre come in questa terra d’esilio, la Provvidenza ha stabilito la disuguaglianza. Per questo, un universo
v’è un grigio affollamento d’individui indifferenziati, l’uno accanto all’altro come i granelli di sabbia su una spiaggia
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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
In tutto il mondo le divise militari perdono il loro sfarzo, diventando meramente funzionali, quasi fossero tute da lavoro. Non ci sono più quegli ornamenti che conferivano prestigio e dignità ai militari
di creature uguali sarebbe un mondo in cui sarebbe cancellata, in tutta la misura possibile, la somiglianza tra le creature e il Creatore. Quindi odiare, per principio, ogni disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio.
Il carattere religioso del movimento egalitario
Si potrà discutere se questa o quella modifica, in concreto, possa trovare una sua giustificazione, ad esempio, nella correzione di un abuso evidente, o se quell’altra possa essere un’accettabile novità. Ma non ci si stupirà affatto se le soluzioni proposte ai moderni problemi siano tutte in senso egalitario. Un’uniformità che non è per niente naturale. È un modo di forzare la realtà e dar corpo a un sogno, a una sorta di mistica che dirigerebbe l’azione di quasi tutti gli uomini, l’idolo sotto il cui segno l’umanità troverebbe la sua epoca d’oro.
Questo movimento, o piuttosto questa rivoluzione impercettibile, riveste uno spiccato carattere religioso. In fondo, è una mistica. L’uguaglianza è innalzata a valore metafisico supremo, presentandosi come il principio direttivo cui tutti gli uomini devono adeguarsi se vogliono raggiungere la perfezione. Un “ideale” che è perseguito con un fervore religioso.
Donde viene un tale atteggiamento di “adorazione”, giacché, propriamente parlando, non v’è alcuna divinità da venerare e nessun culto da praticare?
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Promana e trae la propria forza dalla passione dell’orgoglio, che conduce chi vi ha ceduto ad amare, con tutta l’anima, l’egalitarismo. Poiché l’orgoglioso è il primo a pretendere di essere superiore a chiunque, brama di non aver alcuno superiore a lui, a qualsiasi livello.
L’egalitarismo è dunque un misticismo religioso, e come tutti i misticismi, è intollerante. Il vento che soffia oggi nel mondo è un vento d’intolleranza egalitaria, che può giungere alla persecuzione. Di fronte a questa rivoluzione egalitaria universale, che infetta tutti gli ambiti della vita e della società, e che tuttavia assai spesso è impalpabile, il cattolico si trova in una situazione diametralmente opposta e incompatibile con essa.
Una verità dimenticata: l’ideale cattolico di una società fraterna, perché armoniosamente gerarchica
Per comprendere il Magistero dei Papi circa le ineguaglianze giuste e necessarie, occorre dapprima comprendere il concetto cristiano di uguaglianza, basato sulla realtà della natura umana, nonché i suoi limiti, e dunque come si oppone al movimento egalitario. Vi sono due concetti di uguaglianza radicalmente opposti. La linea di demarcazione fra questi contrapposti concetti divide la società in due campi inconciliabili.
I cattolici hanno a poco a poco abbandonato la propria visione del mondo, che aveva plasmato un’autentica civiltà cristiana.
Il concetto cristiano di uguaglianza si affermò col Vangelo, mettendo in discussione la crudeltà del mondo pagano. Grazie agli insegnamenti di Nostro Signore Gesù Cristo, gli uomini hanno compreso di essere tutti figli di Dio, di esser tutti uguali per il fatto di appartenere al genere umano. In quest’ottica, tutti i diritti connessi alla natura umana sono identici per ciascuno, a cominciare dai principali e fondamentali: il diritto alla vita, alla dignità e all’onore e, dunque, alla libertà. Lo stesso si dica sul diritto alla proprietà, ossia il diritto di possedere i frutti del proprio lavoro, conseguenza diretta della dignità e della libertà della persona umana.
Il mondo pagano dell’antichità si rifiutava di riconoscere la fondamentale uguaglianza di tutti gli esseri umani. Donde la schiavitù, la condizione d’inferiorità della donna, il disprezzo della vita umana e tutte quelle manifestazioni d’ingiustizia e di crudeltà di un mondo barbaro e primitivo, che imbrigliavano il pieno affermarsi della persona.
spetto, di solennità. Era una delle caratteristiche più rimarchevoli della societas christiana.
Senza dubbio, sarebbe un’esagerazione affermare che oggi questi costumi siano del tutto dimenticati. Nondimeno, si dovrà pur ammettere che molto di ciò è scomparso, e che il poco che resta va diminuendo e impallidendo di giorno in giorno.
I cattolici hanno abbandonato, a poco a poco, la loro visione del mondo, che aveva forgiato un’autentica civiltà cristiana, e si sono lasciati travolgere, spesso inavvertitamente, da un processo egalitario molto distante dal loro ideale di una società veramente fraterna perché armoniosamente gerarchica. Come siamo arrivati all’odierna società, caratterizzata da una continua ribellione dell’inferiore contro il superiore, dal rifiuto di rendere il dovuto
Per il cristianesimo, e per tutti coloro che si riconoscono nella sua concezione del mondo, non esiste affatto una sub-umanità che si possa privare dei diritti fondamentali, sicché il diritto alla vita è lo stesso per tutti i membri del genere umano, qualunque sia la loro razza, età o condizione.
D’altra parte, però, la concezione cristiana dell’uguaglianza riconosce che esistono delle ineguaglianze che sono giuste e necessarie. Non certo ineguaglianze essenziali, ossia connesse all’umana natura, quanto piuttosto ineguaglianze circostanziali. È il caso del talento, della bellezza, della virtù, del sapere e anche della nascita o della ricchezza. Ad esempio, l’ineguaglianza fra professore e alunno, è un’ineguaglianza giusta e necessaria. L’insegnamento della Chiesa afferma così una duplice realtà: gli esseri umani sono tutti uguali per quanto riguarda i diritti essenziali connessi e derivanti dall’umana natura stessa, ma contemporaneamente esistono delle ineguaglianze circostanziali che sono giuste e necessarie.
Nei secoli in cui la visione cattolica del mondo era origine e modello di civiltà, l’età, l’educazione, la cultura, le arti, i mestieri e un’infinità di altre circostanze davano il tono ai rapporti sociali, segnandone leggi, costumi ed economia, e conferendo a tutta la vita pubblica e privata quel senso di gerarchia, di riNew York, Shangai, Buenos Aires o Milano? Le costruzioni moderne sono pressoché identiche TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016 - 39
Odiare, per principio, ogni disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione: significa odiare Dio
omaggio ai superiori, a cominciare da Dio, sino a una rivolta contro tutte le ineguaglianze più razionali e più necessarie? Tutto è avvenuto mediante un lento processo che, trasformando gradualmente le espressioni della vita in società, ha imposto un secondo concetto di uguaglianza, opposto a quello cristiano.
Il concetto materialista di uguaglianza nega la natura umana
Il secondo concetto di uguaglianza è l’esatto opposto del precedente. Questo stesso concetto, incivile e pericoloso, nega in profondità che esista una natura umana ben definita, da cui promanano dei diritti fondamentali per il semplice fatto di appartenervi.
Tale concezione, rinnovando pienamente quella pagana antica, trova la sua piena affermazione nel materialismo evoluzionista marxista che, purtroppo, ha infettato vasti settori della popolazione, ambienti cattolici compresi.
Negando la realtà dell’umana natura, gli adepti di questa teoria affermano che i diritti fondamentali non sono affatto uguali per tutti. Ecco perché un bimbo nel grembo della madre non è più considerato una persona umana, al punto che non ha più diritto alla vita (aborto). Ecco perché malati, anziani o portatori di qualche handicap fisico o mentale non hanno lo stesso diritto alla vita dei giovani o sani di corpo e di mente (eutanasia). Negando la dignità della persona, nemmeno vedono alcun ostacolo alle manipolazioni dell’inge-
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gneria genetica, tanto che ritengono possa avanzare fino a “creare” un nuovo essere umano.
Pronti ad accettare il libertinaggio, costoro rigettano l’autentica libertà della persona, condannata a una sorta di minorità perpetua, incapace di assumersi le proprie responsabilità, sicché lo Stato (sorta di “grande fratello”) deve prenderla in carico per tutta la vita. Conseguentemente, i fautori dell’egalitarismo rifiutano anche la piena, personale disponibilità dei frutti del lavoro di ciascuno, sostenendo che questi debbano essere trasferiti per la maggior parte alla collettività, attraverso tasse e imposte che somigliano a vere e proprie confische. Per contro, i fanatici dell’invidia egalitaria vorrebbero un mondo ove ogni ineguaglianza circostanziale fosse soppressa.
Similmente, costoro vorrebbero che tutti abbiano la medesima scienza: una vera utopia, nociva e irrealizzabile; fremono dal desiderio di eliminare differenze di censo e di stato sociale, vogliono garantire che tutti abbiano le stesse caratteristiche fisiche, giungendo infine a eliminare la differenza – necessaria e legittima – fra uomo e donna, da rimpiazzare con individui dal sesso incerto e mutevole (si pensi alla questione del cosiddetto gender).
Motore della concezione egalitaria è, dunque, l’invidia e la gelosia. La divorante passione egalitaria fa in modo che le persone preferiscano una miseria generalizzata pur di non avere nessuno sopra di loro. Quando si diffonde tale concezione, nella misura in cui mette radici in una società, i frutti non sono altro che rovina e disperazione, morale e materiale.
Le preghiere di Plinio Corrêa de Oliveira
O
Preghiera del mattino
sapienziale e immacolato Cuore di Maria! Noi vi offriamo le preghiere, i lavori e i sacrifici di questa giornata, affinché Voi li purifichiate da ogni difetto, presentandoli quindi al vostro Divino Figlio, per l’abbattimento della Rivoluzione, la vittoria della Contro-Rivoluzione e, dunque, l’avvento del Vostro regno sulla terra.
Fateci fervorosi nella pietà, esimi nella purezza, coraggiosi nell’azione. Soprattutto, dateci la grazia di ricorrere a Voi in tutte le difficoltà, grandi o piccole che siano, affinché questa lotta ci unisca sempre più a Voi e ci aiuti ad acquisire la convinzione che siete Voi che perseverate, combattete e vincete in noi.
Sant’angelo custode della TFP; Santi angeli custodi di ognuno di noi; Santi patroni della TFP, aiutateci in ogni momento, allontanando da noi i pericoli, le insidie e gli assalti del nemico infernale. Così sia!
N
Preghiera della notte
oi Vi ringraziamo, o Madre del Buon Consiglio, per tutte le grazie e i favori che ci avete concesso in questa giornata. Perdonateci le nostre infedeltà, accettate la nostra fatica come meritata riparazione per le nostre mancanze. Otteneteci un riposo protetto dai Vostri Santi angeli, sotto il Vostro sguardo puro e materno, affinché domani ci potremo svegliare sempre più disposti a lottare per Voi, amandoVi con un fervore sempre crescente. Così sia!
(Castello di Manzanares el Real, Madrid, Spagna)
Il mondo delle TFP
Olanda: vittoriosa campagna in difesa delle tradizioni natalizie
U
n’antica tradizione natalizia olandese e fiamminga, risalente alla fine del secolo XVI, fa accompagnare San Nicola da un personaggio alquanto pittoresco: Zwarte Piet, ovvero Pietro Nero, un servo moresco che porta il sacco con i regali. Motivo di grande allegria per tutti, Zwarte Piet fa il suo ingresso solenne in Amsterdam in battello insieme con il Santo di Bari.
Con il pretesto di razzismo, però, la sinistra radicale vuole proibire la sua comparsa. Una prima richiesta per impedire il suo ingresso in città era già stata respinta dal Consiglio comunale nel 2013. L’anno successivo, la sinistra antagonista è tornata alla carica, portando la sua protesta in piazza. Alcuni mezzi di comunicazione hanno cominciato a oscurare il personaggio, per non essere accusati di “razzismo”. Immediata la reazione di Civitas Christiana, l’associazione olandese consorella delle TFP, che ha lanciato la campagna Red Zwarte Piet! (Salviamo Pietro Nero!). Patrono dell’iniziativa, il principe Bernard Ndouga, del Camerun. Si trattava di far arrivare al sindaco di Amsterdam petizioni in favore del personaggio.
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L’esito è andato oltre ogni attesa: in appena tre settimane, la TFP olandese ha raccolto più di 200mila firme, puntualmente consegnate al Sindaco da Hugo Bos, presidente di Civitas Christiana. Colpisce l’enorme numero di firme cartacee, raccolte dai
tanti volontari che si sono mobilitati per difendere il Natale tradizionale. La sede dell’associazione è stata inondata di messaggi di sostegno. E anche le donazioni sono piovute, permettendo di portare avanti la campagna con brio. “Il successo dell’iniziativa mostra come, sotto una cappa di apparente laicismo, il popolo olandese ci tenga molto alle tradizioni natalizie”, ha dichiarato Hugo Bos.
La sinistra, però, non si è data per vinta, e ha portato la battaglia nelle scuole, ottenendo che alcuni centri scolastici de L’Aia e di Utrecht proibissero la comparsa di Zwarte Piet. Di fronte alla nuova sfida, Civitas Christiana ha realizzato tre diverse iniziative durante il 2015: una petizione al presidente del Consiglio Mark Rutte; un’analoga petizione al ministro degli Affari sociali Lodewijk Asscher; nonché iniziative locali a L’Aia e a Utrecht per rovesciare la decisione delle scuole. E anche in questi casi, i risultati sono stati molto incoraggianti. Sia la Presidenza del Consiglio sia il ministero degli Affari sociali sono stati inondati da centinaia di migliaia di cartoline di protesta. La tradizione non è stata intaccata.
Sopra, Hugo Bos consegna le firme al Sindaco di Amsterdam. Sotto, la sinistra antagonista manifesta contro la tradizione natalizia
Accompagnato da Michel Hemminga, di Civitas Christiana, Hugo Bos ha poi partecipato a un dibattito pubblico con Jerry Afriyie, presidente del comitato Kick Out Zwarte Piet (Diamo un calcio a Zwarte Piet). “Zwarte Piet è la prima trincea dell’attacco alla nostra cultura e alle tradizioni olandesi, ed è quindi della massima importanza difenderlo – ha dichiarato Bos – Una volta riaffermata la tradizione di Zwarte Piet, sarà più difficile per gli avversari distruggere altri elementi della nostra cultura”. La battaglia continua.
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Il mondo delle TFP
V
Ungheria: Rosario pubblico contro il “matrimonio” omosessuale
olontari della Magyar Alapítvány a Keresztény Civilizációér, consorella ungherese delle TFP, hanno pregato un Rosario di riparazione e di protesta di fronte all’ambasciata degli Stati Uniti a Budapest, all’indomani della decisione della Corte Suprema che impone agli stati di equiparare a un regolare matrimonio le unioni fra persone dello stesso sesso.
Il verdetto annulla il risultato dei vari referendum regionali, che avevano mostrato una chiara
maggioranza contraria al “matrimonio” omosessuale. In altre parole, gli stati della Federazione non sono più liberi di decidere in questa materia. Il voto decisivo è stato quello del giudice Anthony Kennedy, un cattolico. Durissima l’opinione del giudice Antonin Scalia, che parla di “palese incostituzionalità”.
L’Associazione, intende portare avanti la sua testimonianza pubblica per impedire che questa tendenza si propaghi in Ungheria.
Perù: presentato libro sulla “Teologia della liberazione”
O
rganizzati da Tradición y Acción por un Perù Mayor, consorella delle TFP, si sono svolti ben cinque convegni di presentazione del libro di Julio Loredo «Teologia della liberazione, un salvagente di piombo per i poveri». Il tema non poteva essere più scottante, giacché questa corrente è nata proprio in Perù. Due convegni a Lima, due in Arequipa ed uno a Chaclacayo hanno segnato l’inizio della campagna di diffusione di questa importante opera, presentata anche alla Fiera del Libro Ricardo Palma, a Lima.
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L’incontro principale si è svolto all’Hotel Foresta, a Lima, dove l’autore è stato presentato da Alejandro Ezcurra. In Arequipa, il convegno ha avuto luogo nella Biblioteca Mario Vargas Llosa, presentato dal prof. Fernando Valle Rondón, dell’Università di San Paolo.
Francia: Capodanno con la TFP
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ome è ormai tradizione, anche quest’anno la Fédération pro Europa Christiana ha ospitato a Capodanno un programma giovanile, nella sede Notre Dame de la Clairière, in Lorena. Una trentina di giovani, per lo più provenienti dalla Polonia e dall’Italia, ha seguito un fitto calendario di riunioni, circoli di studio e attività culturali, compresa una visita a Domrémy, la città di Santa Giovanna d’Arco.
Colombia: simposio giovanile
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pprofittando della pausa di carnevale, il Centro Cultural Cruzada, di Colombia, ha realizzato un incontro giovanile in una tipica hacienda vicino a Medellín. I ragazzi hanno trascorso una settimana fra conferenze e attività ricreative. La presenza di un sacerdote garantiva la Santa Messa quotidiana. Alla fine, cinque tra i partecipanti si sono consacrati alla Madonna secondo il metodo di S. Luigi Maria Grignon da Montfort, manifestando in questo modo il proprio desiderio di dedicarsi interamente alla causa della civiltà cristiana.
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Il mondo delle TFP
March for life 2016 P
resieduta dalla sua ormai celebre banda musicale, la TFP americana ha partecipato anche quest’anno alla March for Life, a Washington DC. Nemmeno le previsioni meteorologiche, che annunciavano la peggiore tempesta di neve della storia recente, puntualmente piombata sulla città mentre la marcia era ancora in atto, ha fermato i valorosi militanti pro life.
Il movimento pro life americano è un modello per tutti. La sua politica di “no exception, no compromise” si è dimostrata vincente. Anche se la sciagurata decisione della Corte Suprema del 1973 è ancora in vigore, il fatto è che negli Stati Uniti l’aborto è sempre più ristretto. Ci sono interi stati dove non si trova nemmeno una clinica che lo pratichi. Ciò è dovuto all’incessante azione del movimento pro life che, oltre alle iniziative educative, realizza numerose manifestazioni di piazza, puntualmente tradotte poi in pressione politica su deputati e senatori, a livello sia regionale che federale.
“Nessuna legge può sovvertire l’ordine morale”, recitava uno striscione della TFP americana. Il problema dell’aborto è fondamentalmente morale e, quindi, religioso. Qualsiasi azione per la vita che non tragga vigore dalla Fede, e in essa trovi il fondamento, sarà, nei migliori dei casi, un’azione incompleta volta al fallimento. Preghiera e azione: ecco la formula vincente. 46 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2016
Family Day
Q
Segni dei tempi
uanti eravamo? Un milione, due milioni, oppure seicentomila? I numeri in realtà non sono tanto importanti quanto il fatto che, sfidando ogni possibile avversità – compresa l’ostilità di un certo mondo ecclesiastico – il popolo della famiglia ha riempito fino all’orlo il Circo Massimo di Roma, per urlare il suo deciso NO! al ddl Cirinnà, sulle cosiddette “unioni civili”. È stato un popolo festoso, combattivo, risoluto, venuto a Roma a proprie spese, e non pagato da qualche sindacato. I discorsi che hanno raccolto più applausi sono stati proprio quelli massimalisti. Qualsiasi accenno a compromessi o cedimenti, ha rischiato di trovare un silenzio sdegnoso. Questa piazza era lì per difendere la famiglia senza se e senza ma.
L’Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, che porta proprio nel nome la difesa dell’istituzione famigliare, era presente al Circo Massimo col suo caratteristico stendardo rosso col leone rampante dorato. “Qui oggi si fa la storia!”, tuonava al microfono Massimo Gandolfini, portavoce del comitato organizzatore “Difendiamo i nostri figli”. L’importanza storica di questo Family Day, insieme a quello dello scorso giugno, non potrà essere mai sottovalutata.
Esso segna il definitivo scollamento di importanti settori del laicato dalle politiche dialoganti, possibiliste e arrendevoli che hanno caratterizzato il mondo cattolico italiano dal dopoguerra. Politiche che oggi mostrano tutta la loro inefficacia di fronte al disastro che hanno prodotto, per esempio con l’introduzione del divorzio e dell’aborto. Di fronte alla reale possibilità della scomparsa della famiglia, sempre più cattolici sono disposti a lottare, con tutti i mezzi pacifici e legali a loro disposizione, per evitare questa ulteriore sciagura alla Chiesa e al Paese. Il loro lemma è semplice: nessun compromesso, nessun cedimento. Ogni altra politica sarebbe un tradimento. Sapranno le autorità competenti cogliere questi segni dei tempi?
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Gesù muore sulla croce
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nfine è arrivato il vertice di tutti i dolori. È un vertice tanto alto che è avvolto dalle nubi del mistero. I patimenti fisici hanno toccato il loro massimo. Le sofferenze morali hanno raggiunto il loro apice. Un altro tormento doveva costituire il culmine di un dolore così inesprimibile: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. In un certo modo misterioso lo stesso Verbo Incarnato è stato afflitto dal tormento spirituale dell’abbandono, in cui l’anima non ha consolazioni da Dio. E questo tormento è stato tale che Colui, del quale gli Evangelisti non hanno registrato una sola espressione di dolore, ha emesso quel grido lancinante: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.
di Plinio Corrêa de Oliveira
del Tempio si è strappato. La desolazione ha coperto tutto l’universo.
Perché? Per redimere l’uomo. Per distruggere il peccato. Per aprire le porte del Cielo. Il vertice della sofferenza è stato il vertice della vittoria. La morte era morta. La terra purificata era come un grande campo ripulito perché su di essa si edificasse la Chiesa.
Quindi, tutto questo è successo per salvare. Salvare gli uomini. Salvare l’uomo che io sono. La mia salvezza è costata tutto questo prezzo. E io non dovrei risparmiare più nessun sacrificio per garantire una salvezza così preziosa? Gesù, per l’acqua e per il sangue versati dal Tuo divino costato, per la piaga del Tuo Cuore, per i dolori di Maria Santissima, dammi Sì, perché? Perché, se era l’innocenza stessa? forze per distaccarmi dalle persone, dalle cose che mi Abbandono terribile seguito dalla morte e dal turba- possono allontanare da Te. Oggi muoiano, inchiodate mento di tutta la natura. Il sole si è oscurato. Il cielo sulla croce, tutte le amicizie, tutti gli affetti, tutte le ha perso il suo splendore. La terra ha tremato. Il velo ambizioni, tutti i piaceri che mi separavano da Te.