Anno 25, n. 81 - Marzo 2019 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
Vento di destra?
Come il mondo sta cambiando in senso “sbagliato�
Editoriale
La storia nella direzione sbagliata
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a storia, ci viene ripetuto con la cadenza di un mantra, non può che andare avanti, e ciò vuol dire a sinistra, ossia verso forme di pensiero e di comportamento sempre più ugualitarie e libertarie. A priori, nessuna reazione può avere successo perché sarebbe contraria allo “spirito dei tempi”. La storia non torna indietro!
Questionabile dal punto di vista teologico e filosofico, tale assioma lo è anche dal punto di vista storico. Secondo questo strano principio, non dovrebbe esistere la Spagna cattolica, romano-germanica. Infatti, niente assomiglia di più a una risurrezione, e quindi, in certo modo, a un ritorno al passato, della piena ricostituzione della grandezza cristiana della Spagna, alla fine degli otto secoli che vanno da Covadonga alla caduta di Granada. Il Rinascimento, così caro ai rivoluzionari, è stato, esso pure, sotto vari aspetti perlomeno, il ritorno a un naturalismo culturale e artistico fossilizzato da più di mille anni. La storia comporta dunque corsi e ricorsi, sia nelle vie del bene sia nelle vie del male.
Assistiamo oggi a un movimento di questo genere. Si parla di un “vento di destra” che soffia irruente in molti paesi del Vecchio e del Nuovo Continente. E non solo in ambito politico. In questo numero della rivista offriamo ai nostri lettori qualche spunto per capire meglio questo vento, diverso su base nazionale, però sempre puntando nella direzione “sbagliata”. Dove ci porterà questo vento? Dobbiamo assecondarlo?
Prima di tutto, dobbiamo prendere atto della sua esistenza, che manda in frantumi il mito di una storia che scivola sempre a sinistra. 2 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
Poi, da cattolici, dobbiamo senz’altro assecondarlo in quegli aspetti che coincidano col Magistero della Chiesa e con l’ordine naturale, o che conducano verso di essi. Fenomeno dinamico, come ogni movimento nella storia, va giudicato non soltanto per ciò che è ma anche per ciò che prospetta.
Infine, sempre da cattolici, dobbiamo lamentare che non sia sufficiente. Diceva Plinio Corrêa de Oliveira: “Il nostro leit-motiv dev’essere la Civiltà cattolica, apostolica, romana nella sua integrità, nella sua assolutezza e minuziosità!”. Una pioggerella non è un diluvio. Ciò non ci impedisce, tuttavia, di salutarla come un passo nella giusta direzione.
Tanto più che, avendo promesso a Fatima il trionfo del suo Cuore immacolato, abbiamo la certezza che in un dato momento la Madonna interverrà con un diluvio di grazie che convertirà molti cuori, mentre punirà quelli incalliti. Non abbiamo dubbi. Camminiamo verso la restaurazione della Civiltà cristiana, che sorgerà sulle rovine della Rivoluzione, come dalle ceneri dell’Impero romano è nato il Medioevo cristiano.
Siamo alle soglie della Settimana Santa che, dopo la morte in croce di Nostro Signore Gesù Cristo, culminerà con la Sua gloriosa risurrezione. “Abbiate coraggio! Io ho vinto il mondo!”, disse il Divino Maestro ai discepoli atterriti dalla prospettiva di perderLo e, quindi, di fallire, come persone e come Chiesa.
“Abbiate coraggio!”, ecco il messaggio che, insieme ai nostri migliori auguri di una Santa Pasqua, desideriamo presentare a tutti i nostri cari lettori e amici.
Sommario Anno 25, n° 81, marzo 2019
Editoriale. La storia nella direzione sbagliata Attualità Ciclo di conferenze Non è il mondo che giudica la Fede Sinodo per l’Amazzonia Continuatori di tutte le glorie passate della Chiesa Rivoluzione totale Vento da destra L’enigma Bolsonaro spiegato Brasile: l’ora degli esclusi Francia: gilet jaunes, sintomo di un malessere Anche in Germania soffia un vento conservatore Lo tsunami Box e la Spagna risorta USA a destra, nonostante Trump Come “leggere” un’icona Il mondo delle TFP Gesù muore sulla croce
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Copertina: gigantesca manifestazione contro il comunismo a San Paolo del Brasile. In tutto il mondo sta soffiando un vento di destra che si è tradotto nell’ascesa di leader come (da sin.) Jair Bolsonaro, in Brasile; Matteo Salvini, in Italia; Donald Trump, negli Stati Uniti; Sebastian Kurz, in Austria; e Richard Orban, in Ungheria.
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 25, n. 81 marzo 2019 Dir. Resp. Julio Loredo
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Attualità
La Cina riscrive la Bibbia per farla diventare “cinese e socialista”
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on pago di perseguitare i cristiani e di distruggere le loro chiese, il governo cinese vuole anche modificare le Sacre Scritture per soddisfare i propri capricci.
Il progetto è chiaramente sincretista. Esso intende, per esempio, riscrivere l’Antico Testamento in modo da renderlo compatibile con le scritture buddiste e gli insegnamenti confuciani.
Mentre confisca le Bibbie che trova in mano ai cittadini, il Governo cinese ha iniziato a pubblicare nuove versioni dei testi sacri, con un linguaggio che combacia con l’ideologia del Partito. È un modo per fare diventare il cristianesimo “cinese e socialista”.
Il recente accordo sottoscritto dal Vaticano con il governo di Pechino conferisce al Partito comunista cinese il potere di gestire la nomina dei vescovi e, implicitamente, l’agenda della Conferenza episcopale, comprese questioni riguardanti la liturgia, i contenuti della catechesi, e via dicendo. Ma a quanto pare i mandarini comunisti hanno interpretato l’accordo anche come una sorta di carte blanche per la manomissione delle Sacre Scritture.
Nel 2018, il governo comunista cinese ha avviato un piano quinquennale per rendere il cristianesimo più compatibile con ciò che considera gli autentici valori cinesi e socialisti. L’operazione fa parte di un più vasto progetto per nazionalizzare tutte le religioni, allineandole all’ideologia comunista.
Il piano quinquennale del governo cinese è iniziato ufficialmente il 1° febbraio 2018. Con questa riforma, ai bambini non è più permesso di frequentare i servizi religiosi cristiani.
L’accordo fra il Vaticano e la Cina ha abbandonato nelle mani del Partito comunista i cattolici, fedeli a Roma, della cosiddetta “Chiesa sotterranea” (foto a sin.) Sopra, il presidente Xi Jinping presiede il plenum del Partito comunista cinese 4 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
Il nome di Gesù proibito in Spagna
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a rivoluzione culturale anti-cristiana, iniziata in Spagna all’epoca del governo democratico cristiano di Adolfo Suárez, portata al parossismo dai socialisti González e Zapatero, e lasciata andare dai successivi governi del Partito Popolare, questa volta ha toccato il fondo. Le scuole della regione autonoma del Paese basco hanno bandito il nome di Gesù dai tradizionali canti natalizi, per non offendere gli studenti di fede islamica (tra l’altro, un’infima minoranza: appena il 2,02%). La Segretaria regionale della pubblica Istruzione ha diramato una normativa molto chiara: “Si celebri il Natale senza menzionare l’aspetto religioso”. Come fare il vino senza il mosto d’uva, o la pasta senza la farina…
Così per esempio, il tradizionale ritornello “i pastori sono andati a venerare il Bambino Gesù” è diventato “i pastori sono andati a cercare Pietro”. E, invece di cantare “Gesù è nato”, si intona “è arrivato l’inverno”. Nei casi in cui si usino cantici tradizionali, si deve specificare che non si celebra un evento religioso, bensì l’arrivo del solstizio d’inverno. La centralità di Nostro Signore Gesù Cristo
viene sostituita dal protagonismo dell’olentzero, un minatore dall’aspetto rozzo.
Il disegno del governo nazionalista è chiaro: cancellare il Natale dalla mente dei baschi, come passo per cancellare qualsiasi radice cristiana. Mentre in questo modo si cancellano le radici cristiane, si istituiscono invece le lezioni di religione islamica. Gli unici requisiti sono un Master in educazione e una laurea in lingua euskera.
L’Iraq dichiara il Natale giorno festivo
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l governo iracheno ha dichiarato ufficialmente il 25 dicembre un giorno festivo per celebrare “la nascita di Gesù Cristo”. Tutti i cittadini iracheni ora contrassegneranno la data come festa nazionale, e non più i soli cristiani.
“Buon Natale ai nostri cittadini cristiani, a tutti gli iracheni e a tutti coloro che celebrano la Festa in tutto il mondo”, ha detto il Governo su Twitter. E ha aggiunto: “Estendiamo i nostri più calorosi auguri ai cristiani in Iraq e in tutto il mondo per un Natale molto felice e sereno”.
La popolazione cristiana del Paese è stata decimata dalla guerra e dall’ascesa del gruppo terroristico dello Stato islamico. Nel 2003, c’erano circa 1,4 milioni di cristiani in Iraq. Oggi non sono più di trecentomila. Il 95% del Paese è composto da musulmani.
Sopra, una Messa in una chiesa a Mosul. L’Iraq vanta una Cristianità antica e radicata TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 5
Attualità
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Milano: + immigrati = - rendimento scolastico
l Laboratorio di Politica sociale del Politecnico di Milano ha pubblicato i risultati di uno studio realizzato nelle scuole del capoluogo lombardo. La ricerca mostra, numeri alla mano, ciò che molti già intuivano: un maggior numero di studenti stranieri si traduce in un calo del rendimento scolastico.
Lo studio dimostra che imparare diventa più difficile nelle scuole multietniche, cioè quelle che superano il 30% di studenti stranieri. Il fenomeno è più vistoso nelle elementari, ma perdura anche nelle medie. Alle superiori gli stranieri restano indietro, la
mendo problemi nell’apprendimento, i genitori italiani tendono a togliere i figli dalle scuole dove prevalgono gli stranieri. In questi ultimi anni, infatti, c’è stato un boom delle scuole private, con una forte crescita anche di quelle parentali.
Il problema riguarda non poche scuole. Avverte la consigliera comunale e regionale del Gruppo Misto, Silvia Sardone: “Nella nostra città ci sono 53 scuole primarie e 28 secondarie dove il 30% dei bambini sono stranieri. Questi numeri, che mi sono stati forniti dall’assessorato all’Educazione e Istruzione in seguito a una mia interrogazione comunale, devono far riflettere: la formazione dei bambini parte proprio dalle scuole elementari ed è inevitabile che in classi dove gli stranieri sono una buona parte o addirittura la maggioranza i programmi d’insegnamento rallentino”. Le indiscrezioni parlano di “allarme” all’ufficio scolastico regionale per la presenza abnorme di giovani immigrati nelle classi delle scuole milanesi, in particolare in periferia.
Uno studio del Politecnico di Milano mostra che dove gli studenti stranieri superano il 30% il rendimento scolastico cala vistosamente
stangata del primo anno c’è per tutti ma con percentuali diverse: fra gli italiani i respinti sono il 12%, fra quelli di altra cittadinanza sono più del doppio (28%). E alla fine del ciclo ci sono ancora due velocità: 4% contro il 14%.
“La performance scolastica cala quando nelle classi si supera la quota del 30 per cento di stranieri, è una soglia cruciale che dovrebbe essere evitata o comunque monitorata”, è la sintesi di Costanzo Ranci, docente di Sociologia economica.
Il resoconto dei presidi consultati in merito allo studio conferma poi un altro trend preoccupante: te6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
In alcune scuole milanesi, principalmente nelle periferie, la percentuale di stranieri supera il 70%, raggiungendo in alcuni casi il 90%. In questi quartieri, l’italiano si parla sempre di meno sulle strade e nei negozi. Sono diventati, a tutti gli effetti, quartieri ghetto.
Silvia Sardone chiosa: “A questo portano i quartieri ghetto creati da Pisapia prima e Sala ora: gli italiani sono in netta minoranza anche nelle scuole dell’obbligo. Il multiculturalismo tanto osannato a sinistra non contribuisce in alcun modo all’integrazione, anzi crea solo disparità che si traduce in una scarsa preparazione scolastica dei bambini, che proprio nella giovane età devono invece essere guidati a una crescita che possa formarli anche per il futuro”.
Il problema delle scuole milanesi si inserisce poi nel più ampio quadro di ciò che il prof. Simone Cheli, dell’Università degli Studi di Firenze, definisce “fallimento delle politiche attuali di integrazione (in Italia)”.
Cambio di paradigma nella Chiesa?
Ciclo di conferenze sul “cambio di paradigma” di Papa Francesco
S
i è concluso con successo il ciclo di conferenze per la presentazione del libro di José Antonio Ureta «Il ‘cambio di paradigma’ di Papa Francesco. Rottura o continuità con la missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato», di cui abbiamo già dato notizia.
A Milano l’incontro si è tenuto nell’Auditorium Agorà, totalmente gremito. Hanno parlato il prof. Tommaso Scandroglio, docente di Bioetica; il prof. Massimo de Leonardis, docente di Relazioni internazionali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano; e l’autore, José Antonio Ureta. Ha moderato il dott. Federico Catani, direttore di SOS Ragazzi.
Roma
Milano
A Verona, il convegno ha avuto luogo nel prestigioso salone dell’Accademia di Scienze, Lettere e Agricoltura. Presentati da Julio Loredo, presidente di Tradizione Famiglia Proprietà, sono intervenuti il prof. Stefano Fontana, direttore dell’Osservatorio Van Thuan di dottrina sociale della Chiesa; e José Antonio Ureta.
La seguente tappa è stata Firenze, nel palazzo del Consiglio regionale della Toscana. Dopo gli interventi introduttivi del consigliere Jacopo Alberti (Lega), e del prof. Pucci Cipriani, direttore di “Contro-Rivoluzione”, ha parlato il prof. Roberto de Mattei, presidente della Fondazione Lepanto; e José Antonio Ureta. Ha moderato l’avv. Ascanio Ruschi, presidente della Comunione tradizionale.
L’apice del ciclo di conferenze è stato toccato, senz’altro, a Roma, nel salone centrale dell’Hotel Quirinale, totalmente gremito, alla presenza di una statua pellegrina della Madonna di Fatima. Presentati da Julio Loredo, sono intervenuti il noto teologo Mons. Nicola Bux; il prof. Roberto de Mattei; e José Antonio Ureta. Notevole la presenza di giovani sacerdoti.
Verona
Firenze
È stata poi la volta di Napoli dove l’incontro ha avuto luogo nell’Hotel Renaissance Mediterraneo. Ha moderato il prof. Guido Vignelli, che ha introdotto Mons. Nicola Bux e José Antonio Ureta. Il ciclo di conferenze si è concluso a Salerno, nel tradizionale salone del Caffè Moka. Dopo l’introduzione di Julio Loredo, hanno parlato l’avv. Giovanni Formicola e José Antonio Ureta.
Napoli TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 7
Cambio di paradigma nella Chiesa?
N on è i l m on do c h e gi u d i c a l a F e d e
di don. Nicola Bux Trascriviamo l’intervento di don Nicola Bux al convegno a Roma per la presentazione del libro «Il ‘cambio di paradigma’ di Papa Francesco. Rottura o continuità con la missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato».
L’
analisi accurata e la rigorosa e completa documentazione, fanno del saggio di José Antonio Ureta uno strumento prezioso per comprendere i primi cinque anni di papa Francesco. La chiave di comprensione offerta è il “cambio di paradigma” che “consiste soprattutto in un’inversione di fattori: la dottrina e la legge devono essere subordinate alla vita vissuta del-
l’uomo contemporaneo”. Un articolo di Stanislaw Grygiel (Il Timone, Ottobre 2018) e l’intervista recente del cardinale Gerhard Müller vengono a confermare autorevolmente tale analisi.
Benedetto XVI non nascose che la Chiesa sta attraversando una crisi della fede. In che senso? È presa da un dilemma, tra la fede in Dio o quella nella praxis. Osserva Grygiel: “Alcuni teologi e pastori, accecati dall’efficacia delle scienze, trattano la teologia e la filosofia come se anch’esse fossero scienze. Sottomettono alla praxis pastorale il Logos, cercando furtivamente almeno di modificarlo, il che finisce con il trattarlo come se la Persona di Cristo fosse una delle opinioni e ipotesi che ieri erano in vigore, oggi invece non più”.
“La chiave di comprensione dell’attuale pontificato è il ‘cambio di paradigma’ che consiste soprattutto in un’inversione di fattori: la dottrina e la legge devono essere subordinate alla vita vissuta dell’uomo contemporaneo” 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
“Nel pensiero di papa Francesco, la verità è una relazione, non è il criterio della relazione, è dunque - in senso pieno – relativa” È conseguenza della penetrazione nella Chiesa del principio marxista – “la praxis precede la verità e decide di essa” – che ha fatto da fondamento per i ragionamenti di tanti professori in America Latina. Si tratta di un “errore metafisico e antropologico” di cui non si sono accorti tanti studenti, sebbene conoscessero gli effetti nei paesi a regime comunista. Grygiel ne parlò con Karol Woityla che commentò: “Lo pagheranno caro, e noi purtroppo pagheremo con loro”. Queste parole si sono avverate. “Il marxismo si è insinuato nella mentalità degli intellettuali occidentali e di tanti uomini di Chiesa così da indurli nella loro prassi a modificare la dottrina della Chiesa, cioè la Persona di Cristo. La confusione che ne consegue costituisce il più grande pericolo per la Chiesa”. L’antefatto è costituito dal processo di scristianizzazione dell’Occidente, descritto da Pio XII e riproposto nel saggio.
Cosa dobbiamo fare? Proclamare sempre la verità, perché “La verità vi farà liberi”. Se non sei in grado di parlare, non devi mentire, che non significa tacere vilmente. Anche il silenzio è una testimonianza alla verità. Però, tacere quando si deve parlare è altrettanto vile menzogna, come lo è parlare quando si deve tacere.
Giovanni Paolo II non adoperava mai parole di compromesso quando difendeva la verità della persona: non era peronista. Dunque, l’errore a cui stiamo assistendo nella Chiesa, permette di staccare l’uomo dalla verità e incatenarlo alla praxis, la quale decide come l’uomo e le cose debbano essere. Ogni praxis che produce la verità si riduce alla politica. Il cambio di paradigma di papa Francesco è questo. Infatti, Ureta documenta come, nel suo pensiero, la verità è una relazione, non è il criterio della relazione, è dunque - in senso pieno – relativa; così, l’ottica prevalente in cui egli si muove, è politica: si tratti di questioni politiche o ecclesiastiche, del Venezuela, dell’Ucraina o della Cina. Invece Giovanni Paolo II – annota Grygiel – non ha mai fatto politica: “Per lui essere sacerdote, vescovo e poi Pietro, significava incatenare ogni giorno la propria persona e quelle affidate al suo la-
voro alla verità dell’uomo rivelata nella Persona di Cristo”. In tal modo “egli è stato uno dei più grandi politici cui sia stata data la capacità di cambiare il mondo”. Perché, “la verità antica e sempre nuova è che a dividere gli uomini non è la verità ma la menzogna […] Il timor Dei lo teneva al riparo dall’aggiungere (alla Parola del Maestro), qualcosa di sé. Cristo è da adorare non da modificare. Giovanni Paolo II non adeguava Cristo al mondo”.
Le persone e le comunità – le famiglie, le nazioni e la Chiesa – non sono da riformare. Queste realtà o rinascono o muoiono. Rinascono ritornando al Principio con cui Dio crea l’universo e l’uomo nella Parola, che è suo Figlio. Questo avviene con la conversione a questo primordiale atto di amore. Solo così si riapre il dialogo fra Cristo e il cuore dell’uomo, annichilito ma non distrutto.
Questo avvia il processo della fede, intesa come immedesimazione nella presenza del Signore, sequela di Lui, esperienza viva del cambiamento dell’intelligenza e del cuore. Questa è la missione fondamentale della Chiesa – ha scritto Giovanni Paolo II – la sua identità profonda: “di tutte le epoche e, in modo particolare, della nostra, è di dirigere lo sguardo dell’uomo, di indirizzare la coscienza e l’esperienza di tutta l’umanità verso il mistero di Cristo, di aiutare tutti gli uomini ad avere familiarità con la profondità della redenzione, che avviene in Cristo Gesù” (Redemptoris Missio, 10). Altrimenti la Chiesa, come un mero organismo umano, si riduce ad una azienda burocratica, e non attualizza la santificazione del mondo.
Jean Guitton ha ricordato il problema di ogni generazione cristiana: è la fede che giudica il mondo o il mondo che giudica la fede? Il discriminante dell’ortodossia e dell’eresia sta proprio qui. Il problema dell’eresia è nel prevalere di una concezione naturalistica o razionalistica e/o mondana sulla realtà di TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 9
Cambio di paradigma nella Chiesa?
“Nel ‘cambio di paradigma’ spesso non si sente pronunciare neanche una volta la parola ‘Gesù Cristo’, la Messa è ridotta a show televisivo con danze e applausi”
Cristo. La gnosi cioè, ovvero il modernismo: la madre di tutte le eresie.
Ureta si riallaccia al discorso di chiusura del Concilio di papa Paolo VI che pure con Guitton conversava. Il suo dialogo col mondo moderno, in una prima fase, appare venato da ottimismo romantico. Ma, forse, senza che egli lo volesse, anziché purificare i valori umanisti della Modernità con la fede cattolica, li ha portati alle loro ultime conseguenze, arrivando alla postmodernità, di cui è frutto il cambio di paradigma. Una nemesi storica, se si bada al giudizio del card. Martini sulla Chiesa rimasta indietro di 200 anni. Invece, l’ortodossia ripropone continuamente la capacità di giudizio della fede sul mondo; al contrario dell’eresia per la quale esiste una particolare situazione del mondo che ha il diritto di giudicare la fede. Fondiamo questo sull’affermazione di Gesù: “È per un giudizio che sono venuto nel mondo…” (Gv. 9, 39). Sulla fede in Cristo come giudizio non ci si pronuncia più: Egli è diventato solo lo spunto per parlare d’altro. Inoltre, il limite costituito dal peccato viene nascosto: papa Francesco ha affermato che l’inequità è la radice dei mali sociali.
Dentro la Chiesa, l’opposizione al mondo è considerato un fatto negativo, da superare in nome della tranquillità. Eppure, il cristiano è straniero nel mondo, e non può mai stare tranquillo. Altrimenti, che ne sarebbe della Chiesa, realtà sociale nuova in cui Cristo abita corporalmente?
Il “mutamento radicale di paradigma” che fa sbandare tanti nella Chiesa odierna, è credere che l’urgenza sia portare nel mondo la giustizia per eliminare la povertà, o il commercio equo e solidale, o la fraternità, o mischiandosi con le situazioni
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estreme, migranti, omosessuali, divorziati, lotta per la legalità invece che per la riconciliazione; spesso non si sente pronunciare neanche una volta la parola “Gesù Cristo”, la Messa è ridotta a show televisivo con danze e applausi. Tutto questo mentre nel mondo è assente il riferimento a Dio, e il mondo diviene sempre più indifferente e nemico della Chiesa, della religione, della fede, di Dio.
Nel libro è riportato anche quanto dichiarato da Eugenio Scalfari in una delle interviste con papa Francesco: “La spinta che [Francesco] sta dando all’Ecclesia avrà profondamente cambiato il concetto di religione e di divinità e questo resterà un cambiamento culturale difficilmente modificabile”. Che dire? Se si realizzasse questo, le conseguenze sarebbero catastrofiche. Già oggi, la spinta missionaria è diminuita, segno di una crisi di fede. Tuttavia, nell’Evangelii Gaudium, papa Francesco afferma che la missione e l’annuncio sono il “paradigma” di ogni opera di Chiesa (cfr. n° 15); quindi, si dedurrebbe che non esiste un “nuovo paradigma” che marchi la rottura, ma sempre lo stesso che indica la continuità. Invece, in modo “peronista” – dicono a Buenos Aires – egli ha affermato che non esiste un Dio cattolico e che il proselitismo è una solenne sciocchezza; non convertire, ma servire, camminare insieme…
Ricordiamo quanto afferma Giovanni Paolo II: “L’unità della Chiesa è ferita non solo dai cristiani che rifiutano o stravolgono le verità della fede, ma anche da quelli che misconoscono gli obblighi morali a cui li chiama il Vangelo” (Veritatis Splendor 26). Sebbene il papa possieda la plenitudo potestatis, neppure lui può dispensare dai decreti positivi della legge divina. Non possono esistere cose come un omicidio legittimo, un santo adulterio, un furto consentito o una pia menzogna. Nemmeno una intenzione buona è in grado di tirar fuori un’opera buona da un’azione cattiva. Qualcosa di cattivo non può diventare buono grazie ad una buona intenzione o a dei buoni mezzi. Non dovremmo mai opporre la fede alla ragione né recidere il legame tra la dottrina e la vita. La pastorale non può essere in nessun caso
sganciata dalla teologia dogmatica. “Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo” (Lumen Fidei, 25). Seguiamo Tommaso che possedette al massimo grado il coraggio della verità (cfr. Fides et ratio 57-59).
In conclusione, dinanzi a questo ‘cambio di paradigma’, se la vocazione specifica dei laici è ancora la consecratio mundi dobbiamo domandarci – osserva Ureta – se è obbligatorio per un cattolico accompagnare questo indirizzo o se, al contrario, è lecito resistere. Müller nella recente intervista tradotta da LifeSiteNews: “Caterina da Siena si appellò candidamente e senza sosta alle coscienze di papi e vescovi, ma non li sostituì nelle loro posizioni”.
Dinanzi a un positivismo magisteriale simile al positivismo giuridico, gli antichi ribelli si sono trasformati in corifei del magistero papale. Ma lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare una nuova dottrina, ma per custodire il deposito della fede). “La sua autorità si estende sulla Fede rivelata della Chiesa cattolica e non sulle opinioni teologiche individuali di se stesso o dei suoi consiglieri”. Così il card. Müller nella recente intervista.
Allora, ci sono occasioni in cui è legittimo sospendere prudenzialmente l’assenso. Quando viene resa vana la Croce di Cristo, per non perdere la fede, come comportarsi: praticare l’obiezione di coscienza e “la fedeltà al papa nonostante il papa”. Ricordando con Müller: “Il Magistero dei vescovi e del Papa si trova sotto la Parola di Dio nella Sacra Scrittura e nella Tradizione e la serve. Non è affatto cattolico dire che il Papa come persona individuale riceva direttamente dallo Spirito Santo la Rivelazione e che ora può interpretarla secondo i suoi capricci mentre tutti gli altri devono seguirlo ciecamente e rimanere muti. Amoris Laetitia deve essere assolutamente conforme alla Rivelazione, e non siamo noi che dob-
biamo essere in accordo con Amoris Laetitia, almeno non nell’interpretazione che contraddice, in modo eretico, la Parola di Dio. E sarebbe un abuso di potere sottoporre ad azioni disciplinari coloro che insistono su un’interpretazione ortodossa di questa enciclica e di tutti i documenti magisteriali papali. Solo colui che è in stato di grazia può anche ricevere fruttuosamente la santa comunione. Questa verità rivelata non può essere rovesciata da alcun potere nel mondo, e nessun cattolico può mai credere il contrario o essere costretto ad accettare il contrario”.
Dunque, l’evoluzione nella comprensione che la Chiesa ha del Vangelo nel corso dei secoli non è una questione di cambiamento di paradigma ma di sviluppo della dottrina, organico e in continuità con la fede. Impressionante quanto dichiarato da Müller: “L’ideologia LGBT si basa su una falsa antropologia che nega Dio come Creatore. Poiché è in linea di principio atea o forse ha a che fare solo con una concezione cristiana di Dio ai margini, non ha posto nei documenti della Chiesa. Questo è un esempio che l’influenza strisciante dell’ateismo nella Chiesa è stata responsabile della crisi della Chiesa per mezzo secolo. Purtroppo non smette di lavorare nella mente di alcuni pastori che, credendo ingenuamente di essere moderni, non si rendono conto del veleno che ogni giorno bevono e che poi offrono ad altri di bere”. Ed anche: “Se questo sacerdote (ndr. il gesuita tedesco ricollocato ad insegnare) chiama la benedizione delle relazioni omosessuali frutto di un ulteriore sviluppo della dottrina, per la quale continua a lavorare, non è altro che la presenza dell’ateismo nel cristianesimo. Non nega teoricamente l’esistenza di Dio, ma, piuttosto, lo nega come fonte della morale, presentando ciò che è davanti a Dio un peccato come una benedizione”. Se il ‘cambio di paradigma’ implica questa rottura, per Ureta bisogna interrompere la convivenza ecclesiastica con questi pastori.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 11
Cambio di paradigma nella Chiesa?
Sinodo per l’Amazzonia: verso una nuova Chiesa tribalista ed ecologista? di Raffaelle Citterio
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Papa Francesco ha convocato un’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione panamazzonica. Quali sono le implicazioni per la Chiesa e per l’Europa?
l pontificato di papa Francesco è stato puntellato da gesti clamorosi che hanno scardinato dottrine, pratiche e strutture finora ritenute consustanziali alla Chiesa. Egli stesso ha definito questa linea come un “cambio di paradigma”, cioè una netta cesura con la Chiesa prima di lui. Ecco un nuovo gesto clamoroso, che potrebbe scombussolare tante cose.
Nel relativo silenzio dei media europei (quelli latinoamericani ne parlano un po’ di più), il Pontefice ha convocato un’Assemblea speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione panamazzonica, che avrà luogo a Roma nel mese di ottobre. L’Assemblea coinvolgerà i vescovi dei paesi che comprendono i territori amazzonici: Brasile, Perù, Colombia, Ecuador, Venezuela e Bolivia. Ai quali si sommeranno osservatori di altri paesi. A tal fine, si è costituita la Red Amazónica Eclesial (Repam), un coordinamento di strutture ecclesiali latinoamericane, con sede a Quito (Ecuador). Rappresentanti della Repam sono in contatto permanente con le Conferenze episcopali europee, nonché con organismi dell’Unione Europea, per promuovere il Sinodo nel Vecchio Continente.
“Scopo principale di questa convocazione è individuare nuove strade per l’evangelizzazione di quella porzione del Popolo di Dio, specialmente 12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
degli indigeni, spesso dimenticati e senza la prospettiva di un avvenire sereno, anche a causa della crisi della foresta amazzonica, polmone di capitale importanza per il nostro pianeta”, ha detto il Papa nell’Angelus del 15 ottobre 2017.
Di per sé, l’idea di convocare un Sinodo per promuovere l’evangelizzazione dei popoli indigeni dell’Amazzonia sarebbe encomiabile. Essi sono, infatti, una porzione del Popolo di Dio che deve ricevere la Buona Novella. Purtroppo, già nel breve testo della convocazione si possono scorgere almeno due elementi che destano non poca preoccupazione, specialmente nella logica del “cambio di paradigma”. Si parla di “nuove strade per l’evangelizzazione”. Che cosa intende Francesco per “nuove”?
Le “antiche” strade cominciarono nel secolo XVI, con l’evangelizzazione degli indigeni per opera dei missionari spagnoli e portoghesi, fra cui alcuni canonizzati: S. Toribio de Mogrovejo, S. Francisco Solano, S. José de Anchieta, S. Pedro Claver, S. Roque González de Santa Cruz, S. Pedro de San José de Betancur, S. Luis Beltrán, S. Felipe de Jesús e altri.
Lo scopo di questa “antica” evangelizzazione era molto chiaro: annunciare a questi popoli la Buona Novella di Gesù Cristo, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, conducendoli così nel grembo di Santa Romana Chiesa, all’interno
di quell’immensa famiglia spirituale che configura la Civiltà cristiana. Con ragione papa Pio XII la definì “la più grande epopea missionaria dopo la fondazione della Chiesa”.
Da qualche decennio, però, è sorta una nuova corrente che contesta radicalmente tal evangelizzazione. Gli indios, dicono i seguaci di questa corrente, non hanno nessun bisogno di essere ammaestrati. È vero proprio il contrario: sono loro che ci devono ammaestrare. Non dobbiamo assolutamente portarli nel grembo della Chiesa. Anzi, è la Chiesa che deve adattare la sua dottrina, le sue pratiche e le sue strutture ai modi indigeni. D’altronde, non possiamo imporre agli indios la Civiltà cristiana. Siamo noi che dobbiamo imparare dal loro modello tribale più “innocente”, più “equo”, più “solidale” e per niente “consumista”.
Questa corrente – che si usa chiamare “indigenista” – ha perfino sviluppato una teologia: la “Teologia indigenista della liberazione”, o semplicemente “Teologia indigenista”.
I seguaci della corrente indigenista si stanno già mobilitando in tutta l’America Latina, e anche in Europa. Il Sinodo panamazzonico è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Annidati nei dipartimenti delle varie Conferenze episcopali, coordinati dalla Repam, costoro stanno già preparando gli schemi, pubblicando testi base e organizzando la propaganda mediatica. Un po’ come fecero i progressisti in occasione del Concilio Vaticano II. Sarà questo indigenismo che papa Francesco intende promuovere quando parla di “nuove strade per l’evangelizzazione”? Se non è ciò che intende, avrà messo allora in atto dispositivi per frenare o neutralizzare l’azione deleteria degli indigenisti? Oppure, col suo laissez faire, sta loro servendo in un vassoio d’argento l’occasione? Un secondo elemento che desta preoccupazione è la menzione alla “crisi della foresta amazzonica, polmone di capitale importanza per il nostro pianeta”. Prima di tutto, questo è un dato scientificamente discutibile.
La foresta amazzonica ha un denso sottobosco di materia in putrefazione che consuma di notte quasi tutto l’ossigeno prodotto durante il giorno. L’unico modo di farla diventare un vero polmone sarebbe ripulirla, cioè far intervenire l’uomo. Proprio ciò che gli ambientalisti non vogliono.
L’ambientalismo radicale va a braccetto con l’indigenismo, secondo cui gli indios sarebbero i custodi di antichissime conoscenze per la conservazione della natura. Proprio tale ambientalismo radicale serpeggia nell’enciclica Laudato Sii, che gli indigenisti sbandierano come una sorta di manifesto o programma.
A latere di queste due preoccupazioni centrali, sorgono altre domande: - si vuole manomettere la liturgia, con il pretesto di adattarla alla mentalità e alla tradizione indigena;
- si vuole cambiare la disciplina ecclesiastica in materia di celibato, creando la figura dei preti amazzonici sposati;
- si vuole manomettere la struttura organica della Chiesa, creando una rete di comunità indigene, piuttosto che parrocchie, presentate poi come modello per la Chiesa universale.
All’orizzonte spunta l’utopia di una nuova Chiesa tribalista ed ecologista, vecchio progetto del progressismo latinoamericano, denunciato da Plinio Corrêa de Oliveira già nel lontano 1976. Solo che questa volta è promosso dal cuore della Cristianità. Torneremo sull’argomento.
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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Continuatori di tutte le glorie passate della Chiesa di Plinio Corrêa de Oliveira viva, però, quest’eco si muove nella linea della santità e del progresso.
C
hi sono io? Io sono figlio della Santa Chiesa cattolica, apostolica, romana. Come figlio della Chiesa, io sono soltanto un minuscolo pezzo vivo della Chiesa. Noi tutti siamo piccoli pezzi vivi di quell’immenso organismo vivo che è la Santa Chiesa cattolica.
Voi conoscete la distinzione fra Chiesa docente e Chiesa discente. Noi siamo membri della Chiesa discente. In questo pauroso crepuscolo che attraversa la Chiesa, più tenebroso nella Chiesa docente che in quella discente, credo che i laici abbiano da ricoprire un ruolo speciale.
Mi spiego con un’immagine: al tramonto, quando il sole è ormai calato, resta quel bagliore rosso-aureo molto bello che riempie il cielo. Oggi [1972, ndr] possiamo dire che il sole è quasi totalmente tramontato nell’orizzonte della Chiesa. Mai totalmente però, perché Ella è immortale e indistruttibile. Il suo sole mai tramonterà completamente. Dobbiamo dire, tuttavia, che dagli ambienti di Chiesa quasi non arrivano più raggi di sole.
Spetta a noi far risplendere quel bagliore dei raggi che il sole emetteva prima di tramontare. Insieme con pochi e meritevoli membri della Gerarchia, noi rappresentiamo la fedeltà al Magistero. Noi siamo un’eco fedelissima di quel Magistero che una volta zampillava magnifico. Noi siamo appena un’eco viva. Proprio perché
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Da questa fedeltà luminosa, intrisa di profonda sofferenza, nasceranno nuovi bagliori per la Chiesa cattolica. La Chiesa cattolica è un sole che non smetterà mai di irradiare una luce sempre più bella e abbagliante. Alcuni raggi di questa luce stanno oggi sorgendo nella Chiesa discente.
Noi non vogliamo tagliare niente, bensì conservare tutto, accrescendo però qualcosa che si sviluppa secondo la logica e la fedeltà. Noi siamo il passato della Chiesa, vivo nella Chiesa discente, e intrisi di speranze per la Chiesa del futuro. Noi siamo i continuatori di tutte le glorie passate della Chiesa, e siamo già parte dell’aurora di quelle che verranno. Fra le glorie del passato e quelle del futuro, noi oggi siamo una sorta di istmo, che poi si aprirà in quell’immenso oceano che sarà il Regno di Maria. Noi portiamo tutte le acque del passato, incanalandole verso il futuro.
Dobbiamo lottare. Dobbiamo passare da una battaglia alla prossima senza soluzione di continuità. Non possiamo dimenticare la lotta. La guerra che oggi combattiamo segnerà la storia della Chiesa fino alla consumazione dei secoli. Nella liturgia, nelle cerimonie della Chiesa, in tutto dobbiamo accentuare il carattere militante, segnato dalla nostra lotta, dalle nostre sofferenze e dalle nostre lacrime. * Da una riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 4 aprile 1972.
Rivoluzione totale
di Plinio Corrêa de Oliveira
La Rivoluzione culturale in corso è stata chiamata anche Rivoluzione totale, una sorta di immensa coalizione di tutti i ribelli in lotta contro ogni aspetto dell’ordine dell’universo. Si parla di un “neoproletariato” multiforme. Plinio Corrêa de Oliveira riassume la portata di questa Rivoluzione.
L
a Rivoluzione culturale non intende solo far prevalere tale o talaltra concezione. Il suo fine ultimo è forgiare una sorta di grande coalizione di tutte le persone arrabbiate per la propria situazione: persone che si sentono oppresse, rifiutate o discriminate dalla società attuale. Vuole collegare queste persone in una sorta di rivolta generale contro la società. Sarebbe la rivoluzione di tutti gli sfortunati, i disgraziati, i criminali, i colpevoli, i banditi, tutti uniti in una rivolta generale. Contro chi? Contro l’uomo stesso e, in fondo, contro Dio.
Sarebbe la rivoluzione di tutti quelli che, in qualsiasi circostanza, si ritengono in situazione di inferiorità. Qualsiasi differenza o gerarchia è vista come fattore di discriminazione e, quindi, motivo di rivolta. Siccome le gerarchie nell’universo sono state create da Dio, questa è una rivolta contro il Creatore stesso.
È una rivoluzione con un grado di profondità e di malvagità difficili da immaginare.
Rivolta delle piante e degli animali. Ribellione dell’ordine animale, in alleanza con quello vegetale, contro l’uomo, colpevole di tutti i mali della natura. È una rivoluzione che procede dalle viscere dell’universo. Rivolta degli omosessuali e delle lesbiche. Ribellione del peccato, cioè del disordine morale, contro l’ordine naturale, una rivoluzione satanica che vuole cancellare dall’universo l’Ordine creato da Dio.
Rivolta degli immigrati. Ribellione dei popoli emarginati, che invadono il mondo occidentale, scardinandolo.
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Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Rivolta dei pacifisti. Poiché il mondo attuale non è in pace, deve esserci qualcuno che compia una rivoluzione generale contro tutti i governi per raggiungere la pace. Chi gestirà allora il mondo? L’anarchia. La pace sarà raggiunta per mezzo dell’anarchia. L’anarchia, che normalmente dovrebbe produrre il caos, è misteriosamente ritenuta un fattore di ordine e di pacificazione.
Rivolta delle femministe. Rivolta delle donne che vogliono diventare uomini. Non è ancora apparso il partito degli uomini che vogliono diventare donne. Ma sono sicuro che verrà nel prossimo futuro. Basta che ci sia qualsiasi aberrazione perché automaticamente appaia un partito per perorarla.
Rivolta delle minoranze razziali. Le minoranze razziali discriminate devono ribellarsi contro la maggioranza, proprio perché sono minoranze, secondo il principio che quelli che non hanno devono ribellarsi contro quelli che hanno. È la rivoluzione contro ogni differenza e ogni disuguaglianza. Rivolta degli zingari. Nomadi per natura, gli zingari si troverebbero in una posizione di inferiorità, discriminati come ladri e esclusi dalla società. Devono quindi ribellarsi.
Rivolta dei tossicodipendenti. I tossicodipendenti sognano il mondo che la droga presenta e non si conformano con quello reale. Noi, invece, accettiamo il mondo reale, con le sue bellezze ma anche con i suoi sacrifici e le sue difficoltà. E lottiamo. Sappiamo che soffriremo, ma questa è la volontà di Dio. Noi dobbiamo assumere la nostra quota di
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espiazione del peccato di Adamo come suoi figli, unendo le nostre preghiere e le nostre sofferenze al prezioso Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo.
Rivolta delle prostitute. Le prostitute sarebbero discriminate dalla società. Devono unirsi e ribellarsi contro le leggi e l’ambiente sociale che le ritiene una scoria.
Queste e altre simili rivolte sono varietà di anarchismo. È la rivolta della creazione contro il Creatore, per porre fine a ogni disuguaglianza e ogni differenza. Queste persone in fondo odiano Dio. Non dicono che non credono in Dio, ma lo odiano. Questa è la rivoluzione di tutti quelli che odiano Dio.
I partigiani della Rivoluzione culturale non dichiarano ciò apertamente. Provocherebbero una reazione troppo forte. Hanno, però, modi di insinuare questo odio senza dirlo chiaramente. Cominciano con il presentare alcune loro finalità come un sogno bellissimo ma impossibile, un’utopia. Così facendo, stuzzicano lo spirito di rivolta nel pubblico. Pur ritenendo questa rivoluzione utopica, l’uomo della strada pizzicato dalla proposta, comincia a fare piccoli passi in quella direzione. Alla fine, la Rivoluzione culturale spera di poter presentarsi in tutta la sua orribile malvagità. Di fronte a una tale Rivoluzione, in fondo un’eco del non serviam! satanico, la nostra reazione deve essere quella di S. Michele: Quis ut Deus!
* Da una riunione per soci e cooperatori della TFP brasiliana, 16 gennaio1991.
Speciale: vento di destra
Vento di destra
Come il mondo sta cambiando nel senso “sbagliato”
Q
uesti ultimi anni sono stati ricchi di avvenimenti, piccoli e grandi, che sembrano puntare verso indirizzi diametralmente opposti al flusso che il mondo (almeno quello occidentale) andava seguendo, caratterizzato da una costante marcia a sinistra, soprattutto in campo morale e culturale. Le elezioni di Donald Trump negli Stati Uniti, di Sebastian Kurz in Austria, della coppia Salvini/Di Maio in Italia (sempre più Salvini e sempre meno Di Maio) e, più recentemente, di Jair Bolsonaro in Brasile, per menzionare solo alcuni esempi, sembrano contraddire clamorosamente questo flusso.
“La storia degli ultimi dieci anni è la storia del fallimento [della sinistra] – scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera – è un fallimento ideologico e culturale prima ancora che politico. (…) Le élite globaliste stanno subendo un generale processo di delegittimazione che mette in crisi i loro sistemi politici”. Ne abbiamo già parlato in questa rivista un anno fa: “Sembra evidente che stiamo entrando in una nuova fase storica, in cui crescenti settori dell’opinione pubblica, sconcertati dallo sfaldamento di ogni cosa, cominciano a domandarsi se non abbiamo sbagliato strada e se, invece, un ritorno a certi valori e a certi atteggiamenti più ‘forti’ non sarebbe la soluzione”.
Da allora, questa tendenza si è ulteriormente accentuata. Ovunque sorgono movimenti controcorrente, come la protesta dei gilets jaunes in Francia e l’affermazione del partito Vox in Spagna.
Perfino nella Chiesa, nonostante le direttive in senso opposto che arrivano dai vertici, si sente una crescente disaffezione col progressismo, e una simmetrica apertura alla Tradizione, specie tra i giovani.
Si tratta di un fenomeno congiunturale, destinato a esaurirsi nell’arco di breve tempo? Oppure di un cambiamento profondo che può auspicare valide speranze?
L’analisi in profondità di questo fenomeno richiederebbe un libro, e non piccolo. In questo Speciale ci limiteremo a passare in rassegna alcune aree del mondo in cui ciò appare evidente, cercando di dare una visione d’insieme.
Pellegrinaggio di giovani a Chartres, Francia TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 17
Speciale: vento di destra
L’enigma Bolsonaro spiegato
di Julio Loredo L’elezione del presidente Jair Bolsonaro in Brasile ha scombussolato il panorama politico non solo latinoamericano ma anche mondiale. Quali sono le implicazioni di questa vittoria elettorale?
L’
ampia vittoria elettorale del presidente Jair Messias Bolsonaro, con le immani conseguenze politiche e culturali che essa prospetta, in Brasile e in America La-
tina, continua a spiazzare non pochi italiani. Essendo vissuto in Brasile per ben diciassette anni, visitandolo ancor oggi spesso, mantenendo stretti contatti con molti brasiliani, credo di poter dire di conoscere bene il Paese e la sua gente.
Mi sorprende dunque riscontrare, anche in persone a me molto vicine, idee confuse sulla situazione brasiliana e sul significato di questa vittoria. Prevalgono i dubbi e le diffidenze, anziché l’ottimismo. Di fronte a una svolta storica, queste persone restano a guardare, indecise. Comprensibile per alcuni versi, credo che questa posizione sia unilaterale e, di conseguenza, fuorviante. Mi viene quasi da pensare che vi sia una macchina da propaganda che alimenta tali diffidenze, poiché si manifestano identiche ovunque. E hanno sempre lo stesso risultato: neutralizzare le persone perbene.
Le diffidenze prendono spunto dalla persona stessa di Bolsonaro: uomo alla terza unione coniugale, che sfoggia un linguaggio alquanto rozzo, viA sin., Jair Messias Bolsonaro, 38° presidente del Brasile
Sopra, la folla radunata di fronte al Palazzo presidenziale per il discorso inaugurale 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
cino ai protestanti evangelici, al punto d’essere confuso come uno di loro, ecc…
Sulla sua personale situazione, c’è poco da ridire. Rincresce che non sia in regola con la morale della Chiesa, soprattutto trattandosi del capo di una nazione a maggioranza cattolica.
Quanto all’accusa di rozzezza, senza negare che nel corso della campagna elettorale, parlando al popolo, abbia a volte utilizzato un “portoghese da caserma” (ricordiamo che egli è capitano dell’Esercito), l’accusa è in realtà una reazione pseudo indispettita della sinistra benpensante, abituata ormai da troppo tempo a sentire soltanto le idee politicamente corrette da essa imposte come canone, e comprensibilmente sorpresa e irritata con uno che dice pane al pane e vino al vino. Tuttavia sembra che egli abbia cambiato stile una volta assunta la massima carica dello Stato. Basta sentire i suoi discorsi da presidente per rendersene conto. Cosa che pochi italiani fanno, accontentandosi invece dei resoconti tendenziosi dei media nostrani. Rincresce certamente la sua troppa vicinanza ai protestanti, pur proclamandosi apertamente cattolico. In questo caso, però, vi è un preciso motivo.
Per decenni, il clero brasiliano è stato in balìa alla cosiddetta Teologia della liberazione, di stampo marxista, condannata nel 1984 da papa Giovanni Paolo II. Con rare eccezioni, tanto discrete da essere in pratica invisibili, il clero brasiliano si gettò anima e corpo nella causa del socialismo, sull’onda di un’interpretazione estrema e ideologica dell’“opzione preferenziale per i poveri”, giungendo perfino ad appoggiare la lotta armata.
dal 95% di cattolici nel 1960 (quando è iniziata la svolta progressista), al 63% nel 2010. Stufi di ascoltare omelie rivoluzionarie, i fedeli hanno cominciato a disertare in massa la Chiesa, confluendo nelle sette evangeliche che al discorso religioso associano posizioni conservatrici in campo sociale, morale e politico. Così è nata una “destra evangelica”, oggi molto radicata sul territorio. Ovviamente, questa destra ha votato Bolsonaro, mentre i vertici della Chiesa si sono invece schierati in favore del candidato della sinistra marxista, Fernando Haddad. Andiamo, però, un po’ più in profondità.
La punta dell’iceberg
In politica non è tanto importante ciò che una persona sia, quanto piuttosto ciò che rappresenta. Senza chiudere gli occhi davanti ai, tanti o pochi, difetti personali del presidente Bolsonaro, la domanda da farsi è altra: come mai una persona con queste posizioni e con questo stile è riuscita a ottenere il 56% dei consensi? Quali sono le caratteristiche del movimento di opinione pubblica che egli oggi capeggia? Si tratta di un fenomeno effimero, o piuttosto di un cambio di paradigma che consente qualche speranza? Bolsonaro è appena la punta dell’iceberg di un vasto fenomeno di opinione pubblica che si espande su tutto il territorio brasiliano e in ogni ambiente sociale. Questo fenomeno è visibile a occhi nudi.
Mentre i vescovi sceglievano l’opzione preferenziale per i poveri, i poveri sceglievano l’opzione preferenziale per il protestantesimo. Si è così passati
In Brasile si stanno molteplicando le Sante Messe in rito romano antico, mentre ritornano vecchie usanze di Chiesa, come il velo e la separazione nella nave centrale Nelle foto, la Santa Messa a Belém do Pará
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Speciale: vento di destra
“Credo che stiamo entrando in un’era storica nella quale si può cominciare a dire: ‘Ecco che inizia a spuntare l’aurora!’. Dall’inizio dell’aurora fino a che si fa giorno può trascorrere ancora molto tempo. Ma il processo è cominciato” Plinio Corrêa de Oliveria, 24 dicembre 1994 trascende i fattori congiunturali. Si parla di un gigante addormentato che finalmente comincia a svegliarsi.
Una previsione di trent’anni fa
Si moltiplicano i blogger di destra, quasi tutti giovanissimi, con milioni di follower. Sorgono nuovi gruppi politici e culturali di orientamento conservatore. Guadagnano notorietà le conferenze online di orientamento tradizionalista. Si diffondono negozi di abbigliamento morigerato, in aperto contrasto con le mode immorali odierne. Dopo decenni di virtuale monopolio culturale della sinistra, si pubblicano sempre più libri e si realizzano sempre più convegni di area centro-destra. Infine, un dato per niente trascurabile: i sondaggi mostrano il 37% dei brasiliani favorevoli alla restaurazione dell’Impero.
Nemo repente fit summus. Niente di molto grande è sorto da un giorno all’altro. Fine osservatore dell’opinione pubblica, Plinio Corrêa de Oliveira aveva scorto le prime avvisaglie del fenomeno già nel lontano 1984. Commentando allora la vittoria elettorale della sinistra in alcune regioni, egli scrisse sul maggiore quotidiano brasiliano:
In campo cattolico, aumentano le Sante Messe in rito romano antico, mentre cresce esponenzialmente il numero dei sacerdoti giovani che usano la talare. Un giro di conferenze del cardinale Raymond Burke, un paio di anni fa, ha riempito auditori con migliaia di partecipanti, per lo più giovani. Impressionava il numero di ragazzi in giacca e cravatta e di ragazze con gonne sotto il ginocchio.
“Se la sinistra si mostrerà implacabile nell’applicare le rivendicazioni ‘popolari’ e livellanti con cui è arrivata al potere; se si mostrerà amareggiata e permalosa quando riceverà critiche dall’opposizione; se perseguiterà l’opposizione attraverso meschini cavilli legislativi, arbitrarietà amministrative o l’oppressione della Polizia, il Brasile si sentirà frustrato nella sua aspirazione di una vita rilassata e spensierata. All’inizio prenderà le distanze dalla sinistra. Poi comincerà a mostrare insofferenza. Alla fine si solleverà furioso. La sinistra avrà perso la partita della popolarità. [...] In altre parole, se la sinistra, ora così influente nello Stato e nella Chiesa, non capirà il carattere fondamentalmente pacato del popolo brasiliano, smetterà di attrarre e finirà per inabissarsi nell’isolamento. Prima parlerà a moltitudini silenziose, poi queste moltitudini gli si ritorceranno contro”.
Sono tutti segni di un mutamento profondo nell’opinione pubblica brasiliana che, secondo gli analisti,
“Il numero di persone favorevoli alla TFP mi sembra stia aumentando considerevolmente. Io credo che, se non oggi, fra qualche anno ci sarà una maggioranza la quale, sebbene potrà non aderire totalmente a noi, si mostrerà bendisposta alle nostre posizioni. Cinque anni fa, io non avrei detto questo. C’era molto rancore nei confronti della Contro-Rivoluzione. Cosa è cambiato?
Tutto questo è sfociato in uno tsunami ideologico che ha spazzato via la sinistra dal potere. Gli scandali per corruzione a carico del marxista Partito dei lavoratori (PT), che ha governato il Brasile per quattordici anni, sono appena l’indizio de un rigetto molto più profondo. Basta vedere le oceaniche manifestazioni anticomuniste che hanno costellato il Brasile al grido: “O Brasil jamais será socialista!”.
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Approfondendo l’analisi, egli commentava nel gennaio 1994:
“In mezzo al caos moderno, un crescente numero di persone aveva perso la capacità di avere un’opinione. La confusione è diventata così soverchiante, che non sapevano più cosa pensare. In preda a una sorta di smarrimento, adesso provano gioia nel vedere la Contro-Rivoluzione, con i suoi principi di ordine, il suo buon orientamento, ecc. E cominciano a desiderare ciò che finora avevano rifiutato. Di fronte al caos, cominciano ad avere nostalgia della casa paterna”. E ancora nel dicembre 1994:
“Credo che stiamo entrando in un’era storica nella quale si può cominciare a dire: ‘Ecco che inizia a spuntare l’aurora!’. Dall’inizio dell’aurora fino a che si fa giorno può trascorrere ancora molto tempo. Ma il processo è cominciato. (…) Vediamo questo processo, per esempio, nell’inizio del crollo della sinistra in tutto il mondo e nel sorgere di movimenti opposti a essa”. È proprio la nostalgia della casa paterna che spiega, in profondità, quanto sta avvenendo in Brasile e in molti paesi occidentali, tra cui l’Italia.
Il discorso inaugurale
- “Dobbiamo farla finita con l’ideologia che, mentre difende i banditi, criminalizza le nostre Forze dell’ordine”; - “Mi impegno a difendere il diritto alla proprietà e alla legittima difesa”;
- “Dobbiamo dare un taglio netto all’approccio ideologico dei nostri rapporti internazionali. Per troppo tempo il Paese è stato governato secondo interessi partitici e ideologici”;
- “Ringrazio Dio per aver preservato la mia vita, e voi perché avete pregato per me nei momenti più difficili. Chiedo al Buon Dio che mi dia la sapienza per condurre la Nazione. Che Dio benedica questa grande Nazione! Il Brasile al di sopra di tutti, Dio al di sopra di tutto!”.
E adesso?
“Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose. Perché non vi è nulla che possa sconfiggere un popolo virtuoso e che ami veramente Dio”
Che cosa implica, in concreto, questa nostalgia? Lo possiamo intravedere da alcuni passaggi del discorso inaugurale del presidente Bolsonaro. “Semplici promesse elettorali…” dirà qualcuno. E sia. Dietro le promesse, però, vi è un pubblico avido di sentirle. E questo è il dato importante. Che cosa vogliono i brasiliani? Riportiamo alcuni passaggi, accolti con applausi fragorosi dalla folla, riunitasi di fronte al Palazzo presidenziale: - “Questo è il giorno in cui i brasiliani hanno cominciato a liberarsi dal socialismo, a liberarsi dall’inversione dei valori, dal gigantismo statale e dal politicamente corretto”;
- “Non possiamo tollerare che ideologie nefaste dividano i brasiliani, ideologie che distruggono i nostri valori e le nostre tradizioni, distruggono le nostre famiglie, fondamento della nostra società”; - “Dobbiamo affrontare la sfida dell’ideologizzazione dei bambini, della distruzione dei valori morali e della decostruzione della famiglia”;
Dove ci condurrà tutto questo? Possiamo annoverare qualche speranza? Qual è il compito dei cattolici di fronte al panorama appena descritto?
Tutto dipenderà dall’apertura delle anime alla grazia di Dio. Se questo vasto fenomeno già in atto andrà avanti, quante saranno le persone che capiranno di non potersi fermare a metà strada e di dover portare la reazione fino alle sue ultime conseguenze, fino cioè al rigetto totale della Rivoluzione? Ed ecco il compito dei cattolici: dare contenuto a questa reazione, allertando sulle false alternative, e mostrando invece la strada verso una conversione profonda delle anime, presagio della restaurazione delle civiltà cristiana.
Impossibile? Illusorio? La risposta l’ha data lo stesso Plinio Corrêa de Oliveira nel libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione»:
“Quando gli uomini decidono di collaborare con la grazia di Dio, allora nella storia accadono cose meravigliose: la conversione dell’Impero romano, la formazione del Medioevo, la riconquista della Spagna a partire da Covadonga, sono tutti avvenimenti di questo tipo, che accadono come frutto delle grandi risurrezioni dell’anima di cui anche i popoli sono suscettibili. Risurrezioni invincibili, perché non vi è nulla che possa sconfiggere un popolo virtuoso e che ami veramente Dio”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 21
Speciale: vento di destra
Avanti per la vita e per la famiglia!
D
ieci anni fa non c’erano. Oggi, invece, costellano il Continente latinoamericano. Sono le Marce per la Vita e per la Famiglia che, con cadenza sempre più frequente, portano sulla piazza un popolo festoso ma anche disposto a dare battaglia. Alla difesa della vita umana innocente dal concepimento fino alla morte naturale, si unisce la difesa della famiglia naturale e cristiana. Il tutto in opposizione all’agenda della Rivoluzione culturale prospettata dalla sinistra e, in concreto, dalla lobby lgbt.
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La crescita esponenziale dei movimenti per la vita e per la famiglia è un fattore importante nella svolta conservatrice che si sente in tutta l’America Latina, sebbene non con la stessa intensità in ogni paese. Si è perfino creato il “Fronte latinoamericano per la famiglia”, che coordina gli sforzi di questi movimenti.
(In senso antiorario: le Marce per la Vita e per la Famiglia a Lima, Perù; Guayaquil, Ecuador; Buenos Aires; San José de Costa Rica; Bogotà, Colombia; Guatemala; Messico; Panama)
Brasile: l’ora degli esclusi di Francisco Machado *
R
La svolta elettorale in Brasile non è spuntata dalla notte al giorno. Essa ha profonde radici nel recente passato del Paese, alle quali non è estranea l’azione di Plinio Corrêa de Oliveira e della TFP.
itornando in Brasile dopo sei mesi da una precedente visita - quando aveva notato un clima di angoscia e di tensione - un amico cileno mi ha riferito di aver avuto ora la piacevole sorpresa di trovarsi in un ambiente molto diverso: le persone erano allegre, rilassate, gentili.
È innegabile che, con la vittoria di Bolsonaro, il Brasile si stia svegliando dall’incubo rappresentato dalla situazione precedente e stia cominciando di nuovo a respirare, a risollevarsi pieno di speranza. È il risveglio di un gigante, chiamato opinione pubblica brasiliana, che i mille stratagemmi della guerra psicologica rivoluzionaria avevano messo a dormire.
I media hanno dovuto prendere atto con riluttanza della svolta conservatrice diametralmente opposta al Partito dei lavoratori (PT) e alla sua linea marxista rivoluzionaria. Di fronte a una realtà che non avevano saputo vedere, o non avevano voluto vedere, adesso gli opinionisti della sinistra stanno versando fiumi di lacrime, lamentando la sconfitta dell’agenda comunista e cercando di farsene una ragione.
Questo enorme movimento di opinione pubblica ha centrato le proprie speranze sulla figura del candidato Jair Bolsonaro. Né la macchina delle fake news né l’attentato contro la sua vita a Juiz de Fora sono riusciti a raffreddare l’animo di milioni di brasiliani che ne avevano avuto abbastanza dell’agenda rivoluzionaria marxista ed erano ansiosi di riscattare il paese.
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Speciale: vento di destra
“Bolsonaro è emerso dal brodo di cultura della TFP, Tradizione, Famiglia e Proprietà” Alexandre Versignassi
Il risultato è lì per chiunque voglia vederlo: 56% dei consensi elettorali, e una maggioranza conservatrice nel Parlamento.
Le radici di una reazione
Nemo repente fit summus - nulla di eccezionale si fa all’improvviso. Questa immane svolta a destra ha radici assai profonde. Un fattore essenziale è stato senza dubbio l’azione patriottica, intelligente e metodica portata avanti per decenni da Plinio Corrêa de Oliveira e la sua opera, la Società per la difesa della Tradizione Famiglia e Proprietà - TFP, ora continuata dall’Istituto che porta il suo nome.
Per assumere il controllo del Brasile, la più grande nazione cattolica del pianeta, conducendolo
verso strade opposte agli insegnamenti del Divino Maestro, i marxisti dovevano infiltrare la Chiesa, come avevano già fatto con lo Stato. Se fossero riusciti in questa impresa criminale, i rivoluzionari avrebbero controllato le anime e le menti di milioni di brasiliani. Attraverso il Brasile, avrebbero poi influenzato l’America Latina intera. Fu proprio in tale contesto che scese in campo Plinio Corrêa de Oliveira, leader indiscusso, pensatore cattolico e uomo d’azione che, sin dalla giovinezza, dedicò la propria vita a denunciare l’infiltrazione sinistrorsa e modernista in ambienti cattolici, smascherando i lupi travestiti da pecore.
Nel 1985, la Conferenza episcopale latinoamericana (CELAM) pubblicò un documento in cui indicava l’America Latina come il luogo in cui il conflitto ideologico era più fortemente vissuto. Da parte sua, Plinio Corrêa de Oliveira paragonò il Sudamerica a un gigantesco pendolo di 17,8 milioni di chilometri quadrati, con 400 milioni di abitanti, e con un potenziale economico e strategico illimitato, che oscillava tra il comunismo e l’anticomunismo (1). Ecco l’importanza geopolitica del Brasile nel contesto delle grandi nazioni e, quindi, l’importanza del dibattito ideologico al suo interno. Registro solo alcuni eventi eloquenti. Nel luglio 1968, la TFP brasiliana realizzò una sottoscrizione, che ottenne 1.600.368 firme, per chiedere a papa Paolo VI di contrastare l’infiltrazione comunista nella Chiesa. Nel giugno 1969 denunciò l’esistenza di organismi semiclandestini che tramavano la sovversione nella Chiesa. Per anni portò
“Il fondamento del discorso bolsonarista non è altro che la tradizione, la famiglia e la proprietà, cioè la famosa trilogia dell’associazione cattolica TFP” Roberto Boaventura da Silva Sá 24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
avanti campagne di denuncia della Teologia della liberazione e del suo braccio militante, le cosiddette Comunità ecclesiali di base (CEB).
Lo stesso ex presidente Lula ha ammesso che il Partito dei lavoratori non esisterebbe senza il contributo della Teologia della liberazione e delle CEB: “Tutto ciò ha contribuito alla mia formazione politica, alla costruzione del PT e al mio arrivo al potere” (2).
Oltre all’offensiva progressista, il Brasile ha subito anche l’urto della rivoluzione culturale che vuole minare la famiglia, fondamento della società. Sotto lo sguardo indifferente, e a volte perfino complice, di tanti ecclesiastici, il paese è stato travolto da un’ondata di immoralità e di pornografia che penetrava perfino nei focolari. Il marxismo culturale presentava nuovi modelli umani, comportamenti, atteggiamenti e mode atte a cambiare radicalmente il modo di essere dei brasiliani. Questo si è tradotto poi in numerose leggi che hanno scardinato la nostra società. Plinio Corrêa de Oliveira e la TFP hanno realizzato innumerevoli campagne in difesa della famiglia, della morale e delle usanze cattoliche. Vi era, però, un ostacolo quasi insormontabile: il silenzio discriminatorio della grande stampa, che censurava ogni iniziativa in difesa del Brasile autentico e fedele al suo passato.
Come portare la buona notizia delle attività controrivoluzionarie al grande pubblico, bypassando i media? Plinio Corrêa de Oliveira ha quindi lanciato la nobile epopea delle “carovane”: gruppi di giovani volontari che percorrono il Brasile realizzando campa-
gne di strada a diretto contatto con il pubblico. In quasi mezzo secolo, non c’è città brasiliana che le carovane della TFP non abbiano visitato, innalzando ovunque i loro caratteristici stendardi rossi col leone rampante dorato. Questa diffusione capillare ha fatto sì che le opere della TFP diventassero best seller nazionali. Un interessante resoconto dell’epopea di Plinio Corrêa de Oliveira e della TFP brasiliana in difesa dei valori della tradizione, la famiglia e la proprietà è il libro di Roberto de Mattei, «Il crociato del secolo XX. Plinio Corrêa de Oliveira» (3).
Il seme è caduto in terra fertile e ha cominciato a produrre frutto. Di fronte alla reale possibilità che il Brasile si trasformasse in una seconda Cuba, milioni di persone, fino ad ora silenziose, hanno cominciato a scendere in piazza per esprimere il loro malcontento con il caos, e per impedire che il Brasile fosse sequestrato dagli agenti rivoluzionari. Più di un opinionista ha qualificato la situazione come “l’ora degli esclusi”.
Vento conservatore
Nel qualificare il vento conservatore che oggi tira in Brasile, e che sta spazzando via le tossine rivoluzionarie, molti esponenti della sinistra parlano di “tradizione, famiglia e proprietà”. Vediamo alcuni dei tanti esempi. José Celso Martinez, teatrologo, esponente della rivoluzione culturale, dispiaciuto con l’attuale clima in Brasile, si lamenta: “Si è scatenata un’ondata in
In quasi mezzo secolo, non c’è città brasiliana che le carovane della TFP non abbiano visitato, innalzando ovunque i loro caratteristici stendardi rossi col leone rampante dorato.
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Speciale: vento di destra Con rare eccezioni, il clero brasiliano si gettò anima e corpo nella causa del socialismo marxista. Di conseguenza, i fedeli cominciarono a disertare in massa la Chiesa, confluendo nelle sette evangeliche A sin. il cardinale Claudio Hummes, di San Paolo, abbraccia il presidente Lula, del quale era strenuo sostenitore
difesa della tradizione, della famiglia, della proprietà” (4).
Berenice Bento, docente di Sociologia presso l’Università di Brasilia, non ha dubbi: “Le strade del Paese sono state invase da manifestanti della Tradizione, Famiglia e Proprietà- TFP” (5).
Alexandre Versignassi, direttore della rivista Super/Interessante, scrive: “Bolsonaro è emerso dal brodo di cultura della TFP, Tradizione, Famiglia e Proprietà. Il Brasile oggi è pieno di fobie per tutto ciò che non faccia parte di questa trilogia” (6).
Roberto Boaventura da Silva Sá, docente di letteratura presso l’Università Federale di Mato Grosso, scrive: “Qual è il fondamento del discorso bolsonarista? Non è altro che la tradizione, la famiglia e la proprietà, cioè la famosa trilogia dell’associazione cattolica TFP” (7).
In un’articolata analisi delle recenti elezioni presidenziali intitolata “La distruzione del cattolicesimo in Brasile e le implicazioni ecclesiali della vittoria di Bolsonaro”, il ricercatore e scrittore Vicente Montesino afferma che i fedeli non hanno ascoltato i propri vescovi, nonostante costoro presentassero il PT come il partito del popolo e dei cattolici. Secondo Montesino, il discorso rivoluzionario è finito per svuotare l’autorità della gerarchia. Oggi, l’importanza dei vescovi cattolici è pari a zero. Montesino imputa ai vescovi la distruzione del cattolicesimo in Brasile (8). Molto espressivo un articolo del blogger Jônatas Dias Lima su Life Blog: “Il voto città per città
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dimostra che i vescovi di sinistra non sono riusciti a influenzare i fedeli”. Egli riporta i risultati nelle diocesi guidate dai vescovi progressisti, favorevoli cioè al candidato del PT Fernando Haddad:
Prelatura di São Félix do Araguaia (MT), diocesi simbolo della Teologia della liberazione, mons. Adriano Ciocca: Bolsonaro 61,54%; Haddad 38,46%. Arcidiocesi di Londrina (PR), mons. Geremias Steinmetz: Bolsonaro 80,42%; Haddad 19,58%. Diocesi di Lages (SC), mons. Guilherme Antônio Werlang: Bolsonaro 73,83%; Haddad 26,17%. Diocese de Barra do Piraí (RJ), mons. Francisco Biasin: Bolsonaro 64,13%; Haddad 35,87%. Diocese de Campos dos Goytacazes (RJ), mons. Roberto Francisco Ferrería Paz, che giunse a diffondere un video chiedendo il voto per la sinistra: Bolsonaro 64,87%; Haddad 35,13%. Diocese de Jales (SP), mons. Reginaldo Andrietta: Bolsonaro 48%; Haddad 22,52%. Diocese de Roraima, mons. Mário Antônio da Silva: Bolsonaro 71,55%; Haddad 28,45%. Diocese de Vacaria (RS), mons. Silvio Guterres Dutra: Bolsonaro 75,37%; Haddad 24,63%. Diocese de Lorena (SP), mons. João Inácio Müller, che minacciò di scomunica chiunque avesse votato per la destra: Bolsonaro 79,14%; Haddad 20,86% (9). A dispetto di qualche dubbio e preoccupazione, è opinione generale in Brasile che si sia aperta una nuova era, nella quale gli esclusi potranno finalmente avere voce. Sapranno le autorità elette cogliere questo desiderio e portarlo a compimento? Preghiamo Nostra Signora Aparecida, Patrona e Regina del Brasile, che ricolmi loro delle sue migliori grazie, affrettando il giorno del trionfo del suo Cuore immacolato. * Ricercatore e giornalista brasiliano.
Francia: gilets jaunes: sintomo di un malessere di François Gillaume
Apparso sulla scena politica francese ed europea nell’ottobre 2018, il movimento dei gilets jaunes continua a stupire. È di destra? Di sinistra? È fine a sé stesso, oppure sintomo di qualcosa di più profondo?
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l movimento dei cosiddetti gilets jaunes ha monopolizzato le attenzioni della politica francese da quando è esploso nell’ottobre 2018. Si è perfino parlato di una nuova Rivoluzione francese, o una nuova Rivoluzione sessantottina. Impossibile abbozzarne una radiografia completa. Il movimento è assai complesso, in realtà poliedrico. A cominciare dalla dovuta distinzione fra il movimento originale – che ancora sussiste largamente nelle province – e le successive infiltrazioni sinistrorse e perfino anarchiche. Oggi ci sono troppi casseurs (rompi tutto), principalmente nelle grandi città.
Ciò non toglie che si possa intravedere, oltre il movimento, il brodo di cultura dal quale nasce, e che ritrae una Francia in preda a un profondo malaise, del quale è sintomo. I gilets jaunes contano, infatti, sul pieno appoggio dell’opinione pubblica. Commenta lo storico Stéphane Sirot: “Raramente si è visto in Francia un appoggio tanto massiccio dell’opinione pubblica a un movimento sociale. Spesso in Francia c’è benevolenza, al limite una maggioranza stringata, di sostegno ai movimenti sociali di
questo tipo. Che esso sfiorasse il 75%, però, non si era mai visto”.
Come spiegare che un paese moderno come la Francia stia affrontando quella che potrebbe diventare una delle peggiori crisi del periodo post-guerra fredda? Alcuni vorrebbero metterla sul classico confronto popolo-élite, in odore di giacobinismo. La realtà è più profonda: si tratta di una rivolta contro le élite che, in concreto, ci hanno governato nell’ultimo mezzo secolo, e che stanno portando la Francia dove essa non vuole andare. Impressiona dirlo, ma la verità è che, in un momento in cui abbondano più che mai i sondaggi di opinione, nessuno aveva previsto l’esplosione dei gilets jaunes. Ha colto tutti di sorpresa. Cosa vuol dire questo? Molto semplice: anche numeri alla mano, gli analisti sono troppo accecati dall’ideologia per vedere la realtà. Non si può spiegare altrimenti questo madornale abbaglio. Gli analisti si rifiutano di prendere sul serio i dati che hanno in mano semplicemente perché essi vanno contro le loro idee. Quindi, TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 27
Speciale: vento di destra
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Francia: la famiglia resiste
onostante tutti i tentativi dei successivi governi (sia di sinistra sia di “destra”) per denigrare, impoverire e dissolvere la famiglia, questa plurimillenaria istituzione tiene ancora. Hanno provato di tutto: mariage pour tous (coppie di fatto), abbassamento del quoziente famigliare, tagli al PAJE (prime d’accueil du jeune enfant), divorzio breve e senza processo, aborto libero, e un lungo eccetera. Nonostante tutto ciò, ecco i numeri dell’ultimo sondaggio Ipsos (2018): Il 72% degli intervistati si considera più vicino alla propria famiglia rispetto ai propri amici. Il 91% pensa che la famiglia sia il primo luogo di solidarietà. Il 90% ritiene che sia un valore che può essere condiviso da tutti. L’89% afferma che è il principale ammortizzatore sociale. L’88% che è la cellula base della società. Il 76% giudica che le politiche del governo penalizzano molto la famiglia. Il tasso di natalità resta troppo basso. E questo è preoccupante. Iniziano, però, a sorgere i difensori della famiglia tradizionale. “La famiglia merita di essere difesa, se non altro perché essa condiziona il futuro di tutti i francesi”, conclude un articolo sul noto blog Boulevard Voltaire. li disprezzano e li ostracizzano. Dovrebbero, invece, farsene una ragione: ormai ampi settori dell’opinione pubblica si sono scollati dalla loro influenza. Evidenti, i fattori congiunturali. Macron è un presidente debole. Nel primo turno ebbe soltanto il 24% dei voti. Il suo governo è composto da dilettanti allo sbaraglio. L’Assemblea nazionale sembra un fantasma trasparente. Eccetera. Ci sono, però, altri fattori più profondi.
Secondo me, un primo fattore è il trauma – mai rimarginato – degli attentati islamisti nel 2015 e nel 2016. Questi attacchi, i peggiori nel territorio metropolitano, tendono a eclissarsi nel dimenticatoio dei media. Ma non c’è dubbio che abbiano provocato
considerevoli effetti psicologici, creando un sentimento di insicurezza cui i governi non hanno saputo rispondere, anche per la mancanza di una seria riflessione sulle cause che li hanno prodotti.
A ciò si somma il crescente malessere di fronte al clima di insicurezza in molte periferie, ormai diventate enclavi musulmane, dove lo Stato francese ha perso ogni autorità. Ogni anno aumentano le Zones urbaines sensibles, meglio note come no-go zones, cioè quartieri dove un europeo non può avventurarsi se non rischiando la pelle. I gilets jaunes accusano il governo Macron – in realtà, tutti gli ultimi governi – di essere incapace di adempiere alla propria missione.
Bisogna distinguere fra il movimento originale – che ancora sussiste largamente nelle province – e le successive infiltrazioni sinistrorse e anarchiche
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I gilets jaunes accusano tutti gli ultimi governi di essere incapaci di adempiere alla propria missione Da sin.: François Mitterrand, Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac, Nicolas Zarkozy, François Hollande
Un secondo elemento, a mio parere, riguarda la reazione della società francese alla globalizzazione e all’europeizzazione, cioè alla crescente cessione di sovranità all’Unione europea. Ciò ha portato alla concentrazione del potere – economico, culturale, politico, sociale – nelle mani di alcune élite globaliste ed europeiste, a scapito della France de souche (la Francia profonda). È una frattura visibile sul piano territoriale e su quello culturale.
I gilets jaunes si rendono conto che non sono più al centro della società, della sua storia, della sua immaginazione. La valorizzazione delle minoranze politicamente corrette – donne, immigrati, omosessuali e via dicendo – è stata accompagnata da una simmetrica svalutazione della Francia profonda, della Francia reale.
Questo fenomeno è stato accompagnato da una restrizione dello spazio di discussione pubblica. I dibattiti sono ora monopolizzati da una serie di attori i cui interessi e valori coincidono con la visione delle élite globaliste. Questo piccolo mondo delimita il quadro della discussione, segna il campo dell’accettabile e dell’inaccettabile, pronuncia anatemi e scomuniche. È la dittatura del politicamente corretto. Molti francesi hanno cominciato a dire basta!
nessuno! La realtà è che, dietro una maschera di Stato liberale e democratico, la Francia è diventata un paese socialista.
Questo peso dello Stato toglie competitività all’industria francese. Un imprenditore tedesco, per esempio, è capace di offrire lo stesso prodotto a un prezzo 20% più economico di quello francese, per il minore peso dello Stato. Il declino inesorabile dell’economia è un fattore del malaise che si traduce in movimenti come quello dei gilets jaunes. Per concludere. Non so quale sarà l’indomani dei gilets jaunes. Una cosa, però, è certa: qualcosa è cominciato a muoversi in Francia. Se non adesso e in questo modo, verrà alla luce domani e in altri modi, con ancor più forza. È interessante notare il fatto che, nonostante alcuni tentativi del Rassemblement national e di altre realtà, a volte straniere, di capitalizzare il movimento, i gilets jaunes non si identificano con Le Pen, né con i settori detti sovranisti. In realtà, nessuno è riuscito finora a mettersi a capo di questa vasta reazione.
Sotto mentite spoglie di scientificità, la ricerca attuale serve principalmente a legittimare i dogmi contemporanei. Gli attivisti e i ricercatori sono spesso le stesse persone. Un caso paradigmatico è la teoria di genere. Un altro fattore che vorrei commentare è il peso eccessivo dello Stato francese.
Per decenni, i governi hanno ridotto l’area in cui ognuno di noi può prendere decisioni libere e assumersi le proprie responsabilità. Alla morte di Georges Pompidou, nel 1974, lo Stato controllava il 29% del Pil. Oggi siamo al 57%. E ciò senza soddisfare
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Speciale: vento di destra
Gran Bretagna: il “Rosary Revival”
di Edward Knowles
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ell’ottobre 2017 in Polonia fu organizzata una recita del Santo Rosario in una catena umana che occupò tutta la frontiera est del Paese per mostrare al mondo, e in particolare alla Russia, che i cattolici polacchi si erano mobilitati. L’evento, definito il “Rosario del confine”, è stato giustamente commentato dai media come segno del vento conservatore e patriottico che soffia da quelle parti.
generale - negli ultimi cinquant’anni è stato davvero notevole”.
Per gli analisti, il “Coast to coast Rosary”, il raduno di preghiera per la conversione dell’Inghilterra, ha segnato una svolta nel cattolicesimo inglese. Il prof. Stephen Bullivant della St. Mary’s University, autore del libro «Esodo di massa: la diserzione cattolica in Gran Bretagna e in America dal Vaticano II», in proposito osserva: “Il declino del Rosario - anzi, della pietà mariana in
Commenta Bullivant: “Una sorta di fervore per il Rosario sta soffiando nella popolazione cattolica. Cresce il numero di ragazzi che non si vergognano di essere visti a scuola sgranando gli Ave Maria. La devozione mariana sta tornando in vigore, specialmente tra i giovani che, curiosamente, non erano stati educati alla recita del Rosario”.
Nell’aprile dello scorso anno, nel silenzio dei mezzi di comunicazione, l’evento si è ripetuto in Gran Bretagna. I cattolici inglesi si sono riuniti in un’immensa catena umana che, partendo dalle lontane Isole Shetland, ha fatto tutto il giro delle coste di Scozia, Inghilterra e Galles.
Nel 1952, lo stadio di Wembley si riempì con 83mila cattolici che pregavano il Rosario. E quella era solo una piccola parte del milione di cattolici britannici che partecipavano alla “Rosary Crusade”, nei parchi e negli stadi di calcio. Il Rosario è andato poi scemando dopo il Concilio. Negli anni Settanta, una scena come quella di Wembley sarebbe stata impensabile. Oggi, il panorama sta di nuovo cambiando, in senso opposto.
L’anno scorso la cattedrale di Westminster era piena per la consacrazione dell’Inghilterra e del Galles al Cuore Immacolato, e anche per la festa della Madonna del Rosario. Il santuario mariano di Walsingham continua ad attrarre decine di migliaia di visitatori ogni anno. Questo rinnovato fervore raggiungerà l’apice nel 2020, quando l’Inghilterra sarà di nuovo consacrata come “la dote della Madonna”.
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Anche in Germania soffia un vento conservatore
di Mathias von Gersdorff
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Anche in Germania si nota un cambiamento in ampi settori dell’opinione pubblica, specialmente in ciò che riguarda le reazioni contro la rivoluzione culturale.
n un recente programma televisivo sul canale 3SAT, il presentatore mostrava come l’aborto oggi in Germania sia visto con molte più riserve rispetto agli anni Settanta. Infatti, chi legge le riviste femministe, trova sempre più articoli in difesa dell’“autodeterminazione” delle donne. Come se la polemica stesse aumentando anziché diminuendo. Si nota un evidente spostamento dell’opinione pubblica tedesca in tema di valori per la vita e per la famiglia. Negli ultimi anni quasi tutte le regioni (Bundesländer) hanno introdotto programmi scolastici che includevano, in misura maggiore o minore, l’ideologia di genere. Contro questi programmi sono insorte diverse associazioni pro-famiglia, tra cui Kinder in Gefahr (Infanzia in pericolo), che ho l’onore di dirigere. Abbiamo fatto massicce campagne di protesta, tramite mailing, internet e via dicendo. In molte città abbiamo anche realizzato manifestazioni di piazza. L’appoggio dell’opinione pubblica a que-
ste iniziative cresce ovunque. Infatti, siamo riusciti a bloccare tali programmi in più di un Land.
Nello Hessen, per esempio, dove nel settembre 2016 era stato approvato un programma assai radicale che noi avevamo contrastato, si moltiplicano oggi le proteste delle lobby lgbt perché il programma non è stato ancora implementato. È chiaro che i politici ormai temono la reazione della gente. Cosa che non succedeva prima.
Potrei citare molti esempi, sintomatici di una nuova disposizione in settori dell’opinione pubblica tedesca, che reagisce sempre di più contro la rivoluzione culturale. La reazione non è nuova. Già dagli anni Settanta esistevano gruppi pro-vita e pro-famiglia. Erano, però, confinati a un pubblico di nicchia. Oggi questo sta cambiando. Un punto di inflessione è stato, senza dubbio, nel 2013 la campagna europea “Uno di noi”, in favore della vita dei nascituri. L’iniziativa raccolse in Germania più di centomila firme, qualcosa di inauTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 31
Speciale: vento di destra
Germania: nostalgia del passato
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embra che la Germania abbia nostalgia del suo passato. Negli ultimi anni ha preso corpo un dinamico movimento cittadino che punta alla ricostruzione integrale di molti monumenti storici distrutti nella II Guerra mondiale, con la contestuale demolizione dei “mostri” di cemento che li avevano sostituiti. Grazie a questa operazione di riqualificazione urbana, chiamata Rekonstruction, è stato, ad esempio, riesumato il Kaiserweg di Francoforte. Dall’855, nella Città sul Meno si riunivano i Principi Elettori per eleggere il nuovo Imperatore
del Sacro Impero. La cerimonia avveniva nel Duomo. Il neo eletto Imperatore usciva poi dalla porta principale e, tra il tripudio della folla, percorreva solennemente il Kaiserweg (Cammino Imperiale) fino al Römer, dove riceveva l’omaggio delle autorità.
Negli anni Sessanta di tutto questo restava ben poco. La stessa Römerplatz era stata trasformata in un ignobile parcheggio pubblico. Il disprezzo per la tradizione sembrava aver vinto. Poi, improvvisamente, le cose cominciarono a cambiare. Cedendo alla pressione della popolazione, il Comune dovette demolire siffatto parcheggio, costruendovi il magnifico blocco di case in stile neogotico che oggi possiamo ammirare, in questo modo restituendo alla Römerplatz la sua antica fisionomia (foto sotto).
Questo è solo il primo passo di un vasto progetto per ripristinare il Centro Storico, creando il Neue Frankfurter Altstadt (Nuovo Centro Storico). Un eco-mostro – il Technisches Rathaus – è stato già demolito (foto a sin.). Altri seguiranno il suo destino. Alla faccia di chi dice che la storia non torna indietro.
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dito in un paese in cui i settori cristiani conservatori si caratterizzavano per la totale estraneità al mondo della politica. Fino ad allora solo la sinistra mobilitava le masse.
Un’altra pietra miliare è stata la mobilitazione contro la “Risoluzione Lunacek”, nel 2014. Il Parlamento europeo aveva approvato una risoluzione presentata dalla deputata austriaca dei Verdi Ulrike Lunacek, lesbica e attivista lgbt, che prevedeva l’introduzione di un’educazione sessuale ultra-liberale nelle scuole. La reazione in Germania, alla quale abbiamo partecipato anche noi, è stata talmente grande, che tutti gli analisti hanno concordato che qualcosa di fondamentale era cambiato nelle basi dei cristiani conservatori, oggi molto più svegli e militanti che mai.
Questa reazione si è consolidata pochi mesi dopo, nella massiccia campagna di protesta innescata dall’introduzione dell’ideologia di genere nelle scuole del Baden-Württemberg. Si è costituita una vasta coalizione di gruppi pro-famiglia che, tramite campagne ideologiche e manifestazioni di piazza, è riuscita a fermare la risoluzione. Infatti, fino ad oggi non è stata ancora implementata ufficialmente. Parlo del vento conservatore in tema di vita e famiglia, di cui mi occupo specialmente. Lo spostamento dell’opinione pubblica tedesca, però, non si limita a questo ambiente. In ambito politico si osserva l’impennata del partito Alternative für Deutschland, il cui tema principale è l’immigrazione. Nelle ultime elezioni nazionali, nel 2017, aveva ottenuto il 12,6%, percentuale ancora in crescita in varie e più recenti votazioni regionali. Il qualificativo di “estrema destra”, datogli dai media della sinistra, è meramente propagandistico. Si tratta semmai di un partito conservatore con idee chiare su alcuni punti centrali.
La stessa Democrazia cristiana (CDU/CSU) ha dovuto adattare il suo discorso. Sono ormai passati i tempi del cedimento verso la social-democrazia, del quale Angela Merkel si era fatta alfiere. Oggi, con l’intenzione di recuperare gli elettori frustati per la svolta a sinistra, i politici democratici cristiani fanno gara a chi si presenta più pro-vita, pro-famiglia, antiimmigrazione, anti-socialista e via dicendo. È chiaro che la critica sistematica alla DC di aver perso il suo carattere cristiano, ha finito per fare breccia. Da parte sua, il Partito socialdemocratico non fa altro che perdere voti ormai da molto tempo.
Perfino i Verdi hanno dovuto prendere atto del mutato clima. Parlano sempre meno di temi sociali (aborto, genere, droghe, ecc.), per focalizzarsi sul loro vecchio cavallo di battaglia: l’ambiente. È evidente che qualcosa si muove in Germania. Con molta difficoltà, poiché da noi qualsiasi reazione nella buona direzione rischia di resuscitare fantasmi del nostro passato recente. Sembra, però, che i tedeschi stiano perdendo la paura che li ha paralizzati per decenni. Anche perché, le realtà che concretamente si richiamano a quei fantasmi sono oggi – grazie a Dio! – microscopiche. Questi fenomeni sono ancora nuovi e devono essere attentamente analizzati. Sarebbe prematuro fare congetture per il futuro. Soprattutto perché avvengono in un clima molto polarizzato, in cui ribollono i conflitti ideologici. Il futuro può offrirci molte sorprese.
A sin., una manifestazione del partito Alternativ für Deutschland. Nel tondo, Alice Weidel, candidata cancelliere dell’AfD TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 33
Speciale: vento di destra
Il significato della vittoria di Vox
Sull’irruzione di Vox nel panorama politico spagnolo abbiamo intervistato Ignacio Arsuaga, presidente di HazteOir, una piattaforma cittadina alla quale aderiscono quasi un milione e mezzo di membri. C ome possiamo leggere l’eccellente risultato di Vox nelle recenti elezioni regionali in Andalusia? Si tratta di un fatto locale e occasionale, oppure è indicativo di un orientamento dell’opinione pubblica spagnola?
Senza dubbio, il fenomeno Vox si estende a tutta la Spagna. Se in una regione tradizionalmente di sinistra come l’Andalusia, Vox è riuscito a ottenere l’11% dei suffragi, ciò vuol dire che potrebbe ottenere percentuali molto superiori nelle altre regioni. Questo è confermato dalla maggior parte dei sondaggi pubblicati dalle agenzie specializzate.
Di più. Ritengo che il fenomeno Vox sia internazionale. È chiaro che importanti porzioni delle società occidentali stanno dimostrando un crescente rigetto all’ideologia politicamente corretta del nuovo ordine mondiale. Trump, Bolsonaro, Orban e Vox sono indizi del rigetto a tale ideologia, fondata sul marxismo culturale, che il potere politico e quello mediatico vogliono imporci come una sorta di consenso universale, senza la minima possibilità di dissenso.
Lei prevede una svolta a destra nell’opinione pubblica spagnola? Quali i motivi? Quali le speranze che ciò suscita?
La svolta a destra nell’opinione pubblica spagnola è un fatto indiscutibile. Da una parte, il partito di estrema sinistra Podemos sta perdendo peso elettorale, scosso da forti conflitti interni. Dall’altra parte, Vox sta crescendo notevolmente nelle intenzioni di voto. La crescita di Vox sta costringendo il Partito Popolare a dare battaglia sulle idee, qualcosa alla quale aveva rinunciato l’ex presidente Mariano Rajoy. Così, anche il PP sta assumendo posizioni spesso coraggiose.
Il prossimo 26 maggio in Spagna si terranno elezioni europee, regionali e municipali. Allora potremo vedere fino a che punto si sia consolidata questa svolta verso il centro-destra, e perfino verso la destra.
I motivi per tale svolta sono molteplici. Mi sembra rilevante il fatto che molte realtà della società civile si siano mobilitate contro il femminismo radicale, contro l’aborto e contro il separatismo di alcune regioni spagnole. In questo senso, credo che queste realtà civili, e quindi indipendenti dai partiti, abbiano avuto un ruolo essenziale da apripista, un po’ come una nave rompighiaccio che si è scagliata contro l’iceberg apparentemente infrangibile del marxismo culturale, spaccandolo. In ogni caso, si apre un periodo di speranza. Finalmente ci accorgiamo che la totalitaria ideologia di genere è un gigante dai piedi di argilla. Gridando che il Re è nudo, come nella favola, molte altre persone si uniranno al movimento anti-establishment, spezzando definitivamente la dittatura del politicamente corretto.
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Lo tsunami Vox e la Spagna risorta di Modesto Fernández * Domenica 2 dicembre 2018 resterà una data simbolo in Spagna. Rompendo il monopolio della sinistra, che durava da quaranta anni, il centro-destra ha vinto le elezioni regionali in Andalusia. Il dato più sorprendente, però, è stato l’11% ottenuto dal partito della destra Vox.
L
o scorso 2 dicembre si sono tenute le elezioni regionali in Andalusia, la regione più popolosa della Spagna. A sorpresa, il centro-destra ha raggiunto la maggioranza assoluta, rompendo così il ferreo monopolio della sinistra socialista, che durava dal 1982. La sorpresa dentro la sorpresa, però, è stata l’exploit del nuovo partito della destra, Vox, che ha ottenuto il 10,97% dei suffragi, tradotti in ben dodici deputati nel Parlamento regionale. In solo tre anni, Vox è passato da 18.422 a 395.012 voti.
Vox è nato nel 2013, formato da persone che non si sentivano più a loro agio nel Partito Popolare, ritenuto debole nei confronti della sinistra. Recriminavano al PP, soprattutto, la totale assenza di contrasto alla rivoluzione culturale messa in atto dal Partito socialista: divorzio, aborto, ideologia di genere, agenda omosessualista, droghe, laicismo e via dicendo.
La vittoria di Vox si inserisce in un panorama di chiaro spostamento del pubblico spagnolo verso destra. “Il successo di Vox nelle elezioni andaluse, un altro segno dell’auge della destra radicale”, titolava l’ABC. “Questo risultato – continua il noto quotidiano di Madrid – si inserisce in un contesto globale di vittorie di candidati e di partiti di una nuova destra, ancora difficile da definire, ma che condivide alcuni tratti comuni: critiche alle politiche migratorie, diffidenza nei confronti dell’Unione Europea, nazionalismo, rigetto della globalizzazione e del femminismo”.
Si rompe lo spirito della Moncloa
La stampa internazionale ha gridato allo scandalo. “L’estrema destra vince in Spagna” era il titolo martellato dai media del mondo intero. In realtà, Vox
Il 27 ottobre 1977, tutte le forze politiche spagnole sottoscrissero il “Patto della Moncloa”, impegnandosi a non sollevare temi polemici che potessero incendiare gli animi, segnando così l’inizio della “revolución tremenda” portata avanti dal Partito socialista
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Speciale: vento di destra
Santiago Abascal (al centro), presidente di Vox, a cavallo insieme ad agricoltori andalusi
La difesa delle tradizioni spagnole è un punto centrale del programma politico di Vox
non è di “estrema destra”, se per questo intendiamo le frange filo-naziste o filo-fasciste. Si tratta di un partito che raccoglie cattolici insoddisfatti con la deriva progressista nella Chiesa, e cittadini insoddisfatti con la debolezza dei partiti di centro-destra nei confronti dei grandi temi della rivoluzione culturale.
In un punto, però, siamo veramente in uno spartiacque storico. L’ascesa di Vox, come prima quella di Podemos sulla sponda opposta, segna la fine dello “spirito della Moncloa”.
Dopo la morte di Francisco Franco, il 27 ottobre 1977 tutti i partiti politici spagnoli – da Alianza Popular a destra fino al Partito Comunista a sinistra – sottoscrissero un Patto nel palazzo della Presidenza del Consiglio, chiamato appunto La Moncloa. L’accordo impegnava tutte le forze politiche a procedere in modo consensuale, dentro i parametri della Costituzione allora in preparazione. Più importante, però, era il cosiddetto “spirito della Moncloa”, definito dalle parole-talismano allora in voga: “Consenso”, “dialogo”, “ecumenismo”, “apertura”. Le forze politiche in campo si impegnavano a non sollevare nessun tema controverso che potesse incendiare gli animi, portandoli verso scontri ideologici. Fu proprio in questo ambiente allegro e spensierato – “aquí no pasa nada”, qui non succede niente, si diceva – che il Partito socialista operaio spagnolo (PSOE) portò avanti la più terribile rivoluzione culturale di tutti i tempi. “Abbiamo rivoltato la Spagna come un calzino!”, si vantava José Rodríguez de la Borbolla, allora presidente socialista di Andalusia. Lo spirito della Moncloa spiega perché i governi di centro-destra – Aznar e Rajoy – non abbiano toccato minimamente l’impianto rivoluzionario im-
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posto dal Partito socialista: facevano parte dello stesso ambiente. L’ascesa di Podemos a sinistra, e adesso quella di Vox a destra, sembra aver spezzato il consenso. Di fronte a una sinistra sempre più radicale e impositiva, molte persone si chiedono se le politiche dialoganti e cedevoli del vecchio centro-destra siano ancora adeguate, o se, invece, serva una reazione più energica per non finire nel baratro.
Un programma conservatore
Il programma politico di Vox si può riassumere in pochi punti:
- stretto controllo dell’immigrazione, deportazione dei clandestini, erezione di un muro nei territori africani di Ceuta e Melilla; - speciale controllo sull’immigrazione musulmana di stampo radicale, chiusura delle moschee fondamentaliste; - difesa dell’unità di Spagna, contro i vari indipendentismi; - difesa della Monarchia; - riabilitazione della storia patria; - difesa delle tradizioni spagnole, sia quelle civiche sia quelle religiose; - difesa della famiglia, contro l’aborto e l’ideologia di genere; - riduzione delle tasse, liberalizzazione dell’economia; - un nuovo trattato europeo.
Se a qualche lettore tale programma può sembrare troppo “a destra”, è meglio che se ne faccia una ragione. Esso, infatti, sta conseguendo sempre più consensi in Spagna.
* Presidente di Tradición y Acción
USA: a destra, nonostante Trump
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icono che, nell’apprendere la notizia dell’elezione di Donald Trump alla presidenza, Hillary Clinton sia andata su tutte le furie, scaraventando per terra bicchieri e soprammobili. Non poteva capire come il pubblico americano avesse potuto scegliere quello strambo personaggio, preferendolo a lei, fiore all’occhiello della sinistra americana, preparatasi accuratamente alla carica con ben otto anni da First Lady e quattro da Segretario di Stato.
La risposta è molto semplice. Non ha tenuto conto dell’onda conservatrice che, passando sopra le stramberie del magnate di New York, ha scelto lui perché rappresentava il centro-destra. Anche oggi, nonostante il singolare stile del Presidente abbia seminato non poco scompiglio nel mondo conservatore americano, il Paese continua ad essere ancorato a destra.
di Patrick O’Shaughnessy
La marea rossa
A differenza dell’Europa, dove il blu indica la destra e il rosso la sinistra, negli Stati Uniti è il contrario. Un recente sondaggio dell’importante Gallup Organization mostra una vera e propria marea rossa che copre il Paese. Il sondaggio ha tenuto conto delle opinioni delle persone su temi di attualità e di fondo. E questo, rileva la stessa Gallup, a dispetto del fatto che molti non approvino certe mosse del Presidente. In altre parole, il pubblico americano mantiene le proprie convinzioni conservatrici, nonostante non accompagni Trump in tutto. In quarantaquattro Stati, i conservative sono più numerosi dei liberal. In cinque Stati, li superano addirittura del 30%. In altri tredici hanno un margine del 20-29%. Il 36% degli americani si dichiara con-
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Speciale: vento di destra
servatore, solo il 25% si definisce di sinistra, mentre il 34% si afferma moderato. Di fronte al radicalismo della Clinton, una fetta dei moderati ha preferito appoggiare Trump.
La sinistra si afferma maggioritaria nelle classi più educate e ricche, mentre quelle più popolari protendono invece a destra. La sinistra si impone nelle grandi città, mentre in quelle più piccole e nelle campagne trionfa la destra. Non sorprende, poi, che la destra sia maggioritaria fra le persone con forti convinzioni religiose, mentre i laicisti e gli atei preferiscano la sinistra. Un mito assai diffuso, basato su uno studio del 2014 del Pew Research Center, afferma che la generazione millenial – quelli nati tra il 1980 e il 1994 – sia molto liberale, soprattutto in temi morali e culturali. Studi più recenti mostrano invece un quadro più sfumato.
Mentre il 18% dei baby-boomer (nati tra il 1945 e il 1964) si diceva di estrema destra, questa percentuale sale al 23% nei millenial. “Più studenti delle superiori si identificano oggi come politicamente conservatori, riguardo ai loro coetanei di dieci anni fa”, dichiara la professoressa Jean Twenge, della San Diego State University, studiosa delle nuove generazioni.
Della stessa opinione è John Della Volpe, direttore di ricerca dell’Institute of Politics dell’università di Harvard: “Ho l’impressione che troppe persone, compresi molti opinionisti, pensino che questa generazione sia massicciamente socialista. Ciò è molto lontano dalla verità. La verità è molto più sfumata. Poi, tutti i sondaggi mostrano che, crescendo
in età, la maggior parte di questi ragazzi si muoveranno più a destra”.
Appoggio alle politiche conservatrici
I media, soprattutto quelli europei, si concentrano molto sullo stile del presidente Donald Trump, mentre tralasciano l’appoggio pubblico alle sue politiche, molte delle quali di contenuto chiaramente conservatore, per esempio la difesa della vita innocente e della famiglia. Il tradizionale sondaggio della CNN sul discorso State of the Union, ha mostrato un 76% di approvazione a Trump, con il 59% “molto favorevole”. Un magro 24% si è dichiarato contrario.
L’autorevole Gallup riscontra un 46% di approvazione globale al presidente Trump, all’inizio del suo terzo anno di mandato. Possiamo paragonare questo indice al 49% di Obama e al 47% di Clinton nello stesso periodo. Cioè sostanzialmente uguale, nonostante la martellante propaganda mediatica denigratoria.
I sondaggi mostrano un’America spaccata. Con alti e bassi, gli indici di approvazione e di rigetto sono piuttosto consistenti, con pochissime persone che dichiarano “nessuna opinione”. Questo, secondo gli analisti, è di per sé un dato essenziale. Per decenni, l’America è stata ritenuta piuttosto liberal, soprattutto dopo l’esplosione degli anni Sessanta. Con Ronald Reagan, nel 1980, irrompe sulla scena nazionale il Conservative Movement, che poi ha portato alla presidenza anche George W. Bush. Dopo anni, con alti e bassi, questo movimento – che non aveva mobilitato tutte le sue risorse né per John McCain né per Mitt Romney – si mostra ancora sufficientemente forte da portare Trump alla Casa Bianca, battendo nientemeno che Hillary Clinton e tutta la gioiosa macchina da guerra della sinistra.
Nel discorso State of the Union, Donald Trump ha fatto una veemente difesa della maternità e della famiglia naturale L’indice di gradimento del pubblico è stato del 76% 38 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019
Chiesa e cultura
Come “leggere” un’icona
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di Patrizia Lepori
ietro un’icona c’è un mondo, una cultura, ma soprattutto una teologia e una spiritualità, che sono elementi fondamentali per l’iconografo. È un mondo che richiede il pieno coinvolgimento di sé stesso, in termini di conoscenza, di tecnica, ma soprattutto di fede e di spiritualità. Dipingere un’icona è incontrare il Dio vivente. Richiede tante ore di paziente lavoro manuale, di raccoglimento e preghiera.
Vediamo questa icona di scuola moscovita del sec. XVI. Descrivendola dall’alto verso il basso possiamo notare l’aureola o nimbo d’oro, simbolo della luce divina irradiata da Cristo-Dio, segnata da una croce contenente delle lettere greche che significano “Io sono colui che è” (Es 3,14).
L’aureola è incuneata fra la “culla” e il bordo esterno dell’icona. Come se fosse una finestra aperta, la “culla” interna indica la realtà soprannaturale. Il bordo esterno, al contrario, la consistenza delle realtà terrestri. L’aureola che abbraccia culla e bordo indica questa possibilità nella persona di Cristo, di unire le due realtà: divina e umana.
Nel volto si esprime una sconfinata misericordia, un amore doloroso e appassionato per l’uomo che lo spinge a morire in croce per ricondurre al Padre l’intera creazione, affinché essa possa partecipare della vita divina.
In basso a sinistra, il braccio destro che si distende e si apre nella mano benedicente, ha un movimento particolare espresso con un segno grafico che ne accentua lo spostamento verso l’esterno. Nello stesso tempo, però, la fascia del mantello che incrocia il braccio non presenta il rigonfiamento che ci si aspetterebbe dal movimento del braccio stesso verso l’esterno. La fascia trasversale è stata disegnata con segni che stringono e comprimono il braccio verso l’interno. La rappresentazione indica quindi, un doppio movimento in cui il braccio tende a uscire verso l’esterno mentre il mantello, trattenendolo lo spinge verso l’interno. Da qui il significato: la natura divina, nella sua forza onnipotente si accorda con la debolezza della natura umana del mite e umile di cuore che esprime questa forza nella misericordia e nella benedizione. La tre dita unite chiuse simboleggiano la Santissima Trinità. Le vesti del Cristo sono: il mantello (hymation) blu-verde, che indica la natura umana di Cristo, la tunica (chitone) rossa, che indica la natura divina mentre la stola piccola a destra dorata (clave) indica la separazione della natura terrena da quella celeste. Con la mano sinistra sostiene invece il Vangelo. I monogrammi in alto a sinistra IC e a destra XC, significano Iesus e Cristos.
Le icone si dipingono, o meglio si scrivono, con una emulsione formata da tuorlo d’uovo, vino e essenza di lavanda unita ai colori che sono pigmenti naturali, terre e pietre preziose tritate. Il tuorlo d’uovo, simbolo della Risurrezione di Gesù, indica la Pasqua, la nuova vita in Cristo; il vino, del sacrificio, dove Gesù offre il vino dicendo che è il suo sangue e l’essenza di lavanda, il profumo come ricordo dell’unzione di Maria Maddalena a Betania (segno della dedizione completa dell’uomo al mistero di Dio). TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 39
Il mondo delle TFP
Sudafrica: apartheid al rovescio?
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el più assoluto silenzio dei mezzi di comunicazione nostrani, in Sudafrica si sta consumando una tragedia ai danni di un settore della popolazione: i bianchi. Per decenni il Paese era stato governato dalla minoranza di origine europea, in concorso con le varie etnie locali, tra cui l’importante nazione Zulu. Nonostante difetti fin troppo evidenti – tra cui l’odiato apartheid, cioè la divisione delle razze – il Paese era riuscito a diventare un punto di riferimento per il Continente. Infatti, era un Paese di forte immigrazione. A dispetto dell’apartheid, tutti volevano andare ad abitare in Sudafrica. Qui si viveva meglio.
Oggi, invece, il Sudafrica si trova nel mezzo di un’invettiva persistente e bellicosa contro la proprietà privata, mentre il Parlamento discute misure per confiscare tutte le proprietà dei bianchi, a cominciare dalle fattorie agricole. Proposta dall’estrema sinistra, col favore dell’African National Congress (ANC), le misure implicherebbero una vera rivoluzione che rischia di far tornare indietro il Paese di parecchi decenni. Si parla di “espropriazione senza compenso”. Dopo gli anni turbolenti del presidente Jacob Zumla, che gettò il Paese nello scompiglio, gli occhi dei
sudafricani – bianchi e neri – erano rivolti al suo successore Cyril Ramaphosa. E, infatti, la situazione stava lentamente migliorando. Questa prosperità rischia ora di naufragare, colpita a morte dall’assalto dei settori comunisti.
All’offensiva politica si somma poi una diffusa violenza contro i proprietari terrieri bianchi, che ha già causato decine di morti e innumerevoli feriti. Si vive un clima di guerriglia. L’agenzia AfriForum calcola che i proprietari terrieri bianchi hanno quattro volte più probabilità di essere assassinati. Per contrastare tale deriva, l’associazione Young South Africans for a Christian Civilisation – TFP ha lanciato la campagna Peace in the Land – Pace nelle campagne.
Il manifesto ricorda che l’agricoltura è uno dei pilastri della ripresa economica e sociale del Paese, e un possente fattore per alleviare la povertà. L’offensiva oggi in corso non è dettata da nessuna logica economica o sociale. Essa è alimentata dal puro odio di classe di matrice comunista. Un odio che deve passare dalla distruzione della proprietà privata, come voleva Marx.
Senza negare che, in certe circostanze, si possano giustificare alcune espropriazioni, la TFP sudafricana avverte contro le derive totalitarie: “Chiaramente si impone un dibattito sano e solido sulla questione della terra. Solo un pazzo negherebbe che sia necessario affrontare un’eredità che annoverava gravi ingiustizie. Questo dibattito, però, si deve svolgere in un’atmosfera di serenità, tranquillità e valori cristiani, con l’obiettivo di correggere onestamente legittime rimostranze, ma soprattutto per proteggere il principio stesso della proprietà privata”. La TFP sudafricana propone, dunque, un Land Summit, un vertice sulla proprietà terriera, con la partecipazione di tutti gli attori coinvolti. E chiude con un appello al nuovo presidente – egli stesso un proprietario terriero di successo – affinché non permetta il dilagare della violenza. A sin., una famiglia di proprietari terrieri bianchi vittima della violenza comunista. La bimba nel riquadro è stata uccisa Nel tondo, il presidente Cyril Ramaphosa
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Spagna: Maestà, consacri il Regno al Sacro Cuore di Gesù!
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l 30 maggio 1919, attorniato da tutta la Corte e da numerose autorità ecclesiastiche, il Re Don Alfonso XIII consacrò solennemente la Spagna al Sacro Cuore di Gesù, sul Cerro de los Ángeles, vicino a Madrid.
In occasione del centenario della consacrazione, l’associazione spagnola Tradición y Acción, consorella delle TFP, ha rivolto un rispettoso appello al Re Don Felipe VI perché rinnovi il bel gesto del suo bisavo.
“È con grande preoccupazione per il futuro del Regno, la nostra Patria, che oggi ci rivolgiamo al nostro Sovrano”, esordisce il documento.
“S. M. sa che la Spagna appare oggi molto deteriorata. I recenti avvenimenti in Catalogna sembravano perfino aver esteso un’ombra sulla stessa sopravvivenza del Regno, prima che S.M. intervenisse per difenderne in modo coraggioso l’unità. Un gesto che ha procurato a S.M. la simpatia di tutti i Suoi sudditi. La minaccia del separatismo purtroppo non è scomparsa. (…) “A queste forze centrifughe si aggiunge la minaccia all’unità del Regno da parte di chi riapre ferite che la stragrande maggioranza degli spagnoli vorrebbe fossero chiuse per sempre. Come allora, questi fantasmi del passato vengono accompagnati da un odio viscerale alla Spagna cattolica. Mentre allora i nemici della Chiesa si accontentavano di cancellare il cattolicesimo dagli spazi pubblici, i loro eredi attuali vogliono costringere i cattolici a ripudiare le conseguenze morali della loro Fede, in nome della tolleranza e della non discriminazione. In questo modo vengono calpestate le convinzioni intime e la vita familiare di milioni di spagnoli. (…)
“Quando è aggredita la Fede su cui poggia l’unità e la grandezza della Spagna, l’intero Regno vacilla. E lo fa proprio mentre la Patria è di nuovo minacciata da coloro che otto secoli di Riconquista avevano espulso dalla Penisola. (…)
“Di fronte a questa situazione, che diventa umanamente disperata, chiediamo a S.M., come Re Cattolico, di implorare l’aiuto di Dio in nome di tutto il popolo. (…)
“È perché confidiamo nella ferma volontà di S.M. di garantire, con l’aiuto di Dio, la prosperità della Spagna e la felicità del suo popolo, che osiamo rispettosamente rivolgere a S.M. questa richiesta, mentre presentiamo a S.M. i nostri rispetti e chiediamo a Dio che continui a benedire S.M. e la Reale Famiglia”. Sotto, il Re Don Alfonso XIII consacra la Spagna al Sacro Cuore di Gesù, il 30 maggio 1919, sul Cerro de los Ángeles
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Il mondo delle TFP
Pride omosessuale SÌ, Rosario alla Madonna NO? Lettera al vescovo di Lugano
L’anno scorso, Helvetia Christiana – la TFP svizzera – aveva chiesto al Comune di Lugano l’autorizzazione per pregare un Santo Rosario in piazza per la rigenerazione morale della Svizzera. Il Comune ha negato il permesso, mentre lo concedeva invece per la manifestazione Pride degli omosessuali. Interpellato in merito dai media, il vescovo di Lugano, mons. Valerio Lazzeri si è schierato col Comune. Helvetia Christiana gli ha quindi inviato una lettera. La vertenza col Comune si trova adesso al vaglio della Giustizia. Eccellenza Reverendissima,
In questi giorni si sta svolgendo, a Lugano e in Ticino, un acceso dibattito sull’estensione della libertà di espressione e, in particolare, sull’estensione della libertà dei credenti di manifestare pubblicamente la propria fede. Sono in molti a mostrarsi perplessi che una tale controversia possa avere luogo in pieno secolo XXI, quando tutti ritengono che la libertà di espressione sia un diritto oramai acquisito, anche da parte delle minoranze.
Il dibattito è stato innescato dall’incomprensibile – sia dal punto di vista morale sia costituzionale – rifiuto del Comune di Lugano di concedere l’autorizzazione a una manifestazione a carattere strettamente spirituale.
In data 22 dicembre 2017, Helvetia Christiana, associazione formata da laici cattolici e regolarmente costituita secondo la legge civile della Confederazione Elvetica, aveva richiesto al Comune di Lugano l’autorizzazione per l’occupazione di suolo pubblico. L’Associazione intendeva pregare un Santo Rosario in difesa dei valori cristiani, e per la rigenerazione morale della Svizzera, come aveva già fatto in altre città, finora senza alcuna difficoltà. La data proposta era il 26 maggio, mese della Madonna, o qualunque altra data fosse più conveniente per le autorità municipali. Si aspettavano poche persone (15-20), e la durata sarebbe stata di non più di sessanta minuti.
Dopo diversi contatti telefonici amichevoli con la sezione amministrativa della Polizia Comunale, nella seduta del 19 aprile u.s., il Municipio ha deciso a sorpresa di negare tale autorizzazione, cosa che ci
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è stata comunicata soltanto il 2 maggio. In assenza di un reale pericolo per l’ordine pubblico – unico motivo per cui un’autorità civile potrebbe legittimamente vietare una manifestazione pubblica – il Signor Sindaco Marco Borradori ha indicato due ragioni, palesemente pretestuose:
1. La manifestazione avrebbe un “contenuto molto nebuloso”. Veramente fatichiamo a capire cosa possa avere di “nebuloso” la recita di un Santo Rosario, fatta in modo perfettamente pacifico e legale. A meno che il signor Borradori utilizzi tale termine per dimostrare la sua contrarietà alle dottrine che Helvetia Christiana propone. In questo caso, non possiamo sfuggire all’idea che il Comune di Lugano si stia comportando come una sorta di Inquisizione laica, che decide quali idee abbiano libertà di circolazione nel comprensorio cittadino, e quali, invece, vadano censurate. Un atteggiamento in contraddizione col carattere democratico del nostro ordinamento costituzionale. 2. Il Municipio “concede autorizzazione a gruppi religiosi solo se riconosciuti da un’istituzione religiosa ufficiale”. A parte il fatto che un tale criterio lede gravemente la separazione fra Chiesa e Stato, fondamento dello Stato di diritto moderno, essa non si applica affatto a Helvetia Christiana, cosa che il Signor Sindaco avrebbe potuto chiarire con una semplice telefonata. Helvetia Christiana non è un’associazione religiosa bensì civile.
La situazione dell’Associazione alla luce del Diritto Canonico è stata, a suo tempo, oggetto di con-
sultazioni ai più alti livelli, con pareri sempre positivi: siamo un’associazione privata di fedeli.
L’Associazione si è eretta mediante un accordo privato fra i suoi membri (Can. 299 § 1); facendo uso del loro diritto di fondare e di dirigere liberamente associazioni che si propongano un fine di carità o di pietà, oppure associazioni che si propongano l’incremento della vocazione cristiana nel mondo (Can. 215); e del loro diritto di impegnarsi, sia come singoli sia riuniti in associazioni, perché l’annuncio divino della salvezza venga conosciuto e accolto da ogni uomo in ogni luogo (Can. 225 § 1); allo scopo di animare e perfezionare l’ordine delle realtà temporali con lo spirito evangelico (Can. 225 § 2); per l’animazione dell’ordine temporale mediante lo spirito cristiano (Can. 298 § 1).
Helvetia Christiana non ha chiesto il riconoscimento canonico da parte dell’autorità ecclesiastica (Can. 299 § 3), né ha cercato di ottenere personalità giuridica ecclesiastica (Can. 322). Cosa, tra l’altro, non richiesta dallo stesso Codice di Diritto Canonico.
La legittimità di questa situazione è suffragata da molteplici decisioni della Pontificia Commissione per l’interpretazione dei testi canonici, come ad esempio quella del 29 aprile 1987 (Osservatore Romano, 25 novembre 1988). E corrisponde ai termini dell’Esortazione Apostolica post-sinodale Christifideles laici, di Papa Giovanni Paolo II (30-12-1988).
La discussione – con ampissima ripercussione nei media ticinesi, a riprova di quanto l’argomento sia scottante – aveva preso una piega sfavorevole per il Comune, accusato da più parti di attuare una politica di “due pesi e due misure” (Pride omosessuale, SI - Rosario alla Madonna, NO), quando Sua Eccellenza ha deciso di intervenire in favore del Comune.
Sua Eccellenza si dichiara “perplesso”. Permetta Sua Eccellenza di dichiararci a nostra volta molto perplessi. Perplessi nel vedere l’autorità ecclesiastica, alla quale indirizziamo tutta la nostra filiale venerazione, assumere anch’essa la politica dei “due pesi e due misure”. Interpellato, infatti, sulla posizione della Curia riguardo alla sfilata omosessualista in programma a Lugano, Sua Eccellenza ha dichiarato: “Noi non ci mobilitiamo contro questa manifestazione”. Invece, si è “mobilitato” – eccome! – contro un Santo Rosario in onore della Madonna, recitato da un piccolo gruppo di fedeli nel mese a Lei dedicato. Ferendo principi elementari della giustizia, che stabiliscono che non si debbano giudicare le intenzioni – de internis neque Ecclesia – Sua Eccellenza
mons. Valerio Lazzeri
ci accusa di pregare “soltanto per essere visti”, e usa nei nostri confronti parole durissime (“ipocriti”), che non ci risulta abbia mai utilizzato per riferirsi ai nemici della Chiesa di Cristo. Tali parole feriscono profondamente il nostro cuore di fedeli cattolici. E ci ricordano l’ammonizione di Nostro Signore: “Quale padre tra voi... se il figlio gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?” (Lc., 11, 11).
Nella sua ormai storica omelia nella Missa pro Elegendo Romano Pontifice, del 2005, l’allora cardinale Joseph Ratzinger denunciò la “dittatura del relativismo”: quella tendenza del mondo moderno a lasciare libero corso al male mentre coarta il bene in ogni modo possibile. Se qualche insegnamento morale dobbiamo trarre dall’attuale controversia, è constatare quanto questa dittatura sia ormai stabilita nel nostro Paese. Mentre si concede ampia libertà a coloro che promuovono pubblicamente una condotta definita dal «Catechismo della Chiesa Cattolica» “intrinsecamente disordinata e contraria alla legge naturale” (2357), si discriminano i cattolici che vogliono rivolgersi a Dio, per mezzo di Maria Santissima, pregando in difesa dei valori cristiani, e per la rigenerazione morale della Svizzera, in modo perfettamente pacifico e legale. Accogliamo volentieri l’invito di Sua Eccellenza, nell’intervista a Ticino News, di “approfondire la riflessione”. Riteniamo, però, che tale approfondimento debba essere portato avanti in un clima di mutuo rispetto, di apertura e di dialogo. Un clima che, finora, è palesemente mancato da parte delle autorità civili ed ecclesiastiche. Augurando a Sua Eccellenza ogni bene nel Signore, chiediamo la sua benedizione. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / MARZO 2019 - 43
Il mondo delle TFP
Francia: basta con le moschee radicali!
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ulla scia dell’attentato islamico nel mercatino di Natale a Strasburgo, lo scorso 11 dicembre, l’associazione Avenir de la Culture, consorella delle TFP, ha lanciato la campagna Basta con le moschee radicali in Francia!
L’associazione ha inviato al ministro dell’Interno una petizione, avallata da più di diecimila firme, chiedendo di “ripulire finalmente il nostro territorio da questi luoghi fanatici [affinché] non vi siano più morti sulle nostre strade”. Il documento ricorda che, dal 2013, il terrorismo musulmano ha ucciso in Francia 245 persone, ferendone altre 900. La petizione incoraggia il Ministro a “mostrare fermezza” e di “non tollerare più sul nostro territorio questi centri di islamismo radicale”. Nel caso le autorità continuino a mostrarsi deboli, avverte il documento, “non ci dovremo meravigliare se i francesi abbandoneranno in modo massiccio il Governo”.
Francia: capodanno con la TFP
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ome da tradizione, dal 27 dicembre al 2 gennaio si è svolto il programma di apostolato giovanile “Capodanno con la TFP”, nella Villa Notre Dame de la Clairière, in Francia. Vi hanno preso parte una trentina di ragazzi provenienti da Francia, Irlanda, Polonia, Italia, Estonia e Colombia. Tema centrale degli incontri il «Trattato della vera devozione a Maria Santissima» di S. Luigi Maria Grignon de Montfort. I giovani si sono impegnati inoltre in una serie di meditazioni sul Regno di Cristo, secondo lo schema degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola. Ogni giorno è stata celebrata la Messa, in rito romano antico, a volte in sede, a volte nella chiesa di S. Pietro Canisio, nella vicina Saarlouis. Non è mancata una visita guidata alla città di Metz, la città avita della famiglia di Carlo Magno, sede del regno di Neustria, ricchissima di richiami storici e culturali che i partecipanti hanno apprezzato.
Non è stato trascurato nemmeno l’aspetto conviviale, con tanto di cenone di Capodanno e cena di Santo Stefano preparati da uno chef tedesco.
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È stata, insomma, un’esperienza indimenticabile, occasione di copiose grazie spirituali che hanno spinto i partecipanti a impegnarsi nella lotta per la Contro-Rivoluzione, seguendo l’ispirazione e l’esempio di vita di Plinio Corrêa de Oliveira.
Colombia: incontro giovanile e carovana
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n occasione del Capodanno, il Centro Cultural Cruzada, referente colombiano delle TFP, ha realizzato un programma di studi per giovani sulla vita ed opera di Plinio Corrêa de Oliveira. Successive conferenze hanno illustrato le azioni del grande leader cattolico contro la Rivoluzione e in difesa della civiltà cristiana, modello per le ardue battaglie che oggi i cattolici devono affrontare. Cornice dell’incontro, la storica città di Villa de Leyva, gioiello dell’architettura coloniale colombiana che, tra l’altro, comprende il Santuario nazionale della Madonna di Chiquinquirà, patrona della Colombia. Dopo l’incontro, i partecipanti sono partiti alla volta di Bucaramanga, capitale del dipartimento di Santander, dove hanno realizzato diverse campagne pubbliche, e diffuso un opuscolo, contro l’ideologia di genere. (Sopra, l’alzabandiera solenne; sotto, campagna pubblica nelle vie di Bucaramanga)
Ecuador: No all’aborto
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Ecuador è uno dei pochi paesi che non ha (ancora) depenalizzato il massacro degli innocenti. Tutti i tentativi della sinistra per introdurre l’aborto si sono scontrati con la solida fede cattolica della popolazione. Nemmeno il socialista Rafael Correa se l’era sentita di imporre tale aberrazione. Anzi, aveva minacciato di rinunciare al mandato presidenziale se il Congresso avesse approvato la legge. Per bloccare ogni tentativo in tal senso, l’associazione Tradición y Acción, consorella delle TFP, ha lanciato una raccolta di firme contro l’aborto e in difesa della famiglia. L’iniziativa è partita da Guayaquil, dove i giovani cooperatori hanno visitato diverse chiese dei quartieri residenziali. Più di un parroco ha spronato, perfino dal pulpito, i fedeli a firmare. Tra i primi firmatari, il vescovo emerito di Loja, che ha incoraggiato i giovani a proseguire la campagna.
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Il mondo delle TFP
Olanda: alleanza lgbtcomunismo-satanismo?
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er la seconda volta in poche settimane, un gruppo di militanti lgbt ha invaso il terreno della sede di Civitas Christiana, la TFP olandese, a Nimega, inscenando una sorta di danza macabra di protesta.
Due dettagli richiamano l’attenzione. Il primo è la commistione di bandiere: quella arcobaleno della lobby lgbt; quella rossa del comunismo; e quella viola-nera del satanismo. Si vede che questi militanti percepiscono l’intima connessione fra queste realtà.
Il secondo dettaglio è lo striscione: “Danzeremo sopra le rovine di Civitas Christiana”. Loro capiscono che la lotta andrà fino in fondo. Nessuna concessione, nessuna tregua. Solo che, alla fine, sarà il Cuore Immacolato di Maria a trionfare sopra le rovine della Rivoluzione.
Le lobby lgbt olandesi sono chiaramente irritate di fronte alle vittoriose iniziative di Civitas Christiana in difesa dei valori morali. Sembra che considerassero i Paesi Bassi come una sorta di feudo inespugnabile. Comprensibilmente innervosite dai nostri successi, sfoggiano tutto il loro astio con ogni sorta di aggressione, perfino fisica.
Brasile: carovana “Crociata per la famiglia”
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pprofittando delle ferie estive, quattro “carovane” di giovani membri dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira stanno percorrendo il Brasile, diffondendo il libretto «Opzione preferenziale per la famiglia», una sorta di catechismo in formato domanda-risposta, che spiega la dottrina cattolica in tema di famiglia, e la sua incompatibilità con l’ideologia di genere proposta oggi dalla sinistra. Finora, le “carovane” hanno visitato gli stati di Rio de Janeiro, Bahia, Pernambuco e Maranhão.
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Una “carovana” tipica è composta da nove ragazzi che, a bordo di un pulmino appositamente attrezzato, percorrono le zone più sperdute di quell’enorme paese. Prendono contatto diretto col pubblico della strada, fanno conferenze in auditori e anche sulle piazze, dormono dove capita, mangiano ciò che le persone offrono. Come i cavalieri erranti d’altri tempi, portano ovunque una parola di sollievo e di speranza.
È
La 46a Marcia per la Vita Washington D.C.
stata la più grande di tutti i tempi. Trecentocinquantamila persone, secondo le stime più realistiche. Parliamo della March for Life, realizzata ogni anno a Washington D.C., nell’anniversario dell’infame sentenza Roe vs. Wade, che aprì la porta all’aborto negli Stati Uniti nel 1973. Come di consueto, era presente anche la TFP americana, con i suoi caratteristici stendardi rossi e la sua banda musicale.
In un clamoroso mutamento riguardo all’era Obama – un noto abortista – il vicepresidente Mike Pence ha marciato con i pro-lifer, mentre il presidente Donald Trump è intervenuto in collegamento dalla Casa Bianca. Presenti anche migliaia di sacerdoti, con tanto di parrocchia al seguito.
Nell’occasione, la TFP americana ha diramato un comunicato mostrando l’indirizzo che, a suo giudizio, dovrebbe seguire la lotta in difesa della vita innocente.
“Mentre ci opponiamo a Roe vs. Wade, riteniamo che la lotta contro l’aborto sia sempre stata, e sempre lo sarà, fondamentalmente una battaglia religiosa. La nostra Fede in Dio ci sostenta e ci dà animo per andare avanti”, leggiamo nel comunicato. Purtroppo, continua il documento, la maggior forza per la vita nel mondo – la Santa Chiesa Cattolica – è oggi in preda a un pauroso processo di autodemolizione, del quale fanno parte i recenti
scandali in materia di omosessualità e pedofilia. Questa non è una crisi della Chiesa, come istituzione, come pretendono i media laicisti e di sinistra. È un problema che riguarda gli uomini di Chiesa e che per niente tocca il suo essenziale carattere divino.
Dopo aver ricordato il Magistero della Chiesa in tema di aborto e di omosessualità, il manifesto della TFP americana conclude con un appello alla fedeltà, animata da una santità eroica: “Invitiamo a una battaglia eroica per la virtù. L’eroismo è parte essenziale dell’essere cattolico. (…) Accogliamo l’appello fatto tanti secoli fa dal beato Urbano II quando convocando la prima crociata, esclamò Deus vult! Dio lo vuole”.
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Gesù muore sulla croce
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nfine è arrivato il vertice di tutti i dolori. È un vertice tanto alto che è avvolto dalle nubi del mistero. I patimenti fisici hanno toccato il loro massimo. Le sofferenze morali hanno raggiunto il loro apice. Un altro tormento doveva costituire il culmine di un dolore così inesprimibile: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”. In un certo modo misterioso lo stesso Verbo Incarnato è stato afflitto dal tormento spirituale dell’abbandono, in cui l’anima non ha consolazioni da Dio. E questo tormento è stato tale che colui, del quale gli Evangelisti non hanno registrato una sola espressione di dolore, ha emesso quel grido lancinante: “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?”.
Sì, perché? Perché, se era l’innocenza stessa? Abbandono terribile seguito dalla morte, e dal turbamento di tutta la natura. Il sole si è oscurato. Il cielo ha perso il suo splendore, La terra ha tremato. Il velo del Tempio si è strappato. La desolazione ha coperto tutto l’universo.
di Plinio Corrêa de Oliveira
Perché? Per redimere l’uomo. Per distruggere il peccato. Per aprire le porte del Cielo. Il vertice della sofferenza è stato il vertice della vittoria. La morte era morta. La terra purificata era come un grande campo ripulito perché su di essa si edificasse la Chiesa.
Quindi, tutto questo è successo per salvare. Salvare gli uomini. Salvare l’uomo che io sono. La mia salvezza è costata tutto questo prezzo. E io non dovrei risparmiare più nessun sacrificio per garantire una salvezza così preziosa.
Gesù, per l’acqua e per il sangue versati dal tuo divino costato, per la piaga del tuo Cuore, per i dolori di Maria Santissima, dammi forze per distaccarmi dalle persone, dalle cose che mi possono allontanare da te. Oggi muoiano, inchiodate sulla croce, tutte le amicizie, tutti gli affetti, tutte le ambizioni, tutti i piaceri che mi separavano da te.