Anno 24, n. 79 - Ottobre 2018 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
Tornano gli ideali che mai morirono
“V
uelven los ideales que nunca murieron” – Tornano gli ideali che mai morirono. Così recita l’inno delle TFP.
Nel mese di agosto, le TFP europee hanno lanciato la Crociata europea per la famiglia, che ha già toccato Germania, Olanda, Francia e Austria. Decine di cooperatori, con le caratteristiche cappe rosse col leone rampante dorato, si sono rivolti direttamente al pubblico della strada, diffondendo un manifesto dove si chiede ai rispettivi Parlamenti di non approvare leggi ispirate all’ideologia gender. “Voi siete vecchi di duecento anni!”, inveiva a Vienna una signora sulla sessantina, incurante del fatto di avere davanti un ragazzo appena ventenne… A parte alcuni episodi di intolleranza, e perfino di aggressione, da parte degli energumeni LGBT, le reazioni dell’opinione pubblica sono state piuttosto favorevoli. “Grazie a Dio ci siete voi!”, si è sentito dire spesso. Queste reazioni sembrano essere provocate non soltanto dalla giovane età della maggior parte dei volontari delle TFP, ma anche dal tono di infiammata fiducia che sfoggiano. “TFP: un movimento di speranza! Un movimento forte! Un movimento che ha futuro!”. Ecco uno degli slogan scanditi nella campagna.
Forse non è una coincidenza che tale fiducia sia proclamata per le strade e le piazze europee proprio nel momento in cui molti fedeli sentono il morso dello scoraggiamento, scossi dalla crisi che attanaglia da tempo
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la Santa Madre Chiesa, che ha avuto una sorta di turboaccelerazione col pontificato di papa Francesco.
È arrivato il momento storico di proclamare, con le parole di Plinio Corrêa de Oliveira:
“In mezzo a questo caos, solo qualcosa non cambierà. È, nel mio cuore e sulle mie labbra, come in quello di quanti vivono e pensano in sintonia con me, la preghiera:
“Ad te levavi oculos meos qui habitas in coelis. Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum, sicut oculi ancillae in manibus dominae suae: ita oculi nostri ad Dominam Matrem nostram, donec misereatur nostri.
“Alzo i miei occhi a te, che abiti nei Cieli. Così come gli occhi dei servi sono fissi sulle mani dei loro signori e gli occhi della schiava sulle mani della sua signora, altrettanto i nostri occhi sono fissi sulla Signora, Madre nostra, finché abbia misericordia di noi. “È l’affermazione dell’immutabile fiducia dell’anima cattolica, in ginocchio, ma incrollabile, in mezzo alla convulsione generale.
“Incrollabile con tutta la forza di quanti, in mezzo alla burrasca, e con una forza d’animo maggiore di questa, continuano ad affermare dal più profondo del cuore: Credo in Unam, Sanctam, Catholicam et Apostolicam Ecclesiam, contro la quale, secondo la promessa fatta a Pietro, le porte dell’inferno non prevarranno”.
Campagna davanti alla Hofburg, Vienna
Sommario Anno 24, n° 79, ottobre 2018
Tornano gli ideali che mai morirono Dalle catacombe a San Pietro Di fronte al “cambio di paradigma” di papa Francesco: resistere La politica di distensione vaticana Papa Francesco: un cambio di paradigma nella missione della Chiesa? Esiste una soluzione alla corruzione? L’eredità del ‘68 Il Sessantotto italiano Il maggio ‘68 e il Concilio Vaticano II Cosa avrei fatto per contrastare il Sessantotto Il mondo delle TFP Forza e leggerezza negli angeli
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Copertina: Gli stendardi della TFP sventolano davanti alla Hofburg, il Palazzo imperiale di Vienna, nel primo giorno della Europäische Kreuzzug für di Familie, la Crociata europea per la famiglia. Dal Sacro Impero al Regno di Maria, un ponte d’oro sopra l’abisso della Rivoluzione.
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 24, n. 79 ottobre 2018 Dir. Resp. Julio Loredo
Offerta annua suggerita Euro 15,00
Direzione, redazione e amministrazione: Tradizione Famiglia Proprietà - TFP, Viale Liegi, 44 — 00198 ROMA Tel. 06/8417603 Fax: 06/85345731 Email: info@atfp.it Sito: www.atfp.it CCP: 57184004 Aut. Trib. Roma n. 90 del 22-02-95 Sped. in abb. post. art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 — Padova Stampa Everprint s.r.l., Via Guido Rossa, 3 — 20061 Carugate (MI) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 3
Dossier: Cambio di paradigma
Il
“cambio di paradigma” di Papa Francesco
Continuità o rottura con la missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato
Trascorsi cinque anni di pontificato di papa Francesco, un convegno a Roma ne ha fatto un bilancio spassionato, intriso di venerazione per la Cattedra di Pietro, ma anche consapevole dei diritti e dei doveri dei fedeli. Per l’occasione è stato presentato il libro «Il ‘cambio di paradigma’ di Papa Francesco. Continuità o rottura con la missione della Chiesa?». Una lettura obbligatoria per chi voglia mantenersi dentro la barca di Pietro senza essere inghiottito dalla voragine.
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Dalle catacombe a San Pietro
L
a sera del 16 novembre 1965, tre settimane prima della chiusura del Concilio Vaticano II, una quarantina di vescovi, per lo più latinoamericani, si riunirono nelle catacombe di Domitilla, dove sottoscrissero un documento noto come “Patto delle catacombe”. Tenuto secreto per decenni, oggi è di dominio pubblico. A coordinare i Padri conciliari c’era mons. Helder Câmara, il “vescovo rosso” brasiliano. Col tempo, i firmatari furono più di cinquecento.
I prelati si impegnavano a lavorare per una “Chiesa povera”, spogliandosi di ogni segno di ricchezza o di potere. Rinunciavano perfino a qualsiasi titolo onorifico, come “Eccellenza”, “Monsignore”, ecc. Si impegnavano pure a lottare per la “giustizia sociale” contro ogni “privilegio” verso “un nuovo ordine sociale”.
Questo documento è, a giusto titolo, ritenuto antesignano di quella Teologia della liberazione di sapore marxista condannata nel 1984 da papa Giovanni Paolo II. Negli anni successivi, infatti, i suoi firmatari, specialmente in America Latina, saranno i protagonisti di quella “prassi sovversiva” tendente al socialismo, proclamata dai teologi della liberazione come il cammino verso il Regno di Dio sulla terra.
Il 21 marzo 2013, una settimana dopo essere stato eletto al Soglio Pontificio, papa Francesco ricevette una copia del Patto dalle mani dell’attivista marxista Adolfo Pérez Esquivel, argentino come lui. Gliela offriva mons. Pedro Casáldiga, vescovo emerito di São Félix do Araguaia, Brasile, autodefinitosi “monsignore falce e martello” per le sue ovvie simpatie politiche.
L’anno successivo, il 14 luglio 2014, il teologo della liberazione Leonardo Boff – che poi contribuirà non poco all’enciclica Laudato si’ – scrisse l’articolo “Il Patto delle catacombe vissuto da papa Francesco”. Dopo aver esposto il contenuto del Patto, egli concludeva: “Non sono proprio questi gli ideali presentati da papa Francesco?”.
E, infatti, questi cinque anni di pontificato francescano hanno visto lo “sdoganamento” della Teologia della liberazione che, da condannata dai due precedenti Pontefici, “è ormai entrata definitivamente nella normalità della vita della Chiesa”, nelle parole dell’allora portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi. Il suo fondatore, padre Gustavo Gutiérrez, è stato più volte ricevuto in Vaticano
Una vera rivoluzione copernicana. O, per usare l’espressione ormai di moda, un vero “cambio di paradigma”.
16 novembre 2015: nel cinquantenario del Patto delle catacombe, un gruppo di prelati e teologi sottoscrive un nuovo Patto nelle catacombe di San Gennaro, Napoli, in conclusione del convegno “Una Chiesa povera per i poveri” Mons. Luigi Bettazzi, vescovo emerito di Ivrea, firma il documento TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 5
Dossier: Cambio di paradigma
DICHIARAZIONE DELL’ISTITUTO PLINIO CORRÊA DE OLIVEIRA
Di fronte al “cambio di paradigma” di papa Francesco: resistere come insegna S. Paolo
Q
uarantaquattro anni fa il pensatore cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira sentì il dovere di prendere posizione pubblicamente di fronte alla détente della
Santa Sede con i governi comunisti di allora. Lo fece con una dichiarazione che si intitolava La politica di distensione vaticana verso i governi comunisti: cessare la lotta o resistere? Era un momento culminante della Guerra Fredda, in cui l’ideologia rossa stava conquistando parti considerevoli del pianeta. Alla luce della storia, l’innalzarsi di quella voce di rispettosa resistenza all’autorità ecclesiastica costituì un gesto di grande chiaroveggenza.
In questi decenni nessuno ha mai contestato né la legittimità né il diritto che spetta ai fedeli cattolici di assumere una posizione simile, visto che, come recitava all’epoca la menzionata dichiarazione: “La Chiesa non è, la Chiesa non è mai stata, la Chiesa non sarà mai un tale carcere per le coscienze. Il vincolo di ubbidienza al Successore di Pietro, che mai romperemo, che amiamo dal più profondo della nostra anima, al quale tributiamo il meglio del nostro amore, questo vincolo noi lo baciamo nel momento in cui, macerati dal dolore, affermiamo la nostra posizione. E in ginocchio, fissando con venerazione la figura di S.S. Papa Paolo VI, noi gli manifestiamo tutta la nostra fedeltà. Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza”.
Come discepoli del leader cattolico brasiliano che prendono a modello quello stesso spirito filiale al contempo sincero e leale, i membri dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira (IPCO) seguono con grande attenzione la vasta gamma di dichiarazioni e di fatti che hanno contraddistinto questi cinque anni di pontificato di papa Francesco, alcuni dei quali hanno una portata ancor più significativa della Ostpolitik vaticana di quegli anni. 6 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
Nel presente contesto, l’IPCO ritiene necessario analizzare e discernere i limiti inerenti ai pronunciamenti non investiti della formula “ex cathedra” o che semplicemente non riguardano direttamente la Missione affidata da Nostro Signore ai suoi apostoli. Già la citata dichiarazione scritta nel 1974 evidenziava che l’assistenza garantita dallo Spirito Santo affinché il Papa possa parlare con il privilegio dell’infallibilità, ha confini ben definiti dal Concilio Vaticano I, fuori dei quali “in certe materie o circostanze la debolezza cui sono soggetti tutti gli uomini può influenzare e persino determinare (la) attuazione (del Papa)”.
È con questo decisivo presupposto che l’IPCO presenta oggi il libro del suo collaboratore José Antonio Ureta, intitolato «Il ‘cambio di paradigma’ di Papa Francesco. Rottura o continuità nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato».
Basato su un ricco apparato di fonti, lo studio constata come, nelle parole dello stesso Pontefice, si vanno facendo largo concetti quali “cambio di paradigma” e “rivoluzione culturale” per definire le profonde innovazioni che si stanno introducendo. Sulla scia di tali espressioni, alcuni teologi e pastori arrivano a sostenere la necessità di tornare a concepire in modo radicalmente nuovo la Chiesa nella sua struttura, nella sua dottrina, nella sua prassi pastorale e nel suo modo di rapportarsi con il mondo contemporaneo.
l’ambito della dottrina e in quanto alla condotta da tenere.
Tanto l’autore del libro quanto l’IPCO che lo promuove vorrebbero in ogni caso formulare dette risposte in armonica continuità con le stesse parole che Plinio Corrêa de Oliveira aveva utilizzato nell’anno 1974:
“Che fare? (…) Padri della Chiesa, Dottori, moralisti e canonisti - molti dei quali elevati agli onori degli altari - sostengono la legittimità della resistenza. Una resistenza che non è separazione, non è rivolta, non è acrimonia, non è irriverenza. Al contrario, è fedeltà, è unione, è amore, è sottomissione. (…) Nel senso in cui San Paolo resistette, il nostro stato è di resistenza. E in questo trova pace la nostra coscienza”. San Paolo, 23 giugno 2018, vigilia della Festa di S. Giovanni Battista
Ciò costituisce una sfida per la coscienza di un numero crescente di cattolici che intravedono nel “cambiamento di paradigma” una discontinuità con un magistero e una disciplina rimasti immutabili per secoli, il che li porta a domandarsi: È legittimo per i fedeli resistere in determinate circostanze all’autorità ecclesiastica, inclusa quella del Sommo Pontefice? È possibile che oggi ci troviamo in una situazione analoga a quella che portò l’apostolo San Paolo a resistere al primo Papa (Gal 2,11)? Nelle pagine del libro, insieme ad una visione panoramica di cinque anni di pontificato, il lettore troverà risposte chiare e argomentate a queste domande, nel-
La resistenza non è separazione, non è rivolta, non è acrimonia, non è irriverenza. Al contrario, è fedeltà, è unione, è amore, è sottomissione. Nel senso in cui San Paolo resistette, il nostro stato è di resistenza. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 7
Dossier: Cambio di paradigma
LA DICHIARAZIONE DEL 1974
La politica di distensione vaticana verso i governi comunisti: per la TFP cessare la lotta o resistere?
1. I fatti
Ieri i cittadini di San Paolo sono venuti a conoscenza dei risultati del viaggio a Cuba di mons. Casaroli, segretario del Consiglio per gli Affari Pubblici del Vaticano. Questi risultati sono stati esposti dal dignitario stesso nel corso di una intervista (1). Sua Eccellenza ha affermato che “i cattolici che vivono a Cuba sono felici sotto il regime socialista”. Non dovrebbe essere necessario dire di che specie di regime socialista si tratti nel caso concreto, dal momento che è noto che il regime vigente a Cuba è quello comunista.
Sempre parlando del regime di Fidel Castro, Sua Eccellenza continua: “i cattolici e, in generale, il popolo cubano, non hanno la sia pur minima difficoltà con il governo socialista”.
Forse desideroso di dare a queste dichiarazioni spaventose un certo tono di imparzialità, mons. Casaroli ha lamentato che il numero di sacerdoti a Cuba sia insufficiente: sono soltanto duecento. Ha aggiunto di aver chiesto a Castro maggiori possibilità di praticare pubbliche cerimonie di culto. E ha concluso affermando, in modo assolutamente imprevisto, che “i cattolici dell’isola sono rispettati nelle loro credenze come tutti gli altri cittadini”. Prendendo in esame soltanto ciò che subito salta agli occhi in queste dichiarazioni, lascia perplessi il fatto che mons. Casaroli riconosca che i cattolici cubani subiscano restrizioni nell’esercizio del culto pubblico e nello stesso tempo affermi che essi “sono rispettati nelle loro credenze”. Come se il diritto al culto pubblico non fosse una delle più sacre fra le loro libertà.
Se i sudditi non cattolici del regime cubano sono rispettati come i cattolici, è il caso di dire che a Cuba nessuno è rispettato...
In che cosa consiste, allora, questa “felicità” di cui, secondo mons. Casaroli, godono i cattolici cubani? Sembra si tratti della dura felicità che il re-
“I cattolici che vivono a Cuba sono felici sotto il regime socialista. I cattolici non hanno la sia pur minima difficoltà con il governo socialista” Mons. Agostino Casaroli 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
gime comunista dispensa a tutti i suoi sudditi: quella di piegare il capo. Infatti mons. Casaroli afferma che “la Chiesa cattolica cubana e la sua guida spirituale cercano sempre di non creare problemi di nessun tipo al regime socialista che governa l’isola”. A un esame più approfondito, le osservazioni che l’alto dignitario vaticano ha raccolto dal suo viaggio portano a conclusioni di maggiore rilievo.
In un periodo in cui S. S. Paolo VI ha più che mai dato rilievo all’importanza di eque condizioni materiali di esistenza come fattori che favoriscono la pratica della virtù, non è concepibile che mons. Casaroli giudichi “felici nel regime socialista” di Fidel Castro i cattolici cubani, se questi sono immersi nella miseria. Dobbiamo perciò dedurre che, secondo mons. Casaroli, essi fruiscono di condizioni economiche almeno sopportabili.
Orbene, tutti sanno che non è vero. E per di più i cattolici che prendono sul serio le encicliche di Leone XIII, Pio XI e Pio XII sanno che non può essere così, poiché questi Papi hanno insegnato che il regime comunista è l’opposto dell’ordine naturale delle cose, e il sovvertimento dell’ordine naturale in economia come in qualsiasi altro campo - può dare soltanto frutti catastrofici.
Perciò i cattolici di qualsiasi parte del mondo, ingenui o male informati sulla dottrina sociale della Chiesa, leggendo i risultati dell’indagine condotta a Cuba da mons. Casaroli, saranno spinti a trarre una conclusione diametralmente opposta alla realtà, e cioé che non hanno ragione alcuna per temere l’instaurazione del comunismo nei rispettivi paesi, dal momento che in questa ipotesi saranno perfettamente “felici”, sia per quanto riguarda i loro interessi religiosi, sia per quanto riguarda la loro condizione materiale.
conducendo, già da molto tempo, verso i regimi comunisti. Diversi di questi episodi sono ben noti all’opinione pubblica.
Uno di essi è stato il viaggio in Russia, nel 1971, di Sua Eminenza il cardinale Willebrands, presidente del Segretariato per l’Unione dei Cristiani. Ufficialmente la visita era fatta per assistere all’insediamento del vescovo Pimen nel patriarcato “ortodosso” di Mosca. Pimen è l’uomo di fiducia, per i problemi religiosi, degli atei del Cremlino. Di per sé la visita dava grande prestigio al prelato eterodosso, a giusto titolo giudicato la bête noire di tutti gli “ortodossi” non comunisti del mondo. Parlando al sinodo che lo elesse, Pimen affermò che l’atto con cui, nel 1595, gli ucraini erano ritornati dallo scisma alla Chiesa cattolica era nullo. Questo comportava l’affermazione che gli ucraini non devono sottostare alla giurisdizione del Papa, ma a quella di Pimen e dei suoi compagni. Invece di prendere posizione di fronte a questa clamorosa aggressione ai diritti della Chiesa cattolica e della coscienza dei cattolici ucraini, il cardinal Willebrands e la delegazione che lo accompagnava rimasero in silenzio. Chi tace acconsente, dice il diritto romano. Distensione...
È doloroso affermarlo, ma la verità ovvia è questa: il viaggio di mons. Casaroli a Cuba si è concluso in propaganda della Cuba castrista.
Questo fatto, in sé stesso terribile, è un episodio della politica di distensione che il Vaticano va
Esecuzione sommaria nella Cuba di Fidel Castro. Nel solo periodo 1959-1961 più di settemila persone furono fucilate senza giusto processo: nessuna difficoltà per i cattolici?
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Dossier: Cambio di paradigma
Mentre il cardinale Raúl Silva Henríquez (a sin., con Fidel Castro), veniva lodato per il suo sostegno al regime marxista in Cile, il cardinale József Mindszenty (sotto) veniva invece rimosso per il suo rifiuto del regime marxista in Ungheria
Come è naturale, questa capitolazione ferì profondamente quei Cattolici che seguono con attenzione costante la politica della Santa Sede. Il trauma fu ancora maggiore per i milioni di cattolici ucraini sparsi in Canada, negli StatiUniti e in altri paesi. Ed ebbe relazione con i drammatici dissensi tra la Santa Sede e Sua Eminenza il cardinale Slipyj, valeroso arcivescovo maggiore degli ucraini, durante il sinodo episcopale tenutosi a Roma nel 1971.
Considerata nel suo insieme, la condotta di Sua Eminenza il cardinale Silva Henriquez, arcivescovo di Santiago del Cile, costituì un altro episodio della distensione verso i governi comunisti promossa dalla diplomazia vaticana. Com’è noto - e la TFP cilena lo ha dimostrato in un suo lucido manifesto riprodotto da diversi organi di stampa (2) - il porporato cileno gettò il peso di tutta l’influenza e l’autorità inerenti alla sua carica per aiutare l’ascesa di Allende al potere, il suo felice insediamento, e il suo mantenimento nella prima magistratura fino al momento tragico in cui il leader ateo si suicidò. Con una flessibilità che non contribuisce a farsi di lui una buona opinione, l’eminentissimo cardinale Silva Henriquez ha cercato, con alcune dichiarazioni pubbliche, di adattarsi all’ordine di cose che è succeduto al regime di Allende. Ma con questo non sono cessate le manifestazioni della sua permanente simpatia verso i marxisti cileni. Or è poco tempo, Sua Eminenza ha celebrato una messa funebre nella cappella del suo palazzo cardinalizio per l’anima di un altro comunista, il compagno Toha, ex-ministro di Allende, per altro anche lui un infelice suicida. Alla cerimonia erano presenti familiari e amici del defunto (3).
Per tutto questo insieme di atteggiamenti, così opportuni per avvicinare i cattolici al comunismo, 10 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
non consta che il porporato sia stato sottoposto alla sia pur minima censura. Se qualcuno avesse immaginato che avrebbe perso la sua arcidiocesi, a tutt’oggi starebbe aspettando invano. Il cardinal Silva Henriquez rimane tranquillamente investito della missione di portare a Gesù Cristo le anime della sua popolosa e importante arcidiocesi.
Mentre lui la conserva, per imposizioni della politica di distensione, un altro arcivescovo, al contrario, ha perso la sua. Si tratta di una delle figure più straordinarie della Chiesa del secolo XX, il cui nome è pronunciato con venerazione ed entusiasmo da tutti i cattolici fedeli ai tradizionali insegnamenti economici e sociali emanati dalla Santa Sede. Inoltre, il nome di questo prelato è rispettato da persone delle più diverse religioni. Esso è un fregio glorioso della Chiesa anche agli occhi di coloro che in essa non credono. Questo fregio è stato spezzato da poco. L’eminentissimo cardinale Mindszenty è stato destituito dall’arcidiocesi di Esztergom, per facilitare l’avvicinamento al governo comunista ungherese. Come si può vedere, la visita di mons. Casaroli a Cuba - anche facendo astrazione dalla intervista che ha concesso dopo aver lasciato l’isola - si inserisce come un anello in una catena di fatti che durano da anni. Dove finirà questa catena? A che dolorose sorprese, a che nuove ferite morali devono ancora prepararsi coloro che continuano ad accettare, in tutte le sue conseguenze, l’immutabile dottrina sociale ed economica insegnata da Leone XIII,
Pio XI e Pio XII? Siamo certi che innumerevoli cattolici, rileggendo queste notizie, venendo a conoscenza della perplessità, delle angustie e dei traumi espressi in queste righe, sentiranno descritto il loro stesso dramma interiore: il più intimo e più acuto dei drammi, perché prima, molto prima di riguardare soltanto problemi sociali ed economici, ha un carattere essenzialmente religioso. Riguarda ciò che vi è di più fondamentale, vivo e tenero nell’anima di un cattolico apostolico romano: il suo vincolo spirituale con il Vicario di Gesù Cristo.
2. Cattolici Apostolici Romani
La TFP è un’associazione civica e non religiosa. Tuttavia, i suoi dirigenti, soci e militanti sono cattolici, apostolici romani. E, di conseguenza, è cattolica l’ispirazione che li ha mossi in tutte le campagne che la TFP ha intrapreso per il bene del paese.
La posizione fondamentalmente anticomunista della TFP deriva dalle convinzioni cattoliche di coloro che ne fanno parte. E siccome sono cattolici, i dirigenti, soci e militanti della TFP sono anticomunisti in nome dei principi cattolici.
La diplomazia vaticana di distensione verso i governi comunisti crea quindi, per i cattolici anticomunisti, una situazione che li tocca profondamente, molto meno in quanto anticomunisti che in quanto cattolici. Infatti in ogni momento si può fare loro una osservazione sommamente imbarazzante: l’azione anticomunista da loro svolta non porta proprio a un risultato opposto a quello voluto dal Vicario di Gesù Cristo? E come si può immaginare un cattolico coerente la cui azione si svolga in direzione opposta a quella del Pastore dei Pastori? Tale domanda comporta come conseguenza, per tutti i cattolici anticomunisti, una alternativa: cessare la lotta o chiarire la loro posizione.
Cessare la lotta, non possiamo. Non lo possiamo per un imperativo della nostra coscienza di cattolici. Infatti, se è dovere di ogni cattolico promuovere il bene e combattere il male, la nostra coscienza ci impone di diffondere la dottrina tradizionale della Chiesa, e di combattere la dottrina comunista.
Nel mondo contemporaneo risuonano da ogni parte le parole “libertà di coscienza”. Sono pronunciate in tutto l’occidente e persino nelle segrete della Russia ... o di Cuba. Molte volte questa espressione è tanto usata da assumere persino significati abusivi. Ma in quanto ha di più legittimo e sacro si inscrive il diritto del cattolico di agire tanto nella vita religiosa quanto in quella civile secondo i dettami della sua coscienza.
Ci sentiremmo più incatenati nella Chiesa di quanto non lo era Solgenitsin nella Russia sovietica, se non potessimo agire in consonanza con i documenti di grandi Pontefici che hanno illuminato la Cristianità con la loro dottrina.
La Chiesa non è, la Chiesa non è mai stata, la Chiesa non sarà mai un tale carcere per le coscienze. Il vincolo di ubbidienza al Successore di Pietro, che mai romperemo, che amiamo dal più profondo della
Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 11
Dossier: Cambio di
paradigma
Reinhard Raffalt: “L’Ostpolitik vaticana favorisce il socialismo”
zia. E qui si situa la Vostra politica di distensione verso i governi comunisti.
Che fare a questo punto? Le righe di questa dichiarazione non basterebbero per contenere l’elenco di tutti i Padri della Chiesa, Dottori, moralisti e canonisti - molti dei quali elevati agli onori degli altari - che sostengono la legittimità della resistenza. Una resistenza che non è separazione, non è rivolta, non è acrimonia, non è irriverenza. AI contrario, è fedeltà, è unione, è amore, è sottomissione.
nostra anima, al quale tributiamo il meglio del nostro amore, questo vincolo noi lo baciamo nel momento in cui, macerati dal dolore, affermiamo la nostra posizione. E in ginocchio, fissando con venerazione la figura di S.S. Papa Paolo VI, noi gli manifestiamo tutta la nostra fedeltà.
Con questo atto filiale diciamo al Pastore dei Pastori: la nostra anima è Vostra, la nostra vita è Vostra. Ordinateci ciò che desiderate. Solo non comandateci di incrociare le braccia di fronte al lupo rosso che attacca. A questo si oppone la nostra coscienza.
3. La soluzione: nell’apostolo S. Paolo
Sì, Santo Padre - continuiamo - san Pietro ci insegna che è necessario “ubbidire a Dio prima che agli uomini” (4). Siete assistito dallo Spirito Santo e anche sostenuto - nelle condizioni definite dal Vaticano I - dal privilegio dell’infallibilità. Questo non impedisce che in certe materie o situazioni la debolezza a cui sono soggetti tutti gli uomini possa influenzare e persino determinare la Vostra azione. Una di queste è - forse per eccellenza - la diploma12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
“Resistenza” è la parola che abbiamo scelto di proposito, perché è usata dallo stesso san Paolo per caratterizzare il suo atteggiamento. Poiché il primo Papa, san Pietro, aveva preso misure disciplinari relative al permanere nel culto cattolico di pratiche sopravviventi dall’antica Sinagoga, san Paolo vide in questo un grave rischio di confusione dottrinale e di danno per i fedeli. Allora si levò e “resistette in faccia” a san Pietro (5). Questi non vide, nel gesto energico e ispirato dell’Apostolo delle Genti, un atto di ribellione, ma di unione e di amore fraterno. E, sapendo bene in che cosa era infallibile e in che cosa non lo era, cedette di fronte agli argomenti di san Paolo. I santi sono modelli dei cattolici. Nel senso in cui san Paolo resistette, il nostro stato è di resistenza. E in questo trova pace la nostra coscienza.
4. Resistenza
Resistere significa che consiglieremo ai cattolici di continuare a lottare contro la dottrina comunista con tutti i mezzi leciti, in difesa della patria e della civiltà cristiana minacciate.
Resistere significa che mai ci serviremo dei mezzi indegni della contestazione, e ancor meno. che assumeremo atteggiamenti che in qualsiasi punto si discostino dalla venerazionee dalla ubbidienza che si deve al Sommo Pontefice, nei termini del diritto canonico.
Resistere, però, comporta esprimere rispettosamente il nostro giudizio in situazioni come quelle dell’intervista di mons. Casaroli sulla “felicità” dei cattolici cubani.
Nel 1968 il Santo Padre Paolo VI presenziò nella prospera capitale colombiana, Bogotà, al 39° Congresso Eucaristico Internazionale. Parlando un mese dopo, da Roma a tutto il mondo, affermò che vi aveva visto il “grande bisogno di quella giustizia sociale che metta immense categorie di povera gente [in America Latina] in condizioni di vita più eque, più facili, più umane” (6). Tutto questo, nel continente in cui la Chiesa gode della massima libertà.
AI contrario, mons. Casaroli a Cuba ha visto soltanto felicità.
Di fronte a questo, resistere significa enunciare con serena e rispettosa franchezza che vi è una pericolosa contraddizione tra queste due dichiarazioni e che la lotta contro la dottrina comunista deve proseguire. Ecco un esempio di che cos’è l’autentica resistenza.
5. Panorama interno della Chiesa universale
Forse per qualche lettore brasiliano la presente dichiarazione può essere fonte di sorpresa. Infatti, riluttante al massimo nell’assumere l’atteggiamento pubblico che oggi assume, la TFP non ha divulgato
gli elementi di sconcerto e di dissenso che si propagano fra cattolici dei più diversi paesi a causa della distensione del Vaticano verso i governi comunisti. E allungherebbe troppo questo documento già esteso il farlo in questa sede. Ci limitiamo a riassumere, perché serva a spiegare nel modo migliore il nostro atteggiamento, quanto accade attualmente fra i cattolici tedeschi. Lo ha detto sul Correio do Povo di Porto Alegre l’ex-deputato della Repubblica Federale Tedesca Hermann M. Georgen (7).
Egli dà notizia del lancio di due libri di autori tedeschi sulla politica del Vaticano: «Wohin steuert der Vatican?» (Dove va il Vaticano?) di Reinhard Raffalt, e «Vatican intern» (Il Vaticano dentro) pubblicato da un autore che si cela sotto lo pseudonimo di Hieronymus. Entrambe le opere hanno avuto una risonanza tale, che “sono all’ordine del giorno per gli intellettuali e i politici tedeschi”. Georgen giudica l‘opera di Hieronymus satirica, ipercritica ed esagerata, mentre trova quella di Raffalt “sobria”, con “tesi ben fondate”, ispirate “a un profondo amore per la Chiesa”. E Raffalt proclama: “Papa Paolo VI è socialista”. Georgen aggiunge che, poco dopo la diffusione dell’ottima opera di Raffalt, un giornale tedesco ha pubblicato una vignetta che mostra Paolo VI mentre passeggia in compagnia di Gromiko. Passando davanti a un quadro raffigurante il cardinal Min-
Mentre Paolo VI clamava per “giustizia sociale”, denunciando la “povertà” nei paesi non comunisti dell’America Latina, il suo inviato speciale mons. Agostino Casaroli affermava che, invece, a Cuba i cattolici erano “felici”. Sotto: un quartiere dell’Avana.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 13
Dossier: Cambio di paradigma
“Nessun epilogo sarebbe tuttavia completo se non comprendesse la riaffermazione della nostra ubbidienza illimitata e amorosa non solo alla santa Chiesa, ma anche al Papa, in tutti i termini comandati dalla dottrina cattolica”
dszenty, Gromiko dice a Paolo VI: “Ebbene, ciascuno ha il suo Solgenitsin”.
Georgen informa anche che un gesuita tedesco, Simmel, ha pubblicato sul tradizionale settimanale Rheinischer Merkur, “conservatore e intransigente difensore della fede dei Papi, una critica considerata da Roma persino irriverente”, sotto il titolo: No, signor Papa! Georgen afferma ancora, a proposito della destituzione del cardinale Mindszenty : “Una vera ondata di appoggio (al cardinale) ha percorso i cattolici tedeschi”. La Frankfurter Algemeine Zeitung ha parlato apertamente dei “sogni cristianomarxisti” di Papa Paolo VI. E la Paulus Gesellschaft, portavoce del dialogo tra cristiani e marxisti, ha condannato la Ostpolitik del Vaticano, denunciandola come “machiavellica” perché vuole “imporre al mondo una pace romano-sovietica”. Di fronte a questo linguaggio, appare ancora più chiaro quanto sia misurato quello della TFP.
Non possiamo chiudere il nostro commento all’articolo di Hermann Georgen, senza sottolineare una grave affermazione in esso contenuta: in Polonia come in Ungheria, in Cecoslovacchia e in Jugoslavia, i contatti e gli accordi con la Santa Sede non hanno impedito che continuasse intensa la persecuzione religiosa. Lo ha affermato anche, per quanto riguarda la sua patria, il cardinal Mindszenty.
Questo fatto solleva in noi una perplessità. La prospettiva della attenuazione della lotta antireligiosa era il grande argomento (a nostro modo di vedere insufficiente) degli entusiasti della distensione vaticana. La pratica mostra che tale distensione non ottiene questo risultato e favorisce soltanto la parte comunista. Cuba è un altro esempio di questo fatto. E un autorevole promotore della distensione come mons. Casaroli dichiara che, in regime di persecu14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
zione, i cattolici vivono felici. Chiediamo allora se distensione non è sinonimo di capitolazione.
Se lo è, come non resistere alla politica di distensione, mostrandone pubblicamente l’enorme equivoco? È un altro esempio di che cosa intendiamo per resistenza.
6. Conclusione
Questo chiarimento si imponeva. Esso ha il carattere della legittima difesa delle nostre coscienze di cattolici, di fronte a una prassi diplomatica che rendeva loro l’aria irrespirabile, e che mette i cattolici anticomunisti nella più penosa delle situazioni, che è quella di diventare incomprensibili per l’opinione pubblica. Lo ripetiamo a titolo di epilogo, chiudendo questa dichiarazione. Nessun epilogo sarebbe tuttavia completo se non comprendesse la riaffermazione della nostra ubbidienza illimitata e amorosa non solo alla santa Chiesa, ma anche al Papa, in tutti i termini comandati dalla dottrina cattolica.
La Madonna di Fatima ci aiuti nella via che imbocchiamo per fedeltà al Suo messaggio e nella gioia anticipata che si compirà la promessa da Lei fatta: “Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!”. San Paolo, 8 aprile 1974
Consiglio Nazionale della TFP brasiliana Plinio Corrêa de Oliveira, Presidente
(1) Cfr. O Estado de Sao Paulo, 7-4-1974. (2) Ctr. “L’autodemolizione della Chiesa fattore della demolizione del Cile”, in Cristianità, Piacenza, luglio-agosto 1973, anno 1, n. O. Il manifesto è ora raccolto in PLINIO CORREA DE OLIVEIRA e TFP CILENA Il crepuscolo artificiale del Cile cattolico, Cristianità, Piacenza 1973 (3) Cfr. Jornal do Brasil, 18-3-1974. (4) Atti 5 29. (5) cfr. Gal. 2, ii. (6 ) PAOLO VI , Discorso all’Angelus, del 22-9-1968, in Insegnamenti, Vol VI, p. 1103. (7) Correio do Povo, 23-3-1974. (Pubblicato su Cristianità, Piacenza, maggio-giugno 1974)
Papa Francesco: un cambio di paradigma nella missione della Chiesa?
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Intervento di José Antonio Ureta nella giornata di studi “Vecchio e nuovo Modernismo. Le radici della crisi nella Chiesa”, tenutasi a Roma lo scorso 23 giugno, in cui ha presentato il suo libro «Il cambio di paradigma di Papa Francesco»
everendi Sacerdoti, Signore e Signori.
Se nei primi concili della Chiesa i laici furono invitati a partecipare, senza potere decisionale – con l’eccezione dell’VIII Concilio di Toledo, in cui i laici presenti non soltanto parteciparono delle deliberazioni, ma firmarono persino gli atti – credo che non sia esagerato accettare, in questo congresso dottrinale che riunisce accademici di varie discipline, un relatore che non è un accademico, bensì un militante che studia la vita della Chiesa da quattro decadi. E se Papa Francesco è stato criticato con molto fondamento da alcuni dei qui presenti per il suo prassismo – penso particolarmente ai Professori Roberto de Mattei e Giovanni Turco –, credo però che siamo tutti d’accordo sul fatto che vada evitato l’ec-
cesso opposto, ossia quello di una cultura libresca interamente assorbita in elucubrazioni astratte e slegata dalla realtà, molto tipica di tanti intellettuali moderni, a partire dalla scissione cartesiana tra l’intelligenza e la realtà, tra il pensiero e l’azione.
In quanto militante cattolico, discepolo di Plinio Corrêa de Oliveira, da parte mia mi sforzo affinché il mio pensiero si sviluppi nella lotta. Come spiega Roberto de Mattei nella sua recente opera «Plinio Corrêa de Oliveira: Apostolo di Fatima e Profeta del Regno di Maria», nel processo di elaborazione mentale del compianto intellettuale brasiliano “lo studio è un elemento che serve più a lottare che a conoscere meglio la verità. Non è un’attività che si faccia a tavolino, in vitro, studiando all’interno di un tubo di vetro; ma è qualcosa che si realizza nello scontro, nella lotta, nel
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Dossier: Cambio di paradigma
Il lavoro evidenzia il desiderio di adeguare la Chiesa alla modernità rivoluzionaria e anticristiana come il denominatore comune del cambiamento di paradigma dell’attuale pontificato A sin.: Papa Francesco con Fidel Castro all’Avana
mezzo della battaglia, riflettendo su di essa e studiando ciò che è necessario per condurla a termine”.
In effetti, le migliori esplicitazioni del grande maestro della Contro-Rivoluzione sono state frutto della lotta del momento. Penso al suo primo libro «In Difesa dell’Azione Cattolica», che, già nel 1943, denunciava l’infiltrazione degli errori del Neo-Modernismo nei mezzi cattolici brasiliani, che 20 anni più tardi avrebbero dato l’orientamento ai dibattiti conciliari. O alla sua dichiarazione di Resistenza alla Ostpolitik vaticana, primo documento di diffusione mondiale in cui, nell’epoca contemporanea, venne sollevata la delicata questione della liceità dell’opposizione alle direttive di un Papa. Fu anche per rispondere a una eventuale obiezione che il Dr. Plinio suggerì ad Arnaldo V. Xavier da Silveira di studiare e includere nel suo libro sul Novus Ordo di Paolo VI una sezione, da poco pubblicato separatamente, sulla possibilità teologica di un Papa eretico.
In questo contesto di lotta come “grande interlocutrice dell’uomo” – e dando seguito a altre iniziative nelle quali noi discepoli di Plinio Corrêa de Oliveira ci siamo impegnati negli ultimi anni, come ad esempio la Supplica Filiale a Papa Francesco per il Futuro della Famiglia, firmata da 900mila cattolici di tutto il mondo, o alla Dichiarazione di Fedeltà all’Insegnamento immutabile della Chiesa e alla sua disciplina ininterrotta sul Matrimonio, firmata da 36mila persone – in questo contesto ho l’onore di annunciare la pubblicazione di un lavoro di mia redazione intitolato «Il “cambio di paradigma” di Papa Francesco: Continuità o rottura nella missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato». 16 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
Lo scopo del suddetto lavoro è limitato. Vuol fare un elenco delle prese di posizione di Papa Francesco rivelatrici di un cambiamento di paradigma in relazione all’insegnamento perenne della Chiesa solo in quei temi riguardanti i laici. Pertanto, restano di proposito esclusi dal libro temi in sé più importanti e anche oggetto di controversia, ma che attengono alla struttura stessa della Chiesa Cattolica e ai suoi dogmi fondamentali, e che proprio per questo, vanno al di là del campo visuale e delle conoscenze comuni dei fedeli, ben formati e informati ma non specialisti.
Questo lavoro non pretende neanche di fare un’analisi dottrinaria approfondita di ciascuno degli argomenti trattati, ma semplicemente un resoconto commentato delle dichiarazioni e delle iniziative dell’attuale Pastore Supremo che più hanno lacerato il sensus fidei del suo gregge.
I temi, affrontati in otto capitoli, sono quelli che più hanno sconcertato i cattolici comuni – pertanto non mi riferisco all’ambiente tradizionalista, ma ai fedeli conservatori che riempiono le parrocchie senza ancora essere stati trasbordati ideologicamente dai pastori neomodernisti – e sono i seguenti: • Il ripiegamento pastorale dei “valori non negoziabili”, notoriamente a difesa della sacralità della vita e del matrimonio come unione indissolubile di un uomo e di una donna; • La promozione dell’agenda neomarxista e no global dei “movimenti sociali”;
• La promozione dell’agenda “verde”, di una governance mondiale e di una mistica ambigua verso la “Madre Terra”;
• L’incoraggiamento dell’immigrazione e dell’Islam insieme alla reticenza rispetto ai cristiani perseguitati in Medio Oriente;
• L’indifferentismo religioso, il relativismo filosofico e l’evoluzionismo teologico illustrati per esempio in quel primo e sconvolgente video con le intenzioni pontificie per l’Apostolato della Preghiera, ampiamente diffuso sulle reti sociali;
• La predicazione di una nuova morale soggettiva senza imperativi assoluti;
• L’accesso alla comunione ai divorziati risposati, per mezzo dell’applicazione di Amoris laetitia;
• La simpatia verso l’attuale pontificato da parte dei poteri mondani e di gruppi anticristiani.
In un capitolo riassuntivo, il lavoro evidenzia il desiderio di adeguare la Chiesa alla Modernità rivoluzionaria e anticristiana come il denominatore comune del cambiamento di paradigma dell’attuale pontificato. Il capitolo finale riguarda la liceità della resistenza a tale cambio di paradigma, secondo il modello insegnato da San Paolo nella lettera ai Galati. Ovvero, è proprio l’amore al Papato che deve portarci a resistere a gesti, dichiarazioni e strategie politico-pastorali che contrastano con il depositum fidei e con la Tradizione della Chiesa. Si sottolinea che, se è vero che nessuna eresia può venire insegnata infallibilmente dai papi, è
anche vero che un papa che non ricorre al carisma dell’infallibilità, o che affronta una questione non coperta da quest’ultimo, può sbagliare. E che, in tal caso, per amore alla verità e alla Chiesa, i fedeli possono e devono resistere.
Precisamente per non fermarsi solo ad una lamentela astratta sugli aspetti sconcertanti del cambiamento di paradigma promosso da Papa Francesco, ma per contribuire modestamente all’orientamento dei fedeli perplessi, la conclusione del libro insiste sul fatto che l’atteggiamento di resistenza può e deve essere esercitato non solo in quel che concerne la riammissione degli adulteri al banchetto eucaristico, ma anche nella difesa della vita umana contro l’aborto e l’eutanasia; nella difesa del matrimonio indissolubile e nella lotta contro il riconoscimento legale delle unioni omosessuali; nella difesa della proprietà privata e della libera iniziativa contro le politiche collettiviste e gli assalti dei cosiddetti “movimenti sociali”; nel rifiuto dell’ideologia indigenista e del miserabilismo come soluzioni ad un preteso “riscaldamento globale di origine antropica” che divide la comunità scientifica; nella difesa del’identità cristiana e della cultura nazionale di fronte al problema dell’immigrazione – con il conseguente rifiuto dell’islamizzazione dell’Occidente e del relativismo filosofico e spirituale dell’utopia “multiculturale” – , così come nel rigetto dell’Ostpolitik vaticana verso regimi anticristiani che perseguitano i cattolici.
Resta però in piedi una domanda: Come rapportarsi ai pastori che assumono e attuano il cambiamento di paradigma di matrice bergogliana? Come rapportarsi allo stesso Pastore dei pastori che lo promuove?
L’atteggiamento di resistenza può e deve essere esercitato, per esempio nel rifiuto dell’ideologia indigenista e del miserabilismo come soluzioni ad un preteso “riscaldamento globale di origine antropica”, sul quale nemmeno gli scienziati sono d’accordo A dx., indios nell’Amazzonia brasiliana, proposti come modelli di vita nell’enclicica Laudato Si’
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Dossier: Cambio di paradigma
Già nel lontano 1976, esibendo più di 350 documenti, un libro aveva sollevato la questione dell’obbedienza ai “pastori demolitori”, che stavano consegnando il Cile, e altri Paesi sudamericani, al comunismo
la demolizione di quel paese. Tale via cercava di rispondere alla seguente domanda: “Posto il nostro atteggiamento di resistenza, e volgendo l’attenzione alla nostra vita spirituale di cattolici, siamo obbligati dalla sana dottrina ad avvicinarci a questi Pastori e sacerdoti [demolitori] per ricevere dalla loro bocca gli insegnamenti della Chiesa e dalle loro mani i sacramenti?”.
Il lavoro sostiene che sembra indispensabile evitare due “facili soluzioni”, tra loro opposte. Una che consiste nel dire: “In fin dei conti, il Papa è il rappresentante di Cristo e i vescovi sono i successori degli Apostoli. Sono il ‘magistero vivo’. Chi sono io per giudicarli? Se il Papa e i vescovi che lo appoggiano si stanno sbagliando, il problema è loro”; e l’altra che afferma: “Tutto ciò è chiaramente eretico; per cui, chi lo promuove non può essere Papa”, e cadere così nel sedevacantismo, evitando di resistere a un superiore per il fatto di non riconoscergli più l’autorità. Al contrario, bisogna rifiutare questa falsa alternativa, riconoscendo Papa Francesco come il Vicario di Cristo in Terra e i nostri vescovi diocesani come successori degli Apostoli, ma senza per questo lasciare di “resistergli in faccia”, come San Paolo resistette a San Pietro.
Questa via intermedia, che evita i due scogli, venne suggerita tempo fa dal Prof. Plinio Corrêa de Oliveira ai dirigenti della TFP cilena come conclusione al libro «La Chiesa del silenzio in Cile», che denunciava la collaborazione di una parte importante dell’Episcopato andino con il comunismo per 18 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
Prendendo come presupposto che “per avere piena convivenza ecclesiastica è necessario che vi sia un livello minimo di fiducia e di mutua concordia nelle relazioni spirituali da pecora a pastore e da figlio a padre” e “data l’ampiezza e l’importanza che questi Pastori e sacerdoti danno all’azione demolitrice”, la risposta sfumata suggeriva che “nell’ordine concreto non vi sono le condizioni per un esercizio abituale di questa convivenza”, senza che essa “non causi un rischio prossimo per la fede e grave scandalo per i buoni”. Per questo, “cessare la convivenza ecclesiastica” con loro “è un diritto di coscienza dei cattolici che la giudichino dannosa per la propria fede e la vita di pietà, e scandalosa per il popolo fedele”.
Com’è naturale, questa proposta non dovrebbe essere messa in pratica in modo universale, visto che il processo di demolizione può trovarsi più accelerato qui e un po’ più in ritardo altrove. Ad esempio, in materia di riammissione all’Eucaristia dei divorziati risposati civilmente, la situazione in Germania non è la stessa della vicina Polonia o dell’Africa. Per cui è comprensibile che alcuni fedeli frequentino le chiese dei Pastori e sacerdoti che mettono in atto il nuovo paradigma e che altri si rifiutino di farlo e si allontanino da ogni abituale rapporto spirituale e religioso con tali ecclesiastici, anche in quel che attiene alla vita sacramentale. Se qualcuno dei presenti si angustiasse per questa proposta – ritenendo che la sospensione dell’abituale convivenza con i Pastori demolitori equivale a uno scisma, benché si riconosca loro pienamente l’autorità e la giurisdizione –, facciamo notare che questo diritto che spetta ai fedeli ingiu-
stamente sottoposti a pressione morale è analogo a quello della sposa e dei figli rispetto a un padre prevaricatore che li aggredisce psicologicamente: in questo caso essi possono legittimamente, pur senza abbandonare il focolare, decidere di occupare stanze più appartate della casa per proteggersi così dalla cattiva influenza paterna. Tale allontanamento dalla coabitazione quotidiana e abituale non rappresenta un disconoscimento degli indissolubili legami coniugali e filiali che li unisce al padre, né una mancanza del loro dovere di fedeltà a lui, ma al contrario può portare il padre manchevole a fare un esame di coscienza e a convertirsi, portando così al ripristino della normale convivenza familiare.
L’analogia non è forzata, dato che, basandosi nella lettera di San Paolo ai Galati – “il marito è il capo della moglie, come Cristo è il capo della Chiesa, suo corpo, della quale è il Salvatore” (5,23) –, i Padri della Chiesa e in seguito i canonisti medievali, si sono serviti ampiamente della metafora del matrimonio mistico, simbolizzato dall’anello episcopale, per designare analogicamente le relazioni che il vescovo mantiene con la sua diocesi. La metafora è valida, a fortiori, per raffigurare le relazioni tra il papa e la tota Ecclesia. In realtà, i diritti del coniuge che si vede forzato a separarsi vanno persino oltre. Il coniuge vittima di abuso, di fatto, ha il diritto di cessare
completamente la convivenza, cambiando domicilio o cacciando da questo il coniuge manchevole. Il Codice di Diritto Canonico del 1983, ribadendo la legislazione immemoriale della Chiesa, stabilisce che “i coniugi hanno il dovere e il diritto di osservare la convivenza coniugale, eccetto che ne siano scusati da causa legittima” (c. 1151). Oltre all’adulterio non consentito né perdonato (c. 1152), è legittima la separazione dei corpi, pur con la permanenza del vincolo, se “uno dei due coniugi compromette gravemente il bene sia spirituale sia corporale dell’altro o della prole, oppure rende altrimenti troppo dura la vita comune”. Tale separazione può essere chiesta all’Ordinario o, “per decisione propria, se vi è pericolo nell’attesa”, con l’unico limite che “cessata la causa della separazione, si deve ricostituire la convivenza coniugale” (c. 1153).
Nella legislazione civile di molti paesi di tradizione cristiana ancora esiste, sulle orme del diritto canonico, l’istituzione della “separazione dei corpi” senza la dissoluzione del vincolo, ma che comporta solo un allentamento del legame coniugale, in quanto l’unico dovere dispensato è l’obbligo di coabitazione. Tutti gli altri doveri sorti dal matrimonio restano validi, e soprattutto quello della fedeltà e l’obbligo di soccorso nella necessità.
Questa totale separazione senza dissoluzione del vincolo, ammessa dal Diritto Canonico e dalle
Uno dei punti sollevati dal libro di Ureta è la promozione dell’agenda neomarxista e no global dei cosiddetti “movimenti sociali”. Nella foto, il Pontefice si rivolge al Congresso internazionale dei movimenti sociali tenutosi a Santa Cruz, Bolivia
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Dossier: Cambio di paradigma
Chiudo ribadendo la nostra fede incrollabile e la nostra fedeltà inalterabile al primato di giurisdizione universale del Pontefice Romano e alla sua infallibilità ex cathedra, così come alla verità della fede, contenuta nelle Sacre Scritture e proclamata dal Magistero universale ordinario, dell’indefettibilità della Chiesa Questa è solo la proposta di un laico che, pur senza alcuna specializzazione in teologia, in morale o nel diritto canonico, non disconosce la dottrina e la disciplina della Chiesa e si lascia guidare dal sensus fidei e dalla ragione illuminata dalla fede. Ed egli approfitta dell’occasione di questo congresso per sottoporla senza alcuna pretesa alla considerazione dei partecipanti.
leggi civili, è un atteggiamento ben più drastico di quello suggerito sopra, che consiste nella semplice sospensione dell’esercizio abituale della convivenza – equivalente ad andare a vivere in stanze lontane ma nella stessa casa – in relazione a Pastori il cui gregge si sente psicologicamente aggredito dal tentativo di imposizione di un cambiamento di paradigma inaccettabile nell’insegnamento, nella disciplina e nella vita della Chiesa.
È questo equilibrio nella resistenza che caratterizza la nostra proposta come una “via intermedia”, ovvero che mantiene integri i legami di fedeltà che uniscono i fedeli ai legittimi Pastori, ma che prende le misure prudenziali necessarie alla preservazione dell’integrità della propria fede e, al contempo, pratica la carità verso i più deboli, evitando che la convivenza abituale con prelati autodemolitori sia per essi un motivo di scandalo. 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
Se dovesse accadere – Deus avertat! – che l’attuale divisione virtuale nel seno della Chiesa, favorita dal cambiamento di paradigma promosso dalle più alte autorità ecclesiastiche, si trasformi in una spaccatura formale, come temono alcuni, pensiamo che i cattolici fedeli al loro battesimo debbano stringersi all’insegnamento perenne del Magistero tradizionale e ai pastori che lo trasmettono senza alterazioni, nell’attesa che lo Spirito Santo faccia tornare sulla retta via quanti vi si allontanano, senza nel frattempo angustiarsi circa lo statuto canonico di questi ultimi, materia teologico-canonica delicata che sta totalmente al di fuori della competenza dei comuni fedeli e che è motivo di controversia persino tra gli specialisti.
Nell’attuale confusione, che rischia di aggravarsi in un futuro non lontano, una cosa è certa: i cattolici fedeli al loro battesimo mai prenderanno l’iniziativa di rompere il sacro legame di amore, di venerazione e di obbedienza che li unisce al successore di Pietro e ai successori degli Apostoli, anche se questi possano eventualmente opprimere le loro coscienze e autodemolire la Chiesa. Se, abusando del proprio potere e cercando di forzarli ad accettare i loro traviamenti, tali prelati arrivassero a condannarli a causa della loro posizione di fedeltà al Vangelo e di resistenza all’autorità, saranno tali pa-
stori, e non i cattolici fedeli, i responsabili di questa rottura e delle sue conseguenze davanti a Dio, al diritto della Chiesa e alla Storia, così come avvenne con Sant’Atanasio, vittima di un abuso di potere, ma una stella nel firmamento della Chiesa.
Approfitto dell’occasione di questa presentazione per ringraziare pubblicamente l’aiuto ricevuto dai miei colleghi Juan Miguel Montes, Federico Catani e Samuele Maniscalco, senza i quali la preparazione del lavoro e la sua pubblicazione non sarebbero stati affatto possibili.
E chiudo queste poche parole con le stesse espressioni che concludono il bilancio quinquennale del pontificato di Papa Francesco, ovvero ribadendo la nostra fede incrollabile e la nostra fedeltà inalterabile al primato di giurisdizione universale del Pontefice Romano e alla sua infallibilità ex cathedra, così come alla verità della fede, contenuta nelle Sacre Scritture e proclamata dal Magistero universale ordinario, dell’indefettibilità della Chiesa. Vale
a dire quella proprietà soprannaturale che garantisce la perpetuità e l’immutabilità dei suoi elementi essenziali, fondata sulla promessa di Nostro Signore e consolidata nel versetto di chiusura del Vangelo di San Matteo: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (28,20).
Nel mentre, come diceva Plinio Corrêa de Oliveira, “è possibile e perfino probabile che vi siano terribili defezioni. Ma è assolutamente certo che lo Spirito Santo continua a suscitare nella Chiesa mirabili e indomabili energie spirituali di fede, purezza, obbedienza e dedizione che al momento opportuno copriranno ancora una volta di gloria il nome cristiano. Il secolo XX[I] sarà non soltanto il secolo della grande lotta, ma soprattutto il secolo dell’immenso trionfo”. (Tratto da “Corrispondenza Romana”, 27 giugno 2018)
lancio L’idea di una “nuova Chiesa” aleggia sul recente dibattito attorno al “cambio di paradigma”, espressione con la quale si vuole contraddistinguere il pontificato di Papa Francesco.
Questo “cambio di paradigma” è in continuità con la missione della Chiesa? Oppure costituisce una rottura storica, fino a raffigurare, appunto, una nuova Chiesa?
Quale deve essere l’atteggiamento dei fedeli di fronte a tale panorama? Esercitare un diritto, anzi un dovere, di “resistenza”?
Ecco alcuni interrogativi posti dal libro, recentemente lanciato a Roma: «Il cambio di paradigma di Papa Francesco. Continuità o rottura con la missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato», scritto da José Antonio Ureta. Una lettura obbligatoria per chi voglia mantenersi dentro la barca di Pietro senza essere inghiottito dalla voragine. Per eventuali richieste: Tel. 06-8417603 — email: info@atfp.it
José Antonio Ureta, «Il cambio di paradigma di Papa Francesco. Continuità o rottura con la missione della Chiesa? Bilancio quinquennale del suo pontificato», Tradizione Famiglia Proprietà, Roma 2018, 233 pp. Offerta consigliata: Euro 20,00. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 21
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Esiste una soluzione alla corruzione?
Riflessioni di Plinio Corrêa de Oliveira
Il problema della corruzione nella politica è, purtroppo, all’ordine del giorno. La sensazione che non esista una soluzione è soverchiante. La corruzione è inerente alla democrazia? È lecito finanziare i politici per ottenerne vantaggi? Esiste una soluzione? Alcune riflessioni del prof. Plinio Corrêa de Oliveira.
È
lecito finanziare i politici? È legittimo, per esempio, che un uomo ricco spenda una somma importante per favorire l’elezione di un politico difensore di idee simili alle sue? In tesi, credo che il fatto di finanziare l’elezione di una persona che non possiede mezzi economici non sia, di per sé, un atto disonesto. Può anche essere considerato un atto di virtù. Anzi, sarebbe un uomo molto meschino chi, essendo in grado di facilitare, attraverso contributi finanziari, l’accesso a una carica pubblica importante di un candidato che presenti un programma in grado di salvare il paese, non lo faccia.
La situazione, però, cambia radicalmente quando egli lo fa non per affinità ideologica o per idealismo patriottico, bensì per un accordo spurio do 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
ut des. Se egli finanzia un candidato solo perché gli saranno concessi vantaggi nello svolgimento delle sue attività economiche, per esempio ricevendo in cambio un appalto privilegiato, la combinazione diventa spuria. Una tale combinazione implica, molte volte, che l’appalto sia vinto non dall’azienda più competente, bensì da quella che ha facilitato i soldi al candidato o al partito. Un tale accordo trasforma un atto idealista in uno affaristico, mostrando il lato nascosto e spurio di un tale sistema.
Vengono meno le regole della libera concorrenza e si stabilisce un sistema che puzza di monopolio, poiché il vincitore dell’appalto potrà applicare il prezzo che vuole. Questo è un atto profondamente
disonesto, perché la ditta vincitrice scaricherà sulle spalle dei cittadini il costo del favore ricevuto. Ci si domanda: questo problema è intrinseco alla democrazia o al capitalismo?
Considerate le cose in tesi, questo tipo di corruzione non squalifica la democrazia stessa, né il sistema economico di libero mercato. È una distorsione che può facilmente verificarsi in qualsiasi forma di governo, sia esso democratico o monarchico. E succede sia nel sistema economico capitalista sia in quello comunista. Ricordiamo che nel comunismo i membri del Partito - specialmente la cosiddetta nomenklatura - costituiscono una casta, che ottiene tutti i vantaggi.
Il problema è fondamentalmente morale e religioso. Il nocciolo del problema non si trova nella forma di governo o nel sistema economico. Risiede nel grado di moralità pubblica e, in particolare, nel comportamento degli uomini pubblici. Quando ci sono persone che prendono sul serio l’esistenza di Dio e seguono la Sua Legge, tali cose non succedono.
Dove, invece, la popolazione non prende sul serio l’esistenza di Dio e non segue la Sua Legge, è inevitabile che molte persone rubino, si appropiano cioè di beni che non appartengono loro. Si tratta, dunque, di un problema che, pur contenendo riflessi economici e politici, è fondamentalmente morale e, come tale, coinvolge un problema religioso. Dove non c’è religione né moralità, dove i valori religiosi non contano e la Fede è dimenticata, le cose andranno necessariamente verso il disfacimento di tutto l’ordine economico, politico e sociale.
Se anche gli onesti sono a volte costretti a prevaricare quando il riconoscimento dei loro diritti dipende da funzionari pubblici corrotti, cosa dire dei disonesti? Oggidì, quello che corrompe è tenuto in considerazione come una persona abile. Chi non lo fa è, invece, disprezzato come ingenuo. L’astuto guadagna soldi. L’onesto vive nella povertà. La pratica della bustarella si diffonde come una macchia d’olio penetrando tutta la struttura sociale.
Quando il numero dei corrotti diventa così grande, è praticamente impossibile reprimere il crimine senza mettere l’intera nazione in carcere. Qualcuno ha pensato a depenalizzare la corruzione, declassandola da reato a illecito civile, punibile non col carcere ma con una semplice pena pecuniaria. Questo non è altro che l’ufficializzazione della rapina. In tal modo, se un ladro è sorpreso rubando polli, può andare in carcere e macchiare la sua fedina penale. Se, invece, un politico riceve soldi illeciti, non va in carcere. Paga una multa, e via! Senza che la sua reputazione sia nemmeno scalfita. Così la corruzione diventa una pratica ufficiale. La proprietà privata non è più rispettata. Non solo si moltiplicano gli appalti fasulli, ma lo stesso mondo aziendale si corrompe, essendo fondato non più sul lavoro onesto ma sulla frode. In tale situazione, il lavoro onesto perde prestigio e influenza. La disonestà diventa il modo privilegiato per fare i soldi. Il furto diventa padrone. E il sistema economico, comunista o capitalista che sia, sprofonda nella corruzione. Il Paese diventa una “rapinaland”, dove una minoranza di ladri diventa ricca e potente, a scapito della maggioranza. Risultato: si perde ogni decoro pubblico, e si scivola verso il caos.
È chiaro che ogni tipo di illegalità e di immoralità pubblica va soppressa categoricamente. Tuttavia, la corruzione non sarà mai eliminata semplicemente punendo i corrotti. In un paese dove la stragrande “I ladri di beni privati maggioranza della popolazione non adempie i dieci Comandamenti passano la vita in carcere della legge di Dio, il numero dei corrotti tenderà a crescere indefinie in catene, quelli di beni tamente. Se cinque di loro sono arpubblici nelle ricchezze restati, chiunque creda che il numero dei criminali diminuirà di e negli onori” cinque unità si inganna. Sono stati semplicemente lasciati cinque posti liberi. E per coprirli arriveranno non cinque ma cinquanta candidati, Marco Porcio Catone cioè cinquanta nuovi ladri. E la corruzione aumenterà.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 23
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Ciò che manca nelle società di oggi sono le élite, morali prima di tutto, ma anche élite composte dalle famiglie che hanno conservato il ricordo delle grandi figure del passato, personaggi famosi per la loro onestà e che servono ancora da modello.
La democrazia, in pratica, ha rovinato il prestigio delle vere élite. Con il pretesto di favorire le classi più modeste, la democrazia ha dotato la società di strutture sempre più egualitarie, portando al progressivo collasso delle vere élite e alla graduale scomparsa delle strutture e dei valori che la società aveva distillato per portare al potere i suoi esponenti più istruiti e capaci. Ciò ha prodotto disorientamento e una tendenza al caos, che sta diventando sempre più pronunciata. Se non lavoriamo per il ripristino delle élite, non potremo mai attuare un profondo cambiamento.
La radice di ogni male sta nella mancanza di religione. Se le persone praticassero la vera religione, non ci sarebbe corruzione. Tutti si lamentano della corruzione, ma nessuno vuole praticare la religione. Perché? In realtà, molte persone hanno chiaro che la soluzione sia un ritorno alla moralità basata sulla religione, ma non ne vogliono sapere perché un clima di austerità e di rigore morale li costringerebbe a cambiare il proprio stile di vita. E non vogliono ciò. Possono urlare contro la corruzione come un male spregevole, ma smettere di peccare è qualcosa di molto diverso ...
Per affrontare una tale situazione è necessario realizzare un apostolato di natura essenzialmente religiosa, che attiri la grazia divina. Con l’aiuto della grazia, tale apostolato potrà toccare le anime, le intelligenze e le volontà, producendo conversioni vere. Partendo da queste conversioni, si potrà cominciare a pensare ad una soluzione. Ora, tali conversioni sono ovviamente difficili in tempi di immoralità generalizzata, perché le persone sono molto attaccate ai vantaggi che l’immoralità può offrire. E, quindi, sarà difficile che abbandonino la strada sbagliata. Per attuare una tale soluzione, bisogna che sorgano apostoli come quelli accennati da Dom Chautard nella sua famosa opera «L’anima di ogni apostolato». Questi apostoli hanno una vera vita interiore e desiderano il Regno di Dio prima di ogni cosa, cioè la piena realizzazione della volontà divina in Cielo come sulla terra. Apostoli che trascinano col proprio esempio e influiscono sull’opinione pubblica, apostoli che elaborano progetti politici secondo Dio. Solo questi potranno cambiare il comportamento delle persone. Dobbiamo chiedere alla Divina Provvidenza che mandi apostoli di questo genere, e che faccia diventare l’uomo contemporaneo docile alle parole di Nostra Signora di Fatima, nel 1917: penitenza, preghiera, conversione.
In realtà, molte persone hanno chiaro che la soluzione sia un ritorno alla moralità basata sulla religione, ma non ne vogliono sapere perché un clima di austerità e di rigore morale li costringerebbe a cambiare il proprio stile di vita. E non vogliono ciò. Possono urlare contro la corruzione come un male spregevole, ma smettere di peccare è qualcosa di molto diverso ...
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Dossier: Maggio 1968
“Un rasoio che separò il passato dal futuro” A cinquant’anni dal ‘68
Abbiamo ricordato a maggio i cinquant’anni di quella che rimarrà nella storia come la “Rivoluzione del ‘68”, vale a dire la stagione di contestazione studentesca che ebbe nel maggio parigino la sua epitome. Cosa ne è rimasto? Quale la sua incidenza sulla Chiesa? Esiste un nesso fra il maggio ‘68 e il Concilio Vaticano II?
Parigi, 16 maggio 1968, i manifestanti si scontrano con la Polizia nel Quartiere Latino TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 25
Dossier: Maggio 1968
A
L’eredità del ‘68
bbiamo ricordato a maggio i cinquant’anni di quella che rimarrà nella storia come la “Rivoluzione del ‘68”, vale a dire la stagione di contestazione studentesca che ebbe nel maggio parigino la sua epitome.
Secondo Time, “il ‘68 fu un rasoio che separò il passato dal futuro”. Più che rasoio, però, il 1968 fu una pietra miliare, cioè un anno cruciale ed emblematico, di quel gigantesco e multiforme processo rivoluzionario già sfociato nel 1789 e nel 1917.
Prime avvisaglie
Qualcosa covava già da tempo. Dagli Stati Uniti, e poi dall’Inghilterra, arrivavano nuovi ritmi musicali — boogie-woogie, blues, rock’n roll — nonché nuovi tipi umani — teddy boys, hipsters, beatnicks — espressioni d’una intera generazione che non si riconosceva più nei canoni tradizionali e bramava dei cambiamenti in profondità. Era come
di Julio Loredo
un’onda d’urto, immensa ma ancora sorda, che saliva dagli abissi. Disdegnata da molti come una pazzia passeggera di ragazzi sballati, che sarebbe subito rientrata in riga, per gli osservatori più avveduti, invece, quest’onda indicava che qualcosa di epocale stava per esplodere.
Già nel 1959, nel saggio «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», il prof. Plinio Corrêa de Oliveira scorgeva in queste tendenze le prime avvisaglie di una nuova onda rivoluzionaria, la 4ª, sulla scia di quel processo storico iniziato col Protestantesimo (1ª Rivoluzione), e continuato con la Rivoluzione francese (2ª Rivoluzione) e col Comunismo (3ª Rivoluzione).
“Così come lo abbiamo descritto — diceva il pensatore cattolico — il processo rivoluzionario nelle anime ha prodotto nelle ultime generazioni, e specialmente negli adolescenti d’oggi, che si lasciano ipnotizzare dal ‘rock and roll’, un modo di essere dello spirito caratterizzato dalla spontaneità delle reazioni primarie, senza il controllo dell’intelligenza né la partecipazione effettiva della volontà; dal predominio della fantasia e delle ‘esperienze’ sulla analisi metodica della realtà. Tutto ciò, in larga misura, è frutto di una pedagogia che riduce quasi a nulla la parte della logica e della vera formazione della volontà” (1). Come in un’atmosfera satura di gas infiammabile, bastava una scintilla per far scoppiare tutto. Questa scintilla fu la rivolta nell’Università di Berkeley, in California, nell’autunno 1964. Da qui, sull’onda della controcultura sempre più diffusa, la ribellione giovanile cominciò a incendiare il mondo.
Poi venne il 1968, iniziato proprio male. A gennaio c’era stata l’offensiva del Tet che, nonostante Berkeley, 1964: l’inizio di tutto
A sin., l’italo-americano Mario Savio, leader del Free Speech Movement, soffia sul fuoco durante le proteste studentesche a Berkeley Savio proveniva dal cattolicesimo sociale di sinistra 26 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
“L’idea tradizionale di rivoluzione è tramontata, adesso dobbiamo intraprendere una sorta di diffusa e totale disintegrazione del sistema” Herbert Marcuse
si fosse saldata con una vittoria americana, segnò l’inizio del crollo in Vietnam, suscitando ondate di proteste antiamericane in tutto il mondo. Il 4 aprile veniva ucciso a Memphis Martin Luther King, il leader nero del Movimento per i diritti civili. La tensione razziale saliva alle stelle, costringendo la Guardia Nazionale a pattugliare le strade. Nell’auge del conflitto, più di duemila città americane caddero nel caos. Il 5 giugno morì assassinato l’idolo della sinistra democratica Bob Kennedy. Ad agosto i carri armati sovietici stroncavano nel sangue la “Primavera di Praga”, propagando onde d’urto in tutta l’Europa orientale.
Contestazione generale
Sulla scia di quanto era successo a Berkeley, l’ambiente studentesco era in tumulto. Ovunque risuonava la canzone dei Thunderclap Newman: “Call out the instigator, because there’s something in the air. Hand out the arms and ammo, because the revolution’s here — Chiamate l’agitatore, perché c’è qualcosa nell’aria. Distribuite le armi e munizioni, perché la rivoluzione è qui”. C’era, infatti, “qualcosa nell’aria”. Dall’Università Cattolica di Milano agitata da Mario Capanna all’Università di Berlino incendiata da Rudy Dutschke, “il rosso”, dall’Università Autonoma del Messico, dove decine di ragazzi vengono uccisi dalla polizia, alle università di Madrid, Barcellona e Siviglia, militarizzate per ordine di Franco, la protesta studentesca dilaga in tutto il mondo e si fa sempre più aggressiva, fino a sfociare in quello che sarà il ‘68 per antonomasia: la rivoluzione della Sorbonne, a Parigi.
La protesta non risparmia nemmeno il mondo comunista, dove intellettuali ungheresi contestano “il sistema di censura” del Partito mentre studenti polacchi si scontrano con la polizia a Varsavia e a Belgrado erompe la contestazione universitaria. Ad aprile, una riunione straordinaria del Comitato centrale del Partito Comunista sovietico parla di “crisi dei Paesi dell’Est”.
Queste agitazioni giovanili si intrecciavano poi con sommosse operaie che infuriavano in diversi Paesi, portando la tensione sociale a un livello tale da indurre un giornalista a scrivere che c’era in atto una “contestazione generale”. Generale non solo nel senso che interessava quasi tutto il mondo, ma anche e soprattutto perché andava a toccare ogni campo della società e della cultura.
Un’idea descrive e compendia il ‘68: libertà illimitata. Alla base di tutto c’era una fortissima voglia di liberarsi da ogni forma di autorità e di legittima gerarchia, una spinta anarchica nel senso proprio e radicale del termine. Per la prima volta nella storia si proponeva una lotta della sensibilità libertaria di tutta una generazione contro il sistema di valori dominante. Nelle barricate del ‘68 si inneggiava alla rivoluzione culturale di Mao Tse Tung, si annunciava la morte dello Stato e della società organizzata, si prospettava la fine della Ragione, e con essa il tramonto della civiltà, si proclamava la nascita d’una nuova era storica nella quale gli istinti sarebbero stati finalmente “liberi” dopo duemila anni di repressione. Si contestava dunque la famiglia e anche il tradizionale ruolo dei sessi. Niente restava in piedi.
Nessuno slogan riassume meglio questa spinta anarchica del celebre “vietato vietare”, scritto in rosso su un muro della Facoltà di lettere di Nanterre.
Rivoluzione culturale
Pare sia stato lo storico Ferdinand Braudel a designare per primo questa contestazione generale TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 27
Dossier: Maggio 1968
Sopra, una festa giovanile nel 1959 A dx., una coppia hippie nel festival di Woodstock, nel 1969
Appena dieci anni separano queste foto: il rasoio della storia è passato...
come una “Rivoluzione culturale”. L’espressione è giusta. Quello che soffiava nel mondo non era un vento qualsiasi. Come spiega un sito dedicato al ‘68: “Un vento di filosofica follia si trasmette dalla costa californiana al mondo: sono i valori borghesi del secolo, l’abbigliamento, la musica, la cultura tradizionale, a venire lacerati, dissacrati e travolti in un’ondata provocatoria, ubriacante e irritante di giovinezza” (2). I suoi alfieri parlavano di “rivoluzione totale”. “L’idea tradizionale di rivoluzione è tramontata — proclamava Herbert Marcuse, filosofo del ‘68 — adesso dobbiamo intraprendere una sorta di diffusa e totale disintegrazione del sistema”. Il ‘68 insorge contro qualsiasi norma, contestando in modo radicale e simultaneo ogni forma di autorità e di coazione morale o legale, sia nell’ambito individuale che in quello sociale. Sebbene sia chiaramente una continuazione e una radicalizzazione delle rivoluzioni precedenti, vale a dire la francese del 1789 e la comunista del 1917, essa possiede tuttavia delle caratteristiche che la distinguono.
— Non insorge in nome della classe operaia né si produce negli schemi della sinistra tradizionale. Gli analisti parlano di “movimenti di massa”, formati da gruppi socialmente disomogenei: studenti, operai, gruppi etnici, femministe, e via dicendo. — Prospetta niente di meno che una totale e radicale trasformazione della società in ogni suo
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aspetto e perfino del tipo umano finora vigente. “La rivoluzione culturale — scrive Pierre Fougeyrollas — significa una rivoluzione nella maniera di sentire, agire e pensare, una rivoluzione nelle maniere di vivere, insomma una rivoluzione della civiltà”.
— Sposta il fulcro della rivoluzione dall’ambito esterno, socio‑politico, all’ambito interno, psicologico e morale. Dopo aver cancellato le gerarchie in campo ecclesiastico (protestantesimo), sociopolitico (rivoluzione francese) ed economico (comunismo), la rivoluzione deve cancellare anche quella in interiore homini, in virtù della quale la Fede illumina la ragione e questa guida la volontà, che a sua volta domina la sensibilità.
Rivoluzione nelle tendenze
Ma forse il mutamento più interessante sta nel modo di fare la rivoluzione. Per la prima volta nella storia, la spinta rivoluzionaria viene propagata non tanto ideologicamente quanto per via tendenziale, cioè attraverso la musica, la moda, la cultura, i colori, l’arte. La contestazione degli anni ‘60 viaggia sull’onda dell’hippismo, del rock’n roll, delle droghe allucinogene, dell’abbigliamento sgangherato e dei capelli lunghi. Il rock’n roll fece più per il ‘68 che tutti i libri di Marcuse. D’altronde, il ‘68 fu unico anche perché non ebbe praticamente nessun contraddittorio. Mentre il
Protestantesimo aveva suscitato la Contro-Riforma, la Rivoluzione francese la Contro-Rivoluzione e il comunismo l’anticomunismo, il ‘68 non suscitò praticamente nessuna reazione di fondo. Non ci fu una musica che contrastasse il rock’n roll, né un tipo umano che sbancasse l’hippie. E questo ci porta ad una domanda finale.
Sconfitta o vittoria?
Il ‘68 è stato vittorioso? No, sul piano immediato. Sì - eccome! - in profondità e sul lungo termine.
In Francia, la rivolta della Sorbonne durò poco. Gli eccessi delle barricate suscitarono sdegno e indignazione nella società benpensante. Il 30 maggio seicentomila francesi marciarono a Parigi contro il caos rivoluzionario e in appoggio al presidente De Gaulle, che non ebbe difficoltà a vincere con larga maggioranza (60,16%) le elezioni legislative del 23 giugno.
Anche nel resto del mondo l’ardore rivoluzionario andò scemando, sostituito da uno spirito sempre più conformista. Una ad una le università furono evacuate, le strade ripulite, l’ordine ristabilito e la vita riprese come prima. La guerra del Vietnam, motivo di tante proteste, finì nel 1974, e lo stesso movimento hippie perse il suo fascino. Negli Stati Uniti l’opinione pubblica andò placandosi salvo poi reagire vigorosamente, dando vita al “conservative revival” che portò Ronald Reagan al potere nel 1980. Uno degli slogan dei conservatori era proprio “the sixties are over! — gli anni ‘60 sono finiti!”. Con sfumature, questo fenomeno si ripeté in altri Paesi. Mentre in politica trionfava il neo-liberismo e i Partiti comunisti si tramutavano in “democratici”, le nuove generazioni ripudiavano decisamente lo spirito contestatario per abbracciare un consumismo sfrenato che fa orrore ai genitori sessantottini.
però, è ben il contrario: il ‘68 è stata la rivoluzione più vittoriosa della storia.
Le diverse reazioni contro il ‘68 deploravano i suoi eccessi anarchici, ma non toccavano le sue radici. Come macchia d’olio, la mentalità, il modo d’essere, l’abbigliamento, la musica, il tipo umano del ‘68 cominciarono ad imporsi in Occidente fino a diventare dominanti. Oggi, le ragazze di famiglie conservatrici si vestono come nemmeno le Passionarie delle barricate osavano e la musica che nel ‘68 era pegno di rivoluzione viene suonata perfino in chiesa.
Nel 1986, il leader della Sorbonne Daniel CohnBendit dichiarava: “Il frutto più visibile del 1968 si osserva nei comportamenti delle genti, nell’abbigliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione, nel femminismo, nella cultura” (3). E ancora qualche anno dopo egli si vantava con i giornalisti: “Abbiamo vinto sul piano culturale!” Senza barricate né frastuono, i “moderati” di oggi sono arrivati laddove puntavano gli estremisti del ‘68. E la società nel suo complesso è diventata “sessantottina”. Che immensa trasformazione! 1. Plinio Corrêa de Oliveira, «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», Roma, Luci sull’Est, p. 71. 2. www.cronologia/leonardo.it 3. New York Times, 1-9-1986.
Per un osservatore superficiale, la rivoluzione del ‘68 sarebbe quindi morta e seppellita. In profondità,
“Il frutto più visibile del 1968 si osserva nei comportamenti delle genti, nell’abbigliamento, nella vita quotidiana, nell’educazione, nel femminismo, nella cultura. Abbiamo vinto sul piano culturale” Daniel Cohn-Bendit, leader del ‘68 parigino TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 29
Dossier: Maggio 1968
Il Sessantotto italiano di Guido Vignelli
La “battaglia di Valle Giulia”, Roma, 1 marzo 1968
Il ‘68 europeo cominciò in realtà nel ‘67, e non in Francia bensì in Italia, con l’occupazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Oggi, molti sessantottini di allora sono diventati personaggi centrali della nostra vita pubblica, politica e culturale.
P
arlando con giovani che, per fortunate ragioni di età, non hanno avuto la disgrazia di vivere il cosiddetto Sessantotto, spesso mi accorgo ch’essi ignorano quel dramma che – nonostante la data che lo definisce – in Italia durò non un anno ma alcuni decenni e, in un certo senso, non si è ancora concluso. Inoltre, spesso quei giovani si mostrano meravigliati e scettici, quando racconto a loro le idee e i fatti che hanno mosso e alimentato quell’epoca di “rivolta globale” a ogni forma di autorità e di ordine civile.
Pertanto, al fine di rievocare ai giovani e agli adulti smemorati quegli anni drammatici e decisivi, le cui conseguenze stiamo tuttora subendo, mi sembra utile descrivere e analizzare brevemente le vicende e le caratteristiche cruciali del Sessantotto italiano. Il cinquantenario di quel dramma è un’occasione propizia per farlo senza quella faziosità che ancor oggi anima i numerosi e potenti “reduci sessantottini”.
L’incubazione del virus
Alla fine della seconda guerra mondiale, l’Italia si trovò a un bivio decisivo: o far tesoro della dura
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ma provvidenziale lezione dei fatti, tornando alla fede cristiana dei suoi padri, o tentare di rivalersi sulla tragedia subìta impegnandosi nella ossessiva ricerca del benessere. Dopo una iniziale fase di risveglio religioso, favorita dall’insegnamento di Pio XII, purtroppo la nostra nazione scelse la seconda via.
Lungo gli anni Cinquanta, l’Italia passò rapidamente da una situazione caratterizzata da distruzione, insicurezza e povertà a un’altra caratterizzata da ricostruzione, sicurezza e ricchezza. Ma questo passaggio avvenne a un terribile prezzo: la coscienza civile e religiosa si addormentò, le tradizioni vennero dimenticate, s’installò un conformismo generale. A conferma che la guerra non è il maggiore dei mali e che la pace può essere ben più pericolosa, mai periodo di pace fu così rovinoso per lo spirito di un popolo.
Dopo il 1954, anno mariano che segnò l’ultima occasione per un risveglio religioso, la tensione morale venne sempre più deviata nella ricerca ossessiva del benessere ad ogni costo e/o nell’impegno politico secolarizzato; i diritti di Dio vennero posposti ai tanto conclamati “diritti dell’Uomo” libero, adulto ed emancipato. Entro il 1960 avrebbe dovuto essere rivelato ai fedeli il cosiddetto “terzo segreto” di Fa-
tima, il cui significato ammonitore avrebbe potuto suscitare un sussulto religioso e quindi avviare una fase di ricupero; ma, com’è noto, quel segreto fu occultato, in quanto avrebbe turbato il clima di ottimismo che andava ormai diffondendosi anche negli ambienti ecclesiastici.
Nella seconda metà degli anni Sessanta, questo clima d’irresponsabile ottimismo era ormai dominante in tutto l’Occidente. Il progresso culturale, economico e scientifico sembrava preparare un’era di pace, sicurezza, ricchezza e comodità in un mondo privo di conflitti ideologici; la distensione internazionale sembrava risolvere i conflitti politici preludendo ad una pacificazione globale assicurata dall’O.N.U.; con l’appena concluso Concilio Vaticano II, il Cristianesimo stesso sembrava avviato verso l’unione delle Chiese e la riconciliazione con la “modernità” in nome di un comune “umanesimo integrale”, nella prospettiva di dare il proprio decisivo contributo alla edificazione di una “Città dell’Uomo” pluralistica ed egualitaria. Le tre personalità simboliche di quell’epoca – Giovanni XXIII, Kennedy, Krusciov – avevano incarnato queste speranze nell’imminente avvento di un mondo migliore e pacifico. Eppure, come ammoniva san Paolo, quando tutti annunciano “pace e sicurezza”, proprio allora bisogna temere l’arrivo di una sciagura: o un colpo di mano diabolico che si approfitta dell’umana stoltezza, o un castigo divino che risveglia alla dura realtà, o entrambe le cose. Infatti, molti segni evidenti smentivano questo facile ottimismo. L’addormentamento delle co-
scienze e il rilassamento dei costumi avevano diffuso conformismo, indifferenza ed egoismo, determinando una fragilità sociale capace di rompersi alla prima occasione sotto l’urto del brulicare di conflitti apparentemente sopiti dal benessere. In nome della libertà di espressione e della massima “nessun nemico a sinistra”, la gestione democristiana del potere aveva tollerato il diffondersi di una “cultura della rivolta” che circolava liberamente nelle scuole, nella letteratura, nel giornalismo, negli spettacoli, soprattutto nella musica giovanile. La propaganda sinistrorsa esaltava idee, personaggi e comportamenti “trasgressivi” e incitava a nuove forme di “lotta di classe”: quelle tra vecchi e giovani, tra insegnanti e scolari, tra genitori e figli, tra marito e moglie, tra uomo e donna, tra clero e laici.
La ribellione giovanile, la contestazione scolastica, la rivolta sindacale, la dissidenza ecclesiale, la rivoluzione sessuale, cominciavano già a manifestarsi in forme marginali e pittoresche (teddy boys, hippies, provos) che venivano guardate con simpatia o antipatia, ma non venivano comprese né combattute nella loro gravità. L’assoluta libertà di pensiero e di parola pretendeva ormai di realizzarsi in un’assoluta libertà di azione, la protesta intellettuale in ribellione sociale. Il tranquillo conformismo degli anni Sessanta stava per essere rovesciato dalla “rivolta globale”, favorita non da un clima di moralistica repressione, come immaginavano gli psicoanalisti, bensì da un clima di rilassatezza e permissivismo (la “dolce vita”) che rifiutava non solo l’autorità, il lavoro e il sacrificio, ma anche l’ordine, la società, la civiltà.
Giovanni XXIII, John Kennedy, Nikita Krusciov, tre figure simbolo delle speranze nell’imminente avvento di un mondo migliore e pacifico. E, invece, era l’inizio di un periodo di grandi turbolenze: il Concilio Vaticano II, il Maggio 1968 e le varie “primavere” affogate nel sangue
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Dossier: Maggio 1968 Il “Maggio ‘68” in realtà iniziò nel 1967 con l’occupazione di due università cattoliche: la Pontificia Università Cattolica di Santiago del Cile, a luglio (sotto) e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano, a novembre (sin.)
Le autorità dell’epoca s’illudevano che i vantaggi del benessere e l’ammortizzatore della tolleranza avrebbero risolto la situazione. “Date fiducia ai giovani!”, proclamavano, senza rendersi conto che quei giovani cercavano vanamente un’autorità credibile alla quale affidarsi e, non trovandola, si apprestavano a ribellarsi ad ogni forma di autorità costituita.
L’esplosione del morbo
Tanto per smentire il luogo comune, secondo cui gl’Italiani importerebbero le rivoluzioni dall’estero ma le ammorbidirebbero per neutralizzarle, quella sessantottina scoppiò proprio in Italia e per giunta durò più a lungo ed ebbe un carattere più violento che altrove. Inoltre scoppiò… in anticipo, il 16 novembre 1967, sei mesi prima d’iniziare ufficialmente nel famoso “maggio parigino”. Paradossalmente, poi, scoppiò in ambiente cattolico: fu infatti nell’apparentemente tranquilla Università del Sacro Cuore a Milano che il Movimento Studentesco di Mario Capanna suscitò le prime manifestazioni, marce, occupazioni, devastazioni e violenze. Poco dopo, a partire dal 15 gennaio 1968, come eseguendo un piano preordinato scattato a un segno dato, le Università statali di tutte le città principali insorsero contemporaneamente. Nel 1970 nacquero il Movimento per la Liberazione della Donna, quello per la liberazione omosessuale (F.U.O.R.I.) e quello nudista; il 6 dicembre 1975 si tenne a Roma la grande manifestazione femminista che auspicava la distruzione della famiglia. 32 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
L’impunita contestazione si trasformò ben presto in guerriglia urbana. Il 1 marzo 1968 avvenne a Roma la “battaglia di Valle Giulia” e il 21 marzo avvenne a Milano la “battaglia di largo Gemelli”, scatenate da studenti universitari; nel settembre 1969 iniziarono i violenti “autunni caldi” operai promossi dalla Triplice sindacale. La polizia dovette soccombere alle violenze per obbedire all’ordine di non reprimerle; i colpevoli arrestati vennero tutti rilasciati o amnistiati. Le poche autorità che osarono opporsi alla guerriglia vennero diffamate dalla stampa, delegittimate dai politici, abbandonate dai superiori, talvolta uccise, come nel celebre caso del commissario Calabresi. L’impunita guerriglia urbana generò poi il terrorismo; non pochi protagonisti della contestazione studentesca diventarono promotori del terrore rosso, come quelli che si erano “allenati” all’Università di Trento sotto la guida di sociologi poi diventati celebri; nel 1971, il “braccio armato” clandestino del PCI generò le Brigate Rosse, che colpirono personalità avverse alla comunistizzazione della società. Impossibile qui ripercorrere le fasi del sessantottismo. Possiamo solo dire che esso non è mai finito, perché una regìa occulta suscita periodicamente rivolte neo-sessantottine, usandole come eccitanti per scuotere la società spingendola ad accettare una nuova fase rivoluzionaria. Dopo la crisi del periodo del “riflusso”, ci furono vari tentativi di riprendere la lotta. Tra il 1977 e il 1979, ci provò il movimento dei punk e degli “indiani metropolitani”; tra il 1985
e il 1987, ci provò il “movimento dell’Ottantacinque”; infine, a partire dal 1999 (manifestazioni di Seattle), una nuova fase di contestazione internazionale venne avviata dal movimento no global. In Italia questo movimento viene guidato dai “centri sociali autogestiti”, che da una parte ottengono appoggi dalle autorità politiche sinistrorse e dall’altra affiancano le nuove forme di guerriglia e terrorismo (anarchico o ecologista o islamista).
Come si vede, quella del ’68 fu una rivoluzione facile, perché ebbe pochi oppositori e molti complici palesi od occulti: politici, giornalisti, intellettuali, teologi, docenti, rettori e cappellani universitari, perfino alcuni magistrati, prefetti e ministri del Governo, tollerarono – ma spesso anche favorirono – le violenze e i soprusi di sindacati partiti e movimenti extraparlamentari sinistrorsi.
Molti fra i protagonisti del ‘68 hanno poi fatto carriera nella società e nelle istituzioni. Basti ricordare politici come Capanna, Boato, Manconi, Menapace, Cacciari, Vattimo, Turco, Treu, Langer; intellettuali o giornalisti come Sofri, Viale, Piperno, Franceschini, Sorbi, Casalini, Negri, Salvati, Tronti, Manghi, Mieli, Rusconi, Lerner, Santoro, Mentana, Ferrara, Sposini, Freccero, Giusti. Insomma, i contestatori e sovversivi di ieri sono diventati oggi uomini di governo, esponenti dei “poteri forti”, manipolatori della opinione pubblica. L’eresia e la sovversione di ieri sono diventate l’ortodossia e l’istituzione di oggi; quello che ieri era vietato (divorzio, aborto, droga, omosessualità, guerriglia) oggi viene non solo permesso, ma anche tutelato e perfino
promosso dalle autorità e dalle leggi. C’è quindi da temere che la sovversione di oggi possa diventare l’istituzione di domani. Viene quindi smentito un altro luogo comune: non è affatto vero che in Italia “tutto finge di cambiare per restare lo stesso”; anzi, qui “tutto finge di restare lo stesso per cambiare”, e in profondità!
Una diagnosi della malattia
Il ‘68 ebbe successo non tanto nel campo politico quanto in quello “culturale” e sociale. La rivoluzione nei costumi, negli ambienti, nella mentalità, nella vita quotidiana, ha diffuso nelle masse il relativismo e la rivoluzione sessuale, rendendo impossibile la contemplazione sociale della verità e la pratica sociale delle virtù (specie della temperanza). La sovversione morale ha generato una “questione antropologica” che mette in forse la sopravvivenza dell’uomo come creatura, ossia come immagine di Dio Creatore, e ancor più come cristiano, ossia come somiglianza di Dio Redentore.
Si vuole insomma imporre un modello di vita tribale, reso possibile da un supporto tecnologico che dispenserà l’uomo dallo studiare, lavorare e procreare per abbandonarsi al gioco, alla violenza e alla perversione. In un suo romanzo intitolato L’isola, Al-
“La progressiva liberazione delle tendenze represse dell’eros rafforzerà ulteriormente il movimento rivoluzionario (…). Non possiamo raffigurarci l’importanza del contributo fornito alla rivoluzione e all’emancipazione umana dalla liberazione progressiva del sadismo, del masochismo, della pederastia propriamente detta, della gerontofilia, della zooerastia, dell’autoerotismo, del feticismo, della scatologia, dell’urofilia, dell’esibizionismo, del voyeurismo, ecc.” Mario Mieli, fondatori di FUORI (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 33
Dossier: Maggio 1968
dous Huxley raffigurò nel 1962 questa “utopia positiva”, che egli propose come sola alternativa possibile all’ “utopia negativa” prima denunciata nel suo celebre Il mondo nuovo.
A quanto pare, la Rivoluzione pretende di porre l’Occidente davanti a un bivio: o rassegnarsi al nuovo totalitarismo, oppure distruggerlo scatenando l’anarchia. Questa falsa alternativa esclude irrazionalmente l’unica vera soluzione possibile: la restaurazione della società cristiana nelle sue basi culturali, etiche e religiose. Se i propagandisti no global vanno urlando che “un altro mondo è possibile”, noi rispondiamo che certamente lo è, ma non sarà l’utopia anarchica e tribale, bensì la realistica civiltà cristiana fondata sulla ragione e sulla natura elevate dalla fede e dalla grazia.
Fra coloro che diagnosticarono e combatterono il sessantottismo alla luce della retta teologia della storia, segnaliamo due lungimiranti intellettuali cattolici che ho avuto l’onore di conoscere: l’italiano Augusto Del Noce e il brasiliano Plinio Corrȇa de Oliveira. Il prof. Del Noce ammonì che il ‘68 mirava a distruggere le ultime istituzioni rimaste (famiglia, scuola, milizia e Chiesa) capaci di educare, istruire e santificare le generazioni future. A tal scopo, il ses-
santottismo preparava l’avvento di una nuova forma di totalitarismo, quello del desiderio e dell’arbitrio, e una nuova forma di persecuzione religiosa, quella che costringe il popolo a “liberarsi” dalle tradizioni cristiane. Difatti, oggi Università Tribunali e Parlamenti cercano d’imporre una rivoluzione familiare e sessuale vietando ogni “discriminazione” e promuovendo la licenza sessuale e i “diritti umani riproduttivi”. A tutto ciò bisogna opporre il ricupero delle verità e dei valori cristiani fondamentali, specialmente la virtù della temperanza sociale.
Il prof. Corrêa De Oliveira denunciò il ’68 come l’estremo tentativo di realizzare l’anarchia mediante una nuova fase rivoluzionaria che mira a distruggere l’uomo nelle sue radici (sociali, psicologiche e perfino biologiche) per renderlo schiavo di sé e ribelle a Dio. L’anima umana viene sottomessa alle pretese di una sensibilità perversa, ribelle e anarchica, estinguendo la luce della verità, la voce della coscienza e il richiamo della fede. Manipolando tendenze, abitudini e pratiche di massa, l’uomo d’oggi viene immerso fin da ragazzo in ambienti rivoluzionari (come la discoteca) che lo corrompono fin da fanciullo. Questo degrado può essere vinto solo restaurando le tendenze sane mediante istituzioni e ambienti formativi, sia privati che pubblici.
Il movimento LGBT: il volto più aggiornato della Rivoluzione del ‘68
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Il maggio ‘68 e il Concilio Vaticano II
di José Antonio Ureta
Mentre il mondo era scosso dalla rivoluzione del maggio ‘68, la Chiesa era scossa dalla crisi post-conciliare. La simultaneità delle due rivoluzioni solleva il quesito della loro mutua dipendenza. L’una ha influenzato l’altra? O, piuttosto, ambedue sono riflessi di una stessa crisi, manifestandosi in due campi diversi? Trascriviamo alcuni brani della relazione tenuta all’Università Estiva delle TFP da José Antonio Ureta. I sottotitoli sono redazionali.
I
l titolo della mia presentazione – “Il maggio ‘68 e il Concilio Vaticano II” – presuppone l’esistenza di un nesso fra le due rivoluzioni. Il maggio ‘68 è stato la causa del disastro postconciliare? Oppure è stato il Concilio a preparare il maggio ‘68? In realtà, si tratta di una via a doppio senso. I due fenomeni sono intimamente connessi.
Una rivoluzione a sfondo religioso
Dobbiamo iniziare dicendo una parola sull’essenza religiosa della Rivoluzione del maggio ‘68, citando il noto storico francese Alain Besançon:
che possono essere considerati una metafora o un’analogia del rapporto padre-figlio. (…) Questa metafora o analogia è uno dei fondamenti sacri della nostra civiltà. Ecco perché non dobbiamo considerare il ‘68 come un fenomeno appena politico, ma anche, e forse principalmente, religioso”. (1)
Il primo attributo di Dio è proprio la Sua paternità. Da Lui procedono tutte le paternità nell’universo, immagini e somiglianze della Sua paternità essenziale. Ecco perché, come scrive Plinio Corrêa
“L’effetto più evidente del maggio ‘68 è stato la distruzione dell’autorità: quella del maestro sull’allievo, del titolare di azienda sull’impiegato, del vescovo sul sacerdote, del marito sulla moglie, del padre sui figli e via dicendo. Laddove è rimasta un’autorità, essa comunque non si esercita più con la stessa forza. La Chiesa non scomunica più; il colonnello non ordina più in modo perentorio; le aziende non hanno più capi e dipendenti ma associati, semmai coordinati da un Gerente di risorse umane. (…) L’indebolimento dell’autorità riguarda tutti i rapporti “Le richieste del movimento del maggio ‘68 coincidevano in larga misura con le grandi idee del Concilio, in particolare della costituzione conciliare sulla Chiesa e il mondo”
P. René Laurentin, perito conciliare TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 35
Dossier: Maggio 1968 “La Chiesa cattolica ha anticipato una trasformazione che poi si è presentata in modo convulso nel 1968, nel senso di un ridimensionamento del peso delle istituzioni all’interno della società”
Agostino Giovagnoli, storico
Infatti, nel secondo giorno del Concilio l’Assemblea esplose in sonori applausi quando gli fu tolto il microfono al cardinale Alfredo Ottaviani, prefetto del Sant’Uffizio. Una vera umiliazione, accolta con festeggiamenti generali. La Rivoluzione era servita.
In merito al nesso fra il maggio ‘68 e il Concilio, lo storico Agostino Giovagnoli afferma: “La Chiesa cattolica ha anticipato una trasformazione che poi si è presentata in modo convulso nel 1968, nel senso di un ridimensionamento del peso delle istituzioni all’interno della società”. (5)
de Oliveira, “odiare, per principio, ogni e qualsiasi disuguaglianza equivale a porsi metafisicamente contro gli elementi per la migliore somiglianza tra il Creatore e la creazione, significa odiare Dio”. (2) Spostando il fulcro della Rivoluzione dalle fabbriche alla famiglia, dal campo socio-politico a quello dei rapporti interpersonali e della psicologia umana, il maggio ‘68 assestò un colpo alla stessa radice dell’idea di Dio. Non a caso, uno dei suoi mentori, Herbert Marcuse, la chiamò “rivoluzione totale”.
Dal Concilio Vaticano II al maggio ‘68
È innegabile che il Concilio Vaticano II sia funto da turbo-acceleratore del Modernismo nella Chiesa, favorendo un’analoga rivoluzione anche nella società temporale. Il giornalista Eric Zemmour è molto chiaro: “Sappiamo che il Maggio ‘68 è cominciato prima del ‘68, col Concilio Vaticano II e col crollo della pratica religiosa fra i cattolici”. (3) Gli stessi protagonisti del Concilio lo ammettono:
“Le richieste del movimento del maggio ‘68 coincidevano in larga misura con le grandi idee del Concilio, in particolare della costituzione conciliare sulla Chiesa e il mondo”, scrive il perito conciliare P. René Laurentin. E continua: “Già il Vaticano II in una certa misura fu la contestazione di un gruppo di vescovi contro la Curia, che tentava di realizzare un concilio istituzionalmente prefabbricato”. (4) 36 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
Un altro osservatore attento del Concilio, il teologo argentino P. Álvaro Calderón, scrive: “Se c’è qualcosa che salta subito all’occhio per chi studia il Concilio Vaticano II è il cambio in senso liberale del concetto di autorità. Il Papa si spogliò della sua autorità suprema in favore dei vescovi (collegialità); i vescovi si spogliarono della propria autorità in favore dei teologi; i teologi rinunciarono alla propria scienza in favore dell’ascolto dei fedeli. E la voce dei fedeli non è altro che il frutto della propaganda”. (6)
Nessun documento conciliare parla dell’inferno. Mentre si mettono in sordina le nozioni di peccato, sacrificio e obbedienza alla legge di Dio, si esaltano invece quelle di libertà, diritti umani, sviluppo personale, gioia di vivere e via dicendo. In questo modo, i documenti conciliari danno l’impressione di favorire una concezione edonistica della vita, nella linea di quella American way of life diffusasi dopo la seconda Guerra mondiale. Cioè, lo stesso substrato del maggio ‘68.
Pondera il sociologo delle religioni Jean-Louis Schlegel: “Già prima del ‘68 la ribellione era penetrata nella Chiesa, informando le sue strutture e il suo comportamento, incidendo pesantemente sui suoi leader. Dai primi anni Sessanta soffiava nella Chiesa un clima di insurrezione e di sovversione, che voleva bruciare quanto fino a quel momento si era adorato”. (7)
I cattolici nel maggio ‘68
Conseguenza diretta di tal effervescenza nella Chiesa fu l’occupazione di diverse Università cattoliche, prima della ribellione della Sorbonne. L’11
agosto 1967, gli studenti della Pontificia Università Cattolica del Cile dichiararono uno sciopero generale e occuparono il campus. Il Magnifico Rettore, un vescovo conservatore, dovette rinunciare in favore di un laico di sinistra. La cattedrale di Santiago fu occupata da un gruppo di preti e di laici autodefinitosi “Chiesa giovane”, che coprì la facciata con uno striscione: “Per una Chiesa col popolo e le sue lotte”.
A novembre, la rivoluzione scoppiò nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano. Fu, con le parole del Corriere della Sera, “un Sessantotto prima del Sessantotto”. Dello stesso parere, Avvenire dichiara: “Il vero certificato di nascita del maggio ‘68 porta la data 17 novembre 1967, cioè l’occupazione dell’Università Cattolica di Milano”. Scrive al riguardo lo storico e giornalista Roberto Beretta:
“Che il ‘68 in Italia sia nato cattolico è un fatto facile da constatare: la prima università occupata dagli studenti fu la Cattolica di Milano, già il 17 novembre 1967; i primi leader (Mario Capanna compreso) erano cattolici praticanti, anzi anche ‘raccomandati’ dai loro Vescovi e leader delle associazioni ecclesiali nelle rispettive diocesi; infine il primo indumento indossato da Capanna, quando fuori dall’università arringava con un microfono i colleghi studenti perché protestassero contro l’aumento delle tasse, non fu il mitico eskimo, bensì un lungo impermeabile nero da prete. Che gli era stato prestato da un cappellano universitario perché piovigginava”. (8)
Beretta afferma che i testi più citati dai leader della rivolta sessantottina erano le costituzioni del Concilio Vaticano II Lumen Gentium e Gaudium et Spes, e anche l’enciclica di Paolo VI Populorum Progressio. Lo stesso Mario Capanna, leader della rivolta, ammette: “Passavamo nottate a studiare e a discutere i teologi ritenuti allora di frontiera: Rahner, Schillebeeckx, Bultmann (…) insieme ai documenti del Concilio”. (9)
vane seminarista e leader della Sorbonne, insieme a Daniel Cohn-Bendit. Nel suo libro «Testimonianza di un liberale di sinistra sul maggio 68 a Nanterre», Desjeux scrive: “Per il filosofo maoista Alain Badiou, la radice del Sessantotto sta nelle dimostrazioni contro la guerra d’Algeria. Secondo altri, le radici si trovano nelle manifestazioni contro la partecipazione americana nella guerra nel Vietnam. Per la mia personale esperienza, invece, la scintilla che mi ha spinto a partecipare al Sessantotto è stato il Concilio Vaticano II”. Egli descrive le conseguenze del Concilio nei seminari francesi:
“Quando sono entrato nel seminario, nel 1965, la nostra vita quotidiana era retta dai canoni monastici. La giornata era puntellata dalle Lodi, la Messa, l’Angelus, i Vespri. Ovviamente tutto in latino. La campana scandiva le ore. I pasti erano in silenzio mentre un seminarista leggeva un brano sacro. Uscivamo solo i giovedì pomeriggio e la domenica dopo la Messa. Tutto ciò ci pareva normale. Due anni dopo, però, sulla scia del movimento di riforma avviato dal Concilio, abbiamo cominciato a fare riunioni basate sull’analisi di classe. Di conseguenza, molte regole sono volate via dalla finestra. Partecipavamo agli atti in comune quando ne avevamo voglia, le preghiere erano in francese, potevamo uscire quando volevamo, senza dare spiegazioni. Tutto ciò all’interno di una sfida totale all’ordine esistente nella Chiesa e nella società”.
Nel novembre 1967, Desjeux organizzò uno sciopero studentesco all’Università di Nanterre, il primo fuoco di ciò che sarebbe poi esploso nel maggio 1968 alla Sorbonne. Ricorda Desjeux: “La maggior parte degli studenti impegnati nel movimento erano cattolici di classe media, ben addestrati nella
Anche in Francia, i cattolici ebbero un ruolo preponderante nel Sessantotto. Una testimonianza interessante è quella di Dominique Desjeux, allora gio“Passavamo nottate a studiare e a discutere i teologi ritenuti allora di frontiera: Rahner, Schillebeeckx, Bultmann (…) insieme ai documenti del Concilio”
A dx., vestito da prete, Mario Capanna parla agli studenti nell’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 37
Dossier: Maggio 1968
contestazione per via della loro partecipazione ai gruppi giovanili cattolici”. (10)
La partecipazione dei cattolici al Sessantotto parigino è confermata da Jean-Louis Schlegel: “A noi piace pensare al maggio ‘68 come un movimento iniziato a Nanterre. (…) Tendiamo, però, a dimenticare un fatto importante. Il 22 marzo 1968 il sacerdote dominicano Jean Carbonell tenne un’omelia quaresimale nella Mutualité sul tema ‘Vangelo e Rivoluzione’. Egli proclamò: ‘La vera Quaresima consiste nella lotta contro i meccanismi di oppressione di una società ingiusta dominata dal denaro e dal potere. Non abbiamo ancora digerito la rivoluzione del 1789, mentre quella del 1917 ci fa ancora tremare. Eppure, Gesù Cristo, il Figlio di Dio, ci insegna che è inutile annacquare la Rivoluzione. Dobbiamo urgentemente attuare la rivoluzione culturale!’”. (11) Il dominicano concludeva: “Dobbiamo smettere di fare digiuno quaresimale. Il vero digiuno sarebbe organizzare uno sciopero generale che paralizzi i meccanismi della nostra società”. (12)
Parallelamente, diverse realtà cattoliche di sinistra organizzarono una conferenza sul tema “Cristianesimo e Rivoluzione”. La conferenza si chiuse con l’intervento di mons. Helder Câmara, il “vescovo rosso” brasiliano, che incitò i presenti: “Se volete fare una rivoluzione, non venite in America Latina. Avete cose più interessanti da fare qui, in Francia”. Alla fine della conferenza, i presenti – tra cui sacerdoti e teologi – sottoscrissero una dichiarazione che affermava: “Il cristiano ha il diritto, e anche il dovere, di partecipare al processo rivoluzionario, compresa la lotta armata”. (13)
I frati domenicani del Saulchoir, il centro della Nouvelle Théologie, alzarono una bandiera rossa sul tetto del seminario. Quando infine esplose la Rivoluzione di maggio, diversi domenicani, tra cui i frati Henri Burin des Roziers e Jean Raguenès, andarono alla Sorbonne per parteciparvi. La cappellania dell’Università fu trasformata in infermeria per curare gli studenti feriti negli scontri con la Polizia.
I domenicani, però, non erano soli. Anche i seminaristi di Issy-les-Moulineaux, il seminario diocesano di Parigi, si sommarono alla contestazione, insieme ai gesuiti del seminario di Chantilly. Diverse realtà cattoliche parteciparono attivamente alle barricate, tra cui il gruppo Témoignage chrétien, la JOC (Gioventù operaia cattolica), la JOCF (la branca femminile), l’ACO (Azione cattolica operaia) e via dicendo. Jean-Louis Schlegel sottolinea che questi 38 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018
cattolici si schierarono con l’ala più radicale della contestazione sessantottina, i cosiddetti “katangais”.
Mentre la maggior parte dei vescovi francesi mantenne un silenzio compiacente di fronte alla Rivoluzione sessantottina, alcuni si schierarono apertamente in suo favore, tra cui mons. Michel Vial, vescovo di Nantes. Il 21 maggio, la Commissione episcopale sull’Educazione ricevette i cappellani universitari, approvando il loro lavoro in favore della rivolta. L’unica riserva: evitare il termine “rivoluzione”, preferendo invece quello di “contestazione”. Dal pulpito di Notre Dame, il cardinale Marty proclamava: “Dio non è conservatore!”.
Il 2 giugno 1968, in un appartamento di Rue Vaugirard, si tenne un servizio ecumenico in sostegno alle barricate. Vi parteciparono una settantina di persone, per lo più cattolici. Nel suo libro «Principi di teologia cattolica», l’allora professore Ratzinger commentava: “L’adesione ad un marxismo anarchico ed utopistico (...) è stata sostenuta in prima linea da tanti cappellani universitari e di associazioni giovanili, i quali vi vedevano lo sbocciare delle speranze cristiane. Il fatto dominante si trova negli avvenimenti del maggio 1968 in Francia. Sulle barricate v’erano dominicani e gesuiti. L’intercomunione realizzata durante una messa ecumenica in sostegno alle barricate fu ritenuta una specie di pietra miliare nella storia della salvezza, una sorta di rivelazione che inaugurava una nuova era del cristianesimo”. (14)
Le conseguenze nella Chiesa
La contestazione sessantottina penetrò nella Chiesa. Leggiamo, per esempio, un resoconto degli eventi al Saulchoir, il centro dell’Ordine Dominicano a Parigi:
“Dal 20 maggio 1968 fino al 29 giugno la protesta dilagò nei corridoi del convento. I seminaristi si riunivano in assemblee spontanee. Molti atti religiosi furono abbandonati. I seminaristi parlavano e fumavano. Per dimostrare il loro rigetto del programma di formazione, i seminaristi formarono gruppi di dibattito. La vita conventuale finì. I seminaristi se ne andavano dalla cappella quando volevano, e uscivano dal seminario senza chiedere il permesso. Volevano ‘decostruire il sistema’, creando una ‘comunità trasgressiva’ che facesse ‘l’esperienza della fratellanza’”. (15) Non diverso era il clima nel seminario interdiocesano di Arras, nel nord della Francia. Scrive mons. Jacques Noyer, allora Rettore del seminario e poi vescovo di Amiens:
“Il maggio ‘68 fu la sorgente dell’attuale situazione nella Chiesa. Io ero e resto convinto che gli anni Sessanta abbiano segnato un periodo di profondo cambiamento, nella Chiesa e nella società. Sono convinto che lo spirito che ispirò la preparazione, celebrazione e implementazione del Concilio Vaticano sia una grande opportunità per la Chiesa e per il mondo. È il Vangelo offerto agli uomini di oggi. In profondità, il maggio ‘68 è stato un movimento spirituale, perfino mistico, coerente con il sogno del Concilio Vaticano II”
Mons. Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens
“Una settimana dopo essere esploso a Parigi, il movimento è venuto a turbare la pace del seminario di Arras. Per noi maggio ‘68 è stato giugno ‘68. Si formarono gruppi di seminaristi che iniziarono a contestare tutto il sistema educativo. Non volevano più le prove. Non volevano letture spirituali, preferendo invece quelle a sfondo sociale. A un certo punto fecero addirittura uno sciopero. Non si trattava solo di piccole modifiche, come permettere il fumo e lasciarli uscire liberamente. Era tutto il sistema che veniva contestato. C’era una febbre di agitazione. Bandiere nere cominciarono a spuntare sulle finestre delle celle”. (16)
Cosa ne è rimasto?
Cosa è rimasto della contestazione del maggio ‘68? La mancanza di tempo mi permette appena di citare il giudizio di uno dei leader del Sessantotto nella Chiesa, mons. Jacques Noyer, vescovo emerito di Amiens:
“È difficile per me fare il bilancio del maggio ‘68. Non fu, certo, una esplosione passeggera di febbre, come taluni dicono. E non fu soltanto un movimento parricida che diede il colpo di grazia a un mondo in agonia. Il maggio ‘68 fu la sorgente dell’attuale situazione nella Chiesa. Io ero e resto convinto che gli anni Sessanta abbiano segnato un periodo di profondo cambiamento, nella Chiesa e nella società. Sono convinto che lo spirito che ispirò la preparazione, celebrazione e implementazione del Concilio Vaticano II sia una grande opportunità per la Chiesa e per il mondo. È il Vangelo offerto agli uomini di oggi. In profondità, il maggio ‘68 è stato un movimento spirituale, perfino mistico, coerente con il sogno del Concilio. Ritengo, però, che nel tentare di avanzare troppo veloce, il Sessantotto abbia rotto la dinamica conciliare nella Chiesa, provocando più paura che speranza”. (17)
Questo giudizio, in fondo pessimista, espresso pochi mesi fa, sotto Papa Francesco, ci deve aprire gli occhi sull’impasse in cui si trova la Rivoluzione. Ciò è motivo di speranza per i contro-rivoluzionari. Chiediamo alla Madonna delle Vittorie che acceleri l’avvento del Suo regno sulla terra.
1. Alain Besançon, «Aux origines religieuses de Mai 68. Essai à propos de l’ouvrage de Yves Congar, Journal d’un théologien». 2. Plinio Corrêa de Oliveira, «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», Luci sull’Est, Roma 1998, pp. 67-68. 3. Citato in Alain Besançon, «Aux origines religieuses de Mai 68». 4. René Laurentin, «Crisi della Chiesa e secondo Sinodo episcopale», Morcelliana, Crescia 1969, p. 16. 5. Giovanna Pasqualin Traversa, “Agostino Giovagnoli: Il Sessantotto, profondo legame con il Concilio che ne ha anticipato alcuni tratti”, Agensir, 18 aprile 2018. 6. Álvaro Calderón, «La lámpara bajo el celemín. cuestión disputada sobre la autoridad doctrinal del magisterio eclesiástico desde el Concilio Vaticano II», Ed. Rio Reconquista, Argentina 2009. 7. Jean-Louis Schlegel, Changer l’Église en changeant la politique, in AAVV «À la gauche du Christ. Les chrétiens de gauche en France de 1945 à nos jours», Ed. Seuil, Paris 2012, pp. 279-280. 8. Roberto Beretta, “I cattolici che fecero il 68”, Zenit, 20 gennaio 2009. 9. Intervista Avvenire, 20 marzo 1998. 10. French Politics and Society, Center for European Studies, Harvard University, Summer 2018. 11. “Sous les pavés Jésus”, La Vie, 26 avril 2018. 12. Yann Raison du Cleuziou, «Les Dominicains, un ordre qui devient rouge». 13. Jean Coutourier, “Mai 68 et les chrétiens”, La Croix. 14. Joseph Ratzinger, «Les principes de la théologie catholique», Téqui, Paris 1985, p. 433. 15. «À la gauche du Christ», pp. 314-315. 16. “Avons-nous compris Mai 68?”, in Id., pp. 97-99. 17. Ibid., p. 106. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 39
Dossier: Maggio 1968
Cosa avrei fatto per contrastare il Sessantotto?
di Plinio Corrêa de Oliveira
Plinio Corrêa de Oliveira analizzò con attenzione la rivoluzione del Sessantotto, spiegando il suo substrato dottrinale, descrivendo la sua incidenza sulla Chiesa e sulla società e, specialmente, proponendo linee di azione per contrastarla. Trascriviamo alcuni brani sciolti , pronunciati dal leader cattolico in riunioni dell’epoca.
Non un mero ritorno all’ideale borghese
Il cammino alla Sorbonne è stato preparato dal fatto che crescenti minoranze cominciarono a desiderare qualcosa di opposto al progresso moderno. Sia nei suoi aspetti socio-politici sia in quelli culturali, la Sorbonne voleva distruggere la società borghese, proclamando invece l’anarchia.
Per definizione, la borghesia vuole mantenere lo status quo. I rivoluzionari del ‘68 volevano andare all’inferno, i borghesi volevano restare sulla terra, noi vogliamo andare in Cielo. Anche noi abominiamo lo spirito borghese, ma da una prospettiva opposta.
Prendete, per esempio, lo slogan: Le rêve est realité – il sogno è realtà. È uno slogan antiborghese. Per il borghese il sogno è l’opposto della realtà. Noi non possiamo reagire semplicemente difendendo la realtà. Dobbiamo proporre un sogno opposto. Io avrei risposto: Oui, le rêve est realité, le Royaume de Marie est proche! Sì, il sogno è realtà, il Regno di Maria sta arrivando! Proclamare l’ideale borghese come reazione al Sessantotto potrà attrarre alcune persone mondane, ma mai le convertirà alla grazia del Regno di Maria. Le persone si convertono solo di fronte all’assoluto. Qualcosa di simile possiamo dire sullo slogan L’immagination prend le pouvoir – l’immaginazione al potere. Il borghese rigetta l’immaginazione perché gli piace essere razionale, terra terra. L’immaginazione che vuole prendere il potere alla Sorbonne è quella hippie. Un giorno, però, quando i nostri ideali avranno vinto, anche noi potremo proclamare: Davvero, l’immaginazione ha preso il potere! Il Regno di Maria, che voi ritenevate utopico, è arrivato!
Contrastare il brutto con la bellezza
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La Rivoluzione della Sorbonne è un impressionante dispiegamento di abilità teatrale. È una mise en scène colossale. Infatti, io ritengo che sia il miglior teatro mai rappresentato nel secolo XX.
Io prenderei in giro questa Rivoluzione. Gli organizzatori della fantasmagoria del Sessantotto hanno voluto conferirgli un’aria di dramma, e allo stesso tempo di grandezza diabolica. Io proverei a puntare il dito contro il ridicolo di questo pseudo dramma, svegliando il senso critico delle persone non ancora intossicate dall’ambiente rivoluzionario. Se il governo di De Gaulle avesse capito questo, avrebbe reagito in maniera diversa. Per esempio, anziché caricare i manifestanti con truppe d’assalto, qualcosa di profondamente antipatico, la Polizia avrebbe dovuto avanzare cantando, in un modo molto tradizionalmente francese, qualcosa del genere: “Gioventù coraggiosa di Francia, noi siamo i soldati della Legge, siamo i soldati dell’Ordine. Noi vi capiamo e vi amiamo con tutto il nostro cuore...”. Io credo che questo avrebbe smorzato la frenesia rivoluzionaria. Quando si deve rispondere con le armi, la battaglia è già mezza persa. Contro la commedia rivoluzionaria, io avrei risposto con una canzone.
Come mi piacerebbe che ogni campagna della TFP avesse una canzone. Dicono che cantare equivalga a pregare due volte. Io dico: “Lottare cantando è lottare due volte”. Ciò è particolarmente importante nell’odierna guerra psicologica. Come mi piacerebbe che le nostre campagne avessero slogan, canti, bande musicali.
la soluzione sia un’apertura all’universo angelico. I cattolici fedeli sono sempre più isolati. O noi facciamo ricorso agli angeli, oppure non vedo una via di uscita a questa situazione di crescente isolamento. Se vogliamo essere preparati per affrontare la situazione, se vogliamo comunicare forza e animo ai fedeli in mezzo alla crisi contemporanea, dobbiamo studiare gli angeli. Dobbiamo chiedere agli angeli di intervenire presso gli uomini, affinché siano preparati per le grandi battaglie che si avvicinano. Poiché l’azione del demonio si fa sempre più incalzante, solo un ricorso agli angeli ci potrà permettere di affrontarla con successo. Dobbiamo studiare a fondo questo tema. È chiaro che, in questa battaglia, dobbiamo chiedere l’aiuto di tutta la corte celeste. Ritengo, però, che gli angeli abbiano un ruolo speciale. Fare oggi la lotta contro-rivoluzionaria senza un ricorso agli angeli è come combattere cinquecento dinosauri con una spada.
Nelle nostre campagne noi dobbiamo proclamare gli slogan, anzi dobbiamo cantarli. Tutto nella TFP ha una grandezza intrinseca. In una campagna della TFP la bellezza si incontra con la verità. Ecco lo charme grandioso della TFP! Quali sono gli elementi di tale grandezza? Prima di tutto, la grandezza delle dottrine della Santa Chiesa Cattolica. Poi la grandezza di un atteggiamento che, parlando all’intelletto, attinge anche ai sensi tramite la bellezza. Tutto questo contro il mondo rivoluzionario.
Una risposta angelica
La Rivoluzione della Sorbonne ha mostrato il gusto francese per la cavalleria, però con un lato nero, diabolico. Per esempio, quando hanno innalzato la bandiera del Vietcong sulla torre di Notre Dame. Ciò fu un atto di cavalleria nera, alla quale dobbiamo opporre un atto di cavalleria cattolica. Non si affronta la cavalleria nera semplicemente con dottrine, ma con una cavalleria opposta e superiore, una cavalleria angelica. Credo che l’ora di parlare sugli angeli sia arrivata. Più la situazione contemporanea diventa insolubile, misteriosa e terribile, più sono convinto che
Il Sessantotto ha mostrato un lato di cavalleria nera, diabolica. A ciò noi dobbiamo opporre un atto di cavalleria cattolica. Non si affronta la cavalleria nera semplicemente con dottrine, ma con una cavalleria opposta e superiore, una cavalleria angelica
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Il mondo delle TFP
D
al 12 al 17 agosto si è realizzata la tradizionale Università Estiva delle TFP. Quest’anno l’evento ha avuto luogo nella storica Certosa di Gaming, nell’Austria centrale, non lontano dal Santuario mariano nazionale di Mariazell. A cinquant’anni dalla rivoluzione della Sorbonne, il tema non poteva essere altro che questo: “Maggio ‘68. Come reagire a una Rivoluzione che ha cambiato il mondo”.
Università
Il convegno è stato inaugurato da S.E. Mons. Athanasius Schneider, che ha tenuto la relazione “Come mantenere la Fede in mezzo alla crisi attuale”. Poi, diversi relatori hanno analizzato la Rivoluzione del Sessantotto sotto vari profili. Tutti hanno sottolineato come si tratti di una rivoluzione totale, che punta a cambiare non soltanto alcune istituzioni, ma lo stesso uomo nel suo modo di essere. Ha ricevuto un’attenzione speciale il campo definito da Plinio Corrêa de Oliveira come “ten-
Sopra: foto ufficiale dell’Accademia Estiva 2018 delle TFP, biblioteca della Certosa di Gaming In senso antiorario: un circolo di studio; conferenza di mons. Athanasius Schneider; l’alzabandiera solenne nel cortile centrale
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estiva 2018
denziale”, cioè quello delle mode, della cultura, del linguaggio e via dicendo.
Un’intera giornata è stata dedicata all’analisi del Sessantotto nella Chiesa. José Antonio Ureta, della TFP francese, ha trattato il tema “Il maggio ‘68 e il Concilio Vaticano II”. Citando autorevoli autori, egli ha mostrato come il Sessantotto e la crisi postconciliare costituiscano aspetti di una stessa rivoluzione.
Al “vedere” e al “giudicare”, segue naturalmente il “fare”. L’ultima giornata è stata dedicata alla discussione: “Come si può reagire alla Rivoluzione del Sessantotto?”. Il convegno è stato chiuso da S.A. il Duca Paul von Oldenburg, che ha parlato su “La Madonna Auxilium Christianorum”. La presenza di due sacerdoti garantiva non solo la Santa Messa quotidiana, in rito romano antico, ma anche la disponibilità dei Sacramenti.
In senso orario: solenne Messa dell’Assunta nella chiesa della Certosa di Gaming; parla il rappresentante dell’Africa del Sud; la cena conviviale di chiusura
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Il mondo delle TFP
Germania: Crociata europea per la famiglia
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a TFP tedesca ha lanciato l’Europäischer Kreuzzug für die Familie (Crociata europea per la famiglia) che, partendo dalla Germania, intende toccare anche altri paesi dell’Unione. “Niente gender nelle scuole tedesche! No al gender come dottrina di Stato! Appello al Bundestag”, questo il titolo del manifesto pubblicato dalla TFP teutonica (pagina a fianco). Recentemente, l’Antidiskriminierungsstelle des Bundes (ADS, Agenzia federale anti-discriminazione) ha chiesto al Governo Federale di introdurre l’educazione al gender nelle scuole del Paese, per combattere la “discriminazione sessuale”. Sulla scia di una vittoriosa campagna, che è riuscita a bloccare una proposta analoga nel Land di Hesse, la TFP tedesca ha chiesto al Bundestag di respingere il
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parere dell’ADS con questa motivazione: “L’ideologia di gender contiene un’antropologia rivoluzionaria, irragionevole e anti-scientifica. Non vogliamo che una tale ideologia diventi dottrina di Stato”.
Una “carovana”, composta da una ventina di soci e cooperatori della TFP, ha percorso il territorio alemanno per diffondere il manifesto e prendere contatto diretto col pubblico, che si è mostrato in maggioranza contrario alla proposta. La “carovana” ha toccato finora le seguenti città: Bonn, Francoforte, Colonia, Düsseldorf, Duisburg, Dortmund e Saarbrücken. Dopodiché la “carovana”, arricchita da membri della TFP locale, si è spostata in Olanda, dove una simile iniziativa è attualmente al vaglio del Governo. Una intera giornata è stata dedicata alla diffusione del manifesto ad Amsterdam.
L
Appello al Bundestag
e istituzioni dell’Unione Europea, e i vari governi nazionali, stanno tentando di imporre ai Paesi membri l’ideologia di genere. Tale ideologia sostiene che il sesso di una persona non sia un fatto biologico, bensì una “costruzione” sociale o culturale.
Tale ideologia nega la legge naturale, la ragione stessa e la dottrina cristiana sull’uomo e la sua sessualità. Essa distrugge l’idea che il matrimonio possa celebrarsi soltanto tra un uomo e una donna. L’ideologia di genere è un’utopia rivoluzionaria, chiamata da papa Benedetto XVI una “rivoluzione antropologica”. Dobbiamo resistere a questo attacco alla famiglia tradizionale e alle radici cristiane dell’Europa!
In molti paesi europei, l’ideologia di genere sta rapidamente diventando dottrina di Stato.
I promotori di questa ideologia non si fermano nemmeno di fronte all’innocenza dei bambini, che vengono indottrinati nelle scuole sin dalla più tenera età.
Ecco alcuni motivi per cui l’ideologia di genere è il peggior nemico della famiglia tradizionale: “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27). Negare intenzionalmente la natura biologica degli esseri umani è una rivolta contro il Creatore. Secondo l’American College of Pediatricians, l’ideologia di genere è una forma di abuso sui minori. Secondo l’American Foundation for the Prevention of Suicide, ben il 41% delle persone che hanno voluto cambiare il proprio sesso biologico ha cercato di suicidarsi. Questo tasso è venticinque volte superiore alla media nazionale.
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Il mondo delle TFP
Paraguai: diffusione del messaggio di Fatima
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n occasione delle celebrazioni per il centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, membri della Sociedad Paraguaya de Defensa de la Tradición Familia y Propriedad hanno realizzato una “carovana” che ha percorso le principali città del Paese, diffondendo un numero speciale della loro rivista, dedicato integralmente alle apparizioni del 1917. La rivista contiene anche un saggio di Plinio Corrêa de Oliveira sull’attualità del messaggio della Madonna.
Campagna pubblica nella capitale, Asunción
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Inveruno e Giussano
a TFP italiana ha partecipato, con un gazebo, alla tradizionale Fiera di San Martino a Inveruno (MI). L’interesse del pubblico è stato grande, soprattutto nel vedere una realtà cattolica prendere contatto diretto con le persone, cosa solitamente associata ai protestanti.
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Qualche giorno dopo, organizzato da realtà cattoliche locali, Julio Loredo, direttore della TFP italiana, ha presentato a Giussano (MI) il suo libro «Teologia della liberazione» nell’auditorio civico di Villa Mazenta. È seguito un vivace dibatitto, a riprova di quanto l’argomento sia attuale.
Brasile: in difesa della famiglia
L
a senatrice socialista Marta Suplicy ha presentato al Senato Federale del Brasile un ddl, noto come PLS 134/2018, che propone lo “Statuto sulla diversità di genere”. Se approvato, questo progetto introdurrà il reato di “omofobia”, e una pena di fino a cinque anni di carcere per chiunque abbia l’audacia di difendere la famiglia tradizionale, manifestando idee diverse da quelle dell’agenda LGBT.
Immediata la reazione dell’Istituto Plinio Corrêa de Oliveira. Cinquantadue giovani cooperatori dell’Istituto hanno percorso diverse città dello Stato di San Paolo, raccogliendo firme contro il ddl Suplicy. Dopo San Paolo, la campagna si è allargata ad altre regioni.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2018 - 47
Forza e leggerezza negli angeli
S
di Plinio Corrêa de Oliveira
e paragoniamo la movenza di un velo con quella di un elefante, vediamo che il primo è molto vivace, mentre il secondo è molto possente. Il velo non ha forza, ma si muove di più. Per esempio, Amin Dada è possente, egli concepisce il comando solo come l’applicazione della forza bruta. Mentre Luigi XIV era capace di ringraziare un generale per aver vinto una battaglia con un semplice sguardo, ispirandolo quindi a continuare la guerra con animo rinnovato. Un piccolo gesto, un grande effetto. Così possiamo capire come l’azione di un angelo possa essere molto incisiva, molto efficace e molto possente, consistendo appena in un ‘tocco’ leggero. L’angelo, per così dire, ‘tocca’ leggermente un oggetto, ed è capace di muovere pianeti. Mentre nel mondo materiale la fragilità è segno di impotenza e la forza segno di potere, nell’angelo leggerezza e potenza vanno insieme.
Un altro esempio è il cigno. Il cigno sembra nuotare senza fatica, le sue zampe si muovono sott’acqua. Egli nasconde lo sforzo e scivola sull’acqua come se stesse nuotando con un atto di pura volontà, senza nessuno impegno fisico. In ciò rammenta l’angelo, che si muove senza sforzo. L’angelo è sommamente immobile e, allo stesso tempo, sommamente dinamico. Contemplando il cigno, ci facciamo un’idea del movimento dell’angelo, e possiamo sentire tutta la bellezza del movimento nell’immobilità, tutta la bellezza del motore immobile. Cioè, tutta la bellezza di Dio.