Anno 20, n. 62 - Ottobre 2014 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
L a fi ne d i u na c ri s ti an it Ă m il l e na ria c ed e r e o r e s i s t e r e?
Dossier: centenario di S. Pio X
È finita l’era del cattolicesimo a costo zero
C
om’era già successo con gli Almoravidi nel secolo XI, dal profondo dei deserti arabici è sorta l’ennesima setta ispirata alla dottrina “pura” del Corano. Ha preso il nome di “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”, o più semplicemente Isis. Come un incendio inarrestabile, ha già conquistato buona parte dell’Iraq e della Siria, minacciando perfino la capitale Baghdad. “Non ci fermeremo fino a sventolare la nostra bandiera sulla Casa Bianca”, proclamava un capo. Vogliono stabilire il califfato, cioè la dittatura islamista mondiale.
Inutile fare distinzioni bizantine fra islam “radicale” e islam “moderato”. Mentre in Occidente si discute, gli jihadisti massacrano migliaia di persone ogni settimana. Hanno già cancellato una cristianità che vantava duemila anni di storia. Nessuno riesce a fermarli. I combattenti dell’Isis sono già più di centomila, e aumentano ogni giorno, anche con l’apporto di volontari che arrivano sempre più copiosi da tutto il mondo, compresa l’Italia. Molti musulmani “moderati” sono saliti sul carro del vincitore, diventando a loro volta jihadisti. Chi non si piega al volere dei nuovi signori è sommariamente decapitato.
Chi sostiene che tali atteggiamenti non facciano parte del vero Islam mostra di non conoscere né l’Islam né la storia.
Quando nel 622 Maometto si trasferì dalla Mecca a Yathrib, che egli rinominò Medina (Città), stabilendo de facto il primo califfato, tutti gli abitanti (tra cui ebrei e cristiani) furono costretti a scegliere fra la conversione e l’esilio. Maometto ordinò
personalmente lo sterminio nella pubblica piazza dell’intero clan Banu Curayza: 900 persone, comprese donne e bambini. Semmai, dunque, l’Isis può validamente vantarsi di procedere seguendo l’esempio del “profeta”.
Intrisi di spirito liberale e buonista, molti occidentali non riescono a comprendere la combattività dell’Isis. Comprendono anche meno quando ragazzi europei si convertono all’islam e, abbandonando il benessere della nostra società, si trasferiscono in Iraq per combattere e morire inneggiando ad Allah. “Ci sono tanti fattori, per lo più psicologici — spiega Stefano Allievi, studioso dell’Islam in Italia — L’Islam radicale può offrire una forte struttura della personalità a chi non ce l’ha, e la guerra santa apre scenari di avventura esotici”. Di fronte all’impeto schiacciante dell’Isis, cosa oppone l’Occidente? Buonismo, irenismo, ecumenismo, pacifismo, multiculturalismo e tanti altri “ismi” che hanno minato la nostra civiltà rendendola vulnerabile. “L’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana — ammoniva nel 2000 il cardinale Biffi — Questa cultura del niente non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’Islam, che non mancherà”. La sfida dell’islamismo radicale pone, per noi europei, una gravissima questione di coscienza: è finita l’era del cattolicesimo a costo zero.
La sorte della Civiltà cristiana è nelle nostre mani. O noi, come i nostri antenati medievali, sapremo resistere con la grazia di Dio per l’intercessione di Maria Santissima, oppure, giorno più giorno meno, saremo costretti a piangere come bambini per ciò che non siamo riusciti a difendere come uomini. Sapranno i nostri leader, spirituali e temporali, raccogliere la voglia di eroismo che da più parti si fa sentire sempre più forte, specie fra i giovani? Sapranno offrire una pastorale veramente aggiornata, che venga cioè incontro alle reali aspirazioni della migliore gioventù? Oppure continueranno a riproporre atteggiamenti che si sono ormai dimostrati deboli e fallimentari?
2 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Sommario Anno 20, n° 62, ottobre 2014
Editoriale Preghiera del beato Marco d’Aviano La fine di una cristianità millenaria La guerra giusta nel «Catechismo» Cile: frenesia di rivoluzione Disastro Allende Nelson Mandela e l’ombra del post-apartheid Plinio Corrêa de Oliveira: un anticomunista? Accademia Estiva 2014 S. Pio X il Grande La “sintesi di tutte le eresie” Un esempio di fermezza pastorale Stanislao Medolago Albani Intervista a Giovanni Medolago Albani “Con la grazia di Dio la nostra generazione femerà l’aborto” Pellegrinaggio ad Altötting Nella tua luce vediamo la Luce
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Copertina: Chiesa bruciata dagli islamisti in Dalga, Egitto. Mentre in Occidente si discute su sottili distinzioni fra islam moderato e islam radicale, gli jihadisti stanno annientando Cristianità millenarie.
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 20, n. 62 OTTOBRE 2014 Dir. Resp. Julio Loredo
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Attualità
Preghiera del beato Marco d’Aviano nella battaglia di Vienna
O
grande Dio degli eserciti, guardaci prostrati qui ai piedi della tua maestà, per impetrarti il perdono delle nostre colpe. Sappiamo bene di aver meritato che gl’infedeli impugnino le armi per opprimerci, perché le iniquità, che ogni giorno commettiamo contro la tua bontà, hanno giustamente provocato la tua ira. O gran Dio, ti chiediamo il perdono dall’intimo dei nostri cuori; esecriamo il peccato, perché Tu lo aborrisci; siamo afflitti perché spesso abbiamo eccitato all’ira la tua somma bontà. Per amore di Te stesso, preferiamo mille volte morire piuttosto che commettere la minima azione che ti dispiaccia. Soccorrici con la tua grazia, o Signore, e non permettere che noi tuoi servi rompiamo il patto che soltanto con te abbiamo stipulato.
Abbi dunque pietà di noi, abbi pietà della tua Chiesa, per opprimere la quale già si preparano il furore e la forza degl’infedeli. Sebbene sia per nostra colpa ch’essi hanno invaso queste belle e cristiane regioni, e sebbene tutti questi mali che ci avvengono non siano altro che la conseguenza della nostra malizia, siici tuttavia propizio, o buon Dio, e non disprezzare l’opera delle tue mani. Ricordati che, per strapparci dalla servitù di satana, Tu hai donato tutto il tuo prezioso Sangue. Permetterai forse ch’esso venga calpestato dai piedi di questi cani? Permetterai forse che la fede, questa bella perla che cercasti con tanto zelo e che riscattasti con tanto dolore, venga gettata ai piedi di questi porci? Non dimenticare, o Signore, che se Tu permetterai che gl’infedeli prevalgano su di noi, essi bestemmieranno il tuo santo Nome e derideranno la tua potenza, ripetendo mille volte: “Dov’è il loro Dio, quel Dio che non ha potuto liberarli dalle nostre mani?” Non permettere, o Signore, che ti si rinfacci di aver permesso la furia dei lupi, proprio quando t’invocavamo nella nostra miserevole angoscia.
Viene a soccorrerci, o gran Dio delle battaglie! Se Tu sei a nostro favore, gli eserciti degl’infedeli non potranno nuocerci. Disperdi questa gente che ha voluto la guerra! Per quanto ci riguarda, noi non amiamo altro che essere in pace con Te, con noi stessi e col nostro prossimo. Rafforza con la tua grazia il tuo servo e nostro imperatore Leopoldo; rafforza l’animo del re di Polonia, del duca di Lotaringia, dei duchi di Baviera e di Sassonia, e anche di questo bell’esercito cristiano, che stanno per combattere per l’onore del tuo nome, per la difesa e la propagazione della tua santa Fede. Concedi ai principi e ai capi dell’esercito la fierezza di Giosué, la mira di Davide, la fortuna di Jefte, la costanza di Joab e la potenza di Salomone, tuoi soldati, affinché essi, incoraggiati dal tuo favore, rafforzati dal tuo Spirito, e resi invincibili dalla potenza del tuo braccio, distruggano e annientino i nemici comuni del nome cristiano, manifestando a tutto il mondo che hanno ricevuto da Te quella potenza che un tempo mostrasti in quei grandi condottieri. Fa’ dunque in modo, o Signore, che tutto cospiri per la tua gloria e onore, e anche per la salvezza delle anime nostre.
Te lo chiedo, o Signore, in nome dei tuoi soldati. Considera la loro fede: essi credono in Te, sperano tutto da Te, amano sinceramente Te con tutto il cuore. Te lo chiedo anche con quella santa benedizione, che io conferirò a loro da parte tua, sperando, per i meriti del tuo prezioso Sangue, nel quale ho posto tutta la mia fiducia, che Tu esaudirai la mia preghiera. Se la mia morte potesse essere utile o salutare, per ottenere il tuo favore per loro, ebbene te la offro fin d’ora, o mio Dio, in gradita offerta; se quindi dovrò morire, ne sarò contento. Libera dunque l’esercito cristiano dai mali che incombono; trattieni il braccio della tua ira sospeso su di noi, e fa’ capire ai nostri nemici che non c’è altro Dio all’infuori di Te, e che Tu solo hai il potere di concedere o negare la vittoria e il trionfo, quando ti piace. Come Mosé, estendo dunque le mie braccia per benedire i tuoi soldati; sostienili e appoggiali con la tua potenza, per la rovina dei nemici tuoi e nostri, e per la gloria del tuo Nome. Amen! 4 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
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“L ’ int enzion e d el C a li ffa t o è q u e l l a di o c c u p a r e i l m o n d o i n t e r o a c o m i n c i a r e d a R o m a” Mons. ShlemonWarduni, vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad di Juan Miguel Montes
Come ai tempi di Maometto, la furia degli islamisti si abbatte sulla Cristianità. Allora i seguaci del “profeta” annientarono la civiltà cristiana in Terra Santa e nell’Africa settentrionale. Oggi, l’odio si abbatte sulla Mesopotamia, distruggendo chiese millenarie, massacrando i cristiani, cancellando ogni traccia di Cristo. Mentre, però, nel Medioevo l’assalto islamico suscitò una fortissima reazione, concretatasi in iniziative belliche che riuscirono ad arrestarlo, oggi, invece, trova davanti a sé un atteggiamento accomodante di “dialogo”, di “ecumenismo”, di “fratellanza”, magari qualche “aiuto umanitario”. Umanamente parlando, non è difficile prevedere l’esito di un tale scontro. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 5
Attualità
“S
Il prezzo di silenzi ed errori
ono anni che andiamo dicendo a tutto il mondo che la situazione dei cristiani in Iraq è in pericolo se non si riesce a operare in modo serio per proteggerli. Purtroppo nessuno ci ha ascoltato” scrive al quotidiano “Avvenire” (15/8/14) il cappellano della comunità siro-cattolica di Londra, don Nizar Semaan. Don Semaan si lamenta giustamente perché più volte lungo questi anni i siro-cattolici hanno ripetuto vanamente l’appello, il che lo porta a concludere che “la responsabilità ora è di tutti quelli che in questi anni con il loro silenzio hanno incoraggiato i diversi gruppi terroristici”. Don Semaan, inoltre, punta il dito contro le istituzioni internazionali che si vantano di difendere i diritti umani ma che in questo caso non hanno mai fatto alcunché. Non si può non pensare alla responsabilità che hanno principalmente le Nazioni Unite, un organismo che si dimostra inerte ed inefficace, in parte a causa dei sistemi di veti incrociati, ma soprattutto per il lungo discredito accumulato in anni
di politiche di due pesi e due misure, frutto della ideologia di sinistra e anti-occidentale che l’ha contraddistinta. E, difatti: “Cosa fa l’Onu, che parla di diritti dell’uomo ma poi non fa nulla per fermare queste situazioni?”, ha chiesto al Meeting di Rimini mons. ShlemonWarduni, vescovo ausiliare di Baghdad (“Il Sussidiario”, 30 agosto 2014).
Dal canto suo, il presidente americano, Barack Obama, è gravemente responsabile per avere abbandonato l’Iraq alla sua sorte nel 2011, quando c’erano già tutte le evidenze dell’imminente persecuzione alle minoranze come la bien chiara prospettiva di una guerra civile d’inusitata ferocia. Anzi, le truppe hanno lasciato il paese con la guerra civile in corso. L’amministrazione americana, erede di una lunga tradizione di pensiero di stampo liberale e ottimistico, non ha compreso che non bastava far ripartire la vita dei partiti politici, addestrare un corpo di polizia fornendone divise, armi e addestramento e prendere qualche altra misura del genere per contenere le vulcaniche forze tribali e jihadiste in campo.
Gli organi dell’Europa sono totalmente inadeguati per trattare tematiche di questo genere. Non vedono, non sentono, non parlano. O lo fanno quando ormai c’è ben poco da fare. Essi si preoccupano soltanto delle ripercussioni economiche degli eventi, ma mai di cercare di capire meglio la loro natura per agire di conseguenza. In una Europa spiritualmente inaridita e svuotata, qualcuno decide di rompere la monotonia, ahinoi, e parte per combattere nelle file dell’Isis, secondo quanto rivelano i notiziari in questi giorni. Poi c’è la Russia. Sino a poco tempo fa molti buoni cattolici, in tutto il mondo, nutrivano grandi speranze nelle dichiarazioni sbandierate da importanti personalità civili ed ecclesiastiche russe in difesa dei cristiani perseguitati dagli islamisti. Tuttavia, sembra che, oggi, la Federazione Russa non solo non si sia mossa minimamente in favore delle minoranze cristiane nei giorni più drammatici, ma abbia approfittato della instabilità creatasi nel Medio Oriente per portare avanti l’illegale occupazione dell’Ucraina orientale. Di sicuro, non una crociata anti-jihad, visto che si tratta di uno scontro con cugini slavi dalle radici cristiane, come loro.
«C’e bisogno di sostegno internazionale ma anche di un esercito professionale e ben equipaggiato»
S. E. Mons. Louis Sako, patriarca di Baghdad
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«Per favore, cercate di capirci. I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra» S. E. Mons. Amel Nona, arcivescovo di Mosul
Quando Benedetto XVI parlò
Non possiamo non ricordare con grande dolore, in questa panoramica generale, che lo stesso ambito cattolico si muoveva in ben altre prospettive. Tranne che per qualche organo di stampa specializzato come, per esempio, l’agenzia Asia News, il discorso di una nuova e gigantesca persecuzione dei cristiani sembrava meramente circostanziale; in nessun modo frutto di una epoca nuova che si stava aprendo per durare a lungo. Se n’è parlato, sì, puntualmente, in occasione di ogni episodio tragico, ma non è nota, a livello ufficiale, un’analisi esaustiva del fenomeno e una chiara denuncia delle sue cause. Anzi, quando papa Benedetto XVI cercò di sollevarne delicatamente il velo nel famoso discorso di Ratisbona, l’establishment politico e mediatico lo colpì con forza. E - non dobbiamo dimenticarlo - persino il mondo cattolico, in vasti e influenti settori, lo criticò aspramente.
Infatti, chi osa parlare dell’argomento si trova nella spiacevole veste del guastafeste o, addirittura, del guerrafondaio che vuole lo scontro Occidente-
Oriente, la guerra mondiale. Molte volte, in ambito cattolico si liquida il tema semplicemente, attribuendo la questione all’ineguaglianza economica dei due mondi, alle arroganze reali o supposte dell’Occidente, alla sua mancanza di solidarietà oppure al bisogno che hanno i mercanti di armi di vendere i loro prodotti. Questa perdita della giusta prospettiva per inquadrare le questioni a sfondo religioso, parla forte e chiaro dei danni arrecati da ciò che lo stesso Benedetto XVI definì la “secolarizzazione all’interno della Chiesa”: un modo di pensare e agire che con le categorie della religione ha sempre meno a che fare.
“Ci vuole un sinodo urgente su questo”
Eppure non sono mancate voci autorevoli che hanno chiesto un impegno netto ed efficace. Come mons. Giuseppe Bernardini, vescovo di Smirne (l’odierna Izmir, in Turchia), che, nel suo intervento nel Sinodo dell’ottobre 1999, lasciava intendere che in un certo ambito ecclesiastico c’era miopia nel giudicare le intenzioni degli islamisti, infiltrati nei
Milizie islamiche dell’ISIS avanzano verso Mosul TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 7
Attualità
“Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, a un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. Del resto la storia ci insegna che le minoranze decise riescono sempre a imporsi alle maggioranze rinunciatarie e silenziose”
S. E. Mons. Giuseppe Bernardini, vescovo di Smirne, Turchia
grandi spostamenti umani verso l’Europa, secondo lui con un programma di “espansione e riconquista”.
Il presule, dopo 16 anni trascorsi in Turchia, ben conosceva l’argomento e aveva sicuramente presente lo sradicamento del cristianesimo dall’Anatolia agli inizi del secolo scorso, col genocidio degli Armeni. Allo scopo di evitare una simile tragedia all’Europa, egli proponeva la convocazione urgente di “un Sinodo o un simposio di vescovi” per affrontare il problema degli islamici nei paesi cristiani, ricordando ai confratelli riuniti a Roma che un autorevole esponente musulmano si era così espresso: “Grazie
alle vostre leggi democratiche vi invaderemo, grazie alle nostre leggi religiose vi domineremo”. E, con precisa conoscenza della materia, concludeva: “Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta, ma questa, a un ordine dato in nome di Allah o del Corano, marcerà sempre compatta e senza esitazioni. Del resto la storia ci insegna che le minoranze decise riescono sempre a imporsi alle maggioranze rinunciatarie e silenziose”.
Le parole dell’arcivescovo di Smirne, riferite soprattutto al pericolo dell’espansione di minoranze islamiche in paesi di vecchia tradizione cristiana, pre-
Esecuzioni sommarie nel “califfato” islamico: oggi l’Iraq, domani il mondo?
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La guerra giusta secondo il «Catechismo della Chiesa Cattolica»
a dottrina della “guerra giusta”, vale a dire il diritto di usare la forza militare in certe circostanze è un punto fermo del Magistero della Chiesa. Da sant’Agostino a s. Tommaso d’Aquino a s. Bonaventura ai Dottori della seconda scolastica, tutti i teologi coincidono nella liceità della guerra giusta. Di recente si sono diffuse notizie, perfino sui quotidiani nazionali, che ne sostengono il mutamento a partire dal Concilio Vaticano II. Niente di più falso. Il «Catechismo della Chiesa Cattolica», promulgato nel 1992, è assai esplicito: “2263 La legittima difesa delle persone e delle società non costituisce un’eccezione alla proibizione di uccidere. (…)
“2264 L’amore verso se stessi resta un principio fondamentale della moralità. È quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita. Chi difende la propria vita non si rende colpevole di omicidio anche se è costretto a infliggere al suo aggressore un colpo mortale. (…)
“2265 La legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità. (…)
“2308 Fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa. (…) “2309 Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della «guerra giusta»”.
cedettero le sempre più oscure nuvole che si stavano addensando sulle teste delle minoranze cristiane in terre islamiche, e che hanno poi scatenato un acquazzone dal furore equatoriale.
A quell’ammonimento seguirono in Occidente l’abbattimento delle Torri Gemelle (2001), le stragi di Madrid (2004) e Londra (2005) e nel Medio Oriente e in Africa le infinite atrocità contro le comunità cristiane. Forse neppure il preveggente mons. Bernardini poteva immaginare allora che due suoi confratelli italiani, sacerdoti e missionari in Turchia come lui, sarebbero stati brutalmente uccisi in quella terra alla quale dedicavano il meglio delle loro energie: il sacerdote Andrea Santoro il 5 febbraio 2006 e il vescovo mons. Luigi Padovese il 3 giugno 2010.
Un enorme bisogno di verità
Oggi, assistiamo alla tragedia dei cristiani in Iraq e in Siria e l’eco delle parole di mons. Bernardini non può non colpire le nostre coscienze, come
quando avvertiva della collaborazione che anche gli islamici moderati possono fornire ai fanatici in certe circostanze.
“Sappiamo tutti che bisogna distinguere la minoranza fanatica e violenta dalla maggioranza tranquilla e onesta” affermava mons. Bernardini. Era ed è un dovere fare il distinguo. Ma, poi, bisogna leggere le sue frasi successive per evitare di trarre conclusioni ottimistiche che possano ostacolare un corretto “vedere, giudicare, agire”.
Il realismo esige, invece, che prendiamo nota attentamente, e con vero sgomento, di quanto scritto, per esempio, da alcuni inviati in Iraq, come Lucia Capuzzi (I vicini islamici ci hanno tradito, “Avvenire” 15/8/14), oppure Lorenzo Cremonesi: “Quasi sempre i sunniti locali hanno collaborato volontariamente con le milizie arrivate dall’esterno, spesso sono stati proprio loro a occupare le abitazioni degli ex vicini, rubare le loro automobili, i loro attrezzi agricoli, cercare di prendere le loro donne” (“Corriere della Sera”, 17 agosto 2014). TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 9
Attualità
I l Co ra no e l a g ue r ra s a nt a S
i suole dire che nel Corano c’è tutto e il contrario di tutto. Ed è vero. Ciò è in parte dovuto allo scarso rigore dei primi kuttab (compilatori), ma soprattutto al rimescolamento fra sura meccani e medinesi fatto dal califfo Uthman bin Affan nel redigere il Corano nella sua versione definitiva. In questo impasto si trovano anche molti versetti guerrafondai, che hanno ispirato tutte le sette islamiche fondamentaliste, fino all’Isis. Ha quindi ragione mons. Amel Nona, vescovo di Mosul, quando afferma: “La base [dell’Isis] è la religione islamica stessa: nel Corano ci sono versetti che dicono di uccidere i cristiani, tutti gli altri infedeli”. Eccone alcuni esempi, tratti dalla traduzione italiana ufficiale del Corano:
“Hanno preso il Messia figlio di Maria, come signore all’infuori di Allah. (...) I nazzareni dicono: ‘Il Messia è il figlio di Allah’. Questo è ciò che esce dalle loro bocche. Ripetono le parole di quanti già prima di loro furono miscredenti. Li annienti Allah!”. (Sura 9, 30)
“Quando dunque incontrate in battaglia quelli che non credono, colpiteli al collo e quando li avete massacrati di colpi, stringete bene i ceppi. Così dovrete fare”. (Sura 47, 4)
“Quelli che non credono non si illudano, non prevarranno! Preparate dunque contro di loro forze e cavalli”. (Sura 8, 57)
“Combatti dunque per la causa di Allah - sei responsabile solo di te stesso e incoraggia i credenti. Forse Allah fermerà l'acrimonia dei miscredenti. Allah è più temibile nella Sua acrimonia, è più temibile nel Suo castigo”. (Sura 4, 84)
“Uccidete questi miscredenti ovunque li incontriate, catturateli, assediateli e tendete loro agguati”. (sura 9, 5)
“Vi è stato ordinato di combattere, anche se non lo gradite”. (Sura 2, 216)
“O voi che credete, combattete i miscredenti, che vi stanno attorno, che trovino durezza in voi”. (Sura 9, 123)
“Combattete coloro che non credono in Allah (...) che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo e siano soggiogati”. (Sura 9, 29)
“Maledetti! Ovunque saranno trovati, saranno presi e massacrati”. (Sura 33, 61)
Nella foto sopra, Maometto conduce le sue truppe nella battaglia di Khaybar, nel 629. Il “profeta” prese parte a non meno di ottanta battaglie.
“Uccidete i miscredenti ovunque li incontriate”. (Sura 2, 191)
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Se non si conoscesse una certa natura dell’Islam come religione, ben oltre la conoscenza che possiamo avere dei suoi diversi tipi umani, sarebbe difficile crederci. Perciò esiste al presente un enorme bisogno di verità e di chiarezza. Altrimenti qualsiasi iniziativa diplomatica di dialogo sarà distorta nelle sue premesse e non potrà mai produrre un’autentica pace. Non a caso l’arcivescovo di Ferrara ha scritto che in ambito cattolico: “Forse c’è una prevalenza della volontà di dialogo a ogni costo che deprime la verità” (“Il Giornale”, 20 agosto 2014).
“Il preludio di quello che vi accadrà”
Un vescovo iracheno, oggi, riecheggia quasi testualmente le profetiche parole di mons. Bernardini. Quel che dice spaventa, ovviamente, i cattolici secolarizzati. Si tratta del 47enne mons. Amel Shamon Nona, arcivescovo caldeo di Mosul che mentre accompagnava i suoi fedeli in fuga verso Erbil, ha concesso una intervista all’inviato del “Corriere della Sera”, Lorenzo Cremonesi (10/8/14): «Le nostre sofferenze di oggi sono il preludio di quelle che subirete anche voi europei e cristiani occidentali nel prossimo futuro». Prosegue Cremonesi:
Mons. Nona è ben contento di incontrare la stampa occidentale, sottolinea l’inviato del “Corriere” nel suo articolo.
«Per favore, cercate di capirci — esclama — I vostri principi liberali e democratici qui non valgono nulla. Occorre che ripensiate alla nostra realtà in Medio Oriente perché state accogliendo nei vostri
«La base dell’Isis è la religione islamica stessa. È un’ideologia basata sul Corano stesso. L’Isis rappresenta la vera visione dell’Islam»
Paesi un numero sempre crescente di musulmani. Anche voi siete a rischio. Dovete prendere decisioni forti e coraggiose, a costo di contraddire i vostri principi. Voi pensate che gli uomini sono tutti uguali. Ma non è vero. L’Islam non dice che gli uomini sono tutti uguali. I vostri valori non sono i loro valori. Se non lo capite in tempo, diventerete vittime del nemico che avete accolto in casa vostra»”. Anche Luca Geronico, giornalista di “Avvenire”, intervista anche lui questo schietto pastore: “Come si è formata questa ideologia? Da dove vengono?”. Mons. Amel Nona risponde: “La base è la religione islamica stessa: nel Corano ci sono versetti che dicono di uccidere i cristiani, tutti gli altri infedeli. La parola “infedele” nell’Islam è molto forte: l’infedele, per l’Islam, non ha una dignità, non ha un diritto. A un infedele si può fare qualsiasi cosa: ucciderlo, renderlo schiavo, tutto quello che l’infedele possiede, secondo l’Islam, è un diritto del musulmano. Non è una ideologia nuova, è una ideologia basata sul Corano stesso. Queste persone rappresentano la vera visione dell’Islam”. Poi mons. Nona passa a segnalare in tono veemente l’errore di politica internazionale fatto dagli occidentali assieme ai loro alleati nel mondo arabo quando hanno supportato gli jihadisti al fine di rovesciare alcuni governi dittatoriali. “I politici occidentali non capiscono cosa vuol dire l’Islam, pensano che sia un pericolo solo per i nostri paesi. Non è vero, è un pericolo per tutti, per voi occidentali ancor più che per noi. Verrà un tempo di cui vi dovrete pentire di questa politica” (“Avvenire” 12/8/14).
Mons. Amel Nona
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 11
Attualità
Il pacifismo smobilita le coscienze
Non solo un errato interventismo dell’Occidente ha creato guai. Questo interventismo imprevidente e inopportuno ha agito a volte, in modo paradossale, in simbiosi col pacifismo acritico che si è avvinghiato nella mentalità occidentale in genere, e cattolica in specie, come il serpente nell’albero del Paradiso. Esso fa sì che sia negata implicitamente la realtà del peccato e del male, permettendo all’irenismo di obnubilarci la ragione per poi farci trovare psicologicamente impreparati nelle occasioni in cui è necessario reagire. Perciò, succeda quel che succeda, per la mentalità così plasmata, sarà sempre sbagliato il ricorso alle armi e alla forza, ed essa eviterà sempre l’elementare domanda: come fai a dialogare con chi ti spara? Se dici il contrario, sei uno che vuole ripetere l’ecatombe del 1914 in pieno 2014. Ma in realtà nella ripetizione è colui che non impara le lezioni della storia. Come ha dimostrato in un brillante saggio lo storico Alberto Leoni (La Croce e la Mezzaluna, Ed. Ares 2009), la lotta dell’Islam al Cristianesimo non è una successione di molti episodi storici isolati, ma un grande continuum di quattordici secoli con qualche interruzione di pace. Per giungere a queste felici interruzioni e garantirne la durata il massimo possibile, niente è più necessario che non perdere la grande prospettiva storica.
La voce dei vescovi nella tribolazione
Ben diverso dal pacifismo irenico, certo, è il panorama che ha davanti chi è fuori dal circo mediatico occidentale e dalle sue tritate agende più o meno politicamente corrette. Oggi non può stupire che siano vescovi come il summenzionato mons. Nona, o l’arcivescovo di Erbil, mons. Warda, oppure il patriarca caldeo di Baghdad mons. Sako, con il suo ausiliare mons. Warduni, ad uscire dai ranghi per chiedere l’intervento internazionale che non può che essere armato se vuole essere efficace. Un intervento armato che è sostanzialmente, al di là degli eufemismi, una guerra difensiva, giusta e inevitabile.
“Guerra per amore della pace”, come ha insegnato sant’Agostino e ripreso san Tommaso. Una tematica e dottrina multisecolare che un establishment occidentale in genere, e cattolico in specie, ha voluto quasi escludere a priori persino come ipotesi di scuola; come se l’umanità nelle ultime decadi si fosse completamente rigenerata dalle conseguenze del peccato. 12 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Il problema peggiore sta nel fatto che quando si cede a miti non ragionevoli si producono ulteriori dolori e sofferenze. L’impreparazione psicologica, la cultura della resa, la mitologia del dialogo fine a se stesso creano mostri peggiori di quelli che sembrano scongiurare. Una grande levata di scudi a difesa dei cristiani minacciati, come chiedeva mons. Bernardini nel 1999, avrebbe potuto inibire persino la formazione dei dispositivi terroristici e persecutori islamisti. Ma allora si teneva più all’idea di non creare nessuna tensione col mondo islamico nel contesto del dialogo interreligioso. Oggi la tragedia che si snoda nel nord dell’Iraq conferma quanto gesti, parole e omissioni possono avere grandi e gravi conseguenze.
Qualcuno potrà dire che, ormai, possiamo star tranquilli perché sono avviate le misure prese dai grandi poteri dell’Occidente per difendere i poveretti cristiani e yazidi cacciati dalle loro case. Impediranno esse “la fine di un mondo millenario”, come ha scritto recentemente il prof. Andrea Riccardi (“Corriere della Sera”, 8/8/14)? A giudicare dai fatti, la fine sembra essere irreversibile per l’antichissima cristianità irachena, forse anche per quella siriana e libanese. Questo limitandosi al Medio Oriente.
Tuttavia un’altra domanda s’impone: non sta accadendo quanto detto oggi da mons. Nona e ieri da mons. Bernardini, cioè che siamo al “preludio” in Occidente di quanto potrà avvenire a causa di una politica migratoria imprevidente se non addirittura suicida?
Non dobbiamo considerare con la massima serietà anche queste parole di mons. Nona: “Il confine di questi gruppi è tutto il mondo: il loro obiettivo è di convertire con la spada o di uccidere tutti gli altri” (“Avvenire”, 15/8/14)?
Chi può ignorare, oggi, che molti militanti dell’ISIS, padroni del califfato, appena fondato, in Iraq e Siria, autori delle atrocità contro cristiani e altre minoranze, portano in tasca passaporti europei? Assieme a una mappa del mondo tutta dipinta di colore verde. Non porsi davanti a questa realtà significa optare per una cecità analoga a quella che condusse al conflitto mondiale nel 1914.
Cile: frenesia di rivoluzione di Juan Antonio Montes Varas
Nei primi cento giorni, il governo socialista di Michelle Bachelet ha presentato una pletora di progetti. Si parla di “frenesia legislativa”. E tutti puntano nella stessa direzione: attuare la più sconvolgente rivoluzione della storia recente del Cile
C
ento giorni dopo l’insediamento del governo socialista di Michelle Bachelet in Cile, già si fanno sentire le pesantissime conseguenze.
Il governo è composto da un’ampia coalizione di centro-sinistra che va dalla Democrazia Cristiana al Partito Comunista. L’agenda, però, è chiaramente dettata dai settori più estremisti, che si sono prefissi di attuare una vera e propria rivoluzione in campo culturale, con leggi sempre più libertine in materia di famiglia, e in campo sociale ed economico, con leggi sempre più socialiste. La chiamano “politica dalla piazza”, ma vuol dire semplicemente piegarsi alle minoranze, radicali e agguerrite, che riempiono le piazze del paese con rumorose manifestazioni.
Chi si augurava che questo secondo mandato della Bachelet fosse moderato, simile al primo, è stato clamorosamente smentito. Chi, come Acción Familia (consorella delle TFP, ndr), cercava invece di allertare l’opinione pubblica sul pericolo incombente, è stato tristemente confermato.
“Frenesia legislativa”
Inseguendo “la piazza”, il Governo si è buttato a capofitto in una vera e propria “frenesia legislativa”, nelle parole dell’ex presidente della Conferenza episcopale, mons. Alejandro Goic. Di tale “frenesia” fanno parte l’aborto, l’ideologia di genere,
le unioni omosessuali e un lungo eccetera. A ciò si aggiunga una riforma educativa che cerca di eliminare l’attuale sistema misto, cioè privato e statale. La riforma porrebbe tutta l’educazione nelle mani dello Stato, pur essendo palesemente il sistema che ottiene i peggiori risultati scolastici. Tale riforma si fonda sull’idea, di matrice chiaramente comunista, che ogni profitto ottenuto dal settore privato sia necessariamente egoista e quindi ingiusto. Tutti i servizi sociali dovrebbero essere gratuiti e gestiti dallo Stato. Con buona ragione, i genitori sono molto preoccupati e hanno già cominciato a organizzare proteste di piazza.
Per attuare la riforma educativa, il Governo avrebbe bisogno di svariati miliardi di dollari, che ovviamente non possiede. Ed ecco che ha presentato un progetto di riforma fiscale che farebbe aumentare le tasse fino a situarle ai livelli dei paesi socialisti, come Venezuela e Argentina. La riforma tributaria andrebbe, poi, completata con una riforma del mercato di lavoro, fortemente statalista e liberticida. Secondo molti economisti, si sta rischiando di “uccidere l’oca d’oro”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 13
Attualità
Il governo socialista di Michelle Bachelet ha inaugurato la “politica dalla piazza”, che vuol dire semplicemente piegarsi alle minoranze, radicali e agguerrite, che riempiono le piazze del paese con rumorose manifestazioni. A sin., una manifestante chiede “la fine del lucro”
Si uccide l’oca d’oro
Con le riforme proposte dalla Bachelet, il miracolo economico che, negli ultimi decenni, ha permesso al Cile di piazzarsi fra i primi paesi emergenti del mondo, verrebbe demolito in nome di un’ideologia statalista e socialista. Finora, il sistema economico cileno, che ha permesso al Paese di avere il più basso indice di povertà nell’America Latina, era stato rispettato perfino dalla Concertación (coalizione di centro-sinistra, ndr) che, eccetto il breve intervallo di Sebastián Piñera (2010-2014), ha governato il Cile dagli anni Novanta.
Le conseguenze si cominciano a sentire. Le proiezioni economiche per quest’anno sono calate notevolmente. A questo proposito, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha recentemente sollecitato il Cile a mantenere le politiche macroeconomiche che hanno avuto tanto successo. Secondo l’OCSE, “nella misura in cui si svilupperà l’economia cilena, aumenterà anche l’equità e il benessere, attraverso programmi efficaci di protezione sociale”. 14 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
La stragrande maggioranza dell’opinione nazionale non riesce a capire perché si dovrebbero aumentare le tasse, imponendo pari passu misure recessive. Al contrario, tutti gli specialisti, tra cui ex ministri della Concertación, si sono pronunciati contro le riforme della Bachelet. In una recente sessione del Senato, diversi ex ministri hanno dimostrato come la riforma fiscale comporterà un forte calo del risparmio, con grave danno per le classi medie del Paese.
Il governo si difende affermando che il rallentamento della crescita economica previsto per il 2014 è dovuto a fattori internazionali. Tale spiegazione è smentita da altre economie del Continente, come il Perù e la Colombia, che hanno invece previsioni di forte crescita nello stesso periodo.
Show psicologico
L’associazione Acción Familia, consorella delle TFP, aveva previsto questa situazione in un volume pubblicato pochi mesi prima delle elezioni: «Quarant’anni dopo, una nuova minaccia socialista all’orizzonte» (Santiago 2013). La tesi centrale del libro è che le manifestazioni di piazza, a cui fa riferimento la politica del Governo, non sono altro che uno show che, sfruttando l’apatia dell’opinione pub-
blica, cerca di creare un clima psicologico adatto a introdurre il socialismo.
Dati statistici alla mano, il libro confuta l’idea che nel Paese vi siano disuguaglianze sproporzionate, e dimostra invece come la mobilità sociale e generazionale sia aumentata in modo significativo. Anzi, il Cile ha la più grande mobilità sociale del Continente.
Madonna del Carmine, patrona del Cile
Tutti i sondaggi, perfino quelli fatti da istituti legati alla sinistra, mostrano un indice di approvazione dell’attuale sistema economico, fondato sulla proprietà privata e il libero mercato, intorno al 60%, mentre la soddisfazione con la propria situazione vola all’80%. Il lettore si chiederà: come mai, di fronte a indici così elevati di soddisfazione, il Governo ha deciso di far saltare tutto in aria?
Crisi morale
La risposta ha due filoni. Da un lato, il crescente deterioramento delle virtù morali, che sostengono la famiglia e mitigano il desiderio dei beni materiali, ha provocato una bramosia consumista: si vuole tutto, subito e senza sforzo. Questa bramosia giunge a pretendere che lo Stato provveda a tutto ciò che il proprio lavoro non è capace di dare. Dall’altro lato, lo stesso deterioramento morale conduce al liberalismo, aprendo quindi la porta ad aberrazioni come le unioni omosessuali, l’aborto, l’ideologia di genere e via dicendo. Entrambe le mentalità stanno producendo una crescente apatia in relazione agli interessi generali del Paese, e un’eccessiva e pervasiva preoccupazione per i propri interessi immediati. Tutto ciò fa dimenticare, soprattutto ai giovani, l’incubo vissuto in Cile durante il governo comunista di Salvador Allende (1970-1973), il periodo più buio della storia del Cile, che lo portò a un passo dal diventare una seconda Cuba.
giunto il malessere lasciato in eredità dal presidente Piñera. Eletto con i voti del centro-destra, egli costituì invece un governo incerto e contraddittorio che, mentre indeboliva la destra, favoriva la sinistra.
Come accennato sopra, comincia a emergere una reazione di genitori che, preoccupati per la libertà accademica, stanno scendendo in piazza per protestare contro la riforma educativa. E anche i piccoli imprenditori si stanno organizzando per opporsi alla riforma fiscale. Ci auguriamo che queste reazioni possano presagire un inizio di risveglio dell’opinione pubblica nazionale. Il tempo dirà se questo risveglio crescerà fino a impedire che il Cile ricada nell’incubo socialista. Infatti, l’uomo è l’unico animale che casca due volte nello stesso buco… Chiudiamo con un appello alla Santissima Vergine del Carmine, la patrona e regina del Cile, che ha spesso dimostrato la sua potente e materna intercessione.
Questi fattori, forse, spiegano il perché la Bachelet abbia potuto valutare che i tempi siano maturi per tentare un brusco colpo di timone. A ciò va ag-
Una serpeggiante apatia nell’opinione pubblica fa dimenticare l’incubo vissuto in Cile durante il governo marxista di Salvador Allende TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 15
Attualità
Il disastro Allende
povertà aumentò di ben il 33%, arrivando così a ciò che l’economista Carlos Guerrero, dell’Università del Cile, definisce “collasso totale”.
T
re anni di governo marxista di Salvador Allende (1970-1973) furono sufficienti a deteriorare l’economia cilena tanto da dover stabilire il razionamento alimentare, come in tempi di guerra. Questo era gestito dalle JAP (Juntas de Abastecimiento y Precios), sorta di soviet di quartiere che fungevano anche da commissari politici. Bastava essere sospettato di opposizione al regime per vedersi negata la tarjeta (tessera), e quindi condannato alla fame. Nel periodo 1970-1973 il Pil cileno crollò da +8,0 a -4,3; l’inflazione aumentò dal 22,1% al 5.605,1% annuo; la variazione del reddito medio passò da +22,3 a -25,3 su base annua; il bilancio commerciale sprofondò da +114 a -112 milioni di dollari. Il numero dei cittadini sotto la soglia di
Anche la riforma agraria, fiore all’occhiello del governo Allende, fu varata per eliminare il latifondo, senza preoccuparsi degli indici di produttività. E, infatti, la produttività fu la vittima eccellente. Mentre il governo di Eduardo Frei (1964-1970) aveva mantenuto una crescita annuale del Pil agricolo pari al 2%, con Allende l’indice crollò al -4,6%, salvo poi risalire all’8,7% con Pinochet, che implementò politiche diametralmente opposte.
Ci fu l’esodo massiccio verso le città. Oggi, quarant’anni dopo, appena il 10% dei contadini beneficiati è rimasto nelle campagne. Il 90% ha dovuto emigrare per sopravvivere, ammassandosi nelle poblaciones. L’ideologo del governo Allende, Jacques Chonchol, dovette ammettere: “Dal punto di vista sociale [la riforma agraria] è stata una grande cosa. Dal punto di vista della produzione, non è stata un granché”. Sarebbe stato più onesto dire che fu un disastro.
In tre anni, Allende portò l’economia cilena al colasso
Sotto, una cola (fila) per ottenere qualche grammo di pane. A dx., una tarjeta delle JAP, specie di soviet di quartiere che controllavano la vita dei cittadini
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I falsi miti del Novecento
Nelson Mandela e le ombre del “post apartheid” in Sudafrica
di Giuseppe Brienza
La Rivoluzione avanza non solo a colpi di mitra, ma anche di miti, fabbricati dalla propaganda con tanta scaltrezza quanto poca attenzione per la verità storica. Un gruppo di giornalisti ha deciso di smascherare, uno alla volta, alcuni miti del Novecento. Ecco il primo volume della collana: «Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia tutta da scrivere» (D’Ettoris Editori 2013), con prefazione di Rino Cammilleri. L’opera è stata presentata recentemente nella sede della TFP a Roma. Nella foto, un cartello sanitario: “Conosci la tua situazione con l’AIDS”. Nei due decenni del periodo post-apartheid la Repubblica sudafricana è divenuta uno dei primi stati al mondo per povertà e criminalità diffusa, oltre che per numero di malati affetti dall’AIDS.
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 17
F
I falsi miti del Novecento ino agli anni Novanta, il Sudafrica produceva da solo un terzo del Pil africano. Non meno di sedici nazioni subsahariane dipendevano vitalmente dall’economia sudafricana. Nonostante il regime di apartheid – cioè lo sviluppo separato delle varie razze – il Sudafrica era terra di immigrazione. Milioni di neri preferivano l’apartheid alla violenza e alla povertà endemiche nelle loro terre. Oggi tutto ciò è cambiato.
Nonostante abbia a disposizione risorse sovrabbondanti, nei due decenni del periodo post-apartheid la Repubblica sudafricana è divenuta invece uno dei primi Stati al mondo per povertà e criminalità diffusa, oltre che per numero di malati di AIDS. Il Paese di Nelson Mandela detiene oggi il primo posto nella media statistica mondiale degli stupri. Come ha scritto Rino Cammilleri nella Prefazione dell’unico libro critico uscito sul “nuovo Sudafrica”, anche questo triste primato dimostra come, in effetti, la decolonizzazione è stata “solo l’inizio dei problemi dell’Africa lasciata a se stessa” (1). La propaganda mondiale ha celebrato Nelson Mandela fino all’inverosimile. Nel 1993 egli ricevette il premio Nobel per la pace. Alle sue esequie, nel dicembre 2013, erano presenti cento capi o excapi di Stato e di governo.
A Mandela è attribuito il merito storico di aver saputo pilotare il Sudafrica attraverso un’ardua fase di transizione. Tale merito, però, dovrebbe essere condiviso ex-aequo con Frederik de Klerk, il leader del “partito bianco” eletto nel 1989 sulla base di un programma di superamento della segregazione razziale che, nel febbraio 1990, liberò Mandela dal carcere mettendolo così in grado di riassumere la guida dell’African National Congress (ANC). Anche de Klerk ricevette, è vero, il premio Nobel per la pace insieme a Mandela, salvo poi essere archiviato nel dimenticatoio. Mentre il leader nero era osannato a livello planetario, il leader bianco trascorreva la sua vecchiaia in un miniappartamento di Johannesburg. Tanto per la giustizia.
La propaganda mondiale in favore di Mandela censura metodicamente qualsiasi aspetto che possa dare l’impressione di un “volto oscuro” del Paese costruito e lasciato in eredità dal leader nero e dal suo partito. Eppure questi aspetti abbondano: dalle implicazioni di Mandela con il comunismo alla sua difesa della violenza terrorista, dalle sue scelte abortiste alla sua difesa dell’ideologia omosessualista.
L’apartheid e la guerra fredda
Formalizzato nel 1948 e durato ufficialmente fino al 1991, l’apartheid (letteralmente “separazione”) è stato un regime moralmente discutibile. Ma la sua esatta coincidenza cronologica con la Guerra fredda deve essere presa in considerazione per capirne le reali origini e sviluppi. Durante questo mezzo secolo, come ha scritto giustamente un giornalista esperto di affari internazionali, Robi Ronza, il Sudafrica è stato “il grande sogno di conquista dell’Unione Sovietica” (2).
Per l’URSS, l’eventuale distacco del Sudafrica dall’Occidente sarebbe stato un successo epocale. È per tale motivo che, aggiunge il giornalista, quello che “di per sé sarebbe stato un confronto interno per il riequilibrio dei diritti e dei poteri tra la maggioranza nera e la minoranza bianca del Sudafrica, entrò invece nella macina di uno scontro strategico fra super-potenze con tutte le conseguenze che si sanno. E questo senza più la minima remora non appena l’African National Congress, lasciandosi alle Copertina del “The African Communist”, organo del Partito comunista del Sudafrica: ANC e SACP uniti per sempre
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spalle il programma di resistenza non-violenta propugnato dal suo primo grande leader Albert Luthuli, premio Nobel per la pace nel 1960, con Mandela scelse la via della lotta armata e cercò la protezione dell’Unione Sovietica” (3).
Mandela e il comunismo
Il problema razziale, che si sarebbe potuto risolvere in modo graduale e pacifico, era strumentale alla propaganda comunista. Nessuno dichiarava di voler imporre il comunismo, bensì di voler estirpare la discriminazione razziale. Eppure, i contatti di Mandela col comunismo erano ben noti. Egli stesso lo confermò in un’intervista precedente la sua elezione alla presidenza. Difendendo la “componente comunista” del suo partito, egli dichiarò che “i comunisti che aderiscono all’ANC sono all’avanguardia nella lotta per la creazione di un ordinamento pienamente democratico” (4). L’African National Congress (ANC) nacque nel 1912 per unificare le aspirazioni dei vari gruppi di razza nera con un ideale di tipo nazionalista cristiano. Già nel 1928, però, il Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista l’aveva arruolato come “organizzazione nazionalista di lotta rivoluzionaria” (5). Nel 1929, il Partito comunista sudafricano (SACP) iniziò il processo, culminato negli anni 1960, di assimilazione dell’ANC. Nel 1985, l’organo ufficiale dell’ANC dichiarava: “Le due rivoluzioni – del SACP e dell’ANC – sono unite come fratelli siamesi” (6).
Insieme al comunismo come ideologia, l’ANC adottò il terrorismo come tattica. Sotto l’egida di Nelson Mandela, il leader storico Albert Luthuli, avversario dei metodi violenti, fu estromesso dalla direzione. Nel 1960 fu creata un’organizzazione paramilitare chiamata Umkhonto we Sizwe (Lancia della Nazione), il cui primo capo fu proprio Mandela. Fu l’inizio degli anni di piombo, con attentati, bombe, rapine a mano armata ed esecuzioni sommarie col brutale metodo del “necklace” (collana): si metteva uno pneumatico pieno di benzina attorno al collo della vittima che era poi dato alle fiamme.
L’orribile “necklace” (collana), usato dall’ANC di Nelson Mandela per terrorizzare gli avversari, soprattutto i neri che non seguivano la sua linea. Nel periodo della violenza, le statistiche registrarono una media di 244 “necklacing” ogni mese Nel 1986 Winnie Mandela, moglie di Nelson (allora in prigione), dichiarò: “Con fiammiferi e collane libereremo questo paese!” *
È veramente ironico – a dir poco – che il fondatore di un’organizzazione terrorista sia stato decorato col premio Nobel per la pace…
Aborto, omosessualismo, gender
Nelson Mandela introdusse l’aborto nella legislazione sudafricana. Nella nuova Costituzione postapartheid, promulgata nel 1996, la parola “aborto”
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I falsi miti del Novecento
L’aumento vertiginoso dell’AIDS nel Sudafrica di Nelson Mandela. In rosso, i morti per AIDS Il leader nero ha introdotto l’aborto, il “matrimonio” omosessuale e l’ideologia gender
non compare. Il diritto all’interruzione di gravidanza è piuttosto introdotto sotto le mentite spoglie di “salute riproduttiva”, concetto che implica l’autodeterminazione nella procreazione e il diritto a godere e a controllare la propria vita sessuale e procreativa. L’art. 12 considera il “diritto” abortista come una esplicazione di quello alla libertà e alla sicurezza personale, stabilendo che a ciascun cittadino sia riconosciuto il “diritto alla propria integrità fisica e psicologica, che comprende anche il diritto di assumere liberamente decisioni riguardanti la riproduzione”.
L’introduzione del “matrimonio” omosessuale, poi, fa del Sudafrica il primo, e fino a ora l’unico, paese del Continente ad aver compiuto tale traumatico passo. Il capitolo 2 della Carta, nell’introdurre la “Bill of Rights” dei cittadini, contiene un’apposita sezione dedicata ai “diritti di parità”, nel cui ambito è garantita l’eguaglianza di tutti i cittadini davanti la legge e la libertà di ciascuno da qualsiasi discriminazione, comprese quelle basate sulle nozioni di “gender” e “orientamento sessuale”.
Le disposizioni sopra citate e il fatto inedito che una locuzione non tecnica (“gender”) compaia ben sedici volte nel testo costituzionale, hanno permesso a un’organizzazione omosessualista sudafricana di richiedere alla Corte Suprema di pronunciarsi sull’incostituzionalità delle norme, tutte risalenti al periodo dell’apartheid, che incriminavano gli atti omosessuali maschili, anche se compiuti tra adulti consenzienti.
La sentenza della Corte, del 9 ottobre 1998, statuisce che la legge vigente, che incrimina la condotta omosessuale, vada considerata come una discriminazione, ed è quindi, a tutti gli effetti, contraria al principio costituzionale di uguaglianza. Per il presidente della Corte Suprema Albert Louis Sachs, da 20 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
sempre vicino all’ANC e nominato giudice proprio da Mandela nel 1994, l’incriminazione degli atti di sodomia viola anche il divieto di illegittime interferenze con la privacy, previsto dall’art. 14 della Costituzione.
In seguito, la Corte Suprema si trova ad affrontare anche la questione dei benefici ai partner di coppie omosessuali. Dopo varie sentenze, nel 2005, in nome dei principi di uguaglianza e di dignità, la Corte dichiara incostituzionale la definizione di matrimonio che precluda l’accesso ai relativi status, diritti e doveri alle coppie omosessuali. Il 14 novembre 2006, con 230 voti a favore e soli 41 contrari e 3 astensioni, il Parlamento sudafricano, a stragrande maggioranza dell’ANC, approva una legge che consente il “matrimonio” tra persone dello stesso sesso. Essa definisce il patto coniugale come una semplice “unione volontaria tra due persone, resa solenne e registrata come matrimonio o come unione civile”. Comunismo, terrorismo, aborto, omosessualismo, gender… il vero Mandela è distante anni luce dal mito foggiato dalla propaganda.
Note_________________________________________________ 1. Rino Cammilleri, C’era una volta il Sudafrica, in G. Brienza, O. Ebrahime, R. Cavallo, Mandela, l’apartheid e il nuovo Sudafrica. Ombre e luci su una storia ancora da scrivere, D’Ettoris Editori, Crotone 2014, p. 7. 2. Robi Ronza, Mandela e la fine della Guerra Fredda, in “La Nuova Bussola Quotidiana”, 12 dicembre 2013. 3. Ibid. 4. Cit. in Gianni Perrelli, (intervista a cura di), Sud Africa/Parla Nelson Mandela. Adesso vi mandiamo in bianco, in “L’Espresso”, aprile 1993, p. 86. 5. “The South African Question”, Resolution of the Executive Committee of the Communist International, 1928, cit. in Keith Campbell, ANC: A Soviet Task Force, Institute for the study of Terrorism, London 1986, p. 19. 6. “SECHABA”, giugno 1985, p. 8. * David Beresford, Row over ‘mother of the nation’ Winnie Mandela, in “The Guardian”, London, 27 gennaio 1989.
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
Plinio Corrêa de Oliveira, un anticomunista?
Novembre 1970: Plinio Corrêa de Oliveira alla testa di un corteo dopo la Messa per le vittime del comunismo celebrata nel Duomo di San Paolo
A volte si sente dire che Plinio Corrêa de Oliveira sarebbe stato un anticomunista, nel senso riduttivo del termine, cioè solo un avversario del comunismo, trascurando aspetti più importanti, o più profondi, del processo rivoluzionario. È vero? Meglio aver risposta direttamente dalla bocca del noto pensatore cattolico: così trascriviamo alcuni brani di un’intervista da lui rilasciata, nel 1988, al mensile “Catolicismo”. Catolicismo: Quando cominciò a interessarsi agli Stati Uniti?
Plinio Corrêa de Oliveira: Come tutti, anch’io credevo che il cinema di Hollywood presentasse il ritratto fedele dell’America del Nord. Pensavo, cioè, che i nordamericani avessero costruito un paese di cui Hollywood era l’immagine. A poco a poco, però, attraverso le notizie che mi arrivavano dagli Stati Uniti e dai paesi che mantenevano con gli Stati Uniti relazioni più strette, cominciai a capire che anche in quella grande nazione c’erano nuclei di resistenza contro-rivoluzionaria molto forti. Nacque, quindi, il desiderio intenso di iniziare una serie di viaggi per prendere contatti. Oggi esiste la TFP nordamericana,
quella canadese e un Ufficio TFP in Costa Rica, grazie al quale è stato possibile stabilire interessanti contatti nei paesi dell’America Centrale.
Lei mai abbandonò l’idea di poter rianimare in Europa la reazione contro-rivoluzionaria?
Evidentemente no. Dopo il 1950, feci nuovi viaggi in Europa nel 1952, 1959 e 1962. Quest’ultimo durante la prima sessione del Concilio, occasione in cui la TFP brasiliana aprì un ufficio a Roma, che ci permise di prendere un grande numero di contatti e di avvicinare diversi movimenti. Questo fu facilitato dal fatto che la TFP cominciava ad avere una grande risonanza. A quell’epoca scrissi il libro «La libertà della Chiesa nello Stato Comunista», pubbliTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 21
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
“La cosa più pericolosa, a mio avviso, era il graduale scivolare del mondo occidentale verso il comunismo e oltre, attraverso forme di essere, di vivere e di pensare sempre più rivoluzionarie”
cato, a Roma, da “Il Tempo” e diffuso ampiamente tra i Padri Conciliari e i giornalisti presenti nella Città Eterna. Lei come affrontava negli anni Cinquanta il pericolo comunista?
Prima di risponderle, mi permetta di raccontare un ricordo personale che la aiuterà a calarsi nel clima che si viveva allora in Europa. In quel periodo c’era una grande paura che, da un momento all’altro, la Russia potesse invadere la Germania, e quindi l’Europa. In un’occasione fui ospite, nel castello di Berg, del principe Alberto di Baviera, capo della Casa reale di Wittelsbach. La sera, la sua sposa, la principessa Maria, e sua suocera ebbero la gentilezza di accompagnarmi fino alla mia stanza. Nel congedarsi per la notte, la Principessa mi disse: “Vede questa piccola scala? Se durante la notte Lei sente rumori, sappia che sono i comunisti che stanno arrivando. Deve scendere di corsa per quella scala e saltare su quel camion parcheggiato fuori, che ci porterà in Svizzera”. Questo la dice lunga sull’aria che tirava in Europa a quell’epoca.
I giovani di oggi non hanno la minima idea di quanto i paesi europei fossero depressi in quel periodo, a causa della guerra. Vivevano ancora sotto il segno della tragedia e stentavano a riprendersi. Mi ricordo di aver visto nella piazza centrale di Colonia greggi di capre pascolare in mezzo alle rovine. Ogni tanto, alcuni pastori le richiamavano suonando un corno. Questo capitava in una città con il prestigio e 22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
la cultura di Colonia! In tali circostanze, che in maggiore o minore misura si ripetevano per tutta Europa, non si poteva sperare a breve in una forte reazione anticomunista.
Fu allora che, dagli Stati Uniti, cominciò a soffiare sul mondo una forma nuova di anticomunismo: il maccartismo [dal nome del senatore Joseph McCarthy, ndr]. Era un anticomunismo che poneva l’accento molto meno sul dibattito ideologico che sull’orrore causato dalla repressione poliziesca, dalla miseria e dal totalitarismo dei regimi comunisti. Il maccartismo non accettava, ovviamente, l’ideologia comunista, ma il suo cavallo di battaglia non erano tanto le dottrine quanto il sentimento d’orrore. Era, per così dire, un anticomunismo umanitario. Molti lettori vorrebbero, senza dubbio, che Lei approfondisse il suo pensiero sul maccartismo e spiegasse la sua posizione di fronte alla minaccia comunista.
Ringrazio per la domanda, che mi dà l’opportunità di chiarire un punto sul quale si è fatta non poca confusione. Per la maggior parte dei maccartisti, sbarrata la strada al comunismo, la civiltà moderna sarebbe proseguita indefinitamente per le vie del liberalismo capitalista. Non prendevano minimamente in considerazione che il mondo occidentale fosse vittima di un processo rivoluzionario che lo avrebbe portato, alla lunga, di nuovo al comunismo e perfino oltre. Per tali maccartisti, liberato dal comunismo, l’Occidente avrebbe dovuto progredire ab infinito
“Insisto su questa idea-chiave: il comunismo era incubato nello stesso pensiero liberale. Da questa visione deriva il grande impegno delle TFP di combattere i sintomi di corruzione e di mettere in guardia l’opinione pubblica. Non tutti si rendono conto che queste tendenze conducono al comunismo”
sulle vie del capitalismo. Questo era, anzi, ciò che la maggior parte dei nordamericani sperava allora per il proprio paese.
D’altronde, molti maccartisti credevano che fosse astuto e politicamente efficace distinguere tra comunismo e socialismo, salvo poi stabilire con quest’ultimo un regime di comprensione e di simpatia in chiave anticomunista. Secondo costoro, il socialismo poteva diventare una forza ausiliare nella lotta contro il comunismo. Vinto il comunismo con l’appoggio dei socialisti, era tutto risolto! Ecco la loro strategia.
Su questo punto il mio pensiero è diametralmente opposto. Per prima cosa, il comunismo non era l’unico male che si doveva combattere. Anche il socialismo, per non parlare del liberalismo, erano mali da affrontare. In secondo luogo, a mio parere il pericolo principale non era l’eventualità di una guerra, convenzionale o atomica, per imporre il comunismo. La cosa più pericolosa, a mio avviso, era il graduale scivolare del mondo occidentale verso il comunismo e oltre, attraverso forme di essere, di vivere e di pensare sempre più rivoluzionarie. La graduale radicalizzazione delle tendenze rivoluzionarie in Occidente era, senza dubbio, il male principale che andava combattuto. Nel mio libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» affermo che, anche se un cataclisma portasse via l’Unione Sovietica, basterebbero cinquant’anni perché il comunismo rinasca dalla stessa civiltà occidentale, minata da tanti fattori di disgregazione.
Il maccartismo era un movimento molto coeso e possedeva una macchina propagandistica di tutto rispetto. Si poteva concepire come un alleato naturale nella lotta anticomunista poiché, creando orrore nei confronti del comunismo, provocava un certo ripiegamento degli stessi socialisti, dividendo quindi la sinistra. Alla fine, però, sia i liberali sia i socialisti erano compagni di viaggio del comunismo, a volte inconsapevoli, ma pur sempre compagni, come lo erano stati i seguaci della Rivoluzione francese.
È risaputo che, nelle sue fasi finali, la rivoluzione del 1789 ebbe sviluppi comunisti. Mi riferisco a François Babeuf e alla Cospirazione degli uguali, del 1796. Insisto in questa idea-chiave: il comunismo era incubato nello stesso pensiero liberale e democratico. Da questa visione deriva il grande impegno delle TFP di combattere i sintomi di corruzione e di mettere in guardia l’opinione pubblica. Non tutti si rendono conto che queste tendenze conducono al comunismo. Sin dai suoi primi passi, dunque, Lei non è mai stato esclusivamente un anticomunista.
Ovviamente no. La lotta della Contro-Rivoluzione non è mai stata esclusivamente anticomunista. Essa ha come obiettivo quello di denunciare tendenze ed idee che, sulla china del processo rivoluzionario, portano gradualmente al comunismo e vanno pure oltre, verso ciò che in «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione» chiamo la quarta Rivoluzione. E questo non solo perché tali tendenze e idee portano TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 23
Il pensiero di Plinio Corrêa de Oliveira
“Il comunismo non era l’unico male che si doveva combattere. Anche il socialismo, per non parlare del liberalismo, erano mali da affrontare. Anche se un cataclisma portasse via l’Unione Sovietica, basterebbero cinquant’anni perché il comunismo rinasca dalla stessa civiltà occidentale, minata da tanti fattori di disgregazione”
al comunismo, ma perché sono intrinsecamente cattive. In campo spirituale, la nostra lotta ha il fine di mostrare la contraddizione del progressismo con la dottrina cattolica. Sono sicuro che, agendo in questo modo, aiutiamo numerosi cattolici a rifiutare l’abbraccio mortale dei progressisti e dei socialisti che, nella stessa Chiesa, si adoperano per indebolire le barriere dottrinali che separano i fedeli dal comunismo.
Per questo, già nel 1943, quando scrissi «In Difesa dell’Azione Cattolica», avevo la certezza che stavo creando ostacoli alla penetrazione, esplicita e implicita, del comunismo negli ambienti cattolici. Tutta la mia lotta può essere vista sotto questa luce. È necessario ricordare, per esempio, che la mia opposizione al nazismo e al fascismo si doveva al fatto
che vedevo in essi una forma falsa di anticomunismo. Se avessero vinto loro la guerra, sono convinto che avrebbero attuato politiche di stampo socialista che avrebbero aperto di nuovo la porta al comunismo. Le TFP sono una forza anticomunista, ma di un anticomunismo speciale, giacché tengono in considerazione che l’avanzata del comunismo non si realizza soltanto con l’appoggio dei marxisti dichiarati, ma anche con quello di tutta la coorte di innocenti utili e di compagni di viaggio di vario tipo. Innocenti utili?
È così che si dice in Brasile. Nel mondo ispanico dicono “idioti utili”. Confesso la mia preferenza per quest’ultima formula. Adottando posizioni ideologiche che tendono al comunismo, questi idioti utili collaborano, in definitiva, alla sua vittoria. Perciò la nostra opposizione al comunismo non è diretta solamente contro il comunismo radicale, ma anche contro gli idioti utili e i compagni di viaggio di vario tipo che lo favoriscono.
L’ambasciatore del Vietnam del Sud tiene una conferenza nella sede della TFP brasiliana a San Paolo, nel 1972 24 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Accademia estiva 2014
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al 22 al 27 luglio u.s. si è tenuta la VIII Accademia Estiva delle TFP europee. Organizzata dalla Fondazione Piotr Skarga (TFP polacca), l’evento ha avuto luogo nel castello di Niepolomice, a 20 km da Cracovia. Vi hanno partecipato quasi duecento giovani provenienti da 21 paesi, compresa l’Italia.
Ha presieduto l’Accademia S.E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, Kazakhstan, nonché presidente della Conferenza Episcopale dell’Asia Centrale. Presenti anche altri sacerdoti, tra cui don Andrea de Paola, cappellano della Marina militare in Sicilia.
tenario di morte è stato commemorato proprio quest’anno, lo scorso 20 agosto. Al grande Pontefice è stata dedicata la relazione centrale di mons. Schneider, che lo ha definito Catholicus et apostolicus fidei cultor egregius – grande difensore della Fede cattolica e apostolica. S. Pio X, ha affermato il prelato, “si staglia quasi come un Padre della Chiesa redivivo, nello spirito di un sant’Atanasio o di un sant’Ilario”.
Alle conferenze sono seguiti circoli di studio per approfondire i temi trattati. Non sono mancate le consuete visite culturali. Un intero pomeriggio è volato allo Stare Miasto (centro storico di Cracovia):
Per speciale grazia, i partecipanti hanno potuto contare sulla presenza della statua pellegrina internazionale della Madonna di Fatima, che nel 1972 pianse a New Orleans. Vera Regina e Signora dell’Accademia, la Madonna è stata onorata con una veglia di preghiere ininterrotta durante tutto il tempo che ha trascorso in Polonia, dove ha visitato anche alcune chiese.
Il tema svolto quest’anno, “Restaurare la civiltà cristiana. Una crociata per il secolo XXI”, è stato tratto dal lemma di s. Pio X, il cui cen-
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Accademia Estiva 2014 A sin., dopo la cena di commiato, S.A. il Duca Paul von Oldenburg chiude l’Accademia estiva
palazzo e cattedrale del Wawell, basilica della Madonna (Mariatska), le varie chiese storiche e l’Università Jagellonska. Dopodiché partenza per il castello di Korzkiew, dove gli intervenuti hanno anche assistito ad un concerto di musica di camera seguito da una cena tipica, innaffiata con un vino speciale prodotto dall’Ordine di Malta in Toscana. L’ultimo giorno, dopo la Santa Messa solenne nella chiesa parrocchiale di Niepolomice, si è tenuta
A dx., cornamusieri delle TFP americana, scozzese e irlandese alliettano la cena di commiato Nei tondi, i rappresentanti dell’Olanda e della Finlandia
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la cena conclusiva. I partecipanti hanno ricevuto un diploma commemorativo e una statuetta della Madonna come ricordo. Ha chiuso l’Accademia S.A. il Duca Paul Vladimir von Oldenburg, della TFP tedesca, che ha rivolto ai giovani un appello per un impegno sempre più fervido in difesa del valori della civiltà cristiana, sulla scia di Plinio Corrêa de Oliveira: “L’avventura più bella del mondo è la nostra, la crociata del secolo XXI!”.
Centenario di S. Pio X
S. Pio X, il Grande
S. E. Mons. Athanasius Schneider
Il 10 agosto 1914 moriva a Roma Papa s. Pio X, giunto al Soglio Pontificio undici anni prima. Di lui si ricordano la ferma opposizione al Modernismo (“sintesi di tutte le eresie”) e al nascente cattolicesimo democratico, ma anche l’ingente lavoro di restaurazione spirituale: dalla comunione ai bambini alla riforma liturgica alla disciplina nei seminari. Nel celebrare il centenario di questo grande Pontefice, trascriviamo alcuni brani dell’intervento di S. E. Mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, capitale del Kazakhstan, nell’Accademia Estiva delle TFP in Polonia. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 27
Centenario di S. Pio X come “diritti umani” e “libertà”, invitando la Sposa di Cristo a “riconciliarsi” col mondo moderno.
S. Pio X fu un vero dono della Provvidenza. La sua figura paradigmatica si è ingigantita man mano che la crisi da lui denunciata si è aggravata. Con la Fede e il fuoco ardente di un autentico apostolo di Cristo, egli si staglia quasi come un Padre della Chiesa redivivo, nello spirito di un sant’Atanasio o di un sant’Ilario. S. Pio X resistette con fermezza all’ipocrita proposta di una riconciliazione della Chiesa con lo spirito del mondo moderno neopagano. Ci furono persone, perfino all’interno della Chiesa, che lo criticarono per essersi “chiuso” al mondo moderno. Niente di più sbagliato! Al contrario, Pio X fu sempre aperto, anzi spalancato, all’unica vera luce: quella di Cristo, che deve illuminare sia la Chiesa sia il mondo. In questo senso, egli si rivelò non solo un esimio pastore della Chiesa, ma anche un benefattore dell’umanità, un apostolo moderno e fecondo.
I frutti del suo lavoro sono oggi gravemente compromessi dalla crisi post-conciliare che divampa ormai da cinquant’anni. Io ritengo, però, che il S. E. Mons. Athanasius Schneider suo motto “Instaurare omnia in Christo” (Ef. 1, 10) si stia cominciando a realizzare grazie ad iniziative per lo più laiche, apa s. Pio X, il cui centenario di morte si cioè non appartenenti alle strutture ecclesiastiche, celebra quest’anno, fu una grande luce per la Chiesa e per l’umanità allo scoc- come, appunto, le associazioni Tradizione Famiglia care del secolo XX. Questa luce si proietta fino ai Proprietà. giorni nostri, come un faro in mezzo alle tenebre dell’epoca moderna.
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Dalla Rivoluzione francese, quella grande ribellione “contro il Signore e contro il suo Messia” (Sal. 2,2), l’apostasia da Cristo e dalla Sua Verità si è aggravata continuamente nella società civile. Oggi ne osserviamo le terribili conseguenze: la distruzione materiale, morale e spirituale della vita umana. La società civile crolla quando si sostituisce a Cristo l’uomo, facendo di costui l’arbitro della verità e l’oggetto di tutte le attenzioni. La malattia dei tempi moderni è l’antropocentrismo, che sfocia nella più terribile delle dittature: quella del relativismo. Ciò, rappresenta una forma di idolatria, un neopaganesimo. Purtroppo, questi mali hanno penetrato gradualmente anche la Chiesa, usando termini seduttori
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Semper idem
Molte persone si domandano se Giuseppe Sarto, il futuro Pio X, avesse questa mentalità già da giovane. I documenti mostrano chiaramente che, sin dai primi giorni della vita sacerdotale, egli è rimasto sempre fedele ai propri ideali. Nel Sinodo diocesano, convocato nel 1898 come Patriarca di Venezia, egli disse di sé: “Io sono da sempre quello stesso. Semper idem” (1).
Per Pio X la verità era identica alla persona di Cristo. Di conseguenza, egli non ammetteva nessun compromesso in cui la verità fosse sottaciuta, mascherata o relativizzata. Riteneva ogni compromesso un tradimento alla persona di Cristo, giacché non si
“S. Pio X fu un vero dono della Provvidenza. La sua figura paradigmatica si è ingigantita man mano che la crisi da lui denunciata si è aggravata. Con la Fede e il fuoco ardente di un autentico apostolo di Cristo, egli si staglia quasi come un Padre della Chiesa redivivo, nello spirito di un sant’Atanasio o di un sant’Ilario” Nella foto, il cardinale Giuseppe Sarto, patriarca di Venezia, in visita pastorale nelle zone rurali della diocesi
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Centenario di S. Pio X
“State in guardia, e allontanatevi da quelli che in qualunque modo vorrebbero arrogarsi la missione di consigliare, di decidere sulle concessioni che dovrebbe fare la Chiesa ai pretesi bisogni dei nuovi tempi”
raggio e fierezza.
può amare Nostro Signore Gesù Cristo solo a metà o soltanto un po’. Cristo, cioè tutta la verità da Lui rivelata, deve dominare pienamente in ogni fedele, nella vita ecclesiastica e in quella civile. Ecco la chiave per capire il lavoro pastorale e dottrinale di Pio X, portato avanti con co-
Nella sua prima Lettera pastorale come vescovo di Mantova, del 18 marzo 1885, egli traccia un programma pastorale: “Veggono questi tempi degli uomini protervi intimar guerra al cielo medesimo, impugnare i misteri, negare i miracoli, assalire con nuova impudenza Iddio nello stesso suo trono. (...) Ma verrà meno allora il mio coraggio? (…) Sia pur dunque tremenda la dignità dell’ufficio vescovile; sia gravissimo quel peso formidabile agli stessi omeri angelici; siano innanzi agli occhi queste stesse verità: che i vescovi devono essere Angeli, non solo per vita esemplare e per santità di costumi, ma eziandio per una certa abbondanza di lumi superni. (…) Non mi spaventerà mai la difficilissima impresa, messa di fronte alle mie troppo deboli forze, perché quanto più sarà malagevole e tanto più mi sosterrà la cristiana speranza col rappresentarmi Dio stesso, che ora colle parole dirette un tempo a Gedeone mi dirà: Io sarò teco, or come ad Abramo mi ripeterà: Non temere; io sono il tuo protettore e tua ricompensa grande oltremodo” (2).
Il lemma “Instaurare omnia in Christo” fu la stella polare che orientò l’opera di Giuseppe Sarto. Secondo lui, il progresso spirituale e la pace nella 30 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Chiesa sono assicurati solo quando si pone al primo posto Cristo e la Fede cattolica immutabile, ricevuta dalla Tradizione della Chiesa. In occasione della prima visita pastorale alla Diocesi di Mantova, egli scrisse ai sacerdoti. “Desidero di vedervi per risvegliare in voi le massime sublimi della fede; verrò a voi per ricordarvi che Gesù Cristo, autore e consumatore della nostra fede, quale fu ieri, tale è oggi, e il medesimo sarà sempre per tutti i secoli” (3).
Il male dell’epoca moderna consiste nell’escludere Cristo dalla vita delle nazioni. Questo processo cominciò a infiltrarsi negli ambienti della Chiesa già alla fine del secolo XIX. Nella Lettera Pastorale di Quaresima nel 1887, il giovane vescovo Giuseppe Sarto presentò un’analisi chiara degli errori moderni, quasi un piccolo Syllabus, un anticipo dell’enciclica Pascendi: “Molti cristiani, che appena superficialmente conoscono la scienza della religione, e meno la praticano, pretendono di erigersi a maestri, dichiarando che la Chiesa deve ormai adattarsi alle esigenze dei tempi, che è affatto impossibile mantenere la primiera integrità delle sue leggi; che gli uomini più saggi e più pratici saranno d’ora innanzi i più condiscendenti: quelli, vale a dire, che sapranno sacrificare qualcosa dell’antico deposito per salvare il resto. In questo moderno cristianesimo, dimenticata l’antica follia della croce, i dogmi della fede devono modestamente adattarsi alle esigenze della nuova filosofia. Il diritto pubblico delle età cristiane deve presentarsi timoroso davanti ai grandi principi dell’era moderna, e se pur non disapprova la sua origine e il suo passato, deve confessare almeno la legittimità della sua sconfitta innanzi al suo vincitore.
“La morale evangelica troppo severa deve presentarsi a delle compiacenze, a degli accomodamenti; e finalmente la disciplina dovrà ritirare tutte le sue prescrizioni, moleste alla natura, per dar mano essa stessa al felice progresso della legge di libertà e di amore. E tali sono le massime che si vanno divulgando non già dai suoi nemici aperti e dichiarati, ma da quegli stessi che si dicono figli della Chiesa. (…) Teniamo ferma questa verità, che la Chiesa è divina, e noi vedremo che questo modo di
giudicare e d’agire è non solo vile e sleale, ma impertinente e peccaminoso. (...)
“State in guardia, e allontanatevi da quelli che in qualunque modo vorrebbero arrogarsi la missione di consigliare, di decidere sulle concessioni che dovrebbe fare la Chiesa ai pretesi bisogni dei nuovi tempi” (4).
Sulla scia dei Padri della Chiesa, per Pio X la difesa della verità mai sarà in contrasto con l’amore dovuto alle anime. Sarà sempre una difesa fatta con misura e con pazienza. Nella sua prima enciclica E supremi, del 1903, egli scrisse: “Nulla è più efficace della carità. Infatti ‘il Signore non si trova in una emozione’ Invano si spera di attrarre le anime a Dio con uno zelo troppo aspro; ché anzi rinfacciare troppo severamente gli errori, biasimare con troppa foga i vizi, procura spesso più danno che utile. L’Apostolo pertanto rivolgeva a Timoteo questo monito:‘Ammonisci, rimprovera, esorta’, ma tuttavia aggiungeva: ‘con molta pazienza’” (n° 13).
Consumato pastore, nella stessa enciclica egli traccia un quadro molto realista dello stato spirituale dei tempi moderni. Il modo più efficace per contrastare i mali del tempo, secondo lui, era il ritorno alla persona di Cristo e alla Sua verità: “Noi abbiamo un solo proposito: rinnovare tutte le cose in Cristo, affinché sia tutto e in tutti Cristo” (n° 4).
invero, con un atteggiamento che secondo lo stesso Apostolo è proprio dell’“Anticristo”, l’uomo, con inaudita temerità, prese il posto di Dio, elevandosi “al di sopra di tutto ciò che porta il nome di Dio”; fino al punto che, pur non potendo estinguere completamente in sé la nozione di Dio, rifiuta tuttavia la Sua maestà, e dedica a se stesso, come un tempio, questo mondo visibile e si offre all’adorazione degli altri” (n° 5).
S. Pio X riteneva che, di fronte a un tale quadro critico, la missione della Chiesa fosse quella di “ricondurre gli uomini all’obbedienza a Dio” (n° 8). Nel compiere tale missione, la Chiesa non deve silenziare le divine verità, bensì proclamare in modo chiaro e senza titubanze che i diritti di Dio vanno rispettati: “È necessario che con ogni mezzo e con ogni azione estirpiamo del tutto quell’immane e detestabile crimine (tipico di questa età) per cui l’uomo si è sostituito a Dio; perciò dobbiamo ricondurre all’antica dignità le santissime leggi e gli insegnamenti del Vangelo; dobbiamo proclamare a gran voce le verità tramandate dalla Chiesa, tutti i suoi documenti sulla
Il vero male dei tempi moderni consiste nella mancanza di riverenza a Dio e alla Sua volontà: “Chi considera ciò, deve pur temere che questa perversione degli animi sia una specie di assaggio e quasi un anticipo dei mali che sono previsti per la fine dei tempi; e che “il figlio della perdizione”, di cui parla l’Apostolo, non calchi già queste terre. Con somma audacia, con tanto furore è ovunque aggredita la pietà religiosa, sono contestati i dogmi della fede rivelata, si tenta ostinatamente di sopprimere e cancellare ogni rapporto che intercorre tra l’uomo e Dio! E
“A voi spetta, venerabili fratelli, che la divina provvidenza ha costituito pastori e guide del popolo cristiano, il resistere contro questa funestissima tendenza della moderna società di addormentarsi in una vergognosa inerzia” TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 31
Centenario di S. Pio X
La “sintesi di tutte le eresie”
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ià nella sua prima enciclica, E supremi apostolatus, s. Pio X metteva in guardia contro “le insidie di una certa nuova scienza e fallace, che in Cristo non s’insapora, e che con larvati e subdoli argomenti si studia di dar passo agli errori del razionalismo e semi-razionalismo”. Due mesi dopo, il Sant’Uffizio metteva all’Indice diversi libri, innescando una catena di misure che colpiranno tutti i modernisti. Nell’allocuzione concistoriale del 17 aprile 1907, il Papa ammonì duramente i modernisti, denunciando “questo assalto che costituisce non solo un’eresia, ma la sintesi, l’essenza velenosa di tutte le eresie”. Il 3 luglio il Sant’Uffizio pubblicò il decreto Lamentabili, contenente un sillabo di proposizioni moderniste condannate. Infine, l’8 settembre, s. Pio X pubblicò l’enciclica Pascendi dominici gregis, condannando formalmente l’eresia modernista. Dopo aver definito il Modernismo “la sintesi di tutte le eresie”, il Papa fustigava i suoi seguaci come “nemici della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista”. Parlando di “somma audacia nel criticare la Chiesa”, il Papa si lamentava: “Non sono esse un parlar temerario solamente d’increduli. Sono uomini cattolici, sono anzi sacerdoti non pochi che così la discorrono pubblicamente, e con siffatti delirii si dànno vanto di riformare la Chiesa”.
S. Pio X censurò ancora il Modernismo nell’allocuzione concistoriale del 16 dicembre, nella quale accusava i suoi seguaci di aver “rinunciato al giuramento di fedeltà fatto nel battesimo”, e ancora una volta nel motu proprio Sacrorum Antistitum, del 1910, con il quale istituiva il giuramento antimodernista. (Foto, quattro modernisti italiani. Da sopra: Ernesto Buonaiuti, Romolo Murri, Giovanni Semeria, Antonio Fogazzaro)
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santità del matrimonio, sull’educazione e l’istruzione dei fanciulli, sul possesso e sull’uso dei beni, sui doveri dei pubblici amministratori; occorre ristabilire infine un certo equilibrio tra le varie classi sociali secondo le leggi e le istituzioni cristiane” (n° 9).
La guerra interna nella Chiesa
Il cosiddetto Modernismo fu brillantemente analizzato e solennemente condannato da Papa Sarto nell’enciclica Pascendi, del 1907. Il Modernismo è un tradimento a Cristo. Secondo il Pontefice, era in corso una guerra civile all’interno della Chiesa, che ne minacciava le stesse fondamenta. Nell’enciclica Communium rerum, egli così descrisse tale guerra: “Con non minore severità e dolore abbiamo dovuto denunziare e reprimere un altro genere di guerra, intestina bensì e domestica, ma quanto meno palese ai più, tanto maggiormente pericolosa. Mossa da figli snaturati, che si annidano nel seno stesso della Chiesa per lacerarlo silenziosamente; questa guerra mira più direttamente alla radice, all’anima della Chiesa: mira ad intorbidare le sorgenti tutte della pietà e della vita cristiana, ad avvelenare le fonti della dottrina, a disperderne il deposito sacro della fede, a sconvolgere i fondamenti della costituzione divina: volta in dileggio ogni autorità così dei romani pontefici come dei vescovi a dare nuova forma alla Chiesa, nuove leggi, nuovi diritti, secondo i placiti di mostruosi sistemi; insomma volta tutta a deformare la bellezza della sposa di Cristo, per il vano bagliore di una nuova cultura, che è scienza di falso nome, da cui l’apostolo ci mette in guardia ripetutamente. Badate che nessuno vi raggiri per mezzo di una filosofia vuota e ingannatrice, secondo la tradizione degli uomini, secondo i principi del mondo e non secondo Cristo” (n° 15).
La missione dei vescovi
Secondo s. Pio X, la grande tentazione dei vescovi nei tempi moderni è la svogliatezza, la neutralità e lo spirito di compromesso con la società moderna. Tale atteggiamento vescovile non è espressione di amore pastorale e paterno, perché mette a rischio i diritti di Cristo e la Sua Verità. Nella stessa enciclica, il Santo Pontefice avvertiva: “A voi spetta dunque, venerabili fratelli, che la divina provvidenza ha costituito pastori e guide del popolo cristiano, a voi spetta il resistere fortissimamente contro questa funestissima tendenza della moderna società di addormentarsi in una vergognosa inerzia,
tra l’imperversare della guerra contro la religione, cercando una vile neutralità, fatta di deboli ripieghi e di compromessi, tutto a danno del giusto e dell’onesto, immemore del detto chiaro di Cristo: Chi non è con me, è contro di me” (n° 31).
Egli rivolse un simile richiamo ai laici. Quanto più aumentano gli errori e la corruzione morale nella società moderna, tanto più i cattolici devono essere coraggiosi nel confessare la Fede: “Coraggio, dunque, amati figli! Quanto più la Chiesa sarà attaccata da tutte le parti, quanto più i principi dell’errore e della perversione morale contamineranno l’aria con il loro soffio velenoso, tanto più saranno i vostri meriti dinanzi Dio se non fare ogni sforzo per evitare la contaminazione, non lasciandovi sviare dalle vie della Chiesa” (Allocuzione, del 23-02-1913).
S. Pio X fu un eminente difensore della Fede cattolica – catholicae et apostolicae fidei cultor egregius – rivelandosi come un modello per i vescovi e per i laici dei nostri giorni. Dopo aver consacrato a San Pietro quattordici vescovi francesi, pronti a rientrare in patria dove li aspettavano situazioni politiche e pastorali assai delicate, il Santo Pontefice li ricevette in udienza privata nella sua biblioteca, rivolgendo loro queste parole: “1. Uniformatevi allo spirito di Gesù Cristo, a prescindere da ogni affetto umano;
“2. Ricordatevi che siamo nati alla guerra: Non sono venuto a portare la pace bensì la guerra; “3. Tenete conto, nel vostro giudizio, lo spirito dei veri cattolici del vostro Paese; “4. Siete stati chiamati a salvaguardare i principi assoluti della giustizia e a difendere i diritti della Chiesa, che sono i diritti di Dio; “5. Dovete tener sempre presente non solo il giudizio di Dio, ma anche quello del mondo che vi guarda, se mai veniste meno alla vostra dignità e ai doveri che essa impone” (5).
Alla luce di quanto detto sopra si comprende meglio la portata del lemma di Papa Sarto, Omnia instaurare in Christo, cioè ricondurre l’umanità a Cristo. Questo principio animò tutta la sua vita sacerdotale, episcopale e pontificia, facendone un vero gigante della Fede. Nell’allocuzione in occasione della beatificazione di Papa Sarto, Pio XII disse:
“Col suo sguardo d’aquila più perspicace e più sicuro che la veduta corta di miopi ragionatori, vedeva il mondo qual era, vedeva la missione della Chiesa nel mondo, vedeva con occhi di santo Pastore quale ne fosse il dovere in seno ad una società scristianata, ad una cristianità contaminata o almeno insidiata dagli errori del tempo e dalla perversione del secolo.
“Per natura, nessuno più dolce, più amabile di lui, nessuno più amico della pace, nessuno più paTRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 33
Centenario di S. Pio X
“L’umile «curato di campagna», come talvolta si è voluto chiamare - e non a sua menomazione - di fronte agli attentati contro i diritti imprescindibili della umana libertà e dignità, contro i sacri diritti di Dio e della Chiesa, sapeva ergersi gigante in tutta la maestà della sua autorità sovrana. Allora il suo «non possumus» faceva tremare e talvolta indietreggiare i potenti della terra, rassicurando al tempo stesso gli esitanti e galvanizzando i timidi” Pio XII, Allocuzione in occasione della beatificazione di s. Pio X
terno. Ma quando in lui parlava la voce della sua coscienza pastorale, non contava che il sentimento del dovere; questo imponeva silenzio a tutte le considerazioni della umana debolezza; tagliava corto a tutte le tergiversazioni; decretava i provvedimenti più energici, anche se penosi al suo cuore. (…)
“L’umile «curato di campagna», come talvolta si è voluto chiamare - e non a sua menomazione - di fronte agli attentati contro i diritti imprescindibili della umana libertà e dignità, contro i sacri diritti di Dio e della Chiesa, sapeva ergersi gigante in tutta la maestà della sua autorità sovrana. Allora il suo «non possumus» faceva tremare e talvolta indietreggiare i potenti della terra, rassicurando al tempo stesso gli esitanti e galvanizzando i timidi. (…)
“Per la sua Persona e per l’opera di lui Dio volle apprestare la Chiesa ai nuovi e ardui doveri che i futuri tempi turbinosi le riserbavano. Preparare tempestivamente una Chiesa concorde nella dottrina, salda nella disciplina, efficiente nei suoi Pastori; un laicato generoso, un popolo istruito; una gioventù santificata fin dai primi anni; una coscienza cristiana solerte per i problemi della vita sociale. Se oggi la Chiesa di Dio, lungi dal retrocedere di fronte 34 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
alle forze distruggitrici dei valori spirituali, soffre, combatte e per divina virtù avanza e redime, si deve in gran parte all’azione lungimirante e alla santità di Pio X. Oggi appare manifesto come tutto il suo Pontificato fu supernamente diretto secondo un disegno di amore e di redenzione, per disporre gli animi ad affrontare le nostre stesse lotte e per assicurare le nostre e le venture vittorie”. Nel suo ministero sacerdotale, episcopale e pontificio, S. Pio X raggiunse la statura spirituale di un Padre della Chiesa, alla stregua di un S. Atanasio, di un S. Ilario e di un S. Ambrogio. Per la sua coraggiosa difesa della centralità di Cristo e della Sua Verità, di fronte a un mondo sempre più ostile alla Chiesa, Pio X occupa un posto luminoso nella schiera dei grandi confessori e papi che hanno costellato duemila anni di storia della Santa Chiesa. S. Pio X merita, senza dubbio, il nome di “Grande”.
1. Gianpaolo Romanato, Pio X. Alle origini del cattolicesimo contemporaneo, Lindau, Torino 2014, p. 343. 2. Ibid., pp. 246-248. 3. Ibid., p. 266. 4. Ibid., pp. 275-276. 5. Cit in Rafael Merry del Val, San Pio X, un santo che ho conosciuto da vicino, Fede & Cultura, Verona 2012, p. 29.
Un esempio di fermezza pastorale: lo scioglimento dell’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici
di Julio Loredo
Il 28 luglio 1904, s. Pio X sciolse l’Opera dei Congressi e dei Comitati cattolici. Rimase aperto solo il Gruppo di studio per l’azione popolare e sociale facente capo al conte Stanislao Medolago Albani, di Bergamo, grande amico a collaboratore del santo Pontefice
S
an Pio X è universalmente ricordato come colui che condannò il Modernismo teologico, “istigatore di gran parte della contestazione religiosa che oggi esplode in seno alla Chiesa”, come ben ricordava nel 1972 il teologo domenicano francese Albert-Marie Besnard.
Altrettanto importante, e da un certo punto di vista forse ancor di più, fu la sua condanna del nascente cattolicesimo democratico. Per quanto fosse rilevante a livello teologico, il Modernismo restò sempre un fenomeno di élite intellettuali, con scarsa presa sulla massa dei fedeli. Perfino Ernesto Buonaiuti, capofila del modernismo italiano, si lamentava:
“Io stesso sono rimasto più volte vagamente sorpreso dalla disarmonia esistente fra le finalità del movimento modernistico, finalità così radicalmente rinnovatrici, e la natura della sua propaganda, così aristocraticamente intellettualistica. (…) Quel largo consenso popolare, che dovrebbe essere la principale preoccupazione di un movimento religioso, saturo di entusiasmo messianico, è fino ad oggi costantemente mancato”. Le tendenze e le dottrine rivoluzionarie si diffondevano tra i fedeli piuttosto attraverso le deviazioni nel movimento cattolico sociale, sorto nella seconda metà del Dicianovesimo secolo. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 35
Centenario di S. Pio X
Tre figure cardini del cattolicesimo sociale italiano nell’Ottocento: Mario Fani Ciotti, Giovanni Acquaderni e Giuseppe Toniolo
Deriva a sinistra
Dando corpo al crescente movimento sociale cattolico, il 29 giugno 1867 si costituì la Società della gioventù cattolica italiana. Ne assunse la presidenza Giovanni Acquaderni, affiancato da Mario Fani Ciotti. Nel 1868 Pio IX approvava, con il breve pontificio Dum filii Belial, la costituzione della nuova associazione. Di solido orientamento “papalino”, la Società fece della difesa di Pio IX e della sua politica antiliberale il cardine della propria azione.
Nel giugno 1874 si tenne a Venezia un primo congresso cattolico nazionale. Sotto la presidenza di Acquaderni, i cinquecento delegati convennero nella missione di salvaguardare le tradizioni religiose italiane di fronte alla società liberale. Nei discorsi si attaccò fortemente “la Rivoluzione, questo serpente che avvelena, questa tigre che sbrana, questa lupa che divora, quest’arpia immonda”. Un secondo congresso, tenutosi a Firenze nel 1875, creò l’Opera dei congressi e dei Comitati cattolici, che annoverava numerosi circoli locali. La presidenza fu affidata allo stesso Acquaderni.
Purtroppo, alla stregua di quanto stava accadendo in altri paesi, infiltrate da tendenze liberali e socialiste, frange del cattolicesimo sociale italiano caddero preda di un processo di trasbordo ideologico che le fece scivolare a sinistra. Pronto si palesarono due anime, in contrasto fra di loro. I settori più a destra venivano presi di mira da una propaganda negativa che cercava di annichilirli. “La Gioventù cattolica passa ore abbastanza tristi – scrive Giacomo de Antonellis – Acquaderni è figura moralmente elevata ma non sembra in grado di reagire al turbinio scatenato da più
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sponde”. Il 17 maggio 1878, Acquaderni fu costretto a rassegnare le proprie dimissioni.
Nel contempo si faceva largo all’interno dell’Opera la corrente “operaista”, di orientamento sinistrorso. Se tra i cattolici tradizionali si continuava a ritenere che la questione sociale si potesse risolvere con un’intesa fra le classi, i nuovi gruppi operaisti erano assertori del principio che i lavoratori dovessero adottare il criterio della resistenza nei conflitti con il padronato; in altre parole partecipare alla lotta di classe, entrando oggettivamente in convergenza con i socialisti. Inizialmente minoritari, i settori socialisti crebbero d’importanza, sino a controllare ampi settori del cattolicesimo sociale. Le correnti progressiste – che avevano assunto il nome generico di “democrazia cristiana”, in un contesto in cui “democratico” era sinonimo di sinistra – prendevano il soppravvento, sostituendosi alla vecchia guardia.
Don Romolo Murri
La deriva a sinistra nel cattolicesimo sociale italiano è inscindibilmente legata alla figura del sacerdote marchigiano don Romolo Murri. Dallo studioso marxista Antonio Labriola, suo professore alla Facoltà di Lettere a Roma, Murri trasse, come egli stesso ricorda, “il senso della storia ossia dello svolgimento e, insieme, l’idea del proletariato. Sorbì anche intimamente l’interesse e la simpatia per la cultura e il mondo moderno”. Secondo il capofila della corrente democratica cristiana, il marxismo di Labriola era “un eccellente strumento allo scopo di rendersi conto delle cose del tempo e di correggere le gravi manchevolezze nella mentalità dominante negli ambienti cattolici”. Escluso l’ateismo, don
Don Romolo Murri, il “prete ribelle” capofila della Democrazia cristiana
Murri utilizzava dunque il marxismo come strumento di analisi della realtà sociale e politica.
Nel 1891, Murri ispirò la formazione dei Fasci democratici cristiani. Nel 1894 fondò il Circolo universitario cattolico. L’anno successivo lanciò il giornale “La Vita Nuova” che diventò l’organo dei circoli universitari, raccoltisi nel 1896 nella Federazione universitaria cattolica italiana, Fuci.
La condanna
Insensibili alle ammonizioni di Leone XIII, i democratici cristiani continuarono imperterriti la loro contestazione rivoluzionaria. Al Congresso nazionale dell’Opera a Bologna, nel novembre 1903, regnante già s. Pio X, lo scontro fra le due anime del cattolicesimo sociale italiano degenerò in guerra aperta. “La spaccatura tra le due mentalità divenne inconciliabile – commenta Giacomo de Antonellis – [toccando] il rapporto gerarchia-laicato, l’azione politica e l’azione religiosa, i modi di obbedienza e di fedeltà al Papato”. Incalzati dalla fortissima contestazione dei democratici cristiani, i leader dell’Opera abbandonarono l’aula.
Papa Sarto, che aveva seguito con attenzione lo sviluppo dei dibattiti, non gradì l’esito del congresso e inviò all’arcivescovo di Bologna, cardinale Domenico Svampa, una lettera in cui puntualizzava: “Non le nascondo le mie preoccupazioni: 1) pel dissidio sorto nell’assemblea; 2) per la poca avvedutezza onde fu costituita la presidenza; 3) per le clamorose e replicate manifestazioni in favore del reverendo don Murri”. È sintomatico che il congresso di Bologna si chiuse senza la tradizionale colletta per l’Obolo di S. Pietro in favore del Papa.
Preoccupato per l’ascesa del movimento democratico cristiano, e volendo stroncare ogni manipolazione ermeneutica dei documenti del suo predecessore, nel dicembre 1903 s. Pio X pubblicò il motu proprio Fin Dalla Prima. Si tratta di un documento assai conciso contenente un “Ordinamento fondamentale dell’azione popolare cristiana”. Una circolare del nuovo presidente dell’Opera Giovanni Grosoli, chiaramente contrastante con le direttive pontificie, fu sconfessata dalla Santa Sede. Giunta a tal segno, la fortissima penetrazione delle tendenze democratiche cristiane nel cattolicesimo so-
ciale non lasciò a Papa Sarto altra scelta che sciogliere l’Opera dei congressi, fatto che avvenne il 28 luglio 1904. Rimase aperto solo il Gruppo di studio per l’azione popolare e sociale facente capo al conte Stanislao Medolago Albani, di Bergamo.
Con inaudita insolenza, i democratici cristiani sfidarono il Pontefice fondando a Bologna la Lega democratica nazionale, di aperta ispirazione socialista. Nell’enciclica Pieni l’Animo, del 28 luglio 1906, s. Pio X proibì “sotto pena per i chierici di inabilità agli ordini sacri e ai sacerdoti di sospensione ipso facto a divinis, di ascriversi alla Lega democratica nazionale”. Ormai senza ritegno, Romolo Murri fu sospeso a divinis nel 1907 e scomunicato due anni dopo. Nel 1912 si sposò ed ebbe un figlio. Seguace del primo fascismo, presto se ne allontanò, criticando i Patti Lateranensi del 1929. Pochi anni dopo, nel 1910, con la lettera apostolica Notre charge apostolique, s. Pio X fu costretto ad adottare identico procedimento nei confronti del cattolicesimo sociale francese, raccoltosi nel movimento Sillon sotto l’egida di Marc Sangnier. Questi decisi interventi di Papa Sarto, uniti a un solido orientamento dottrinale espresso in innumerevoli documenti, impedirono in pratica che gli errori rivoluzionari si diffondessero tra il laicato, ponendo le basi per il grande risveglio che, negli anni Venti del secolo scorso, diede vita all’Azione Cattolica. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 37
Centenario di S. Pio X
Stanislao Medolago Albani: un vero cattolico tra Stato e Chiesa di Riccardo Giulio Bevilacqua
I
Chi era il conte Stanislao Medolago Albani, unico “sopravvissuto” allo scioglimento dell’Opera dei congressi? Gli archivi storici e i ricordi di famiglia ci fanno scoprire una delle più straordinarie figure del cattolicesimo sociale italiano, a cavallo tra Ottocento e Novecento
l 6 novembre 1922, a un anno dalla morte, Bergamo ha commemorato per la prima volta Stanislao Medolago Albani, alla presenza del vescovo mons. Luigi Marelli e delle più alte autorità civili e religiose. «Il conte Stanislao Medolago Albani fu un cattolico tutto d’un pezzo, senza reticenze, senza sottintesi - ricorda padre Alfonso Casoli della Compagnia di Gesù - Fu tra i capi di quella schiera umile e gloriosa, che senza rossore e senza viltà si proclamava cattolica, intransigente, papale, in mezzo agli insulti di chi li segnava a dito come nemici della patria, senza speranza di croci di cavalierati, ma unicamente con la croce di Cristo e fieri di essere cavalieri dell’idea cristiana, orgogliosi di alzare la fronte dinnanzi ai loro avversari
e d’imporsi con la purezza dei loro ideali, con l’onestà della vita e con l’eroismo del sacrificio».
Natali e formazione
Stanislao Medolago Albani nasce a Bergamo il 30 luglio 1851 dal conte Gerolamo e da Benedetta de Maistre, nipote del celebre Joseph, teorico della Controrivoluzione. La madre muore nel darlo alla luce e il padre, risposatosi con la cognata Filomena de Maistre, si spegne quattro mesi dopo il secondo matrimonio. Stanislao cresce sostenuto dalla sua seconda madre – che, dopo il matrimonio del figlio, entrerà nella congregazione delle Figlie del Sacro Cuore, a Roma, con il nome di suor Maria Teresa – e dei parenti Medolago Albani e de Maistre, antiche famiglie profondamente cristiane. La sua prima presenza pubblica avviene all’età di sei anni. Il 13 gennaio 1857, l’imperatore d’Austria Francesco Giuseppe, con la consorte Elisabetta di Baviera, è ospitato dalla famiglia Medolago Albani nel palazzo di Bergamo Alta. Il piccolo Conte declama alla Coppia imperiale una poesia preparata per l’occasione. Stanislao si laurea in Teologia e Filosofia all’Università gregoriana a Roma. Parla correntemente francese, tedesco, latino e greco antico. Nel 1873 sposa la contessa piemontese Maria Luisa Callori di
A sin., medaglia dell’onorificenza pontificia di San Gregorio Magno, conferita, con il grado di commendatore, a Stanislao Medolago Albani
Sopra, il Conte in veste di Cameriere Segreto di Spada e Cappa di Sua Santità, ritratto di Giuseppe Riva 38 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
La presidenza del II Gruppo generale dell’Opera dei Congressi. Seduti da sinistra: Stanislao Medolago Albani, Giorgio Gusmini, Giovanni Grosoli. In piedi: G. Daelli, Giuseppe Toniolo, G. Faraoni e Archimede Pasquinelli.
Vignale, donna forte e di grande fede, che gli darà quattro figli. La coppia elegge come residenza ufficiale il maestoso palazzo natio di Bergamo Alta. Sovente si reca anche nell’amata dimora di Medolago, la più antica della casata.
Attività in terra bergamasca
Stanislao avrebbe potuto trascorrere la propria vita nella spensieratezza e nel divertimento, grazie all’enorme patrimonio ereditato dal padre. Così facendo, sarebbe stato certamente benvoluto dai poteri forti dell’appena costituito Stato unitario, retto da potenti fazioni liberali ostili alla Chiesa e al sentimento religioso degli italiani. Ma l’amore per Cristo, il Papa e la Chiesa, lo spingono a scegliere la via stretta. Si prefigge di difendere operai e contadini dagli errori del socialismo, secondo le direttive della Santa Sede, avviando molte iniziative di rilievo in terra bergamasca.
Favorisce la nascita di Cooperative di credito, di lavoro e di assicurazione, costruisce Case popolari, apre Casse rurali, Società di mutuo soccorso e di assistenza pubblica. Nel 1880 fonda il quotidiano
cattolico “L’Eco di Bergamo”, e ne diventa primo presidente del Consiglio di amministrazione. Nel 1890 è tra i fondatori della Cooperativa Case operaie. Nel 1891 è tra i fondatori del Piccolo Credito Bergamasco, poi Credito Bergamasco. Nel 1896 è cofondatore e presidente della Società cattolica di assicurazioni, con sede sociale a Verona. Instancabile, Medolago Albani s’impegna anche in politica, eletto in qualità di presidente dell’amministrazione provinciale dal 1894 al 1909.
Attività nazionali
Il conte Stanislao si rivela presto un grande uomo d’azione anche a livello nazionale, diventando un prezioso collaboratore di tre Papi: Leone XIII, Pio X e Benedetto XV. Medolago Albani si pone all’attenzione del mondo cattolico nazionale nel 1877, in occasione del IV Congresso nazionale dell’Opera dei congressi e dei Comitati cattolici, presieduto a Bergamo dal vescovo mons. Pier Luigi Speranza. Appena ventiseienne, il conte interviene in veste di TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 39
Centenario di S. Pio X presidente del comitato locale dell’Opera. Nel 1882 è già nel Comitato nazionale.
Nel VII Congresso, tenutosi a Lucca nel 1887, la nuova sezione di Economia sociale cristiana viene affidata proprio a Medolago Albani. Le sue relazioni sono sempre dotte, ricche di materiale scientifico e di proposte concrete. Sin dal 1884, egli è membro effettivo in rappresentanza dell’Italia dell’Unione Cattolica degli Studi sociali ed economici di Friburgo, presieduta dal cardinale svizzero Gaspard Mermillod. Gli studi promossi dall’Unione costituiscono i primi preziosi elementi per l’enciclica sociale di Leone XIII Rerum Novarum (1891) che, per volontà dello stesso Papa, viene illustrata nei convegni dei cattolici italiani proprio dal conte Stanislao Medolago Albani.
Nel 1897 l’Opera dei congressi, presieduta dal conte Giovanni Paganuzzi, è al culmine della sua forza. Intanto, però, qualcuno la sta minando dall’interno. Sono i modernisti capeggiati da don Romolo Murri. Questi iniziano una guerra subdola a Paganuzzi, a cui viene imputato di seguire con troppo zelo (!) le direttive della Sede apostolica. Il conte Stanislao sarà tra i primi ad appoggiare pubblicamente Paganuzzi, comprendendo la pericolosità del nascente movimento modernista e democratico cristiano. Purtroppo la zizzania lavorava senza sosta all’interno dell’Opera. L’elezione del nuovo presidente, il murriano Giovanni Grosoli, inasprisce le tensioni. Il nuovo Pontefice, Pio X, che si adopererà senza indugio per combattere il Modernismo all’interno della Chiesa, non può che ordinarne lo sciogli-
Palazzo Medolago Albani in Bergamo Alta, dimora cittadina del conte Stanislao 40 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Londra, giugno 1911, Missione pontificia. Da sin.: conte Francesco Bezzi Scali (suocero di Guglielmo Marconi), mons. Eugenio Pacelli, capitano Forbes, addetto inglese alla Missione pontificia, mons. Gennaro Granito dei principi di Belmonte, conte Stanislao Medolago Albani
mento nel 1904. L’unica sezione che il Santo Padre decide di lasciare in vita è quella Economico Sociale, proprio perché diretta da Medolago Albani. Un segno inequivocabile di grande stima verso il nobile bergamasco. Con la morte di Papa Sarto e lo scoppio della Grande Guerra, il conte Stanislao si ritira dalla scena nazionale per dedicarsi all’Istituto pontificio di Scienze sociali, di cui era fondatore e presidente.
L’ultima apparizione in pubblico
Nel settembre del 1920, l’anziano nobile si presenta per l’ultima volta in pubblico a Bergamo, nella chiesa di Santo Spirito gremita di fedeli, in occasione del VI Congresso eucaristico nazionale. Sostenuto dalla sua filiale devozione mariana e da una profonda devozione eucaristica, il conte tiene una relazione sull’importanza della partecipazione alla Santa Messa: un’esortazione appassionata – come testimonia un resoconto dell’epoca – a gustare il fascino del Santo Sacrificio dell’Altare, evento che è sempre stato centrale nella sua vita. In quell’occasione, sentendo avvicinarsi “sorella morte”, egli esprime una totale fiducia nel conforto che Gesù gli darà quando
dovrà lasciare questo mondo. Neanche un anno dopo, il 3 luglio 1921, muore.
All’indomani della sua dipartita, il sacerdote Clienze Bortolotti, amico e direttore del quotidiano “L’Eco di Bergamo”, sottolineava. «Il conte Medolago Albani per più di trent’anni dette al grandioso movimento cattolico italiano e bergamasco, il lustro del casato, l’autorità del nome, il consiglio saggio e prudente, l’indirizzo sempre e sicuramente cristiano, lo studio profondo e pratico dei problemi religiosi, morali ed economici, l’operosità instancabile della sua persona».
Anche l’“Osservatore Romano”, in un pezzo a firma del direttore Giuseppe Della Torre, rendeva omaggio al nobile bergamasco: «Il conte Medolago Albani era uno dei nostri massimi, per fede inconcussa, per attività indefessa, per altezza d’intelletto. Fu tra gli apostoli dell’Azione Sociale Cattolica, dei più noti e rappresentativi. (… ) Per la sua adamantina franchezza e fortezza cristiana, il conte Medolago Albani ebbe anche gravi dispiaceri e soffrì penose persecuzioni, specialmente in tempi in cui prevalevano, e credevano di poter tutto osare, un liberalismo anticlericale e settario e le prime avvisaglie di un socialismo prepotente e liberticida». TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 41
Centenario di S. Pio X
Intervista a Giovanni Andrea Medolago Albani, pronipote di Stanislao
a cura di Cristina Reduzzi
Abbiamo intervistato il pronipote diretto del conte Stanislao Medolago Albani. Impiegato nell’azienda di famiglia che si occupa di ingegneria ambientale, egli è altresì impegnato a mantenere viva la memoria dell’illustre avo
I
l giovane pronipote del conte Stanislao ci riceve nella sua dimora avita, a Medolago, comune della pianura bergamasca.
Conte Albani, suo trisnonno Stanislao viveva in questo palazzo?
La sua abitazione principale era il palazzo di Bergamo Alta, ora di proprietà dei miei cugini, dove è nato ed è morto. Spesso però soggiornava anche in questa dimora, la più antica della famiglia, tant’è che è sepolto nella nostra cappella nel camposanto del paese. L’edificio settecentesco in cui ci troviamo sorge su una fortificazione che la mia famiglia possedeva già intorno all’anno Mille, ma fu distrutta il 25 aprile 1509 dalle truppe francesi. Di essa, oggi, rimane solo una parte dell'antico fossato. Quale memoria è stata tramandata in famiglia sulla religiosità del suo trisavolo?
La sua devozione alla Vergine era molto forte, si sentiva particolarmente legato al santuario bergamasco della Madonna della Gamba, in Val Seriana. Viveva profondamente la fede eucaristica con la partecipazione quotidiana alla Santa Messa e la recita giornaliera del Santo Rosario. Nel giorno della sua prima Comunione, la madre, Filomena de Maistre, gli regalò un bellissimo
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libro del sacerdote novarese Giovan Battista Pagani, dal titolo: “L’Anima devota della Santissima Eucarestia”. Dal quel momento il conte Stanislao lo utilizzerà sempre per prepararsi a ricevere la Santa Comunione e per ringraziare Gesù dopo averlo ricevuto nel suo cuore. Su una delle pagine la madre scrisse una preghiera-offerta che lui avrebbe sempre recitato, questo il testo: «Vi offro, Gesù mio, con tutto il cuore la Fede di tutti i Patriarchi, la Speranza dei Profeti, lo zelo degli Apostoli, la costanza dei Martiri, la sobrietà di tutti i Confessori, la castità delle Vergini, la purità degli Angeli, l’amore dei Serafini, la carità, l’umiltà, la purità e l’amore di Maria SS.ma: con le quali Virtù tutte intendo riceverVi in questa Santa Comunione nel mio povero cuore. Amen». Nel volumetto, in mio possesso, c’è anche un’antica immaginetta di san Stanislao Kotska, in atto di adorazione davanti ad una pisside tenuta in mano da un angelo: anch’essa è un dono di mamma Filomena al figlio. La mia famiglia conserva anche una significativa lettera da Beaumesnil (residenza francese del casato) che il nonno materno, Rodolfo de Maistre, aveva inviato al piccolo Stanislao, il 14 aprile 1862, nel giorno della sua prima Comunione, per raccomandargli: “Tien mente di non essere neghittoso e timido nel servizio di Cristo, ma mostrati sempre
soldato devoto, fedele, senza paura e senza umano riguardo”. Si tratta di una raccomandazione che certamente Stanislao fece propria nel corso della sua esistenza. In un’altra lettera, datata 13 aprile 1862, la nonna de Maistre raccomandava invece al nipote di chiedere a Gesù la grazia di morire piuttosto che commettere un solo peccato mortale. Che rapporti aveva il conte Stanislao con san Giovanni Bosco?
Stanislao andava spesso a Torino a trovare i nonni de Maistre, grazie a loro conobbe san Giovanni Bosco, con il quale strinse un rapporto di profonda amicizia, al punto da esserne uno dei promotori della causa di beatificazione. La mia famiglia possiede ancora alcune lettere di Don Bosco indirizzate al conte Stanislao e a sua madre, di cui era direttore spirituale. Ci parli del padre del conte Stanislao
Il Conte Gerolamo era un uomo di grande fede, intenzionato, addirittura, ad abbracciare la vita religiosa. Confidandosi e confrontandosi con la cugina, santa Teresa Verzeri, fondatrice della congregazione
delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, comprese però che la sua vera vocazione era quella di crearsi una famiglia, una famiglia autenticamente cristiana. Purtroppo morì di colera il 17 settembre 1855, non ancora quarantenne.
La militanza del conte Stanislao nel movimento cattolico è durata una vita intera. Ci fu anche chi, nel mondo cattolico, lo criticò. Per quale motivo?
Senza scendere nei dettagli delle singole vicende, la colpa che gli si imputava, molto semplicemente, era quella d’essere cattolico, cattolico e basta. Né cattolico liberale, né cattolico democratico, né cattolico socialista, né cattolico nazionalista. Il conte
Lo Château de Beaumesnil, nell’alta Normandia, dimora della famiglia dei conti de Maistre, dove Stanislao Medolago Albani si recava per visitare i nonni. Egli era pronipote, per parte materna, del celebre filosofo cattolico Joseph de Maistre. Sopra, Benedetta de Maistre, madre di Stanislao
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Centenario di S. Pio X Testo della conferenza tenuta nel 1889 dal conte Stanislao Medolago Albani sul ruolo delle élites in una società cattolica organica
Stanislao seguiva unicamente le direttive dei Sommi Pontefici. Il Papa con il quale collaborò maggiormente fu, senza dubbio, Pio X: lo attestano le 72 lettere olografe che il Vicario di Cristo gli indirizzò e la mia famiglia custodisce devotamente, essendo anche delle reliquie visto che papa Sarto è santo. Le incomprensioni e le sofferenze del Papa, a causa del diffondersi del Modernismo nella Chiesa, furono in un certo qual modo complementari a quelle del mio avo e di tutti quei cattolici cui stava a cuore obbedire solo al Pontefice e alla bimillenaria tradizione della Chiesa.
Possiede qualche scritto del suo illustre avo?
Possediamo alcune pubblicazioni di sue conferenze. Due di queste, per esempio, mi sembrano particolarmente importanti per i loro contenuti, che sono ancora di assoluta attualità: la prima, dal titolo “Le classi dirigenti nella società”, si svolse a Bergamo il 4 marzo 1883, mentre la seconda, “Dell’organismo sociale”, si tenne sempre a Bergamo il 21 gennaio 1887. Quale significato ha per Lei, oggi, essere un diretto discendente del conte Stanislao Medolago Albani? Mi sento onorato, e al tempo stesso indegno, di tale avo. Ammiro in lui anzitutto la docilità al Vangelo nella vita e nelle opere e la fedeltà incondizionata al Papa, anche nelle situazioni più difficili in cui, pur di proteggere il Vicario di Cristo e le di Lui direttive, mantenne il silenzio di fronte agli avversari quando sarebbe stato più comodo parlare e parlò chiaro quando sarebbe stato più comodo tacere. Interpretò bene l’esortazione evangelica che da mille anni è anche il motto della famiglia: Quærite primum Regnum Dei. Egli è, credo non solo per me, un esempio da imitare, pur sapendo che il Modello è per il cristiano sempre lo stesso, ieri oggi e sempre. In che modo pensa di promuovere la conoscenza e l’interesse intorno alla sua figura?
Ritengo siano maturi i tempi per promuovere uno studio approfondito sulla sua vita e opera, attingendo anche alle vaste fonti documentali inedite del suo archivio privato. Vorrei attivare un’associazione cattolica che si incaricasse di ciò e ne sottolineasse la ricchezza delle virtù personali nella fedeltà al Vicario di Cristo. (Ringraziamo il conte Giovanni Andrea Medolago Albani per l’intervista, e anche per il materiale fotografico che illustra questi articoli, tratto dagli archivi di famiglia) Stemma della famiglia Medolago Albani: Cercate prima il Regno di Dio 44 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Il mondo delle TFP
“Con la grazia di Dio, la nostra generazione fermerà l’aborto”
N
oi, europei, abbiamo spesso la tendenza a imitare gli Stati Uniti in tanti aspetti negativi: dalla musica alle mode e ai fast food. Perché, invece, quando da oltreoceano arrivano esempi positivi non li seguiamo? Un esempio, positivo ed entusiasmante, è la crescente militanza prolife della gioventù statunitense. In occasione del 2014 Call to Chivalry Camp, un raduno giovanile organizzato dalla TFP americana in Pennsylvania, i partecipanti si sono trasferiti a
Camden, nel New Jersey, per protestare contro la strage degli innocenti davanti agli uffici di Planned Parenthood, la più potente lobby abortista del mondo. Innervositi, i responsabili di PP hanno chiamato la polizia, che ha dato retta ai ragazzi della TFP. Qualche settimana dopo, la scena si è ripetuta in occasione del Louisiana Call to Chivalry Camp, organizzato sempre dalla TFP, quando i ragazzi hanno protestato a New Orleans davanti alla sede locale di Planned Parenthood.
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Il mondo delle TFP
“La nostra generazione rimpiazzerà la cultura della morte con quella dell’onore e della purezza” Testimonianze sul pullman in viaggio per la manifestazione
“Questo è un fatto: gli abortisti diventano sempre più vecchi mentre noi, prolife, siamo sempre più giovani”
“Una nazione che uccide i propri nascituri non ha futuro né onore. Ecco perché voglio fermare l’aborto”
“L’aborto non è una scelta, è un peccato. Se vogliamo che Dio continui a benedire il nostro paese, dobbiamo fermare l’aborto” “Si parla tanto di diritti umani. I nascituri non sono umani? Non hanno diritti? L’aborto è una strage” “L’aborto distrugge la civiltà cristiana, offende Nostro Signore e la Madonna. Dobbiamo combatterlo. Viva Cristo Re!” “Se l’omicidio è un crimine, perché l’aborto non è punibile penalmente? È mio dovere, come cattolico e come uomo, fermarlo” “Il diritto alla vita è dato da Dio. Nessuno lo può togliere. Ecco perché dobbiamo fermare l’aborto” “La nostra generazione rimpiazzerà la cultura della morte con quella dell’onore e della purezza” “L’aborto è l’unico crimine per il quale non si va in galera. Dobbiamo assolutamente fermarlo” “L’aborto estingue il progetto di Dio prima ancora di iniziare. Ecco perché voglio fermarlo” 46 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014
Pellegrinaggio ad Altötting
U
n gruppo di volontari della TFP tedesca ha partecipato al tradizionale pellegrinaggio al Santuario di Altötting, nella Baviera meridionale. Organizzato dall’associazione Pro Missa Tridentina, il pellegrinaggio è un appuntamento annuale per coloro (tanti) che prediligono la Messa di sempre, ai sensi del motu proprio Summorum Pontificum di Benedetto XVI.
Sono stati due giorni di riunioni e di fecondo convivio, culminati col solenne Pontificale, celebrato nella Basilica di S. Anna da S. E. Mons.
Wolfgang Haas, arcivescovo di Vaduz (Liechtenstein) e vescovo coadiutore di Coira (Svizzera).
Nella sua omelia, mons. Haas ha sottolineato come, in mezzo al generale disfacimento della società, l’unica ancora sia la Tradizione, unita al coraggio di proclamarla davanti al mondo. Un appello alla lotta culturale e morale in nome della Fede. Il grande peccato di oggi, ha continuato il prelato, è l’indifferenza di tanti cattolici che, corrosi dal relativismo, lasciano via libera al male. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2014 - 47
Nella tua luce vediamo la Luce
O
di Plinio Corrêa de Oliveira
Madre mia, Mediatrice di tutte le grazie, nella tua luce vediamo la Luce.
Madre, meglio restare cieco che cessare di vedere la tua luce. Perché vedere questa luce, è vivere. Nello splendore di questa luce vediamo tutte le luci. Senza il suo chiarore, nessuna luce è luce.
Io non mi preoccuperò più di niente, se non di avere sempre davanti a me questa luce. Mai dimenticherò che, in un momento della mia vita, questa luce splendette ai miei occhi. Io non mi fermerò finché Tu non concederai la grazia che questa luce rifulga in tutto il mondo.
Io non considererò vita se non i momenti in cui questa luce brillerà. Dalla vita non attenderò più niente sennonché il mio spirito sia bagnato da questa luce.
O luce che visitasti la mia anima, aprendo prospettive di fronte alle quali niente è niente, perché solo tu esisti! O grazia divina! Io ti seguirò ad ogni costo, ti seguirò per valli e per monti, ti seguirò sui mari e nei deserti, ti seguirò nella tortura e nell’abbandono, nell’oblio e nella persecuzione, nella tentazione e nell’infortunio, nella gioia e nella gloria. Io ti seguirò con tanto entusiasmo che, anche nel fasto del trionfo, io non penserò alla gloria, ma solo a te.
O grazia divina, in un momento della mia vita ti ho conosciuto, e non mi stancherò di seguirti fino a trovarti in Cielo!