Anno 26, n. 87 - Ottobre 2020 Sped. in Abb. Post. Art. 2, Comma 20/C, Legge 662/96 Filiale di Padova
The Great Reset
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The Great Reset
chiamano “The Great Reset”.
Approfittando dello shock psicologico provocato dalla pandemia da COVID-19, vogliono “resettare” l’economia, come primo passo per “resettare” tutta la nostra società. Vi sono implicati tutti i “big” della finanza e della politica internazionale, a cominciare dal Forum Economico Mondiale. In nome della preservazione dell’ambiente e del clima, si vuole attuare nientedimeno che “una Rivoluzione globale”, nelle parole di Gro Harlem Brundtland, ex Primo Ministro della Norvegia e vice-presidente dell’Internazionale Socialista, la vera fucina da dove provengono molte di queste idee. Questa Rivoluzione, secondo Maurice Strong, allora direttore della United Nations Conference for Environment and Development, implica “un cambiamento fondamentale nella nostra mentalità, una rivoluzione radicale nel modo in cui facciamo le cose”.
L’idea dietro il progetto è quella dello “sviluppo sostenibile”, così spiegato dalla stessa Brundtland: “Dobbiamo cambiare le tendenze e i modelli di consumo e di produzione. Dobbiamo renderci conto che noi, del mondo industrializzato, abbiamo aumentato il nostro tenore di vita, il nostro livello di consumo e produzione abusando delle risorse naturali. Non abbiamo pagato il conto per le conseguenze negative di quell’innalzamento del tenore di vita”.
Tale obiettivo sarebbe raggiunto mettendo un freno allo sviluppo. Prima si parlava di “crescita negativa”, adesso l’espressione di moda è “decrescita felice”. Lo spiega l’Agenda 21, un Trattato firmato da tutti i Paesi del mondo: “Dobbiamo mettere in discussione i concetti tradizionali di crescita economica... Dobbiamo sviluppare nuovi concetti di ricchezza e di prosperità. Ciò suppone un cambia-
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mento radicale verso stili di vita che siano meno dipendenti dalle risorse limitate della Terra”.
In altre parole, dobbiamo dire addio all’agiatezza della vita moderna, e tornare a modi di vita più austeri ed “ecologically friendly”.
Già oggetto di diversi Trattati e Convenzioni a livello internazionale, questi progetti adesso si trovano in fase di applicazione concreta. In Europa, per esempio, la Commissione Europea ha emanato il programma Natura 2000, che, col pretesto di proteggere le specie animali minacciate, pone così tanti ostacoli allo sviluppo industriale da renderlo quasi impraticabile. A questo si somma il PAS (Programma anti-Nitrogeno), che restringe qualsiasi attività che produca un aumento di questo gas. In America Latina è stato di recente firmato il Patto di Escazú, adesso in fase di ratificazione da parte dei rispettivi Parlamenti. Questo Patto impone severissime misure ambientaliste che, in pratica, frenano lo sviluppo del continente. Un punto controverso, per esempio, è la perdita della sovranità sul bacino amazzonico, che passerebbe sotto il controllo di organismi sovra-nazionali.
Fra i protagonisti di questa Rivoluzione c’è anche Papa Francesco, che ha convocato per novembre prossimo una riunione ad Assisi. Col titolo “L’economia di Francesco”, l’incontro propone l’idea di un essere umano che, avendo abusato del creato, non ne è più il centro, un vero rovesciamento dell’ordine della Creazione. Ne conseguirebbe la necessità di ridimensionare il suo stesso ruolo nel creato, magari riportandolo al rispetto della natura secondo i parametri dei popoli primitivi e pagani, come proposto di recente dal Sinodo per l’Amazzonia.
Una domanda finale: la Cina accetterà questa “decrescita”? Oppure guarderà, tranquilla e contenta, alla deindustrializzazione dell’Occidente mentre concentrerà nelle proprie mani tutta la produzione mondiale?
Sommario Anno 26, n° 87, ottobre 2020
Editoriale: The Great Reset Il silenzio dei fedeli Spagna: quando il Re non è più utile alla Rivoluzione… Fra Junípero Serra, Apostolo della California Junípero Serra: l’ideale di un impero cristiano Giovanni Paolo II pellegrino da fra Junípero Dalla Politica alla Psicologia Intervista a Roberto Marchesini The Great Reset: i globalisti vogliono resettare l’economia post-COVID Intervista con Ettore Gotti Tedeschi La crisi dentro la Chiesa? “Il prof. Plinio la denunciò già nel 1943” La TFP fa paura alle lobby LGBTQ europee Il mondo delle TFP Due quadri a confronto
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Copertina: La galleria Vittorio Emanuele, a Milano, simbolo della ricchezza e della vitalità del capoluogo lombardo. Cosa resterà di questo mondo se entriamo in una logica di “decrescita” e di “decelerazione” in nome dell’ecologia?
Tradizione Famiglia Proprietà Anno 26, n. 87 ottobre 2020 Dir. Resp. Julio Loredo
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Attualità
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Il silenzio dei fedeli
’altro giorno, durante la Messa domenicale in un’importante parrocchia di Milano, il celebrante ha rivelato un dato agghiacciante: dopo la riapertura, nella diocesi ambrosiana, appena il 30% dei fedeli è tornato a frequentare le chiese, “le famiglie e i ragazzi sono totalmente scomparsi”. La situazione non è molto migliore nel resto d’Italia. Senza cattiveria, ho pensato: li avete abbandonati durante il periodo più critico della pandemia, adesso loro vi ripagano con la stessa moneta.
fermi. Più di un vescovo ha perfino emanato norme per vietare ai sacerdoti di esporsi assistendo i malati. L’esatto contrario di ciò che la Chiesa ha fatto per duemila anni.
Alcuni sacerdoti coraggiosi, sfidando le imposizioni della CEI, hanno provato a celebrare la Messa con poche persone presenti, o all’aria aperta, in perfetta ottemperanza alle norme sanitarie. Sono stati severamente puniti con multe salate, e perfino minacciati di carcere. Si è arrivato allo scandalo dell’invasione di alcune chiese da parte delle Forze dell’Ordine, con interruzione sacrilega del Santo Sacrificio. Non solo le autorità ecclesiastiche non hanno protestato contro questi atti di persecuzione religiosa, ma si sono effettivamente schierate con il Governo, rimproverando i sacerdoti “ribelli”. Forse, mai nella storia d’Italia la Chiesa si è mostrata così sottomessa allo Stato.
Quando, cedendo al clamore dei fedeli scandalizzati, la CEI ha finalmente cominciato ad alzare un pochino la voce in difesa della libertà religiosa, questa è stata immediatamente zittita da Papa Francesco, che dalla cattedra di Santa Marta ha esortato i vescovi a “obbedire alle disposizioni del Governo”.
La pandemia da COVID-19 ha mostrato il lato peggiore della crisi che, da più di mezzo secolo, attanaglia Santa Madre Chiesa: l’abbandono cosciente e volontario della sua missione salvifica da parte di tanti pastori. Gli italiani sono rimasti sbigottiti quando la CEI ha sospeso il culto pubblico ancor prima che il Governo ne decretasse il blocco, privando così i fedeli dei Sacramenti. Al lockdown sociale si è aggiunto così quello spirituale, assai più implacabile. Abbiamo avuto la bizzarra situazione per cui erano aperti i supermercati e i tabaccai, ma le cerimonie religiose erano proibite. Mentre le persone potevano tranquillamente andare a fare shopping o a comprarsi le sigarette, molti sono morti senza il soccorso del sacramento della Penitenza e dell’Unzione degli in4 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
A questo atteggiamento servile nei confronti di Cesare dobbiamo aggiungere gli sforzi di tanti pastori nel negare qualsiasi significato spirituale alla pandemia. È una punizione divina? Il pensiero cattolico tradizionale lo avrebbe considerato, almeno come un’ipotesi. È innegabile che la Provvidenza a volte usa, come cause secondarie, eventi naturali come “punizioni” per i peccati dell’umanità. A Fatima, per esempio, la Madonna definì esplicitamente le due guerre mondiali come punizioni. Oggi, tuttavia, questa parola è assolutamente esclusa dal vocabolario cattolico. Si rifiutano di parlare di peccato pubblico. Si rifiutano di richiamare i fedeli alla conversione. Si rifiutano, insomma, di compiere il proprio dovere come pastori di anime. E i fedeli hanno reagito distanziandosene, non riconoscendo più in loro la voce del vero pastore…
Dicono che il silenzio dei sudditi sia una lezione per i Re. Che cosa possiamo dire di quello dei fedeli?
Spagna: quando il Re non è più utile alla Rivoluzione… “Stiamo rigirando la Spagna come un calzino”
“Quando avremo finito con la Spagna, non la riconoscerà nemmeno la madre che l’ha partorita”
“Stiamo attuando una Rivoluzione tremenda ma tranquilla” “Avremo bisogno di venticinque anni per cambiare tutto”
Ecco come, negli anni Ottanta del secolo scorso, i leader socialisti spagnoli si vantavano della Rivoluzione che stavano portando avanti, continuata poi nel nostro secolo da Zapatero. Questa Rivoluzione iniziò nel 1976 all’indomani della morte di Francisco Franco che, contrariamente a quanto si pensa, aveva preparato tutto affinché la “transición” si svolgesse senza intoppi.
Una figura chiave di questa “Rivoluzione tremenda ma tranquilla” fu, senza dubbio, il Re Juan Carlos I. Egli coprì e sancì con la sua autorità regale la politica demolitrice dei successivi governi di sinistra che puntavano a smantellare, pezzo dopo pezzo, la Spagna cattolica e tradizionale: dal divorzio all’aborto all’abolizione delle feste religiose alla legalizzazione delle droghe all’educazione laica, e un lunghissimo e triste eccetera magistralmente raccontato nel libro della TFP spagnola “España anestesiada” (Madrid, 1988, 584 pp).
presentava un’apprensione: “Quando i comunisti non avranno più motivo di temere alcuna reazione, il Vostro tempo sarà giunto, Sire. Voi gli sarete inutile. E, nel momento stesso in cui diventerete inutile, gli risulterete insopportabile. Allora Vi renderete conto che, dal centro delle attenzioni in cui Voi adesso Vi trovate, Vi ritroverete al centro del dolore”. Sono passati quarantadue anni, ed ecco che questa terribile previsione si è avverata appieno! L’ormai ex-monarca si trova oggi “al centro del dolore”, costretto a lasciare il Paese quasi come un fuggitivo, incalzato dalle “pietre” della propaganda e dal disprezzo di tanti spagnoli.
Non possiamo esimerci dal manifestare tutto il dolore che ci provoca questo corso di avvenimenti. Non possiamoo neppure non registrare che Re Juan Carlos aveva avuto la possibilità di udire una filiale voce di allarme e di ammonimento, nell’ormai lontano 1978, scegliendo di ignorare quelle parole che, intrise di amore e di venerazione per la Monarchia, gli dirigevano i discepoli di Plinio Corrêa de Oliveira.
Nel luglio 1978, quando questo processo era ancora nelle fasi iniziali, la Sociedad Cultural Covadonga (la TFP spagnola) consegnò una lettera a S.M. il Re, presentandogli rispettosamente la propria perplessità per la piega che stavano assumendo le cose in Spagna. La TFP si meravigliava che i comunisti e i socialisti – che fino a ieri volevano fucilare il Re – stessero adesso inneggiando a lui. Ovviamente il Monarca era utile ai loro progetti. Dopo aver riaffermato la propria devozione per la persona del Re, la TFP
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San Junípero Serra
Fra Junípero Serra, Apostolo della California
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ra le vittime dell’odio rivoluzionario e anarchico che ha divorato gli Stati Uniti in questi ultimi mesi, c’è anche un personaggio che la Chiesa ha elevato agli onori degli altari e la Nazione ha annoverato tra i Padri Fondatori: Fra Junípero Serra, OFM, l’apostolo della California (1713-1784). Diverse sue statue sono state divelte e profanate con la scritta “razzista”.
Chi ritiene “razzista” questo umile frate francescano dimostra soltanto la propria ignoranza, oppure malafede. Più probabilmente entrambe. Il beato Junípero Serra fu un amico e un difensore degli indios californiani. Tra l’altro scrisse un testo intitolato «Representación», noto anche come «Declaración de los Derechos de los Indígenas», in cui fa un’accorata difesa degli indigeni, elencando i loro diritti e conclamando le autorità, civili e religiose, a venire incontro ai loro bisogni. Un testo non certo influenzato dalle dottrine illuministiche allora in voga, bensì dalla dottrina della Chiesa, che ha sempre difeso i popoli indigeni mentre li evangelizzava. Basta leggere i documenti dei Concili Limensi del secolo XVI convocati a Lima, Perù, allora capitale del Vicereame, per organizzare l’evangelizzazione dell’America del sud. Tra le norme emanate possiamo menzionare la traduzione della Bibbia, del Catechismo e di altri testi sacri nelle lingue indigene, e l’obbligatorietà per i missionari di imparare le lingue locali. Non fu altro che questo lo spirito che animò fra Junípero Serra.
Guardate una mappa della moderna California: San Francisco [de Asís], [Santa María de] Los Angeles, San Diego [de Alcalá], San Bernardino [de Siena], Santa Clara [de Asís], San José [de Copertino], [Santísimo] Sacramento, San Fernando [Rey], Santa Rosa [de Lima], Santa Monica, San Carlos [Borromeo], Santa Barbara, San Juan [de Capistrano], San Mateo, San Gabriel [Arcángel]… Tutti nomi cattolici, perlopiù francescani, in seguito amputati di parte del toponimo. Oggi ci meravigliamo dell’opulenza e del dinamismo di queste città statunitensi. Ebbene, tutte senza eccezione nacquero dalle missioni erette nel secolo XVIII dai Padri Francescani, sostenuti e difesi dall’esercito spagnolo.
Fra questi missionari spicca fra Junípero Serra, originario di Maiorca, nominato Presidente delle missioni dell’Alta California, cioè l’attuale Stato della California negli USA. La Bassa California si trova in Messico e fu anch’essa evangelizzata dai francescani e dai gesuiti. Fra Junípero è stato davvero il fondatore della California, tanto che il suo busto si trova nel Congresso Nazionale a Washington tra i Founding Fathers della Patria. Chi era fra Junípero Serra? Siamo lieti di proporre ai nostri lettori il testo, leggermente abbreviato, della relazione del dott. Bartomeu Font Obrador, grande esperto sulla vita dell’apostolo maiorchino, tenuta al Congresso Internazionale Serrano a Genova il 5 giugno 2004.
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Junípero Serra: l’ideale di un impero cristiano nel Pacifico settentrionale
di Bartomeu Font Obrador *
“Dio, fai di lui un santo!”. Questa la preghiera che fra Junípero Serra rivolgeva al Signore ogni volta che incontrava un nuovo indigeno. Affrontando condizioni estreme (California vuol dire “forno caldo”), i missionari francescani della Provincia del Messico conquistarono per la Chiesa e per la Civiltà cristiana i vasti deserti dell’America settentrionale. Un’epopea che i cronisti dell’epoca paragonarono ai racconti biblici. Nel momento in cui l’odio rivoluzionario si riversa sull’opera evangelizzatrice e civilizzatrice dei figli spirituali del Poverello d’Assisi, conviene ricordare quest’epopea.
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San Junípero Serra
li onori meritatamente tributati in tutti i continenti a fra Junípero Serra, non ci devono far dimenticare le radici e l’anima maiorchine di questo francescano, dal corpo esile ma dall’anima gigante. La vitalità delle sue radici affonda nel suolo benedetto dell’Isola Dorata, come i suoi millenari ulivi baciati dal sole mediterraneo. Junípero non ha improvvisato il suo ministero; l’ha invece maturato nell’arco di un’intera vita, assorbendo con lenta efficacia le caratteristiche dei maiorchini.
A questo caposaldo, Junípero aggiunse poi la spiritualità francescana. Lunghi anni di disciplina ascetica modellarono la sua personalità sullo spirito del Serafico Padre San Francesco. Poi venne anche la formazione intellettuale e la docenza universitaria. Già lettore di Filosofia al Reale Convento di San Francisco a Palma di Maiorca, fu designato ordinario di Teologia Scotista all’Università Lulliana ad appena trentuno anni. Fra Junípero alternava il magistero universitario con l’attività pastorale. Predicatore molto ricercato dalle parrocchie e dai conventi di Maiorca, ne ricordiamo due importanti sermoni nel Duomo in occasione del Corpus Domini. Conosciamo anche quattro sermoni in lingua maiorchina tenuti nel convento di Santa Clara.
Parte per l’America
All’apice del suo ministero accademico e pastorale, Junípero capì che l’amore di Cristo lo sollecitava a fare partecipi di questo suo sentimento tutti gli esseri umani, e particolarmente i più indigenti. Egli dunque partì alla volta dell’America dove, sempre più identificandosi con San Francesco e abbracciando con forza crescente la Croce, nei restanti trentacinque anni di vita, l’ex-cattedratico impartì le sue lezioni ai più disagiati dei figli di Dio: gli indios. Prima di tutto, egli desiderava le anime degli indios, quei figli di Dio nudi ma belli e ben proporzionati, che vagavano nelle immense distese del deserto. Era gente che nasceva in un buco nella terra, dove la madre per riscaldarsi si sdraiava su un letto di brace coperta da erbe; esseri umani che contavano i giorni con le ghiande e ritenevano i frati figli delle mule che cavalcavano, come il cucciolo portato dalla madre. Ogni volta che fra Junípero incontrava un nuovo indio, egli pregava: “Dio, fai di lui un santo!”. Insegnava agli indios a salutarsi con questa formula: “Amare Dio! Amare Dio!”. Egli ben sapeva quanto erano costate a Gesù Cristo queste creature, e non risparmiò sforzo, fatica, sudore né sofferenza pur di attirarli a Dio. Nel chiedere nuovi missionari, egli non nascondeva l’estrema durezza del compito. Li voleva “innamorati di Cristo” giacché, secondo quanto scriveva al suo Superiore in Messico, “per chi ama tutto riesce facile”. Era d’altronde molto frugale: “Finché godiamo di buona salute, e abbiamo una frittata di erbe silvestri, cos’altro possiamo ambire?”.
Nominato Predicatore Apostolico, fra Junípero si imbarcò a Cadice il 20 agosto 1749 alla volta del Messico. In una lettera indirizzata al suo amico padre Francisco Serra, del Convento di San Bernardino, egli così esternava la sua gioia. “È la cosa più bella che mi potesse succedere. È più di ciò che i miei genitori potessero desiderare per vedermi ben sistemato”. Nella stessa lettera spiegava che il movente di tale gesto non era altro che l’amore di Dio: “Per primo viene l’amore di Dio. La cosa più importante è fare la volontà di Dio. È per causa del Suo amore che ho lasciato i miei”. Ecco il suo scopo: “Sappiate che ho intrapreso questo cammino perché vorrei essere un buon religioso”. Casa natia di San Junípero, a Petra, Maiorca 8 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
Da buon figlio, egli rivolse un pensiero alla mamma Margherita, che aveva sempre pregato per lui: “Allora, madre mia, forse è proprio per le tue preghiere che Dio mi ha messo su questa strada. Siate soddisfatta con la volontà di Dio e dite continuamente: Benedetto sei tu o Dio e che sia fatta la tua volontà!”. Ecco una bellissima giaculatoria che racchiude tutta la spiritualità di fra Junípero.
Junípero lasciava alle spalle la sua terra e la sua famiglia. Lasciava anche la sua promettente carriera universitaria. Dodici anni di magistero lo avevano, infatti, consacrato come un grande intellettuale ed esimio oratore. Commentando un suo sermone del 25 gennaio 1749, un professore a lui per niente favorevole, esclamava: “Questo discorso merita di essere stampato a caratteri d’oro!”.
Difesa dell’Immacolata Concezione
La devozione di fra Junípero per la Madonna trae origine dall’Ave Maria che sua madre gli faceva recitare ogni mattina e sera, consolidandosi poi con la frequentazione delle festività mariane nel vicino convento di San Bernardino. Era nota la sua particolare devozione alla Madonna di Bonany, davanti alla quale, cinque giorni prima di intraprendere il suo viaggio senza ritorno,
egli tenne un sermone sul tema “Annuncia alle genti le meraviglie del Signore”, un vero presagio della gesta apostolica che lo aspettava nel Nuovo Mondo. La prima bimba indigena da lui battezzata ricevette il nome di Maria Bonany.
Fra Junípero nutriva un amore specialissimo alla Vergine di Guadalupe. La nave che lo condusse al Nuovo Mondo si chiamava Nuestra Señora la Virgen de Guadalupe. Arrivato in Messico, si recò subito al santuario del Tepeyac il 31 dicembre 1749 per ringraziare la Madre di Dio. Più tardi, intronizzò la sua effige nella chiesa della missione di Santiago di Jalpan, e ne fece dipingere un quadro all’artista indigena José Paez per la missione di San Juan Capistrano.
Predicava con fervore l’Immacolata Concezione col titolo di Purissima Prelata, alla quale dedicò una litania pubblicata nel 1765. Mai dimenticò la sua promessa di difendere il mistero dell’Immacolata Concezione, attirando perfino l’attenzione dell’Inquisizione in seguito ad un trattato dal titolo Novena di lode in onore della Purissima Concezione di Maria Santissima col titolo di Prelata. Eccone alcuni passaggi che mostrano l’espressiva delicatezza dell’autore: “Siate, Signora, Aurora che annuncia le nostre gioie, Ancora alla quale ormeggiare per non essere travolti dalla vita, Arma per difenderci dai nostri nemici, Alimento per non infiacchire il servizio del Vostro Figlio. Avvocata per ottenere la felicità finale, cosicché il nostro ultimo Alleluia sulla terra si intrecci col primo Alleluia in Vostra ammirevole compagnia e per tutta l’eternità. Amen”.
Mentre evangelizzavano, i francescani insegnavano agli indios l’agricoltura, l’allevamento e l’industria tessile
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San Junípero Serra Statua di San Junípero nel National Statuary Hall, al Campidoglio, Washington D.C.
di San Carlos, per esempio, mentre un frate andava a lavorare i campi con gli uomini, un altro insegnava alle donne, un terzo ai bambini e un altro ancora badava all’orto. Si riunivano tre volte al giorno per pregare insieme, dedicando poi la sera all’istruzione dei catecumeni. Ogni aspetto della vita delle missioni era oggetto della sua attenzione: gli indios, i soldati, i coloni, le raccolte, l’edilizia, il bestiame, le provviste e via dicendo. Senza tralasciare poi i rapporti col Governatore militare, il Vice Re e il Collegio di San Fernando, casa madre delle missioni. Tutta questa attività esigeva molto tempo, anche per poter scrivere lettere e rapporti. Nominato Presidente delle missioni, fra Junípero trascorreva ormai quasi la metà del tempo a scrivere. L’apostolica “sollecitudine per le chiese” comportava anche il frequente uso di carta e penna…
Sangue dei martiri
Per i campi apostolici non c’è miglior acqua che il sangue dei martiri. I campi della California sono irrigati col sangue maiorchino. Il primo a pagare il prezzo della vita fu Padre Luis Jaume, compagno di Junípero. Il 5 novembre 1775, in una notte di luna, seicento indios assaltarono la missione di San Diego, provocando ingenti danni, distruggendo le immagini e appiccando fuoco alle case. Padre Jaume, col crocifisso alla mano, tentò di calmarli con questa esortazione: Figli miei, amate Dio! Invano. Gli indios lo legarono e lo massacrarono con frecce e colpi di mazza, facendo poi scempio del suo corpo. Egli fu il protomartire di quelle terre vergini e il suo sangue incoraggiò fra Junípero. Ecco il suo commento quando gli fu comunicata l’infausta notizia. “Quella terra è ormai irrigata! Adesso possiamo sperare che gli indios di San Diego si convertano!”. Fra Junípero ordinò che gli fossero tributati massimi onori, e chiese ad ogni missionario di applicare in suffragio del padre Jaume le venti Messe prescritte dal rituale francescano.
La vita di Junípero era tutta dedicata ai suoi figli spirituali e ai missionari suoi confratelli, che egli manteneva costantemente occupati. Nella missione
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Vestire gli indios ignudi
La nudità degli indios era un problema assai grave nelle missioni californiane. Fra Junípero così esponeva il problema al Vice Re: “Coprire la nudità di tante bambine e bambini, uomini e donne, anche se solo in parte, non solo per proteggerli dal freddo, che da queste parti è molto rigido durante buona parte dell’anno, ma soprattutto per fomentare la decenza e l’urbanità, specie fra le donne, è una difficoltà colossale con la quale devo fare quotidianamente i conti”.
Nella stessa lettera il missionario spiegava al Vice Re che finora era riuscito a vestire gli indios consumando lo stipendio dei frati, raccogliendo qua e là vecchi vestiti e riciclando coperte militari. Ma, nel momento di scrivere, non avevano più niente: “In chiesa, in mancanza di altri vestiti, i nativi stanno riprendendo a usare le rozze pelli che avevano abbandonato al tempo del loro battesimo. Non abbiamo nemmeno un gregge di pecore per ricavarne la lana. (…) Forse questi lamenti raggiungeranno qualche riunione di gente ricca e devota in contatto con Sua Eccellenza. Mi auguro che possano aprire l’anima per quest’opera di misericordia di vestire l’ignudo, tanto importante quanto dare da mangiare all’affa-
“L’indio neofito Juan Evangelista rimase allibito, contemplando meravigliato i palazzi, le carrozze, le chiese del Messico. Disse che, ritornando alla sua terra, avrebbe cercato di convincere la sua gente a convertirsi”. Sopra: cattedrale di Città del Messico
mato. Per l’amore di Dio, mi perdoni Sua Eccellenza se ho osato disturbarLa”.
La lettera ebbe l’effetto desiderato e da Città del Messico arrivarono alle missioni molte elemosine, sia in denaro che in natura.
Colloqui nell’aurora dei nuovi tempi
Non tutto, però, era sofferenza nelle missioni di fra Junípero. C’erano anche tante consolazioni. Nel 1773, per esempio, egli fece un viaggio alla capitale accompagnato dall’indio Juan Evangelista, che egli stesso aveva battezzato e cresimato. Fu un’ottima occasione per conversare a lungo col neofito, penetrando la sua anima e comprendendo come essa si potesse aprire non solo alla Fede cattolica, ma anche alla civiltà europea. Per la prima volta con questa profondità, fra Junípero riuscì infatti ad analizzare i rapporti fra il mondo degli spagnoli e quello degli indios.
Fra Junípero domandò a Juan Evangelista se, vedendo i frati e i soldati spagnoli, i nativi fossero giunti alla conclusione che vi fosse una terra lontana dove tutti erano così. Egli rispose di no. I nativi, disse, pensavano che tutti gli uomini fossero come loro. Vedendo quella gente strana, avevano quindi immaginato che fossero sgorgati dal grembo della terra.
Arrivando in Città del Messico, così opulenta da meritare il titolo di “Roma dell’America”, Juan Evangelista rimase allibito, contemplando meravi-
gliato i palazzi, le carrozze, le chiese, le dame vestite in maniera elegante. La credenza che gli spagnoli fossero figli di mule o rigurgiti degli abissi col tempo andò svanendo ed egli riconobbe che c’era un altro mondo molto più bello. Disse che, ritornando alla sua terra, avrebbe cercato di convincere la sua gente a convertirsi.
Ritratto di Serra
L’allora sessantenne fra Junípero rimase al Collegio di San Fernando in Messico per ben sei mesi. Fu allora che un giovane frate scrisse a un compagno in Catalogna una lettera con quello che ritengo sia il ritratto più autentico del missionario maiorchino:
“Egli è il Padre Presidente [delle missioni], uomo di veneranda anzianità, già cattedratico all’Università di Palma. In ventiquattro anni di missioni, non ha mai risparmiato nessuno sforzo per la conversione degli infedeli. Nella travagliata vecchiaia conserva la forza del leone, arrendendosi soltanto alla febbre alta. Né gli acciacchi, specialmente quelli del petto che lo soffocano, né le piaghe nei piedi e nelle gambe riescono a trattenerne l’impeto apostolico. “Durante la sua permanenza in mezzo a noi egli ci ha stupito. Trovandosi gravemente ammalato, non ha mai trascurato di venire al coro, sia di giorno che di notte, tranne quando aveva la febbre troppo alta. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 11
San Junípero Serra
Giovanni Paolo II pellegrino da fra Junípero Il 17 settembre 1987, Papa Giovanni Paolo II si recò a Carmel per rendere omaggio all’Apostolo della California. Seguono alcuni brani del suo discorso:
“Vengo oggi quale pellegrino a questa missione di San Carlo che evoca così fortemente lo spirito e le gesta eroiche di Fra Junípero Serra e che custodisce i suoi resti mortali. Questo luogo bello e sereno è veramente il cuore storico e spirituale della California. Tutte le missioni di ‘El Camino Real’ rendono testimonianza alle lotte e all’eroismo di un’epoca passata, ma non dimenticata e senza significato per la California e la Chiesa di oggi.
“Questi edifici e gli uomini che li animarono, specialmente il loro padre spirituale, Junípero Serra, sono il ricordo di un’età di scoperte ed esplorazioni. Le missioni sono il risultato di una consapevole decisione morale presa da uomini di fede in una situazione che presentava molte possibilità umane sia buone che cattive, nei confronti del futuro di questa terra e delle popolazioni indigene. Fu una decisione che aveva le sue radici nell’amore di Dio e del prossimo. Fu una decisione di proclamare il Vangelo di Gesù Cristo all’alba di una nuova era, cosa estremamente importante sia per i colonizzatori europei sia per gli indigeni americani. “Molto spesso, nei momenti cruciali delle vicende umane, Dio chiama uomini e donne cui affida ruoli di importanza decisiva per il futuro sviluppo della società e della Chiesa. Sebbene la loro storia si svolga nell’ambito dell’ordinarietà della vita quotidiana, essi trascendono la loro vita in seno alla prospettiva storica. A maggior ragione ci rallegriamo quando le loro conquiste sono accompagnate da una santità di vita che può dirsi veramente eroica. È questo il caso di Junípero Serra che la Provvidenza divina chiamò ad essere apostolo della California e ad avere un’influenza permanente sul patrimonio spirituale di questa terra e del suo popolo qualunque sia la sua religione. Tale consapevolezza apostolica viene colta nelle parole a lui attribuite: ‘in la California è la mia vita e là, a Dio piacendo, spero di morire’. Per mezzo del mistero pasquale di Cristo, quella morte è divenuta un seme nella terra di questo Stato che continua a dare frutto, ‘dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta’.
“Padre Serra era un uomo convinto della missione della Chiesa, a lei conferita da Cristo stesso, di evangelizzare il mondo ‘di ammaestrare tutte le nazioni, battezzandole in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo’. Il modo in cui egli ha adempiuto a quella missione corrisponde fedelmente all’odierna visione che la Chiesa ha sul significato dell’evangelizzazione ‘. . . la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri’. Egli non soltanto portò il Vangelo agli indigeni americani, ma quale persona che viveva il Vangelo divenne anche il loro difensore e il loro campione”. (Nella foto, Giovanni Paolo II deposita un’offrenda floreale sulla tomba di fra Junipero, a Carmel)
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Più volte lo abbiamo dato per morto, e più volte è risuscitato. Se qualvolta si è recato in infermeria, è stato solo per obbedienza. Più volte nei suoi viaggi fra gli infedeli, egli si è trovato così male, sia per le piaghe che per altre infermità, che ha dovuto essere trasportato in lettiga, non volendo fermarsi per curare il corpo mezzo morto. Ma, con grande stupore di tutti, si è sempre ripreso ad opera della divina Provvidenza. Veramente, per queste cose, per l’austerità di vita, umiltà, carità e altre virtù, egli merita di essere annoverato fra gli imitatori degli Apostoli.
“Fra poco farà ritorno a Monterey, mille miglia di strada per terra e mare, come se niente fosse. Andrà a visitare le missioni, rallegrandole con la sua presenza e fondandone altre fino alla morte. Che Dio gli conceda molti anni di vita! Potrei dire tante cose di questo sant’uomo. Diverse volte è stato eletto Guardiano, ma non è mai stato confermato, sia che si trovasse lontano, sia che i superiori non ritenessero di poter privare le missioni di uomo tanto singolare”.
Un Rosario di missioni
Lo scopo di Serra era di erigere quante missioni fossero necessarie al fine primario di convertire gli indios, secondo quanto si rivela dalla sua fitta corrispondenza. Tra la baia d Carmel e il porto di San Diego, egli fondò ben cinque missioni lungo il Camino Real. Seguirono, in ordine cronologico, le missioni di San Francisco, San Juan Capistrano e Santa Clara. Più a sud c’erano le missioni di San Antonio, San Luis Obispo e San Gabriel. Possiamo quindi parlare di una vera e propria catena di missioni, distanti una dall’altra non più di quarantacinque miglia. La parola “catena”, però, è troppo fredda, forse è meglio parlare di un “Rosario”, dove i grani sarebbero le missioni e la catenina la strada che le collegava. Fra Junípero stesso parlava delle sue fondazioni come una “scala”, che egli saliva e scendeva lungo la costa settentrionale del Pacifico.
Come S. Francesco, Junípero aveva mortificato troppo il suo corpo. Arrivato ai settant’anni, era ormai sfinito. Nel 1784 si ritrovò privo di forze e col respiro affannoso. Al dolore alla gamba non ci faceva nemmeno più caso, era da troppo tempo ormai che lo tormentava. A metà agosto, il dottore lo visitò e gli propose un cauterio per liberare i polmoni. Purtroppo non servì a niente. Il servo di Dio capì allora che era giunto il momento di rimettersi nelle mani del Padre.
Il ventisette le sue forze cominciarono a venir meno. Disse subito a padre Palou, suo confessore, che desiderava recarsi in cappella per ricevere la Co-
munione e quindi prepararsi al trapasso. Andò coraggiosamente a piedi, accompagnato da una processione di frati, ufficiali reali, soldati e indios. Inginocchiatosi, cantò con voce forte il Tantum ergo per l’ultima volta. Con le lacrime agli occhi, ricevette l’assoluzione e poi la Santa Comunione. Rientrato nella cella, sentì mancargli le forze e chiese l’estrema unzione, recitando in seguito le litanie dei santi e i salmi penitenziali.
Il giorno dopo, 28 agosto e festa di S. Agostino, ebbe un leggero miglioramento. Seduto su un’austera sedia di bambù, ormai sentiva la morte come una compagna. Chiese al suo confessore di essere seppellito vicino al compianto confratello fra Juan Crespi. Riuscì ancora a pregare il Breviario e a prendere una tazza di brodo. Adagiandosi sul giaciglio di legno grezzo, si addormentò per non risvegliarsi più. Fu trovato dal suo discepolo e biografo padre Palou abbracciato al suo crocifisso di 40 cm, che lo aveva sempre accompagnato in tutte le fatiche apostoliche. Consci di avere perso un padre benigno, gli indios gli offrirono meravigliosi fiori selvatici e alcuni, mentre tutti piangevano, pensarono bene di ritagliarsi pezzi dell’abito per conservarli come preziose e venerate reliquie.
La beatificazione
Nella solenne Messa del 25 settembre 1988, S.E. Mons. Thaddeus Shubsda, vescovo di Monterey-Fresno, chiedeva ufficialmente al Papa la beatificazione di fra Junípero, presentando un resoconto della sua vita corredato da abbondante documentazione, nella quale spiccava la già menzionata Representación, nota anche come Dichiarazione dei diritti degli Indigeni. Un anno dopo, Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato. In California la sua festa si celebra il primo luglio, in ricordo del suo arrivo a San Diego. In Maiorca, invece, si celebra il 26 agosto.
P.S.: Il 23 settembre 2015, fra Junípero Serra è stato canonizzato da Papa Francesco. Purtroppo, l’autore di queste righe non ha potuto vedere il lieto frutto delle sue fatiche, essendo deceduto nel 2005, pochi mesi dopo aver dato questa conferenza, che riproponiamo qui anche come omaggio a questo grande innamorato di fra Junípero. * Conferenza tenuta dal dott. Bartomeu Font Obrador a Genova il 5 giugno 2004, nel Convegno Internazionale Serrano. Riprodotto con autorizzazione. Cfr. «Atti del Convegno “Il Beato Junípero Serra e l’Evangelizzazione delle Americhe”», Genova, Serra International, 2005. Il dott. Font Obrador (1932-2005) era Presidente dell’Associazione amici di fra Junípero Serra, di Palma di Maiorca. (Foto pg. 10: Jamie Garbutt) TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 13
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
Dalla Politica alla Psicologia
cambia la Rivoluzione, e anche la Contro-Rivoluzione di Plinio Corrêa de Oliveira * Le nuove generazioni si interessano sempre meno della res pubblica e sempre più del proprio problema esistenziale. Come cambia il panorama della lotta fra la Rivoluzione e la Contro-Rivoluzione?
M
olti anni fa, ebbi un incontro col professore Lippmann (1), docente di Psicologia presso l’Università Cattolica di Petrópolis. Egli mi disse una cosa sulla quale ho riflettuto molto. Non ho mai avuto occasione di parlarne. Forse è arrivato il momento.
Dalla Politica alla Sociologia e poi alla Psicologia
Secondo l’intellettuale tedesco, il secolo XIX era stato quello delle grandi riforme politiche. La Po-
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litica interessava tutti gli spiriti, dominando il discorso pubblico. Poi venne scoperto un nuovo soggetto, che cominciò ad attirare tutte le attenzioni: la Sociologia. Nel secolo XX la curiosità pubblica cominciò a indirizzarsi verso il campo sociale, e scoppiò la Sociologia, aprendo l’epoca delle grandi riforme sociali. Questa scoperta veniva incontro a un’appetenza che covava già da qualche tempo, preparandone l’avvento. Sia la Politica che la Sociologia, secondo Lippmann, sono campi del pensiero umano che riguardano gli altri. L’uomo mette il massimo del suo
interesse nel sapere come funziona lo spirito degli altri, non tanto come individui bensì come collettività. “Ora si sta aprendo un nuovo campo molto più importante – continuava Lippmann – questo campo sta attirando l’attenzione di tutti i giovani: la Psicologia. L’uomo sarà depoliticizzato, e anche la sociologia perderà il suo fascino. D’ora in poi il grande problema dell’uomo sarà la sua psicologia, e la psicologia delle masse nella misura in cui essa può spiegare la sua psicologia. L’uomo comincerà a preoccuparsi di sé stesso”.
Le parole del docente tedesco furono per me molto illuminanti. Pensai: dopo la riforma dello Stato e la riforma della società, la Rivoluzione adesso vuole riformare l’uomo. E perciò si approfitta della fragilità psicologica dell’uomo contemporaneo. Il disordine della società moderna ha ridotto l’uomo allo stato di naufrago. L’uomo si preoccupa sempre meno degli altri e sempre più del suo personale naufragio. Immaginate il naufragio di una nave e persone che galleggiano tra le onde aggrappate a pezzi di legno. Non sono a rischio immediato di affondare, ma ovviamente sono a disaggio. Passa una barca, e qualcuno grida ai naufraghi: “Ragazzi, volete discutere sull’oceanografia e sulla composizione chimica delle acque di questo luogo per capire dove vi trovate?”. Naturalmente, i naufraghi reagiranno male: “Ma che ce ne importa dell’oceanografia o della chimica! Lei non vede che siamo stremati, affamati, feriti? Vogliamo salire sulla sua barca per esservi curati, per bere e mangiare! Vogliamo liberarci dalla balìa delle onde e salire su una nave che abbia una rotta fissa! Vogliamo salire su qualcosa di solido!”.
la offre come una falsa soluzione. In altre parole, la Rivoluzione ha preparato l’appetenza e, nello stesso tempo, ha preparato anche le discipline, naturalmente contraffatte e menzognere, che dovevano soddisfare tale appetenza. Quando l’appetenza è esplosa dal fondo del subcosciente, la Rivoluzione ha dato in pasto al pubblico quello che aveva già preparato, trovandovi di conseguenza un’accoglienza avida.
La Contro-Rivoluzione
Tutto ciò ha provocato una variazione, uguale e opposta, nella strategia della Contro-Rivoluzione. Per molto tempo noi abbiamo analizzato i grandi problemi politici e sociali, con qualche incursione nel terreno economico. Dal momento in cui abbiamo dovuto iniziare a occuparci anche di cibernetica, di biologia, di transpsicologia e via dicendo, abbiamo iniziato a occuparci delle trasformazioni interiori dell’uomo. Siamo andati esattamente nella direzione indicata da Lippmann.
In questo modo, oggi, la Contro-Rivoluzione ha come due volti. Uno è quello classico, eminentemente socio-politico, che analizza la situazione del mondo contemporaneo per cercare di arginare l’avanzata del processo rivoluzionario, proponendo delle alternative. Sullo sfondo, la domanda cruciale: per quanto tempo durerà ancora il dominio della Rivoluzione? L’altro volto è quello che rimane conti-
Questo spiega le gravi mancanze psicologiche delle nuove generazioni. In tale situazione, avvitato sulla sua personale crisi, l’uomo rimane come ipnotizzato e si rivolge alla Psicologia, o a qualunque cosa assomigli alla Psicologia, come la cibernetica e la parapsicologia, per cercare di lenire la sua crisi. Secondo me, quest’appetenza per la Psicologia, dovuta al naufragio della società rivoluzionaria, affonda le radici in epoche precedenti a quella della Sociologia e perfino della Politica. È qualcosa che la Rivoluzione ha preparato per secoli, e adesso Il predominio di una psicologia improntata al freudo-marxismo sta portando a un nuovo tipo di persecuzione religiosa, imposta da una sorta di nuova Inquisizione terapeutica
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Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
nuamente alla ricerca del momento psicologico opportuno per poter, nel caos degli avvenimenti contemporanei, proclamare nella sua integrità lo spirito cattolico tradizionale e contro-rivoluzionario, dando una risposta radicale ai problemi psicologici dell’uomo contemporaneo. Cioè, dire una parola, lanciare un proclama, mostrare un simbolo da cui l’uomo contemporaneo possa trarre beneficio per il proprio rafforzamento psicologico. Io vedo che molte persone, specie i giovani, sono alla ricerca di questa ventata di aria fresca che possa lenire il proprio naufragio interiore.
Ci sono quindi due modi di concepire oggi l’azione contro-rivoluzionaria. Uno non esclude l’altro, non c’è nessuna contraddizione tra loro. Anzi, sono complementari. Per alcuni, l’attenzione è rivolta alla vittoria socio-politica. Per altri, la vittoria avverrà solo quando una mentalità integralmente cattolica si imporrà sulla mentalità rivoluzionaria. L’idea soggiacente è che la lotta tra la Madonna e il diavolo nel mondo di oggi consiste meno nelle manovre socio-politiche e più nello scontro fra due mentalità, fra due spiriti. Quando la mentalità cattolica si manifesterà con tutta la sua intensità, allora vincerà sull’altra. Così, la grande lotta della Rivoluzione e della Controrivoluzione consisterebbe nella manifestazione di due opposte mentalità. Questa sarebbe, per così dire, la guerra nucleare fra la Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. In questa situazione, la risposta non può venire dalla politica. I partiti politici oggi sono come degli alberi colpiti da un fulmine e rimasti rinsecchiti. Sembrano club di persone che giocano con la cosa pubblica, senza mai dare risposte sostanziali ai problemi dell’uomo contemporaneo.
Due aspetti della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione nella storia
Quando vediamo questo sviluppo nelle nuove generazioni di oggi siamo inevitabilmente portati a guardare indietro nella storia. Io mi domando se questi due aspetti – socio-politico e psicologico – non siano andati sempre insieme nei grandi avvenimenti della storia, e se molti storici non abbiano peccato di superficialità nel non studiare entrambi, o nel dedicare a quello psicologico una menzione appena poetica. Prendiamo ad esempio uno dei maggiori tournants della storia: l’espansione della religione cattolica nel bacino Mediterraneo nei primi secoli, terminata in una grande vittoria sul paganesimo. La
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si può studiare nei fatti. La si può studiare attraverso le controversie teologiche e i problemi interni della Chiesa. La si può studiare dal punto di vista sociologico. Resta, però, qualcosa di più profondo che solitamente scappa all’analisi storica, e che scaturisce direttamente dal Vangelo di Nostro Signore Gesù Cristo e dagli Atti degli Apostoli.
Si percepisce che lì, lo spirito di Nostro Signore Gesù Cristo si manifestò in un modo così magnifico, con così tanta ricchezza, con così tanta abbondanza e con una superiorità tale che non è possibile dire altro se non che fosse divino. Per quelli che avevano una mentalità coriacea – gli ebrei e i pagani – sorse un nuovo Sole, con tutta la forza dell’aurora. Di colpo, essi compresero che il loro sole era al tramonto. Psicologicamente fu una battaglia tra due soli, in cui il nuovo Sole vinse per la forza intrinseca della sua presenza.
Gli idoli dei pagani implosero e marcirono per quella prima dimostrazione di Fede Cattolica, tale che fino ad oggi turba chi gli è contrario. Dopo aver conquistato il mondo romano, conquistò anche quello barbaro. Quelle genti che vivevano nelle selve nordiche, fra tamburi e riti pagani, si ammorbidirono di fronte al Sole che sorgeva. Lo spirito cattolico brillò con una tale forza, che la conquista del resto del mondo ne fu poi una conseguenza. Oggi, nel momento in cui la Rivoluzione sta raggiungendo il suo apice, quelli che sperano nella vittoria della Madonna lo fanno perché sanno che l’unico vero Sole, il Sole di Giustizia, è Nostro Signore Gesù Cristo, che risplende dietro le nuvole più nere. Essi sono convinti che, più Egli sarà rifiutato dall’umanità, più Egli brillerà oltre le nuvole. Essi sentono il contrasto fra quella Luce e tutto quanto sta succedendo quaggiù. E lottano, nella speranza fondata che un giorno quel Sole brillerà di nuovo con tutto il suo fulgore. Io credo che questo tipo di meditazione sia quanto di meglio può fare un contro-rivoluzionario ai giorni nostri. La Contro-Rivoluzione non può e non deve abbandonare il discorso logico e ragionato, ma deve capire che, oltre a convincere, essa deve anche, e forse principalmente, suscitare un certo spirito. E ciò non si fa col discorso analitico bensì con i simboli.
* Tratto dalla registrazione magnetofonica di una riunione del 17 aprile 1982 per soci e cooperatori della TFP brasiliana. Senza revisione dell’Autore. 1. Hanns Ludwig Lippmann. D’origine tedesca, fu lui a introdurre in Brasile questa disciplina, creandone la prima cattedra presso l’Università Cattolica di Petrópolis nel 1953.
due mondi a confronto...
La grande lotta della Rivoluzione e della Contro-Rivoluzione, oggi, consiste soprattutto nella manifestazione di due opposte mentalitĂ
Nella foto, un volontario della TFP americana affronta un militante di Black Lives Matter che, armato da revolver, gli intima ad andersene TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETĂ€ / OTTOBRE 2020 - 17
Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
Intervista a Roberto Marchesini
È uscito, per i tipi della Sugarco, il nuovo libro di Roberto Marchesini «Le vie della psicologia. Storia e tendenze contemporanee». L’autore vi denuncia l’abbandono da parte della psicologia moderna di ciò che, invece, dovrebbe essere il suo fine precipuo: la cura dell’anima umana. Oggi, la psicologia è diventata una pericolosa arma della rivoluzione culturale. Il suo libro è un appello per una psicologia indirizzata all’anima della persona umana e, quindi, fondata sull’idea di ordine e di finalità, naturale e trascendentale, l’esatto opposto di dove ci sta portando la psicologia moderna. Cominciamo col definire che cosa è la psicologia e quali sono il suo obiettivo e la sua utilità?
L’incarnazione del Logos ha diviso in due la storia (avanti Cristo e dopo Cristo), la cultura e, occorre dirlo, l’umanità. Ha diviso anche la psicologia. C’è infatti una psicologia dopo Cristo che è studio dell’anima umana (questo è il significato etimologico della parola psicologia) e ha come obiettivo la piena realizzazione dell’anima in conformità al Logos. Questa è la psicologia dei filosofi greci, di san-
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t’Agostino, di san Tommaso, dei carmelitani, di sant’Ignazio. E c’è una psicologia anti-Cristo, nel senso che rifiuta il Logos. È, questa, la psicologia moderna e contemporanea. Per usare le parole dello psicologo statunitense John Broadus Watson (1878-1958), lo scopo della psicologia moderna e contemporanea è «la predizione e il controllo del comportamento», ossia la manipolazione e il controllo dell’uomo. La prima e la seconda sono due psicologia antitetiche e incompatibili, con obiettivi del tutto diversi.
Secondo Lei, la psicologia moderna inizia quando da questa è separata l’anima e comincia a essere studiata come scienza empirica, ridotta allo studio della percezione e dei fenomeni biologici.
La psicologia non è più indirizzata al bene dell’anima. Potrebbe approfondire questo concetto?
La ribellione al Logos (che è anche «ordine») si manifesta come un rifiuto della Legge naturale, Sua conseguenza e manifestazione; e delle leggi morali e religiose, che sono l’aspetto della legge naturale che viene percepito dall’uomo. Ora: poiché la facoltà umana deputata a cogliere le leggi morali e religiose è la ragione, che lo fa mediante la filosofia metafisica, l’uomo moderno ha, innanzitutto, negato la possibilità di questa scienza, e negato che la ragione umana possa cogliere realtà metafisiche. Queste sono state definite, di volta in volta, idola, superstizioni; e la ragione umana è stata focomelizzata, dichiarata capace di cogliere soltanto le realtà materiali, sensibili (questo è l’aspetto fondamentale dell’empirismo, dell’illuminismo, del romanticismo). Come conseguenza di questo percorso, la psicologia non si dà più come compito quello di indagare l’anima e la sua fisiologia naturale, in armonia con il Logos e a Esso destinata; bensì quello di studiare i singoli processi fisiologici, misurabili, che avvengono nel corpo dell’uomo. Nasce così la psico-fisiologia e, quindi, la psicologia moderna. Ritiene che l’abbandono dell’anima umana abbia dato inizio all’esplosione di quella nevrosi che caratterizza il mondo moderno?
È l’opinione del cardinale Danneels, espressa in un libretto aureo (GODFRIED DANNEELS, Fede cristiana e ferite dell’uomo contemporaneo, Piemme, Casale Monferrato AL 1985), che io condivido. Secondo questo principe della Chiesa l’uomo moderno, privato del senso e dell’orizzonte ultimo della vita, condannato dalla cultura moderna ad una vita esclusivamente materiale, ha mostrato tutta la sua sofferenza con lo sviluppo della nevrosi. In effetti, come rileva lo psichiatra olandese Jan Hendrick van den Berg (1914-2012), «È quasi certo che le turbe nevrotiche non si incontravano in Europa prima del XVIII secolo. Prima del 1733, non c’è libro di medicina che parli di nevrosi». Lo psicologo cattolico Rudolf Allers (1883-1963) scrisse: «Da quando questo atteggiamento del non serviam è radicato nell’intimità più profonda della natura umana, la nevrosi stessa non è che una esagerazione delle caratteristiche della personalità umana comune a tutti noi. Solo il santo è libero dalla nevrosi e al di là di essa, perché soltanto lui ha accettato, tramite un’azione di “assenso reale”, la sua condizione di essere finito, di un semplice nulla di fronte all’infinito. Un’analisi completa della mentalità nevrotica scoprirà che in tutti i casi di nevrosi senza
eccezioni il problema reale è metafisico». Anche lo psichiatra ebreo Viktor Frankl (1905-1997), allievo di Allers, individuò nella mancanza di un significato della vita l’origine della nevrosi; arrivò persino a denominare la sua psicoterapia con il neologismo «logoterapia».
Dal crollo del Medioevo cristiano si è passati dalla predominanza dell’interesse per le cose religiose, all’interesse per la sfera politica, a un’epoca in cui la sociologia ha preso il sopravvento, fino ai nostri giorni in cui tutto è riportato alla psicologia. Lei vede in questo un processo di decadenza dell’uomo?
Forse, più che un processo di decadenza dell’uomo (che è e rimane fatto «a Sua immagine»), si tratta di un processo di decadenza della cultura, della filosofia e della psicologia. Non è un caso se, dal punto di vista artistico, tutto ciò che le persone vogliono vedere (pittura, architettura, scultura…) risale a prima della modernità o, nei paesi cattolici, al Settecento come limite ultimo. La modernità, a quanto pare, è stata solo capace di distruggere, e non di costruire. La cosa ha senso, se pensiamo che la modernità si caratterizza come rifiuto del Logos, cioè del senso, dell’ordine e dell’armonia del creato. Ovvia-
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Rivoluzione e Contro-Rivoluzione
mente questo vale anche per ciò che è specificamente umano, cioè la cultura.
L’attuale fase del processo rivoluzionario in cui ci troviamo – chiamato genericamente da Plinio Corrêa de Oliveira la 4a Rivoluzione – ha come motore la liberazione degli istinti, soprattutto quello sessuale. In tale contesto, la psicologia – da Freud in poi – diventa l’arma più importante delle forze rivoluzionarie, il grimaldello col quale stanno cercando di scardinare ciò che resta della Civiltà cristiana. Potrebbe commentare questo? Qual è il ruolo della Scuola di Francoforte? Riprendiamo quanto abbiamo scritto in risposta alla seconda domanda. Il rifiuto del Logos, delle
leggi morali e religiose, della metafisica e della ragione umana ha portato ad un ribaltamento dell’antropologia. L’uomo classico aveva, al suo vertice, la ragione, cioè la facoltà umana più alta e quella che lo avvicina a Dio («ragione» è un’altra delle possibili traduzioni della parola greca Logos). Le passioni sono al servizio della ragione: chiamate anche e-mozioni, devono guidare l’uomo verso il bene e lontano dal male individuati dalla ragione. Questa antropologia è riassunta perfettamente nel mito platonico della biga alata. La modernità detronizza la ragione e mette, al posto di comando, le passioni. Si tratta di una antropologia rovesciata. La passione umana più facile da suscitare, e la più potente, è senza dubbio l’impulso sessuale. Ecco perché, con la psicoanalisi freudiana ma in maniera ancora più esplicita con Reich (1897-1957) e con la cosiddetta «Scuola di Francoforte», c’è una e vera e propria intronizzazione della sessualità come regina della persona umana, in grado addirittura di guidare la società attraverso la nota «rivoluzione sessuale». Finiamo, però, con un tono di speranza. All’orizzonte, quali possibilità vede di ripresa di un discorso psicologico fondato sulla natura e sulla Fede cristiana? Ritiene che ciò possa essere un rimedio importante alla crisi moderna?
Personalmente, lavoro da decenni attorno alla rinascita di una psicologia in sintonia e finalizzata al Logos. I risultati non sono esaltanti, ma un gruppo sempre più nutrito di colleghi si sta avvicinando a questo sforzo. Grazie a loro, si stanno moltiplicando anche le iniziative in questo senso. Sono sempre più convinto, soprattutto dal punto di vista clinico, che questa sia la psicologia in grado di rispondere ai tanti bisogni dell’uomo contemporaneo. In effetti, i risultati della psicologia e psicoterapia moderna non sono esaltanti… “Solo il santo è libero dalla nevrosi e al di là di essa, perché soltanto lui ha accettato, tramite un’azione di ‘assenso reale’, la sua condizione di essere finito, di un semplice nulla di fronte all’infinito”
Rudolf Allers
A sin., San Massimiliano Kolbe
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The Great Reset: i globalisti vogliono resettare l’economia post-COVID
di Jeanne Smits
Lo chiamano “The Great Reset”. Vogliono “re-immaginare” il mondo a cominciare dall’economia, approfittando perciò della finestra di opportunità offerta dalla pandemia da COVID-19. Vi sono coinvolti tutti i “big” della finanza e della politica internazionale. E anche Papa Francesco vorrebbe dare il suo contributo nel prossimo incontro d’Assisi.
“N
ulla sarà più come prima”: quante volte l’abbiamo sentito nell’apice della pandemia di COVID-19? Il mondo “post-COVID”, ha ribadito l’establishment politico-mediatico, dovrebbe trovare una “nuova normalità”. E questo è davvero ciò che sta accadendo: i viaggi facili, le relazioni interpersonali calorose, i grandi incontri, le libertà individuali e persino le semplici strette di mano sembrano dover lasciare il posto al distanziamento sociale a lungo termine, a delle regole schizzinose ed a una sorveglianza potenzialmente drastica. Ma questa è solo una parte del quadro. Il World Economic Forum – quello dei famosi incontri globali di Davos – in collaborazione con il Principe Carlo d’Inghilterra e il Fondo Monetario Internazionale, ha lanciato un’iniziativa che rivela già da ora alcuni obiettivi, la cui realizzazione viene facilitata dalla grande paura del coronavirus cinese. Battezzata “The Great Reset” (il Grande Reset), tale iniziativa cercherà di “rico-
struire” il sistema economico e sociale globale al fine di renderlo più “sostenibile”. Questo cambiamento da cima a fondo è presentato come necessario a causa del crollo dell’economia mondiale, a sua volta conseguenza del lockdown generale. In un breve video su YouTube i suoi stessi promotori presentano l’idea, che ha ricevuto il pieno sostegno del segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, ex presidente dell’Internazionale socialista dal 1999 al 2005.
“The Great Reset”: un’ impresa fondamentalmente rivoluzionaria
Tecnicamente, un reset è un re-inizio: nel linguaggio dei computer, la parola significa cancellare tutto il software e i dati da un disco rigido per riformattarlo al fine di una nuova partenza. Trasposto all’attività umana, il reset, la ripartenza, significa in TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 21
The Great Reset
“Questa è un’opportunità che non abbiamo mai avuto prima e che potremmo non avere mai più” Principe Carlo d’Inghilterra
modo molto preciso una rivoluzione: un ritorno alle origini, una trasformazione profonda di tutto ciò che fino ad allora era stato, si faceva e si pensava comunemente. “Del passato facciamo piazza pulita!”. È da decenni che il World Economic Forum, fondato dal professor Klaus Schwab nel 1971, riunisce ogni anno capi di Stato, miliardari e grandi leader aziendali per riflettere sulle questioni economiche e di “governance”, come si suol dire. Si tratta di lavorare per il raggiungimento di un obiettivo comune: l’estensione del libero commercio mondiale, l’istituzione di regole mondiali comuni in modo da sostituire il processo decisionale sovrano a livello di nazioni o, addirittura, la promozione della non discriminazione “per trasformare le economie e le società”, come affermano gli stessi organizzatori degli incontri di Davos.
Il World Economic Forum organizza la governance mondiale a Davos
Per molto tempo, gli incontri annuali di Davos si sono svolti in modo molto discreto, se non segreto. Questo è cambiato lentamente, poiché gli obiettivi del World Economic Forum sono entrati negli usi politici e mediatici: l’agenda e l’elenco dei partecipanti degli incontri principali, alcuni dei quali regionali, che si tengono in altri periodi dell’anno, in particolare in Cina, sono ora disponibili online, anche se si dice che molti dibattiti e processi decisionali si svolgono al di fuori delle conferenze e delle riunioni trasmesse su Internet. L’edizione 2021, dedicata alla “grande ripartenza”, promette di essere molto di22 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
versa. Mentre un incontro fisico avrà luogo come al solito nella stazione sciistica svizzera di Davos (nessuno entra a Davos al momento del Forum senza un invito ufficiale) questa volta verrà organizzata una partecipazione online mondiale per un forum virtuale che riunirà molti “detentori di azioni” a livello internazionale (gli “azionisti” di cui parleremo di seguito) e in particolare i giovani. Si dice che questi abbiano già una voce decisiva per il mondo futuro. Tutto ciò profuma di “dinamiche di gruppo” a tutta velocità.
I dialoghi del grande reset economico e planetario
Nei mesi che ci separano dall’incontro di Davos a gennaio, i preparativi per l’evento sono programmati attraverso: “I dialoghi del grande reset” («The Great Reset Dialogues»). “Una serie d’incontri virtuali su Internet che promettono di essere molto interessanti, dal momento che ci permetterà di sapere più precisamente come i globalisti del World Economic Forum vogliono rimodellare il futuro”.
Globalisti lo sono davvero giacché è così che si presentano i promotori dell’iniziativa. Basti un esempio: il primo ministro etiope Abiy Ahmed, che ha partecipato alla prima presentazione pubblica dell’iniziativa sotto l’egida del World Economic Forum, ha detto: “Considero questa dolorosa pandemia globale come una sfida complessa ed in evoluzione. In un mondo connesso e interdipendente, una sfida complessa e mutevole non può essere affrontata dai singoli paesi se non attraverso … una azione collettiva e una cooperazione globale”.
“La pandemia ci offre una stretta ma forse unica finestra di opportinità per riflettere, reimmaginare e resettare il nostro mondo” Klaus Schwab Fondatore e Presidente Esecutivo del World Economic Forum
Economia verde, decarbonizzazione, lotta alla disuguaglianza: il Grande Reset è già pronto
Ciò corrisponde perfettamente al desiderio di Antonio Guterres di vedere il 10% del PIL del pianeta utilizzato a livello internazionale per rispondere alle ricadute economiche e sanitarie della pandemia di COVID-19 con soluzioni “globali”, allo scopo di una rinascita della società, come afferma egli stesso.
A pensarci bene ciò che già sappiamo dell’iniziativa “Great Reset” del World Economic Forum, nata dalla piattaforma d’azione COVID dello stesso forum, sembrerebbe che i giochi siano già fatti. “Economia verde”, “decarbonizzazione”, “lotta contro le disuguaglianze”, “capitalismo degli azionisti («stakeholder capitalism»), obiettivi di sviluppo sostenibile (gli SDG delle Nazioni Unite per il 2030) sono termini ricorrenti nella letteratura del Forum di Davos che presenta l’iniziativa. Nessuno di questi termini è nuovo od originale: in effetti, l’unica cosa che ha cambiato la situazione è la pandemia (e il lockdown da essa originato), usato ora come motore per il cambiamento. In questo caso, non è la malattia ad essere adoperata come leva, bensì il crollo economico globale che l’ha accompagnata “grazie” al lockdown. Per quanto riguarda il Reset stesso, se ne stava già parlando prima che il coronavirus cinese lasciasse Wuhan. Il 30 dicembre 2019, ad esempio, il Financial Times aveva pubblicato una presentazione su YouTube dal titolo “Perché il capitalismo deve es-
sere resettato nel 2020”. Il tema era il “capitalismo degli azionisti”, in base al quale “le scelte di un’azienda nei confronti delle persone, del pianeta e dell’innovazione – compreso il modo in cui protegge e applica il valore aggiunto dei suo dati – deve prendere più spazio nelle decisioni di allocazione del capitale” (questa è la descrizione fornita dal sito weforum.org). Ma ora è il COVID-19 a rendere possibile il precipitare in questa rivoluzione.
Principe Carlo: “Un’occasione d’oro”
Presentando la Great Reset Initiative, di cui è uno dei principali promotori, il principe Carlo d’Inghilterra sembra addirittura abbastanza soddisfatto della situazione: “Abbiamo una occasione d’oro per ottenere qualcosa di buono da questa crisi. Le sue onde d’urto senza precedenti potrebbero rendere le persone più ricettive alle grandi visioni del cambiamento”, ha affermato. Lo shock e la grande paura globale sono davvero potenti motori. Tra le citazioni chiave dell’incontro virtuale online in cui il presidente del World Economic Forum, il professor Klaus Schwab, il principe Carlo e molti altri hanno presentato l’iniziativa Great Reset, ci sono molte osservazioni del genere. Dichiarando che il “cambiamento climatico” rappresentava un pericolo ben più grande della pandemia di coronavirus, il principe Carlo ha chiesto una “ripresa verde”: “Questa è un’opportunità che non abbiamo mai avuto prima e che potremmo non avere mai più”, ha detto. Usando i pronomi femminili per riferirsi a “la Pianeta”, che in TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 23
The Great Reset
“La ripartenza cinese potrebbe essere la locomotiva che ci permetterà di uscire dalla crisi”
Bernard Looney Amministratore Delegato di British Petroleum
inglese equivale a dargli personalità, Carlo ha aggiunto: “Le nostre attività hanno danneggiato il suo sistema immunitario”.
Il fondatore del Forum di Davos vuole un “nuovo contratto sociale”
Schwab ha definito la situazione attuale una “finestra di opportunità unica”. Dobbiamo “costruire un nuovo contratto sociale”, ha dichiarato. “Dobbiamo cambiare le nostre mentalità” e i nostri “stili di vita”. Sarà un remake della Rivoluzione francese che affermava, con Jean-Jacques Rousseau, che l’uomo è nato naturalmente buono ma che è corrotto dalla società e che la società stessa deve derivare da un “contratto sociale “in cui le leggi e le norme morali non devono nulla alla legge naturale o divina e tutto alla “volontà generale “? Quello che sappiamo è che nel nome di questa “volontà generale” abilmente guidata, finiamo nelle peggiori tirannie … Uno dei principali obiettivi del “Grande Reset” è “ridurre le disuguaglianze”, ovvero “ridistribuire la ricchezza”. Questa idea dà per scontato che la disuguaglianza è di per sé un male. Parlando all’incontro virtuale che annuncia il Grande Reset, Antonio Guterres ha dichiarato a nome delle Nazioni Unite che la crisi COVID-19 dovrebbe motivare una risposta ai “livelli insostenibili di disuguaglianza e all’anarchia del cyberspazio”.
La tasse sul carbonio e la promozione delle energie rinnovabili sono già in cima all’agenda del Great Reset. Antonio Guterres ha citato la necessità
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di “arrivare a zero emissioni” e di attuare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite (OSS). Questi OSS, rafforzati dai loro presupposti socialisti di ridistribuzione planetaria della ricchezza e dall’eco-radicalismo, chiedono in particolare “l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva e ai diritti riproduttivi”.
Nel linguaggio delle Nazioni Unite, tutto ciò include la contraccezione e l’aborto, anche perché la popolazione umana è vista come il principale nemico della natura e della “biodiversità”.
La bulgara Kristalina Georgieva
L’amministratore delegato dell’FMI Kristalina Georgieva, cresciuta nella Bulgaria comunista, ha promosso lo stesso approccio “verde”. Mentre il FMI deve fornire aiuti di emergenza di circa 100 miliardi di dollari per via della crisi economica prodotta dal coronavirus e “170 paesi” dovrebbero finire il 2020 con un’economia in calo rispetto all’inizio dell’anno, la signora Georgieva ha dichiarato: “Stiamo assistendo a una massiccia iniezione di stimoli fiscali … Ma è essenziale che questo porti, in futuro, a un mondo più verde, più giusto e più intelligente”.
In altre parole, gli aiuti finanziari dovrebbero essere utilizzati e distribuiti in modo da promuovere le imprese ecologicamente corrette. Il nuovo amministratore delegato del FMI (ha sostituito Christine Lagarde alla fine del 2019, grazie all’appoggio di Emmanuel Macron) ha aggiunto che devono esserci
“incentivi per ridurre le emissioni di carbonio”, sfruttando “i bassi prezzi del petrolio” per aggiungere “un prezzo di carbone incentivante”. “Abbiamo bisogno di un Great Reset, non di un grande passo indietro”, ha concluso.
La Cina comunista in prima fila per la grande ripartenza
Forse il relatore più noto alla presentazione virtuale del Great Reset è stato Ma Jun, del Comitato Finanziario Verde cinese (sempre Partito Comunista Cinese). È anche consigliere speciale del governatore della Banca popolare cinese, controllato dal PCC e, prima del suo intervento alla presentazione del Great Reset, è stato introdotto come “membro del CNP” – il Congresso Nazionale del Popolo. Teoricamente, questo sarebbe la massima autorità politica in Cina, ma funge piuttosto da registro dei desideri del presidente Xi Jinping e del Partito Comunista, onnipresente in tutte le pieghe del potere. Ma Jun ha insistito sul fatto che la ripresa postCOVID deve essere “più ecologica di tutte le precedenti riprese”, grazie al finanziamento di “progetti verdi” che devono raggiungere una proporzione “più elevata di quanto non sia mai stato nel corso della storia”. Ma ha anche detto che “la ripresa dei consumi deve essere verde”. “I candidati potrebbero redigere un elenco di beni di consumo verdi e questi devono avere la priorità nell’elenco dei sussidi e dei buoni pasto”, ha suggerito.
Facendo notare che molti lavoratori migranti hanno perso il lavoro in Cina durante la pandemia, ha aggiunto: “Invece di pagare loro i sussidi di disoccupazione, dovremmo chiedergli di piantare alberi e pagarli per questo”.
Per quanto riguarda i progetti che non sarebbero in se stessi “verdi”, Ma Jun auspica che siano soggetti a “nuovi regolamenti”, per obbligarli a rispettare “rigorosi standard ambientali”, che passerebbero in particolare da un nuovo obbligo vincolante di “pubblicazione di informazioni” sulla loro conformità a tali standard. Ricordiamo che queste raccomandazioni sono state fatte da Ma Jun non solo per la Cina (che è il più grande emissore di carbonio al mondo con nuove centrali elettriche alimentate a carbone in programma fino al 2030), ma per tutto il mondo.
Ma Jun ha fatto eco al desiderio di Bernard Looney, Amministratore Delegato di British Petroleum,
che nella stessa conferenza virtuale ha affermato che “qualsiasi ripresa dovrebbe essere accompagnata da condizioni ecologiche”. Ciò equivarrà a far morire molte aziende che non rispondono a queste condizioni, dopo essere state gravemente colpite dal lockdown.
Del resto, Looney ammira la Cina: “La ripartenza cinese potrebbe essere la locomotiva che ci permetterà di uscire dalla crisi”, ha detto.
Il globalismo post-COVID brucia incenso all’ideologia di genere
Tornando alle pubblicazioni del World Economic Forum sulla crisi COVID-19 e sulla giusta maniera per uscirne, non va dimenticato che anche l’ideologia gender fa parte del pacchetto eco-socialista. In un articolo di John Miller intitolato “The Big Reset: perché l’inclusione LGBT+ è il segreto di città che hanno successo dopo la pandemia”, weforum.org ci assicura che “esiste una forte correlazione positiva tra l’inclusione di LGBT+ e la resilienza economica”. “In particolare, le città che abbracciano la diversità possono raccogliere un ‘dividendo d’inclusione’ quando iniziano a ricostruire le loro economie”, ha affermato il commentatore. Mentre la crisi “minaccia di spazzare via decenni di progresso nella lotta alla povertà”, la tribuna di Davos afferma che “l’inclusione delle persone LGBT” consentirà una ripresa più rapida, citando “Open for Business”, una coalizione di aziende che promuovono “l’uguaglianza LGBT+”.
“Questo è un risultato significativo: un aumento di un punto dell’accettazione sociale porterebbe ad un aumento di tre punti dell’indice di resilienza economica di questa economia, anche rispetto al PIL pro capite. L’inclusione degli LGBT+ potrebbe essere un ingrediente segreto della resilienza economica?” si chiede John Miller e suggerisce che la “apertura” e la “innovazione” sono legate all’accettazione di stili di vita omosessuali e transessuali.
“È tempo di abbracciare le comunità LGBT+, non di stigmatizzarle. Costruire società inclusive non è solo la cosa giusta da fare; come dimostrano i fatti, è una parte importante di una strategia economica incentrata sulla resilienza e sulla ripresa”, ha concluso. Questo è un chiaro esempio di ciò che la crisi COVID-19 serve a promuovere. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 25
The Great Reset
Intervista con Ettore Gotti Tedeschi un economista a tutto campo
Qual è il ruolo dell’economia secondo la visione cattolica? Come siamo arrivati alla crisi di oggi? La famiglia, candidata a Premio Nobel per l’economia? Cosa pensare dell’incontro ad Assisi a novembre sull’“Economia di Francesco”? Ettore Gotti Tedeschi, economista e filosofo, risponde con la sua consueta schiettezza. Da cattolico apostolico romano, qual è la sua visione dell’economia?
L’economia oggi sembra esser diventata uno strumento utilizzato per “far prendere paura” e per “deformare la visione morale”. Perciò la mia attenzione è massima. Vede, ogni decisione economica produce effetti con conseguenze morali e ogni visione morale influenza l’uso dello strumento economico. L’economia, però, non è una scienza. La “mela” dell’economia non è la “mela di Newton”, una decisione economica raramente produce l’effetto voluto. Se l’economia viene asservita a scopi “politici” (per “far prendere paura”), può esser tentata a inventarsi utopie (si pensi al marxismo), ma se queste utopie vengono incorporate nel magistero della Chiesa rischiano di produrre persino eresie (si pensi alla pseudoteologia della liberazione). Anche un’eresia può influenzare il comportamento economico (si 26 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
pensi al luteranesimo). Morale ed economia sono molto collegate, perciò la Chiesa è intervenuta, da Leone XIII in poi, proponendo una sua Dottrina Sociale. Oggi, considerando che la Chiesa non deve più fare Magistero né evangelizzazione, la vecchia DSC è divenuta inapplicabile, ma apparentemente ne sta emergendo una nuova, che potrebbe esser proposta nell’evento di Assisi (Economy of Francesco). Dicevo sopra che l’economia può anche diventare uno strumento utile a deformare la visione morale. In un documento pontifico recente (Evangelii Gaudium) leggiamo che c’è un’economia che uccide e che il peggiore dei mali sociali sono le diseguaglianze, cioè la cattiva ripartizione delle risorse economiche (non il peccato). Sia San Giovanni Paolo II in Sollecitudo Rei Socialis, sia Benedetto XVI in Caritas in Veritate, spiegano con assoluta chiarezza che è l’uomo che usa bene o male lo strumento econo-
mico ed è pertanto l’uomo che va formato, va convertito. Non è lo strumento (pur lecito) che va cambiato.
Leggendo invece queste considerazioni mi sono preoccupato. E la preoccupazione crebbe quando notai l’enfasi posta sui temi economici in questo pontificato. Fino a ieri la Chiesa non doveva occuparsi di economia, ma al meglio, solo di coscienze individuali. Oggi si direbbe che vuole occuparsi solo di economia, e secondariamente delle coscienze. Ma sembra occuparsi di problemi economici (povertà, capitalismo, finanza, diseguaglianze, ridistribuzione ricchezza, migrazioni, ambiente...) senza dimostrare di conoscerne le cause, bensì occupandosi solo degli effetti. Il sospetto pertanto è che si possa pensare persino di usare lo strumento economico per altri fini finora inimmaginabili (magari per reinterpretare la Genesi stessa?).
Quali sono le sue previsioni sulle proposte che potrebbero essere presentate il 19-21 novembre ad Assisi, in occasione della Conferenza sull’economia convocata da Papa Francesco?
Più che previsioni posso immaginare, leggendo i testi degli organizzatori e dei principali invitati, che con questo Convegno, si potrebbe cercare di stabilire le regole di una Nuova Dottrina Sociale della Chiesa. Potrei immaginare che nella visione degli organizzatori una nuova DSC si renda necessaria perché finora la Genesi potrebbe esser stata mal interpretata e utilizzata. La comprensione della fa-
mosa “realtà” così enfatizzata in questo pontificato, spiegherebbe, infatti, che l’uomo non è così prioritario nel creato, avendone abusato, squilibrando così l’ordine della Creazione. Ne conseguirebbe la necessità di ridimensionare il suo stesso ruolo nel creato, magari portandolo a tornare a identificarsi nel rispetto della natura come i popoli primitivi e pagani (Sinodo Amazzonico).
Non ho ancora ben capito se questo fosse preliminare alla necessità di convincere tutti gli uomini a riconoscere una religione universale per l’umanità (l’ambientalismo) secondo la nuova Genesi ricostruita. Si potrebbe però dedurre che il nuovo bene comune possa esser centrato sulla conservazione dell’ambiente anziché dell’uomo, avido ed egoista. Ad Assisi potrebbe esser spiegato come fare, potrebbero esser proposti cambiamenti nelle strutture socioeconomiche e negli strumenti del sistema capitalistico, che ha troppo soddisfatto l’uomo danneggiando il creato e creando diseguaglianze grazie ai modelli meritocratici. Potrebbe anche esser possibile che ad Assisi si possa proporre di “riumanizzare” l’economia cambiando il vecchio ed errato ordine naturale proponendo un nuovo umanesimo ambientalistico. Il senso della vita potrebbe non esser più tanto e solo la salvezza dell’uomo, ma prima di lui, la salvezza del creato. Vedremo. Qual è il ruolo della famiglia nell’economia?
La famiglia meriterebbe il premio Nobel per l’economia. E con essa lo meriterebbe il cattolice-
“Oggi si direbbe che la Chiesa vuole occuparsi solo di economia. Ma sembra occuparsene senza dimostrare di conoscerne le cause, bensì occupandosi solo degli effetti” Sotto, Papa Francesco presiede in Vaticano il III Incontro dei cosiddetti “Movimenti sociali”, alcuni dei quali allineati con l’estrema sinistra eversiva
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The Great Reset
simo, solo per il valore che ha dato a questo nucleo sociale indispensabile. I danni economici in una società in cui la famiglia non viene valorizzata sono enormi. Il valore economico della famiglia nasce dallo stimolo, dall’impegno e da azioni responsabili finalizzate al sostegno e allo sviluppo organizzato della stessa. In una famiglia si generano progetti che pretendono impegni superiori che generano creazione di ricchezza, risparmio, investimento. All’interno della famiglia si viene educati a sani stimoli competitivi, soprattutto grazie all’educazione e alla formazione soggettiva di ognuno dei suoi membri, che in prospettiva diventano motore di produzione di ricchezza di cui beneficia l’intera società.
Inoltre la famiglia assorbe i problemi sociali ed economici dei suoi componenti, senza trasferirli allo Stato. La famiglia tende ad assistere e proteggere i suoi membri più deboli e vulnerabili che gra-
Se un paese non crede alla famiglia vedrà solo crollare la crescita di ricchezza prodotta, il suo benessere economico e sociale. Se la famiglia fosse quotabile in borsa sarebbe il miglior investimento creatore di ricchezza sostenibile. La famiglia invece non è amata perché compete nell’educazione con lo stato e perché la si considera una “invenzione” della religione cattolica. Solo per questo si dovrebbe approfondire la grandezza della religione cattolica e dei suoi valori naturali e soprannaturali. Come è stato possibile per l’Europa, e anche per l’Occidente, raggiungere la situazione economica in cui si trovavano prima della pandemia da coronavirus?
È stato possibile riuscendo a portare l’Europa e l’Occidente intero a rinnegare le leggi naturali insite nelle sue stesse radici cristiane, negando il principio della protezione della vita umana. Ciò avvenne a fine
“La famiglia meriterebbe il Premio Nobel per l’economia, e anche il cattolicesimo, per il valore dato a questo nucleo sociale indispensabile”
verebbero altrimenti sempre sulla società. In tal senso la famiglia si fa carico di ben tre aree di valore sociale, creando i presupposti di crescita del Pil, formando ed educando, limitando i costi dello stato assistenziale. Pertanto la famiglia è fonte di investimenti in capitale umano, è fonte di maggior impegno produttivo, di autoproduzione e di redistribuzione di reddito al suo interno. Perciò la famiglia è il primo centro di creazione di ricchezza della società. Ignorare o persino svilire questo ruolo, invece di incentivarlo, è una delle prime cause di decadenza socioeconomica e culturale della società. 28 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
anni Sessanta con la coincidenza di tre fatti che non saranno mai sufficientemente spiegati e compresi: il Sessantotto, la conclusione del Vaticano II e la nascita del Nuovo Ordine Mondiale. Il fatto più evidente di carattere economico che accese la miccia del crollo economico fu il crollo delle nascite grazie a teorie malthusiane ambientaliste. Grazie al crollo delle nascite in Occidente, si frenò il tasso di crescita del Pil (come può crescere il Pil se la popolazione non cresce o persino decresce?), per sostenerlo si inventò il consumismo, cioè la compensazione della crescita naturale equilibrata minima (almeno tasso di sostituzione) con una crescita artificiale dei consumi procapite.
“In un incontro col futuro Papa Benedetto XVI capì che, per comprendere l’economia bisogna conoscere l’uomo. Sono stato obbligato a questo punto a convertirmi un po’ in filosofo” A dx., Ettore Gotti Tedeschi, accompagnato dalla moglie, ricevuto da Benedetto XVI
La crescita consumistica sacrificò anzitutto il risparmio per trasformarlo in consumi, riducendo per le banche la materia prima dell’intermediazione creditizia, con effetti immaginabili. La crescita consumistica necessitò crescita di potere di acquisto, che si ottenne grazie alla delocalizzazione delle produzioni in paesi a bassissimo costo di mano d’opera. Con la conseguente rapida deindustrializzazione dell’Occidente e l’industrializzazione accelerata e squilibrata dell’Oriente. È curioso notare che questo fenomeno di iperconsumismo in Occidente e iperindustrialismo a basso costo in Oriente, è quello che genera il fenomeno ambientale di eccessive emissioni di Co2.
Altrettanto curioso è notare che alcuni “saggi” chiamati alla Pontificia accademia delle scienze in Vaticano siano proprio i neomalthusiani ambientalisti che originarono il fenomeno. Più tardi, quando ci si accorse che il sacrificio delle nascite stava generando il fenomeno irreversibile dell’invecchiamento
della popolazione (con i suoi fenomeni indotti, quali l’aumento esponenziale dei costi della vecchiaia, pensioni e sanità) si realizzò che la crescita consumistica artificiale poteva solo esser sostenuta a debito. Ed il debito arrivò a livelli insostenibili. Finché nel 2007 saltarono le banche e si avviò la crisi in corso, ancora irrisolta al momento della pandemia da Covid. Ma c’è un secondo fenomeno, cui ho accennato sopra, che sta creando le condizioni per trasformare ancor più l’Occidente. Questo fenomeno consiste nella modifica sostanziale dei fondamenti etici nell’uso dell’economia. Fino a qualche anno fa detti fondamenti etici vedevano nell’economia uno strumento a servizio del benessere della creatura.
I nuovi fondamenti etici potrebbero rischiare di trasferire ora la centralità al creato e vedere nella creatura la sua nocività da arrestare per salvare la natura. Come prima l’economia doveva servire al-
“Leggendo i testi degli organizzatori e dei principali invitati [all’incontro di Assisi], temo che con questo Convegno si potrebbe cercare di stabilire le regole di una Nuova Dottrina Sociale della Chiesa” A dx., l’home page del Convegno The Economy of Francesco, che si terrà ad Assisi a novembre
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The Great Reset
“Un incontro con il prof. Plinio cambia la vita di una persona” Sopra, Plinio Corrêa de Oliveira nella sua sala nella Sede del Regno di Maria, allora sede del Consiglio Nazionale della TFP brasiliana, dove avvenne l’incontro con Ettore Gotti Tedeschi
l’uomo, oggi potrebbe dover servire a proteggere la natura dall’uomo. Il creato- ambiente, potrebbe prendere il posto dell’uomo-creatura e la natura dover esser valorizzata in sé, senza esser più strumentale all’uomo. Si potrebbe ipotizzare ancora una volta che si sta usando l’economia per cambiare la Genesi.
Lei si definisce un economista che fa filosofia nel tempo libero o un filosofo che lavora nel campo economico?
Molti anni fa in un incontro privato con l’allora cardinale Joseph Ratzinger, il futuro pontefice mi pose una domanda. Mi chiese: “A che serve l’economia?”. Facile rispondere che l’economia serve a soddisfare i bisogni dell’uomo, ma quali bisogni? E chi li decide questi bisogni? Ecco fui obbligato a riflettere e intuire che i bisogni dell’uomo oltre che materiali sono intellettuali e spirituali e, certo l’economia si deve limitare al primo, ma deve consentire di soddisfare il secondo e il terzo. Ebbi l’intuito che pertanto il vero economista è chi anzitutto conosce 30 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
l’uomo. E chi conosce l’uomo (e i suoi bisogni) su questa terra, in questo momento, meglio di un Santo?
Grazie a questa riflessione, cominciai a domandarmi come si potesse fare bene l’economista se non si fossero compresi prima quali sono i veri bisogni dell’uomo da soddisfare. Sono stato obbligato a questo punto a “convertirmi” un po’ in filosofo, domandandomi cosa è l’uomo che pretendiamo di soddisfare materialmente. Filosofare diventa poi anche una tentazione forte, e in seguito per me lo è stato per contraddire il cogito ergo sum di Cartesio e comprendere il pensiero filosofico alla base della teologia di Karl Rahner. Vorrei ricordare che, dopo l’incontro riferito, Papa Benedetto XVI nel 2007 mi fece chiamare a lavorare sulla parte economica di Caritas in Veritate, poi mi fece incaricare di risanare i conti del Governatorato dello Stato Vaticano, per poi indicarmi quale Presidente IOR, nel 2009.
Potrebbe raccontare ai nostri lettori l’incontro che Lei ebbe con Plinio Corrêa de Oliveira?
Conobbi il prof. Plinio a São Paulo nel 1973. La ragione della prima visita fu la consegna di una lettera riservata che mi aveva dato Giovanni Cantoni. Lo incontrai in alcune altre occasioni fino al mio ritorno in Italia a marzo del ‘74. Mi regalò con una dedica un libro il cui titolo in italiano era: «Riforma agraria, una questione di coscienza». Un incontro con il prof. Plinio cambia la vita di una persona, tanto che in un libretto che scrissi l’anno scorso («Colloqui massimi») ho dedicato al prof. Plinio un’intervista immaginaria, che ho terminato con una domanda provocatoria riferita alle conclusioni del suo libro «Rivoluzione e Contro-Rivoluzione», scritte subito dopo aver ricordato la promessa di Maria a Fatima, quelle che cominciano con “Ubi Ecclesia ibi Christus, ubi Petrus ibi Ecclesia”: Le riscriverebbe? Lei ha manifestato pubblicamente la sua devozione alla Santa Casa di Loreto, della quale difende la traslazione miracolosa. Lei ha anche presentato in più di una occasione il libro di Federico Catani «Il miracolo della Santa Casa de Loreto». Ci piacerebbe sentire la sua opinione in merito. Che cosa pensare dell’atteggiamento di alcune autorità ecclesiastiche in Italia riguardo a questa devozione?
Ho presentato due volte il libro di Catani ed ho scritto più articoli in proposito, soprattutto dopo che il Papa aveva dichiarato su Avvenire (18 settembre
P
2019) che la Casa di Loreto custodisce “un tesoro prezioso, alcune pietre della casa della Famiglia di Nazareth”, implicitamente permettendo di negare la traslazione miracolosa. La Chiesa sembra esser intimidita dalla scienza e dal rifiuto dei miracoli da parte del mondo moderno. Io temo che in gioco non ci sia la traslazione miracolosa, che potrebbe esser negata, anche se fosse stata fotografata o filmata, in gioco c’è la negazione del miracolo, perché contraddice la scienza. Si direbbe che oggi la Chiesa, per rendere credibile il Credo, voglia tentare di farlo scientificamente. Ciò significa però ammettere che solo la scienza fornisce la Verità e ogni manifestazione debba esser spiegata scientificamente e se ciò non fosse sarebbe superstizione. È evidente che nell’ansia di riconciliare forzatamente la fede con la scienza per rendere credibile un mistero, i teologi di oggi (per non apparire essere rigidi come quelli di Galileo) han deciso di esser scientifici in materia di fede, ma negando persino le evidenze più scientifiche della traslazione miracolosa della Santa Casa. In pratica trasformando il miracolo in un’operazione da agenzia di traslochi medioevale. Qualche commento conclusivo sulla sua esperienza a capo dello IOR?
Solo una considerazione. In certe circostanze “misteriose”, all’interno della Chiesa, può esser più facile e remunerativo fare il male che il bene…
Due crociate del secolo XX
er chi ritiene che le crociate siano “roba da Medioevo”, ecco due episodi avvenuti in pieno secolo XX: la Cristiada in Messico (1926-1929), e la Cruzada in Spagna (1936-1939). Due episodi cruciali del rapporto tra cattolicesimo e politica nell’era delle ideologie e dei totalitarismi, affrontati con serietà e spessore dall’avv. Giovanni Formicola, già autore di diversi saggi e libri.
In ambedue gli episodi, i cattolici si organizzarono per difendere la libertà di religione e il diritto della Chiesa a insegnare il suo Magistero, contro la sfida del totalitarismo laicista socialista in Messico, e di quello comunista in Spagna. Ambedue gli episodi furono ricchi di eroismo cattolico e di santità sfolgorante. Infatti, molti protagonisti sia della Cristiada sia della Cruzada hanno già meritato l’onore degli altari. Un vero esempio per i cattolici di oggi, costretti a subire gli assalti di un altro totalitarismo non meno deleterio: quello della Rivoluzione culturale.
Giovanni Formicola, «Difesero la Fede, fermarono il comunismo» (Cantagalli, 2019, 164 pp.)
TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 31
Chiesa
La crisi dentro la Chiesa? “Il prof. Plinio la denunciò già nel 1943”
Intervista con Juan Miguel Montes
Ermeneutica della riforma nella continuità oppure della discontinuità e della rottura? Si acuisce il dibattito intorno al Concilio Vaticano II e le sue conseguenze. E ci si comincia a domandare se le radici della crisi dentro la Chiesa non si trovino molto più indietro. A che punto è la discussione? Intervista a Juan Miguel Montes, che dal 1983 dirige l’Ufficio Tradizione Famiglia Proprietà di Roma.
Grazie mille per averci concesso questa intervista. Lei è arrivato a Roma all’inizio degli anni ‘80. Pertanto, segue gli eventi legati alla vita della Chiesa da quasi quattro decadi. Quali sono le principali differenze tra quell’epoca e oggi?
Le rispondo da cattolico che osserva i fatti e non da teologo, non essendolo.
Dalla fine del Concilio fino alla morte di Papa Paolo VI ci fu un periodo di grande difficoltà nella vita della Chiesa. La pratica religiosa dei fedeli era molto diminuita, molte congregazioni religiose e seminari si svuotavano, innumerevoli sacerdoti abbandonavano il ministero. Indubbiamente il dinamismo di Giovanni Paolo II, diciamo così, “ricaricò” un organismo che, almeno nel suo aspetto visibile, sembrava gravemente malato. I suoi viaggi in tutto il mondo, i suoi giubilei, i suoi raduni con i giovani, ridiedero alla Chiesa grande visibilità.
Io sono arrivato a Roma nel quinto anno del suo lungo pontificato e conosco le testimonianze di tante persone che hanno vissuto da vicino entrambi questi periodi. La crisi sembrava, per molti versi, essersi alquanto fermata; negli anni ’80 si percepiva un certo entusiasmo e una certa speranza per la rinascita del 32 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
corpo della Chiesa, anche se per i cattolici più consapevoli, persistevano seri motivi di preoccupazione. C’erano all’epoca fenomeni contrastanti: da una parte la speranza veniva alimentata dalle solide prese di posizione del magistero pontificio sulle questioni morali, sulla teologia della liberazione, ecc; dall’altra parte, nutrivano perplessità i gesti ecumenici, le richiesta di perdono, la permanenza di teologi progressisti in posti chiavi dell’insegnamento cattolico.
Tuttavia, in un modo o nell’altro, con alti e bassi, l’impatto del pontificato di Giovanni Paolo II è durato fino alla sua morte ed è continuato nel pontificato del suo più stretto collaboratore, il cardinale Ratzinger, divenuto Papa Benedetto XVI. Oggi, l’ambiente della fine del pontificato di Paolo VI, prima descritto, si ripropone con tutta la sua forza e persino molto peggiorato. È vero che la situazione ecclesiastica attuale rallegra molti avversari storici della Chiesa. Rallegra intellettuali, politici e giornalisti che non brillano per devozione alla fede cattolica. Rallegra pure il minoritario ma influente settore progressista cattolico. Tuttavia, crea sempre più preoccupazione a un consistente numero di fedeli che prendono sul serio la loro religione e che battagliano con crescente difficoltà per conservarla in
un mondo secolarizzato. Essi vedono, ancora una volta e persino più che negli anni peggiori, le chiese chiuse o vuote, i seminari senza vocazioni, scandali di ogni genere proliferati nel clero e nelle istituzioni cattoliche. In questo clima, come dimostrano recenti statistiche in Germania e in tanti altri Paesi, molti fedeli purtroppo semplicemente si stanno allontanando dalla Chiesa.
Allora, si domandano i cattolici preoccupati, quel fenomeno di apparente ripresa dell’ultimo ventennio del secolo scorso aveva radici profonde? Quella ripresa corrispondeva più ad una apparenza che ad una realtà consolidata? E poi, si domandano ancora, quali sono le cause più profonde cha hanno originato questa crisi di fede, che è la madre di tutte le crisi nella Chiesa? Così, in questa cornice storica, si apre un dibattito sulle cause della crisi nella Chiesa. Quando è iniziata? Quali fattori l’hanno favorita? Non è vero che certe sue cause profonde hanno continuato a lavorare in profondità, mentre almeno ad un primo sguardo molti effetti sembravano in via di superamento negli anni ‘80 rispetto agli anni ‘60-‘70?
Tutto ciò spiega il perché del grande dibattito sul periodo precedente il Concilio Vaticano II, sul Concilio stesso, sulla sua ripercussione nella vita della Chiesa, nella società, ecc. E questo dibattito
sulle cause della crisi nella Chiesa non farà che crescere mentre gli effetti continuino ad emergere un po’ dappertutto.
Questa è la grande differenza che vedo fra gli anni ottanta, piuttosto ottimisti, e questo inizio degli anni 2020 che si apre sotto il segno di grandi interrogativi e più che legittime preoccupazioni.
Ha avuto la possibilità di vivere sotto tre diversi pontificati: Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Dal punto di vista della Tradizione apostolica, quali degli eventi di questi tre pontificati che si sono approssimati o allontanati da quel paradigma evidenzierebbe?
Papa Francesco ha parlato molte volte di cambiamento radicale di paradigma nella Chiesa. A riprova di questa affermazione, raccomando la lettura dell’opera Il Cambio di Paradigma di Papa Francesco, di José Antonio Ureta, dove questo studioso descrive e analizza le molteplici sfaccettature dei grandi cambiamenti avvenuti negli ultimi sette anni.
I Papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno invece voluto proporsi come esponenti della cosiddetta “ermeneutica della riforma nella continuità” (Benedetto XVI) anziché fautori di un nuovo paradigma.
“Indubbiamente il dinamismo di Giovanni Paolo II ‘ricaricò’ un organismo che, almeno nel suo aspetto visibile, sembrava gravemente malato. I suoi viaggi in tutto il mondo, i suoi giubilei, i suoi raduni con i giovani, ridiedero alla Chiesa grande visibilità. Molti, però, si domandavano se quel fenomeno di apparente ripresa aveva radici profonde”
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Chiesa
“Il dott. Plinio mi spiegò che un grande motivo della sua sofferenza durante il Concilio era che le persone a lui più vicine, persino nell’ambito ecclesiastico, non condividevano pienamente il suo assillo per il fatto che gli errori della modernità secolarizzante penetravano nel recinto sacro della Chiesa”
A sin., Plinio Corrêa de Oliveira (secondo da dx.), insieme ad alcuni prelati e membri della TFP brasiliana, a Roma durante il Concilio Vaticano II
Come detto, ora si è aperta una grande discussione se, indipendentemente dalla volontà di questi due ultimi Papi e già prima di loro, il Concilio Ecumenico Vaticano II stesso o certe sue interpretazioni siano responsabili diretti di una modifica del paradigma cattolico in qualcosa di fondamentale. Per esempio, nel ritenere superata l’affermazione che la Chiesa Cattolica – che sempre riferì a sé stessa – è l’unica vera Chiesa di Gesù Cristo. Il tempo e gli studi multidisciplinari riveleranno sempre più niti-
damente i contorni e le conseguenze di questi ultimi sessant’ anni. E questo sì è un processo ora irreversibilmente avviato.
Come osservatore privilegiato attraverso la sua partecipazione alle conferenze stampa della Santa Sede, potrebbe parlarci dei personaggi che, in questo lungo periodo, hanno influenzato maggiormente la vita della Chiesa?
Le persone più significative nel campo ecclesiastico che si identificano con la cosiddetta “ermeneutica della riforma nella continuità” sono state, senz’altro, lo stesso Papa Wojtyla e il cardinale Ratzinger, poi divenuto Papa Benedetto XVI.
Il settore progressista ha visto in Papa Bergoglio e in cardinali come Kasper e Martini i loro esponenti di punta. Il Cardinale Casaroli, artefice dell’Ostpolitik con i regimi comunisti, già non ebbe con Giovanni Paolo II l’influenza determinante che aveva ai tempi di Paolo VI e i progressisti lo ricordano sempre meno. Le personalità del mondo cosiddetto tradizionalista, anche se non hanno una grande risonanza nell’ambito dei grandi media né seguaci fra i mem“Le apprensioni per i sintomi dell’avanzata rivoluzionaria dentro la Chiesa lo assalivano da almeno 25 anni prima del Concilio e lo portarono a scrivere la sua prima opera, «In Difesa dell’Azione Cattolica», nel 1943”
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A sin., il dott. Plinio, allora presidente della Giunta arcidiocesana dell’Azione Cattolica di San Paolo, tiene una conferenza nel 1942
1943, il primo grido di allerta: «In difesa dell’Azione Cattolica»
bri della intellighenzia dominante, tuttavia diventano sempre più note a livello universale in una resiliente parte del gregge cattolico. Tale è stato il caso, per esempio, dei quattro cardinali che hanno presentato dei Dubia a Papa Francesco sulla lettera apostolica Amoris Laetitia. Quando il professore Corrêa de Oliveira le chiese di rappresentare il Bureau delle TFP a Roma, quali consigli le diede? Lui stesso (cfr. Concilio Vaticano II – Una storia mai scritta, Roberto de Mattei, Lindau, 2010) seguì le prime sessioni conciliari e rimase deluso dai loro progressi. Ha mai affrontato questo argomento con lei? Molte volte.
Il prof. Plinio Correa de Oliveira non ha nascosto, né in pubblico né in privato, la dura prova che rappresentò per lui il periodo conciliare e le delusioni che ebbe a Roma già nella prima fase del Concilio. Con tutto, fece quanto poteva fare un laico, una persona esterna al Concilio stesso. A lui e ai suoi collaboratori immediati si deve l’iniziativa e il coordinamento della raccolta di firme tra i Padri Conciliari per chiedere a quella assise la condanna del comunismo. Il fatto che l’argomento non sia stato neppure messo nell’agenda dell’aula conciliare fu oggetto di un suo severo commento nell’aggiornamento che fece nel 1976 del suo libro principale, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione.
Tuttavia, sarebbe esagerato dire che l’evento conciliare lo prese di sorpresa. A me personalmente mi raccontò in modo molto dettagliato le apprensioni che lo assalivano per i sintomi dell’avanzata rivoluzionaria dentro la Chiesa da almeno 25 anni prima del Concilio e che lo portarono a scrivere la sua prima opera, In Difesa dell’Azione Cattolica, nel 1943. Mi spiegò anche che un grande motivo della sua sofferenza era che le persone a lui più vicine, persino nell’ambito ecclesiastico, non condividevano pienamente il suo assillo per il fatto che gli errori della modernità secolarizzante, cioè della grande Rivoluzione dell’Occidente, penetravano nel recinto sacro della Chiesa. Infatti, quando seppe della convocazione del Concilio egli, sebbene da un punto di vista diametralmente opposto, disse più o meno le stesse parole
del porporato progressista belga L-J Suenens: “Questi saranno gli Stati Generali della Chiesa”. Tra le posizioni avverse ma lucide del cardinale Suenens e quelle di Plinio Correa di Oliveira si estendeva un vasto oceano di cattolici piuttosto ottimisti. Gli anni ’60 videro un apice d’ottimismo di quella che viene chiamata “ideologia del progresso”.
Da profondo studioso del processo rivoluzionario che subiva la Cristianità, processo che si era inaugurato con l’umanesimo neopagano e con il Rinascimento e che era proseguito dopo con la Rivoluzione francese e con quella russa, Plinio Correa de Oliveira sapeva con totale certezza che il fenomeno rivoluzionario non avrebbe risparmiato la Chiesa. Anzi, un assalto della Rivoluzione alla Chiesa era già accaduto prima della sua nascita, ai tempi di Papa San Pio X, ma grazie all’azione di questo Pontefice, aveva subito una battuta di arresto. Eppure, da dirigente dell’Azione Cattolica in Brasile, percepì che gli errori del modernismo si erano ripresentati dentro la Chiesa negli anni ’30, importati soprattutto da “agenti pastorali” belgi, il che lo portò a scrivere il menzionato libro del 1943, encomiato in seguito da Pio XII. La storia di quel periodo e della denuncia fatta allora da Plinio Correa de Oliveira sono l’oggetto di uno studio del compianto Gonzalo Larraín, che apparirà prossimamente in Italia sotto il titolo “Il Primo Grido di Allerta”. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 35
Chiesa
“Io mi auguro che [le denunce di mons. Viganò, di mons. Schneider e di altri prelati] siano l’inizio di un processo che farà onestamente chiarezza su quanto accaduto negli ultimi sessant’anni e anche in tempi più remoti, da quelli del modernismo oltre centoventi anni fa”
A sin., mons. Carlo Maria Viganò
alla promessa della Madonna a Fatima sul futuro trionfo del Suo Cuore Immacolato.
Negli anni successivi al Concilio, fedele al suo proprio ambito di azione, Plinio Correa de Oliveira e le TFP da lui ispirate si dedicarono a un intenso combattimento contro la crescente infiltrazione di idee e prassi marxiste nella Chiesa portata avanti dal progressismo cattolico. Celeberrima fu la raccolta fatta nel 1969 di due milioni di firme chiedendo a Papa Paolo VI misure contro questa infiltrazione comunista nella Chiesa. Durante gli anni ’70 e ’80 si svolsero campagne ugualmente risonanti contro la “teologia della liberazione” (nome che suddetto fenomeno d’infiltrazione volle darsi) nonché contro il suo braccio operativo, le comunità ecclesiali di base che, per dirne una sola, riuscirono a portare Lula al potere in Brasile, il gigante del subcontinente.
Nei dodici anni del mio ormai lungo soggiorno romano in cui il prof. Plinio era vivo, dovetti andare per conto suo ad avvertire molte istanze romane sul pericolo per la Chiesa che si delineava soprattutto a partire dall’America Latina con la “teologia della liberazione”. Oggi mi sembra difficile per chiunque contestare tutta la preveggenza profetica di Plinio Correa de Oliveira nel secolo ventesimo. Ma va detta un’altra cosa ancora: fino alla sua scomparsa nel 1995, egli non ha mai messo in dubbio la certezza che dopo la crisi si sarebbe aperta una nuova epoca di grazia per la Chiesa e per l’umanità rispondente 36 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
Sempre sul Vaticano II, recentemente si è levato un vivace dibattito su questo sfortunato evento della vita della Chiesa nel 20° secolo. Questo dibattito, spinto soprattutto dagli interventi dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò e di monsignor Athanasius Schneider, ha portato una cinquantina di sacerdoti, accademici e intellettuali a, il 15 luglio, rivolgere una lettera di sostegno ad entrambi. Cosa ne pensa di questa iniziativa? Potrebbe avere qualche effetto pratico?
Del dibattito che si è aperto in questo periodo, ho accennato prima. Io mi auguro che sia l’inizio di un processo che farà onestamente chiarezza su quanto accaduto negli ultimi sessant’anni e anche in tempi più remoti, da quelli del modernismo oltre centoventi anni fa.
Quello che non mi auguro invece è che sia un motivo di raffreddamento della carità reciproca e della stima fra quelli che ormai concordano pienamente che qualcosa di molto grave è difatti accaduta nella Chiesa, perché l’evidenza sta lì a dircelo. Un clima rispettoso, sereno, senza pretese né primedonne, sarà il più grande servizio che si potrà fare alla Chiesa. Credo personalmente che la lettera degli intellettuali in appoggio ai due coraggiosi vescovi menzionati vada in questa direzione, anche perché, oggi, davanti ai fatti, chi può negare che ci siano delle difficoltà oggettive nella lettura che si da del Vaticano II? D’altra parte, chi può conferire al Concilio uno statuto di infallibilità che gli stessi padri conciliari non vollero dargli? Nell’anno che segna il 25 ° anniversario della morte del Prof. Plinio Corrêa de Oliveira, che
donò tutta la sua vita e il suo pensiero al servizio della Chiesa e della controrivoluzione, quale può essere, secondo lei, il miglior tributo che i suoi figli spirituali possono rendergli? Mantenere una posizione equilibrata, cioè, non nascondere l’estensione dell’abisso che si è spalancato davanti al mondo e in seno alla Chiesa, ma allo stesso tempo credere fermamente che dopo le bufere e la notte buia brillerà la Stella Mattutina, insomma ci sarà il trionfo del Cuor Immacolato promesso dalla Madonna a Fatima, in quella gloriosa terra del Portogallo dove “si conserverà sempre il dogma della Fede” (3ª Apparizione). Plinio Correa de Oliveira, così come previde con grande lungimiranza la portata di questa crisi, non smise mai di prevedere l’arrivo di questo giorno.
Per finire, le chiediamo che, tra le migliaia di scritti del Prof. Plinio, ne scelga uno o un singolo passaggio che l’ha particolarmente segnata.
Tante cose si potrebbero dire del prof. Plinio Correa de Oliveira sul suo apostolato contro-rivoluzionario sia nell’ordine temporale che spirituale, sia della sua vita intellettuale che operativa. Per esempio, per decadi combatté contro i tentativi del comunismo di impossessarsi del continente latinoamericano, dando origine al più esteso movimento cattolico anticomunista del mondo. Come mai il catto-comunismo ha potuto arrivare al potere in diversi Paesi della regione solo dopo la sua morte? Qual’è stata la sua rilevanza storica come vero argine di un fenomeno che avrebbe potuto stravolgere gli equilibri della Guerra Fredda? Un punto ancora da approfondire, tra molti altri della sua molteplice personalità.
Credo tuttavia che il più grande omaggio che gli si possa fare è ricordarlo con le parole che egli stesso ha voluto sulla sua tomba a San Paolo del Brasile: Vir totus catholicus et apostolicus, plene romanus. È stato un uomo tutto cattolico e apostolico, pienamente romano. (Ripresso con autorizzazione dal blog portoghese Dies Irae.)
Crociata di riparazione eucaristica
“N
on c’è mai stato un tempo nella storia della Chiesa in cui il Santissimo Sacramento abbia subito abusi e offese spaventosi e gravi come quelli inflitti negli ultimi cinquant’anni, soprattutto dopo l’autorizzazione ufficiale e l’approvazione papale nel 1969 della pratica della comunione in mano”. Con queste parole mons. Athanasius Schneider, vescovo ausiliare di Astana, lancia a livello mondiale una Crociata di riparazione al Cuore Eucaristico di Gesù.
Secondo il prelato, Nostro Signore Gesù Cristo è profondamente “rattristato” e “sofferente” con queste bestemmie. “Il culmine dell’abuso della Santa Eucaristia è l’ammissione alla Santa Comunione delle coppie che vivono in uno stato pubblico e oggettivo di adulterio”, pratica che, purtroppo, si sta diffondendo sempre di più. “Nell’attuale emergenza pandemica da COVID-19 gli orribili abusi al Santissimo Sacramento sono aumentati ancora di più”. Questa situazione interpella tutti i fedeli, clero e laici: “In vista del terribile maltrattamento di Nostro Signore nell’Eucaristia, nessun vescovo, prete o fedele laico veramente cattolico può rimanere indifferente e semplicemente stare a guardare. Dobbiamo avviare una crociata mondiale di riparazione e di consolazione al Signor Eucaristia”.
Egli quindi propone che ogni fedele faccia almeno un’ora di adorazione al mese al Santissimo Sacramento, affinché dove abbonda il peccato possa sovrabbondare la grazia. TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 37
Il mondo delle TFP
La TFP fa paura alle lobby LGBTQ europee
“M
odern Day Crusaders in Europe. Tradition, Family and Property: analysis of a transnational, ultra-conservative, Catholic-inspired influence network — Crociati dei tempi moderni in Europa. Tradizione Famiglia Proprietà: analisi di una rete d’influenza transnazionale, ultraconservatrice e ispirata al Cattolicesimo”.
Questo il titolo di un Rapporto di trentacinque pagine reso pubblico la scorsa settimana a Bruxelles dal Forum parlamentare europeo per i diritti sessuali e riproduttivi. Si tratta di una potente lobby con sede a Bruxelles, della quale fanno parte una trentina di europarlamentari, legata alla multinazionale International Planned Parenthood Federation (IPPF). Il budget dell’IPPF si aggira attorno ai due miliardi di dollari. Il fine dichiarato del Forum è di difendere presso le Istituzioni europee i cosiddetti “diritti” LGBTQ. Il pezzo è firmato da Neil Datta, segretario del Forum e già direttore del Parliamentary Programme of the International Planned Parenthood Federation European Network.
Il Rapporto definisce correttamente le TFP come “un insieme di organizzazioni conservatrici d’ispirazione cattolica formate da laici che condividono una visione del mondo ispirata al fondatore della prima TFP, Plinio Corrêa de Oliveira”.
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di Julio Loredo Secondo il Rapporto, le TFP sono diventate una delle principali forze di contrasto all’agenda LGBTQ in Europa: “Esse riescono a influenzare i centri di poteri europei. (…) Il loro obiettivo è chiaro: creare un ambiente che abbia il massimo impatto possibile nel modellare la legislazione europea e nell’influenzare i governi locali”. Le TFP “ambiscono a influenzare l’Unione Europea e le Nazioni Unite. La narrativa reazionaria delle TFP, fondata sull’ortodossia religiosa, santifica le ineguaglianze nella società, e può diventare molto attraente per quelli che cercano una legittimazione religiosa per l’autoritarismo. (…) [Le TFP] sono attive in decine di Paesi con più di quaranta associazioni correlate”. Questa forza sta preoccupando non poco le lobby LGBTQ presso le Istituzioni europee, poiché “le TFP non sono una normale organizzazione non governativa, bensì un’efficace macchina politica”. Il Rapporto intende “allertare i giornalisti, politici, educatori, ricercatori e cittadini europei” contro l’azione delle TFP: “I risultati di questo Rapporto dovrebbero spaventare tutti coloro che hanno a cuore un’Europa libera ed eguale”. Il Rapporto anti-TFP nasce da una perplessità. Secondo la visione storica comune a tutti i movimenti rivoluzionari (e, quindi, anche alle lobby LGBTQ), la storia va sempre avanti, verso forme sempre più liberali e ugualitarie. Non riescono, perciò, a spiegarsi come mai un movimento tradiziona-
lista, anzi “reazionario”, riesca a raggiungere un tale successo: “È difficile capire come una tale miscela di reazione politica, intransigenza religiosa e oscurantismo sia potuta fiorire a questo punto, permettendo alle TFP di influenzare il mondo, o almeno il mondo cristiano dell’Europa, degli Stati Uniti e della maggior parte dei paesi dell’America Latina”. L’autorevolezza accademica dello studio è diseguale. Molte informazioni sono tratte da documenti perfettamente idonei, che riflettono la realtà delle TFP, analizzati in modo piuttosto imparziale. Nell’affanno di screditare le TFP, però, l’autore è andato a pescare anche in vecchi testi denigratori – alcuni pubblicati da settori sedicenti tradizionalisti – contenenti calunnie ormai ammuffite e già mille volte confutate dalle varie TFP in opere che hanno ridotto gli avversari al silenzio. È ironico che le lobby LGBTQ utilizzino pubblicazioni “tradizionaliste” per attaccare le TFP. Il Rapporto tira in ballo anche alcuni testi del cosiddetto “movimento anti-sette”, molto forte negli anni Ottanta, ma ormai largamente superato dalla ricerca scientifica. Il Rapporto del Forum parlamentare europeo va perciò preso con le pinze.
Tre esempi tra mille: nell’introdurre la figura di Plinio Corrêa de Oliveira, il Rapporto lo definisce “un ricco proprietario terriero”. In realtà, il leader cattolico brasiliano non possedeva nemmeno un metro quadrato di terra, e ha dovuto lavorare come insegnante, avvocato e professore per mantenere se stesso e i suoi anziani genitori. Cade nella stessa categoria – oggi la chiameremmo fake news – il supposto appoggio di alcune TFP sudamericane a regimi militari autoritari, una vecchia fandonia dell’estrema sinistra latinoamericana che adesso trova eco nel Vecchio Continente. L’autore del Rapporto sbaglia pure nell’attribuire alle TFP una “prossimità con elementi del vecchio fascismo”, trascurando la loro storia palesemente anti-fascista. Un altro punto debole del Rapporto è il considerare come facente parte delle TFP organizzazioni e personaggi con i quali le TFP hanno in realtà un mero rapporto di amicizia; così come nell’attribuire alle TFP una vicinanza con realtà invece perfettamente estranee. Evidentemente, l’autore ha voluto fare d’ogni erba un fascio. Peccato che nel processo abbia calpestato l’obiettività. Verace, invece, la qualifica delle TFP come “di natura doppia: spirituale e temporale. Da un lato, possono essere viste come un movimento conservatore religioso, per orientare i laici cattolici. (…) D’altra parte, le TFP sono anche politicamente attive (…) opponendosi al comunismo”. Da questo doppio carattere provengono le due linee maestre
Violenta aggressione di militanti LGBT a un gruppo di giovani della TFP olandese mentre realizzavano una campagna di protesta contro una pubblicità omosessuale fortemente immorale a Nimega Predicano l’amore ma... TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 39
TFP
Il mondo delle TFP
Il Rapporto anti-TFP nasce da una perplessità. Le lobby LGBTQ non riescono a spiegarsi come mai un movimento tradizionalista riesca a raggiungere un tale successo Sopra, campagna della TFP italiana nel Centro Storico di Brescia
dell’azione delle TFP: “Contro la Teologia della liberazione e altre tendenze moderniste che minano le tradizioni della Chiesa, e contro il comunismo nel campo temporale”.
Curiosa la difesa che il Rapporto, che si presenta come agnostico in fatto di religione, fa del Concilio Vaticano II: “Le TFP si oppongono all’evoluzione delle dottrine cattoliche in senso progressista – come ad esempio alcune riforme del Concilio Vaticano II – e difendono una Chiesa fedele alle sue tradizioni in campo sociale e liturgico”. Tuttavia, segnala correttamente lo studio: “Mentre le TFP si oppongono alle tendenze moderniste nella Chiesa, e rientrano quindi nella fazione tradizionalista dei movimenti cattolici, non sono in scisma con Roma”. Curioso anche l’accenno amichevole a Papa Francesco, qualificato come “progressista”.
Tutto un capitolo è dedicato alla storia delle TFP nelle varie fasi, dalla fondazione nel 1960 della TFP brasiliana fino ai giorni nostri. Secondo il Rapporto, “le nuove generazioni della TFP [specialmente in Europa] hanno portato a un livello superiore ciò che già era il loro marchio e metodologia”. Un altro capitolo è dedicato all’azione delle TFP: “È probabile che le TFP non contino più di qualche centinaio di membri per Paese. (…) Tuttavia, le loro piccole dimensioni per numero di membri è compensata con la loro azione pubblica, capace di raggiungere centinaia di migliaia di persone. (…) Nonostante il loro carattere elitario, le organizza40 - TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020
zioni TFP sono specializzate nella mobilitazione di base. Le organizzazioni TFP eccellono nel mass mailing, nelle campagne pubbliche e nelle proteste. Alcune hanno persino sviluppato i propri media che vanno dalle riviste ad agenzie di stampa e persino a canali televisivi”.
Il Rapporto anti-TFP del Forum parlamentare europeo mostra la sua faziosità soprattutto nei capitoli 5 e 6, dedicati alle relazioni fra le TFP e la Chiesa Cattolica e alle accuse di “setta” lanciate negli anni Ottanta. Nel corso della loro ormai lunga storia, molte TFP hanno dovuto affrontare vere e proprie campagne denigratorie. Durante una tale campagna in Venezuela nel 1984, per esempio, i giornali sono giunti a pubblicare più di duemila articoli calunniatori in un solo giorno! In queste campagne, le accuse provenivano in parte da fonti della sinistra (e ciò si capisce) e in parte da fonti “tradizionaliste” (il che si capisce meno). Il Rapporto firmato da Neil Datta non fa eccezione. Citando fonti socialiste e tradizionaliste, accusa le TFP di “indottrinamento di minori”, di “estremismo politico” e di essere una “setta”. Il Rapporto, però, dimentica di menzionare che tutte queste accuse sono state pienamente confutate all’epoca dalle TFP in libri e saggi che, invariabilmente, hanno ridotto gli avversari al silenzio. Ricco di note, il Rapporto tuttavia menziona soltanto una delle confutazioni delle TFP. Una grave mancanza che inficia l’autorevolezza accademica dello studio.
Nella Conclusione, il Rapporto si meraviglia che le TFP non siano state ancora l’oggetto di un’indagine da parte delle autorità europee, alle quali sembra lanciare un invito in tal senso: “La natura camaleontica delle TFP è riuscita finora a proteggerle da ogni scrutinio pubblico in Europa. Questo sta cambiando mentre sempre più giornalisti investigativi, attivisti e ricercatori tentano di comprendere le organizzazioni dietro le iniziative politiche anti [LGBTQ] in Europa”.
Sarà questa l’avvisaglia di un campagna denigratoria anti-TFP a livello europeo? Il tempo lo dirà. Alle lobby LGBTQ non mancano né soldi né animus delendi. Da parte nostra, fiduciosi nell’aiuto di Colei che “sola schiacciò tutte le eresie”, possiamo proclamare con tono fiero e sereno: “Alios ego vidi ventos; alias prospexi animo procellas” – Ho già visto altri venti, ho già affrontato altre tempeste (Cicerone, Familiares, 12, 25, 5, 12).
#RESTIAMO LIBERI
M
entre il Ddl Zan veniva approvato in Commissione alla Camera, il popolo della vita e della famiglia – riunitosi nella coalizione #Restiamo Liberi – scendeva in più di cento piazze italiane per difendere la libertà di religione e di pensiero, e per dire NO alla deriva totalitaria della sinistra LGBT. Abbiamo manifestato per la libertà di coscienza, la libertà di espressione, la libertà di educazione, la libertà religiosa, la libertà di associazione e la libertà di stampa.
Il Ddl Zan è una legge bavaglio, dittatoriale e liberticida. Se fosse approvata, la Chiesa non potrebbe più insegnare il suo Magistero in tema di sessualità, e la famiglia non potrebbe più scegliere quale educazione dare ai figli. Si potrebbe finire in carcere solo per aver letto certi brani delle Sacre Scritture. In pratica, si configurerebbe una vera e propria persecuzione religiosa, con l’impossibilità per i fedeli di praticare la propria religione.
Due piazze: Roma (sopra), Reggio Calabria (sotto)
Attraverso la sua campagna SOS Ragazzi, la TFP italiana sta portando avanti un ingente sforzo, strettamente pacifico e legale, di opposizione al disegno di legge Zan, attravverso una sottoscrizione che ha già raccolto quasi ventimila adesioni. I volontari della TFP hanno poi partecipato a varie piazze di #Restiamo Liberi, dal Nord al Sud.
Un lamento inevitabile: dov’era la Chiesa mentre i suoi figli scendevano in piazza per difenderla? TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 41
Il mondo delle TFP
Notre Dame restaurata in modo identico a prima
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rande vittoria in Francia. All’indomani dell’incendio che aveva parzialmente distrutto la cattedrale di Notre Dame, a Parigi, il 16 aprile 2019, le sinistre culturali si erano fatte avanti proponendo restaurazioni avveniristiche, per “riportare la cattedrale alla modernità”. In tal senso, erano stati presentati diversi progetti che, in realtà, avrebbero deturpato gravemente questo monumento simbolo della Cristianità. Inizialmente, lo stesso presidente Macron si era detto favorevole a tale linea progressista.
Immediata la discesa in campo della TFP francese con la campagna “Restaurons Notre Dame à l’identique!”. Ricordando la frase di Victor Hugo “Vi sono mode che fanno molto più male di una rivoluzione”, la TFP francese affermava: “L’unica soluzione degna di questo gioiello della Civiltà cristiana è la restaurazione identica a prima”. Ha quindi avviato una sottoscrizione, che ha raccolto più di centomila firme. Vistose campagne pubbliche di strada hanno poi portato l’iniziativa in tutto il Paese (foto a sin.).
Finalmente, cedendo alla pressione, il presidente Macron ha ordinato di restaurare Notre Dame in modo identico a prima. Secondo il ministro della Cultura, Roselyne Bachelot: “Emerge un ampio consenso nell’opinione pubblica. Il Presidente della Repubblica ha quindi deciso che [Notre Dame] sarà ricostruita in modo identico a prima”.
Malta: consacrazione al Sacro Cuore
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i fronte alla situazione creatasi per la pandemia, l’Associazione Pro Malta Christiana ha lanciato un manifesto che ha avuto molta eco nel Paese. Dopo aver registrato che la Chiesa si è in pratica arresa al governo socialista, perfino anticipando la chiusura dei luoghi di culto e sospendendo l’amministrazione dei Sacramenti, il Manifesto mette in contrasto tale atteggiamento con l’eroismo di tanti santi che nel passato hanno affrontato le epidemie pur di restare vicino ai fedeli.
Rosario di riparazione per il “pride” maltese a La Valetta
Il Manifesto sottolinea che le autorità della Chiesa avrebbero potuto adottare misure sanitarie prudenziali invece di ricorrere alla drastica soluzione di privare i cattolici maltesi dei Sacramenti. Il Manifesto termina con un appello riverente e filiale ai Vescovi di Malta e di Gozo per consacrare pubblicamente le isole maltesi al Sacro Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria.
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USA: Return to Order Rosary Rallies
er cercare di riportare un clima di tranquillità e di ordine, che permetta un sereno confronto delle idee, la TFP Americana ha lanciato la campagna “Return to Order Rosary Rallies”. Dieci squadre di volontari stanno percorrendo tutte le principali città degli Stati Uniti, recitando il Santo Rosario nelle piazze. A loro si uniscono poi centinaia di cittadini locali, chiedendo alla Divina Provvidenza pace e serenità per il Paese. I giovani della TFP hanno toccato tutte le capitali regionali, da Augusta nel Maine fino a Sacramento in California. Affrontando il caldo torrido, specie negli stati del Sud, i volontari portavano striscioni proponendo la preghiera del Santo Rosario, protestando contro le misure socialiste imposte da alcuni Governatori, e difendendo la Polizia dagli attacchi anarchici. Ai passanti erano offerti Rosari e medaglie di San Michele.
Davanti al Campidoglio di Albany, New York
Un commento reiterato un po’ ovunque dai passanti, al margine della campagna: “Siamo sazi di quella roba virtuale. Vogliamo la roba vera (the real stuff)!”. È una critica, nemmeno velata, ai pastori che, in occasione della pandemia, hanno lanciato la moda delle “parrocchie virtuali”: tutto è trasmesso online e, quindi, non c’è più il bisogno di andare in chiesa. La gente, invece, vuole la testimonianza cattolica lì dove serve: sulle strade.
USA: i marinai possono pregare di nuovo
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edendo alla pressione delle lobby laiciste, che stanno approfittando della pandemia da COVID19 per intralciare le pratiche religiose, il Comando della Marina di Guerra degli Stati Uniti aveva vietato qualsiasi “partecipazione, assistenza o promozione di servizi religiosi in luoghi chiusi”. I trasgressori rischiavano la corte marziale per insubordinazione. L’ordine ledeva palesemente la libertà religiosa dei marinai, tanto più che, nel contempo, permetteva “riunioni sociali, proteste e altre attività collettive”. Immediata la reazione della TFP americana, che ha lanciato una raccolta di firme chiedendo al Presidente Trump di revocare l’ordine. L’appello ha raccolto quasi ventimila sottoscrizioni in pochi giorni. Rispondendo a questa e altre simili iniziative, l’alto comando navale ha deciso di abrogare il provvedimento. Una grande vittoria per il diritto di praticare la religione!
La copertina della campagna TRADIZIONE FAMIGLIA PROPRIETÀ / OTTOBRE 2020 - 43
Se qualcuno soffrisse improvvisamente di un disturbo agli occhi, ai nervi o alla mente... di Plinio Corrêa de Oliveira
I
l famoso quadro di Velázquez, Las Meninas, è giustamente ritenuto uno dei capolavori dell’arte.
La grazia delicata dell’Infanta, l’affetto pieno di dignità e di rispetto delle fanciulle di Corte che la servono, la fierezza del cavaliere di Santiago a sinistra (che sarebbe lo stesso pittore), tutto esprime un ambiente raccolto, elevato, profondamente civilizzato. L’attenta considerazione di questo capolavoro, oltre a stimolare il senso artistico, è altamente formativa dello spirito. Ma, se un osservatore soffrisse improvvisamente di un disturbo agli occhi, ai nervi o alla mente, è chiaro che le armonie del quadro si andrebbero dissolvendo per lui. Nell’estremo della perturbazione, l’aspetto del quadro di Velázquez potrebbe raggiungere il livello di deformazione mostrato dal secondo cliché.
L’inverso non potrebbe mai succedere. Se qualcuno osservasse il secondo cliché e avesse un disturbo agli occhi, ai nervi o alla mente, mai riuscirebbe a visualizzare Las Meninas.
Questo è così evidente da dispensare qualsiasi commento.
Il primo quadro non è il risultato del disordine, ma dell’ordine, del talento, della cultura, della civiltà. Esso mostra, nei suoi imponderabili, un’impronta profondamente cristiana. Il secondo quadro non è il risultato dell’ordine bensì del disordine, della stravaganza, dello squilibrio, dell’intemperanza. Esso può provenire soltanto dalle passioni sregolate oppure dalla malattia. Il secondo cliché riproduce la copia realizzata dal Picasso dell’immortale quadro di Velázquez. Senza commenti...