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Metodologie degli studi di genere: alcuni esempi nella letteratura inglese della prima età moderna tra letteratura di viaggio, teatro e utopia
Gilberta Golinelli (Università di Bologna) Le mie ricerche nell’ambito degli studi di genere sono in parte interconnesse all’esperienza maturata come docente a contratto per il master europeo sui Women’s and Gender Studies (Gemma), dove ho insegnato English Women’s Literature e insegno Feminist Methodology: Interdisciplinary Methods in Women’s and Gender Studies. Nell’articolare i miei studi, che si sviluppano intorno a due direzioni, non posso quindi non riferirmi anche ai contenuti di quanto ho insegnato in questi anni, poiché parte delle mie indagini più recenti, che comprendono testi scritti da donne ma anche opere di scrittori uomini, sono condotte attraverso le metodologie critiche degli studi di genere. Tali metodologie sottendono il mio modo di fare ricerca e sono quelle che insegno come strumento critico per liberare testi letterari ‘canonici’ da una lettura monolitica e unidirezionale, e per esplorare, come auspicano Catherine Belsey e Janet More, significati e contenuti alternativi in grado di rompere il sistema binario che, per secoli, ha legittimato il mantenimento dello status quo1. Al contempo, una metodologia di genere aiuta anche a dimostrare come ogni interpretazione di un testo (che sia scritto da donna o uomo non cambia) debba avvenire con la consapevolezza che il/la lettore/trice, proprio perchè sempre situato/a storicamente e geograficamente2, talvolta rischia di leggere i testi del passato unicamente per confermare ciò che sta “cercando”. Credo infatti sia fondamentale sottolineare che la stessa metodologia femminista e di genere ha la consapevolezza di poter incorrere nei pericoli di una interpretazione esclusivamente ideologica poiché, come ribadisce Phillis Rackin, non si tratta di cambiare la storia, ma di interrogarla: “not because it is necessarily incorrect, but because it is incomplete. It constitutes only one of many stories that could be told”3 .
1. Una parte dei miei studi si è concentrata e ancora si concentra sui processi identitari e sulla costruzione dell’identità maschile e femminile, ma anche sulle modalità discorsive che hanno contribuito a fissare le nozioni di etnia, rango e sessualità nella letteratura dell’epoca delle grandi 1
Nell’introduzione a The Feminist Reader le studiose confermano come uno degli scopi della critica consista ancora: “in the process of changing gender relations which prevailed in our society, and regards the practice of reading as one of the sites in the struggles for change.”, C. Belsey, J. Moore, “Introduction: The Story So Far”, in C. Belsey and J. Moore (eds), The Feminist Reader, London, Palgrave McMillan, [1989] 1997, pp. 1-25. 2 Per un’indagine più specifica su questo tema si veda l’utile saggio di Susan Stanford Friedman, “Globalizzazione e teoria culturale femminista”, in Raffaella Baccolini (a cura di), Bologna, BUP, 2005, pp. 265-289. 3 Phillis Rackin “A usable History”, in Shakespeare and Women, Oxford, Oxford UP, 2005, p. 9.
2 scoperte geografiche e, in particolare, durante l’età elisabettiana, attraverso l’utilizzo del gender come chiave di lettura ed interpretativa di essa. Particolarmente significativo per la mia indagine è il dibattito che, a partire dagli anni novanta del secolo scorso, hanno intrapreso le femministe con il new historicism e il cultural materialism, mettendo in luce come, sebbene i new historicists abbiano avuto il merito di porre l’accento sulle pratiche discorsive sottese alla costruzione dell’identità e al modellamento del ‘soggetto’ rinascimentale, essi hanno tuttavia posto al centro delle loro argomentazioni le rappresentazioni culturali che sono state funzionali alla formazione dell’identità e del soggetto maschile, nonché delle relazioni di potere tra uomini4. Infatti, come mettono anche in luce Valerie Traub, M. Lindley Kaplan e Dympna Callaghan nella loro introduzione al volume Feminist Readings of Early Modern Culture. Emerging Subjects: “In the past, histories of the subject have rarely specifically having been concerned with gender while feminist work on gender has only minimally taken up in historical terms, the claim of a new subjectivity […]”5. L’esigenza di appellarsi all’idea di una nuova soggettività pone quindi l’accento non solo sull’esistenza di diverse forme di soggettività, ma anche sulla necessità di rinvenire le diverse condizioni sociali e culturali che hanno permesso a tali soggettività di acquisire o perdere significato in un sistema di differenziazione basato sul genere, la classe, la sessualità e l’etnia. E’ nell’ambito di questa cornice teorico metodologica che mi sono occupata ad esempio della rivisitazione del mito delle amazzoni nella cultura inglese della prima età moderna. Tale mito, nelle sue diverse accezioni, appare in molti resoconti di viaggio sulle Americhe, che spesso se ne servono per colmare il vuoto conoscitivo di uno spazio geografico non ancora conquistato e per rendere intelligibili gli ostacoli ancora da superare per terminare la presa di possesso del territorio e dei suoi abitanti. La figura ‘classica’ dell’amazzone subisce quindi un’intensa rielaborazione che, nell’Inghilterra della seconda metà del ’500, acquista importanti valenze conoscitive. La consapevolezza di essere governati da una donna, Elisabetta I, obbliga infatti la cultura patriarcale a rimodellare l’amazzone e la società matriarcale di cui essa incarna la massima espressione. Tali rielaborazioni avvengono sia nei discorsi sulla neonascente politica coloniale inglese verso il ‘Nuovo Mondo’ sia nelle rappresentazioni culturali (ritrattistica, teatro e poemi epici cavallereschi) che riguardano la legittimazione dell’agency di Elisabetta e la ricerca di una genealogia femminile che consolidi la sua posizione di donna al potere senza scardinare l’ordine simbolico su cui si fonda la società inglese del periodo. La presenza di una regina sconvolge le strategie di rappresentazione e 4
Significativa è la risposta di Laura Levine al New Historicism, in particolare al testo di Stephen Greenblatt, Renaissance Sel-fashioning: From More to Shakespeare, 1980, che la studiosa riconosce come importante analisi sulla formazione dell’identità e della soggettività nel corso del Rinascimento inglese mostrando, tuttavia, come essa prediliga la costruzione dell’identità maschile, cfr. Men in Women’s Clothes. Anthi-theatricality and Effeminization, 1579-1642, Cambridge, Cambridge UP, 1994, p. 8. 5 “Introduction” in V. Traub, M.L. Kaplan, D. Callaghan (eds), Feminist Readings of Early Modern Culture. Emerging Subjects, Cambridge, Cambridge UP, 1996, pp. 1, 5.
3 trasmissione del potere stesso, da sempre al servizio di una cultura patriarcale che vedeva nella ginecocrazia un qualcosa di mostruoso. In The first blast of the Trumpet against the Monstruous Regiment of Women, 1558 – scritto contro la cattolica Maria Tudor – John Knox ribadisce infatti:
To promote a Woman to beare rule, superioritie, dominion, or empire above any Realme, Nation, or Citie, is repugnant to Nature; contumelie to God, a thing most contrarious to his reveled will and approved ordinance; and finallie, it is the subversion of Good Order, of all equity and justice. […] The civil body is a monstre, where there was no head eminent above the rest […], no less monstruous is the bodie of that Common wealth where a Woman beareth empire6.
In questo contesto, anche la presenza di Elisabetta, regina protestante, ma pur sempre donna, rappresenta una potenziale minaccia all’ordine simbolico se essa, proprio perchè donna, non viene normativizzata all’interno di un complesso discorso culturale in cui la sua agency come sovrana è in realtà svincolata dal suo stesso sesso biologico e dalla sua ‘corporeità’. Nell’investigare il rapporto tra il corpo e la politica e tra l’uso da parte della politica della metafora organologica del corpo umano come espressione del suo ordine o disordine, Adriana Cavarero ricorda i limiti che, fin dalla classicità, si vogliono inscritti nella corporeità femminile: “[essa] viene per lo più rappresentata come lo stadio prelogico di una vita che è ancora il cieco fine a se stessa, e perciò come retaggio di quell’immediatezza animale – senz’altro sregolata, omofaga e incestuosa – di cui la comunità civilizzata degli uomini si vuole polare negazione e incolmabile distanza.”7. Tra i temi trattati nelle mie ricerche è quindi centrale la rappresentazione del corpo, in particolare del corpo della donna. In ambito inglese, come in generale in quello europeo, ed in particolare nella letteratura di viaggio, sono i nuovi mondi che si aprono ai viaggiatori ad assumere perturbanti connotazioni femminili. Tali connotazioni, mentre svelano la verginità e fertilità di un suolo ancora da conquistare, stabiliscono anche l’alterità degli abitanti – uomini e donne – che lo popolano: ‘selvaggi’, spesso paragonati al femminile, che necessitano di essere ‘civilizzati’, collocati all’interno dello stesso sistema binario (maschile vs femminile) che determina le relazioni di genere e di potere in Inghilterra. Come sottolinea Ania Loomba, in molti scritti inglesi: “not only are colonial lands sexualized, but sexual contact begins to be increasingly imagined as colonial possession”8. In alcuni testi di viaggio il corpo allegorico della donna nativa si lega, complicandosi, al corpo puro e vergine della stessa regina Elisabetta attraverso un ambiguo gioco di rimandi plurifunzionali tra la terra del ‘Nuovo Mondo’, da proteggere e in realtà conquistare, e il corpo 6
J. Knox, 1558, The first blast of the Trumpet against the Monstruous Regiment of Women, cit. in, L. A. Montrose, The Subject of Elizabeth: Authority, Gender and Representations, Chicago, The University of Chicago Press, 2006, p. 77. 7 A. Cavarero, Corpi in figure. Filosofia e politica della corporeità, Milano, Feltrinelli, 1995, p. 10 8 A. Loomba, Shakespeare, Race and Colonialism, Oxford, Oxford UP, 2002, p. 28.
4 ‘vergine’ della sovrana, da preservare dalle invasioni esterne che minacciano l’Inghilterra. Un esempio significativo si rinviene nel resoconto di viaggio di Arthur Barlowe, The first voyage made to the coasts of America, del 1584, dove l’identificazione tra il corpo della regina e una terra ancora incontaminata è esplicitata dalla scelta di ‘ri-nominare’ la colonia di Wingandacoa con il nome di Virginia. Tale nome evoca il dono che viene fatto alla sovrana attraverso un richiamo al suo corpo inviolabile (sineddoche del regno inglese e della sua potenziale espansione coloniale), ma diventa al contempo anche un segno che reitera la vulnerabilità del corpo femminile e che legittima la necessità di un suo pieno controllo da parte di sudditi uomini. L’immaginario collettivo cui si rifanno questi testi tiene infatti conto della ‘corporeità’ della donna, ma anche delle fantasie che il suo corpo sessuato e razzializzato può stimolare. E’ questa l’idea che emerge anche dalle mappe dell’epoca e dalle incisioni allegoriche sui continenti e sulla America, dove la terra viene metaforizzata da un corpo femminile svestito, che si offre allo sguardo voyeristico del viaggiatore, ma anche pericolosamente munito di arco e frecce, come il corpo militarizzato e per questo sovversivo dell’amazzone. E’ sempre Loomba a rinvenire come: “Not only were Amazons located in faraway lands, but these lands themselves were often personified as Amazons. […] Such descriptions made clear that such unruly lands needed to be contained, just as stories about Amazons hinged upon their domestication by Greek and other male herpes”9. In questo senso, la rappresentazione del corpo femminile non solo è funzionale al consolidamento del rapporto di subordinazione tra maschile e femminile, ma anche ai rapporti di potere che la politica coloniale inglese va istituendo tra gli ‘inglesi’ e coloro che diventano soggetti geograficamente, culturalmente ed etnicamente distinti. Nell’ambito di questo specifico contesto storico culturale si articolano anche i miei studi sul teatro shakespeariano e, recentemente, sull’Antony and Cleopatra di Shakespeare10. La mia ricerca muove dagli studi di Valery Traub sulla intertestualità che si rinviene tra la costruzione del soggetto e della sua agency e la mappatura dello spazio che segna l’epoca della grandi scoperte geografiche11, ma anche il delinearsi, come ci ricorda invece Richard Helgerson, delle emergenti nazioni coloniali12. Infatti, anche lo spazio geografico in cui il corpo del soggetto, maschile e femminile, veniva collocato partecipava alla formazione del soggetto stesso e al delinearsi di una specifica ideologia dominante in cui il genere, la sessualità e la razza si andavano consolidando 9
Ibidem p. 28. Cfr. Gilberta Golinelli, “(De)costruzione e rappresentazione del corpo nello ‘spazio’ geografico e teatrale di Antony e Cleopatra”, in Gilberta Golinelli, Il testo shakespeariano dialoga con i nuovi storicismi, il materialismo culturale e gli studi di genere, Bologna, I libri di Emil, 2012, pp. 71-96. 11 V. Traub, “Mapping the global Body” in P. Erickson, C. Hulse (eds), Early Modern Visual Culture: Representation Race and Empire in Renaissance England, Philadelphia, University of Philadelphia Press, 2000, pp. 44-97 12 R. Helgerson, Forms of Nationhood: The Elizabethan Writing of England, Chicago, University of Chicago Press 1992. 10
5 come categorie fondanti la sua identità. La mia ricerca si rivolge alla rappresentazione del corpo e della mascolinità/romanità di Antony per vedere come la sua collocazione negli spazi geografici indicati nel testo (Roma e l’Egitto), possa essere letta quale messa in scena delle pratiche discorsive con cui la società del tempo andava fissando le politiche di genere. In sintonia anche con gli studi sulla messa in scena del gender nel teatro della prima età moderna13, mi interessa mostrare come la rappresentazione del corpo di Antony, al pari di quella del corpo di Cleopatra14, sia una ‘performance’ che rivela l’instabilità di quegli stessi segni o markers che si delineavano come indispensabili per dare visibilità ed esistenza a relazioni di genere principalmente basate sulla riconoscibilità dei ruoli e della mascolinità, nonché sulla capacità del soggetto ‘maschile’ di controllare i luoghi che andava occupando. Come ha messo in evidenza Jane Howard, i tentativi di regolamentare i rapporti di genere attraverso segni e compiti ben riconoscibili, come si evince ad esempio dalle polemiche contro il teatro che circolavano in quegli stessi anni15, informano anche sulla profonda fragilità e complessità del sistema di genere, nonché sull’instabilità di un sistema sociale in cui le donne stavano acquisendo un certo spazio di azione nei teatri e nell’economia della vita cittadina16. Stephen Orgel, del resto, indagando il ruolo dei boy actors nel teatro inglese, mette in luce come le relazioni di genere non venissero concepite solo attraverso l’opposizione binaria maschile vs femminile, ma anche attraverso altri assi di differenziazione e di formazione sociale, come ad esempio la funzione dell’età nella stessa costruzione dell’idea di mascolinità:
If boys in the Elizabethan sex/gender system were not simply “little men,” then a woman who dresses specifically as a boy is not necessarily aligning herself with the “masculine.” A woman who disguises herself as a boy rather than as a man enters into a state of even more heightened ambiguity because boys are likewise caught in an intrinsically transitive state of existence.17
Inoltre, secondo la ‘psicologia umorale’ dell’epoca18, gli umori potevano determinare non solo la salute e il carattere del soggetto, ma anche la sua sessualità, ‘instabile’, anch’essa, come il carattere
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Oltre allo studio di Laura Levine, op. cit., cfr. Viviana Comensoli, Ann Russel (eds), Enacting Gender on the English Renaissance, Urbana, University of Illinois Press, 1999. 14 Per un’analisi sulla figura di Cleopatra, cfr. il saggio di Oriana Palusci, “When boy or women tell their dreams”: Cleopatra and the Boy Actor”, in Textus, Vol. xx, n° 3, 2007, pp. 603-616. 15 J. E. Howard, “Crossdressing. The Theatre and Gender Struggle in Early Modern Europe”, Shakespeare Quarterly, Vol. 39, n. 4, 1988, pp 418-440. 16 Rackin rammenta non solo che: “We now have evidence of women’s widespread participation in pre-Reformation drama”, ma anche che: “In Shakespeare’s London, women were a visible presence all over the city, including the playhouses”, op. cit. p. 2. 17 S. Orgel, Impersonations. The Performance of Gender in Shakespeare’s England, Cambridge, Cambridge UP, 1996, p. 52. 18 Gail Kern Paster, “The Unbearable Coldness of Female Being: Women’s Imperfection and the Humoral Economy”, English Literary. Renaissance, Vol. 28, 1998, pp. 416-440
6 e la salute, poiché continuamente soggetta all’equilibrio degli umori19. In questo senso, la riconoscibilità della differenza sessuale e di genere come mette invece in evidenza Will Fisher si materializzava attraverso una serie di ‘protesi’ o tratti distintivi ‘aggiuntivi’, una lista di parti che: “[they] would have to include the beard and the genitals, but would also have to include clothing, the hair, the tongue, and weapons such as swords or daggers (to name just a few).”20 E’ quindi anche attraverso l’analisi del non controllo di queste “prosthetic parts” che si muove il mio studio sulla figura di Antony, sull’instabilità della sua mascolinità, ma anche sulla fragilità dello stesso ideale di mascolinità che sottende il sistema patriarcale della cultura inglese del tempo21.
2. Una prospettiva di genere rivela anche quanto nell’ambito della tradizione letteraria femminile sussista una produzione e distribuzione dei saperi legata a questioni di storia, cultura, classe ed etnia, una produzione di un sapere che per esprimersi ha spesso dovuto negoziare la propria autonomia dalla tradizione e dal sistema politico dominante. Come il confronto tra la critica femminista mainstream degli anni settanta e i femminismi degli anni successivi ha messo in luce22, la donna scrittrice difficilmente può essere considerata come rappresentativa di un intero gruppo di donne; tutto al più essa può essere letta come rappresentativa di quelle donne che, con lei, condividono lo stesso accesso al sapere, gli stessi privilegi legati alla classe e all’appartenenza identitaria23. E’ nell’ambito di questa cornice teorico-metodologica che ho articolato l’ultimo corso tenuto per il Master Gemma (a.a 2011-2012) dove ho presentato testi scritti da mano femminile che attraversano più epoche storiche e che appartengono anche a diversi generi letterari tra cui l’utopia, la letteratura di viaggio, il romanzo e il saggio critico24. L’intento era vedere in che modo tali testi,
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Studi recenti hanno dimostrato come anche il clima e la posizione geografica potessero influire sulla stabilità della sessualità del soggetto. Cfr. ad esempio Mary Floyd-Wilson, English Ethnicity and Race in Early Modern Drama, Cambridge, Cambridge UP, 2003, pp. 23-47, 48-60. 20 W. Fischer, “The Renaissance Beard: Masculinity in Early Modern England”, Renaissance Quarterly, Vol. 54, 2001 pp. 155-187 21 In riferimento alla ‘appropriazione’ dei segni della romanità come modello di mascolintà ad opera degli elisabettiani, Coppélia Kahn dimostra che: “Our word for one of the world’s oldest and most persistent gender systems, “patriarchy”, comes from Latin, and the male dominance that it promotes is strongly associated with Rome, though it didn’t originate there. Because Rome was a patriarchal society, Romanness per se is closely linked to an ideology of masculinity. […] I have come to see masculinity in these works less as an intra-psychic phenomenon and more as an ideology discursively maintained through the appropriation of the Latin heritage for the early modern English stage.” Roman Shakespeare: Warriors, Wounds, and Women, London, Routledge, 1997, pp. 1-2. 22 Cfr. R. Baccolini, M. G. Fabi, V. Fortunati, R. Monticelli (a cura di), Critiche Femministe e Teorie Letterarie, Bologna, Clueb, 1997. 23 Come sottolineano sempre More e Belsey, parafrasando le parole di Barbara Smith sull’identità della scrittrice di colore: “If black authors write differently from white, that is not because of their biological skin color, but because of the different subject positions that being black in a white society constructs”, op. cit p. 16. 24 Per un’analisi sul rapporto tra gender e genre, cfr. l’utile antologia curata da Maria Teresa Chialant e Eleonora Rao, Letterature e Femminismi. Teorie della critica in area inglese e americana, Napoli, Liguori, 2000. In particolare il saggio di Sandra Gilbert e Susan Gubar “Donna e Poesia: creativà e genere sessuale”, (“Gender, Creativity and the Women Poets” del 1977) pp. 87-98 e la nota introduttiva di Marina Lops, pp. 87-98.
7 pur venendo scritti da donne, parteciparono, trasformarono o semplicemente resistettero alle relazioni di potere basate su discriminazioni di genere, ma anche di classe ed etnia. In questa luce si colloca la seconda direzione delle mie ricerche e, in particolare, la mia indagine sull’opera di Margaret Cavendish The Description of a New World Called the Blazing World, del 1666. Quest’opera è infatti un testo emblematico, oltre che ibrido, perchè rappresenta sia un primo esempio di utopia al femminile25, che trasgredisce e sovverte alcuni degli elementi caratteristici e fondanti le utopie ad essa coeve, sia un testo che dialoga criticamente con il contesto politico e scientifico-culturale della sua epoca da cui le donne erano escluse26. Pur riproponendo molti dei topoi della narrazione utopica rinascimentale, ad esempio la geografia insulare, il clima favorevole, la pace e la felicità in cui vivono gli abitanti del Blazing World27, l’opera di Cavendish pare rivendicare, in modo opposto alle utopie del tempo, l’importanza della soggettività e dell’immaginazione del soggetto donna28, conferendo alle possibilità progettuali offerte dalla forma utopica – come l’ideazione di un mondo o di una società alternativa – il valore di spazio di empowerment ed agency al femminile. Nella prefazione e nell’epilogo al suo testo, Cavendish dichiara che il ‘mondo’ da lei creato è uno spazio progettato per lei stessa, un mondo dove essa stessa può ‘trovare il modo’ (to endeavour), di essere sovrana, ma anche un luogo in cui le attività senza utilità attribuite alle donne, come fantasia e immaginazione, fancies or imaginations, possono acquistare nuovo valore29: 25
Sul rapporto che esiste tra questo testo e l’utopia, cfr. Rachel Trubowutz, “The Re-enchantment of Utopia and the Female Monarchical Self: Margaret Cavendish’ s Blazing World”, Tulsa Studies in Women’s Literature, Vol. 11, n° 2, 1992, pp. 229-245; Giovanna Silvani, “L’utopia fiammeggiante di Margaret Cavendish”, in Luoghi e Figure della Trasformazione, Milano, Guerini, 1992, pp. 167-211. La rivisitazione della forma utopica da parte di Cavendish è presente anche in altri suoi testi, cfr. Erin Lang Bonin, “Margaret Cavendish’s Dramatic Utopias and the politics of Gender”, in SEL, n. 40, vol 2, 2000, pp. 239-254. 26 Se è vero che alcune donne si ritagliarono una significativa posizione nella letteratura e nella cultura del tempo, è tuttavia anche vero che esse non godevano degli stessi diritti degli uomini né rispetto all’accesso al sapere né nei confronti di quello alla vita pubblica e politica. Cfr. lo studio seminale di Merry E. Wiesner, Women and Gender in Early Modern Europe, Cambridge, Cambridge UP, 1993 e Pilar Cuder Dominguez, Stuart Women Playwrights, 16131713, Farnham, Ashgate, 2011. Per quanto riguarda invece la posizione delle donne in ambito filosofico-scientifico, cfr. Yaakov Mascetti, “A “World of Nothing, but Pure Wit”: Margaret Cavendish and the Gendering of the Imaginary”, in Partial Answers. Journal of Literature and History of Ideas, N. 6, Vol. 1, 2008, pp. 1-31. 27 Sulla presenza di elementi utopici nell’opera di Cavendish e sulla loro rielaborazione, cfr. Giovanna Silvani “La fiaba fantastica di Margaret Cavendish”, in R. Baccolini, V. Fortunati, N. Minerva, (a cura di), Viaggi in Utopia, Ravenna, Longo, 1993, pp. 311-317; Maria Grazia Nicolosi, “Introduzione”, a M. Cavendish, Il Mondo sfavillante, Maria Grazia Nicolosi (a cura di) Catania, CUECM, 2008, pp. 53-104. 28 Mascetti mostra come nel corso del Seicento: “Reason, wisdom, and the interpretation of nature were part of men’s sphere of activity, while fancy and imagination became the cage designed for women’s useless activity”, art. cit. p. 2. Tale consapevolezza è ironicamente espressa da Cavendish stessa che, nel 1653, scrive: “Noble, Worthy Ladies, Condemne me not as a dishonour of your sex, for setting forth this Work; for it is harmlesse and free from all dishonesty; I will not say from vanity: for this is so. Beside, Poetry, which is built upon Fancy, Women may claim, as a worke belonging most properly to themselves: for I have observed, that their Braines work usually in a Fantasticall motion; […] For Fancy goeth not so much by Rule, and Method, as by Choice;” in “To all Noble, and Worthy Ladies”, cit. in Women’s Political and Social Thought, Hilda L. Smith and Berenice A. Carroll (eds), Indiana University Press, Bloomington Indiana, 2000, p. 73. 29 Si fa presente che questo testo, come dichiara la stessa autrice nella prefazione, segue un’altra sua opera, questa volta filosofica, Observations upon Experimental Philosophy, dove ella entra nel merito della scienza sperimentale del suo
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It is a description of a new world! not such as Lucian’s, or the French – man's world in the moon; but a world of my own creating, which I call the Blazing World […] though I cannot be Henry the Fifth, or Charles the Second, yet I endeavour to be Margareth the First, and although I have neither power, time nor occasion to conquer the world as Alexander and Caesar did; yet rather than not to be mistress of one, since Fortune and the Fates would give me none, I have made a world of my own: for which no body, I hope, will blame me, since it is in every one’s power to do the like. […] And if any should like the world I have made, and be willing to be my subjects, they may imagine themselves such, and they are such, I mean, in their mind fancies or imaginations; but if they cannot endure to be subjects they may create worlds of their own, and govern themselves as they please30.
In questo senso, trasgredendo il principio razionale tipico delle utopie del periodo, che si delineano come luoghi in cui si progettano modi e mondi possibili con e in cui disciplinare le diverse soggettività per impedire forme di governo assoluto31, The Blazing World, rileva Rachel Trubowitz: “[it] does not domesticate human and physical nature into a rationalized cultural grid that can be easily managed and patrolled”, ma, continua la studiosa: “dissociates the utopia from the repressive force of discipline and newly associates it with a suspension of rationally conceived laws and institutionally imposed order”32. La difesa dell’immaginazione contro la ragione è confermata anche dalla scelta del personaggio viaggiatore dell’utopia di Cavendish, che è significativamente una donna, poiché ‘essa’, diversamente dal viaggiatore tradizionale che lascia l’utopia per tornare a casa, rimane nel mondo dove approda. Così facendo, la protagonista riconosce al mondo ‘immaginario’ il valore di spazio dove “si possono vivere ambizioni e desideri repressi”33, ma rafforza nuovamente l’importanza che fantasia e immaginazione acquistano per la donna come strumenti di ‘esistenza’ e resistenza verso un sistema di genere che non la riconosce come soggetto. In verità, la rivisitazione del paradigma utopico da parte di Cavendish acquista altre valenze epistemologiche, poiché l’utopia diventa spazio in cui l’autrice difende la propria posizione ideologica e lascia trasparire la sua appartenenza sociale e la sua posizione politica a favore della
tempo: “I added this piece of fancy to my philosophical observations, and joined the mas two worlds at the ends of their poles; both for my own sake, to divert my studious thoughts and to delight the reader with variety.” M. Cavendish, The Description of a New World, Called the Blazing World, in Kate Lilley (ed.) The Blazing World and Other Stories, London, Penguin, 1994, pp. 124. 30 Ibidem, pp. 124, 224-225. 31 Il socialismo che si attua nell’Utopia di Moro è infatti una chiara critica alla monarchia assoluta come forma di governo. Inoltre, come sottolinea Trubowitz riprendendo il pensiero di James Holston, lo stesso sistema di razionalizzazione della politica, della cultura e dello spazio che caratterizza l’utopia di Moro e le utopie del tempo, si rivela in realtà funzionale alla produzione di soggettività disciplinate e quindi private di una loro individualità. Cfr. Trubowitz, art.cit., p. 230. 32 Ibidem, pp. 230, 232. 33 Cfr. Silvani, art.cit., p. 316.
9 monarchia assoluta34. Dopo essere stata nominata imperatrice dallo stesso Imperatore che: “gave her an absolute power to rule and govern all that world as she pleased”35, la viaggiatrice interroga alcuni sudditi sulle ragioni che li hanno spinti a preferire la monarchia. Essi affermano che la monarchia è l’unica forma di governo possibile, poiché, proprio come conferma la tradizionale metafora organologica del corpo umano da essi stessi utilizzata, è la più naturale: […] that is was natural for one body to have but one head, so it was also natural for a politic body to have but one governor; and that a commonwealth, which had many governors was like a monster with many heads: […] a monarchy is a divine form of government; for as there is but one God, whom we unanimously worship and adore with one faith so we are resolved to have but one Emperor, to whom we all submit with one obedience36.
L’importanza del rango quale asse di differenziazione viene più volte ribadita nel testo, poiché Cavendish, pur resistendo ai tentativi di fissare rapporti gerarchici tra le varie specie e razze che popolano il Blazing World, come ad esempio “bear-men, worm-men, bird-men o mear-men” o “men appeared of an azure, some of a deep purple, some of a grass-green, some of a scarlet, some of an orange-colour”, mostra, tuttavia, che nel suo mondo perfetto: “None was allowed to use or wear gold but those of the imperial race, which were the only nobles of the state; nor durst anyone wear jewels but the Emperor, the Empress, and their eldest son”37. Se da un lato Cavendish, sfidando le modalità di controllo della natura e del genere umano al centro delle ambizioni scientifiche del suo tempo, pare indicare che non esistono gerarchie basate su differenze di razza e specie perché la natura è infinitamente molteplice, dall’altro, nella sua utopia, le uniche differenze che contano sono quelle di classe38. Il testo serve quindi all’autrice anche per lamentare la perdita delle proprie ricchezze durante gli anni della guerra civile – quando gran parte del patrimonio del marito, il duca di Newcastle, fu confiscata da Cromwell – ed è al contempo anche funzionale alla difesa di una
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E’ sempre Trubowitz a mettere in luce come Cavendish si appropri del genere utopico anche per ribadire l’importanza della monarchia e dei suoi valori in contrasto con l’uso dell’utopia da parte dei predicatori puritani: “Cavendish reclaimed the genre for the royalist side a san instrument by which the magic of monarchy, custom, and tradition, which the Puritans had tried to eradicate through utopian visions of rationalized politics, culture, and religion, could be reistated”, art.cit., p. 236. 35 Sovversiva appare anche la scelta dell’imperatore di ‘farsi’ governare da una donna perchè essa muta radicalmente il ruolo della moglie all’interno della famiglia patriarcale dove invece è l’uomo che governa. 36 Margaret Cavendish, op. cit., p. 134. 37 Ibidem, p. 133. 38 Cfr. Sujata Iyengar, “Royalist, Romanticist, Racialist: Rank, Gender, and Race in the Science and Fiction of Margaret Cavendish”, ELH, vol. 69, n° 3, 2006, pp. 649-672, pp. 650-651. Anche nella descrizione dei poteri attribuiti alla nuova imperatrice non si rinviene solo, come afferma Trubowitz, una chiara nostalgia per “the androgynous body politic of Elizabethan England and a cultural moment, unlike her own, in which the lines demarcating gender boundaries were at least partially effaced”, art. cit., p., 234; ma anche un chiaro richiamo, come indica Nicolosi, alla figura della regina Henrietta Maria, di cui Cavendish fu dama d’onore anche nel periodo degli anni dell’esilio della sovrana dall’Inghilterra, op. cit., pp. 17-19.
10 posizione privilegiata che, rispetto ad altre donne, le garantisca anche la possibilità di scrivere e vivere della propria scrittura39. Ma, come si diceva, il mondo alternativo che l’autrice crea nel suo testo è già un’utopia dove la viaggiatrice che vi approda riesce anche a superare tutti gli ostacoli legati al suo genere sessuale. Tale testo rappresenta, quindi, una sfida ad una rigida e restrittiva definizione del femminile secondo la quale le occupazioni della donna dovevano essere limitate ad una cerchia molto ristretta di attività ed ambiti che le impedivano di essere considerata un soggetto politico40. La viaggiatrice non diventa soltanto imperatrice, ma anche capo dell’esercito, della chiesa e, soprattutto, della scienza e del sapere, poiché fonda e dirige l’accademia del Blazing world, un chiaro richiamo alla House of Salomon dell’utopia di Bacon, New Atlantis del 1626-27, ma anche alla Royal Society inglese. La sovrana, che con l’autrice condivide gli stessi desideri di conoscenza e partecipazione ai dibattiti filosofici della sua epoca41, si inserisce, infatti, nelle discussioni dei matematici e dei ‘natural philosophers’ del Blazing World mostrando, tuttavia, attraverso una velata ironia, la loro eccessiva fiducia nella ragione, nel metodo matematico e nelle sperimentazioni: The spider-men came first, and presented her Majesty with a table full of mathematical points, lines and figures of all sorts of squares, circles, triangles, and the like; which the Empress, notwithstanding that she had a very ready wit, and quick apprehension, could not understand; but the more she endeavoured to learn, the more was she confounded: whether they did ever square the circle. I could not exactly tell, nor whether they could make imaginary points and lines42.
La narrativa utopica permette così all’imperatrice, ma anche alla stessa autrice di cui l’imperatrice rappresenta uno dei tanti sdoppiamenti, di sollevare dubbi sulle pretese della scienza del suo tempo e di farlo proprio dall’interno di quegli stessi luoghi, come le accademie e le università, da cui le donne erano estromesse, proprio perché nuovamente: “[it] allows Margaret to
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In riferimento a questo aspetto dell’opera di Cavendish, cfr. C. Gallagher, Embracing the Absolute: The Politics of the Female Subject in Seventeenth-Century England, in “Genders”, 1, 1988, pp. 24-39 40 Cfr. Dolores Paloma, “Margaret Cavendish: Defining the Female Self”, in Women’s Studies, Vol. 7, 1980, pp. 55-66. Ma anche quanto afferma la stessa Cavendish: “As for the matter of Governments, we Women understand them not; yet if we did, we are excluded from intermedling therewith, and almost from being subject thereto; we are not tied, nor bound to State and Crown; we are free, not Sworn to Allegiance, nor we take the Oath of Supremacy; we are not made Citizens of the Commonwealth, we hold no Offices, nor bear we any authority therein; we are accounted neither Useful in Peace, nor Serviceable in War; and if we be not Citizens in the Commonwealth, I know no reason we should be Subjects to the Commonwealth; And the truth is, we are no Subjects unless it be to our husband […]”Sociable Letters, James Fitzmaurice (ed.), Broadview Editions, Peterborough, 2004, p. 61 41 Il desiderio di emancipazione di Cavendish si rivolgeva anche alla filosofia e alla scienza, alla possibilità di partecipare alle discussioni scientifiche del suo tempo, alle stesse cui aveva preso parte nei salotti francesi proprio grazie alle sua appartenenza sociale. Tuttavia, come ricorda Silvani: “In Inghilterra, sia prima che dopo la Restaurazione, Margaret era un’isolata, un’eccentrica guardata dai più con sospetto e derisione”. “Introduzione”, Le socievoli lettere di una dama del Seicento, Milano, Guerini, 1993, p. 22. 42 Margaret Cavendish, op. cit., p. 159.
11 install one of her selves as the foremost authority in a group of otherwise male scientists whom she creates as her intellectual inferiors. Her ex-centric strategy is to put the dissenting Empress not at the margins but at the centre of a discussion that would have, in life, excluded her”43. L’apporto delle metodologie degli studi di genere nell’ambito delle mie ricerche si rivela quindi fondamentale non solo perché fa luce sul ruolo che i testi e le loro ricezioni hanno avuto nel mettere in evidenza le interconnessioni tra etnia, rango e sessualità, ma anche perché sottolinea come la stessa produzione e ricezione letteraria di un testo sia sempre vincolata a questioni di storia, etnia e, come la complessa utopia di Margaret Cavendish conferma, classe sociale.
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Geraldine Wagner, “Romancing Multiplicity: Female Sebjectivity and the Body Divisible in Margaret Cavendish’s Blazing World”, Early Modern Language Studies, Vol. 9, 2003, p. 1-59, p. 7.