Maurizio Ascari intervista Vittorio Giardino

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Intervista a Vittorio Giardino by Maurizio Ascari

Vittorio Giardino è oggi uno dei più noti romanzieri a fumetti italiani, celebrato per il suo uso della “linea chiara”. Le sue numerose opere spaziano per generi e temi in vasti territori narrativi. Il detective seriale Sam Pezzo, la cui prima avventura – Piombo di mancia – risale al 1979, opera sullo sfondo di una Bologna ibridata con gli scenari hard-boiled. La saga dell’agente segreto Max Fridman, apertasi con Rapsodia ungherese nel 1982 e proseguita con La porta d’oriente nel 1985, è di recente culminata nella trilogia No Pasarán (2000-2008), ambientata in Spagna all’epoca della guerra civile. I primi due volumi della trilogia di Jonas Fink (1991, 1998) – un giovane ebreo di estrazione borghese, destinato a crescere in una Praga post-bellica a lui ostile per le sue appartenenze sociali e religiose – stanno trovando la logica conclusione nel terzo episodio, cui l’autore lavora attualmente. I libri di Giardino sono tradotti in tutto il mondo e qui in Italia sono stati in parte ripubblicati in anni recenti dal Gruppo Editoriale L’Espresso in una edizione che costituisce di per sé un omaggio alla carriera. Incontro l’autore nella sua casa, a pochi giorni dal suo ritorno da un festival letterario in Francia. MA: Innanzitutto grazie per avere accettato di rilasciare questa intervista. La prima domanda che ti rivolgerò è per te scontata, ma serve a dare ai nostri lettori una cornice. Iniziamo dalla tua conversione sulla via di Damasco, quando hai deciso di abbandonare la carriera di ingegnere per diventare fumettista. Secondo te che rapporto c’è tra mentalità scientifica e umanistica ovvero tra le due forme di creatività che hai sperimentato? VG: Dal punto di vista della forma mentale è vero il vecchio luogo comune che le differenze sono minori di quanto sembra, perché le doti che servono sia in un caso che nell’altro sono simili – e parlo della parte tecnicoscientifica del mestiere di ingegnere, non della parte commerciale. In altre parole, la fatica mentale dell’immaginare storie che abbiano un senso e una struttura compiuta non è molto diversa dalla fatica mentale di immaginare una macchina che risolva un determinato problema pratico. Naturalmente il background che ci vuole per operare nella scienza non è strettamente necessario per operare nella letteratura e nell’arte. Le due attività


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