I Figli della mezzanotte hanno trent’anni

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I Figli della mezzanotte hanno trent’anni. Bologna, 14 giugno 2011. Giornata di studio per celebrare il trentennale del romanzo di Salman Rushdie Midnight’s Children by Giorgia Tolfo

Forse ai più sarà passato inosservato, ma questo 2011 ha visto l’occorrenza del trentesimo anniversario della pubblicazione di Midnight’s Children, il più importante romanzo di Salman Rushdie. L’evento non è sfuggito agli studiosi bolognesi di letterature postcoloniali che hanno scelto di celebrare l’occasione organizzando un convegno pluridisciplinare tenutosi il 14 giugno presso la sede della Scuola Superiore di Studi Umanistici. L’evento, organizzato da Francesco Cattani con Federica Zullo, ha visto la partecipazione di docenti provenienti da atenei e discipline diverse. L’eterogeneità degli interventi è stata infatti particolarmente auspicata dagli organizzatori proprio per la volontà di mettere in luce l’importanza che il romanzo ha rivestito non solo per gli studi prettamente letterari e postcoloniali, ma anche più generalmente per quelli comparatistici, sociologici, storici e traduttivi, tra gli altri. Midnight’s Children, pur ambientato nel subcontinente indiano, si è imposto da subito all’attenzione critica globale sia perché al suo interno trovano ampio spazio questioni di carattere linguistico, politico, storico e letterario, sia perché Rushdie ha costruito un palinsesto la cui decostruzione non è possibile che grazie al lavoro congiunto di critici e studiosi di ambiti diversi. Proprio alla luce di questa complessità teoretica e strutturale, il romanzo ha potuto affiancare lo svilupparsi di una riflessione contemporanea sull’idea di world literature, rappresentando secondo un procedimento induttivo e glocalizzante un perfetto esempio di testo che, pur essendo profondamente connotato culturalmente, è leggibile universalmente. E’ su questo aspetto che hanno insistito i numerosi conferenzieri intervenuti fornendone allo stesso tempo una prova tangibile con la loro presenza: infatti, tra gli ospiti, accanto a studiosi di letteratura inglese e postcoloniale, figuravano non solo comparatisti, ma anche traduttori e storici.


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Giorgia Tolfo

Il convegno è stato inaugurato da Silvia Albertazzi, coordinatrice del dottorato in Letterature Moderne, Comparate e Postcoloniali dell’Università di Bologna, che ha portato la sua esperienza di lettura personale del romanzo, per ricordare che lo studio di qualunque testo parte dalla dimensione individuale e che il lettore è primo fruitore dell’oggetto-romanzo e unico soggetto in grado di utilizzarlo in senso rivoluzionario (questione che, come tutti sanno, lo stesso Rushdie ha vissuto sulla sua pelle con la pubblicazione dei Satanic Verses). Alla riflessione sulla lettura di Midnight’s Children nell’arco degli ultimi trent’anni, sono seguiti gli interventi più teorici di Annalisa Oboe, docente dell’Università di Padova e Presidente dell’AISCLI (Associazione Italiana di Studi sulle Culture e Letterature di Lingua Inglese) e di Mariantonietta Saracino dell’Universtà di Roma La Sapienza. Le due studiose hanno insistito sull’importanza del romanzo rushdiano oggi per i subaltern studies, e hanno cercato di mettere in dialogo il testo con gli sviluppi della critica contemporanea in ambito letterario, dimostrando come questo lavoro dopo tre decenni sia ancora perfettamente attuale. A enfatizzare due esempi della duttilità e poliedricità del romanzo hanno pensato Stefano Manferlotti dell’Università di Napoli Federico II e Mauro Pala di Cagliari, che in un panel coordinato da Rita Monticelli ne hanno proposto due letture delocalizzate: il primo ha preso come matrice d’interpretazione il cibo, un argomento apparentemente depoliticizzato, che però nel testo di Rushdie assume una sua dimensione metaforica e conseguentemente politica; il secondo, invece, ha scelto di inserire il romanzo in una dimensione comparatistica, accostandolo a e leggendolo intertestualmente con Die Blechtrommel di Günter Grass. Itala Vivan, dell’Università Statale di Milano, ha colloquiato invece coi colleghi Alessandro Vescovi, della sua stessa Università, e con lo storico dell’India Michelguglielmo Torri, dell’Università di Torino. Nel loro panel si sono alternate e intrecciate una contestualizzazione storiografica ed una lettura delle controstorie narrate all’interno del e con il romanzo. Sono emersi il paradosso di un testo che pur essendo radicato alla storia indiana ha maggior diffusione al di fuori del subcontinente e l’importanza della dimensione e dell’intento critico che si celano sotto il racconto parodico rushdiano. L’ultimo panel della giornata ha visto due ulteriori, originali, approcci al romanzo: Franca Cavagnoli, affermata traduttrice e docente dell’ISIT di Milano, ha proposto un’analisi precisa e approfondita del linguaggio rushdiano, sottolineandone le difficoltà e le sfide che esso presenta ai traduttori a causa del suo scoppiettante ibridismo e della sua contaminazione linguistica, mentre Francesco Cattani ha riportato il romanzo in una


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prospettiva più comparatista, proponendo una lettura delle influenze che Midnight’s Children ha esercitato sui nuovi scrittori black inglesi, ponendo la propria attenzione in particolare sul romanzo White Teeth di Zadie Smith. È possibile affermare senza riserve che la giornata di studi dedicata a Midnight’s Children non solo si è rivelata particolarmente interessante dal punto di vista accademico, ma ha rappresentato essa stessa un esempio di esercizio dal sapore vagamente rushdiano nel suo offrire un’occasione di incontro per la raccolta e l’ibridazione di frammenti di critica dalla provenienza più diversa. In secondo luogo, ha mostrato la necessità di rivalutare e riconsiderare l’importanza del testo letterario e finzionale come punto di partenza per lo svolgimento di una riflessione capace di espandersi e inglobare i più diversi e interessanti aspetti della nostra società e cultura, in quanto, come afferma lo stesso Rushdie, «Unreality is the only weapon with which reality can be smashed, so that it may subsequently be reconstructed»1. Infine, ha rappresentato un’occasione per ricordare l’importanza del romanzo rushdiano, senza i fasti e gli sfarzi della celebrazione, bensì tramite l’appropriazione e l’esercizio della lezione che attraverso il suo capolavoro Rushdie ha voluto comunicare: «For God’s sake, open the universe a little more!»2.

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Salman Rushdie, “The Location of Brazil”, Imaginary Homelands, London, Granta & Penguin Books, 1991, p. 122. Id., “Imaginary Homelands”, cit., p. 21.


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