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LOGISTICA SVILUPPO E AMBIENTE 1
In copertina: veduta del Contship Container Terminal di Gioia Tauro (foto Contship Italia).
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63 LA PIANIFICAZIONE DELLE MISU-
Rivista quadrimestrale maggio-agosto 2014 anno XIV, numero 39 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia Via Venti Settembre 30/A – 37129 Verona e-mail: info@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it per invio materiale: casella postale n. 40 ufficio postale Venezia 12, S. Croce 511 – 30125 Venezia Comitato Scientifico Giuseppe Goisis Prof. Ord. di Filosofia Politica, Università Ca’ Foscari, Venezia Cristiana Mazzoni Parigi - Prof. HDR, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Prof. Ord. di Strade, ferrovie e aeroporti, Università di Padova Franco Purini Prof. Ord. di Composizione Architettonica, Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Prof. Ord. di Tecnica delle costruzioni, Università IUAV, Venezia Zeila Tesoriere Prof. Ass. di Composizione Architettonica e Urbana, Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais Maria Cristina Treu Prof. Ord. di Urbanistica, Politecnico di Milano La rivista è sottoposta a referee Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2014 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di agosto 2014 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998
RE DI POLITICA DEI TRASPORTI NELLA DISTRIBUZIONE URBANA DELLE MERCI A ROMA 5 LOGISTICA, SVILUPPO E AMBIENTE di Laura Facchinelli
7 LA REALTÀ COMPLESSA DELLA LOGISTICA ITALIANA di Romeo Danielis
13 IL NUOVO ASSE FERROVIARIO DEL GOTTARDO: EFFETTI TRASPORTISTICI E AMBIENTALI di Oliviero Baccelli e Francesco Barontini
19 TRASPORTO DEI CAMION PER FERROVIA: CONSEGUENZE LOGISTICHE E PROSPETTIVE di Lucia Rotaris
25 INTERPORTI: REALTÀ E PROSPETTIVE di Giovanni Caruso e Francesca Cesarale
31 LO SVILUPPO DELLE ECONOMIE DI SCALA NEL SETTORE MARITTIMO CONTAINER E GLI EFFETTI SULLA PORTUALITÀ
di Giacomo Lozzi ed Edoardo Marcucci
69 LOGISTICA, LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE COME LEVA STRATEGICA di Danilo Marigo
73 RIFLESSIONI SULL’ATTIVITÀ DELLE AZIENDE LOGISTICHE NAZIONALI di Claudio Ferrari, Andrea Migliardi e Alessio Tei
79 LOGISTICA: FENOMENI IN ATTO
E SCENARI DI TRASFORMAZIONE NEL TERRITORIO DEL DISTRETTO CERAMICO DI SASSUOLO di Cristiana Mattioli
85 L’EVOLUZIONE RECENTE DEI SERVIZI LOGISTICI IN ITALIA, LE NUOVE SFIDE DI UN MODELLO ANCORA DEBOLE di Andrea Appetecchia
di Oliviero Baccelli
37 LE GRANDI ALLEANZE NAVALI E GLI EQUILIBRI MONDIALI DEL TRASPORTO MARITTIMO di Alessandro Panaro
45 AUTOSTRADE DEL MARE, UN NUOVO INIZIO di Andrea Appetecchia
51 LOGISTICA PORTUALE E AMBIENTE di Maria Ines Cusano
57 SOSTENIBILITÀ NELLA LOGISTICA
URBANA, TEORIE A CONFRONTO di Danilo Marigo
89 L’INFLUENZA DELLE STRUTTURE ELETTROMECCANICHE NELLE COSTRUZIONI DEI PORTI DI FINE OTTOCENTO di Antonella Caroli
95 PAESAGGIO, AL MART DI ROVERETO IL PUNTO DI VISTA DEGLI ARTISTI di Laura Facchinelli
TRASPORTI & CULTURA N.39
Logistics, development and the environment by Laura Facchinelli
This issue is dedicated to logistics: a theme of absolute significance in terms of economics, development and the environment. A theme that is specialized in a way, aimed at professionals in the field: people in general are scarcely aware of it. A complex theme, logistics, that concerns transport too, especially in the area of distribution logistics: this is how it connects to the scope of our magazine. Transportation comes into play in its different modes, with the opportune intermodal connections, demanding efficiency. Logistics are a synonym of transformation: just think of the growing size of ships and the expansion of port spaces and modernization of equipment that they entail and require. The transformations may also be seen in the distribution of goods in cities, and the variety of solutions developed to reduce the physical and environmental impact. Logistics are also a factor in the future of businesses, their competitiveness on the market, and hence the living conditions of city dwellers and social dynamics. They affect the use of the territory and consequently the physical and psychological wellbeing of our own and the generations to come. They are hindered by the scarce capacity of decision-making bodies to plan for the long term. I will leave it to the curator to illustrate and compare the many points of view developed by the authors of the articles, which range in themes from the new railway axis of the Gotthard Pass to the transportation of trucks by railway, from interports to the transportation of containers by sea, from the highways of the sea to urban logistics. What emerges is that Italy lags behind in the realization of major infrastructural works which should respond to the demand for mobility expressed by the industrial fabric, and as such could/should foster competitiveness and development. It is obvious, for example, that the legislative standards that could have effectively helped to allay the road-only situation by incrementing at railways could play in the transportation of merchandise, in addition rapid passenger service connections. It is important to deal energetically with the changing needs of ports. And to concretely pursue the objective of making transportation sustainable, perhaps by rewarding the companies that optimize their organization to cut pollution. Sustainability is a critical issue, which has always been important to our magazine. Preserving the environment means reducing the factors that pollute air and water, as well as loud noises and visual eyesores. And so it is also a matter of respect for the landscape. To route most transportation by road also means building more roads and fostering land take, cutting through landscapes, often destroying them. This inadequacy becomes all the more evident in the comparison with other countries that on the contrary, have actively intervened. This does not always entail huge construction projects: in some cases the difference lies in long-term planning and invention, laws and a degree of constancy in applying them. Best practices should serve as models. Once again I would like to emphasize the importance of information for the general public. Newspapers and television play a key role (given that Internet is an ocean in which, more often than not, one focuses only on what one already knows). Because an informed collectivity can maturely accept the construction of great works required to participate in the progress of the international community. And can demand the application of “best practices”, which for various reasons, local administrators don’t seem interested in at all. In the “Culture” section, one of our authors talks about ports from a historical point of view, underlining the importance of preserving artifacts, machines, buildings, entire areas that have now been abandoned. There have been many significant projects (in Hamburg, for example) undertaken to transform abandoned port areas into vital modern residential districts. So that while logistics are a matter of development and economics, historical awareness is equally important as an enrichment on the cultural level, as depth and multiplicity. And the capacity to build the future.
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Logistica, sviluppo e ambiente di Laura Facchinelli
Questo numero è dedicato alla logistica: un tema di assoluto rilievo dal punto di vista dell’economia, dello sviluppo, dell’ambiente. Un tema, in certo senso, specialistico, per addetti ai lavori: pertanto la collettività ne ha scarsa consapevolezza. Un tema complesso, la logistica, che riguarda - in particolare nel settore della logistica distributiva - anche i trasporti: è questo il punto di connessione con gli interessi della nostra rivista. I trasporti entrano in gioco nelle loro differenti modalità, con le auspicabili connessioni intermodali, reclamando efficienza. La logistica è sinonimo di trasformazioni: basta pensare alle misure crescenti delle navi e al conseguente necessario ampliamento degli spazi portuali con ammodernamento delle attrezzature. Le trasformazioni sono evidenti anche nella distribuzione delle merci in città, con le molteplici soluzioni che vengono messe a punto per ridurne l’impatto fisico e ambientale. La logistica riguarda il futuro delle aziende, la loro competitività sui mercati, e quindi le condizioni di vita dei cittadini e le dinamiche sociali. Investe l’uso del territorio e quindi il benessere psicofisico nostro e delle generazioni che verranno. E trova un limite proprio nella scarsa capacità, da parte degli enti decisori, di progettare a lungo periodo. Lascio al curatore l’illustrazione e il confronto fra i molteplici punti di vista sviluppati dagli autori degli articoli, i cui interventi spaziano dal nuovo asse ferroviario del Gottardo al trasporto dei camion per ferrovia, dagli interporti al trasporto marittimo dei container, dalle autostrade del mare alla logistica urbana. Quel che risulta evidente è che il nostro Paese è in ritardo nella realizzazione di alcune grandi opere infrastrutturali che, rispondendo alla domanda di mobilità espressa dal tessuto industriale, potrebbero/dovrebbero consentire competitività e sviluppo. È evidente, per esempio, che non sono stati adottati gli interventi normativi utili a contrastare il tutto-strada realizzando in modo efficace l’intermodalità. Sembra che, nei fatti, non sia stato ancora compreso il ruolo fondamentale che le ferrovie potrebbero svolgere, al di là dei collegamenti veloci per il servizio viaggiatori, anche per il trasporto delle merci. Occorre affrontare col necessario vigore anche le mutate esigenze dei porti. E perseguire, concretamente, l’obiettivo di rendere i trasporti sostenibili, anche premiando le imprese che, organizzandosi meglio, inquinano meno. La sostenibilità è un nodo cruciale, al quale la nostra rivista dedica attenzione da sempre. La salvaguardia dell’ambiente vuol dire riduzione dei fattori inquinanti dell’aria e dell’acqua, ma anche dei rumori invasivi e degli oltraggi alla vista. E dunque riguarda il rispetto del paesaggio. Trasportare quasi solo su strada significa, infatti, costruire sempre più strade, e quindi attraversare, consumare suolo, spesso deturpare. La constatazione delle inadeguatezze assume evidenza dal confronto con i Paesi che, invece, hanno saputo intervenire. Non sempre si tratta di realizzare imprese di grandi proporzioni: in certi casi la differenza la fanno la lungimiranza e l’inventiva, le norme e la costanza nel farle applicare. Le best practice (“buone pratiche”, volendo usare la bella lingua italiana) dovrebbero servire da modello. Ancora una volta vorrei sottolineare l’importanza dell’informazione al grande pubblico. In primo piano soprattutto il ruolo di giornali e televisione (dato che internet è un oceano nel quale, spesso, si approfondisce solo quello che già si conosce). Questo perché una collettività informata è in grado di accogliere con maturità le grandi opere necessarie per partecipare al progresso della comunità internazionale. E può pretendere, appunto, le “buone pratiche”, anche quelle che agli amministratori, per varie ragioni, interessano poco! Nella sezione “Cultura” un’autrice parla dei porti dal punto di vista della storia, sottolineando l’importanza di recuperare manufatti, macchine, edifici, intere aree non più in uso. Significativi sono alcuni interventi (per esempio ad Amburgo) attuati per trasformare aree portuali dismesse in quartieri moderni e vitali. Se la logistica investe sviluppo ed economia, la consapevolezza storica è altrettanto importante come ricchezza sul piano culturale, come profondità e molteplicità. E quindi come capacità di costruire il futuro.
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La realtà complessa della logistica italiana di Romeo Danielis
A dimostrazione della complessità della logistica basterebbe probabilmente solo la lettura di una delle sue definizioni più accreditata, quella dell’Associazione Italiana di Logistica (AILOG): la logistica è “l’insieme delle attività organizzative, gestionali e strategiche che governano nell’azienda i flussi di materiali e delle relative informazioni dalle origini presso i fornitori fino alla consegna dei prodotti finiti ai clienti e al servizio post-vendita”. Fortunatamente, data le specificità della Rivista Trasporti & Cultura, in questo numero speciale l’attenzione si è concentrata essenzialmente sulla logistica distributiva e, in modo particolare, sulla capacità del sistema dei trasporti italiano di gestire in modo efficiente ed ambientalmente sostenibile il flusso delle merci generato dal sistema economico. Pur avendo ristretto il campo di indagine, la complessità degli argomenti trattati è ancora elevata. Nello spazio disponibile, hanno trovato accoglienza ben 13 contributi che potremmo raggruppare in quattro blocchi tematici: il trasporto ferroviario ed intermodale terrestre con l’aggiunta degli interporti, il trasporto marittimo e fluviale ed i porti, la logistica urbana e le imprese logistiche ed il lavoro. Il tutto con un’attenzione particolare per le ripercussioni ambientali delle attività logistiche e di trasporto e per le scelte culturali e lavorative ad esse inerenti. Tutti gli articoli contengono una rilevante parte descrittiva in cui gli autori presentano le evidenze più interessanti ed attuali rispetto ai loro temi di indagine. Non mancano note preoccupate per le implicazioni, soprattutto in termini di competitività nazionale, di alcuni sviluppi recenti o del mancato adeguamento e razionalizzazione di pezzi importanti del sistema dei trasporti. Alcuni contributi affrontano più apertamente il tema del “che fare?”, suggerendo ambiti di cruciale importanza da monitorare, riforme da attuare il prima possibile, infrastrutture da realizzare e scelte strategiche da operare. Pur con un atteggiamento propositivo, traspare un sentimento di preoccupazione per il ritardo con cui i provvedimenti vengono presi ed implementati. Entrando nello specifico del primo blocco tematico, il trasporto ferroviario ed intermodale terrestre e gli interporti, Oliviero Baccelli e Francesco Barontini si occupano de “Il completamento dell’asse ferroviario del San Gottardo in Svizzera: effetti sul sistema logistico del Nord Italia”. Tale asse ferroviario permette agli autori di esaminare più in generale il caso della Svizzera che “non solo è generalmente considerata come un modello per quanto riguarda l’adozione di una politica di ampio respiro
The complex reality of Italian logistics by Romeo Danielis This issue of Trasporti&Cultura magazine focuses on distribution logistics. More specifically, on the ability of the Italian transport system to efficiently and sustainably manage the flow of goods generated by economic activities. The picture that emerges is quite complex. The articles deal with rail and intermodal transport, with maritime and river transport, with urban logistics and with the business and working environment in companies handling logistics. Special attention is focused on the prevailing environmental and cultural dimensions of the Italian logistics sector.
Nella pagina a fianco: la nave container Blu Ocean nel porto di Gioia Tauro (foto Contship Italia). 1 - Veduta del Contship Container Terminal di Cagliari (foto Contship Italia).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 finalizzata al raggiungimento di obiettivi di lungo periodo condivisi tra la pubblica amministrazione e la cittadinanza, ma un esempio che le infrastrutture si possono realizzare. La condizione è che la strategia complessiva sia chiara e condivisa e che siano intraprese una pluralità di iniziative, di natura sia hard che soft”. Tra le iniziative hard citate dagli autori ci sono il nuovo asse del Gottardo, la galleria ferroviaria del Monte Ceneri, o del cosiddetto “Corridoio 4 Metri” (C4M). Tra quelle soft vengono segnalate l’iniziativa “Seguiti di Zurigo” alla quale partecipano Germania, Francia, Austria, Svizzera, Slovenia e Italia con l’obiettivo di armonizzare le politiche dei singoli Paesi, “la borsa dei transiti alpini”, ovvero un meccanismo per la gestione delle limitate capacità stradali dei valichi o del numero di transiti attraverso i meccanismi di mercato in modo da evitare i meccanismi di “aggiramento” tipici che si producono in seguito all’introduzione di nuove tassazioni stradali e sul carburante. In sostanza, una varietà di interventi proattivi, diretti a costruire le precondizioni affinché i traffici ferroviari trovino una “convenienza di sistema” nello sfruttamento delle nuove infrastrutture. Lucia Rotaris nel suo contributo intitolato “Trasporto dei camion per ferrovia: conseguenze logistiche e prospettive” analizza il trasporto intermodale ferroviario, spesso citato come l’alternativa ideale alla modalità stradale al fine di garantire una maggiore sostenibilità ambientale nel trasporto delle merci. In realtà, l’autrice constata che questa modalità di trasporto, in particolare nella sua configurazione di trasporto accompagnato, ha trovato poco spazio nel contesto europeo, come mostra la documentazione statistica riportata nel contributo. Le poche indagini scientifiche condotte sui criteri di scelta dell’intermodale ferroviario non accompagnato dimostrano, infatti, che “questa è una modalità preferibile al tutto strada solo qualora esistano consistenti vantaggi di costo, tipicamente garantiti da una pesante tassazione della modalità stradale giustificata dall’attraversamento di contesti ambientali particolarmente fragili, o vantaggi di tempo, nella misura in cui l’uso del servizio permette di recuperare le soste forzate imposte dalla normativa sui tempi di sosta del personale viaggiante o sui tempi di attraversamento della rete autostradale”. Le ragioni delle difficoltà di questo segmento a svolgere un ruolo importante nella distribuzione internazionale delle merci, se non in specifici contesti, sono molteplici. L’autrice sottolinea come cruciale la difficoltà di “conciliare le esigenze ed i vincoli di tutti gli attori coinvolti (chi spedisce la merce, chi la riceve e chi la trasporta)”. Giovanni Caruso e Francesca Cesarale si soffermano sul tema “Interporti: realtà e prospettive”, in un contributo nel quale, avendo evidenziato come i trasporti e la logistica rivestano un ruolo centrale per la sostenibilità dello sviluppo economico e sociale di ogni Paese, descrivono dettagliatamente gli interporti presenti in Italia stimando che “prendendo in considerazione congiuntamente le aree di possibile sviluppo a breve-medio termine e quelle a lungo termine, gli interporti evidenziano una capacità di espansione delle proprie aree pari al 73,7%”. Al fine di sfruttare le potenzialità ancora inespresse, richiamano l’importanza progettuale e programmatoria della Piattaforma Logistica Nazionale, concepita per diventare il punto di riferimento della rete logistica nazionale, tramite la gestione integrata delle informazioni sul traffico merci. Attraverso la Piattaforma i porti, gli inter8
porti e gli autotrasportatori verranno “messi in rete”, scambiando i dati in tempo reale. Secondo gli autori, la Piattaforma è dotata di un’infrastruttura robusta, aperta, interoperabile e scalabile ed è in grado di offrire alcuni innovativi servizi di sistema quali: il servizio control tower, il servizio di missione interattiva, il servizio booking, il servizio di freight taxi, gnoscere, che offre strumenti di business intelligente per effettuare analisi storiche su dati generati nell’operatività e archiviati nel datawarehouse; id card che realizza un’anagrafica unica, centralizzata e completa di tutti gli autisti e le aziende di autotrasporto; servizi di controllo accessi, di corridoio doganale e di franchigia. Passando al secondo blocco tematico, quello relativo al trasporto marittimo e fluviale ed ai porti, Oliviero Baccelli in “Lo sviluppo delle economie di scala nel settore marittimo container e gli effetti sulla portualità” e Alessandro Panaro in “Le grandi alleanze navali e gli equilibri navali nel trasporto marittimo” affrontano i nuovi scenari tecnologici ed industriali che si stanno sviluppando nel trasporto marittimo al fine di capire quali riflessi si avranno sulla portualità italiana e quindi quali scelte strategiche sia più opportuno operare. Dato il forte sviluppo del trasporto marittimo che rappresenta sia una causa che una conseguenza del forte sviluppo del commercio internazionale, legato allo sviluppo dell’Asia ed alla maggior interdipendenza delle catene produttive, e osservato il crescente ruolo del Mediterraneo in questo quadro, gli autori sottolineano come, a seguito delle innovazioni tecniche nella movimentazione dei container (che, come sottolinea Baccelli, ha permesso il loro utilizzo anche in merci prima trasportate alla rinfusa) e del crescente costo del carburante siano in atto due fenomeni importanti: 1) il “gigantismo navale”, con evidenti implicazioni per i porti, in particolare per i porti storici italiani, a cui sono richieste caratteristiche e prestazioni assai elevate; e 2) un rapido processo di concentrazione tra i grandi attori del trasporto marittimo internazionale. A fronte di questi inarrestabili processi e sconvolgimenti nei vantaggi competitivi portuali, entrambi gli autori concordano che “diventa importante l’interazione tra le tre interfacce (mare, terra e sistema intermodale)”. Secondo Panaro, ciò richiede importanti scelte strategiche quali: assicurare al sistema una continuità di programmazione, definire i porti strategici, definire i progetti per i porti hub ed i porti polifunzionali, affrontare il problema dei dragaggi, snellire la burocrazia e predisporre un’adeguata pianificazione finanziaria usando i fondi comunitari della prossima programmazione 2014-2020 come riserva di energia per far ripartire il sistema. Come si intuisce, un compito impegnativo a cui finora la politica, sommersa dai molteplici interessi locali e con limitate risorse disponibili, ha dato risposte insoddisfacenti. Analizzando il trasporto marittimo come alternativa al tutto-strada, Andrea Appetecchia nel suo contributo intitolato “Autostrade del mare, un nuovo inizio” afferma chiaramente già in apertura dell’articolo che “la soluzione di trasporto combinato strada-mare, dopo più di quindici anni dall’avvio del progetto delle Autostrade del Mare in Italia, come d’altronde nel resto d’Europa, nonostante gli incentivi erogati e la notevole disponibilità di approdi e di navi, viene scelta dagli operatori del trasporto solo nelle cosiddette tratte obbligate, ovvero per quegli spostamenti che
TRASPORTI & CULTURA N.39 hanno come origine o destinazione le aree insulari”. La lettura dell’articolo consente poi di capire che “l’erogazione del contributo non è stato sufficiente a modificare un modello logistico…. Serve qualcosa in più per lanciare il trasporto combinato marittimo come alternativa possibile al tutto-strada; ovvero un complesso di interventi in grado di incentivare l’intera catena di trasporto a sviluppare soluzioni efficaci ed efficienti di carattere organizzativo, di servizio e, dove necessario, infrastrutturale che trasformino la sede portuale, da un punto di imbarco e di sbarco di camion, in un nodo intermodale in cui le modalità alternative alla gomma, possano integrarsi in modo efficace ed efficiente con l’autotrasporto”. In sostanza, si conferma anche per le autostrade del mare quanto già segnalato precedentemente per il trasporto ferroviario, ovvero: la necessità di una programmazione mirata alla realizzazione di soluzioni logistiche e infrastrutturali, di tipo hard e soft coerente con gli obiettivi annunciati. Maria Ines Cusano nel suo contributo “Logistica portuale e ambiente” si occupa delle strategie di mitigazione dell’impatto ambientale del trasporto marittimo e dei porti. Definita una politica di Green port come “la strategia di sostenibilità portata avanti da parte di un porto dove l’Autorità Portuale, insieme ai suo clienti/utenti, agisce in modo proattivo e responsabile sviluppando politiche di crescita verde”, ci si interroga sugli strumenti e tecnologie disponibili. Tra questi viene menzionata
l’elettrificazione delle banchine o cold ironing per far fronte al problema delle emissioni contaminanti in porto, dovuto al fatto che normalmente le navi mantengono accesi i motori ausiliari durante la permanenza in porto in modo da produrre l’elettricità necessaria per il funzionamento delle apparecchiature di bordo. L’adozione del cold ironing consente alle navi di spegnere i motori ausiliari mentre sono attraccate in banchina allacciandosi alla rete elettrica locale. Ad oggi, secondo l’autrice, questa tecnologia è ampliamente utilizzata nei porti di Los Angeles, Long Beach, Vancouver, Goteborg, Zeebrugge, Anversa, Rotterdam, Seattle, e molti altri. In Italia, invece, viene utilizzato solo a Venezia per i megayacht mentre è allo studio a Genova, Civitavecchia e La Spezia. Il terzo blocco tematico riguarda la logistica urbana. Danilo Marigo in “Sostenibilità nella logistica urbana, teorie a confronto” introduce il tema, illustra alcuni progetti europei, discute alcuni casi di successo (Londra, Zurigo e Utrecht, Copenaghen e Padova). Discutendo infine delle nuove sperimentazioni suggerisce che “l’interporto, data anche la sua natura e il suo scopo, può integrare e rendere coerenti tra loro sistemi di trasporto sequenziali e agevolare l’inclusione delle città nella rete di trasporto continentale, divenendone ideale punto d’accesso….si pone però prioritario a livello centrale coordinare e convergere verso una politica dei trasporti che faccia dell’interporto un elemen-
2 - Veduta del Contship Container Terminal di La Spezia (foto Contship Italia).
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3 - Veduta panoramica del porto di La Spezia (foto Contship Italia).
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to attivo di congiunzione delle catene distributive, ancor più, alla luce della presenza d’infrastrutture che ne rendono possibile l’impiego dal punto di vista intermodale”. Di nuovo, quindi, viene sottolineata la necessità di scelte strategiche e coordinate per risolvere un problema di natura complessa. Giacomo Lozzi e Edoardo Marcucci nel loro contributo “La pianificazione delle misure di politica dei trasporti nella distribuzione urbana delle merci a Roma”, discutono il caso della gestione del trasporto urbano delle merci nella caso della metropoli romana, descrivendo le politiche adottare per la razionalizzazione del sistema distributivo urbano dall’Amministrazione capitolina. Le conclusioni sono in bianco e nero. Viene sottolineato come: a) si sia mantenuta un’impostazione forfettaria della tariffa (slegata dal numero di viaggi effettuati), che ha comunque scoraggiato l’accesso dei mezzi più inquinanti con misure progressivamente più incisive; b) interventi strutturali quali l’aumento e il controllo degli stalli di carico e scarico e la realizzazione dei transit point siano stati più volte caldeggiati senza però riuscire finora ad attuarli; c) si siano solo raramente istituiti tavoli di concertazione, che non hanno mai prodotto proposte condivise o protocolli di intesa, d) i vari Piani annunciati non siano andati oltre la definizione di linee di indirizzo; e) siano state recentemente incrementate le tariffe di accesso, in una misura che agli autori appare eccessiva, in modo indiscriminato considerato che hanno interessato anche i mezzi più virtuosi (Euro 6, metano, gpl e ibrido). Infine, si sottolinea un aspetto, a mio modo di vedere, cruciale ovvero che “un Piano Merci realistico e coerente ha bisogno anche di valutazioni ex-ante ed ex-post, che coinvolga tutti gli stakeholder interessati, oltre a una concreta azione di monitoraggio delle misure adottate. Gli strumenti di misurazione degli effetti delle politiche vanno introdotti e definiti nel dettaglio già nel quadro dei Piani, perché devono risultare coerenti sin dal principio con le misure programmate, e deve essere chiaro il risultato cui si mira in termini quantitativi.” Come concludono
gli autori: “in nessuno dei Piani presentati ne viene fatta menzione”. Ciò purtroppo è generalizzabile anche ad altre amministrazioni ed ad altri settori. L’ultimo blocco tematico riguarda le imprese logistiche ed il lavoro. Danilo Marigo in “Logistica, la sostenibilità ambientale come leva strategica” discute, sulla base di diversi casi aziendali, se il ruolo attribuito all’ambiente nell’organizzazione di una catena logistica possa diventare da “elemento passivo”, geograficamente rilevante per le distanze, per i confini o per i “colli di bottiglia” da superare, componente di valore, leva di “marketing”, nella valutazione della stessa prestazione logistica. L’autore giunge a conclusioni ottimistiche ma solo a condizione che si passi ad un approccio di tipo “olistico” attraverso “un intelligente coordinamento delle varie soluzioni, anche e soprattutto, a monte della catena logistica, ossia nella stessa fase di produzione delle merci”. Claudio Ferrari, Andrea Migliardi e Alessio Tei riflettono sull’attività delle aziende logistiche nazionali, un settore che vale il 7% del PIL e che “dato il ruolo della logistica come “collante” tra le varie attività che compongono la supply chain, il valore creato dipende anche dalla capacità di offrire soluzioni atte a migliorare l’efficienza all’interno dell’intera catena produttiva.” Un settore cruciale quindi per la competitività nazionale. Lo studio riguarda 165 imprese i cui dati di bilancio vengono analizzati con il metodo Data Envelopment Analysis. I risultati mostrano che: a) nel quinquennio vi è stata una riduzione, sia pure lieve, del livello di efficienza riconducibile, secondo gli autori, alla crisi che negli ultimi periodi ha determinato un calo della domanda; b) le società cooperative sono quelle che hanno registrato performance migliori fra i diversi tipi di società; c) le imprese minori sono quelle che hanno risentito maggiormente della crisi ma, pur avendo registrato un notevole peggioramento dell’efficienza nel 2009, hanno tuttavia mostrato reattività per il livello di efficienza nell’anno successivo; d) le aziende di minori dimensioni pre-
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sentano, nella media del quinquennio, rendimenti di scala crescenti (ovvero beneficerebbero da un aumento delle dimensioni); di contro, quelle di maggiori dimensioni, nella larga prevalenza, registrano rendimenti di scala decrescenti (ovvero beneficerebbero da una riduzione delle dimensioni). Queste conclusioni gettano qualche dubbio sulla tesi comunemente sostenuta che la debolezza del sistema logistico italiano dipenda dal nanismo delle sue imprese logistiche e dalla loro scarsa modernità in termini di adozione di tecnologie informatiche. Il contributo di Cristiana Mattioli, dal titolo “Logistica: fenomeni in atto e scenari di trasformazione nel territorio del distretto ceramico di Sassuolo” entra nel dettaglio della relazione tra produzione e logistica in un caso di successo distrettuale molto significativo. L’autrice delinea le caratteristiche peculiari del distretto ceramico, la sua rilevanza a livello internazionale ed il suo ruolo di “network di imprese dove la logistica gioca il ruolo di connettore fra le diverse fasi del processo produttivo, non più solo a livello locale ma all’interno di una nuova rete internazionale”. Ciò pone nuove sfide al distretto ed al suo rapporto con il territorio. L’autrice utilizza il termine di hub logistico territoriale per sottolineare la necessità di trovare, tramite un processo di pianificazione a scala vasta della “cittàdistretto”, un assetto infrastrutturale, logistico e organizzativo all’altezza delle sfide che un distretto di successo pone alle comunità ed al territorio. Chiude il numero Andrea Appetecchia con un contributo dal titolo “L’evoluzione recente dei servizi logistici in Italia, le nuove sfide di un modello ancora debole”. Il contributo ricostruisce la storia recente della relazione tra sistema industriale e sistema dei trasporti e della logistica. Nel mondo delle grandi imprese manifatturiere degli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, la programmazione dei trasporti ha delineato un quadro di infrastrutture, interporti e strade funzionali a concentrati e crescenti flussi di merce. La seconda metà degli anni ’90 ed i decenni recenti hanno visto scorporarsi o
addirittura sparire i grandi gruppi industriali ed apparire sistemi locali di PMI che hanno generato una domanda sempre più territorialmente diffusa e temporalmente instabile che ha messo a dura prova il sistema logistico. Al mantenimento della competitività internazionale, in un panorama sempre più difficile, hanno contribuito secondo l’autore anche i servizi logistici, “i quali, in alcuni casi, sono stati compressi al minimo trasferendo al cliente gli oneri di trasporto (vendita franco fabbrica); oppure organizzati in modo “artigianale” a partire, però, da due presupposti piuttosto “critici”: a) il basso costo del trasporto e del lavoro e b) un controllo “timido” del consumo del territorio e della rete trasportistica. Tale contributo è stato assai oneroso per le imprese di trasporto e i lavoratori del settore “che per ragioni diverse si sono fatti carico delle inefficienze di un modello approssimativo, in cui in linea di massima prevale un’organizzazione del lavoro precaria, che si fonda su manodopera poco specializzata, e di conseguenza poco retribuita.” Un settore quindi in cui “la qualità del lavoro è preoccupante”, con un elevato turn over e con la presenza di numerosi lavoratori stranieri che sostituiscono con retribuzioni minime i lavoratori italiani. Le nuove mete del commercio internazionale, sempre più rivolto ai distanti paesi asiatici rendono però, secondo l’autore, la scarsa qualificazione del personale e le organizzazioni logistiche semplificate, tipiche del modello logistico “ante crisi” non più adeguate. Sono richiesti, al contrario, “professionisti in grado di gestire l’intera catena logistica dei prodotti di più elevata qualità. In questa nuova configurazione del modello servono imprese ed addetti competitivi, non perché costano poco, ma perché sono altamente qualificati e capaci di gestire l’intera catena logistica in modo efficace ed efficiente”. La conclusione non è pessimistica a patto che “le istituzioni, le forze sociali e le rappresentanze prestino maggiore attenzione ed interesse ad un comparto che spesso - a torto - è tenuto ai margini delle agende politiche nazionali”. Un cambiamento di atteggiamento culturale, si potrebbe affermare.
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Come si può vedere, pur non toccando tutti gli aspetti del complesso mondo della logistica (sono rimasti fuori, ad esempio, la modalità aerea, la reverse logistics, un’analisi puntuale del trasporto stradale ed altri importanti aspetti) questo numero di Trasporti & Cultura mette insieme un numero elevato di contributi di qualità e di interessanti spunti di riflessione per comprendere i complessi problemi che pone la relazione tra logistica, ambiente e cultura. Riproduzione riservata ©
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TRASPORTI & CULTURA N.39
Il nuovo asse ferroviario del Gottardo: effetti trasportistici e ambientali di Oliviero Baccelli e Francesco Barontini
Gli ambiziosi programmi della Confederazione Elvetica di sviluppo di una Nuova Ferrovia Transalpina (NFTA) raggiungeranno il principale traguardo nel dicembre del 2016. In quella data aprirà ai servizi ferroviari il nuovo asse del Gottardo fra Zurigo e Bellinzona, caratterizzato dal tunnel di base di 57 km a doppia canna sotto il Massiccio del San Gottardo, modificando radicalmente lo scenario economico, ambientale e sociale delle Alpi. Questa nuova infrastruttura è parte integrante del corridoio Reno-Alpi previsto dal programma Trans European Network (TEN-T) e permetterà sia una significativa riduzione dei tempi di trasporto passeggeri (ad esempio di circa 1 ora fra Milano e Zurigo) sia un salto di qualità decisivo nell’ambito dei servizi di trasporto merci in Europa. Infatti, le imprese ferroviarie passeggeri e merci di tutta Europa potranno utilizzare una linea di 30 km più corta rispetto alla storica del 1882, ma soprattutto con caratteristiche di pianura cioè con pendenze non superiori al 12 per mille (rispetto all’attuale 26 per mille). Questo permetterà di eliminare le attuali difficoltà prodotte dal passaggio in alta quota (1151 m.s.l.m), che comporta il ricorso a due locomotive, maggiori costi e tempi di trasporto1. Al San Gottardo è stato costruito un sistema di gallerie lungo complessivamente 153 km, che comprende le due canne del tunnel di base, i cunicoli di sicurezza e i pozzi di accesso intermedi. Sotto il profilo progettuale e costruttivo, la galleria rappresenta un’opera di riferimento nel panorama internazionale. La sua costruzione ha comportato sfide inedite dal punto di vista tecnico, dovute alla profondità, alle tensioni nella roccia, alla possibile alta pressione dell’acqua e alla temperatura elevata. Ad esempio, è stato realizzato uno specifico sistema di raffreddamento della temperatura nel cantiere, per ridurre da 45 a 28 gradi celsius, strumento senza il quale non sarebbe stato possibile portare avanti i lavori. Le maggiori problematicità sono state di carattere geologico. Di particolare difficoltà è stato il superamento della cosiddetta “sacca di Piora” dalla quale nel 1996, a seguito di una perforazione, fuoriuscirono in poche ore 1.400 metri cubi di materiale sciolto ed acqua, facendo temere per la presenza di una zona ad elevata instabilità geologica. Questo causò la sospensione temporanea dei lavori, che ripresero 1 Molte delle linee di valico lungo le Alpi sono state realizzate durante il XIX secolo (il traforo del Gottardo tra il 1872 e il 1882) e prevedono il passaggio in quota dei convogli, riducendo la lunghezza della galleria, con minori costi di costruzione, ma obbligando i convogli a percorrere lunghi tratti di montagna con pendenze elevate e in molti casi il ricorso a due locomotive.
The new Gotthard railway axis: transport and environmental impact by Oliviero Baccelli and Francesco Barontini The new Gotthard axis is a railway route that seeks to advance the modal shift in Switzerland, in accordance with the Helvetic Constitution. The Swiss Confederation’s Federal Office of Transport estimates that, thanks to the construction of the railway corridor consisting in the Gotthard and Ceneri base tunnels plus the SimplonLötschberg axis, Switzerland will be able to handle an additional 50 million tons by rail per year that will have a significant impact on the economic relations in Central Europe between Italy, Germany, the Netherlands, Belgium and Switzerland. The new base tunnel will be built at the foot of the Aar, Tavesh and Saint Gotthard mountains, doubling current capacity with an additional 250 trains/day, and significantly reducing transit time between Milan and Zurich. This 57 km-long tunnel is expected to open by 2016, and will be connected to the 15.4 kmlong Ceneri base tunnel on the south side, to be completed by 2019. The ambitious program for the New Railway Link is also based on the development of a “4-Meter corridor” between Basel and Northern Italy that will make it possible by 2020 to transport goods on 4-metre corner height semi-trailers along the Gotthard railway corridor and its southern and northern connections. Much work will be required to adapt tunnel profiles, catenary lines and platform roofs. This measure will make rail freight traffic along the Gotthard corridor considerably more efficient. The aim of the paper is to identify the major benefits connected with the realization of this great infrastructural program focusing the analysis on the reduction of costs for private rail undertakings and on the environmental benefits provided by the passage through the Alps.
Nella pagina a fianco, in alto: il completamento delle tecnologie ferroviarie a Faido nella galleria del Gottardo; in basso: opera di copertura della superficie grezza della galleria presso il cantiere di Faido (Alptransit 2014).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 solo nel 1998, una volta constatata l’assenza di infiltrazioni idriche nell’area. Nel complesso la realizzazione del tunnel di base del Gottardo ha visto impiegate in media ogni giorno per oltre dodici anni circa 2.600 persone, tra minatori, ingegneri, progettisti e altre figure. L’intervento rientra in un’ampia politica di sviluppo impostata all’inizio degli anni ’90 e volta a mitigare gli effetti negativi sull’ambiente derivanti dai traffici transalpini attraverso la Svizzera. Questa è stata approvata dalla popolazione elvetica attraverso successivi referendum, nel 1992 e nel 1998, e si concretizza nella riqualificazione dell’intera rete ferroviaria, in modo da permettere il transito delle merci in condizioni di efficienza tecnica ed economicità superiori rispetto al trasporto stradale. Oltre al nuovo tunnel di base del Gottardo, la costruzione di un sistema ferroviario realmente alternativo a quello stradale ha determinato l’esigenza di adottare una pluralità di iniziative, di natura sia hard che soft. Tra le prime, vi è la costruzione avviata dal 2007 della galleria ferroviaria di 15,6 km del Monte Ceneri, fra Bellinzona e Lugano, la cui apertura è prevista nel 2019 e che avrà le stesse caratteristiche dei più moderni tunnel di base. Agli interventi lungo la linea del Gottardo vanno sommati quelli effettuati lungo l’asse del Sempione, dove nei primi anni 2000 sono state realizzate varie opere di riqualificazione, con l’adeguamento della sagoma a PC 80 e l’apertura del nuovo tunnel di base del Lötschberg (34,6 km) nel 2007, con un significativo miglioramento nei servizi ferroviari merci tra Novara, il Sempione e Berna e con un incremento dei traffici di circa 6,5 milioni di tonnellate annue rispetto alla situazione ex ante (+190% tra il 2012 e il 2000). Questi sono soprattutto servizi di trasporto combinato, cioè i principali sistemi per il trasferimento delle merci dalla strada alla ferrovia. In aggiunta a queste opere maggiori, che costituiscono il nucleo della NFTA, cioè il programma di investimenti incentrato sulla realizzazione delle nuove ferrovie di pianura del Ceneri-Gottardo e Sempione-Lötschberg, è stata recentemente approvata e finanziata dal Parlamento svizzero la realizzazione del cosiddetto “Corridoio 4 Metri” (C4M), che consiste in una serie di interventi tecnologici e sulle sagome dei tunnel a Nord e a Sud della galleria di base, in modo da permettere il transito di tutte le unità di carico attualmente in circolazione sulle strade europee e soprattutto di semirimorchi con altezza agli angoli di 4 metri. Secondo le ultime stime, riferite a dicembre 2013, i costi di investimento per la NFTA ammontano a circa 17,8 miliardi di franchi (14,5 miliardi di Euro), di cui 16,6 miliardi destinati a finanziare le tre opere principali del programma, la galleria del Gottardo (10,1 miliardi di franchi), quella del Ceneri (1,5 miliardi) e quella conclusa del Lötschberg (5 miliardi di franchi). Il costo per la realizzazione del C4M si attesta invece a 990 milioni di franchi, di cui circa 150 (120 milioni di euro), sono destinati alla riqualificazione della linea di Luino in Italia, secondo l’Accordo siglato tra i due Paesi nel gennaio del 2014. Oltre a queste misure hard, la Confederazione ha adottato varie iniziative di tipo soft, capaci di accompagnare l’entrata in esercizio della nuova rete e di garantire il rilancio della ferrovia come principale alternativa alla strada nei collegamenti attraverso le Alpi svizzere. Tra queste ha assunto particolare importanza il sistema di tassazione sul traffico pesante commisurato alle prestazioni 14
(TTPCP), che ha consentito la costruzione di un fondo ad hoc, il Fondo Grandi Progetti Ferroviari, con cui sono state in parte finanziate le opere precedentemente descritte2. Tra le forme di sostegno al trasferimento delle merci dalla strada alla rotaia, la Confederazione ha adottato anche un piano per lo stimolo dell’offerta ferroviaria, con incentivi puntuali all’introduzione di servizi capaci di spostare i carichi dalla strada alla rotaia, garantendo continuità di esercizio di lungo periodo. Sono stati approvati programmi per il sostegno al trasporto combinato e per la restituzione della tassa sul traffico pesante per i veicoli che scelgono di utilizzare alternativamente al percorso “tutto strada” attraverso la Svizzera sistemi di trasporto ferroviario di tipo combinato. È stata finanziata anche la riqualificazione dei terminal intermodali, sia in Svizzera sia nelle Nazioni interessate dalle logiche di corridoio Nord-Sud, come l’Italia, la Germania e l’Olanda. Scopo di questi contributi è abbassare i costi operativi del trasporto intermodale attraverso le Alpi svizzere, nell’ottica di “anticipare” gli effetti che saranno prodotti dal completamento della NFTA e permettere una valorizzazione della filiera logistica basata sulla ferrovia. Queste scelte strategiche hanno rilevanti effetti trasportistici e territoriali, ma vengono perseguite dalla Confederazione Elvetica anche in ottica sia di politica industriale, tenendo conto della forte specializzazione dell’industria svizzera in questo settore, sia di politica del lavoro, in considerazione della maggior accettazione da parte degli svizzeri delle opportunità lavorative offerte nel settore ferroviario rispetto all’autotrasporto. Questa serie di elementi economici, sociali e ambientali riflettono la grande rilevanza delle politiche che la Confederazione sta portando avanti, strategicamente legate all’approccio da first mover rispetto alle altre nazioni transalpine, in particolare dall’Austria che ha in corso investimenti paragonabili per complessità e rilevanza degli investimenti, che potranno raggiungere risultati similari solo con oltre un decennio di ritardo. Questo vantaggio temporale permetterà agli operatori dell’intera filiera logistica ferroviaria svizzera di poter rafforzare i propri modelli organizzativi e commerciali con largo anticipo rispetto ai concorrenti italiani, austriaci o tedeschi, favorendone la competitività industriale complessiva. Tra le iniziative di tipo soft adottate dalla Confederazione e volte a mitigare il rischio di strategie politiche non coordinate da parte degli altri Stati transalpini si segnala l’iniziativa “Seguiti di Zurigo” alla quale partecipano Germania, Francia, Austria, Svizzera, Slovenia e Italia e che ha l’obiettivo di armonizzare le politiche dei singoli Paesi per promuovere lo sviluppo sostenibile dell’area e, nel campo dei trasporti, ottimizzare il trasferimento modale dei traffici e una migliore sicurezza stradale. All’interno di questo gruppo di lavoro composto dai diversi Ministri delle Infrastrutture e dei Trasporti o dai loro delegati è in fase di studio “la borsa dei transiti alpini”, cioè un meccanismo per la gestione delle limitate capacità stradali dei valichi o del numero di transiti attraverso i meccanismi di mercato. La Svizzera punta all’adozione di 2 In realtà il Fondo Grandi Progetti Ferroviari è alimentato principalmente da tre voci di entrata a destinazione vincolata, oltre la TTPCP, è utilizzato l’1% del prodotto complessivo dell’IVA su base annuale e il 25% del gettito prodotto da un’imposta sugli oli minerali.
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questo sistema armonizzato, in modo da evitare i meccanismi di “aggiramento” tipici che si producono in seguito all’introduzione di nuove tassazioni stradali e sul carburante. Come accennato nell’introduzione, l’innovazione che la Svizzera si appresta a valorizzare lungo l’asse ferroviario del Gottardo assume un’importanza “decisiva”, in quanto inserita in un contesto politico dove gran parte delle iniziative di medio e lungo periodo a livello europeo puntano alla sostituzione della strada con la ferrovia, specialmente per quanto riguarda i traffici merci. Ne sono una conferma le politiche TEN-T, volte a costruire un sistema capace di generare crescita economica abbattendo i costi di trasporto tra i nodi core della rete e puntando sulla realizzazione di corridoi multi-modali ad alta efficienza tecnologica e logistica. E la ferrovia è identificata come la modalità privilegiata per il perseguimento di questo ambizioso obiettivo. Più in generale, lo shift modale è il perno centrale delle politiche dei trasporti dell’Unione Europea. Queste sono state recentemente rafforzate dall’approvazione del programma Connecting Europe Facility, volto alla realizzazione di moderni corridoi multimodali e dall’approvazione della Direttiva Eurovignette finalizzata ad internalizzare nei costi dell’autotrasporto le esternalità ambientali negative, anche in risposta alle problematiche di sicurezza degli attraversamenti alpini. A questo proposito si segnala come una serie di rilevanti incidenti stradali nelle tratte transalpine, fra cui quello del 1999 nel tunnel del Monte Bianco con la morte di 39 persone e la chiusura del tunnel per tre anni, quello nel tunnel dei Tauri in Austria (12 morti) e quello nel tunnel del San Gottardo con 11
morti nel 2001, sono stati uno dei fattori di accelerazione, delle iniziative tese al modal shift, specialmente in Svizzera. In questo scenario, le iniziative adottate dalla Svizzera in supporto all’entrata in esercizio del tunnel del Gottardo rappresentano un valido modello per le altre opere in fase di realizzazione lungo le Alpi, caratterizzate da gallerie di base con caratteristiche e lunghezze similari, quali la nuova linea Torino-Lione o l’asse del Brennero fra Bolzano ed Innsbruck o la sequenza di gallerie del Koralm e del Semmering fra Linz e Vienna. Non è un caso se oggi lungo gli assi alpini la ferrovia risulta essere la modalità con la quota di mercato maggiore solo in Svizzera, con il 66% dei traffici (dato al primo semestre 2013), rispetto al 34% e al 9% degli attraversamenti austriaci e francesi. Gli effetti attesi derivanti dalla costruzione di queste opere fanno riferimento principalmente a tre categorie: tecnici, economici e sociali. Per quanto riguarda i primi, questi si legano ai miglioramenti prodotti sull’esercizio ferroviario una volta completato l’asse del Gottardo, che permetterà una riduzione delle distanze chilometriche di circa 30 km e di circa 600 metri della quota sul livello del mare del tracciato rispetto alla linea storica, con una conseguente riduzione dei tempi sulle principali relazioni ferroviarie3. Secondo uno studio condotto da Arnet e Zbinden (2013), nel 2013 il 59% dei treni che hanno percorso il corridoio del San Gottardo nei traffici intermodali tra Italia e Svizzera hanno utilizzato la doppia trazio-
1 - I cantieri all’esterno dell’area di Amsteg (Alptransit 2014).
3 La linea non supererà in nessun punto i 550 metri di altezza, cioè l’altitudine di Berna.
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2 - I lavori di completamento della posa dei binari ad Ersfeld nella galleria del Gottardo.
ne4. Una volta entrato in esercizio il nuovo tunnel di base, grazie alle minori pendenze, questa quota scenderà al 10% e il 90% dei traffici utilizzerà la trazione singola. Continueranno ad utilizzare la doppia trazione i servizi di trasporto di materiale particolarmente pesante, come minerali, metalli, prodotti siderurgici. Cambierà anche la composizione dei servizi ferroviari, che è determinata dalle restrizioni di peso e di lunghezza sulla linea, che diminuiranno, permettendo la circolazione di treni fino a 2.000 tonn di peso e fino a 750 m di lunghezza. Questo, unito alle sagome più elevate sulle linee di montagna, a cui è associata l’iniziativa del C4M, produrrà un significativo incremento nel riempimento dei carichi trasportati e nel numero di Unità di Trasporto Intermodali (UTI) inviate per singolo convoglio. Inoltre, in un’ottica di corridoio, così come stabilito dalla “Dichiarazione di Intenti” del 17/12/2012 firmata dai Governi di Italia e Svizzera, la realizzazione della NFTA e del C4M sarà accompagnata dall’eliminazione degli ostacoli di natura tecnica e normativa che rappresentano oggi dei limiti all’interoperabilità tra i due sistemi ferroviari nazionali. Questi sono determinati dai criteri di conformità del materiale rotabile, dal mutuo riconoscimento delle qualifiche professionali, dalle norme di accesso alla rete, dagli standard di sicurezza, dal funzionamento dei sistemi di comunicazione. Oggi l’interoperabilità ferroviaria sulle direttrici internazionali è limitata da questi vincoli di natura tecnica. Ad esempio, nel caso dei traffici ferroviari tra Italia e Svizzera, sono necessarie una serie di operazioni al confine per garantire ai convogli il proseguimento del proprio tragitto su reti ferroviarie differenti. Generalmente queste consistono nello sgancio/aggancio del locomotore del treno, nella rimozione e applicazione dei segnali di coda, nello scarto (oppure aggiunta) di carri o di grup4 Arnet e Zbinden (2013), Masterarbeit Quantifizierung des Nutzens für den Bahngüterverkehr bei einem Vollausbau der Gotthardstrecke, Aprile 2013.
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pi di carri, nelle modalità di guida del locomotore del treno o nel traino del locomotore. Ognuna di queste operazioni comporta un costo aggiuntivo per le aziende, che si ripercuote sul prezzo pagato dai clienti per spedire le proprie merci via ferrovia. Senza considerare l’allungamento del tempo totale di trasporto dovuto a queste procedure. Va da sé che i miglioramenti di natura tecnica si riflettono sul costo del servizio, incidendo principalmente sul prezzo della trazione, del personale di condotta, dell’energia utilizzata e delle altre operazioni, come quelle al confine o quelle di aggancio e sgancio del secondo locomotore. Se a questi parametri è associata una diminuzione dei costi in termini relativi rispetto allo stato attuale, per quanto riguarda l’accesso all’infrastruttura, che oggi incide per il 30% del totale dei costi d’esercizio per un servizio di trasporto combinato non accompagnato tra Italia e Svizzera, gli elevati costi d’investimento e di gestione della nuova infrastruttura potrebbero riflettersi sul prezzo unitario pagato dagli utilizzatori finali, determinando un rincaro rispetto agli attuali livelli. Questo è confermato guardando al prezzo base delle tracce applicato dalle Ferrovie Federali Svizzere nel 2014, pari a 3,42 euro per treno/km sulle linee di categoria A, che attualmente comprendono solo il tunnel di base del Lötschberg e che è di 2 euro per treno/ km superiore a quello applicato sulle altre linee. È evidente come gli alti costi per la realizzazione della nuova linea del Lötschberg si riflettano oggi sul prezzo pagato dagli utenti per il suo utilizzo. I “benefici di sistema” prodotti dalla riduzione dei costi d’esercizio ferroviario lungo la linea del Gottardo dipenderanno in maniera proporzionale dalla mole di servizi che utilizzeranno la nuova linea. Anche perché, guardando ad esempio all’Italia, secondo recenti stime ISTAT le attività logistiche influiscono per il 10-15% sul costo del prodotto finito e per l’8-9% sul fatturato delle aziende manifatturiere italiane. Tradizionalmente le stime di traffico relative a progetti infrastrutturali di grandi dimensioni vengono fatte considerando tre cate-
TRASPORTI & CULTURA N.39 gorie: il traffico divertito dalla strada alla ferrovia, quello che già utilizzava la ferrovia e il traffico che non sarebbe esistito in assenza del nuovo tunnel. Il nuovo tunnel di base permetterà il transito di 220-260 convogli merci, rispetto ai 140–160 attuali, e la capacità annuale di trasporto merci passerà così da 20 milioni di tonnellate a circa 50 milioni di tonnellate. Dunque vi è uno spazio elevato di crescita, considerando che ad esempio nel 2012, sono passate attraverso il Gottardo circa 13,9 milioni di tonnellate di merci via ferrovia, saturando l’attuale capacità del 70%. La riduzione dei costi d’esercizio, i miglioramenti tecnici, la diminuzione delle distanze e dei tempi di trasporto, insieme alle politiche di disincentivo al trasporto stradale saranno elementi decisivi nel determinare lo sfruttamento del nuovo tunnel. Un ulteriore punto d’attenzione riguarda i benefici di carattere ambientale e sociale collegati al trasferimento modale dalla strada alla rotaia. Questi si sostanziano in una riduzione delle emissioni nocive nell’atmosfera causate dagli scarichi dei mezzi pesanti e di particolare impatto sull’ambiente alpino, che è un ecosistema di elevato interesse naturalistico e paesaggistico. Anche perché nelle Alpi le condizioni orografiche e meteorologiche aggravano sia l’inquinamento atmosferico che quello fonico, dal momento che gli inquinanti riescono difficilmente a disperdersi dalle valli perché sono chiusi proprio dalle alte montagne. In questo ambito le politiche adottate dalla Confederazione hanno già dato dei risultati indubbiamente positivi, con una diminuzione delle emissioni dei principali agenti inquinanti nella regione alpina, lungo le autostrade A2 (San Gottardo) e A13 (San Bernardino), che ha toccato il 40% per il NOx (ossidi di azoto) e il 50% per il PM10 (polveri fini) tra il 2004 e il 2012. Con l’apertura del nuovo tunnel del Gottardo e il conseguente shift di traffico, anche in questa area saranno ottenuti ulteriori risultati. Il caso della Svizzera è generalmente considerato come un modello per quanto riguarda l’adozione di una politica di ampio respiro finalizzata al raggiungimento di obiettivi di lungo periodo condivisi tra la pubblica amministrazione e la cittadinanza. La realizzazione della NFTA, il cui fulcro è l’apertura del nuovo tunnel di base del Gottardo, è stata accompagnata da una varietà di interventi proattivi, diretti a costruire le precondizioni affinché i traffici ferroviari trovino una “convenienza di sistema” nello sfruttamento della nuova infrastruttura. Questa è dettata dai disincentivi al trasporto stradale e dagli incentivi al trasporto ferroviario, dalle elevate perfomance ottenibili sulle nuove linee e dalla rinnovata sostenibilità ambientale ed economica di lungo periodo, sia per gli utenti finali dell’opera, sia per la popolazione locale.
Baccelli O., La mobilità delle merci in Europa. Potenzialità del trasporto intermodale, EGEA, Milano 2001.
3 - La nuova ferrovia transalpina (SBB CFF FFS 2014).
Banca d’Italia, Indagine campionaria sui trasporti internazionali dell’Italia. Benchmark 2011, Roma, ottobre 2012. Bonomo F., Casazza L., “Piccole e grandi opere per i Trafori alpini”, Suolo & Sottosuolo, maggio 2014. Di Giacinto V., Micucci G., Montanaro P., “Network effects of public transport infrastructure: evidence on Italians regions”, Working Paper n°869 della Banca d’Italia, Luglio 2012. Notteboom T., “Dynamics in port competition in Europe: implications for North Italian ports, University of Antwerp”, Milano, Workshop I porti del Nord organizzato dalla Fondazione IRSO, 2012 . Weismann P., “The Genesis of the new Eurovignette Directive”, European transport, n°53, 2013. World Bank International Trade Department, Connecting to Compete 2012. Trade Logistics in the Global economy, Washington DC, Communications Development Incorporated, 2012. Zurich Process, Steering Committee, ALBATRAS - Alignment of the heavy traffic management instruments ACE, AETS and TOLL+ on a comparable scientific, technical and operational level taking into account the introduction of different thresholds in order to analyze transport flow impacts on Alpine routes, redatto dal Consorzio Ecoplan, Zurigo, 2011.
Riproduzione riservata ©
Bibliografia Arnet J., van der Velde Zbinden R., Masterarbeit Quantifizierung des Nutzens für den Bahngüterverkehr bei einem Vollausbau der Gotthardstrecke, Aprile 2013. Baccelli O. , Barontini F., L’Italia in Europa. Le politiche dei trasporti per rimanere in rete, EGEA, 2013. Baccelli O., Ravasio M., Sparacino G. Porti italiani. Strategie per l’autonomia finanziaria e l’intermodalità. Il caso dei porti liguri, Egea, Milano, 2007.
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Trasporto dei camion per ferrovia: conseguenze logistiche e prospettive di Lucia Rotaris
Il trasporto intermodale ferroviario viene spesso citato come l’alternativa ideale alla modalità stradale al fine di garantire una maggiore sostenibilità ambientale nel trasporto delle merci (European Commission 2001, 2006, 2007, 2009, 2011). In realtà questa modalità di trasporto, in particolare nella sua configurazione di trasporto accompagnato, ha trovato poco spazio nel contesto europeo per una serie di ragioni di cui si dirà nei prossimi paragrafi.
Caratteristiche della modalità Il trasporto intermodale strada-ferro è una forma di trasporto combinato in cui il segmento iniziale e finale del viaggio viene effettuato con la modalità stradale, mentre per il segmento centrale e più lungo si utilizza la modalità ferroviaria. Si definisce “non accompagnato” quando solo l’unità di carico (cassa mobile, container o semirimorchio) viene trasferita dalla motrice stradale al vagone ferroviario. Si definisce, viceversa, “accompagnato”, ed è in questo caso meglio noto come RoLa (dall’espressione tedesca Rollende Landstrasse), se l’intero veicolo stradale, motrice compresa, viene caricato sul vagone ferroviario su cui viaggerà anche il conducente del mezzo (da cui la specificazione “accompagnato”). I vagoni ferroviari, così come i terminali ferroviari di partenza ed arrivo del viaggio, sono opportunamente configurati per agevolare e velocizzare il transito del veicolo durante le operazioni di carico e scarico. I conducenti che accompagnano il mezzo ed il carico viaggiano in appositi vagoni letto e si occupano tanto del raggiungimento del terminal di partenza dal luogo di origine del viaggio e del luogo di destinazione del viaggio dal terminal di arrivo, che delle operazioni di carico e scarico del mezzo stradale sul e dal vagone ferroviario.
Tendenze della domanda e dell’offerta La RoLa è utilizzata soprattutto in Europa, in Canada ed in India. Per quanto attiene, in particolare, al contesto europeo le statistiche più recenti sull’uso di questa modalità di trasporto testimoniano come le distanze prevalentemente coperte con questo tipo di modalità sono comprese fra i 600 ed i 900 km se il trasporto è accompagnato (68% del totale registrato nel 2012 secondo le statistiche pubblicate dall’UIRR, International Union of Combined Road-Rail Transport Companies, www. uirr.com), mentre comprendono distanze anche
Transporting trucks by railway: effects on logistics and future perspectives by Lucia Rotaris Although one of the main goals of European transport policy over the past 15 years has been the modal shift of freight from road to rail, intermodal rail transport represents only a marginal phenomenon in the European context, accounting for less than 3%, in ton-km, compared to unimodal road transport. The reasons are certainly related to the difficulty of organizing such a complex service, but also lie in the lack of flexibility of this transport mode, which is constrained by a network that is far less wide-ranging than the road system. The accompanied intermodal service is able to partially overcome this rigidity, but it becomes an alternative to the road mode only when exceptional geographical conditions make the road trip particularly inconvenient (crossing the Alps is a typical example), or when existing policies encourage the rail mode (by subsidizing users or providers) or penalize the road mode (via road pricing or tolls). There are of course successful exceptions: the service connecting Turkey to Trieste via ferry and then Trieste to Salzburg by train, started in 2004, is a very good example, but the general trend over the past two years tells a different story, in particular for the accompanied mode.
Nella pagina a fianco, in alto: terminal trailer, movimentazione del carico su un pocket wagon; in basso: RoLa Wagon. Foto fornite da U.I.R.R..
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TRASPORTI & CULTURA N.39 superiori ai 900 km se il trasporto non è accompagnato (il 37% del totale). Si tratta, comunque, di un fenomeno assolutamente marginale rispetto al tutto-strada: basti pensare che secondo le statistiche pubblicate da Eurostat per l’UE27 al 2012, le tonnellate-km relative all’intermodale strada-ferro (accompagnato e non accompagnato assieme) rappresentano il 2,7% delle tonnellate-km che viaggiano solo su strada (41 mil. tonn-km v. 1.518 mil. tonn-km). Inoltre, nell’ambito dell’intermodale strada-ferro, la modalità non accompagnata prevale nettamente sulla modalità accompagnata: infatti, in termini di numero di spedizioni il rapporto è di 7,4 a 1, mentre in termini di tonn-km è addirittura di 11 ad 1, con un divario fra le due modalità che va ampliandosi nel tempo. Le statistiche UIRR mostrano trend di crescita significativi per entrambe le modalità fino al 2008, cui è seguita, però, una prima forte contrazione nel 2009 ed una seconda ricaduta nel 2012. Quest’ultima contrazione è stata particolarmente consistente per l’accompagnato, che ha registrato rispetto all’anno precedente un -24% in termini di numero di spedizioni ed un -19% in termini di tonn-km, contro, rispettivamente un -9% ed un -4% per il non accompagnato. Le ragioni sarebbero da imputarsi, da un lato, alla riduzione della produzione aggregata registrata nel 2012, con conseguente riduzione della domanda di trasporto merci, che, in quanto domanda derivata, risente immediatamente di variazioni diminutive del PIL e, dall’altro, dall’estemporanea indisponibilità di tracce ferroviarie causata dagli interventi manutentivi del tunnel del Gottardo e della ferrovia del Brennero. In realtà, altrettanto importanti sono stati gli shock dal lato dell’offerta. Dopo alcuni anni di attività in perdita, infatti, la Hungarokombi ha deciso di uscire dal mercato, azzerando di fatto l’offerta di questa modalità di trasporto in Ungheria (nella tratta
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Szeged-Wels). Fra i fattori che hanno portato alla chiusura del servizio vi sono: - la caduta della domanda che proveniva per la maggior parte dagli autotrasportatori rumeni e bulgari che, all’indomani dell’ingresso dei rispettivi paesi nell’UE, hanno potuto circolare liberamente all’interno dell’Unione, svincolati dal contingentamento dei permessi altrimenti necessari per i trasporto stradale di merci provenienti da paesi extra-UE; - l’aumento del costo-traccia ferroviario in Ungheria, contestualmente alla sospensione, nel 2010, dell’erogazione dei sussidi al servizio in costo esercizio; - i ritardi nell’introduzione della programmata tariffa sulle distanze percorse per il trasporto merci che non ha permesso di riequilibrare l’aumentato costo ferroviario rispetto a quello stradale. Anche la Okombi, il più importante operatore europeo per il trasporto combinato strada-ferro, ha dovuto ridimensionare in modo radicale la propria offerta in conseguenza della decisione del governo austriaco di riservare al solo servizio non accompagnato i contributi pubblici offerti in conto esercizio. L’impatto sulla modalità non accompagnata è stato drammatico, con una contrazione del 58% del numero di spedizioni registrate nel 2013 rispetto al 2012. In Italia l’intermodale ferroviario non accompagnato si sviluppa principalmente su direttrici di attraversamento delle Alpi: fra queste, ad esempio, la Wörgl-Trento, la Wels-Trieste e la Salisburgo-Trieste, gestite dalla Rail Cargo Austria (www.railcargo. at). Quest’ultimo servizio è stato avviato nel 2004 sulla direttrice Turchia-Trieste-Salisburgo in collaborazione con La Società Alpe Adria S.p.A. (www. alpeadria.com) e rappresenta la prima “autostrada intermodale terra-mare”, con un flusso annuale di circa 40.000 camion trasportati con tre treni A/R giornalieri ed un carico complessivo di 1.100.000
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1 - Trasporto intermodale ferroviario accompagnato (tabella 1) e non accompagnato (tabella 2).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 tonnellate. Ma si cita anche il collegamento Friburgo-Novara, con una distanza di 414 km ed un tempo di viaggio di 10 ore, gestito dalla RAlpin SA (partecipata da BLS AG, Hupac SA, SBB Cargo AG e Trenitalia SpA, www.ralpin.com). Il servizio è organizzato con treni che possono ospitare fino a 21 automezzi ed è offerto con una frequenza di 60 collegamenti alla settimana per ciascuna direzione. Fra i servizi che più di recente sono stati rilanciati sul mercato, invece, c’è il collegamento Monaco-Trento, originariamente offerto da Okombi cui, nel 2013, è subentrata Trenitalia in partnership con Trasposervizi (società di servizi partecipata da Anita, Associazione nazionale imprese trasporti automobilistici). Il successo dell’iniziativa è da attribuirsi proprio all’accordo siglato fra Trenitalia e Trasposervizi che assicura la continuità del collegamento, da un lato, ma anche la stabilità della domanda, dall’altro.
Limiti e potenzialità dell’intermodale ferroviario Un importante vantaggio della RoLa rispetto ad altri tipi di trasporto intermodale, è di tipo organizzativo: un veicolo stradale può essere trasportato su rotaia senza alcuna condizione preliminare, purché non sia fuori sagoma. Per chi organizza la spedizione, quindi, la RoLa ha un grado di flessibilità simile al trasporto stradale e può essere utilizzata come una soluzione transitoria per passare gradualmente dal tutto strada al combinato non accompagnato. Il buon grado di flessibilità della RoLa ne permette l’utilizzo anche una tantum point-to-point, mentre il trasporto combinato non accompagnato è più adatto per spedizioni frequenti, consistenti e regolari. All’estremo opposto c’è il trasporto ferroviario puro, che può essere effettuato sia con carri singoli, sia con treni blocco. Si
tratta, però, di una soluzione che richiede elevati investimenti organizzativi ed infrastrutturali ed è, quindi, utilizzata solo per spedizioni regolari di grandi quantità di merci, che, a causa della loro dimensione o del loro volume, è preferibile vengano trasportate per ferrovia. L’uso della RoLa permette alla compagnia di trasporto di risparmiare il costo del carburante e dei pedaggi autostradali e di ridurre gli allungamenti del tempo di viaggio causati dalla congestione della rete stradale o dalle cattive condizioni atmosferiche. Permette, inoltre, di trasportare la merce anche durante i fine settimana, quanto la rete autostradale è preclusa al transito dei mezzi pesanti, o durante la notte, a prescindere, quindi, dagli orari di sosta obbligatoriamente previsti per il personale viaggiante che, infatti, durante il viaggio, può dormire nei vagoni letto, potendo riprendere il viaggio su strada una volta raggiunto il terminal di destinazione. Inoltre, grazie all’assistenza del personale viaggiante che accompagna il carico, lo svolgimento delle pratiche doganali per la merce proveniente da paesi terzi avviene più rapidamente che nel caso del trasporto non accompagnato. Se si analizzano i vantaggi di questa modalità di trasporto dal punto di vista ambientale, invece, si giunge a conclusioni differenti. Secondo l’UIRR (2009), infatti, il trasporto non accompagnato sarebbe più efficiente di quello accompagnato poiché, rispetto al trasporto su strada, garantisce un risparmio energetico del 29% ed una riduzione delle emissioni di CO2 del 55%, mentre quello non accompagnato permette un risparmio energetico al massimo pari all’11% ed una riduzione delle emissioni di CO2 non superiore al 18%. Uno degli elementi che riduce maggiormente l’efficienza della RoLa, però, è rappresentato dal peso addizionale che deve essere trasportato assieme alla merce e che è rappresentato dalla motrice. Il minor peso complessivo dell’intermodale non accompagnato permette, infatti, l’uso di treni ben
2 - Full lorry, foto fornita da UIRR.
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TRASPORTI & CULTURA N.39 più lunghi rispetto a quelli utilizzati per la RoLa. In Svizzera si stima che un treno per il trasporto non accompagnato possa avere una lunghezza anche tripla rispetto ad un treno per il trasporto accompagnato, con importanti implicazioni tanto sui costi del servizio, considerando la scarsità delle tracce orarie disponibili per il trasporto delle merci, quanto sulle ricadute ambientali di questa modalità di trasporto. A questo si aggiunge il fatto che i costi di investimento e di manutenzione per i treni adibiti alla RoLa sono molto più elevati che per i treni per il trasporto non accompagnato. I carri ferroviari devono, infatti, essere dotati di ruote particolarmente piccole e, quindi anche di un sistema frenante più complesso, al fine di garantire la compatibilità fra l’altezza dei carri ferroviari, il mezzo stradale compreso, e l’altezza delle gallerie. In aggiunta a ciò vi sono i costi del personale viaggiante che accompagna il mezzo e viaggia sul treno e che vanno ad aggiungersi al costo del servizio, il vincolo rappresentato dagli orari di partenza e di arrivo dei treni, che limita la discrezionalità di chi organizza il viaggio nella pianificazione dello stesso, ed il tempo necessario per effettuare le operazioni di carico e scarico dei mezzi stradali.
Aspetti critici per la scelta dell’intermodale ferroviario 3 - Movimentazione di container in una struttura intermodale Contship (foto Contship Italia).
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Ad oggi poco si sa sulle motivazioni che inducono gli spedizionieri ed i vettori stradali ad optare per questa modalità di trasporto. Le ragioni dello scarso utilizzo sono legate, da un lato, alla marginalità di questo segmento rispetto alla modalità stradale, su cui, per altro, le ricerche non abbondano, e dall’altro alle difficoltà di individuare gli interlocutori più adatti per capire quali sono i fattori critici su cui si gioca la domanda per questo tipo di servizi. Una ricerca condotta da Reffet et al. (2008) su 22 vettori stradali che utilizzano la RoLa alpina o l’Autostrada del Mare tra Tolone (Francia) e Civitavecchia (Italia) suggerisce che questa modalità viene scelta quando permette di ridurre i costi di viaggio ed i tempi di guida, a patto che la puntualità e la qualità del servizio reso non ne risentano. Le questioni ambientali, invece, non sembrano intervenire nel processo decisionale come un elemento importante. Fra gli elementi citati dagli interpellati per aumentare il livello di soddisfazione dei servizi esistenti c’è l’aumento della frequenza dei servizi offerti che garantirebbe una maggiore flessibilità nell’organizzazione dei viaggi. Anche una ricerca condotta da Dalle Chiare et al. (2008) in cui sono stati coinvolti 32 vettori, conclude che gli elementi critici su cui si gioca la scelta di questa modalità di trasporto sono il vantaggio in tempo di percorrenza garantito dal recupero del tempo di riposo del personale viaggiante ed un adeguato livello di frequenza del servizio offerto. Secondo l’UIRR, la più grande associazione di aziende sia pubbliche che private che offrono servizi RoLa, questa modalità di trasporto viene scelta fondamentalmente in tre casi: - quando autotrasportatori di un paese extra-UE devono trasportare merce all’interno dell’UE ma non hanno i permessi necessari per accedervi utilizzando la modalità stradale; - nei casi di attraversamento di un ostacolo geografico, come le Alpi, dove la velocità media del mezzo stradale è rallentata dalle ripide sali-
te ed è previsto il pagamento di un consistente pedaggio; - se la consegna è urgente ed il viaggio deve svolgersi quando la circolazione autostradale è preclusa ai mezzi pesanti (fine settimana e festività) o durante i periodi di riposo obbligatorio dei conducenti. Per approfondire il tema in vista della possibile apertura di un nuovo servizio RoLa fra Trieste (Italia) e Chop (Ucraina), nel 2010, è stata realizzata un’ulteriore indagine che ha coinvolto 42 spedizionieri e vettori (Danielis et al., 2010). Ne è risultato che, a parità di tutto il resto, per la tratta considerata, la modalità stradale è nettamente preferita alla RoLa, in particolare da parte degli spedizionieri. I fattori critici per la scelta sono il tempo di viaggio ed il costo monetario del servizio, come già rilevato dalle precedenti ricerche. Nonostante il pedaggio autostradale risulti fra i fattori decisionali più importanti, in particolare per gli spedizionieri, solo un livello del pedaggio paragonabile a quello attualmente richiesto in Svizzera e pari, nel caso specifico, a 660 euro (ipotesi ritenuta altamente improbabile dagli autori della ricerca), indurrebbe il 29% degli intervistati ad optare per la RoLa piuttosto che per il tutto-strada. Anche sulla scorta di questi risultati il gestore del terminal intermodale italiano che avrebbe dovuto organizzare il nuovo servizio ha deciso di sospendere (temporaneamente?) l’iniziativa.
Conclusioni Il trasporto delle merci vede il coinvolgimento di una molteplicità di attori, che potremmo ide-
TRASPORTI & CULTURA N.39 le degli ultimi due anni fotografa una situazione di indubbia sofferenza, in particolare per la modalità accompagnata. L’impressione che se ne trae, quindi, è che in assenza di politiche forti che sostengano i costi di esercizio dei servizi offerti o che precludano o rendano particolarmente costosa la possibilità di utilizzare la modalità stradale, posto che esistano i presupporti affinché ciò sia giustificato in termini di efficientamento del sistema, l’intermodale accompagnato è destinato a restare del tutto marginale nello scenario europeo, se non ad uscire dalla scena. Riproduzione riservata ©
Bibliografia Dalla Chiara, B., Deflorio, F., Spione, D. (2008) “The rolling road between the Italian and French Alps: modeling the modal split”, Transportation Research Part E, 44 (6): 1162–1174. Danielis, R., Rotaris, L., Buzzulini, L., Biktimirova, E. (2010) “The choice between road transport and rolling motorway: a case study”, Working Papers SIET 2010 - ISSN 1973-320, www.sietitalia.org European Commission, (2001a) COM (2001) 264 Final, A Sustainable Europe for a Better World: A European Union Strategy for Sustainable Development, Brussels, Belgium. European Commission (2001b) COM (2001) 360 Final, White Paper, European Transport Policy for 2010: Time to Decide, Brussels, Belgium.
almente suddividere in almeno tre macro-categorie: chi spedisce la merce, chi la riceve e chi la trasporta. Conciliare le esigenze ed i vincoli di tutti gli attori coinvolti è un’operazione estremamente complessa, che richiede uno scambio continuo di informazioni e l’adattamento degli assetti organizzativi pianificati in funzione della contingenza del momento. L’uso dell’intermodalità complica ulteriormente un quadro organizzativo già di per sé complesso ed è questa una delle principali ragioni per cui, nonostante siano molti gli ambiti in cui si sollecitano politiche di intervento a sostegno dell’intermodalità (strada-ferro, strada-mare, accompagnato, non accompagnato) al fine di ridurre le esternalità negative proprie del tutto strada, queste forme di trasporto non sembrano ancora decollare, se non in specifici contesti. I risultati delle poche indagini che sono state condotte sui criteri di scelta dell’intermodale ferroviario non accompagnato dimostrano, infatti, che questa è una modalità preferibile al tutto strada solo qualora esistano consistenti vantaggi di costo, tipicamente garantiti da una pensante tassazione della modalità stradale giustificata dall’attraversamento di contesti ambientali particolarmente fragili, o vantaggi di tempo, nella misura in cui l’uso del servizio permette di recuperare le soste forzate imposte dalla normativa sui tempi di sosta del personale viaggiante o sui tempi di attraversamento della rete autostradale. I casi di successo non mancano, si cita ad esempio l’”Autostrada intermodale terra-mare” avviata nel 2004 sulla direttrice Turchia-Trieste-Salisburgo che movimenta ogni anno 40.000 camion e più di un milione di tonnellate di merce, ma il trend genera-
European Commission (2006) COM(2006) 314 Final, Keep Europe Moving, Sustainable Mobility for Our Continent Mid-term Review of the European Commission’s 2001 Transport White Paper, Brussels, Belgium. European Commission (2007) COM (2007) 606 Final, The EU’s Freight Transport Agenda: Boosting the Efficiency, Integration and Sustainability of Freight Transport in Europe, Brussels, Belgium. European Commission (2009) COM(2009) 279 Final, A Sustainable Future for Transport: Towards an Integrated, Technology-Led and User Friendly System, Brussels, Belgium. European Commission (2011) COM(2011) 144 Final, White Paper: Roadmap to a Single European Transport Area, Towards a Competitive and Resource Efficient Transport System, Brussels, Belgium. Reffet, F., Potier, M., Le Bourhis, P., Olivier, S., de Solere, R., Desiderio, M. (2008) Motorways of the sea and rolling highways: from the users’ point of view, paper presented at the European Transport Conference 2008. UIRR (2009, 2012, 2014) Annual Report, www.uirr.com
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Interporti : realtà e prospettive di Giovanni Caruso e Francesca Cesarale
“… Le cataste dei container che occupavano l’intero ponte erano come blocchi di case, fra i quali restavano angusti vicoli, e l’impressione fu di entrare in una città deserta. Con l’avvento dei container, le navi hanno perso la vecchia eleganza delle loro sagome e i porti il loro vivace brulicare di umanità. Il porto “nuovo” di La Spezia sembrava il set di un film di fantascienza. Enormi gru si muovevano avanti e indietro caricando e scaricando cassoni di ferro di tutti i colori, mettendoli su camion, sulle navi, depositandoli su cumuli di altri cassoni, il tutto automaticamente, al suono di un continuo allarme che non allarmava nessuno: sulla distesa dei piazzali non si vedeva un’anima viva, come se tutto fosse manovrato da un qualche lontano computer e gli uomini non esistessero più”. Tiziano Terzani, Un indovino mi disse
I trasporti e la logistica rivestono un ruolo centrale per la sostenibilità dello sviluppo economico e sociale di ogni Paese. Un sistema di trasporto efficiente consente di creare e potenziare mercati e costituisce una leva essenziale per favorire e sostenere l’economia del Paese. Negli ultimi anni si è assistito ad una profonda modifica strutturale dei modelli di domanda di trasporto merci: il passaggio da una economia di “stock” ad una economia “di flusso”, la delocalizzazione sul territorio degli insediamenti produttivi, l’estensione dei mercati e la diffusione della logistica hanno determinato una variazione nella struttura spaziale e comportamentale della domanda di trasporto. La conseguenza è un aumento delle congestioni, con impatti negativi sull’ambiente, sulla qualità della vita e sulla sicurezza, con elevati costi per la collettività. Il volume del commercio mondiale di beni e servizi ha avuto una variazione percentuale, nel 2013, pari al 3,0 con una previsione nel 2014 e 2015 rispettivamente del 4,3 e 5,31 . Secondo dati delle Nazioni Unite2: - la popolazione mondiale è in continua crescita con oltre 7 miliardi di abitanti nel 2011 di cui il 51% in aree metropolitane; - il settore dei trasporti produce oltre il 25% delle emissioni mondiali di CO2 ed il trasporto stradale in particolare è responsabile per il 16% delle emissioni globali di CO2; - nel 2009 sono stati registrati nel mondo 1,5 milioni di decessi e 50 milioni di feriti causati da incidenti stradali; - le inefficienze delle reti di trasporto costano globalmente tra 1e 2 trilioni di dollari l’anno; 1 CNT 2012-2013(pg3). 2 UNECE (United Nations Economic Commission for Europe) Intelligent Transport System for sustainable mobility, Genova, febbraio 2012.
Interports: reality and perspectives by Giovanni Caruso and Francesca Cesarale This article offers a critique of the phenomenon, focusing separately on two different aspects: reality and planning. The first part illustrates the current reality of national interports; the second part offers suggestions with regard to the future finalities that should orient legislators, the funding from the European Community and national governments, and all professionals in the field, focusing in particular on the existing relationships between interports, ports and TEN networks. Special attention was dedicated to current developments in intermodality: the National Logistic Platform, a telematic computer infrastructure conceived to provide system services to all professionals, becoming a platform for interconnection, for handling data and the processes involved, which is meant to become a reference point for the national logistic network, with an integrated management of cargo traffic information. Another new development is the role of interports in the context of urban distribution logistics, as elements to consider in planning the supply chain; the interports could provide services and infrastructures to become urban freight distribution centres, i.e. logistical platforms located near the city or on the edge of the city centres, where merchandise could be shipped, and loads consolidated before sending them to their final destinations. The final emphasis is on the current advanced concept of “logistics system or cluster”, towards which current legislation is tending.
Nella pagina a fianco: vedute aeree dell’interporto di Bologna (in alto) e della ZAI, terminal trasporti combinati di Verona.
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1 - Posizioni degli Interporti in relazione alla rete ferroviaria e delle autostrade.
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la congestione viene stimata in circa l’1% del PIL nelle economie sviluppate ed il 2-5% in quelle in via di sviluppo. Non va dimenticato inoltre che i mezzi di trasporto costituiscono la principale fonte di emissione di PM 10 e PM 2.5, le cosiddette polveri sottili che sono riconosciute come agenti inquinanti estremamente dannosi per la salute. In tale contesto, in cui la produzione industriale e il trasporto delle merci rappresentano due aspetti di un’unica questione complessa, si è iniziato a parlare di logistica economica teorizzata nel 1991 da Sten Thor che la definì “una disciplina innovativa atta ad analizzare l’allocazione ottima delle risorse nell’ambito dei sistemi di produzione e distribuzione delle merci”. Deve svilupparsi, quindi, una logistica sostenibile che passi, sì, attraverso l’intermodalità, l’ottimizzazione dei percorsi, la riduzione dei ritorni a vuoto, la localizzazione intelligente dei magazzini, la limitazione del just in time esasperato, la distribuzione urbana delle merci, ma anche attraverso una progettualità diversa che faccia entrare le esigenze e le possibilità della logistica all’interno del processo di industrializzazione e commercializzazione dei prodotti. Il positivo risultato di un posizionamento ottimale dal punto di vista logistico contribuisce allo sviluppo di una nuova organizzazione geografica della produzione compatibile con gli obiettivi di mobilità sostenibile e, a livello locale, cooperando ed interagendo con le reti di imprese per ridurre le distanze medie ed aumentare il fattore di carico medio. In Italia la filiera della logistica e dei sistemi di trasporto, che comprende circa 110.000 aziende imprese attive nella gestione di infrastrutture intermodali e nell’offerta di servizi di trasporto merci, ha generato un valore del fatturato complessivo di oltre 76 mld di euro nel 2011 con un incremento in termini nominali del 7,8% rispetto al 20093. Si tratta, pertanto, di un settore che offre un contributo significativo all’economia del Paese, svolgendo il ruolo di volano per lo sviluppo del territorio e agendo come fattore di accrescimento del potenziale competitivo del sistema produttivo locale. 3 Contractlogistics 2013.
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Interporti e Piattaforma Logistica Nazionale Un adeguato sviluppo della logistica, dunque, appare cruciale in Italia, in particolare in un contesto economico complesso come quello attuale, al fine di ridurre i costi di trasporto per le imprese e di sostenere un settore ad alto valore aggiunto e che ha un impatto significativo anche sotto il profilo occupazionale. Al centro di un posizionamento logistico ottimale si colloca l’Interporto, che rappresenta una delle infrastrutture logistiche più complesse e articolate. L’interporto è “un complesso organico di strutture e di servizi integrati e finalizzati allo scambio delle merci tra le diverse modalità di trasporto, comunque comprendente uno scalo ferroviario idoneo a formare o ricevere treni completi e in collegamento con porti, aeroporti e viabilità di grande comunicazione”. La peculiarità di tale struttura è pertanto quella di rappresentare un “sistema integrato di trasporti e servizi logistici”. Infatti l’interporto non deve solamente garantire i trasporti intermodali o combinati ma deve altresì assicurare alle merci, alle imprese, ai mezzi e alle persone una molteplicità di servizi di carattere generale e di supporto quali: banche, uffici postali, ristorazione, rifornimenti e alcune manutenzioni per i mezzi di trasporto, per i container e altri più specifici quali: dogane, servizi telematici, ecc. In quanto struttura inserita nel sistema logistico, le imprese di gestione dell’infrastruttura interportuale si collocano nella più ampia categoria dei service provider (organizzazioni che forniscono servizi ai produttori, distributori, rivenditori e clienti) che hanno lo scopo di offrire, in modo integrato, tutta una serie di servizi alle merci, alle persone ed ai mezzi. In quanto infrastruttura intermodale l’interporto si configura invece come nodo integratore delle diverse modalità di trasporto; la maggior parte degli interporti sono allo stesso tempo terminal ferroviari e centri di distribuzione. Dal punto di vista dei terminal ferroviari, gli interporti possono considerarsi principalmente terminal near-dock, in molti casi collegati ad un terminal portuale a centinaia
TRASPORTI & CULTURA N.39 di chilometri di distanza4. Inoltre gli interporti ricoprono il ruolo di centri di distribuzione, in particolar modo per quanto riguarda il warehousing e, in un numero minore di casi, il cross-docking. La rete interportuale italiana di rilevanza nazionale5 è composta da 24 strutture di cui 14 al Nord, 5 al centro e 5 al Sud, di questi 20 interporti sono completamente operativi, di cui 12 insediati al Nord, 4 al Centro e 4 al Sud. Nel 2012 gli interporti italiani operavano utilizzando complessivamente oltre 22 mln di m² di “aree infrastrutturate”. Tali aree rappresentano la “capacità produttiva” dell’intero sistema interportuale che potrebbe essere aumentata di ulteriori 10 mln di m² nel medio-breve periodo (+47,5%). Infatti nel 2012 gli interporti avevano più di 32 mln di “aree disponibili” (sulla base di diversi titoli giuridici), in buona parte ancora da infrastrutturare (attraverso investimenti immobiliari e infrastrutturali). Inoltre, dati gli strumenti urbanistici vigenti, gli interporti italiani avrebbero un’ulteriore area di espansione pari a 6 mln di m² (+17,7% delle aree disponibili), essendo le aree assegnate all’attività interportuale dagli strumenti urbanistici pari a circa 38 mln di m². Prendendo in considerazione congiuntamente le aree di possibile sviluppo a breve-medio termine e quelle a lungo termine, gli interporti evidenziano quindi una capacità di espansione delle proprie aree pari al 73,7%. Per quanto riguarda la localizzazione degli interporti operativi nel 2012 vanno evidenziate: - la polarizzazione nel Nord Italia; - la coincidenza con i nodi delle maggiori direttrici dei traffici ferroviari e stradali; - l’assenza della Lombardia e del Lazio, che pure rappresentano un bacino di domanda potenziale di servizi logistici molto rilevante; - la localizzazione della rete interportuale lungo le principali dorsali di traffico italiane e europee, in corrispondenza dei corridoi paneuropei secondo la nuova programmazione rivista dalla Commissione Europea. Nella previsione di una crescita del traffico merci occorre affrontare il tema secondo una visione di maggiore sostenibilità che non può avvenire solo aumentando il numero delle infrastrutture ma adottando un approccio nel quale i trasporti sono pensati come sistemi totalmente integrati in cui, informazioni, gestione e controllo operano in sinergia al fine di ottimizzare la gestione delle infrastrutture e delle piattaforme logistiche, riorganizzando i flussi di traffico in modo da promuovere il riequilibrio fra i diversi modi di trasporto ed incentivando un maggiore utilizzo delle modalità trasportistiche maggiormente sostenibili. Ciò significa rendere disponibili ai mercati reti caratterizzate da quattro fattori fondamentali: connettività di rete, interconnessione, intermodalità, interoperabilità. In tale ottica nell’ambito dei Sistemi di Trasporto Intelligenti (ITS) si inserisce la realizzazione della Piattaforma Logistica Nazionale (PLN). La Piattaforma Logistica Nazionale è concepita per erogare servizi di sistema a tutti gli operatori, divenendo la piattaforma di interconnessione, di regia 4 Una dinamica importante che sta interessando negli ultimi tempi il sistema interportuale italiano è legata alla trasformazione di alcune infrastrutture in una specie di “on-dock” terminal. Un importante ruolo a riguardo sta per esempio avendo l’iniziativa relativa ai cosiddetti “corridoi doganali”. 5 Dati rilevati dal rapporto UIR Anno 2012.
dei dati e dei processi ad essi relativi. Essa infatti mira a diventare il punto di riferimento della rete logistica nazionale, tramite la gestione integrata delle informazioni sul traffico merci. I principali attori della filiera (porti, interporti ed autotrasportatori) verranno “messi in rete” tramite la piattaforma e scambiando i dati in tempo reale potranno pianificare, ottimizzare e prenotare in modo ottimale le missioni di carico e scarico, la gestione dei flussi fisici, gli slot di carico e scarico merci preso i nodi da parte degli autotrasportatori. La Piattaforma Logistica Nazionale è dotata di un’infrastruttura robusta, aperta, interoperabile e scalabile ed è in grado di offrire alcuni innovativi servizi di sistema: - servizio Control Tower, che permette di conoscere in tempo reale i mezzi in arrivo ad un punto (nodo logistico, punto di interesse) e di visualizzare la documentazione ad essi relativa; - servizio di missione interattiva, che permette di pianificare e gestire le missioni, di calcolare il tempo di arrivo e di gestirne la documentazione conoscendo in tempo relae lo stato della viabilità e dell’operatività delle prestazioni; - servizio Booking, che permette a chi offre un servizio/risorsa di renderlo disponibile all’interno della megacomunity gestendone le prenotazioni; - servizio di Freight Taxi, che offre un sistema di matching automatico fra domanda ed offerta di trasporto tenendo conto delle posizioni e delle missioni correnti e future dei trasportatori con possibilità di implementazione di servizi aggiuntivi quali: - Gnoscere, che offre strumenti di business in-
2 - Gli interporti italiani di rilevanza nazionale e i corridoi transeuropei programmati.
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telligente per effettuare analisi storiche su dati generati nell’operatività e archiviati nel datawarehouse; ID Card, che realizza un’anagrafica unica, centralizzata e completa di tutti gli autisti e le aziende di autotrasporto; controllo accessi, che permette un controllo automatico di tutti gli accessi ai nodi logistici; Corridoio Doganale controllato, che realizza dei corridoi doganali virtuali; Franchigia, che permette di monitorare e certificare i tempi effettivi di carico e scarico delle merci
Nell’ambito di una visione “vasta” e in divenire della logistica, nella quale come si è visto gli interporti assumono una rilevante valenza, non può non risconoscersi il ruolo della logistica distributiva urbana quale elemento progettuale di filiera, tenuto conto che i trasporti possono essere impiegati per governare, o quanto meno influenzare la localizzazione delle attività sul territorio, nodo cruciale dei problemi urbanistici e territoriali. In quest’ottica gli interporti potrebbero fornire i loro servizi e le loro infrastrutture ponendosi come centri di distribuzione urbana delle merci ossia piattaforme logistiche localizzate nei dintorni delle città o a ridosso del centro urbano, verso le quali indirizzare le merci, consolidare i carichi e inviarli verso utenti di destino. Uno dei casi esemplificativi è rappresentato dalla realizzazione del Cityporto a Padova. Il modello si basa su una piattaforma logistica localizzata presso l’interporto, a poco più di 5 km dalla città, e l’utilizzo di veicoli a bassa emissione a servizio del cosiddetto “ultimo miglio” coerentemente con i vincoli sempre più stringenti imposti per l’accesso a determinate aree urbane (tipicamente centri storici). In chiave propositiva, attenzione particolare va dedicata ai regimi di incentivazione per l’intermodalità che il mercato indica, allo stato, come determinanti per orientare una quota non irrilevante della domanda verso combinazioni di trasporto diverse dal tutto-strada (modalità a sua volta sovvenzionata con l’effetto di assicurare al vettore marittimo o ferroviario livelli di carico regolari e sufficienti ad offrire il servizio e di stimolare il caricatore o autotrasportatore a sperimentare e consolidare soluzioni di trasporto nuove, favorendo altresì forme di aggregazione della domanda). In entrambi i casi - intermodalità marittima e intermodalità ferroviaria - l’azione pubblica deve favorire la concentrazione di traffici su collegamenti adatti allo shift modale, per distanze e tipologie di merci, con l’obiettivo di far emergere e consolidare i corridoi di terra o di mare che abbiano elevata valenza logistica, cioè rispondano effettivamente ai flussi di mercato, si connettano efficacemente alle reti a monte e a valle, e possano essere tendenzialmente accompagnati verso l’autosostenibilità. Al fine di garantire una maggiore efficienza complessiva di tutto il sistema intermodale, è inoltre necessario operare su sinergie e coordinamento più stretto tra porti ed interporti italiani, ovvero costruire un reale cluster terra–mare, che già oggi attiva complessivamente un valore aggiunto di 4,3 miliardi di euro, e che consenta di intensificare le esperienze di collaborazione tra porti e piattaforme interportuali. In effetti già attualmente i rapporti di interscambio tra i due sistemi sono molto intensi. Tutte le piattaforme attive hanno uno o più por28
TRASPORTI & CULTURA N.39 ti di riferimento attraverso i quali transita un crescente flusso di merci in entrata e in uscita. Lo sviluppo di simili relazioni dovrebbe portare benefici per entrambe le parti e per il Paese nel suo complesso : - gli interporti potrebbero accrescere il volume di merci movimentate e di conseguenza il proprio giro d’affari. È ormai nota la situazione di congestionamento in cui versano le banchine di molti porti e l’urgenza di trovare aree retroportuali verso cui far confluire la gestione della distribuzione e le operazioni di prima manipolazione delle merci, minimizzando i tempi di entrata e di uscita; - un rafforzato collegamento ferroviario diretto tra porti e interporti sposterebbe dalle aree urbane di importanti città costiere come Genova o Napoli gran parte del traffico di veicoli pesanti, consentendo sia di alleggerire i livelli di congestionamento che di ridurre l’inquinamento atmosferico, migliorando così direttamente la qualità della vita; - una più efficiente movimentazione delle merci in entrata e in uscita consentirebbe al Paese di intercettare una maggiore quota dei flussi intercontinentali. Un esempio di buona pratica di cluster terra-mare riguarda le relazioni tra gli interporti dell’ Italia settentrionale ed i porti dell’ Alto Tirreno: Genova, Livorno e La Spezia. Sulla sponda tirrenica, altri porti interessati da significativi scambi con il sistema interportuale sono quelli di Savona–Vado (con il limitrofo interporto di Vado e con quello di Torino), Napoli (con i due interporti campani di Marcianise e di Nola) e di Gioia Tauro che intrattiene relazioni con le strutture di Nola e di Marcianise nell’ Italia meridionale e con quelle di Padova e di Bologna nel Nord del Paese. Sull’altro versante il cluster terra–mare passa essenzialmente anche attraverso i porti dell’Adriatico, Venezia, Trieste, Ravenna e Taranto, che stanno sviluppando una rete di relazioni che ha quali partner principali le infrastrutture logistiche della macro–area in cui sono ubicati essenzialmente Verona, Padova, Bologna e Trento per i porti nordestini, cui si aggiunge Cervignano per Trieste; Nola e Marcianise per quello pugliese. La prospettiva di un cluster terra-mare rappresenta senza dubbio una opportunità per i grandi porti italiani, che movimentano ogni anno più di dieci milioni di tonnellate di merci. Tuttavia lo sviluppo di tali relazioni potrebbe contribuire notevolmente alla crescita anche di nodi di dimensioni più contenute, come quelli di Civitavecchia, Ancona, Salerno o Monfalcone, il cui potenziamento è essenziale per riuscire ad intercettare il maggiore afflusso di merci che si prevede per i prossimi anni e rendere possibile una riconfigurazione dei traffici nell’area. In quest’ottica, le proiezioni più interessanti riguardano l’Italia centrale, dove i centri intermodali di Jesi, Orte, Frosinone e Val Pescara, opportunamente supportati da un adeguamento delle infrastrutture ferroviarie, potrebbero diventare i punti di snodo di un sistema a doppia sponda Tirreno–Adriatico. In una simile prospettiva, non si può prescindere da un rigoroso studio delle dinamiche che avvengono a livello territoriale e della loro possibile evoluzione futura, né da un’analisi che tenga conto delle caratteristiche del trasporto marittimo, della tipologia di carico trasportato e del rapporto tra imbarchi e sbarchi, ma soprattutto che prenda in considerazione i territori in una logica più ampia rispetto a quella prettamente istituzionale. Lo sforzo per la creazione di un sistema di trasporti
effettivamente intermodale deve essere volto alla messa a regime di quanto realizzato, nella razionalizzazione e ottimizzazione dell’esistente, sia dal punto di vista dei futuri investimenti infrastrutturali che dal punto di vista della gestione per la quale si rende necessaria una chiara definizione del ruolo delle Amministrazioni pubbliche centrali e locali e del ruolo degli operatori privati. Inoltre, a supporto e sostegno di tale opera di ottimizzazione, è auspicabile l’elaborazione di una nuova disciplina che riconsideri tutta la normativa in materia di trasporto (pianificazione, progettazione, impatto ambientale liberalizzazioni, interventi pubblici, autotrasporto, cabotaggio) in una logica di integrazione, equilibrio e ottimizzazione. Un passo importante in questa direzione, oltre al disegno di legge citato in materia di interporti e piattaforme logistiche, è stato fatto recentemente dal legislatore con l’articolo 46 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito nella legge 22 dicembre 2011 n. 214. Infatti tale disposizione prevede la possibilità per le Autorità Portuali di costituire “sistemi logistici” al fine di promuovere la realizzazione di infrastrutture di collegamento tra i porti e le aree retro portuali. Nella direzione del “sistema o distretto logistico” suaccennata si sta muovendo anche la “riforma dell’organizzazione portuale” attualmente in itinere: in essa è infatti è previsto che si provveda all’adozione di un piano integrato di distretto con il quale vengono definiti i relativi distretti logistici, costituiti dal complesso delle infrastrutture e dei servizi destinati a svolgere funzioni connettive di valore strategico, in particolare nei rapporti fra scali portuali e rete transnazionale dei trasporti, per favorire l’interconnessione al fine di migliorare la competitività italiana. Ogni atto che assegna finanziamenti pubblici alla realizzazione o all’ampliamento di infrastrutture esistenti nei porti di cui all’articolo 6 della legge 84/94, nonché alle infrastrutture interportuali e intermodali afferenti ai suddetti porti, deve essere congruamente motivato in coerenza con il piano strategico nazionale della portualità e della logistica. In attuazione dell’articolo 46 del decretolegge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, l’integrazione dei sistemi logistici è realizzata dalle Autorità Portuali attraverso lo strumento del piano integrato di distretto che costituisce il documento di programmazione dello sviluppo funzionale e infrastrutturale nel distretto. Il piano integrato di distretto indica gli obiettivi di traffico, definisce il livello dei servizi da erogare, nonché la redditività delle attività svolte dagli operatori economici presenti nel distretto, programma gli interventi infrastrutturali, con particolare riferimento a forme di partenariato pubblicoprivato e di finanza di progetto. Il piano, inoltre, è lo strumento per lo sviluppo dei collegamenti tra i porti e le aree retroportuali e l’efficientamento della catena logistica, da perseguire anche attraverso atti d’intesa e di coordinamento fra le autorità portuali e logistiche, gli enti territoriali interessati, l’Amministrazione delle Dogane e le altre amministrazioni interessate, nonché i gestori degli interporti, delle infrastrutture intermodali, delle infrastrutture ferroviarie, stradali e autostradali.
3 - Nella pagina a fianco, in alto: magazzini ad uso logistico dell’Interporto d’Abruzzo. 4 - Nella pagina a fianco, al centro: nuovo casello dell’autostrada A 25. 5 - Nella pagina a fianco, in basso: Verona, ZAI, Centro DIrezionale 1.
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Lo sviluppo delle economie di scala nel settore marittimo container e gli effetti sulla portualità di Oliviero Baccelli
L’unitizzazione dei carichi per mezzo dei container ha permesso di conseguire importanti incrementi di produttività nella logistica internazionale. In particolare, attraverso una forte riduzione sia dei costi della tratta marittima, grazie alle economie di scala nella gestione delle stive, sia dei costi portuali, attraverso una semplificazione e standardizzazione delle movimentazioni. Questi fattori tecnici, sommati al forte sviluppo degli interscambi commerciali su scala mondiale, hanno provocato una progressiva evoluzione in termini di capacità della flotta di navi porta container. Se nel 1988 l’offerta complessiva raggiungeva 1,5 milioni di TEU, nel 2013 si è raggiunta una capacità totale pari a 18,6 milioni di TEU (+1.240%) con un aumento medio annuo dell’10,6%. Nel 2014 la società di ricerca specializzata Alphaliner prevede l’ingresso sul mercato di nuove navi per una capacità complessiva pari a 1,6 milioni di TEU e la demolizione di navi per una capacità di circa 500.000 TEU, con un saldo positivo di circa 1,1 milioni di TEU, che implica una crescita del mercato di circa il 6%, valore bene inferiore alle medie recenti e che prende atto della sovracapacità del settore avvenuta nel corso degli ultimi anni. Alcuni recenti studi econometrici di carattere accademico hanno dimostrano l’esistenza un vero e proprio legame causale tra aumento del commercio tra Paesi e diffusione della containerizzazione per il trasporto delle merci1. Infatti, l’aumento della dimensione delle navi, la razionalizzazione del numero dei porti e degli investimenti, la crescita nella produttività del lavoro portuale hanno permesso di sfruttare nuove economie di scala e di fare del commercio marittimo uno dei motori propulsivi della globalizzazione. L’obiettivo di questo contributo è quello di evidenziare i trend più recenti relativi alle strategie delle compagnie marittime e ai riflessi sul settore logistico portuale derivanti dall’evoluzione della caratteristiche tecniche della flotta.
I driver della crescita dei traffici containerizzati Sulla base delle statistiche UNCTAD, la quota di mercato delle merci movimentate in container sul totale dei volumi interscambiati a livello internazionale via mare (espressi in milioni di tonnellate) 1 Estimating the Effects of the Container Revolution on World Trade, by Daniel Bernhofen, Zouheir El-Sahli and Richard Kneller, Lund University, Working Paper 2013:4, February 2013.
Scale economies in the maritime container sector and the impact on port activities by Oliviero Baccelli Unitizing loads by means of containers led to a significant reduction in both the costs of transportation by sea (via economies of scale in hold management) and port fees (thanks to the simplification and standardization of handling). The article highlights trends in the strategies of container shipping lines, and in the implications of the evolution of fleet technology (gigantism) and the improvement of alliances between operators in the port logistics sector. Three main levels of impact can be defined, which require investments and specific measures in order to react to these new drivers of change in a positive and effective manner, and to ensure that logistics remain a factor of economic development rather than of diseconomies for shippers and territories. The three levels are: port terminals, the intermodal transport network, and dry ports. Optimizing the coordination among all the players in the intermodal chain, therefore, proves to be the primary reaction to these trends: the objectives are to avoid bottlenecks, and to take advantage of the potential benefits deriving from exploiting scale economies and implementing horizontal integration in the maritime part of the chain. In any case, monitoring the actual impact of these strategies, with the purpose of verifying their economic, social and environmental sustainability, and to avoid forms of abuse or dominance, is a key element in the accompanying policies for the development of new port logistics systems.
Nella pagina a fianco: nave container nel porto di Ravenna (foto Contship Italia).
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1 - Veduta aerea del porto di Ravenna (foto Contship Italia).
è passata dal 2,8% del 1980, al 5,8% nel 1990, al 10% sino al salire al 16,5% nel 2013. Inoltre, il valore delle merci containerizzate è molto elevato in quanto le stime indicano in circa il 52% la quota del valore totale delle merci movimentate in container rispetto al totale dei flussi via mare su scala internazionale. Nel corso degli ultimi anni, questi trend sono guidati ancora da variabili di carattere generale, come il forte sviluppo del commercio internazionale a livello globale, dovuto alla maggior interdipendenza delle catene produttive, oltreché agli incrementi demografici, ma anche da due fattori specificamente riconducibili al modello organizzativo del settore container: - forte aumento dell’affidabilità complessiva derivante dalla standardizzazione e semplificazione dell’organizzazione dei traffici per linea basati su cadenze tipicamente settimanali; - incremento del tasso di containerizzazione delle merci secche, grazie anche ad innovazioni tecnologiche. In particolare, questo secondo fattore ha accompagnato i più recenti trend, in quanto lo sviluppo dell’interscambio via container non è più caratterizzato solo da componenti per il settore automotive, mobili e prodotti per l’arredamento, elettrodomestici, cartoni da imballaggio, ceramiche, mattonelle e altri prodotti finiti o semilavorati, che costituiscono la maggior parte dei traffici. Infatti, nel corso degli ultimi anni l’incremento dell’affidabilità dei container refrigerati e a temperatura controllata e la possibilità di occupare l’intero con32
tainer con grossi sacchi da 20 tonnellate hanno permesso di ampliare il tasso di containerizzazione delle merci secche, coinvolgendo anche i mercati dell’ortofrutta (banane, ananas e molti altri flussi che permettono la presenza sui mercati della frutta e della verdura tutto l’anno di prodotti tipicamente stagionali) e le derrate secche alla rinfusa come palline o polveri, chimici o generi alimentari. In particolare, questi grossi sacchi da 20 tonnellate sono diventati sempre più diffusi per il trasporto di caffè, cacao, semi, fertilizzanti e mangimi per il pesce, che sino a pochi anni fa viaggiava come general cargo in navi rinfusiere con sacchi da 20-50 kg pallettizzati o con container realizzati con caratteristiche ad hoc. La possibilità di suddividere in lotti di 20 tonnellate carichi che normalmente viaggiavano in stive di navi in grado di movimentare da 2-3.000 tonnellate, tipicamente utilizzate ad esempio per i prodotti cerealicoli, ha trovato un ulteriore forma di sviluppo nelle organizzazioni logistiche basate just in time, ma che a livello europeo nel corso degli ultimi anni sono state ulteriormente rafforzate a causa delle incertezze nella domanda di mercato, nelle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e nell’innalzamento degli oneri finanziari. Infatti, il modello complessivo basato su servizi marittimi con cadenza settimanale, la suddivisione in lotti e la valorizzazione degli approvvigionamenti più frequenti per ridurre gli oneri di magazzino ha spinto ad esempio le imprese dei settori cartario, siderurgico e dei prodotti dell’industria di costruzione ad approvvigionarsi sempre più con ridotti
TRASPORTI & CULTURA N.39 flussi containerizzati rispetto ai carichi alla rinfusa. Questi nuovi flussi, insieme ad altri relativi a merci povere quali la carta da riciclo o la paglia, hanno contribuito anche a mitigare, sebbene in modo ancora limitato, gli sbilanciamenti nei flussi che nel settore risentono di forti asimmetrie su tutte le principali rotte. Il ruolo e la rilevanza dei flussi containerizzati dipendono in maniera molto più elevata dall’organizzazione della tratta terrestre, che è molto differente rispetto al caso delle materie prime. Infatti, i grandi flussi alla rinfusa, tipicamente di prodotti energetici o legati a settori industriali, coinvolgono pochi grandi operatori su pochi assi e in un’unica direzione (solo import o solo export). Al contrario i traffici container da e per i porti provengono da numerose origini e destinazioni, disperse su un vasto hinterland, con un gran numero di operatori in entrambe le direzioni, con livello di competizione fra i sistemi logistici portuali più forte, data la più facile sostituibilità dei punti di imbarco o sbarco. Questa maggior concorrenza fra i porti ha portato a sviluppare sistemi di inoltro via terra, spesso basati su una valorizzazione dell’intermodalità ferroviario.
L’evoluzione dell’offerta e il ruolo delle economie di scala Il settore del trasporto marittimo è basato su modelli organizzativi che prevedono una quota dei costi fissi sui costi totali molto alta. Infatti, i costi di equipaggio, amministrativi, di forniture ed in particolare del bunker aumentano in modo meno che proporzionale rispetto all’aumento delle dimensioni della nave, favorendo la ricerca delle economie di scala sulle direttrici dove i volumi di domanda di traffico sono più consistenti. I costi unitari per singolo TEU trasportato decrescono all’aumentare della dimensione della nave, grazie anche ad economie di scala importanti in fase di costruzione e di investimento. In parallelo all’incremento della domanda di flussi di traffico containerizzati, la rilevanza di queste riduzioni di costo ha spinto ad un aumento nella dimensione delle navi, ed in particolare di quelle con maggiore capacità (c.d. gigantismo navale). Se nel 2004 i navigli di dimensioni superiori riuscivano a trasportare fino ad 8.238 TEU, nel 2010 questo valore è salito a 14.770 TEU, con una variazione positiva del 79% ed ha raggiunto nel 2013, con il varo della McKinney-Moeller da parte della compagnia marittima Maersk, il valore di 18.000 TEU (+ 21% rispetto a tre anni prima). L’accelerazione del trend negli ultimi anni è dovuta anche a due specifici fattori contingenti: - forte incremento del costo del bunker fra il 2005 e il 2013; - riduzione dei costi di realizzazione delle nuove navi a partire dal 2009. Per quanto riguarda il costo del bunker, basato sul prezzo per tonnellata espresso in US dollari sul mercato di Rotterdam, si è passati ad un valore pari a 138 nel 2000, 234 nel 2005, 345 nel 2007 e dopo un rapido calo fra il 2008 e il 2009 ha di nuovo continuato a crescere, raggiungendo i 639 nel 2012 e 631 nel 2013, aumentando di quasi 3 volte nel corso dell’ultimo decennio. Il bunker costituisce circa il 50-60% dei costi operativi e pertanto le compagnie marittime hanno avviato ogni strategia per la riduzione di questa incidenza, utilizzan-
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do le tipiche tecnologie del settore navale, fra cui nuovi sistemi di spinta, nuove propulsioni, vernici idrodinamiche, ma soprattutto riducendo il numero di navi impiegate su una linea e aumentando la dimensione media delle stesse per offrire la medesima o crescente capacità. La crisi del secondo semestre del 2008 si è protratta sino alla fine del 2013, con una riduzione significativa del numero dei noli nel settore marittimo, ed ha chiuso un ciclo di espansione molto forte originato nel 2002 e caratterizzato da importanti ordini ai cantieri marittimi asiatici per nuove navi ed un ridotto livello di navi portate alla demolizione. Il risultato della fine di quello che, nel settore, è stato definito come super ciclo ha portato ad una forte riduzione dei costi di costruzione delle nuove navi, stante la sovraccapacità dei cantieri asiatici e le principali compagnie armatoriali nel settore ne hanno approfittato per effettuare ordini di grandi navi con motorizzazione efficienti (ecoships) a prezzi di mercato bassi, contribuendo così alla rapida evoluzione delle caratteristiche delle navi e alla riduzione dell’impatto ambientale delle settore marittimo. Il fenomeno del gigantismo navale ha prodotto importanti conseguenze anche sulla portualità mondiale. Come si può osservare nella tabella riportata di seguito un porto per poter ospitare navi di ultima generazione deve dotarsi di banchine adeguate per lunghezza e pescaggio.
2 - Tabelle che evidenziano la crescita della dimensione delle navi di maggiore capacità (in alto) e la capacità del naviglio sulle rotte principali (in basso).
Tecnicamente le società di classificazione navale ritengono plausibile che nei prossimi anni i cantieri asiatici possano ricevere ordini per navi da 22-24.000 TEU, con lunghezze sino a 450 metri, sebbene le dimensione massime dell’ordine effettuato ad un cantiere, quello della compagnia cinese CSCL, è ancora fermo a 19.000 TEU. Le difficoltà gestionali di questa tipologia di navi sono notevoli ed i vincoli commerciali imposti dalla mancata flessibilità dovuta al ridotto numero di porti dove possono essere effettuate in modo efficiente le operazioni di sbarco e imbarco, costituiscono il vero limite a questo trend verso un esasperato gigantismo. In particolare, come evidenziato nel successivo paragrafo, la tendenza al gigantismo navale è accompagnata da un incremento dell’utilizzo da parte delle compagnie marittime dei terminal dove effettuare operazione di 33
TRASPORTI & CULTURA N.39 transhipment e di interlining, quando cioè vengono valorizzate le sinergie fra navi transoceaniche e navi feeder (caso di transhipment) per raggiungere una maggior capillarità e quando due linee transoceaniche si incrociano in modo coordinato dal punto di vista commerciale in uno specifico porto in modo da permettere la valorizzazione delle economie di scala su entrambe le linee. Le compagnie marittime sono in grado di valorizzare le economie di scala in modo differenziato sulle diverse rotte, traendo il massimo vantaggio del gigantismo navale sulle rotte fra Asia Orientale e Nord Europa, grazie agli ingenti volumi scambiati e alla lunghezza della rotta, pari ad oltre 40 giorni di navigazione. La tabella “Capacità del naviglio sulle rotte principali” chiarisce questo aspetto. In ogni caso gli effetti “a cascata” sono importanti, in quanto le navi precedentemente utilizzate sulle rotte principali vengono spostate sulle rotte minori, con l’effetto complessivo dell’innalzamento della capacità media su tutte le rotte. Sulla direttrice, sulla base delle ricerche condotte da Alphaliner, fra Asia orientale e Nord Europa la dimensione media del naviglio utilizzato nel 2008 era pari a 6.390 TEU salito nel 2012 a 9.350 TEU. Questi valori per la tratta fra Asia Orientale e la costa occidentale del Nord America nello stesso periodo sono saliti fra 4.920 e 5.710, mentre fra Europa e Nord America si è passati da 3.490 a 4.010 TEU e le conseguenze immediate sono un sostanziale irrigidimento dell’offerta complessiva e una riduzione delle possibili differenziazioni nelle scelte delle rotte. Contestualmente alla ricerca di crescenti economie di scala, soprattutto sulle grandi rotte fra Asia ed Europa, l’offerta di trasporto marittimo di container si è caratterizzata per la progressiva concentrazione industriale e, grazie a fusioni ed alleanze tra le varie società armatoriali, le prime 20 compagnie di trasporto rappresentano l’80,8% del totale del mercato all’inizio del 2013 e soli quattro consorzi fra compagnie marittime gestiscono i flussi sull’asse principale fra Asia ed Europa.
Gli effetti attesi sui sistemi portuali e retroportuali I sistemi portuali sono i principali soggetti che si devono far carico delle diseconomie di scala derivanti dalle forti accelerazioni dell’evoluzione delle caratteristiche delle flotte verso il gigantismo navale e delle integrazioni orizzontali fra compagnie. Il primo effetto è rilevato dal Liner Shipping Index (LSCI) calcolato dall’UNCTAD che ha rimarcato come fra il 2004 e il 2013 il numero medio di compagnie che offrono servizi di linea per traffici containerizzati in una nazione è sceso del 27% passando da 22 a 16, evidenziando una riduzione delle possibili scelte per i caricatori ed in alcuni contesti minori evidenti comportamenti oligopolistici. Inoltre, l’incremento dei costi del capitale investito per la nave e del valore della merce a bordo richiedono che le operazioni portuali siano sempre più veloci e affidabili in modo da poter permettere il maggior numero di giorni di navigazione alla velocità ottimale in modo da evitare eccessivi consumi di bunker. Gli effetti a catena sull’intero sistema logistico portuale riguardano aspetti relativi agli investimenti infrastrutturali e in sovrastrutture, ai modelli organizzativi interni e retroportuali, che possono essere sintetizzati nei seguenti punti: 34
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interventi sulle banchine, con la necessità di estenderne la lunghezza e ampliarne il pescaggio, e Investimenti in nuove gru di banchina, con sbraccio sempre più lungo in modo da poter movimentare sino alla fila numero 23, di altezza sempre più elevata per poter operare sino a 9 file di container sovracoperta e soprattutto con una maggior produttività in modo da poter sbarcare o imbarcare due o quattro container per volta; - estensione delle aree di stoccaggio, attraverso una valorizzazione del livello di container sovrapposti, con conseguente modifica delle caratteristiche dei mezzi di piazzale, ed una maggior produttività nelle operazioni di posizionamento, che in molti casi spingono verso l’automazione di un maggior numero di processi; - i maggiori volumi, ma anche la maggior velocità e complessità nelle operazioni di imbarco e sbarco nave e gestione delle tratte terrestri da e per i porti implica un livello di informatizzazione molto elevato e l’utilizzo di sempre più sofisticati software di ship e terminal planning e la piena valorizzazione di tutte le modalità di inoltro terrestre ed in particolare della ferrovia, la modalità in grado di essere maggiormente valorizzata dalle esigenze di economie di scala e di riduzione delle esternalità ambientali. I terminal di transhipment, divenuti gli snodi principali per la programmazione delle rotte sulle direttrici dove il gigantismo navale è più sviluppato, sono i luoghi dove la ricerca di produttività è più rilevante e non è un caso che nel corso del 2013, ad esempio, i principali quattro hub del Mediterraneo siano cresciuti in media a doppia cifra e al doppio del tasso medio della portualità mediterranea. Dal punto di vista geografico, le relazioni tra i flussi di traffico merci e lo sviluppo dei terminal si realizzano attraverso: - la concentrazione di nodi che si interfacciano tra i differenti sistemi spaziali e i servizi, configurandosi come gateway tra il contesto produttivo e quello di consumo: non sono un semplice punto d’interscambio, ma includono terminal, distribuzione, stoccaggio e centri commerciali; - la realizzazione di centri di distribuzione: localizzazione per il trasferimento della merce, per la distribuzione ai mercati regionali. In passato erano localizzati in prossimità di terminal o dei mercati principali, attualmente si assiste ad una rilocalizzazione nelle aree definibili come dry port al di fuori dei sistemi portuali, ma ad esse ben collegate attraverso shuttle ferroviarie, a causa dei requisiti spaziali, dell’integrazione del mercato e della specializzazione economica. In tale ambito diventa importante l’interazione tra le tre interfacce (mare, terra e sistema intermodale): il centro logistico marittimo opera e fornisce servizi a valore aggiunto per la merce trasportata via mare; il centro logistico terrestre processa merce diretta al mare o al sistema intermodale pur non essendo fisicamente collegato con il mare; il sistema intermodale interseca l’interfaccia marittima e terrestre ponendosi come punto d’interscambio e non come centro logistico. In questo contesto, vi è quindi la necessità di ampliare l’offerta con servizi integrati che comprendano processi di manipolazione e trasformazione delle merci (imballaggio, reimballaggio, etichetta-
TRASPORTI & CULTURA N.39 tura, assemblaggio, smistamento, fatturazione e calcolo fiscale), capaci di generare valore aggiunto, da attuarsi presso aree adiacenti ai terminal marittimi (distripark) e nelle realtà retroportuali localizzate lungo le direttrici infrastrutturali principali (dry port). Questi fenomeni a livello italiano sono riconoscibili nella pianificazione congiunta fra i porti liguri ed alcuni dry port. Per Genova il dry port di riferimento è l’Interporto di Rivalta Scrivia, mentre per la Spezia è il retroporto di Santo Stefano Magra. In entrambi i casi, la possibilità di avere la medesima circoscrizione doganale di riferimento e un servizio di navettamento ferroviario efficiente di collegamento fra i terminal portuali e i terminal terrestri costituiscono elementi competitivi differenziali.
Conclusioni La standardizzazione e la semplificazione del servizio di trasporto offerto con la tecnica dei container hanno comportato una forte pressione verso la riduzione dei costi operativi, considerando che per molti caricatori e spedizionieri l’elemento differenziale nella competizione è il fattore prezzo. Lo sviluppo del gigantismo navale e il crescente ruolo delle alleanze sulle principali rotte sono la risposta da parte delle compagnie marittime a queste esigenze. Queste strategie sono state accelerate dal forte incremento dei costi del bunker avvenuti a partire dal 2005 e dalla crisi dei noli iniziata nella seconda metà del 2008. Gli scenari di riferimento evidenziano come le scelte strategiche delle compagnie abbiano effetti sull’intero sistema organizzativo della catena dei sistemi logistici marittimo-portuali, oltreché sull’economicità e affidabilità offerta del servizio marittimo. Infatti, nel lavoro sono emersi tre principali livelli di impatto, che richiedono investimenti e specifiche politiche per poter reagire a questi nuovi driver del cambiamento in modo positivo ed efficace e permettere alla logistica di essere ancora strumento di sviluppo economico e non fattore di diseconomie per i caricatori e per i territori: i terminal portuali, la rete di trasporto intermodale e i dry port. Nel caso dei terminal portuali gli adeguamenti necessari riguardano non solo aspetti infrastrutturali, ma anche modalità organizzative in grado di incrementare la produttività complessiva anche attraverso ingenti interventi di tipo tecnologico. Lo sviluppo di un’efficiente sistema di inoltro terrestre basato sull’intermodalità è necessario sia per favorire un migliore utilizzo degli spazi portuali, riducendo i tempi di stazionamento dei container nei piazzali dei terminal, sia per ridurre i costi della tratta terrestre, elemento centrale per ampliare il bacino di mercato di riferimento del porto. Per raggiungere questi obiettivi è necessario il coinvolgimento delle Autorità Portuali per attuare incisive politiche di supporto dell’intermodalità, che hanno come obiettivo anche quello di ridurre le esternalità negative derivanti dalla concentrazione dei traffici stradali nelle zone portuali. I dry port si propongono come elementi complementari alle attività portuali, necessari per ridurre la congestione negli ambiti demaniali e permettere la valorizzazioni dei servizi logistici attivati dal porto, ma in aree di maggiori dimensioni, a costi minori e con assetti proprietari quasi sempre privati. La massimizzazione del coordinamento fra tutti gli attori della catena intermodale diventa, quin-
di, la principale risposta ai trend descritti, in modo da evitare sia colli di bottiglia sia l’incapacità di cogliere i possibili benefici derivanti dalle valorizzazioni delle economie di scala e dell’integrazione orizzontale nelle tratte marittime. In ogni caso, il monitoraggio degli effetti di queste strategie sia per verificarne la sostenibilità economica, sociale e ambientale, sia per evitare forme di abuso di posizione dominante, dovrà essere un elemento centrale nelle politiche di accompagnamento allo sviluppo dei nuovi sistemi logistico portuali. Riproduzione riservata ©
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Le grandi alleanze navali e gli equilibri mondiali del trasporto marittimo di Alessandro Panaro
SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno) è un centro studi economico con sede a Napoli che si occupa di tematiche relative allo sviluppo delle imprese e delle infrastrutture; è collegato al Gruppo Intesa Sanpaolo. Nel 2014 ha inaugurato il nuovo portale scientifico denominato Osservatorio permanente sui Trasporti Marittimi e la Logistica, www.srm-maritimeconomy.com. Si tratta di un progetto di ricerca che consolida una materia di cui il centro studi tratta ormai da tempo e che segue in tutti i risvolti della sua complessa filiera: dai porti allo shipping, dagli interporti al sistema ferroviario, dai terminal alle imprese intermodali. Il portale ha varie sezioni tutte molto interessanti, e cogliamo l’opportunità fornita da Trasporti e Cultura per evidenziare uno dei numerosi argomenti che stiamo analizzando: le grandi alleanze e le fusioni navali. C’è un dato di base su cui è utile concentrare l’attenzione: la quota di tutto il traffico marittimo mondiale che passa nel Mediterraneo è significativamente cresciuta negli ultimi anni passando dal 15% del 2005 al 19% del 2013. E questo nonostante la crisi economica che ha colpito l’Europa negli ultimi anni e l’instabilità politica che è seguita - in quei Paesi - alle Primavere Arabe. Sono in linea con questo dato e lo confermano, anche la crescita del volume di merci transitato dal Canale di Suez (+101% dal 2000 al 2013) e l’impressionante aumento dell’interscambio commerciale cinese con quest’area passato da 5 miliardi di euro nel 2001 a 56,6 miliardi di euro nel 2013. Gli Stati Uniti mantengono la leadership commerciale e anche i Paesi del Golfo hanno aumentato fortemente la loro presenza nell’area. Le ultime recentissime previsioni sull’andamento del traffico merci via mare indicano una forte crescita del segmento container che, a livello mondiale e considerando solo i porti hub, dovrebbe passare dai 25,5 milioni di TEU del 2013 a 29,1 nel 2015 fino ad arrivare a 40 milioni nel 2020 e, addirittura a 51,8 nel 2025. Di fatto quindi è previsto il raddoppio del business marittimo nel giro di poco più di un decennio. A questi dati vanno a sommarsi altri tre fenomeni che stanno verificandosi. Il primo è quello della sempre più consolidata centralità che va assumendo il Mediterraneo nei traffici mondiali; il Mare Nostrum già vede circolare nelle proprie acque un quinto del traffico navale mondiale e gli ultimi dati sui passaggi di Suez confermano tale assunto: nel periodo gennaio-luglio, le merci trasportate dalle navi in transito sono ammontate complessivamente a 465,7 milioni di tonnellate (+8,7%) rispetto al 2013). Nei primi sette mesi del 2014, inoltre, il canale di
The great naval alliances and global balance in maritime transportation by Alessandro Panaro The article attempts an analysis of what will happen in the future of our ports, in the light of the phenomenon of alliances among the major carriers. We begin by mapping the alliances and defining the possible scenarios that Italian ports may encounter. The infrastructure of Italian ports will be forced to define new logistic configurations and make investments to accommodate larger ships, which require efficient means to load and offload cargo and high-quality ground services. A difficult future therefore looms ahead for ports that are less efficient and more poorly equipped. Governments will also be called upon to plan their maritime development in order to make infrastructure a key issue if they are to seize the opportunities that the big carriers will bring in terms of containers. The future seems to be propitious for the Northern Range ports but the ports of North Africa and Turkey are not just standing by, demonstrating significant performance in terms of traffic. Italy has the opportunity to secure European funding. Will it take advantage of it?
Nella pagina a fianco: navi container (foto Contship Italia).
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1 - Nave contanier (foto Contship Italia).
2 - Il terminal conteiner del porto di Ravenna.
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Suez è stato attraversato da oltre 9.600 navi, con una progressione del +2,6% rispetto allo scorso anno. E non si tratta solo di traffico petrolifero: le petroliere sono state 2.299 unità e le navi di altro tipo 7.312. Il secondo fenomeno da considerare va assumendo caratteri inarrestabili ed è quello del gigantismo navale; ha fatto scalpore la notizia dei nuovi ordinativi effettuati da alcune grandi compagnie armatoriali di costruire le nuove mega-ships da 20.000 TEU; anche se è da considerare che sono già in circolazione le 18.000 di nuova generazione che ben pochi porti nel mondo possono accogliere.
In ultimo, ed è su questo che ci soffermiamo, da tempo i grandi carrier che si occupano di trasporto container stanno stringendo accordi e ridefinendo le rotte da seguir. Queste vere e proprie joint venture vanno assumendo sigle più strane tra cui G6, Ckyhe, Green Alliance HALO-CSAV, e P3 Network: questi nickname annunciano un cambiamento di portata mondiale negli assetti della portualità e nella definizione degli scambi commerciali tra i Paesi Atlantici, Europei ed Orientali. Queste alleanze hanno lo scopo di raggiungere diversi obiettivi: economie di scala, efficienza gestionale, ottimizzazione del servizio, e ciò induce
TRASPORTI & CULTURA N.39 anche a preoccupazioni da parte degli operatori del trasporto marittimo che si pongono quesiti cui solo il tempo potrà rispondere. Le alleanze porteranno ad ottimizzare i container trasportati ed a rendere le navi piene di merci nei limiti del possibile, contrariamente a quanto successo sinora dove le big ships hanno spesso trasportato contenitori vuoti. A questo seguirà un minor numero di navi in circolazione poiché giocoforza le rotte verranno razionalizzate e ciò verosimilmente porterà all’utilizzo di mezzi più grandi; saranno utilizzate le grandi navi “madri” da 16 e 18 mila TEU per coprire le rotte che si andranno a definire. Si tenga conto, al riguardo, di un dato, che andrà sicuramente a condizionare le scelte infrastrutturali dei nostri porti: dal 1970 ad oggi le dimensioni della navi in circolazioni sono quasi ventuplicate: si è passati dalle cosiddette fully cellular da 1.000-2.500 TEU alle Triple-E da 18.000 TEU (fino alle 20.000 come prima specificato). Giova ripeterlo: al momento secondo un monitoraggio di SRM (Annual Report, Italian Maritime Economy, 2014), sono 5 le alleanze container in fase di avanzata definizione: - Hapag Lloyd–CSAV, che insieme rappresentano 1 milione di TEU movimentati; - C/C Cosco e China Shipping con 1,3 milioni; - Green Alliance tra Evergreen, Cosco, K line, Yang Ming, Hyundai con 2,7 milioni; - CKYHE tra Cosco, K line, Yang Ming, Hanjin, Evergreen, Hyundai con 3 milioni; - G6 tra Hapag Lloyd, NYK Line, OOCL, APL, Hyundai, MOL con 3,2 milioni. In realtà fino al 17 giugno 2014 era un’altra la grande alleanza che avrebbe dovuto primeggiare tra queste: la P3 Network tra i colossi Maersk Line, MSC e CMA CGM; dopo l’ok delle autorità statunitensi ed europee è stata la Cina a bloccare le ambizioni del colosso europeo. Quest’unione avrebbe dovuto generare 2,6 milioni di TEU Movimentati e mettere in rotta 255 navi portacontainer su 5 rotte di traffico lungo le direttrici Asia-Europa, Transatlantica e Transpacifica. Sono stati sollevati dalla Cina dubbi circa la violazione delle regole sulla concorrenza; il caso sarà difficile da dipanare e l’accordo rischia seriamente di saltare. Ma al di là della P3 network, che sta trasformandosi in 2M (alleanza ridimensionata alle “sole” Maersk e MSC) il fenomeno della grandi alleanze non pare destinato a fermarsi e per i porti questo è un
fenomeno di portata epocale; dalle analisi di SRM restano comunque dominanti le rotte est-ovest e resta importante il Mediterraneo. E guardando oltre la dimensione mediterranea occorre guardare all’Italia, un Paese che trasporta un terzo del suo interscambio commerciale via mare (il 63% se si considerano le regioni del Mezzogiorno) e che è al terzo posto in Europa per traffico merci. Ciò è indicatore di un forte sostegno all’internazionalizzazione del nostro sistema imprenditoriale manifatturiero. La questione aperta è: i porti italiani sono in grado di accogliere queste grandi navi? Il problema non è solo quello dell’accoglienza, ma anche quello di offrire loro un sistema logistico a terra ed un sistema intermodale di trasporti che consenta ai giganti di velocizzare le manovre di imbarco e sbarco e di ripartire per intraprendere nuove rotte. SRM ha censito 8 porti nelle rotte delle grandi alleanze container: Genova, La Spezia, Trieste, Gioia Tauro, Napoli, Livorno, Cagliari e Taranto. Questi scali devono quindi pensare ad un assetto logistico in grado di far fronte alla questione, se vogliono cogliere queste grandi opportunità. Non volendo soffermarsi su quale potrà essere il ruolo, comunque importante, svolto dagli altri porti e in generale dagli altri porti italiani che stanno comunque conseguendo buoni risultati, è bene affacciarsi a quelle emergenze che ora dovremmo affrontare alla luce di questo fenomeno, verosimilmente pensando che per forza di cose possano succederne altri dello stesso tipo. Più che altro si tratta di emergenze che i nostri porti dovranno comunque affrontare anche a prescindere dalle alleanze ma che ora diventano sempre più pressanti. Un buon inizio potrebbe essere quello di fare un punto della situazione sui dragaggi dei fondali: il disegno dovrebbe essere completato e fare una scelta che ha anche risvolti ambientali è opportuno. Queste alleanze hanno anche fissato il tonnellaggio delle navi che devono attraccare e rendersi conto che queste hanno bisogno di sbarchi e imbarchi rapidi nonché di fondali disponibili sarebbe una presa di coscienza di non poco conto. Iniziare i lavori poi sarebbe un altro passaggio necessario e da fare al più presto. Un secondo passo potrebbe essere quello di chiudere ormai l’annosa vicenda della riforma portuale; la legge 84/94 ormai ha 20 anni e non si intravedono orizzonti di cambiamento strutturale.
3 - Veduta del porto di Gioia Tauro (foto Contship Italia).
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4 - Le rotte delle alleanze navali container (elaborazioni SRM su dati 2013).
Al di là della normativa, sarebbe anche in questo caso ottima cosa cercare di definire almeno i punti riguardanti l’autonomia finanziaria e i punti che dovrebbero rispondere alla domanda “quali sono le risorse annualmente disponibili per lo sviluppo del nostro settore portuale”. Si rende necessario quindi un articolato piano di sviluppo portuale - così come fanno la Spagna (che ha investito, nel solo 2013, 400 milioni di euro nei porti) ed altre nazioni europee e nordafricane - che indichi quante risorse si hanno disponibili e per fare cosa ma in modo puntuale e sicuro. Il nostro sistema portuale poggia su una progettualità che ormai ha tanti anni e se la metà dei progetti rimasti fermi fosse stata realizzata probabilmente i carriers avrebbero tenuto in maggior considerazione i nostri porti. Di cosa hanno bisogno i global carrier? Facciamo riferimento ad un’intervista storica del 2009 con il CEO di Maersk Line, che a questa domanda rispose (riportiamo il virgolettato in inglese): - Cost structure - Berth availability - Productivity - Draft - Catch area - Rail/feeder connections - Investments Non tutti i nostri porti hanno questi asset. E nascono allora interessanti riflessioni. La prima forse porta ad osservare che anche in futuro saranno i porti del Northern Range quelli ad avere ancora la scena del sistema portuale europeo. Quest’area ha una quota di mercato del 43% del nostro traffico container considerando il 2013 (era il 47% nel 2008) ed attualmente, pur avendo perso 4 punti percentuali, ha Rotterdam, Amburgo ed Anversa che sono porti che investono, hanno spesso punti franchi e servizi logistici molto rapidi. Gli ultimi dati di Doing Business riportano inve40
ce che le imprese italiane devono attendere 19 giorni per esportare e 18 giorni per importare un container rispetto ad una media OCSE di 11 e 10 giorni. Il divario sembra non più accettabile. A ciò si aggiungono i dati dei porti dell’East Med che comprendono i porti Turchi che stanno registrando crescite a doppia cifra del traffico: Mersin (+20% nel primo trimestre 2014 in raffronto allo stesso periodo del 2013) e Ambarli (+6%) ed il porto del Pireo che sta registrando una crescita “furiosa”: +185% negli ultimi 8 anni. Altro competitor che sta rappresentando un rischio per i nostri porti è rappresentato dagli scali nordafricani, citiamo Tanger Med e Port Said, con crescite anche loro molto interessanti. Tutto questo porta anche ad un’altra riflessione sull’utilizzo dei fondi comunitari. Siamo ad un passo dall’inizio della nuova programmazione dei fondi strutturali 2014-2020 e vi sarà una dotazione importante per realizzare e consolidare le infrastrutture: l’Italia ha avuto un importo assegnato pari a oltre 30 miliardi di euro europei cui andranno ad aggiungersi risorse private e statali ed anche in questo caso occorre decidere quali infrastrutture potenziare e fare scelte precise se vogliamo andare avanti e cogliere le opportunità che offre il trasporto marittimo. Sino ad ora queste risorse sono state impiegate in modo lento e farraginoso, nonché con un’efficacia modesta denotata dalle continue riprogrammazioni e ripensamenti sui settori su cui concentrarsi. SRM suggerisce da tempo di puntare su pochi progetti e che abbiano una valenza europea, così da andare ad integrarsi con le reti TEN e con i mercati produttivi dove vi sia un’elevata presenza manifatturiera. I grafici che mostriamo danno una forte sensazione dell’importanza delle nostre relazioni marittime e della presenza delle imprese logistiche nella nostra economia; dovrebbe lasciar riflettere cosa potrebbe significare attirare questi carrier nei nostri porti.
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5 - La mappa delle alleanze navali container (elaborazioni SRM su dati 2013).
Considerazioni conclusive Il saggio vuole alla fine porre l’accento su due concetti; il primo deriva dal particolare momento economico che sta vivendo il nostro Paese in cui viene richiesta alle imprese una forte spinta all’export ed all’internazionalizzazione dei nostri prodotti e servizi; il secondo solleva l’urgente problematica del potenziamento e del rilancio della competitività del settore marittimo, in testa le infrastrutture. Volendosi soffermare sul primo assunto occorre specificare che promuovere l’export non vuol dire soltanto spingere l’acceleratore sugli incentivi agli investimenti: esportare e rendere un sistema internazionale vuol dire anche dare alle aziende un solido supporto logistico che possa dare rapidità ed efficienza nel far viaggiare le merci, magari anche sottoponendole a cicli di lavorazione in viaggio, nonché assicurare l’espletamento dei numerosi adempimenti burocratici ed amministrativi che sono connessi all’attraversamento da un Paese all’altro. Il mondo è davanti ad un cambiamento di scenario, per la verità già annunciato: un cambiamento che vede navi sempre più grandi che già attraccano in porti come Rotterdam, Amburgo, Pireo, Tanger MED e che invece nei porti italiani vengono sostituite da servizi feeder (navi più ridotte), il che comporta meno possibilità di sviluppo, meno relazioni internazionali, meno merci ed anche meno servizi per le imprese. Va anche avanzando il grande business delle “Megaships” sempre alla ricerca di spazi portuali, sempre a perfezionare i meccanismi di innovazione logistica e a stipulare accordi per aggredire i Paesi più appetitosi dal punto di vista produttivo;. Il Marocco fa scuola quando decide di investire 560 miliardi nella sua portualità; nondimeno la Turchia con piani di investimento che mostrano piena coscienza dei fenomeni che stanno accadendo,
senza citare gli ormai maturi Rotterdam, Amburgo, Brema, Amsterdam, Anversa, Marsiglia. I nostri competitor commerciali, insomma. Internazionalizzare un sistema vuol dire garantire al sistema stesso quell’armatura infrastrutturale che dia alle imprese la certezza dei tempi e l’assicurazione di trovare nel Paese di sbocco una serie di servizi di grande qualità, tra questi i servizi connessi al mare. Al Mediterraneo. Il secondo assunto induce ad una riflessione: l’Italia dispone di una serie di porti che, nonostante una normativa (che a suo tempo diede ottimi risultati) che risale a vent’anni fa, e ad una programmazione dello sviluppo portuale e marittimo forse mai (o parzialmente) avvenuta per varie cause, riescono a non cedere. Ma “non cedere” non basta, occorre avanzare e rendersi competitivi e questo lo si può fare, secondo le analisi di SRM, agendo su alcune leve che non necessariamente vanno a insistere sulla finanza. La prima è quella di assicurare al sistema una continuità di programmazione. Definire i porti strategici (che non vuol dire eliminarne altri) e definire i progetti per i porti hub ed i porti polifunzionali, e con la definizione della strategia ovviamente anche una adeguata pianificazione finanziaria: se le risorse sono poche occorre ancor di più mirare ad un utilizzo che dovrebbe rasentare la perfezione in termini di ritorno dell’investimento. L’Italia ha anche eccellenze logistiche che avrebbero bisogno di un grande snellimento burocratico ed anche spesso di avere un chiaro libretto delle istruzioni su quanti e quali controlli le nostre merci debbono avere e quanti sono i giorni necessari per far si che la merce possa viaggiare senza arenarsi. Rimane il gigantismo navale ed anche qui una riflessione è da fare; se la (ex) P3 network ed altre hanno individuato porti italiani da scalare è certo che ci sarà un motivo, dovuto evidentemente alla necessità di individuare delle destinazioni che possano offrire almeno in prospettiva, alle navi un 41
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6 - Veduta del porto di Taranto.
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porto sicuro. E ricordiamo che tra questi porti ci sono, oltre che Genova, Trieste e La Spezia anche Napoli, Taranto e Gioia Tauro: la speranza è che ciò che auspicano le grandi alleanze possa diventare uno stimolo per i nostri porti. In tutto questo il Mezzogiorno, con il suo 63% di export marittimo ed il suo 50% del traffico totale italiano movimentato, non può non dire la sua: quest’area - è ormai acclarato - dispone di capitale umano (è questo è un punto vincente) marittimo, infrastrutture ed imprese ed è da queste che occorre iniziare. Non ultimo, ma il problema finanziario esiste. I fondi comunitari della prossima programmazione 2014-2020 possono sicuramente rappresentare una riserva di energia per far ripartire il sistema; a
questi possono aggiungersi il Connecting Europe e gli Investimenti attesi sulle TEN-T ma che poi si debba essere in grado di competere da soli è una necessità imprescindibile. Riproduzione riservata ©
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Autostrade del mare, un nuovo inizio di Andrea Appetecchia
La soluzione di trasporto combinato strada-mare, dopo più di quindici anni dall’avvio del progetto delle Autostrade del Mare (AdM) in Italia, come d’altronde nel resto d’Europa, nonostante gli incentivi erogati e la notevole disponibilità di approdi e di navi, viene scelta dagli operatori del trasporto solo nelle cosiddette tratte obbligate, ovvero per quegli spostamenti che hanno come origine o destinazione le aree insulari1.
Necessità di rivedere una strategia valida, ma incompiuta L’ostacolo principale che ne ha impedito il successo è sostanzialmente lo scarso controllo da parte degli operatori del trasporto sul complesso dei costi che tale soluzione di trasporto deve sopportare. Solo il 5% del costo è controllato dalle imprese di trasporto, mentre circa il 25% è, ad esempio, sotto la responsabilità delle imprese terminaliste portuali e terrestri. La ragione dunque dell’incapacità degli incentivi pubblici di incidere nello sviluppo del combinato marittimo, soprattutto nel caso dell’Ecobonus, risiedono nella scelta di incentivare una quota marginale del costo complessivo di questa soluzione di trasporto, ovvero il costo del passaggio nave. Gli esiti di quattro anni di finanziamento, dal 2007 al 2010, nel corso dei quali sono stati sovvenzionati più di 2 milioni di viaggi (75% su rotte nazionali; 25% su rotte internazionali) per un importo complessivo di oltre 240 milioni di euro, mettono chiaramente in evidenza, soprattutto nel traffico di cabotaggio, tale limite. In altre parole l’erogazione del contributo non è stato sufficiente a modificare un modello logistico. Il contributo, pertanto, pur essendo una condizione necessaria per stimolare l’introduzione di una soluzione alternativa di trasporto, non è stato sufficiente. Serve qualcosa in più per lanciare il trasporto combinato marittimo come alternativa possibile al tutto-strada, ovvero un complesso di interventi in grado di incentivare l’intera catena di trasporto a sviluppare soluzioni efficaci ed efficienti di carattere organizzativo, di servizio e, dove necessario, infrastrutturale che trasformino la sede portuale, da un punto di imbarco e di sbarco di camion, in un nodo intermodale in cui le modalità alternative alla gomma possano integrarsi in modo efficace ed efficiente con l’autotrasporto. 1 L’articolo riporta le conclusioni dello studio Autostrade del Mare 2.0: risultati, criticità, proposte per rilancio realizzato dall’Isfort con il contributo di Fedarlinea e Confcommercio e presentato lo scorso 2 aprile a Roma.
Motorways of the Sea, a new beginning by Andrea Appetecchia The percentage of intermodal road-sea solutions is still minor among the modal transport solutions. The integration between road and sea is chosen by road transport operators only for the so-called obligated routes (for which the origin or destination is an island). Fifteen years after the launch of the Motorways of the Sea (MoS) project in Italy, as indeed in the rest of Europe, the sea is not considered to be an effective alternative to the highway by freight road transport drivers, despite the provision of incentives. The main obstacle to its success is the inability of road transport operators to control the overall cost of the transport solution. The inability of government incentives to affect the development of the combined maritime resides in the choice of encouraging a marginal share of the total cost of this transport solution (ticket for sea transport). National and European governments should plan strategies to give new impetus to combined maritime transport as an alternative to the all-road solution. Port infrastructures and services are the key elements in this new strategy. These nodes should change from being mere loading and unloading points for trucks, to become intermodal hubs in which alternative modal and intermodal solutions can be integrated into an effective and efficient transport chain.
Nella pagina a fianco, in alto: traghetto Compagnia di Navigazione Caronte & Tourist: in basso: imbarco auto private, nave Excelsior, Compagnia di Navigazione Grimaldi Lines.
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1 - Nave Energia, Compagnia di Navigazione Grimaldi Lines.
Sfida e vocazione del combinato marittimo: connettere il Nord e il Sud del Paese Le AdM nascono per sottrarre i camion dalla strada al fine di contenere gli impatti negativi generati dall’uso intensivo del trasporto su gomma in termini di inquinamento, congestione e sicurezza. Gli spostamenti da trasferire dalla strada al mare sono quelli con una percorrenza superiore a 500 km. Tali spostamenti in termini assoluti rappresentano una quota marginale del trasporto pesante su strada, poiché riguardano solo il 3% del totale. Ma gli impatti ambientali, sociali ed economici di questo segmento di traffico sono decisamente più rilevanti rispetto a quelli generati dai trasporti di corto raggio. Gli spostamenti di merci su strada sono per lo più concentrati su distanze inferiori a 100 km (70% del totale) tuttavia, dal punto di vista degli impatti negativi e dei consumi energetici2 una tonnellata di merce trasportata per 600 km genera – grosso modo - impatti negativi e consumi energetici 6 volte superiori a quelli necessari per trasportare la stessa quantità di merce per uno spostamento di soli 100 km. Il segmento di traffico delle lunghe percorrenze rappresenta dunque un fattore di criticità rilevante, ma anche un mercato potenziale importante per le soluzioni di trasporto intermodale (combinato marittimo e terrestre) che possono essere competitivi con il tutto-strada. Nel traffico nazionale le connessioni tra regioni del Nord e del Sud rappresentano una quota rilevante di tale segmento. Al fine di calcolare il mercato potenziale generato da questo segmento di traffico sono stati presi in considerazione i flussi di trasporto merci 2 Gli impatti generati dal trasporto, in termini di inquinamento, ma anche di incidenti e congestione si calcolano in base al peso della merce trasportata e della distanza percorsa (tonn/ km) ad esempio una tonnellata che effettua uno spostamento di 100 km, corrisponde a 100 tonn/km
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su strada3 attualizzati al 20134 escludendo: - le relazioni interne alle circoscrizioni (Nord, Centro e Sud); - sottraendo alla Circoscrizione meridionale le isole della Sardegna e della Sicilia (perché interessate dal trasporto combinato obbligato); - le regioni dell’Abruzzo e del Molise (più centrali rispetto al resto del meridione). I flussi che si ottengono da tale sottrazione rappresentano gli spostamenti tra Nord (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia ed Emilia Romagna) e Sud (Puglia, Campania, Basilicata, Calabria) che raccolgono circa il 40% degli spostamenti oltre i 500 km.
Due corridoi intermodali alternativi al tutto-strada Tale segmento di traffico costituisce il mercato potenziale intorno al quale costruire una politica efficace di sostegno al combinato marittimo in grado di promuovere linee Ro-Ro realmente sostitutive al tutto-strada (combinato marittimo alternativo). In base all’analisi dai flussi di traffico generato dalle relazioni Nord-Sud poc’anzi riportati è possibile attivare 4 linee Ro-Ro5 con trasporti bilanciati tra Nord e Sud lungo i due corridoi naturali del Paese. Il primo corridoio sulla sponda tirrenica con porti per l’imbarco e sbarco nella circoscrizione settentrionale Genova e Livorno e in quella meridionale i porti di Napoli e Salerno. Su tale direttrice si concentrano i flussi di scambi le regioni del Nord (Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria, Lombardia, Emi3 Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, Trasporto complessivo di merci su strada per Regione di origine e di destinazione (anno 2011). 4 Stima di evoluzione traffico merci su strada, anno 2012 Ministero Infrastrutture e Trasporti, anno 2013 Indagine congiunturale Confetra secondo semestre 2013. 5 Soglie di sostenibilità di una linea di combinato marittimo identificate dal Piano Nazionale della Logistica nell’approfondimento sulle prospettive di sviluppo di settore sono: 500 miglia marine e un milione di tonnellate annue di traffico bilanciato inbound e outbound.
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2 - Il mercato potenziale del combinato marittimo alternativo nazionale (elaborazione Isfort su dati Conto Nazionale dei Trasporti 2011 e dati congiunturali Confetra 2013.)
3 - Evoluzione del traffico container e Ro-Ro nei porti italiani (elaborazione Isfort su dati Assoporti 2013).
lia Romagna) e quelle del Mezzogiorno (Campania e Calabria) con volumi che si attestano oltre i 4 milioni di tonnellate (4.286.747). Il secondo corridoio riguarda invece la sponda adriatica e coinvolge a settentrione i porti di imbarco e sbarco di Trieste e Ravenna e nel meridione quelli di Bari e Brindisi; attorno a tale direttrice possono confluire i camion che si muovono lungo l’asse Nord (Emilia Romagna, Lombardia, Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia) Sud (Puglia e Basilicata), i cui volumi complessivi superano i 5 milioni di tonnellate (5.049.447). Vi è infine una quota di traffico aggiuntiva che si avvicina ad ulteriori 3 milioni di tonnellate (2.701.258) che riguarda le due connessioni trasversali: da una parte quella, tra la sponda adriatica settentrionale e quella tirrenica meridionale e, dall’altra quella contraria tra la sponda tirrenica settentrionale e quella adriatica meridionale. Il complesso degli spostamenti legati agli scambi Nord-Sud oggi veicolati tramite camion rappresenta un mercato potenziale di più di 12 milioni di tonnellate di merce. Il trasferimento di 12 mi-
lioni di tonnellate di merce dalla circoscrizione settentrionale a quella meridionale attraverso la soluzione di trasporto tutto-strada richiede circa 700 milia camion. Ipotizzando che ciascun camion compia mediamente, per i trasferimenti dalle regioni del Nord a quelle del Sud, circa 700 km, si può stimare che: - la coda virtuale generata da questo traffico corrisponda a circa 8.000 km6; - l’energia necessaria per farli camminare sia pari a 2,4 miliardi di KWh; - le emissioni nell’aria provocate da tali spostamenti si aggirerebbero intorno a mezzo milione di tonnellate di CO2.7 Per avere un ordine di grandezza la distanza tra l’estremo Nord (Alpi) e l’estremo Sud (Lampedusa) d’Italia è di 1.240 km, mentre la lunghezza com6 Secondo i modelli di calcolo utilizzati dal Programma Europeo Marco Polo la fila virtuale dovrebbe corrispondere a 7.840 Km (http://ec.europa.eu/transport/marcopolo). 7 Stima effettuata tramite il sistema di calcolo ECOTRANSIT www.ecotransit.org
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4 - Caratteristiche del traffico Ro-Ro nazionale ed internazionale nel 2012 (elaborazione su dato Assoporti 2013).
plessiva delle coste (insulari e peninsulari) si attesta a 7.480 km, mentre le famiglie e le imprese di una città come Firenze nell’arco di un anno consumano circa 1,5 MLD di KWh di energia elettrica ed immettono nell’aria circa 2,5 milioni di tonnellate di CO28. L’opportunità di riorganizzare gli spostamenti che oggi avvengono sul tutto strada, attraverso il combinato marittimo, consentirebbe - nel tratto sostitutivo via mare - di ridurre il consumo energetico di poco meno del 90% e di ridurre le emissioni ben oltre il 90%.
Perché la nave piuttosto che il treno Il combinato marittimo nelle relazioni Nord–Sud rappresenta la soluzione intermodale più efficace e fattibile rispetto a quella terrestre. I nodi portuali, sia al Nord che a Sud, sebbene debbano ancora migliorare l’organizzazione interna (accessibilità ai terminal, procedure di carico-scarico, pratiche burocratiche, ecc.), sono più attrezzati per accogliere nuovi flussi di camion e già, di fatto, servono i mercati di produzione e consumo del meridione. Il combinato terrestre sembra invece orientato a servire le relazioni di collegamento con il Nord Europa concentrando i propri nodi intermodali nella circoscrizione settentrionale del Paese.
Le linee di cabotaggio e lo short sea shipping La movimentazione di rotabili rappresenta la principale attività portuale dei porti italiani. Infatti al 8 Secondo i dati dell’amministrazione comunale di Firenze l’energia elettrica rappresenta il 19% dei consumi energetici della città, le altre fonti energetiche sono il gas il 41%, il combustibile per i trasporti 36% ed il 4% per il gasolio, mentre i 2,5 milioni di tonnellate di CO2, per 34,5% derivano dai trasporti, il 30,2% dalle attività residenziali e il 27,8% dal terziario
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netto del traffico di transhipment, il traffico Ro-Ro è di gran lunga il principale traffico nel segmento delle merci varie e per volumi è piuttosto vicino alle cosiddette rinfuse solide. La necessità di mantenere collegate le due principali isole del Paese (Sicilia e Sardegna) ha da sempre alimentato un traffico rilevante di camion e di rotabili soprattutto nel bacino tirrenico, incrementato da importanti linee internazionali di collegamento con la Grecia, i Paesi balcanici e la Turchia attraverso i porti adriatici, cui si sono aggiunte linee mediterranee di connessione con la Spagna ed il Maghreb. Il confronto tra le destinazioni finali della merce imbarcata, ad esempio nel porto di Ancona, mette in evidenza come nel caso dei contenitori essa sia per lo più contenuta nella stessa regione Marche e, in quota residuale, nelle regioni contermini, mentre nel caso del traffico Ro-Ro solo nel 35% dei casi proviene dall’Italia, mentre il 16% proviene dalla Spagna, il 15,7% dalla Francia, il 14% dalla Germania, il 7% dall’Olanda, il 4% dalla Gran Bretagna e il 3% dal Belgio9 . In questo segmento di traffico nel 2012 i porti italiani hanno movimentato più di 75 milioni di tonnellate (75.748.919), di cui 48,8 legate al cabotaggio interno, 13,3 milioni al traffico internazionale orientale e 13,6 a quello destinato al versante occidentale e meridionale del Mediterraneo. Spesso commentando lo sviluppo del traffico contenitori nei porti italiani si è parlato dell’opportunità per il Paese di assumere il ruolo di piattaforma logistica del Mediterraneo, dimenticando di considerare che le aziende di autotrasporto comunitarie ed extracomunitarie già da anni utilizzano i porti nazionali come vie di accesso ai mercati del Sud Est Europeo, del Medio Oriente, del Nord Africa e dell’estremità occidentale del Mediterraneo. Nonostante ciò dal 2002 ad oggi nessun porto nazionale ha deciso di potenziare la propria offerta infrastrutturale dedicata al transito dei rotabili, 9 Indagine diretta presso gli autotrasportatori, Autorità portuale di Ancona, dicembre 2013.
TRASPORTI & CULTURA N.39 mentre le linee di combinato marittimo sono servite soprattutto da imbarcazioni miste passeggeri e merci (Ro-Pax), in alcuni casi stagionali e legate ai flussi turistici, quindi difficilmente conciliabili con le esigenze delle moderne catene logistiche.
Una nuova politica di sostegno allo sviluppo del trasporto combinato marittimo La prossima scadenza della proroga degli Ecobonus chiama le forze politiche ad aprire una riflessione in merito agli strumenti da attivare per raggiungere l’obiettivo generale di costruire un modello di mobilità delle persone e delle merci sostenibile e quello specifico del comparto merci di favorire il riequilibrio modale. Appare infatti scontato il rifiuto delle autorità comunitarie ad una eventuale richiesta di ulteriore proroga degli attuali Ecobonus da parte del Governo italiano, tuttavia non si può ritenere di mantener saldo l’obiettivo generale e quello specifico poc’anzi ribadito senza adeguate misure di supporto. È più che mai urgente pertanto avviare un percorso di rinnovamento delle politiche di aiuto al settore che prenda le mosse dal Parlamento e dal Governo e veda coinvolte tutte le parti interessate nella fase di definizione del quadro strategico. Un quadro di riferimento condiviso che dovrà essere successivamente valutato dal punto di vista, sia della coerenza con le dinamiche di mercato, sia della congruenza con i vincoli normativi nazionali e comunitari, prima di attivare le modalità di incentivo che dovranno essere monitorate in profondità al fine di individuare con precisione e trasparenza la loro effettiva capacità di raggiungere i target selezionati. Per realizzare i vantaggi che il trasporto marittimo a corto raggio dimostra di poter conseguire, si rende quindi necessaria la creazione di reti in grado di attirare volumi di carico, cercando attivamente la cooperazione con le altre modalità di trasporto attraverso una più concreta collaborazione tra le varie imprese operanti nella catena logistica, in un quadro di scelte strategiche volte a favorire mirati interventi infrastrutturali e politiche di incentivazione economica che escano fuori dalla semplice logica degli incentivi diretti a sostenere i maggior costi (Ecobonus). Tutto ciò richiede l’impegno costante e concreto di un attore istituzionale autorevole e capace di interpretare, da una parte, le indicazioni provenienti dal mercato, dall’altra, le traiettorie ed i più ampi obiettivi comunitari. Una programmazione mirata alla realizzazione di soluzioni logistiche e infrastrutturali appare pertanto indispensabile per rendere il trasporto marittimo a corto raggio più competitivo rispetto al trasporto su strada su un segmento di mercato maggiore di quello attuale. L’alleggerimento del traffico merci su strada per lunghe distanze e il contenimento dei costi di produzione e di mercato del trasporto merci hanno, infatti, riflessi immediatamente misurabili su diversi aspetti: l’aumento della sicurezza della circolazione stradale, la riduzione degli investimenti per la manutenzione delle infrastrutture stradali, la realizzazione compiuta di un maturo sistema di trasporti intermodale, l’incentivo per le aziende di piccole e medie dimensioni all’aggregazione, una nuova politica di
sicurezza, risparmio energetico e protezione ambientale. Un approccio “olistico” strettamente mirato al consolidamento strategico delle “Autostrade del Mare” dovrà, quindi, prevedere l’introduzione di alcune misure prevalentemente volte alla: diminuzione dei tempi di attesa e velocizzazione di sbarco/ imbarco, minimizzazione dei tempi di traversata, fruibilità degli accessi stradali, ferroviari ed alle infrastrutture portuali, riduzione delle tariffe dei servizi di trasporto marittimo a corto raggio, standardizzazione delle caratteristiche e delle tipologie dei veicoli impiegati nel trasporto delle merci. Quest’ultimo punto rappresenta uno dei temi di particolare criticità in ambito nazionale: le ridotte, e nella maggior parte dei casi ridottissime dimensioni delle imprese di trasporto su gomma impediscono la realizzazione di economie di scala e rendono indispensabile onerosi adeguamenti, per dimensioni, caratteristiche e motorizzazioni, delle flotte destinate al cabotaggio. Andranno quindi sviluppate delle riflessioni con gli autotrasportatori per traguardare obiettivi di razionalizzazione condivisibili e ragionevoli. Sulla base di siffatti assunti di sistema, risulta necessario andare ad identificare con assoluta puntualità quelle che potranno essere le aree di intervento e le priorità che dovranno essere affrontate per consentire al sistema del cabotaggio nazionale di giocare un ruolo ancora più significativo in un progetto di rilancio delle Autostrade del Mare.
5 - Imbarco di TIR sulla Nave Suprema, Compagnia di Navigazione Grandi Navi Veloci.
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Logistica portuale e ambiente di Maria Ines Cusano
Viviamo in una società supportata da una economia globale che non potrebbe funzionare senza l’industria del trasporto marittimo. Lo shipping è senza dubbio uno dei pilastri di questa economia globalizzata giacché senza di esso il commercio internazionale e gli innumerevoli scambi collegati sarebbero impensabili. In questa economia globalizzata sono il trasporto e le infrastrutture di trasporto gli elementi che collegano i centri di produzione e di consumo, incentivano l’integrazione regionale anche sorpassando i limiti amministrativi e, quindi, offrono a tutti la opportunità di creare valore e di goderne i benefici (IMO, 2012). Il rapporto fra il settore dei trasporti e l’ambiente è paradossale nella sua natura in quanto il trasporto è capace di generare benefici socioeconomici ma, allo stesso tempo, colpisce l’ambiente generando crescenti livelli di esternalità negative (Freitelson, et al., 2001). Il settore dei trasporti è oggi una delle fonti dominanti di emissioni che generano effetti nocivi nell’ambiente che ci circonda. La Figura 1 evidenzia il ruolo attivo del settore dei trasporti come fonte di emissioni atmosferiche, rappresentando il 30% nel caso del monossido di carbonio e quasi il 60% degli ossidi di azoto. Inoltre consente di vedere come il trasporto marittimo internazionale, sebbene contribuisca solo marginalmente alle emissioni di monossido di carbonio, rappresenti una grossa percentuale per gli ossidi di zolfo e il particolato e quindi necessiti di politiche volte ad un miglioramento. Il trasporto marittimo necessita di infrastrutture, servizi e personale per la movimentazione e consegna di merci, così come di servizi finanziari e di supporto che consentono lo svolgimento efficiente delle operazioni. Se consideriamo la catena logistica collegata al trasporto marittimo, risulta evidente la necessità di sviluppare un approccio integrato che copra tutta la catena, limitando le esternalità negative ad essa collegate, con lo scopo finale di renderla il più possibile compatibile con l’ambiente. Sebbene consapevoli del fatto che le politiche legate alla sostenibilità del trasporto via mare dovrebbero essere coordinate in tutti i diversi aspetti della catena logistica (dal magazzino o fabbrica di origine al trasporto verso il porto, dalla caricazione sulla nave alla navigazione, dalla scaricazione in porto al trasporto dal porto verso il punto di destinazione), il presente lavoro si concentrerà nella descrizione di alcune azioni portate avanti all’interno dell’area portuale.
Port logistics and the environment by Maria Ines Cusano Over the past decades there have been several maritime accidents categorized as environmental disasters (spills of toxic substances, shipwrecks, etc.) that have undoubtedly raised public awareness. Although sea transport is considered to be a less environmentally harmful form of transport, the growing magnitude of its activity (in the light of what seems to be a never-ending race to increase the dimensions of vessels- gigantism, and the consequent need to expand the size of the port) requires port activities to develop much-needed precautionary actions to ensure sustainability. It is within this context that we intend to analyse the many different initiatives that are taking place under the concept of Green Port Policy. However, since there is no universally accepted definition of what a Green Port is, the first step is to attempt a definition. According to the European Sea Ports Organization’s (ESPO) 2013 environmental survey, ports list air pollution as their major environmental concern. The article provides some insight into the topic with a description of the primary challenges and the solutions that have been applied in ports. The final paragraph aims to provide some input on the future of port sustainability.
Nella pagina a fianco, in alto: fig. 1, contributo del settore dei trasporti nelle emissioni totali di contaminanti atmosferici in Europa nel 2009 (il settore trasporti include il trasporto stradale, marittimo, aereo e ferroviario); fonte: European Environmental Agency. In basso: fig. 2, Word Cloud su politiche di Green port; fonte: wordle.net.
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1 - Fig. 3, contributo in termini di emissioni di NOx e PM 10 dei porti con traffico containerizzato. Fonte: Bailey, et al., 2004.
2 - Fig. 4, schema semplificato del funzionamento del cold ironing. Fonte: sito ABB.
Alla ricerca della definizione di Green Port Policy Il primo ostacolo che si può incontrare nell’analisi delle politiche ambientali legate alla portualità è la mancanza di una definizione universalmente riconosciuta del termine Green Port Policy. Tale aspetto è evidenziato dalla pluralità di definizioni riscontrate sia nella bibliografia scientifica che nei siti delle diverse Autorità Portuali (AP) consultati. La decade scorsa ha visto nascere il concetto di Green port (Acciaro, 2013; Denktas, et al., 2012). Il concetto nasce dalla necessità dei porti di migliorare la loro performance ambientale come risultato delle pressioni che subiscono da parte delle comunità locali (ad esempio per quanto riguarda l’informazione sul tipo di merce che transita attraverso i porti) e dalla domanda da parte degli utenti del porto di una certa responsabilità ambientale. Allo stesso tempo, gli operatori logistici sono sempre più attenti alla sostenibilità delle catene logistiche e hanno iniziato a richiedere ai fornitori di servizi di trasporto di raccogliere informazioni relative agli indicatori di sostenibilità ambientale, quali il livello delle emissioni di CO2 e di altri gas nocivi. Una cosa è chiara: se i porti vengono concepiti come elementi che possono dare valore alle intere catene logistiche, allora queste strategie “verdi” sono in grado di fornire ai porti stessi elementi di competitività. Le politiche di Green Port vengono, quindi, viste come “la risposta” a tutte le sfide menzionate anche se, come è stato detto, non esiste una definizione ampliamente riconosciuta di cosa implicano 52
esattamente le politiche in questione. Un primo approccio di analisi del contenuto delle politiche ambientali di quelle che sono considerate le best practice del settore (ovvero Los Angeles, Long Beach, Goteborg, Rotterdam e Singapore) si basa sull’utilizzo di un generatore di word cloud. Una word cloud è una rappresentazione visiva delle parole ricorrenti all’interno di testo con la peculiare caratteristica di attribuire un font più grande alle parole che più si ripetono. In questo caso il numero di parole con maggiore frequenza è stato limitato a 30 e la figura 2 evidenzia il risultato che ha consentito di sviluppare la definizione sottostante. A partire da questa nuvola si può provare a definire una politica di Green port come “la strategia di sostenibilità portata avanti da parte di un porto dove l’Autorità Portuale, insieme ai suo clienti/utenti, agisce in modo proattivo e responsabile sviluppando politiche di crescita verde”. Tale politica andrebbe accompagnata a programmi di ricerca su tecnologie ambientali e all’adozione di innovazioni orientate a ridurre gli effetti negativi delle operazioni portuali. Coinvolge la comunità e gli stakeholder in un’ottica di lungo periodo. Lo scopo finale è quello di assicurare uno sviluppo complessivo che anticipi i bisogni delle generazioni future e incentivi lo sviluppo del territorio.
Contaminazione atmosferica nelle aree portuali La European Sea Port Organisation (ESPO), fondata nel 1993, è un’organizzazione di rappresentanza
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delle autorità e associazioni portuali, nonché dei singoli porti, degli Stati membri dell’Unione Europea assicurando che i loro interessi vengano promossi in ambito comunitario. Inoltre, dal 1996 (e successivamente negli anni 2004, 2009 e 2013) l’ESPO promuove alcuni sondaggi nei porti europei con lo scopo di identificare le questioni prioritarie legate alle problematiche ambientali. Durante gli ultimi due sondaggi il tema prioritario è stato quello relativo alla qualità dell’aria che è passato dal sesto posto nel 2004 al primo posto nel 2013. I maggiori contaminanti dell’aria collegati alle attività portuali sono il monossido di carbonio (CO), il particolato (PM), gli ossidi di azoto (NOx), l’ossido di zolfo (SOx). Nel caso della contaminazione dell’aria è molto comune trovarsi di fronte alla contaminazione trans-frontaliera: per esempio, meno del 50% della concentrazione di particolato (PM 2.5) rilevata nel territorio europeo è il risultato di emissioni locali e si può affermare che tutti i paesi dell’Unione sono emittenti e ricettori di questo tipo di contaminazione (EEA, 2013). La figura 3 evidenzia come le diverse fonti di contaminazione in sede portuale siano frutto di tutte le diverse attività svolte, sottolineando anche come tra i differenti contribuenti, oltre alle navi stesse, vi siano le attrezzature per la movimentazione delle merci e i camion utilizzati per il trasporto da e verso l’hinterland. L’International Maritime Organization (IMO), agenzia specializzata delle Nazioni Unite volta a promuovere la cooperazione marittima tra i paesi membri e a garantire la sicurezza della navigazione e la protezione dell’ambiente marino, ha stabilito alcune linee guida in merito alla contami-
nazione atmosferica frutto dell’attività marittima come, ad esempio, quelle riguardanti il contenuto massimo ammissibile di SOx nel carburante. Dal 1/1/2012 la massima concentrazione di zolfo consentita a livello mondiale è di 3.50% m/m (e quindi le navi utilizzano l’Intermediate Fuel Oil - IFO 380). Dal 2020, invece, è previsto che la concentrazione consentita scenda a 0.50% m/m, anche se, al momento, risultano esserci dubbi nella comunità marittima internazionale sulla praticabilità di questa normativa. Per quanto riguarda le Aree a Emissione Controllata relativamente alla concentrazione di zolfo (SECA) identificate dall’IMO, e quindi il Mare del Nord, il Mare Baltico, la maggior parte delle coste nordamericane e i Caraibi, già dal 2005 sono in vigore limitazioni in merito alla concentrazione di SOx che non può superare 1.00% m/m. Dal il 1/1/2015 entrerà in vigore la limitazione di 0.10% m/m nelle aree del Baltico e del Mare del Nord e quindi le navi saranno costrette ad utilizzare il Marine Gas Oil (MGO) che consente di rispettare questa soglia, ma che risulta in media il 40% più costoso dell’IFO 380. Tali limitazioni obbligano le compagnie di navigazione ad operare con almeno due tipi diversi di carburante (più pulito nelle aree a emissioni controllate e nei porti europei, per esempio, e con carburante meno pulito nelle altre zone e in mare aperto). Questa strategia implica maggiori costi per le compagnie di navigazione e necessita di controlli per la gestione effettiva del cambio di carburante. Una soluzione molto diffusa per far fronte al problema delle emissioni contaminanti in porto è rappresentata dall’elettrificazione delle banchine
2 - Navi container nel porto di Cagliari (foto Contship Italia).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 o cold ironing. Com’è noto, normalmente le navi mantengono accesi i motori ausiliari durante la permanenza in porto in modo da produrre l’elettricità necessaria per il funzionamento delle apparecchiature di bordo, un banale esempio potrebbe essere il funzionamento del sistema di aria condizionata. L’adozione del cold ironing consente alle navi di spegnere i motori ausiliari mentre sono attraccate in banchina allacciandosi alla rete elettrica locale. I benefici ambientali del cold ironing sono considerevoli in termini di riduzione delle emissioni di SOx e NOx, possono arrivare fino al 95%. Inoltre, questa tecnologia consente di ridurre il livello di contaminazione acustica promuovendo lo spegnimento totale dei motori. Permangono tuttavia alcuni elementi problematici che rendono la diffusione di questa tecnologia difficoltosa. Il primo di essi è rappresentato dalla necessità di portare avanti grandi investimenti sia nel naviglio che nel porto. Come si può, infatti, vedere in figura 4, in cui si evidenziano i principali componenti necessari per il funzionamento del cold ironing, perché esso funzioni serve un’installazione sulla nave che consenta – mediante cavi e un convettore presenti in banchina – di collegarsi alla stazione a terra che, a sua volta, tramite cavi ad alta tensione consente il collegamento alla stazione centrale di connessione con la rete elettrica nazionale. Un altro problema del cold ironing riguarda lo standard di frequenza elettrica utilizzata. Negli Stati Uniti, per esempio, la frequenza utilizzata è di 60 Hz per tutto il network elettrico, mentre in Europa la frequenza utilizzata è 50 Hz. Questo problema, che porta ad un uso meno efficiente del cold ironing in quanto la disparità di frequenza porta alla perdita di energia disincentivando quindi il suo utilizzo, potrebbe essere risolto tramite la standardizzazione e armonizzazione dei sistemi che renderebbe l’operazione più proficua per tutte le parti coinvolte. Ad oggi questa tecnologia è ampiamente utilizzata nei porti di Los Angeles, Long Beach, Vancouver, Goteborg, Zeebrugge, Anversa, Rotterdam, Seattle, e molti altri. In Italia, invece, viene utilizzato solo a Venezia per i megayacht e secondo il documento dedicato al “Green port Venezia”, ENEL, insieme all’Autorità Portuale, prevede di adottare questa tecnologia per le navi da crociera. Inoltre, diversi porti tra quali Genova, Civitavecchia e La Spezia, stanno realizzando dei progetti per l’adozione del cold ironing nella speranza di migliorare gli indici di contaminazione atmosferica.
Alcune considerazioni finali La crescente consapevolezza ambientale a livello mondiale ha posto nuove sfide per lo sviluppo portuale. Inoltre, gli aspetti collegati al cambiamento climatico dei quali siamo testimoni, quali l’innalzamento del livello del mare e l’innalzamento della frequenza e violenza dei fenomeni climatici estremi, richiedono lo sviluppo di misure di adattamento volte a salvaguardare l’accessibilità dei porti e la sostenibilità delle loro condizioni sociali ed ambientali. Una strategia portuale sostenibile deve essere integrata in una strategia complessiva del sistema del trasporto marittimo nella quale le iniziative “lato mare” siano coordinate con quelle portate avanti “lato terra”. Questo punto è senza dubbio una pre-condizione necessaria 54
per il successo delle politiche verdi nel settore marittimo-portuale. Altro elemento interessante scaturito dall’analisi sia della letteratura che dello studio delle best practice riguarda il bisogno di coordinare le iniziative che partono dall’alto, quindi da istituzioni sovranazionali, nazionali e locali, con quelle che hanno origine dal basso, cioè da parte di gruppi di cittadini o ONG. Risulta chiaro che oggi il settore può avvalersi di diverse tecnologie ormai mature per migliorare le performance ambientali; quello che risulta ancora più evidente dall’analisi dei casi di successo è che per rendere queste iniziative durature è fondamentale avere l’assetto istituzionale appropriato che consenta di realizzare una pianificazione a lungo termine. In tempi recenti le Autorità Portuali hanno capito che lo sviluppo di strategie volte ad una migliore performance ambientale, oltre ad avvicinare il porto ai cittadini migliorando i rapporti con la comunità locale, può diventare fonte di vantaggi competitivi (Adams et al.2009; Wiegmans, et al. 2010). Riproduzione riservata ©
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Bibliografia
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3 - Contship Container Terminal di Ravenna (foto Contship Italia).
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Sostenibilità della logistica urbana, teorie a confronto di Danilo Marigo
Se è vero che a livello europeo il 70% della popolazione vive nelle città (nel 2030 si prevede supererà i 5 miliardi a livello mondiale), dove viene prodotto l’85% del PIL complessivo, e che la tendenza di una polarizzazione demografica sembra caratterizzare anche i prossimi decenni, è pur vero che il problema della sostenibilità ambientale applicato alla distribuzione urbana (il segmento meno efficiente con il maggior consumo specifico di energia primaria, per tonnellata-chilometro) è un fatto ineludibile, non solo per le Aziende della distribuzione, ma anche e soprattutto per i residenti e i city user delle città di oggi e delle smart city di domani. Significative trasformazioni hanno poi interessato i sistemi distributivi primari e, a cascata, quelli secondari. Tra le più rilevanti vi è stato il progressivo aumento della frequenza dei rifornimenti ai punti vendita, nel tentativo di diminuire il capitale immobilizzato in scorte, riducendo allo stesso tempo gli oneri finanziari per le aree di stoccaggio dei prodotti e dedicandole alla vendita, comprimendo così i rischi dell’invenduto. All’aumento di frequenza delle consegne è conseguita una riduzione dei quantitativi di merce trasportata e l’effetto congiunto di queste due tendenze, ha determinato un drastico incremento di traffico, compromettendo ulteriormente la circolazione stradale. In tutto il mondo, ma soprattutto in Europa, dove i Governi, le Amministrazioni locali e l’opinione pubblica sembrano essere più sensibili al problema, sono in corso esperienze “pilota” che cercano (spesso invano) di mitigare gli effetti negativi della distribuzione nelle aree più o meno congestionate delle città. L’Unione Europea dal canto suo, mediante diversi documenti d’indirizzo strategico, ha da tempo tracciato un chiaro percorso di politica climatica ed energetica dei trasporti, volto a promuovere un sistema di trasporti merci e passeggeri efficiente e sostenibile. Su questo solco si spingono il regolamento europeo 443/2009, relativo ai limiti di CO2 dei nuovi veicoli leggeri e la Direttiva 2006/36/CE, sulla tassazione di autoveicoli pesanti per l’uso delle infrastrutture. Che il problema non abbia tutti i suoi antidoti nelle misure di politica dei trasporti sembra essere fuor di dubbio, forse perché parte rilevante del problema è di origine architettonico-urbanistica. Dipende cioè da come le nostre città sono state fatte crescere e si sono sviluppate, indipendentemente dalle necessità di approvvigionamento, o avendo come stella polare una fase di sviluppo della mobilità tutt’altro che simile a quella attuale. Basti solo pensare alla controtendenza in atto, con il ritorno
Titolo Sustainability in urban Autore logistics, comparative theories by Danilo Marigo Fuga. Qui aborers picimin conemo od maio ipis re lam dolo quiam ut rem repe plab ipsaperum anda idignimet poritam vendio quatissiment offi cia velias aut oditi quunt The problem of environmental repro vellatur applied am inverchit exped quat aut sustainability to urban distribution pa cum con coremporro expelitatum is an inescapable fact, not only for quam autat et quuntur, quunt labor si odis distribution companies, but also and reptat perero blabo. Nemporio te digendaera especially for residents and city users nes eat ex estioraerae volum smart laciet unt in today’s cities and tomorrow’s facesto volecup taerspi endundis cities. There have been significant dunt et eos numet, cusant restia cus idunto qui transformations in primary distribution ratquam ra accust earum repraes tiamus. systems, that have trickled down into the Borit hitaque nonThe endissincit exerumq secondary systems. most important uisque aturithe dolescite simpos of themam, include growingcomnis frequency et officiu stiumqu amustiu et ut of deliveries to retail points,rerumque with a et aut archili gentur mostem venistiundi consequent reduction in the quantity voloreicil maximil ipsanih itemos estiandae of merchandise being transported: the verum dolor alibus ne atiore ilisbeen eumare joint outcome of these trends has que volorem eturia nosc,mi, et volorest, sim drastic increase in traffi with a negative enim nobitia temquo id qui quiaspeditat impact on urban circulation. eos disquosthe ut world, rerem and samin iusa consed All around Europe in que licitius, as et volectem ratio test, vellibus, particular, there are pilot programmes apis nonsed quaestemque pediciendam, now in progress that are seeking nullupt inulparum ipictat. to mitigate the negative effects of Faccabo. Ecae volorum etur? distribution in nis theeatent more or less congested Ucientinctus rerum, sitas quiate nullabo areas of the cities. remque ad maUnion volorenda corum, comnim The European long ago set the reicia cus, for optatquam simus climate cum, sinctor guidelines environmental epudaercius, ommolo berume et hilictate and energy policies to promote a system vendipsandem et aborat rem of efficient and sustainable cargo fugiass iminumet expediti doloremSome haruptas and passenger transportation. restor mint es secumet ommo modipsam initial best practices may be derived quis sequi nobissuccessful accus atat mi, fromdoluptiatur a series of particularly voluptati volor aligenimet quaepudant experiences. There are two types of labo. Nam vendae lique vitaeptaquis projects: on the one hand the focus molupie ntibusamus is on reducing pollution byvolore, creating offictio dolupta tisimeniant omnis re dollab ipsunt “urban consolidation centres” as close as quisque di dolorehenis demporepudis possible to the city, on the other hand alibus dipidi qui being que verovit ibuscius, there are standards developed to quidenet, od eribearum aut que dolest encourage virtuous behaviour on the et, odigeni andebit volorum ipisinetthe exera samus part of companies working area of cum nos et fuga. Us, consequia volorem distribution. Cuts in public funding may oluptio voluptatur, howeverquam be expected in theomnimporecus near future. dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis venissitis aut experias rerio blandio. Ribusci mpore, iur sanissequae vendis suntium et quaesto mod quam, ut il es mo voluptae
Nella pagina a fianco, in alto: reticolo urbano (a sinistra) e segnale di zona a traffico limitato (a destra). Al centro: furgone Cityporto. In basso: Cargo Cap (a sinistra) e furgoni in città (a destra).
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1 - Tram di Zurigo.
ai piccoli supermarket di prossimità, in luogo dei centri commerciali localizzati nella periferia. Risaltano in questo quadro alcune felici esperienze, da cui ricavare le prime best practices, anche se vale la pena sottolineare come i contesti spesso molto diversi tra loro, impongano ai decisori un cauto approccio e spingano a privilegiare soluzioni a geometria variabile, per adattabilità ed efficacia. Semplificando, si possono individuare due famiglie di progetti o teorie, ciascuna caratterizzata da un differente approccio al problema: alla prima appartengono quei progetti (SMARTSET1) che puntano a dimostrare, come la riduzione delle emissioni inquinanti sia possibile grazie alla creazione di terminal merci di successo, cosiddetti “centri di consolidamento urbano” (UCC - Urban Consolidation Center)2, più o meno prossimi alla città e, opzionalmente, configurati a rete; della seconda fanno parte invece quelle iniziative volte alla creazione di condizioni normative (ad esempio con la creazione di “LEZ”3) e regolamentari atte a promuovere e favorire il virtuosismo delle aziende coinvolte nella distribuzione. Appartiene al secondo gruppo, l’accordo per la distribuzione urbana delle merci, firmato dal Ministero delle Infrastrutture e dai Comuni di Torino, Milano e Napoli, identificati dallo stesso Ministero come i case history che possono fare da esempio per tutta la realtà italiana. L’accordo, in luogo di opere infrastrutturali, privilegia criteri premianti o penalizzanti, in funzione degli standard emissivi dei veicoli addetti all’attività di distribuzione, stimolando le modalità più efficienti di impiego di detti veicoli, con azioni tese 1 http://www.smartset-project.eu/ 2 “Una struttura logistica situata in una posizione di relativa prossimità all’area da essa servita (sia questa il centro di una città, un’intera città o un sito specifico come un centro commerciale), al quale molte aziende di trasporto consegnano la merce destinata all’area medesima, da cui vengono eseguite le consegne consolidate, in cui possono essere offerti una varietà di servizi logistici e commerciali a valore aggiunto”. BESTUFS. NET. 3 “Low Emission Zone” o “Zona Ambientale”; un’area in cui possono accedere solo i veicoli che rispettano standard di emissioni.
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a promuovere il graduale rinnovo del parco veicolare, il tutto nel rispetto della sostenibilità ambientale e della neutralità tecnologica. Sull’altro fronte invece il progetto SMARTSET, elaborato dall’Unione Europea, cofinanziato dal programma Energia Intelligente per l’Europa (EIE), che coinvolge 14 partner provenienti dall’Italia, dall’Austria, dalla Germania, dalla Svezia e dal Regno Unito, ha l’obiettivo di elaborare delle strategie e di testarle nei singoli Paesi, per contribuire alla riduzione delle emissioni inquinanti, dimostrando, attraverso una sperimentazione pratica nelle città coinvolte, come la riduzione delle emissioni inquinanti sia possibile grazie alla creazione di centri di consolidamento urbani. In maniera trasversale, poi, in tali progetti si rintraccia una maggiore o minore marcata presenza dell’attore pubblico, con una conseguente differente ingerenza in uno specifico settore di mercato, come quello della distribuzione delle merci. Come è stato più sopra anticipato, accanto agli strumenti di regolazione economica e normativa, l’Autorità pubblica può prevedere anche misure di investimento, quali ad esempio infrastrutture logistiche, telematiche, per l’alimentazione alternativa dei mezzi adibiti alla logistica, o infine promuovere azioni atte ad incoraggiare la ricerca e lo sviluppo di innovazione tecnologica. Ricerche recenti hanno evidenziato che una buona parte dei progetti volti a razionalizzare la distribuzione delle merci in città ha previsto l’apertura di una o più piattaforme urbane dotate di apposita architettura telematica e hanno evidenziato altresì come spesso tali infrastrutture siano state finanziate con capitali pubblici. Relativamente al tema della modalità di gestione e della partecipazione pubblica, si possono distinguere tre diversi modelli, spesso non così ben definiti nella realtà: - nel primo modello, dove la presenza dell’attore pubblico è soprattutto di carattere normativo, l’approccio è fondato sulla cooperazione volontaria tra le aziende di trasporto, in base alla quale queste ultime s’impegnano a gestire la distribuzione urbana, a partire da una o più piattaforme. Le municipalità si limitano a svol-
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I casi Londra, un esempio di road pricing - Nelle città europee sono presenti diversi esempi di road pricing. Uno dei primi è quello della città norvegese di Trondheim, già presente dal 1983, dal 1986 anche ad Oslo e Bergen. Un esempio recente è invece il sistema di congestion charging adottato nella città di Londra. L’obiettivo è quello di ridurre la congestione del traffico ed il relativo impatto ambientale. Ai conducenti dei veicoli (anche commerciali) che entrano nella zona soggetta a restrizione, viene richiesto il pagamento di un pedaggio. Il sistema prevede che tutti i guadagni vengano reinvestiti nei trasporti pubblici. Sono previste inoltre esenzioni a tariffe speciali per determinate categorie speciali di autoveicoli (per disabili, ambulanze, ecc.) e per i veicoli alimentati elettricamente o ibridi con basse emissioni. Le targhe dei veicoli vengono riprese da una rete di telecamere mobili e fisse e confrontate con quelle accreditate all’ingresso libero. In caso di mancato pagamento si procede all’emissione della sanzione. Il road pricing londinese ha fatto registrare incoraggianti risultati, con la diminuzione dei flussi di traffico e la diminuzione dei tempi di percorrenza, il tutto lasciando inalterata la vitalità del tessuto commerciale cittadino. Zurigo e Utrecht, due casi di veicoli “ZEV4” - Come noto oggi, la movimentazione urbana delle merci avviene quasi esclusivamente sulle infrastrutture stradali: rare in Europa, come nel resto del mondo, sono per il momento le iniziative che utilizzano le vie d’acqua (canali, fiumi), così come le tramvie e i tratti urbani ferroviari. La città di Zurigo rappresenta un esempio di tale 4 “Zero Emission Vehicle”.
utilizzo, anche se coniugato ad una specifica tipologia merceologica. Nella città elvetica, l’azienda metropolitana che detiene l’appalto della raccolta dei rifiuti utilizza linee tramviarie dedicate, sulle quali, apposite carrozze, trasportano alcune categorie di rifiuti della città. Ci troviamo però di fronte ad un caso che presenta sicuramente dei limiti applicativi, in cui la catena logistica, reverse logistics nella fattispecie, si occupa di una specifica merceologia, seguendo ovviamente logiche ben diverse da quelle dei beni di consumo e in cui l’attore economico coinvolto gode di un status di monopolio assoluto. Un altro esempio è quello della città olandese di Utrecht, dove sono stati introdotti due innovativi metodi di trasporto. Il primo utilizzante la rete di canali presenti nella città ed incentrato sull’uso di barche elettriche “Beer Boat”5; il secondo basato su di un veicolo stradale ad energia solare, denominato “Cargohopper”, formato da una motrice e alcuni piccoli rimorchi per una lunghezza totale di 16 metri ed una larghezza di 1,25 metri che ben si adatta alle strette stradine del centro storico della città.
2 - Schema di Centro di Distribuzione Urbana intermodale.
Copenaghen - Nella capitale danese si è avviata un’esperienza imperniata sul parking pricing (tariffazione della sosta). Tale politica è stata indirizzata a tutti quei mezzi commerciali gravitanti nell’area della città medioevale. Il caso in questione è molto singolare poiché l’adozione dell’ordinanza è seguita ad un processo di graduale e costante adeguamento. Gli obiettivi del gruppo di lavoro, costituito dai rappresentanti degli operatori logistici e del trasporto locale, dalle associazioni di categoria, dall’Università e dalla Municipalità di Copenaghen sono stati fin dall’inizio quelli di aumentare il tasso di riempimento e di ridurre le dimensioni e le emissioni dei mezzi utilizzati dagli operatori per le consegne in città. Da una fase iniziale che ha coinvolto un ridotto 5 “Beer Boat” o “barca della birra”, così denominata in quanto all’inizio il trasporto era dedicato principalmente alla birra e alle bevande (Project Mimosa– Civitas Initiative) www.civitas.eu.
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3 - Traffico in una strada di Londra.
numero di società, partecipanti spontaneamente all’iniziativa, e dove l’ordinanza regolamentava le aree di carico/scarico (LEZ) all’interno dell’area centrale della città, mediante il rilascio di certificati con costi, validità e modalità operative diverse, si è passati ad un modello definitivo, obbligatorio per tutti, e premiale nei confronti di coloro in grado di rispettare i parametri individuati. Di tale esperienza deve essere soprattutto sottolineata la forte partecipazione, garantita all’iniziativa dagli stakeholder che ha permesso di condividerne modi e tempi. Padova - Come ribadito più sopra, la politica di razionalizzazione della distribuzione urbana delle merci, spesso viene supportata da interventi di carattere infrastrutturale. La realizzazione di uno o più UCC è un approccio al tema cui si sono orientate anche alcune città italiane. Tra queste, il caso di Padova è forse il più significativo e idoneo a corroborare alcune conclusioni, a chiusura di questo articolo. Il servizio “Cityporto” di Padova, attivato nel 2004, con un accordo di programma condiviso da diversi attori, tra cui il Comune, la Provincia e l’Interporto di Padova, viene erogato tramite piccoli furgoni a basso impatto ambientale (metano e/o elettrici) e fa perno sull’interporto quale UCC in cui raggruppare le consegne dei diversi operatori del trasporto, destinate alla città. I mezzi in menzione usufruiscono naturalmente di una serie di agevolazioni (non ci sono limitazioni orarie e sono disponibili stalli dedicati per il carico e lo scarico) nella ZTL cittadina. Gli aspetti principali e, se vogliamo, peculiari di questo servizio, sono la partecipazione su base volontaria, la concertazione con gli operatori e soprattutto l’utilizzo di una piattaforma interportuale, grazie alla sua prossimità alla città. 60
Nuove sperimentazioni e conclusioni È impossibile in questa sede rendere conto compiutamente di tutte le più svariate esperienze in corso, che vanno dal ricorso di tricicli elettrici alle avveniristiche navicelle sotterranee del progetto tedesco “CargoCap”. Occorre forse spendere invece qualche parola per ciò che concerne la distribuzione fisica delle merci al consumatore, parte non trascurabile del problema della distribuzione urbana delle merci, generato dal costante incremento registrato negli ultimi anni dall’E-commerce. Per far fronte al fenomeno, in luogo delle consegne a domicilio, hanno preso corpo sistemi di consegna che prevedono un ruolo attivo del destinatario. Prodotti di medie e piccole dimensioni possono essere infatti consegnati in luoghi di consolidamento come magazzini di pick up point o in punti di raccolta più contenuti, quali armadietti o cassette di sicurezza, presso i quali il cliente può recarsi autonomamente per il ritiro. Un esempio di box con questo utilizzo è quello offerto dalle poste tedesche “Packstation”, ma anche i “BentoBox” di Berlino o i “Locker” di TNT Express, funzionanti a Roma, Milano e Torino, seguono lo stesso tipo di filosofia. Pare d’altro canto importante rilevare che quello che può essere percepito unicamente come un problema complesso, da un’altra angolazione, rappresenta, per le città e per le aree metropolitane in generale, un’ importante occasione di recupero di competitività e di sviluppo, di tensione verso un nuovo rinascimento urbanistico e culturale. Lo confermano numerosi studi tra i quali Smart
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4 - Un’altra veduta di Londra col Tamigi.
City Tracker 3Q136, pubblicato da Navigant Research, che propone una panoramica sulle nuove tecnologie applicabili alla mobilità urbana, come quella basata sui sensori posti su macchine, mezzi pubblici, incroci, edifici, o sui network di video sorveglianza o ancora sulle infrastrutture digitali di sostegno alla rete stradale urbana e extraurbana. Secondo lo stesso studio la questione della mobilità urbana diventerà sempre più nevralgica e costituirà una grande possibilità di crescita per quelle aziende che vi si dedicheranno. Un mercato, quello del “trasporto intelligente” stimato al 2020 in oltre 20 miliardi di dollari. In conclusione, traendo spunto dal caso summenzionato di Padova, preme sottolineare come una piattaforma logistica, quale ad esempio un interporto, nel caso in cui abbia una congrua vicinanza all’area urbana, possa giocare un ruolo di forte rilievo. Ciò è ancor più vero se si assume come evidenza che il problema della distribuzione urbana è indissolubilmente legato a quello del traffico commerciale di lunga distanza che converge anch’esso sui centri urbani e sull’ampia periferia. Sono due volti di uno stesso problema (la zona centrale della città non è sicuramente l’unica a essere interessata dall’inquinamento e dalla congestione stradale). L’interporto, data anche la sua natura e il suo scopo, può così integrare e rendere coerenti tra loro sistemi di trasporto sequenziali e agevolare l’inclusione delle città nella rete di trasporto continentale, divenendone ideale punto d’accesso. Si pone dunque prioritario, a livello centrale, coordinare e convergere verso una politica dei trasporti che faccia dell’interporto un elemento attivo di congiunzione delle catene distributive, ancor più 6 “Smart City Tracker 3Q13” – Global Smart City Projects by World Region, Market Segment, Technology, and Application.
alla luce della presenza d’infrastrutture che ne rendono possibile l’impiego dal punto di vista intermodale. A nostro avviso, attraverso un’attenta rilettura dell’architettura dei sistemi ferroviari urbani, alla luce dei nuovi indirizzi di ingegneria dei trasporti che spingono verso un alleggerimento del traffico di testa a favore dei nodi passanti, si potrebbero promuovere iniziative di city logistics di tipo ferroviario, congiungenti punti di transito anche non per forza appartenenti al centro storico della città. La nuova legge quadro sugli interporti7, in corso di approvazione in Parlamento, pare cogliere questo importante aspetto, attribuendo tra i compiti di un interporto, anche quello di promuovere azioni di logistica distributiva urbana. Se poi si considera come sia preponderante nei capitali di queste società la quota detenuta dalla parte pubblica, giustificata anche dalla missione di riordino urbanistico per la quale sono state create queste infrastrutture, ci sembra realistico pensare ad un loro impiego di pari rilevanza dal punto di vista sociale, com’è quello della logistica urbana. Riproduzione riservata ©
7 Proposta di Legge C. 730 “Legge quadro in materia di interporti e di piattaforme logistiche territoriali”, derivante dal testo unificato dei progetti di legge C. 3681 e C. 4296 approvati dalla Camera nella XVI Legislatura (aprile 2012).
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La pianificazione delle misure di politica dei trasporti nella distribuzione urbana delle merci a Roma di Giacomo Lozzi ed Edoardo Marcucci
Il trasporto urbano delle merci (TUM) rappresenta l’ultima catena del ciclo di distribuzione. Concerne prevalentemente le attività necessarie all’approvvigionamento dei punti vendita da cui si riforniscono i consumatori finali. Solo negli ultimi decenni le amministrazioni locali hanno cominciato ad affrontare il tema in maniera decisa. Una mobilità sostenibile passa necessariamente per una regolamentazione del trasporto urbano. Il TUM genera, infatti, fino al 20% del traffico, 30% di occupazione stradale e 50% delle emissioni di gas serra in città (Austrian Mobility Research, 2013). Questo contributo fornisce una panoramica dello stato degli interventi di politica dei trasporti nel settore della distribuzione urbana delle merci a Roma. Si descrivono le misure di city logistics, mirate alla razionalizzazione del sistema distributivo urbano, si delinea il quadro attuale, si propone una rassegna delle misure attuate e si analizzano gli strumenti di pianificazione elaborati in questi ultimi anni dall’Amministrazione capitolina. I Piani presi in esame sono quelli reperibili sul portale dell’Agenzia della Mobilità di Roma Capitale.
La city logistics e le criticità del settore La city logistics è l’insieme delle misure che perseguono l’obiettivo di coordinare in maniera efficace ed efficiente la distribuzione delle merci in città, minimizzandone le esternalità. Rappresenta il processo di ottimizzazione delle attività di logistica e trasporto degli operatori, che tiene conto di congestione, inquinamento e consumi energetici, ma sempre nel quadro di un’economia di mercato (Taniguchi et al., 1999). La logistica urbana mira a individuare quelle misure che favoriscono un equilibrio tra due elementi contrastanti: un sistema di distribuzione merci che risponda in maniera efficace ed efficiente alle richieste del mercato e un livello soddisfacente di sostenibilità ambientale. Un mercato che non tiene conto dei costi sociali che causa non consente di massimizzare il benessere della collettività. D’altra parte, eccessive restrizioni al traffico dei veicoli o pesanti imposte fiscali ostacolano la crescita economica della città1 . Il sistema distributivo delle merci nelle città italiane, più che altrove, è caratterizzato da una fortissima frammentazione: esistono molti operatori professionali che offrono servizi di trasporto in 1 Per un elenco esaustivo delle misure di city logistics, vedi Delle Site P., Filippi F., Nuzzolo A. (2013).
Planning transportation policy measures for the distribution of goods in the city of Rome by Giacomo Lozzi and Edoardo Marcucci This paper provides an overview of the state of transport intervention policy in the field of urban freight distribution in Rome. The essay first describes the present status of city logistics measures aimed at rationalizing the urban distribution system, followed by a review of the measures that have been implemented since the ‘80s and through the most recent interventions. The evolution of the strategy adopted by the Roman Administration is described and commented, as are the plans that were developed. The plans taken into consideration are the ones available for download on the website of the Roman Mobility Agency. The research indicates that the measures recommended by the plans have only been partially adopted. In particular, innovative Intelligent Transport System and infrastructural solutions have frequently been announced but never implemented. Furthermore, the descriptions in the plan never envisage the need for tools that measure the effects of the implemented policies: they are essential for quantifying the results attributable to the plan, and evaluating its effectiveness and efficiency. Notwithstanding these critical remarks, the implementation of pilot projects and the participation in qualified research projects focusing on best practices and shared solutions at the European level are a positive change compared to the past.
Nella pagina a fianco, in alto: automobili parcheggiate su stallo carico-scarico (a sinistra) e furgone in doppia fila (a destra). Al centro: furgone in ZTL al Colosseo. In basso: varco elettronico di una ZTL.
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TRASPORTI & CULTURA N.39 conto terzi, e moltissimi che, invece, operano in conto proprio. C’è un ingente numero di veicoli inquinanti e sovradimensionati rispetto all’effettiva domanda. La forte presenza del conto proprio poi rende più complessa un’azione di coordinamento e riorganizzazione del settore. Un ulteriore problema deriva dalle politiche adottate dai punti vendita. Questi perseguono strategie di just in time (consegne frequenti per disporre costantemente di nuovi prodotti) e “scorte zero” (consegne ridotte per minimizzare i costi di magazzino in centro città) che determinano bassi coefficienti di carico dei veicoli facendo crescere le esternalità negative prodotte (Spinedi, 2008). Anche i ritorni a vuoto rappresentano un rilevante aggravio di costo sia per le aziende di trasporti sia per la collettività. In aggiunta, l’anzianità del parco veicoli causa un innalzamento del livello di inquinamento atmosferico ed acustico. Secondo il Rapporto Ispra del 2013, nel 2010 Roma era al primo posto per le emissioni di polveri (PM10, 2916 t/
1 - Roma, il Tridente, costituito dalle tre vie rettilinee che partono da piazza del Popolo e divergono in direzione sud. Fonte: Wikipedia. 2 - Tabelle 1 e 2: tariffe annuali per accesso autocarri a ZTL, in base alle normative del 2011 e del 2014.
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anno), ossidi di azoto (NOx, 27878 t/anno), monossido di carbonio (CO, 88703 t/anno) e sostanze organiche volatili (COV, 35753 t/anno). Va sottolineato però che questi valori risultano in diminuzione rispetto a quelli rilevati nel 2000. Per tali emissioni la causa principale si individua nel traffico veicolare. A questo proposito, i dati analizzati in valore assoluto per l’anno 2012 mostrano che Roma risulta la città con il maggior numero di auto (1.569.474), e l’unica in cui il trend è in crescita.
L’evoluzione storica della regolazione del traffico merci a Roma A Roma l’Amministrazione comunale ha adottato i primi provvedimenti restrittivi indirizzati alla razionalizzazione del traffico delle merci in città a partire da metà degli anni ‘80. Questi hanno previsto l’introduzione di un permesso gratuito e, successivamente, di una tariffa di 32,70 euro per l’accesso a un’area delimitata del centro città, recepiti poi nel Piano Generale del Traffico Urbano (PGTU) di giugno 1999. Nel 2000 l’amministrazione dispone l’attivazione dei varchi elettronici (sistema IRIDE) per il controllo degli accessi nella Zona a Traffico Limitato (ZTL). Per scoraggiare l’ingresso dei veicoli merci nella ZTL, nel 2006 introduce un consistente aumento delle tariffe, che salgono a 550 euro annui. La tariffa non tiene conto di quanto ogni vettore incida effettivamente su inquinamento e congestione. A differenza di altre misure, quali la congestion charge di Milano e Londra, l’intervento non mira, quindi, ad internalizzare il costo esterno che grava sulla comunità generato da ciascun operatore del trasporto tramite la propria attività, secondo il principio del pay as you use (Di Bartolo, 2012). L’anno successivo la delibera della Giunta Comunale (GC) 44/2007 definisce la ZTL secondo i confini a tutt’oggi vigenti. Essa, infatti, estende la ZTL “merci” includendo un’area aggiuntiva (quartieri Monti, Esquilino e Aventino) rispetto alla ZTL “Centro Storico”, e conferma gli orari di accesso già previsti dalla delibera GC 856/2000 (interdizione nelle fasce 10-14 e 16-20 per peso < 35 q.li e 7-20 per peso > 35 q.li, valida solo per gli operatori in conto proprio). Nel 2008 l’Amministrazione rivede le tariffe per l’accesso secondo una logica premiante per i mezzi più virtuosi sotto il profilo dell’alimentazione. Tre anni dopo la delibera GC 58/2011 autorizza la circolazione a titolo gratuito nella ZTL ai veicoli elettrici. La delibera GC 245/2011 rimodula più marcatamente il costo dei permessi ZTL in funzione delle caratteristiche emissive, con riduzioni per i veicoli a più basso impatto ambientale e aumenti per quelli più inquinanti, sulla base della classe Euro di appartenenza. Introduce il criterio di progressiva e graduale interdizione dei mezzi appartenenti alle classi più inquinanti, che non potranno più acquistare i permessi. I criteri restrittivi per gli orari di accesso, oltre alla disincentivazione del conto proprio, mirano alla penalizzazione dei mezzi inquinanti. Infine, i veicoli vengono sottoposti a un limite di 30 minuti per sostare negli stalli di carico e scarico dedicati. La delibera GC n. 215/2012 stanzia fondi per circa 2.500.000 euro per l’acquisto di nuovi autocarri a basso impatto ambientale, confermando le misure incentivanti già adottate con le precedenti delibere GC n. 276/2001 e 86/2005.
TRASPORTI & CULTURA N.39 La delibera GC 119/2014 del 30 aprile 2014 introduce un consistente aumento delle tariffe per i permessi di accesso: tutti gli importi vengono triplicati, compresi quelli relativi ai mezzi gpl, metano e ibridi. Il provvedimento segna un’inversione di tendenza rispetto a quanto attuato finora, ovvero la progressiva riduzione degli importi per i mezzi ad alimentazione alternativa. Comunque, per questi veicoli la tariffa rimane marcatamente più bassa rispetto a quelli con alimentazione convenzionale. I permessi temporanei aumentano da 20 a 73-102 euro al giorno, a seconda della potenza del motore del mezzo. La delibera giustifica questo aumento con la necessità di “ridurre l’inquinamento e favorire il funzionamento del trasporto pubblico disincentivando progressivamente l’uso dei mezzi privati all’interno delle Zone a Traffico Limitato”. La ratio dell’intervento andrebbe, quindi, individuata esclusivamente nella riduzione dell’inquinamento e della congestione. Ma l’aumento delle tariffe interessa anche i mezzi più virtuosi: questo induce a pensare che il provvedimento sia prevalentemente finalizzato a generare un gettito maggiore nelle casse del Comune.
scarico, anche ad uso non esclusivo dei veicoli merci, e un loro maggior controllo, valutando l’utilizzazione di sistemi tecnologici evoluti. Inoltre, auspica una maggiore flessibilità per le fasce orarie di accesso alla ZTL (da concordare possibilmente con gli operatori) e maggiori agevolazioni per i veicoli a basse o nulle emissioni, con rimodulazione delle tariffe in relazione alle caratteristiche emissive dei motori. Il permesso a pagamento forfettario rappresenta una tassa da pagare a fronte di nessun servizio e indipendente dal numero di ingressi3 . Il Piano propone, quindi, l’elaborazione di una tariffa d’ingresso “articolata e selettiva”, che favorisca i veicoli ecocompatibili, a pieno carico e di dimensioni contenute, negli orari a scarso traffico e ridotta per i contoterzisti. Da un’indagine del 2009 sulla ZTL di Roma (Marcucci et al., 2013), focalizzata sugli operatori del trasporto, è emerso che i maggiori problemi sono legati a: - gli stalli di carico e scarico, che sono insufficienti, non sorvegliati, occupati illegalmente;
Gli strumenti di pianificazione Nel paragrafo precedente abbiamo ripercorso la cronologia degli interventi relativi alla razionalizzazione del TUM nella ZTL adottati dall’Amministrazione. Di seguito si passano in rassegna le misure proposte nel quadro di alcuni strumenti di pianificazione sviluppati negli ultimi anni, e se ne valuta la coerenza rispetto a ciò che è stato effettivamente realizzato. Il primo documento in cui si accenna alla pianificazione e razionalizzazione del TUM a Roma è il PGTU di Roma del 1999 (del Consiglio Comunale - CC - n. 84/1999), che fissa gli obiettivi a lungo termine per la redazione di un Piano Urbano Merci. In particolare si vogliono limitare, specie nelle zone più centrali della città, gli orari del transito e della sosta degli autocarri per lo svolgimento delle operazioni di carico e scarico delle merci. Il Piano tuttavia non ha mai visto la luce. Nel settembre del 2009 il Comune pubblica le linee di indirizzo per un Piano Strategico per la Mobilità Sostenibile (PSMS), approvate sei mesi dopo con delibera GC 36/2010. L’obiettivo del Piano è la revisione e la ridefinizione del sistema delle regole per la mobilità cittadina. Per quanto riguarda la distribuzione urbana delle merci, il Piano effettua una distinzione tra prospettive di breve e di lungo periodo. Queste indicazioni verranno ribadite in seguito dal Comune con Memoria del 24 novembre 2010, che indicherà inoltre le linee di indirizzo per la redazione del Piano Urbano per la circolazione dei veicoli addetti al trasporto merci ed ai servizi tecnologici nell’ambito delle ZTL. Per quanto concerne il breve periodo, sulla base dei risultati di una recente indagine effettuata da ATAC2 , il PSMS sottolinea che le misure fino a quel momento adottate “si sono rivelate insufficienti per garantire il giusto equilibrio tra le esigenze di accessibilità delle merci e quelle di tutela della salute pubblica in relazione all’elevato impatto ambientale generato”. Per ovviare a questa inefficacia, suggerisce l’incremento del numero degli stalli per il carico/ 2 Filippi F., Campagna A., (2008).
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le finestre temporali, con troppe esenzioni che le rendono inefficienti; - la tariffa d’ingresso, troppo alta e che richiede un’articolazione differente sulla base delle categorie dei veicoli. Anche alla luce di questi risultati, il Piano sembra quindi andare nella giusta direzione. Per il lungo periodo, il Piano si pone l’ambizioso obiettivo di creare un “modello di logistica di eccellenza per l’area metropolitana di Roma Capitale”. Si intende partire da un progetto pilota nel Centro Storico, per sperimentare un servizio innovativo finalizzato alla distribuzione delle merci in centro città. Il sistema prevede l’utilizzo di piattaforme
3 - Zona a Traffico Limitato per le merci. Fonte: Agenzia per la mobilità di Roma Capitale.
3 PSMS (2009).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 logistiche (transit point) per il consolidamento dei carichi diretti nel centro cittadino, servito da mezzi eco-compatibili. Queste piattaforme vanno localizzate in aree dismesse di proprietà comunale, che in questo modo vengono riqualificate e valorizzate. Una struttura tecnologica e telematica avanzata fornisce supporto per la razionalizzazione dei flussi. Tali iniziative prevedono l’istituzione di un tavolo di concertazione che coinvolga gli operatori del settore, e la sottoscrizione di un Protocollo d’intesa. Il Piano viene accolto solo in parte: tra gli interventi di breve periodo, trovano attuazione la rimodulazione delle tariffe e la flessibilità degli orari d’accesso per i mezzi più virtuosi (delibera GC 245/2011). L’aumento del numero e il controllo degli stalli rimangono inattuati, pur rappresentando il loro utilizzo illegale una delle maggiori cause di congestione. Inoltre, l’Amministrazione finora non ha preso in considerazione la proposta di abbandonare il criterio forfettario per quanto riguarda la tariffazione dei permessi. L’aumento esponenziale della tariffa (delibera GC 119/2014), al contrario, ha amplificato la percezione del permesso attuale come “tassa” a fronte di nessun servizio applicativo. Gli interventi di lungo periodo invece non hanno ancora preso forma. Nel giugno 2013 Ignazio Marino viene eletto sindaco di Roma. Nel marzo 2014 viene pubblicato il Nuovo PGTU di Roma Capitale. Al paragrafo dedicato alla distribuzione delle merci, nelle ultime due pagine traccia le linee di azione per il nuovo Piano delle Merci. Gli obiettivi sono: - riduzione del numero di veicoli circolanti attraverso l’aggregazione dei soggetti che distribuiscono le merci; - aumento del coefficiente di riempimento; - cambio di alimentazione dei mezzi verso modalità a basso impatto ambientale; - razionalizzazione delle aree di carico/scarico merci. Le misure da realizzare per attuare il Piano delle Merci si riferiscono a: - maggiore controllo (varchi elettronici e ausiliari del traffico) e allargamento dell’area ZTL all’attuale Anello Ferroviario4 ; - avvio di sperimentazioni, con il coinvolgimento degli operatori, finalizzati all’adozione di sistemi innovativi e telematici (sistema di prenotazione degli stalli e di tracciamento dei veicoli), con vantaggi riservati a coloro che aderiscono alle iniziative (corsie preferenziali, stalli esclusivi); - introduzione di criteri legati al tipo di merce trasportata come discriminante per tariffe e orari; - politiche di promozione del van sharing. Inoltre, il PGTU propone la realizzazione di due tipologie di transit point/CDU (Centri di Distribuzione Urbana): il primo a ridosso della ZTL per la distribuzione nelle zone a “emissioni zero”, con rottura di carico e giri di consegna tramite mezzi ecocompatibili dedicati; il secondo situato in zone centrali e semi-centrali, con funzione di piattaforma logistica per gli operatori al fine di ottimizzare i carichi. Gli elementi di novità e di rottura di questo Piano rispetto ai precedenti sono l’estensione della ZTL merci e l’introduzione della categoria merceolo4 L’Anello Ferroviario copre un’area che include la ZTL merci, ma più estesa e con restrizioni più leggere, che non riguardano direttamente i veicoli merci. Per maggiori dettagli: http://www. comune.roma.it/wps/portal/pcr? contentId=NEW382933&jp_ pagecode=newsview.wp&ahew=contentId:jp_pagecode
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gica come criterio di differenziazione delle tariffe. Per quanto riguarda le piattaforme, interventi strutturali e di lungo periodo per antonomasia, si può citare il progetto LOGeco5 , coordinato da Unindustria e nato con l’obiettivo di definire un nuovo modello di business per la logistica urbana romana, che sia economicamente sostenibile: infatti, le sperimentazioni di city logistics solitamente poggiano su sovvenzioni pubbliche, ma non riescono poi a tramutarsi in servizi che si autosostengono. La sperimentazione prevede un transit point, situato a ridosso dell’area del Tridente6 , in cui avviene una rottura di carico, le merci sono consolidate con il supporto di sistemi telematici innovativi e distribuite da mezzi elettrici dedicati. Il progetto potrà risultare utile sia al Comune, che avrà dei dati da rielaborare in fase di ridefinizione della regolazione, sia alle imprese, che avranno a disposizione un modello di business sostenibile da un punto di vista ambientale ed economico testato sul campo. Nel maggio 2013 è partito il progetto SMARTSET7, finanziato dalla Commissione Europea, che si propone di sviluppare esempi di buone pratiche per il TUM. La città di Roma è tra i partner del progetto. Il 12 giugno 2014 è stato pubblicato il documento Regulation experiences: success stories and limitations. Nei paragrafi riguardanti Roma, si parla di un Piano delle merci articolato in più fasi e avviato con la delibera 245/2011. Tuttavia, il testo di tale Piano non è mai stato redatto. Inoltre, le tariffe per l’accesso alla ZTL esposte sono quelle precedenti, nonostante il documento sia stato pubblicato un mese e mezzo dopo l’adozione delle modifiche da parte della Giunta. La partecipazione al progetto, che si concluderà nel 2016, e l’istituzione di tavoli di lavoro con le rappresentanze degli stakeholders rappresentano comunque indizi positivi della volontà dell’amministrazione ad impegnarsi nella ricerca di soluzioni per la mobilità delle merci. I piani di indirizzo sul TUM presi in esame includono un ampio spettro di misure di city logistics. Le misure market based, che mirano a modificare il prezzo di mercato dei servizi logistici urbani, sono state realizzate con l’introduzione delle tariffe d’accesso e gli incentivi per l’acquisto di veicoli eco-compatibili. Quelle di comando e controllo (command & control), che fissano delle regole e si occupano di controllare che vengano osservate, sono state declinate in finestre orarie, divieti di accesso e regolamentazione degli stalli per carico/ scarico. Tuttavia, le più moderne (soluzioni telematiche) e impattanti (interventi infrastrutturali) sono state più volte annunciate, ma mai attuate. L’unica eccezione sembra essere il progetto pilota LOGeco sulle piattaforme logistiche. Si rileva quindi una marcata coerenza tra piani e attuazioni per quanto riguarda le misure di breve periodo e immediatamente applicabili, ma scarsa o nulla coerenza per gli interventi che richiedono una progettualità di lungo periodo e ingenti spese. Il Nuovo PGTU, uscito solo a marzo 2014, avrà bisogno di tempo per essere realizzato. Tuttavia, la delibera 119/2014, adottata solo un mese dopo, che ha triplicato il costo dei permessi, non sembra tenere conto dei criteri di pianificazione espressi nel Piano. 5 http://www.logeco.it/ 6 Con Tridente s’intende il complesso stradale costituito da tre vie rettilinee di Roma (via di Ripetta, via del Corso, via del Babuino) che partono da piazza del Popolo e divergono in direzione sud, assumendo la forma di un tridente. 7 www.smartset-project.eu
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Conclusioni
Di Bartolo C., (2012). AREA C in Milan: from pollution charge to congestion charge (Italy), Eltis.
L’analisi storica delle misure di razionalizzazione del TUM nella città di Roma mette in luce importanti aspetti. L’Amministrazione, nel corso degli ultimi vent’anni, ha mantenuto tendenzialmente la stessa politica strategica. Da un lato, infatti, è intervenuta in maniera decisa sulle tariffe e gli orari per l’accesso alla ZTL merci: ha mantenuto l’impostazione forfettaria della tariffa, ha scoraggiato l’accesso dei mezzi più inquinanti e ha favorito quelli più virtuosi, con misure progressivamente più incisive. Dall’altro, ha caldeggiato interventi strutturali come l’aumento e il controllo degli stalli di carico e scarico e la realizzazione dei transit point, anche se finora non è mai riuscita ad attuarli. Inoltre, ha raramente istituito tavoli di concertazione, che non hanno mai prodotto proposte condivise o protocolli di intesa, né i vari Piani annunciati sono andati oltre la definizione di linee di indirizzo, nonostante la Commissione Europea consideri il Piano Urbano di Mobilità Sostenibile (PUMS) uno strumento di pianificazione essenziale per le grandi città metropolitane (European Commission, 2011). Analizzando i dati a disposizione, si nota che le misure introdotte hanno effettivamente portato ad una rimodulazione del parco veicoli a favore di quelli ecologicamente più virtuosi8; tuttavia, essendo i permessi rilasciati su base forfettaria, è difficile effettuare una stima della frequenza di accesso di questi veicoli, e quindi calcolare i benefici su congestione e riduzione delle emissioni. L’incremento delle tariffe di accesso (delibera 119/2014) appare eccessivo se si considera che tale misura ha interessato anche i mezzi più virtuosi (Euro 6, metano, gpl e ibrido). Ciò può generare negli operatori la percezione ancora più netta che l’Amministrazione introduca una semplice tassa a fronte di nessun servizio, per riprendere una preoccupazione già espressa nel PSMS. La realizzazione di progetti pilota (LOGeco) e la partecipazione a progetti per la ricerca di best practices e soluzioni condivise a livello europeo (SMARTSET) rappresentano un nuovo punto di partenza. Tuttavia, un Piano Merci realistico e coerente ha bisogno anche di valutazioni ex-ante ed ex-post, che coinvolga tutti gli stakeholder interessati, oltre a una concreta azione di monitoraggio delle misure adottate. Gli strumenti di misurazione degli effetti delle politiche vanno introdotti e definiti nel dettaglio già nel quadro dei Piani, perché devono risultare coerenti sin dal principio con le misure programmate, e deve essere chiaro il risultato cui si mira in termini quantitativi. Tuttavia, in nessuno dei Piani presentati ne viene fatta menzione. Si rischia così di intraprendere iniziative scarsamente efficaci o causare conseguenze indesiderate, alle quali è sempre più difficile porre rimedio in un secondo momento.
European Commission (2011) White paper. Roadmap to a Single European Transport Area – Towards a competitive and resource efficient transport system. COM(2011) 144 final.
Riproduzione riservata ©
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Delibere Assemblea Capitolina, Delibera n. 86/2013 Consiglio Comunale, Delibera n. 36/2010 Giunta Capitolina, Delibera n. 119/2014 Giunta Capitolina, Delibera n. 245/2011 Giunta Capitolina, Delibera n. 70/2014 Giunta Capitolina, Delibera n. 86/2014 Giunta Comunale, Delibera n. 3400/1195 Giunta Comunale, Delibera n. 410/2006 Giunta Comunale, Delibera n. 44/2007 Giunta Comunale, Delibera n. 86/2008
8 PGTU (2014).
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Logistica, la sostenibilità ambientale come leva strategica di Danilo Marigo
Da Seattle l’annuncio di Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, è di quelli a effetto: l’“assunzione” di diecimila robot cui è affidato il compito di gestire i magazzini di smistamento del colosso mondiale del commercio elettronico. Non molto lontano l’UPS (anche la United Parcel Service ha sede a Seattle come Amazon), la più grande società di spedizioni al mondo, sta sperimentando la consegna di pacchi con l’utilizzo di droni. Certo qualcosa di importante e, se vogliamo, epocale, di cui i casi precedenti sono premonitori, si sta preannunciando nel campo del trasporto e della logistica. È forse giunto il momento di predisporci a scenari drasticamente diversi rispetto agli archetipi cui si è stati abituati fino ad ora. Ricevere un dvd o uno smartphone, depositati sul giardino di casa da un mini elicottero radio comandato, sarà in un futuro non molto lontano, una consuetudine. Un altro elemento caratterizzante già da alcuni anni questo nuovo corso è la sostenibilità ambientale. Sempre più pregnante nell’organizzazione di una catena logistica è infatti il ruolo attribuito all’ambiente, non più quale “elemento passivo”, geograficamente rilevante per le distanze, per i confini o per i “colli di bottiglia” da superare, bensì componente di valore, leva di “marketing”, nella valutazione della stessa prestazione logistica. Altrettanto importanti, anche se meno eclatanti, rispetto a quelli sopra elencati, sono i casi di aziende della logistica e della distribuzione che, consapevoli della forte criticità economica, sociale e ambientale del trasporto, hanno adottato politiche aziendali in grado di integrare ai classici key indicators della performance logistica, parametri che misurano la compatibilità ambientale della loro supply chain. Per menzionare un caso europeo, si può citare la Monoprix francese che, anni fa, ha lanciato una campagna pubblicitaria con l’obiettivo di illustrare la propria sensibilità verso l’ambiente, dandone seguito coerente con la scelta di modalità di trasporto alternative a quella stradale, come quella fluviale, per l’approvvigionamento dei propri magazzini, giustificando così lead time più lunghi con minori emissioni di CO2. Il Gruppo francese, con l’adozione di un apposito piano d’azione pluriennale, si è prefisso di misurare non solo le emissioni dirette (refrigeranti, gas e petrolio) e l’energia associata (elettricità, teleriscaldamento) per le proprie infrastrutture, ma anche le emissioni indirette, quelle cioè relative al trasporto merci e al trattamento dei rifiuti generati. È utile sottolineare come questa sensibilità per l’ambiente sia sempre più percepita come strategica, non solo dalle aziende, ma anche dai policy makers e da questi tradotta nei diversi
Logistics, environmental sustainability as a strategic lever by Danilo Marigo Ground-breaking transformations are anticipated in the field of transportation and logistics. At the same time, environmental issues are playing an increasingly significant role in the organization of the logistics chain. There are significant cases of logistics and distribution companies that are aware of the critical economic, social and environmental impact of transportation, and have consequently adopted company policies that, in addition to the more traditional key indicators in logistics performance, consider parameters that measure the environmental compatibility of the supply chain. The concept of “sustainable logistics” derives from the more ample concept of “sustainable development” and includes a range of technological advancements, procedures and activities the scope of which is to reduce environmental impact in the many links of the logistics chain, without penalizing quality or profitability. This is a blanket issue that engages various themes: from long-distance transportation to local distribution, from reverse logistics to intermodality, from storage facilities to the technology for freight conditioning.
Nella pagina a fianco: Contship Container Terminal di La Spezia (foto Contship Italia).
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1 - Manifesto della società francese Monoprix.
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livelli normativi, da quello comunitario, a quello nazionale e locale. Il concetto di “logistica sostenibile” deriva da quello più ampio di “sviluppo sostenibile” e comprende un ventaglio di tecnologie, di procedure e di attività che hanno tutte il fine di ridurre l’impatto ambientale dei vari anelli della catena logistica, senza per ciò penalizzarne la qualità e la redditività. Secondo tale approccio, è possibile contemperare nella logistica gli aspetti legati all’efficienza, dal punto di vista della produttività, con quelli ambientali, riducendo gli impatti sull’ambiente. Gli effetti si tradurrebbero in benefici anche sul fronte sociale, inducendo sia la collettività che le amministrazioni locali ad una maggiore accettazione di tutti quegli effetti secondari che le attività arrecherebbero all’ambiente. La “logistica sostenibile” può essere considerata una materia trasversale, in quanto coinvolge diversi temi: dal trasporto sulle lunghe distanze alla distribuzione locale, dalla reverse logistics all’intermodalità, dagli impianti di stoccaggio alle tecnologie per il condizionamento delle merci. Per ciò che attiene al trasporto, gli stessi mezzi, oltre ai camion, aerei, navi, treni fino ad arrivare a quelli per la movimentazione (carrelli elevatori, gru, ecc.), sono al centro di un profondo ripensamento in termini di “ logistica sostenibile”. L’obiettivo di ridurre il loro impatto sull’ambiente circostante può essere raggiunto rendendo più efficienti i motori e/o ricorrendo a fonti energetiche alternative. Nel campo dei veicoli industriali poi, siano essi di grande che di piccola taglia, la riduzione delle emissioni viene indotta da un pacchetto di normative transnazionali o nazionali sempre più cogente, in alcuni casi, con l’incentivazione all’acquisto dei modelli meno inquinanti, anche mediante specifiche misure di road pricing. Oltre alla riduzione delle emissioni, anche l’attenuazione di altri tipi d’impatto, come ad esempio quello acustico, ottenuto con modifiche dei motori (nel caso del rumore degli aerei) o con la modifica degli organi frenanti o dello stesso armamento (nel caso del trasporto ferroviario), sono da enucleare tra i target della logistica sostenibile. Il ritorno alla forza eolica come energia propulsiva è alla base di alcuni interessanti nuovi esperimenti su navi portacontainer. Molto più che un esperimento è invece l’iniziativa di alcuni porti mondiali che, con l’avvio della fase applicativa di ESI (Environmental Ship Index), hanno introdotto un sistema di premialità a favore delle navi con performance ambientali superiori a quelle richieste dagli attuali standard IMO (International Maritime Organization), allo scopo di ridurre l’impatto del trasporto marittimo sull’inquinamento atmosferico sia a livello generale dell’effetto serra, sia a livello delle comunità locali che vivono nelle adiacenze dei porti. Sono peraltro già da tempo realtà i progressi nell’efficienza e nelle basse emissioni, garantiti da motori “intelligenti” (in grado cioè di controllare il consumo di carburante in base alle condizioni del mare e della velocità), che equipaggiano le navi di nuova generazione. Al pari dei mezzi, così le unità di carico e i sistemi d’imballaggio rappresentano un lato non trascurabile del problema. Eliminarli è forse impossibile, ma si sta lavorando alacremente per ridurne l’impatto ambientale, attraverso l’uso di materiali e processi produttivi che richiedano minor utilizzo di materie prime e d’energia e che siano facilmente riciclabili. Quello della forma e della dimensione delle unità
di carico, è un aspetto non secondario, in quanto consente di sfruttare al meglio lo spazio disponibile nei magazzini e sui mezzi, nonché ridurre i tempi di movimentazione, di carico e di scarico sui terminali. A tal proposito, il caso dell’IKEA è illuminante su come il design degli stessi mobili possa essere indissolubilmente legato alle dimensioni di un container. Oltre a quanto detto sui mezzi, occorre ricordare che anche le infrastrutture sono in grado di giocare un ruolo prioritario sul fronte ambientale, a cominciare dalla rivisitazione profonda di quei processi che ne governano la fattibilità e ne verificano la necessità. In Europa sono diverse le piattaforme e i parchi logistici che si presentano come green platform. Sono realtà spesso gestite da multinazionali, i cui clienti, soprattutto grandi imprese, adottando la certificazione ambientale, riconoscendo nella sostenibilità ambientale di queste infrastrutture un notevole valore aggiunto. La “sostenibilità” delle infrastrutture non si limita alle metodologie costruttive e ai materiali impiegati per la realizzazione, ma si traduce anche e soprattutto nello sforzo di aumentarne l’accessibilità a più modalità, alternative a quella su gomma (ferrovia, e vie navigabili, quando possibile), posizionandole su assi strategici primari. Vale a dire amplificarne quella “vocazione” intermodale e di snodo tra il trasporto di lunga percorrenza e la distribuzione dell’ultimo miglio, che fa delle piattaforme logistiche un asset indispensabile allo sviluppo del territorio circostante. A queste infrastrutture “nodali” vanno affiancate efficienti infrastrutture di connessione, come linee ferroviarie (vie navigabili, quando possibile!), strade e autostrade (in Germania si stanno testando, con il progetto “ENUBA2”, le “autostrade elettriche” per mezzi pesanti a trazione ibrida diesel-elettrica). Queste, con la dotazione di opportuni ITS (Intelligent Transport System), dovrebbero essere sempre più in grado di dialogare con i veicoli,
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2 e 3 - Operazioni nel Contship Container Terminal di Ravenna (foto Contship Italia).
generando flussi di traffico sempre più fluidi ed evitando rallentamenti e congestioni, lungo il tragitto e nei terminali di arrivo e partenza. Questi appena citati sono solo alcuni esempi di come si sta lavorando per ridurre l’impatto ambientale dei vari segmenti della logistica. Un approccio di tipo “olistico” al problema ci suggerisce di concludere che la vera sostenibilità può essere traguardata però solo attraverso un intelligente coordinamento delle varie soluzioni sopra accen-
nate e ricercata, anche e soprattutto, a monte della catena logistica, ossia nella stessa fase di produzione delle merci. La loro progettazione deve fin da subito essere ispirata a facilitarne il trasporto e lo smaltimento a fine vita. Sotto questo profilo, le tecnologie apriranno scenari ancora più “compatibili” e forse ancora più importanti degli stessi robot di Jeff Bezos. Riproduzione riservata ©
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Riflessioni sull’attività delle aziende logistiche nazionali di Claudio Ferrari, Andrea Migliardi e Alessio Tei
Il Council of Logistic Management nel 1998 ha indicato la logistica come quell’insieme eterogeneo di attività, poste sia al di fuori che all’interno delle singole aziende, funzionalmente collegato alla gestione dei flussi di merce e delle informazioni lungo tutta la catena produttiva. Più semplicemente: la logistica sta alla produzione come il sistema cardiovascolare sta al corpo umano. Essa garantisce che ciò che si produce corrisponda esattamente a ciò che è richiesto dai consumatori e che la produzione avvenga in tempi e con modalità accettabili. Tutti i beni che quotidianamente consumiamo si avvalgono dei servizi logistici e il processo di globalizzazione dell’economia, spinto dalla continua riduzione dei costi unitari di trasporto, ha esteso l’importanza di tale comparto al punto che molta parte della competitività industriale di un paese si basa sulla possibilità di fruire di un sistema logistico affidabile (nei tempi di resa) ed efficiente (nei costi di realizzazione). Proprio sul sistema logistico italiano – la rete dei servizi che si sviluppano sulla rete delle infrastrutture – da anni si denuncia il ritardo del mercato nazionale caratterizzato dalla piccola dimensione degli attori coinvolti rispetto ad altri mercati europei. Per dirla con le parole usate da Beniamino Pagliaro (2013) in un recente lavoro: “Senza rete il Paese è cresciuto finché ha potuto”. La recente e lunga crisi economica ha messo a nudo le criticità che esistevano ma che erano in parte mascherate dalla crescita economica, ancorché rallentata; oggi: “senza rete, è dura”. Le stime effettuate annualmente da Confetra indicano come la logistica in Italia valga circa il 7% del PIL nazionale (2011). Per un’ampia descrizione del comparto, nonché per alcune stime della rilevanza del valore aggiunto da esso creato si fa rinvio a Beretta et al. (2011). Dato il ruolo della logistica come “collante” tra le varie attività che compongono la supply chain, il valore creato dipende anche dalla capacità di offrire soluzioni atte a migliorare l’efficienza all’interno dell’intera catena produttiva. Dalle premesse appena fatte si evince come possa essere importante valutare l’andamento dell’efficienza delle imprese che compongono il settore. Per effettuare tale analisi sulle aziende nazionali, il presente lavoro utilizza i dati di bilancio pubblicati nella banca dati Cebil-Cerved. In particolare, per il periodo 2006-2010 si sono analizzate le imprese attive nei servizi relativi alla distribuzione delle merci (codice ATECO-2007 n. 522922 - ISTAT, 2009). L’analisi è stata effettuata su un campione chiuso di imprese ovvero su quelle aziende che hanno
Considerations on the work of national logistics companies by Claudio Ferrari, Andrea Migliardi and Alessio Tei Logistics are a key factor in the economic growth and competitiveness of companies localised in a region. Normally, logistic services directly impact the efficiency of the related industries, furthering the seamless operation of the entire supply chain. This article briefly studies the efficiency of a sample of Italian logistics providers during the 2006-2010 period, with a view to discussing the current competitive level of the logistics sector and anticipating its possible development. The analysis is based on a non-parametric technique (Data Envelopment Analysis) relying on data collected through the CEBIL-CERVED database. As described in the paper, the main results reveal a downturn in overall efficiency – in particular in the South of Italy – and a better performance of the larger firms in comparison to small-to-medium companies. The analysis of returns to scale underlines how an increase in the size of the company positively impacts on its performance.
Nella pagina a fianco: Genova, vista di gru tradizionale all’interno del Porto Antico di Genova (Italia).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 sempre operato in tutti gli anni del quinquennio di riferimento, al fine di verificare l’evoluzione del livello di efficienza nel paese e nei singoli comparti territoriali, effettuando confronti intertemporali e fra aree. Tale scelta, unica a permettere di effettuare i citati confronti tra i diversi anni, sconta tuttavia l’effetto negativo di tralasciare di considerare il tasso di “mortalità” e “natalità” di aziende del settore nel periodo considerato. In totale sono state quindi analizzate 165 imprese distribuite in maniera differente sul territorio nazionale (fig. 1).
1 - Fig. 1, distribuzione territoriale del campione. Fonte: elaborazione propria su dati Cebil-Cerved.
Il fatturato delle aziende del campione è per lo più concentrato nel Nord Ovest, anche a causa di una maggiore presenza di grandi imprese in questa macroarea, con un valore medio del fatturato quasi doppio rispetto alla media nazionale. Abbiamo inoltre suddiviso il campione in due sottogruppi rappresentanti le piccole-medie imprese (PMI) e le grandi aziende, considerando come riferimento una soglia di fatturato pari a 2,5 milioni di euro e censendo in questo modo 94 aziende di dimensioni relativamente contenute e 71 imprese di maggiori dimensioni. Per distinguere le aziende appartenenti ai due raggruppamenti abbiamo confrontato i ricavi medi di ciascuna impresa nel quinquennio con il valore utilizzato come soglia. Andando a studiare la distribuzione del fatturato delle imprese logistiche per area geografica è possibile notare come nel Nord Ovest si concentrino le aziende più grandi mentre al Centro vi è la maggiore incidenza di imprese di piccole dimensioni. Per quanto riguarda la forma societaria (fig. 2), oltre il 60 per cento del campione è costituito da società a responsabilità limitata, mentre le società consortili, le cooperative e le società per azioni sono rispettivamente circa il 14, il 13 e l’11 per cento del totale.
2 - Fig. 2, distribuzione per tipologia societaria. Fonte: Elaborazione propria su dati Cebil-Cerved.
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L’analisi La Data Envelopment Analysis (DEA), nella sua formulazione più semplice, è spesso utilizzata nella letteratura scientifica (e.g. Ferrari et al., 2013; Min and Joo, 2009) perché consente di individuare i possibili punti di debolezza in termini di non ottimale utilizzo di input per ottenere determinati output, senza che si debba fare alcuna assunzione sulla funzione di produzione delle imprese. Nella nostra analisi utilizziamo la DEA nella formulazione input-oriented per individuare il massimo prodotto ottenibile – l’output – dai fattori produttivi impiegati attualmente – gli input –, determinando così la frontiera di produzione ottimale per le aziende del settore. Nel nostro caso l’efficienza è definita in senso economico e, quindi, in riferimento a costi e ricavi. I livelli di efficienza – calcolati tramite un’operazione di ottimizzazione lineare – dipendono dalla distanza delle imprese (definite decision making unit - DMU) da questa frontiera: sono considerate efficienti le aziende che operano sulla frontiera; abbiamo seguito l’approccio di Banker et al. (1984), che analizza l’evoluzione del comparto nell’ipotesi di rendimenti di scala variabili. Sulla scorta della letteratura prevalente, abbiamo selezionato quattro input e due output: le Immobilizzazioni (I), gli Acquisti Netti (AN), i Costi per Servizi (CS) e il Costo del Lavoro (CL) quali input; i Ricavi (R) e il Valore Aggiunto (VA) come output. In tabella 1 sono mostrate alcune statistiche riassuntive.
I risultati I risultati qui presentati si rifanno al campione di 165 aziende logistiche italiane sempre presenti nel quinquennio d’analisi. Poiché l’analisi DEA effettua un’ottimizzazione partendo dal mix di input delle imprese presenti nel campione, le analisi sono state effettuate per singoli anni. L’utilizzo del campione chiuso permette di analizzare l’evoluzione nel tempo dello stesso gruppo di aziende, presenti ogni anno e, quindi, di meglio seguire l’andamento del settore nel tempo. Nel corso dell’ultimo quinquennio vi è stata una riduzione dell’efficienza media delle imprese, sia pure relativamente contenuta (cfr. tab. 2). Tale riduzione è stata avvertita in modo particolare tra il 2008 e il 2009, anni in cui si è avuto il picco negativo dovuto agli effetti della crisi economica, mentre nell’anno successivo si è registrata una ripresa. Nella media dell’intero periodo il numero delle imprese efficienti è stato pari a circa il 35 per cento; tuttavia, nel biennio 2008-2009 vi è stata una diminuzione al 32 per cento (da 60 a 53 imprese efficienti fra il 2006 e il 2010). Il campione è stato inoltre suddiviso per area geografica, per classi dimensionali di fatturato e per forma giuridica. Il Nord Ovest è l’area che ha registrato la riduzione più intensa di efficienza, terminando con un indice medio inferiore alla media nazionale. Il Centro ha ottenuto sempre un valore pari o superiore alla media, risultando l’area in cui risiedono le aziende più efficienti. Il Mezzogiorno registra un valore inferiore alla media nazionale lungo tutto il periodo, tranne nell’ultimo anno, fatto che potrebbe indicare un migliore adattamento al periodo di crisi. La tabella 3 sottolinea l’andamento nel tempo dell’efficienza, articolata per forma giuridica delle
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Conclusioni La logistica ha recentemente attirato l’attenzione dei policy maker e l’interesse crescente da parte degli studi accademici perché riveste un ruolo particolare per accrescere la competitività del sistema manifatturiero del Paese. In questo lavoro abbiamo analizzato l’efficienza delle imprese che effettuano distribuzione di merci presenti negli archivi Cebil-Cerved nel periodo 2006-2010. A tal fine abbiamo utilizzato il metodo Data Envelopment Analysis applicato ad un campione chiuso di imprese aventi dati di bilancio disponibili per tutto il periodo di analisi, riuscendo per questa via, non
3 - Tab. 1, statistiche descrittive di input e output. Fonte: Elaborazioni su dati Cebil-Cerved. Dati medi 2006-2010; valori in migliaia di euro. 4 - Gru per container (foto di Jan Hoffmann). 5 - Tab. 2, indici medi di efficienza complessiva. Elaborazioni su dati Cebil-Cerved. 6 - Tab. 3, indici medi di efficienza per forma giuridica. Fonte: Elaborazioni su dati Cebil-Cerved.
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7 - Fig. 3, risultati dell’analisi DEA sull’intero campione chiuso. Fonte: Elaborazioni su dati Cebil-Cerved.
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solo a disporre dei livelli di efficienza complessivi e riferiti alle singole unità decisionali, ma anche ad esaminare le tendenze per il complesso del paese, per i comparti territoriali, per tipo di società e per dimensioni aziendali. I risultati mostrano che nel quinquennio vi è stata una riduzione, sia pure lieve, del livello di efficienza riconducibile alla crisi che negli ultimi periodi ha determinato un calo della domanda. Nella media del periodo, il Nord Ovest, che è la macroarea più rappresentativa di questa industria, ha mostrato un andamento dell’efficienza pressoché allineato con il dato nazionale, mentre il Mezzogiorno ha registrato un leggero gap di efficienza. Le società cooperative sono quelle che hanno registrato performance migliori fra i diversi tipi di società, disponendo di una maggiore flessibilità. Dal punto di vista dimensionale, le imprese minori sono quelle che hanno risentito maggiormente della crisi, avendo registrato un notevole peggioramento dell’efficienza nel 2009; esse hanno tut-
tavia mostrato reattività per il livello di efficienza nell’anno successivo. L’analisi relativa ai rendimenti di scala, mostra che le aziende di minori dimensioni presentano, nella media del quinquennio, rendimenti di scala crescenti; di contro, quelle di maggiori dimensioni, nella larga prevalenza, registrano rendimenti di scala decrescenti (segnatamente negli anni più recenti, a segnalare che la crisi ha impattato maggiormente sulle imprese con la struttura dei costi comparativamente più rigida). I risultati preliminari danno conto di un’industria che non sembra presentare rilevanti livelli di inefficienza, pur avendo registrato i contraccolpi della crisi economica. Le dinamiche esposte si pongono in linea con i risultati di alcuni studi che hanno utilizzato la DEA riferita al comparto della logistica e dei trasporti; esse trovano conferma, inoltre, anche considerando alcune ipotesi alternative, come ad esempio, l’utilizzo di un solo output corrispondente ai rica-
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8 - Veduta del Contship Container Terminal di Gioia Tauro (foto Contship Italia).
vi nella DEA o imponendo variazioni nella soglia considerata per suddividere il campione per classe dimensionale. Riproduzione riservata © Il lavoro riflette le opinioni degli autori e non impegna la responsabilità degli Istituti di appartenenza
Bibliografia
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Beretta E., Dalle Vacche A., Migliardi A. (2011). “Competitività ed efficienza della supply-chain: un’indagine sui nodi della logistica in Italia”, in Banca d’Italia, Le infrastrutture in Italia: dotazione, programmazione, realizzazione, Seminari e convegni, n. 7, aprile 2011. Confetra (2011). La Logistica Italiana, Rapporto della 66° Assemblea Annuale, Roma. Council of Logistic Management (1998). http://www.clm1.org/ mission.html.
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Logistica: fenomeni in atto e scenari di trasformazione nel territorio del distretto ceramico di Sassuolo di Cristiana Mattioli
L’industria italiana di piastrelle di ceramica concentra l’80% della sua produzione su un territorio intercomunale di circa 350 km² conosciuto come “il distretto ceramico di Sassuolo”. Secondo i dati di Confindustria Ceramica relativi al 2011, nelle province di Modena e Reggio Emilia erano presenti, infatti, la metà delle industrie ceramiche italiane (82), con un’occupazione, in costante calo, di 15.762 addetti. Sviluppatosi già all’inizio del XX secolo e poi consolidatosi negli anni del boom economico, il distretto1 di Sassuolo-Scandiano si è profondamente trasformato negli ultimi decenni per effetto prima della verticalizzazione del sistema locale intorno a una decina di grandi gruppi aziendali, poi dell’internazionalizzazione volta a conquistare nuovi mercati (market-seeking2 ) e, infine, del forte ridimensionamento della produzione nazionale3. Ciononostante, grazie alla continua innovazione di prodotto e processo e all’elevata integrazione fra settori complementari localizzati nel distretto, l’industria italiana ha raggiunto una posizione di leadership mondiale per quanto riguarda varietà, sostenibilità, qualità estetica e tecnologica delle piastrelle ceramiche per pavimenti e rivestimenti. La complessità e articolazione del sistema locale, unite alla sua forte propensione all’export (circa il 75% della produzione è destinato a mercati extranazionali), assegnano un ruolo fondamentale alla movimentazione delle merci che non si limita al trasporto del prodotto finito, ma riguarda anche le fasi di lavorazione intermedia e l’approvvigionamento delle materie prime. Il contributo utilizza, quindi, la logistica come “lente per indagare i modi e le forme in cui il territorio fisico dell’industrializzazione diffusa e dei distretti si sta modificando”4 ; in particolare, partendo dalla letteratura esistente sul tema5 e dai fenomeni os1 Becattini G. (1987, a cura di), Mercato e forze locali. Il distretto industriale, Il Mulino, Bologna; Garofoli G. (1983), Industrializzazione diffusa in Lombardia, Franco Angeli, Milano 2 Questa modalità di internazionalizzazione rientra nella classificazione di Markusen et al. (1996) che identificano altri tre tipi di investimento: i) resource seeking; ii) cost saving; iii) strategic asset seeking. Si veda: Markusen J.R., Konan D.E., Venables A.J. and Zhang K.H. (1996), “A Unified Treatment of Horizontal Direct Investment, Vertical Direct Investment and the Pattern of Trade in Goods and Services”, Working Paper 5696, National Bureau of Economic Research, Cambridge. 3 Se nel 2001 la produzione italiana ha toccato il record di 600.000.000 m² di piastrelle, oggi si attesta solo sui 360.000.000 mq (Confindustria Ceramica, 2014). 4 Pertoldi M. (2012), Produzione territorio: tra nuove domande di infrastrutture e domande di infrastrutture, Iuav Venezia, Grafiche Veneziane, Venezia, p. 9 5 Lonardi G. (2014), “Piastrelle. Sassuolo torna a crescere perché è diventato un hub europeo”, in La Repubblica, 17 febbraio; Tomassone P. (2013), “Sassuolo rafforza il ruolo di hub interna-
Logistics: current phenomena and scenarios for transformation in Sassuolo, the Italian ceramic cluster by Cristiana Mattioli The paper studies the process of transformation undergone by the industrial cluster in Sassuolo, where the increased relevance of the logistic function may enable the creation of an international hub specialized in the construction sector. The articulation and internationalization of the production require a complex and innovative logistic system, which involves several actors and resources. The local logistic service providers play a crucial role in this system as the firms delegate the outbound transport directly to clients. In addition to the transport service, they also handle the pick up and storage of products, for foreign auto carriers and factories as well. As a matter of fact, the import of foreign products is increasing due to international industrial trade and the purchase of low cost products. On one hand, foreign companies localize their branches in the district, taking advantage of the high and frequent volumes of goods moved by local LSP. On the other hand, in order to reduce company costs, firms are increasingly working to manage their stocks efficiently, which requires investments in qualified and advanced spaces. The transformations studied here reveal substantial volumes of internal movements, while existing means of transportation, such as trains, seem to be underused. For these reasons, in considering the future development of logistics, the paper proposes to improve the local network and to facilitate strategies for a rational and collaborative management of inbound and outbound flows.
Nella pagina a fianco, in alto: il centro spedizioni di Casalgrande Padana, estensione dell’intervento Old House realizzato dal giapponese Kengo Kuma. L’architetto ha qualificato il nuovo accesso dell’azienda con la realizzazione del monumento Ceramic Cloud e il recupero di un edificio rurale a fini espositivi. In basso: pallet di piastrelle pronti per la spedizione overseas, stoccati nel magazzino orizzontale di un’impresa ceramica.
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1 - Il treno è utilizzato per movimentare il 21% dei flussi inbound e outbound. Lo scalo di Dinazzano (RE) riceve ogni giorno convogli carichi di argille e feldspati provenienti prevalentemente da Germania, Ucraina e Turchia (via porto di Ravenna).
servati direttamente sul campo, intende riflettere sul possibile potenziamento del ruolo del distretto ceramico come hub logistico a servizio dei mercati europei, ipotizzando alcune prime riflessioni circa la riorganizzazione del territorio.
La logistica di distretto e l’incremento dei flussi intra-distrettuali Specializzati per aree geografiche di esportazione, gli operatori logistici locali si occupano oggi del ritiro, recapito e deposito del prodotto finito, consolidando la merce presso i propri magazzini per conto tanto di autotrasportatori stranieri, quanto di aziende produttrici esterne al distretto. Sempre più importante e in crescita, infatti, è l’utilizzo del distretto di Sassuolo come piattaforma logistica per il transito di prodotti edili verso i mercati continentali. Questa trasformazione “informale” da distretto industriale a hub logistico, che difficilmente viene catturata dalle statistiche ufficiali (nel 2009 la Regione Emilia-Romagna stimava un’importazione di prodotto finito pari a 490.000 tonnellate/anno, in crescita), spiega anche la tenuta del distretto ceramico emiliano e le sue elevate quote di export, all’interno delle quali ricadono anche i prodotti finiti importati e riesportati. Nonostante l’introduzione di misure di salvaguardia dalla concorrenza straniera, il distretto ceramico di Sassuolo rappresenta ormai un nodo dell’industria ceramica mondiale, il cui elevato know-how nell’attività manifatturiera e logistica è sfruttato oggi dai produttori stranieri in diversi modi. Da un lato, alcune industrie turche, spagnole e cinesi hanno già deciso di localizzare le proprie filiali distributive sul territorio al fine di sfruttare i servizi e le economie di scala offerte dalla logistica distrettuale6 e prefigurando, così, un possibile zionale”, in Il Sole 24 Ore, 17 settembre. 6 Serri A. (2014), “La logistica del distretto ceramico”, in Mode-
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riuso degli immobili industriali sfitti. Rispetto ad altre esperienze distrettuali italiane, caratterizzate da una maggiore delocalizzazione produttiva7 , la permanenza di importanti fabbriche nel distretto di Sassuolo ha consentito, infatti, alle ditte di autotrasporto di restare sul territorio, consolidarsi e creare efficaci barriere all’entrata nei confronti di concorrenti stranieri. Dall’altro lato, le PMI italiane sono diventate subcontractor di alcune aziende estere per quanto riguarda le lavorazioni intermedie, generando consistenti flussi in entrata e in uscita. Ulteriori flussi intra ed extra-locali sono legati all’attività delle commerciali ceramiche che, per risparmiare sul prezzo, acquistano semi-lavorati o prodotti finiti low cost dall’estero, li personalizzano e commercializzano con proprio marchio8. L’importazione di piastrelle prodotte nei Paesi emergenti sembra “completare” l’offerta italiana che, concentratasi su R&S, innovazione e produzione d’eccellenza, ha ceduto quote importanti delle fasce medio-basse del mercato ai competitor. Ai citati flussi intra-distrettuali, che nel 2009 erano di circa 8.000.000 tonn/anno, si aggiungono, infine, i navettaggi intercompany che consentono di movimentare i prodotti finiti fra i diversi stabilimenti dei maggiori gruppi aziendali. Il distretto industriale si configura, quindi, come un vero e proprio “network di imprese” dove la logistica gioca il ruolo di connettore fra le diverse fasi del processo produttivo, non più solo a livello locale ma all’interno di una nuova rete internazionale.
na Economica, n. 1, gennaio-febbraio, pp. 18-19. 7 Il processo di delocalizzazione produttiva, infatti, spesso trascina con sé l’attività logistica che a sua volta si internazionalizza per “seguire” i clienti e rispondere alle loro esigenze. Per i casi di Montebelluna (distretto dello sportsystem) e di Manzano (distretto della sedia), si veda Pertoldi M. (2010), Frontiera Nordest. Biografie e traiettorie di un’economia in movimento, Tesi di Dottorato in Urbanistica, IUAV, Venezia. 8 Martinelli E. (2006), “Le imprese di commercializzazione di piastrelle di ceramica” in T. Bursi (a cura di), I settori correlati all’industria ceramica: tra dipendenza e autonomia, Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, pp. 291-318.
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La logistica d’impresa: riorganizzazione e qualificazione degli spazi industriali La logistica ceramica è, quindi, un sistema complesso e articolato indispensabile per la produzione industriale, ma anche altamente problematico per il territorio dati gli alti volumi di traffico merci che si riversano sulle strade locali (3.700 tir al giorno9). Nonostante il downgrading della produzione italiana, infatti, la frammentazione dei lotti alimenta i flussi di traffico, imponendo un’attenta gestione delle operazioni di groupage. Poiché tradizionalmente le piccole e medie imprese dei distretti italiani hanno mostrato poco interesse verso la distribuzione del prodotto finito, applicando modalità di resa del tipo “franco fabbrica”10, la gestione dell’attività logistica outbound è stata affidata completamente alle aziende locali di autotrasporto che si sono specializzate e terziarizzate, diventando veri e propri operatori logistici di filiera11. Ciononostante, la logistica è un’attività che coinvolge in misura crescente le industrie ceramiche, se si considera che la rigidità del sistema produttivo e 9 Lonardi G. (2014), “Piastrelle. Sassuolo torna a crescere perché è diventato un hub europeo”, in La Repubblica, 17 febbraio. In fonti bibliografiche precedenti, la quota giornaliera di veicoli in transito era maggiore (4.000/5.000 camion). 10 In riferimento ai distretti industriali, Bologna afferma che la “subalternità logistica” delle PMI è l’effetto della loro eccellenza produttiva. Le imprese hanno preferito, infatti, concentrarsi sul loro core business piuttosto che investire in servizi logistici che avrebbero gravato sul prezzo finale al cliente, facendo perdere margini di competitività. Bologna S. (1998), “Trasporti e logistica come fattori di competitività di una regione”, in P. Perulli (a cura di), Neoregionalismo. L’economia-arcipelago, Bollati Boringhieri, Torino, pp. 152-186. Sul tema si vedano anche: Elia S., Maggi E., and Mariotti I. (2011), “Does the transport industry gain from manufacturing internationalization? An empirical investigation on the Italian regions”, in European Transport-Trasporti Europei, n. 49, pp. 1-22; Corò G., Volpe M. (2006), “Delocalizzazione internazionale e domanda di trasporto nei sistemi produttivi locali del Made in Italy”, in G. Polidori, E. Musso and E. Marcucci (a cura di), I trasporti e l’Europa. Politiche, infrastrutture, concorrenza, Franco Angeli, Milano, pp. 388-398. 11Sartor P. (2010), “Un settore tuttora a corto di logistica”, in Euromerci, n. 4, aprile, pp. 10-14
la distribuzione sul “venduto” hanno fatto lievitare le quantità di prodotto finito stoccato internamente. Da un punto di vista spaziale, quindi, le imprese sono costrette a dotarsi di magazzini più capienti ed efficienti che occupano una superficie enorme di suolo, pari a circa il 40% dello spazio aziendale e, complessivamente, a 4.500.000 m², secondo le stime del Piano Strategico per l’area urbana del distretto ceramico (2009). I magazzini aziendali sono perlopiù grandi piazzali asfaltati dove la merce è stoccata all’aperto, su più livelli. In conseguenza all’aumentato valore di alcuni prodotti, ad essi si sono aggiunte recentemente anche nuove tipologie di magazzini coperti, capannoni realizzati exnovo o esito di processi di rifunzionalizzazione e recupero di spazi ex-produttivi. La ricerca sul campo ha evidenziato come sia proprio la funzione logistica a orientare le strategie di concentrazione e razionalizzazione degli impianti industriali, soprattutto dei grandi gruppi aziendali che necessitano di una logistica sofisticata e integrata e che, allo stesso tempo, dispongono di risorse da investire sugli spazi. La logistica non è più un’attività puramente strumentale alla produzione, ma si configura come una funzione ad alto valore aggiunto, da “esibire” e utilizzare anche per qualificare l’immagine aziendale. In territorio reggiano, Casalgrande Padana ha riorganizzato interamente i propri piazzali di stoccaggio contestualmente alla realizzazione della limitrofa strada Pedemontana. In particolare, la creazione di un accesso diretto al nuovo magazzino è stata anche l’occasione per qualificare il territorio con la costruzione di una nuova “porta” per l’intero distretto industriale, opera del noto architetto giapponese Kengo Kuma. Contemporaneamente, l’azienda ha deciso di recuperare un edificio rurale adiacente destinandolo, in parte, a spazio di rappresentanza, in parte, a ufficio spedizioni. Florim ha deciso, invece, di riorganizzare il proprio sistema produttivo e logistico creando un unico hub multibrand che comprende: un magazzino con copertura fotovoltaica; un moderno e tecnologico magazzino verticale che, oltre a diventare un vero e proprio landmark per l’azienda, consente di 81
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2 - Attrezzata per il traffico pesante, la strada Pedemontana accoglie oggi alcuni interventi di qualificazione degli spazi aziendali, come il GreenLab Kerakoll firmato dallo StudioBiòs Associati.
gestire in modo automatizzato la preparazione e consegna di piccoli ordini; un edificio multifunzionale destinato a ospitare eventi e ambientazioni espositive. Questi episodi, seppur quantitativamente limitati e “spontanei”, sembrano rivelare un’interessante e innovativa “frontiera di sviluppo”12 che potrebbe guidare l’evoluzione delle imprese ceramiche leader, le quali “per essere efficienti necessitano di grandi spazi, soprattutto destinati alla funzione logistica” 13.
Verso un hub logistico territoriale? L’analisi dell’evoluzione del sistema logistico ceramico consente di ragionare sui cambiamenti dell’organizzazione aziendale e sulla ridefinizione del distretto industriale. Coerentemente a quanto 12 Cerruti C., Musso F. (2004), “Logistics in the industrial districts. Evolutionary trends for supply chains integration”, MPRA Paper n. 31645, disponibile on-line all’indirizzo: http://mpra. ub.uni-muenchen.de/31645/ 13 Intervista rilasciata dal Presidente di Florim in data 22 aprile 2013.
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affermato da Mazzarino14 nello studio sul distretto dello sport-system di Montebelluna, l’incidenza di flussi di materie prime (e semi-lavorati) rispetto all’importazione di altri materiali conferma la connotazione ancora “industriale” e trasformatrice del distretto. Tuttavia, la quota di import di prodotti finiti provenienti da altri luoghi di produzione (soprattutto da altre regioni italiane, ma anche da Spagna e Cina) evidenzia un’evoluzione del sistema locale nel senso del consolidamento del suo ruolo di piattaforma logistico-distributiva, non solo per il settore ceramico. Infatti, il distretto si configura oggi come “polo logistico, con funzioni di piattaforma di consolidamento, […] anche per altre merceologie”15, come i sanitari, i prodotti a corredo della ceramica, nonché mobili, prodotti alimentari, componenti meccaniche, ecc. Le trasformazioni in atto evidenziano chiaramente la transizione dell’industria ceramica italiana che perde il suo primato produttivo ma mantiene e 14Mazzarino M. (2007), “Processi di internazionalizzazione e logistica di distretto: un’analisi di benchmark”, in G. Polidori, G. Borruso, R. Danielis (a cura di), I trasporti ed il mercato globale, Franco Angeli, Milano, pp. 45-51. 15 Ceriani A., Curi S., Dallari F., Leone F. (2012), “Analisi dei modelli logistici nella distribuzione dei prodotti finiti del distretto delle piastrelle di ceramica”, LIUC papers, n. 248, Serie Tecnologia 18, giugno, p. 8.
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consolida competenze “di fase”, secondo una logica di fornitura di lavorazioni e servizi, fra cui l’attività logistica integrata. In un’ottica di scenario futuro, se si decidesse di potenziare il ruolo di piattaforma logistica, sarebbe necessario perseguire una strategia chiara e consapevole mirata alla riorganizzazione infrastrutturale del territorio e all’implementazione di servizi logistici. In contrapposizione all’impostazione trasportistica che, negli anni, si è concentrata sulla “necessaria e strategica” realizzazione della bretella autostradale di collegamento fra Modena e Sassuolo e del connesso scalo intermodale di Marzaglia (MO), si sostiene la possibilità di un potenziamento delle dotazioni già esistenti e la razionalizzazione del sistema logistico interno al distretto. Infatti, l’incompatibilità fra nuove opere e salvaguardia di ambiti naturalistici di pregio (alveo fluviale e aree agricole), il ridimensionamento produttivo e la riduzione delle risorse pubbliche e private impongono un ripensamento dell’impianto intermodale ipotizzato per il territorio. Nell’ottica di una riduzione del “tasso d’intensità di trasporto intra-distrettuale”, auspicato da Bologna (1998), sembra più ragionevole ipotizzare una strategia tesa a favorire la razionalizzazione dei flussi all’interno del ciclo produttivo.
La questione dei transit point, proposti negli anni ’90 come punti di raccolta e smistamento della merce, distribuiti sul territorio ed esterni ai nuclei urbani, potrebbe essere recuperata e adattata alle condizioni attuali; contemporaneamente, la costituzione di “condomini industriali” potrebbe incentivare il networking fra PMI specializzate e integrate su questioni produttive, logistiche e gestionali. La riflessione sulla pianificazione a scala vasta della “città-distretto”, avviata dai comuni interessati, potrà e dovrà riguardare anche queste questioni. Riproduzione riservata ©
3 - Operazioni di carico e scarico dei treni merci tedeschi. Al ritorno, i convogli delle argille sono utilizzati per il trasporto di prodotto finito destinato ai mercati del centro Europa. 4 - La crescente necessità di spazi destinati allo stoccaggio delle merci può essere una risposta ai fenomeni di svuotamento e dismissione di edifici industriali e terziari diffusi sul territorio. Le foto che accompagnano questo articolo sono di Cristiana Mattioli.
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L’evoluzione recente dei servizi logistici in Italia, le nuove sfide di un modello ancora debole di Andrea Appetecchia
Nell’ambito dei dibattiti che oggi animano il confronto sul tema dei trasporti e della logistica del Paese spesso si lamenta l’assenza di una politica di settore. Tuttavia non è stato sempre così. Negli anni ‘80 e ‘90 il Governo italiano aveva elaborato una strategia volta a costruire una intelaiatura trasportistica e logistica in grado di sostenere la crescita industriale del Paese ed aprire il mercato dei servizi di trasporto attraverso: - un quadro programmatico di riferimento (Piano Generale del Trasporti del 1986); - una vera e propria cabina di regia degli investimenti di settore (Comitato interministeriale per la programmazione economica nei trasporti – CIPET del 1991). All’interno di questo imponente quadro programmatico si inscrivono una serie di altri interventi puntuali tra i quali possono essere ricordati: la fine del monopolio pubblico in ambito portuale (legge n. 84 del 1994), gli investimenti pubblici per lo sviluppo di una rete di nodi intermodali (legge interporti n. 240 del 1990), oltre al costante impegno per lo sviluppo delle singole modalità di trasporto ferroviarie, stradali, marittime e aeree, sia in termini di ampliamento della rete che di supporto/ incentivi alle imprese. Il disegno trasportistico, di cui rimangono una discreta rete infrastrutturale, qualche punto percentuale in più di indebitamento pubblico, oltre ad una copiosa documentazione cartacea relativa alle successive edizioni dei Piani dei trasporti e della logistica, non è però riuscito ad adeguare l’offerta infrastrutturale all’evoluzione della domanda di mobilità espressa dal tessuto industriale e soprattutto alla nuova configurazione della manifattura nazionale. Al di là delle considerazioni circa la capacità dei Governi, dei Ministri e degli amministratori locali chiamati ad implementare tale disegno, il principale limite della strategia trasportistica degli anni ’80 e ’90 è stato l’incapacità di cogliere il cambiamento in atto e di tradurlo in una nuova strategia politica e programmatica. Negli stessi anni in cui veniva redatto il primo Piano Generale dei Trasporti, infatti, prendeva avvio quel processo di mutazione della manifattura italiana che ha portato alla progressiva contrazione della grande industria in favore dell’esplosione della Piccola e Media Impresa, con un corrispondente cambiamento epocale dei flussi di merce e della domanda di servizi logistici. A cavallo tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del XXI secolo i principali comparti della grande industria si contraggono fortemente, in alcuni casi fino a scomparire. Intorno al 1996 avviene il passaggio della proprietà dell’Olivetti, la principale indu-
The recent evolution of logistic services in Italy, new challenges for an as-yet weak model by Andrea Appetecchia The national demand for logistic services, although widespread, is now worth about €100 billion (7% of GDP) and feeds a market driven by more than 25,000 enterprises employing just over one million people with a total turnover of about € 40 billion. Italian logistics companies, compared to European competitors such as Germany or France, are often judged weak in terms of turnover, number of employees, IT development. But these figures must not obscure the supporting role of these companies in the success of Italian Industrial Clusters and in the growth of Small and Medium Enterprises located in those areas. Logistic services allow SMEs to sell quality products at competitive prices on the basis of two premises: 1) The low cost of transportation and labor; 2) A “shy control” of indirect costs such as the environment impact and the use of a land transport network. The international crisis has reduced the mature markets (especially Europe) with advanced logistics services (which can cover the inefficiencies of the Italian model) and pushed SMEs towards new, more dynamic markets, but with outstanding logistics services (China, India , Russia, South Africa, Brazil, Turkey, etc..). The lack of qualified personnel, logistics organizations simplified, typical of the “pre-crisis” Italian logistic model are therefore no longer adequate for the needs of SMEs which require professionals who can manage the entire supply chain of higher-quality products.
Nella pagina a fianco: movimentazione di container.
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TRASPORTI & CULTURA N.39 stria informatica nazionale, dalla famiglia De Benedetti a Roberto Colaninno che abbandonerà le ambizioni industriali virando verso l’acquisizione del Gruppo Telecom, così come prima della fine del XX secolo il Governo italiano rinuncia a partecipare al consorzio Airbus, chiudendo così la strada al rilancio della grande industria aeronautica. Sempre nell’ultima decade del 1900 finisce anche l’epopea chimica del colosso MontedisonEnimont-Enichem, e tra il 1998 ed il 2003 vengono ceduti pezzi importanti dell’industria High Tech: l’Ansaldo perde Montaggi, Sistemi industriali, Aerimpianti ed Energia; escono dal Gruppo Fiat l’impresa ferroviaria di Savignano (produttrice dei treni ad assetto variabile – ETR) e Avio (leader nei motori aereonautici). Finisce un’epoca, ma se ne avvia un’altra fondata su dimensioni di impresa più contenute e con un forte legame con il territorio. Emergono nuove eccellenze produttive nei comparti della meccanica, del tessile, del mobile arredo, ecc.. Le piccole e medie imprese sostituiscono la grande imprese e la potenza industriale nazionale non si disperde, ma si trasforma. La concentrazione tipica dell’industria pesante di grandi volumi di merce e di materie prime all’interno di un numero ristretto di aree di produzione e di trasformazione da connettere per mezzo di un selezionato numero di corridoi di trasporto, mal si concilia con la nuova domanda di trasporto che emerge dalla galassia dei distretti industriali italiani. Tale domanda è diffusa e parcellizzata in piccole e medie spedizioni che prevedono tempi frenetici di consegna e di carico. Di fronte a questa svolta epocale, la forza propulsiva della politica degli anni ’80 si esaurisce, tanto che si percepisce l’assenza di nuove strategie capaci di fornire risposte operative coerenti con le trasformazioni in atto. La politica cambia passo (o non riesce a reagire) ed emerge un modello logistico italiano fondato sul laissez faire , decisamente opposto a quello «dirigistico» degli anni ’80. Nell’assenza di un orizzonte strategico si fa strada un modello logistico italiano che spontaneamente, in modo “autodidatta”, ridisegna le geometrie del trasporto nazionale sostenendo la spinta innovativa della nuova manifattura. È un fenomeno spontaneo, ma non residuale. La domanda nazionale di servizi logistici, seppur diffusa, vale oggi circa 100 miliardi di euro (7% del PIL) ed alimenta un mercato animato da più di 25.000 imprese che occupano poco più di un milione di addetti con un fatturato complessivo di circa 40 miliardi di euro. Un modello in grado di raggiungere performance logistiche competitive grazie all’affermazione di soluzioni organizzative di processo e di prodotto maturate all’interno della filiera locale. Il capitale sociale e culturale dei distretti industriali non è determinante solo nella concezione di prodotti innovativi, ma lo è anche nella re-ingegnerizzazione dei sistemi logistici che di fatto consentono a tali prodotti di essere competitivi sui mercati nazionali ed internazionali. Si tratta dunque di un segmento del comparto dei servizi alle imprese di notevole rilevanza che però non è privo di criticità. I riflessi sui servizi di trasporto sono evidenti: aumentano i viaggi effettuati, ma si contraggono i volumi trasportati; si modifica la distribuzione dei flussi e dei servizi, per lo più concentrati nelle circoscrizioni settentrionali (Nord Est e Nord Ovest) e poco al Sud e nelle Isole. Un modello dunque molto frammentato e fonda86
to sull’intermediazione. Le imprese, quando hanno la necessità di affidare un carico da trasportare ad un operatore del trasporto (conto terzi) solo nell’8% dei casi si rivolgono direttamente all’impresa di trasporto, nel 92% incaricano un intermediario che solo nel 3% dei casi svolge tale servizio con mezzi propri, mentre nel resto dei casi subcontratta un vettore. Il successo dei distretti industriali si è fondato dunque sulla commercializzazione di prodotti di buona qualità a prezzi competitivi. Un prezzo consentito anche grazie al contributo dei servizi logistici. I quali, in alcuni casi, sono stati compressi al minimo trasferendo al cliente gli oneri di trasporto (vendita franco fabbrica); oppure organizzati, come già anticipato, in modo “artigianale” a partire, però, da due presupposti piuttosto “critici”: - il basso costo del trasporto e del lavoro; - un controllo “timido” del consumo del territorio e della rete trasportistica. Tali presupposti hanno inciso sulle performance dei diversi attori della catena logistica. Alcuni infatti hanno tratto indubbi vantaggi, come i già citati intermediari del trasporto (principali partner logistici delle PMI) e le PMI stesse che hanno saputo sfruttare i punti deboli del modello, altri invece hanno sostenuto la competizione attraverso pesanti sacrifici, come ad esempio, le imprese di trasporto e i lavoratori del settore che per ragioni diverse si sono fatti carico delle inefficienze di un modello approssimativo, in cui in linea di massima prevale un’organizzazione del lavoro precaria, che si fonda su manodopera poco specializzata, e di conseguenza poco retribuita. Si tratta di un settore ad elevata creazione di posti di lavoro, dove però la qualità del lavoro è preoccupante. Ad esempio in Veneto (seconda regione logistica dopo la Lombardia), sono occupati nel comparto circa 68.000 addetti, tuttavia solo nel 2011 in tale comparto sono stati registrati 43.000 mutamenti di posizione di lavoro tra ingressi e uscite. Si tratta di posti di lavoro per lo più destinati agli uomini (80%) ed in parte per turni di lavoro ridotti (20% part-time) e con un sostanziale avanzamento di addetti stranieri (dal 2008 al 2011 nella logistica veneta sono stati assunti 1.717 stranieri, mentre sono stati licenziati 1.204 italiani). Ma non è solo il lavoro ad essere penalizzato, anche la scarsa considerazione per i cosiddetti costi indiretti (impatti ambientali e sociali) ha inciso sui territori attraversati da queste catene logistiche polverizzate, i quali hanno subito gli effetti negativi senza trarne vantaggi. In questo scenario fatto di luci ed ombre si è innestata la crisi internazionale che dal 2009 ha fiaccato le economie mondiali amplificando i trend negativi, sia del traffico che del lavoro, ma, allo stesso tempo, attraverso una selezione (drammatica) del mercato. L’uscita da questa congiuntura negativa chiama nuovamente il comparto della logistica ad un adeguamento. Le imprese sono infatti stimolate a misurarsi con la domanda di nuovi mercati emergenti che indicano traiettorie di sviluppo che potrebbero portare verso un futuro migliore, sia per le imprese, sia per i lavoratori. La crisi internazionale ha infatti contratto i mercati maturi (soprattutto europei) con servizi logistici avanzati (in grado di coprire le inefficienze del modello italiano) e ha spinto le PMI verso nuovi mercati di sbocco più dinamici, ma con servizi logistici arretrati (Cina, India, Russia, Sud Africa, Brasile, Turchia, ecc.).
TRASPORTI & CULTURA N.39 I nuovi equilibri del commercio estero stanno stimolando una crescente domanda di sevizi logistici avanzati da parte delle imprese italiane per raggiungere e soprattutto essere competitive in questi nuovi mercati di destinazione dell’export. I principali player internazionali della logistica già hanno percepito questa nuova domanda della manifattura italiana e si stanno organizzando al fine di offrire alle PMI nazionali dei servizi logistici ad alto valore aggiunto per la gestione dell’intera catena logistica dei prodotti di più elevata qualità, come quelli del “made in Italy”, piuttosto che di prodotti altamente sofisticati, come sono quelli della filiera metalmeccanica. Anche gli operatori nazionali più attenti però non trascurano questi trend di sviluppo. È questo il caso di DeBo Logistica (società del gruppo De Bortoli): nato come spedizioniere nei primi anni Ottanta del secolo scorso, DeBo è diventato presto il principale integratore logistico del distretto di Montebelluna (TV) fornendo sia la spedizione della merce, sia una serie di servizi logistici avanzati. Nelle sue piattaforme in Italia e all’estero DeBo offre servizi di gestione degli approvvigionamenti da fornitori, stoccaggio merci, picking, etichettatura, imballaggio, consegna a terzisti, ritiro e spedizione di prodotti finiti, controllo qualità. Oggi il gruppo ha 440 dipendenti di cui 110 in India dove il gruppo ha 6 succursali che gestiscono circa 300 mila spedizioni quotidiane via terra, mare e aria. Dentro gli uffici del gruppo ci sono soprattutto manager, di cui il 60% donne, tuttavia nei 70.000 m² in cui transitano le merci che hanno origine o destinazione nel Veneto i container vengono riempiti da operai esterni gestiti da cooperative di facchinaggio. La scarsa qualificazione del personale, le organizzazioni logistiche semplificate, tipiche del modello logistico “ante crisi” non sono pertanto più adeguate alle esigenze delle PMI nazionali le quali richiedono, al contrario, professionisti in grado di gestire l’intera catena logistica dei prodotti di più elevata qualità. In questa nuova configurazione del modello servono imprese ed addetti competitivi, non perché costano poco, ma perché sono altamente qualificati e capaci di gestire l’intera catena logistica in modo efficace ed efficiente. Può dunque splendere ancora la luce, tuttavia affinché le zone d’ombra non tornino ad oscurare il mondo della logistica in Italia è opportuno che le istituzioni, le forze sociali e le rappresentanze prestino maggiore attenzione ed interesse ad un comparto che spesso - a torto - è tenuto ai margini delle agende politiche nazionali.
Z. D’Agostino, Reti distrettuali e reti logistiche: nuovi schemi di analisi e chiavi interpretative, Verona, 2005. S. Bologna, Lavoro e capitale nella logistica italiana: alcune considerazioni sul Veneto, Padova, 2013. A. Appetecchia, D. De Ascentiis, Eppur si muove, Edizioni scientifiche, Napoli 2010. Isfort, Logistica & Imprese ai tempi della crisi , Rapporto periodico n. 13, Roma 2009.
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Bibliografia A. Cappelli, La programmazione generale e di settore nei trasporti, Venezia 2013. Isfort, Il futuro dei porti e del lavoro portuale, Volume 1 Roma 2012 e Volume 2, Roma 2013. M. Bellandi, F. Coltorti, Tra declino e traiettorie di sviluppo industriale in Italia, Artimino 2012. Isfort, Logistica Italiana: i limiti e i vantaggi di un “modello” fragile, Rapporto periodico n. 8, Roma 2007. AT Kearney-Confetra, La logistica in Italia, Roma febbraio 2011.
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L’influenza delle strutture elettromeccaniche nelle costruzioni dei porti di fine Ottocento di Antonella Caroli
Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento molte città portuali avviarono lavori per la trasformazione di aree costiere dove insediare nuove zone di commerci, realizzando costruzioni marittime, opere foranee e giganteschi magazzini per il deposito delle merci. In molti porti vennero adottati provvedimenti, agevolazioni e importanti esenzioni fiscali (come il porto franco) per attrarre nuovi traffici, attività ed operatori. Lo sviluppo portuale significò un grande passo avanti anche per la comunicazione tra popoli e Paesi, con l’aiuto dello sviluppo parallelo di altre infrastrutture come le ferrovie, che avrebbero facilitato anche la distribuzione delle merci nei territori di pertinenza dei singoli scali. Tutto questo durò per pochi decenni perché presto, già all’inizio del Novecento, le strutture e i mezzi di movimentazione delle merci si manifestarono inadeguate a fronteggiare l’aumento delle dimensioni delle navi. Oggi rimane ben poco delle grandi strutture in ferro che arredavano le banchine, dei monumentali magazzini e di quegli storici impianti marittimi che avevano conferito a quei luoghi le atmosfere del lavoro portuale, della vita degli uomini, dei rumori delle macchine, dei treni e delle navi. Molti di questi scali sono stati rivitalizzati e riconvertiti a nuove funzioni, altri invece come quelli di Trieste, Fiume e Lubecca che conservano ancora importanti costruzioni, sono diventati luoghi del silenzio e dell’abbandono. Là dove si svolgevano operazioni portuali ora ci sono soltanto i magazzini rimasti e qualche gru. Le attrezzature e gli arredi portuali non risultavano comunque omogenei per tutti i magazzini ma si differenziavano a seconda della loro collocazione, lungo le banchine, nelle tettoie, sui ballatoi, all’esterno o all’interno degli edifici. Pertanto la necessità di disporre di queste attrezzature condizionava la progettazione degli edifici e la forma architettonica, perché dovevano contemplare tutte le necessità per le operazioni portuali, compresa anche le manipolazioni delle merci successiva allo sbarco. Criteri costruttivi e distributivi, indubbiamente comuni, tra i porti di Amburgo, Brema, Trieste e Fiume si riconoscono sia nella distribuzione planimetrica che nelle tipologie dei corpi di fabbrica. Questi complessi portuali infatti risultavano come enormi brani di città destinati alla circolazione delle merci (Lagerhauser). Architetture ed opere foranee che dovevano soprattutto rendere immediate e veloci le attività di carico e scarico. La disposizione degli hangars (a uno o due piani) distribuiti lungo le calate, per il primo transito e deposito delle merci, e di altri magazzini retrostanti, disposti su file parallele, per depositi di durata più lunga o per la manipolazione, doveva-
The influence of electromechanical structures in the construction of late nineteenth-century ports by Antonella Caroli In the last twenty years of the nineteenth century, many port cities initiated projects for the transformation of coastal areas designated for the construction of new zones for trade, building maritime constructions, breakwaters and giant warehouses for storing goods. Port development was a great step forward, facilitated by the parallel development of other infrastructures such as railways. All of this lasted only a few decades because, in the early twentieth century, these structures and the cargo-handling equipment proved to be inadequate in the face of the growing dimensions of ships. Little remains today of the great iron structures that once occupied the docks, of the monumental warehouses and historical maritime facilities. Many of these ports have been revitalized or converted to new functions, others, such as Trieste, Rijeka or Lübeck, which still preserve significant buildings, have becomes a place of silence and abandon. Where port operations were once routine, only a few warehouses or cranes now remain. The port equipment and furbishings were not homogeneous in all the warehouses, but differed depending on their location. The need for this equipment influenced the design of the buildings and their architectural form.
Nella pagina a fianco, in alto: Trieste, Porto vecchio, gru idrauliche (Hangar 6) (foto d’epoca, archivio storico del porto). In basso: Amburgo, Landungsbrücken (foto d’epoca, Speicherstadtmuseum di Amburgo).
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TRASPORTI & CULTURA N.39 no rispettare anche l’organizzazione del lavoro e delle movimentazioni. Anche per la sistemazione delle strutture elettromeccaniche e per gli arredi portuali sulle calate a mare bisognava tener conto delle operazioni di carico e scarico delle merci, in relazione ai mezzi di trasporto (ferrovia, autocarro, nave) con i quali arrivavano o partivano le merci. Per dirigere ed alimentare le strutture di sollevamento venivano costruiti altrettanti edifici speciali, come centrali idrodinamiche e sottostazioni elettriche, per la produzione e distribuzione dell’energia necessaria. Architetture idrauliche destinate a contenere macchine e impianti, che sono riuscite a coniugare forma e funzione, sacrificando elementi stilistici senza ridurne però l’offerta estetica.
Gru di banchina
1 - Amburgo, Kesselhaus, la vecchia centrale idrodinamica restaurata ora Infopoint.
Premessa fondamentale era stabilire il sistema di sbarco e d’imbarco che si intendeva adottare, in modo da scegliere e progettare la struttura di movimentazione più adeguata. A fine Ottocento nei porti americani, gli impianti prevedevano per le operazioni di sbarco e di imbarco di merci varie in colli, l’utilizzo dei mezzi di bordo, per questo a terra non erano necessarie grandi strutture di movimentazione. Nei porti europei si utilizzavano invece soprattutto gru da riva e quindi occorrevano maggiori strutture sulle banchine. In questi scali si utilizzavano quasi esclusivamente gru a portale
pieno e gru a capra zoppa, che costituivano una speciale caratteristica dei porti di Brema, Amburgo e Trieste. Queste due tipologie di gru dettavano diversi orientamenti costruttivi, sia per le calate che per gli hangars. In alcune immagini d’epoca del porto di Trieste si riconoscono innumerevoli gru da banchina a portale pieno o a capra zoppa. Di quest’ultime è stata conservato un esemplare davanti all’Hangar 6 del Porto vecchio. Per permettere lo spostamento delle gru a capra zoppa lungo la calata, essendo appoggiata contemporaneamente sul ciglio di banchina e sul piano di caricamento del capannone (perrons) bisognava tener conto delle diverse sollecitazioni a cui erano sottoposti la banchina e l’edificio. Il trasferimento di questo tipo di gru da una calata all’altra era possibile soltanto quando le due calate presentavano le stesse dimensioni e gli stessi arredi elettromeccanici, mentre la gru a portale pieno poteva essere facilmente spostata da una calata all’altra, sempre che lo scartamento dei binari risultasse unificato. Il problema dell’adeguamento tecnico e funzionale delle attrezzature elettromeccaniche riguardava soprattutto le banchine e i capannoni di transito, perché dovevano essere in grado di rispondere alle caratteristiche delle navi più moderne, mentre i magazzini retrostanti, adibiti a depositi di lunga durata, si potevano adeguare più lentamente in quanto la loro destinazione non comportava un diretto adeguamento in relazione alla loro costruzione e all’attrezzature.
Il Porto di Trieste A fine Ottocento, l’attuale Punto Franco Vecchio era servito da mezzi e arredi meccanici, gru e montacarichi, azionati da acqua sotto pressione, che veniva prodotta dalla Centrale idrodinamica per essere distribuita, attraverso 6.500 metri di condotte sotterranee, in tutta la zona portuale. Il porto vecchio di Trieste è stato tra i primi al mondo, insieme ad Amburgo, Buenos Aires, Londra, Genova e Calcutta a dotarsi di una Centrale idrodinamica, che venne realizzata nel 1890 con i motori a vapore progettati e costruiti dalla Breitfeld & Danek della Karolinenthal di Praga. Un sistema idrico, articolato e complesso, provvedeva alla distribuzione dell’acqua che, raggiunta la pressione di esercizio ( 54 atmosfere), forniva la forza motrice per le gru da banchina, da capannone e i montacarichi. Nel 1913 il porto si dotò anche di una nuova sottostazione elettrica di riconversione dove la tensione dell’energia proveniente dalla rete esterna veniva trasformata nelle tensioni necessarie per far funzionare le attrezzature nel Punto Franco Vecchio (380, 220 e 127 Volt). Dalla sottostazione si dipartiva una rete articolata e complessa di cavi elettrici, a bassa e media tensione, che alimentava le altre sottostazioni, magazzini e altri edifici speciali. Per consentire un costante svolgimento delle attività portuali, le due strutture della Centrale idrodinamica e della sottostazione elettrica erano presidiate 24 ore su 24. Nella Centrale, per ogni turno, erano necessari almeno dieci uomini, dei quali sei fuochisti erano addetti alle caldaie. Le maestranze adibite al funzionamento complessivo di tutti gli impianti elettromeccanici del porto ammontavano a 280 uomini (manovratori di gru e montacarichi, ingrassatori e meccanici, operai, vigili, marinai guarnitori, equipaggio dei pontoni-gru, elettricisti, lampisti, macchinisti e assistenti di macchina, fuochisti, carbonai, manovali e addetti ammini90
TRASPORTI & CULTURA N.39 strativi). Nel periodo 1920-1930 la Centrale idrodinamica, azionava ancora oltre 170 impianti: 83 gru da banchina della portata di 1.500 kg, e quattro da 3.000 kg; 31 gru esterne ai magazzini, della portata di 800 kg, per il sollevamento delle merci ai piani superiori (imponenti sono gli impianti sui ballatoi dei magazzini 2 e 4); 57 montacarichi, della portata di 1.200 kg, interni ai vari magazzini. Negli anni 1936-1939 le macchine della Centrale idrodinamica, vennero modificate dotandole di motori elettrici di adeguata potenza. L’impianto continuò a funzionare ininterrottamente fino al 15 giugno 1988, quando risultò ormai superato da altre tecnologie di sollevamento. Attualmente questi due edifici speciali sono stati restaurati e costituisco il Polo museale del Porto di Trieste.
Il porto di Amburgo Sempre a fine Ottocento i porti del Nord Europa si presentavano già come importanti strutture commerciali dotate di una rilevante efficienza tecnica. Brema e Amburgo, grazie a moderni impianti, continuavano ad ottenere ottimi risultati soprattutto nello sbarco di carboni, minerali, fosfati e cereali. Queste specializzazioni merceologiche permettevano una maggiore qualificazione complessiva dei porti, che vedevano crescere in maniera rilevante i loro traffici, non solo per la posizione logistica ma in particolare per il costante e considerevole
adeguamento tecnico - funzionale. Le differenze strutturali degli impianti marittimi e portuali tra i porti del Nord e quelli del Mediterraneo derivano dalla diversità delle opere foranee. Negli scali mediterranei si richiedevano opere di difesa esterna (frangiflutti, dighe) mentre nei porti del Nord Europa, specie in quelli fluviali, erano necessarie opere a difesa e contenimento delle maree e delle piene dei fiumi, come quelle dell’Elba ad Amburgo. I magazzini storici di Amburgo (Speicher, Lagerhäuser, Kältespeicher), eccetto i Kaispeicher, articolati su sei o anche otto piani, erano costruiti su isolotti con bassi fondali non lontani dal ramo principale dell’Elba. In particolare i magazzini della Lagerhausgesellschaft , che servivano per il deposito di caffè, tabacco, vini e manifatture, erano di notevoli dimensioni. Montacarichi e aperture mobili lungo le facciate permettevano di effettuare le operazioni di carico e scarico delle merci direttamente dalle chiatte che ormeggiavano nei canali sottostanti. Le caratteristiche monumentali e i materiali costruttivi di questi magazzini si coniugavano perfettamente con le tipologie stilistiche ed edilizie della città, tanto da confondersi con gli altri edifici del sistema urbano. L’organizzazione del lavoro e la modernità degli impianti tecnici, nel porto di Amburgo permetteva un alto grado di efficienza ed elevata velocità nelle operazioni di carico e scarico. Per quanto riguarda le merci di collettame il porto disponeva, per gli arrivi via ferrovia, di un capannone speciale di smistamento
2 - Amburgo, Magazzini storici del porto, Speicherstadt.
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3 - Amburgo. edificio storico portuale riqualificato lungo le rive dell’Elba. 4 - Fiume, attrezzature di sollevamento nel vecchio porto.
(Verteilungschuppen), dal quale poi, tramite carri ferroviari o chiatte, le merci stesse venivano inoltrate per l’imbarco sulle diverse banchine. Le merci provenienti dal territorio tedesco venivano invece depositate in un capannone speciale per l’ esportazione (Ausfuhrschuppen) che si trovava nel Magdeburgerhafen, oggi completamente ristrutturato e inglobato nel nuovo quartiere Hafencity. Sempre nel Magdeburgenhafen si trovava il capannone per l’importazione, destinato alla raccolta delle merci in arrivo via mare prima del trasferimento su carri ferroviari per le diverse destinazioni. La Speicherstadt di Amburgo - Anche Amburgo, con l’incremento del commercio marittimo nella seconda metà del XIX secolo, dovette aumentare gli spazi portuali, costruendo tra il 1881 e 1888 la Speicherstadt (quartiere dei magazzini portuali), realizzata su due isolotti, Kehrwieder e Wandrham, due brani di Amburgo occupati da circa 20 mila abitanti che, sfrattati o espropriati, furono costretti a trasferirsi in altre zone della città. Le costruzioni a blocchi monumentali erano destinate a magazzini ma anche a uffici di ditte che operavano nel porto. In uno di questi blocchi avevano sede
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la HHLA (Hamburger Hafen und Lagerhauser A.G.) e la HFLG (Hamburger Freihafen Lagerhaus Gesellschaft). Il primo gruppo degli Speicher fu edificato in soli tre anni, grazie alle strutture in ferro che arrivavano dalle industrie della Ruhr già pronte per montaggio in situ. Le fondazioni constavano di migliaia di pali in legno, battuti per molti metri nel fango dei fondali, necessari a sopportare il carico dei poderosi magazzini e di tutte le merci contenute. La tecnica costruttiva in ferro venne abbandonata già nel 1891, a causa di un vasto incendio avvenuto nell’ aprile di quell’anno, nel Kaffeespeicher che evidenziò la fragilità delle strutture in ferro in caso in simili emergenze. Successivamente, per il secondo gruppo di edifici, vennero adottate le strutture tradizionali in legno di quercia, sia per i pilastri che per i solai. Il terzo gruppo di magazzini fu realizzato intorno al 1904, con nuove tecnologie e materiali misti di costruzione, cemento e malta cementizia, quando ormai era divenuto difficile reperire legname da costruzione a prezzi convenienti. Il linguaggio architettonico della Speicherstadt richiama gli elementi estetici e i particolari costruttivi della Hannover Schule, con l’utilizzo di forme neogotiche e un larghissimo uso di mattoni e di elementi decorativi in maiolica. Gli edifici sono inoltre attrezzati con passerelle e strutture speciali, per poter essere accessibili anche in caso di piene. Dal punto di vista tecnico la Speicherstadt poteva essere considerata il cuore operativo del porto, in quanto vi erano stati collocati impianti idraulici ed elettrici in grado di mettere in azione 260 argani per il sollevamento delle merci, 36 gru e numerosissimi montacarichi. Nel 1891 vi furono introdotte le prime gru elettriche. Tra l’altro, la gru più potente di quel tempo si trovava proprio ad Amburgo ed era in grado di sollevare 150 tonnellate. Per razionalizzare tempo e lavoro successivamente vennero introdotti carrelli elettrici e carrelli elevatori. A questi si aggiunsero diversi tipi di gru che permisero di rendere più rapido il carico e lo scarico delle merci. Queste invenzioni tecniche richiesero la specializzazione della mano d´opera causando anche la riduzione dei posti di lavoro. Dal momento che cresceva la richiesta di navi a vapore, i nuovi posti di lavoro furono creati nelle sedi delle compagnie armatoriali per l’approntamento di nuove unità. L’unico strumento che mancava ancora per svolgere senza discontinuità le operazioni portuali era il camion, che venne introdotto nei primi anni del ‘900. Durante gli anni ’20 l’uso dell’autocarro ha poi cambiato il sistema di trasporto delle merci. La prima banchina di Amburgo costruita in modo da garantire l’accesso ai camion è stato il Kaiserkai. La merce veniva trasferita sugli autocarri immediatamente dopo lo scarico dalle navi. I magazzini della Speicherstadt ora sono utilizzati in altro modo: non vi si depositano più spezie, ma, oltre a varie attività e attrazioni, è diventata il mercato più grande del mondo di tappeti orientali, con le sedi di numerose ditte specializzate. Nel dopoguerra il nodo centrale delle attività portuali si è via via trasferito nelle aree fra il ramo nord e quello sud dell’Elba, attrezzate con moderni terminal a seconda del tipo di merce. La Kesselhaus - Per la produzione di energia e la movimentazione delle attrezzature elettromeccaniche venne costruita tra il 1886 e il 1887 la Kesselhaus, la centrale idrodinamica di Amburgo, cuore pulsante della Speicherstadt. Attraverso una rete
TRASPORTI & CULTURA N.39 di 14,5 km l’acqua in pressione veniva distribuita e azionava i verricelli e le attrezzature di sollevamento di tutti i magazzini. Il porto di Amburgo era attrezzato con 10 gru giganti, 916 gru lungo le calate, 178 gru fisse sulle banchine, 630 mezzi meccanici diversi nei magazzini e nei depositi, e 181 gru galleggianti. Nel 1888 la sala caldaie era dotata di sole cinque caldaie a carbone del tipo Cornovaglia, in funzionamento combinato con una caldaia tubolare, ma già nel 1909 ne vennero aggiunte altre quattro. Per l’alimentazione delle caldaie in origine si utilizzava un montacarichi idraulico (Kohlenaufzug), sostituito successivamente da una versione elettrica (1909) con monorotaia che permetteva di scaricare il carbone direttamente dalle chiatte. Nell’annessa centrale idraulica si trovavano quattro motori a vapore, ciascuno della potenza di 100 cavalli, progettati per spingere nella rete 50 metri cubi di acqua all’ora, a una pressione di 50 kg/cm. Allo stesso impianto erano associati due accumulatori, con un’ altezza di 7,50 metri, un peso di 150 tonnellate e una capacità totale di 4.250 metri cubi. Altri accumulatori, con le stesse prestazioni, si trovavano in punti più lontani dalla rete. Nell’adiacente centrale elettrica l’illuminazione era ad incandescenza e ad arco. Considerata la richiesta di maggiore potenza, l’impianto fu successivamente ampliato, per cui alla fine del 1909 la centrale elettrica risultava avere 3140 cavalli di potenza. Durante la seconda guerra mondiale il complesso della Kesselhaus venne bombardato e gravemente danneggiato. Solo nel 2000 è tornato a nuova vita con la nuova importante funzione per il quartiere HafenCity. II restauro ha conservato l’edificio originario, replicando i camini che si ergono come strutture a traliccio. Nella Kesselhaus si svolgono regolarmente attività culturali, e nei mesi estivi all’esterno vengono effettuate anche rappresentazioni teatrali. L’edificio è così diventato un modello per Amburgo e un centro di informazione per tutta la città.
La Wapping Hydraulic Power Station, Londra A Wapping, una delle dockland londinesi, troviamo ancora, come ad Amburgo e a Trieste, una stazione idrodinamica (Wapping Hydraulic Power Station), costruita nel 1890. Anch’essa azionata a vapore, successivamente elettrificata, distribuiva energia agli impianti portuali e ai quartieri di Londra sulla riva sinistra del Tamigi. Il complesso conserva ancora la sala macchine, la sala caldaie, i serbatoi per l’acqua, la torre dell’accumulatore, la casa del capotecnico, sette pompe, due gru, due trasformatori e i quadri di manovra. Dopo la cessazione dell’attività nel 1977, l’edificio è stato utilizzato come sala espositiva con annesso un ristorante, allestito nella sale delle macchine. Nel 2013 la centrale è stata venduta per altri utilizzi. Wapping era una vecchia zona portuale, tra il Tamigi e le paludi di Wapping Marsh, abitata da marinai, costruttori navali, calafati e dove trovavano posto anche piccole botteghe artigiane. Il quartiere, rimasto in stato di abbandono fino agli anni ’80, dopo lo spostamento dei traffici portuali in aree a valle della città, è stato ristrutturato e i grandi magazzini sono stati trasformati in grandi condomini. È rimasta intatta la distribuzione degli edifici lungo la Wapping High Street e sono tuttora evidenti alcuni elementi delle strutture originarie.
Troviamo alcuni paranchi o piccole gru imbullonate ai muri esterni delle costruzioni. All’epoca altri montacarichi erano fissati al di fuori di magazzini per permettere le movimentazioni sulle le porte ai vari piani e, come si può ancora notare, là dove sono stati conservati, la forma più comune era una semplice trave di legno montata sulla parete in corrispondenza delle porte o delle aperture distribuite verticalmente sul fronte di fabbrica. Questi meccanismi di sollevamento erano tecnicamente detti a ‘testa di gatto’. I montacarichi erano dotati di minimi ingranaggi, come una semplice carrucola e una corda. Non tutti i paranchi erano montati nella sommità degli edifici, a volte i sollevatori dei colli pesanti si trovavano a livello stradale, in questo caso si rafforzavano le strutture con piastre in acciaio. All’interno dell’edificio si trovava un ascensore alimentato da una camera- motore in una torretta del tetto. La maggiore differenza tra i porti attuali e quelli dell’800, oltre al volume di merci movimentate, è soprattutto la quantità di forza lavoro impiegata per svolgere le varie attività. Con la diffusione del container, a partire dagli anni ’60 la manodopera necessaria negli scali è andata via via riducendosi, mentre sono andati crescendo i volumi delle merci trasportate da ogni nave. Gli impiegati nelle zone portuali attuali non sono più semplicemente dei lavoratori del porto ma costituiscono una manodopera preparata e specializzata. Le costruzioni di giganteschi edifici per l’immagazzinaggio non sono più necessarie, in molti casi i vecchi e monumentali magazzini sono stati demoliti per fare posto a grandi piazzali per il deposito dei contanier. Inoltre il gigantismo delle portacontainer ha costretto molti porti ad aumentare le dimensioni dei moli e ad attrezzare le calate con nuove e moderne strutture di movimentazione.
5 - Trieste, centrale Idrodinamica, sala macchine (Breitfeld & Daneck. Karolinenthal, Praga, 1891).
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Paesaggio, al Mart di Rovereto il punto di vista degli artisti di Laura Facchinelli
C’è una relazione stretta fra noi e il paesaggio. Noi modifichiamo il territorio continuamente, lasciando segni indelebili. Al tempo stesso siamo intrisi del luogo della nostra vita, delle sue forme, degli spazi, degli odori, dei suoni, della storia e delle modalità di comportamento, del suo essere paradiso e inferno. Il paesaggio siamo noi. Ma cos’è il paesaggio? Generalmente ne parlano ingegneri e architetti, che, costruendo, producono trasformazioni irreversibili. Ma ci sono molti altri punti di vista: è un concetto molteplice, aperto. È indispensabile dar voce agli artisti, che, con la loro sensibilità, sanno “captare” la qualità dei luoghi, la bellezza o disarmonia, l’empatia o il disagio, e rappresentano quelle emozioni, rendendole esplicite e comprensibili. Ecco perché è importante una mostra come Perduti nel paesaggio, che si è svolta al Mart di Rovereto. Un grande progetto, a cura di Gerardo Mosquera, dedicato al paesaggio contemporaneo, con le opere di oltre 60 artisti provenienti da tutto il mondo, molti dei quali mai presentati in Italia.170 fotografie, 84 opere di pittura, e poi video e installazioni che hanno testimoniato uno sguardo appassionato e sofferto sul mondo. Tre i livelli di lettura. Primo: la propensione umana a identificarsi e dialogare con l’ambiente. Secondo: il paesaggio inteso non come genere artistico ma come mezzo per la costruzione di un senso. Terzo: offrire al visitatore un’esperienza al tempo estetica e di riflessione. Riguardo al nostro legame intimo col paesaggio, nota Mosquera che “l’origine della parola paesaggio, nelle lingue romanze, deriva dal latino pagus, che si riferisce al cippo piantato per terra per demarcare il proprio territorio. In questo caso il termine nasce collegato all’identità del soggetto con il suo ambiente e all’affermazione di una proprietà. Il luogo è mio e, ancora di più, il luogo sono io”. Straordinariamente ampia e ricca la gamma degli interventi artistici, a volte decisamente nuovi, sorprendenti. Ne ricordiamo alcuni. In apertura c’è l’immagine completa dell’universo composta recentemente in base ai dati rilevati dal satellite Planck: è un paesaggio totale. Si affianca la riproduzione del disco di Nebra, che risale all’età del bronzo, circa 1.600 prima di Cristo. Bae Bien-U fotografa una pineta dal di dentro, guardando gli alberi dal basso, e quindi mostrandoci – con splendide immagini in bianco e nero – il suo punto di vista. Dal paesaggio al soggetto: Huang Yan disegna paesaggi sul corpo dei suoi modelli attraverso tatuaggi e body painting. Ancora corpi-paesaggio sono quelli di Arno Rafael Minkinnen, che trasforma parti del suo corpo in
Landscape, the Mart at Rovereto offers the artists’ point of view by Laura Facchinelli A tight bond links us to the landscape. We constantly modify the territory we live in, leaving permanent traces behind us. At the same time, we ourselves are permeated by the places we live in, we are the landscape. The MART in Rovereto held an exhibition entitled “Lost in the Landscape” dedicated to the contemporary landscape, with works by over 60 artists from around the world. The show could be read on three levels: first, the human propensity to identify with and dialogue with the environment; second, the landscape understood not as an artistic genre but as a means to build meaning; third, the intent to offer the visitor an experience that is both aesthetic and intellectual. The range of art works was remarkably rich and extensive, with a focus on multiplicity, offering new and often surprising expressions. The works addressed many themes, including the important issue of assault on the landscape: a key theme was the growth of urban sprawl.
Nella pagina a fianco, da sinistra a destra, dall’alto in basso: Luis Camnitzer, Landscape as an Attitude, 1979 (courtesy dell’artista e Alexander Gray Associates, New York); Carlos Garaicoa, Cuando el deseo se parece a nada, 1996 (courtesy Galleria Continua, San Gimignano / Beijing / Les Moulins Foto: Oak TaylorSmith; Bae Bien-U, snm5a002h, 2012 (curtesy dell’artista e Galerie RX, Parigi); Yao Lu, Yao Lu’s New Landscape, part 4 YL02 Green Cliffanger, 2009 (courtesy Bruce Silverstein Gallery, New York); Jordi Colomer, Anarchitekton, 2002–2004 (courtesy MACBA Collection. MACBA Foundation).
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2 - Installazione con immagini del NASA Earth Observatory (foto di Laura Facchinelli)
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elementi del paesaggio: così, per esempio, il busto ripiegato diventa uno scoglio tondeggiante, in una identificazione con l’ambiente naturale. E un dorso pieno di nei, fotografato da Glenda León, diventa un universo pieno di stelle. Esterno-interno: la relazione si fa gioco di rimandi emotivi in due installazioni molto originali. Sempre Glenda Leon mette in scena un letto, la cui coperta si fa prato sullo sfondo di un cielo azzurro con nuvole. Sempre all’interno di una stanza, Agnés Varda mostra le onde del mare, azzurreschiumose, che avanzano ritmicamente su un video, avvicinandosi alla sabbia, stesa materialmente sul pavimento. Ancora all’interno di un salone in penombra si sviluppano le città di carta, luminose ed emozionanti di Carlos Garaicoa. Lo stesso artista costruisce lo skyline di una città collocando sul tavolo piccoli oggetti di cristallo. Gabriel Orozco usa i rifiuti trovati per strada per creare una rappresentazione effimera della città. E, ancora, c’è Russel Crotty che dipinge paesaggi su piccole sfere che poi appende al soffitto. Una realtà stravolta dalla luce artificiale: è quella di Carlos Irijalba, che evidenzia strade e alberi con potenti riflettori Una rappresentazione diversa dall’apparenza: è quella di Yao Lu: le sue opere somigliano a quelle della tradizione, in realtà i paesaggi sono costruiti con scarti industriali. Poi c’è il grande tema del paesaggio aggredito. “È
importante la rottura con lo stereotipo che associa il paesaggio alla bellezza e al pittoresco. Il paesaggio può anche essere sgradevole, tragico, spaventoso, costruire una bellezza negativa…”. Ecco Anselm Kiefer, interprete dello stravolgimento attraverso una materia scabra e ostile. Il fotografo Emmet Gowin scatta immagini lunari su un campo di esperimenti nucleari. Fernando Brito fotografa paesaggi con veri cadaveri. Il grande Gabriele Basilico inquadra case colpite dalle bombe, una città resa deserta dalla guerra. La gigantografia di Carlos Uribe svela, nella città di Medellin, lampi d’armi da fuoco che interrompono la notte. E poi si levano muri, come quello che chiude gli ingressi di Gerusalemme. Un intervento radicale compiuto sulla natura è costituito dall’urbanizzazione. La popolazione residente in aree urbanizzate cresce vorticosamente, e dunque “non c’è da stupirsi – scrive Mosquera – che oggi l’arte si occupi maggiormente del paesaggio urbano che di quello naturale”. E la rappresentazione è in gran parte fotografica. Fra le opere sul tema della densità urbana, molto interessante la torre di Babele di Du Zenjun, una composizione a collage, con una tessitura fitta di piccole foto di volti, edifici, strutture. La rappresentazione della città, non più landscape, ma cityscape, comprende anche i nuovi luoghi, come gli aeroporti, ripresi da Fischli & Weiss. E azioni che non appartengono alla progettazione vera e propria degli architetti: nel video di Junebum Park, proiet-
TRASPORTI & CULTURA N.39 tato dall’alto verso il pavimento, si vedono delle mani che si muovono rapidamente per ricoprire le facciate degli edifici di tabelloni pubblicitari. Di grande presa le foto zenitali di Rubens Mano, che riprendono città e arterie stradali, e quelle di Alain Paiement, che inquadrano particolari di città con attività lavorative legate alla vita quotidiana. Per tentare la rappresentazione del tempo, Pablo Cardoso dipinge 70 piccoli quadri con uno stesso paesaggio ripreso in differenti condizioni di luce (in precedenza l’aveva fatto Monet). Mentre Iosif Kiraly unisce tempo e spazio in un’immagine-sintesi di momenti successivi. La mostra al Mart apre a nuovi concetti sulla rappresentazione del paesaggio. Non si tratta più di un genere, non c’è più la paesaggistica: si crea l’occasione per discorsi concettuali. La mostra ha indagato su questo spostamento del paesaggio all’esterno della paesaggistica. Non ha voluto presentare rappresentazioni del paesaggio contemporaneo, ma “agire come risorsa attiva dell’arte in varie manifestazioni e in molteplici direzioni. La sua concezione del paesaggio è aperta e onnicomprensiva”. Un’interessante apertura è l’introduzione di immagini a volo d’uccello e, anzi, alle inquadrature sempre più dall’alto, anche dallo spazio. Le foto scattate dalla NASA ci forniscono macropaesaggi grandi come continenti, dove constatiamo che la più grande opera umana visibile dallo spazio è costituita dall’illuminazione elettrica. Nell’installazione, che chiude la mostra, la voce di Reinhold Messner scandisce, ritmicamente, una frase di Italo Calvino (Le Città invisibili): “Il viaggiatore conosce il poco che è suo, scoprendo il molto che non ha avuto e non avrà”.
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Se una mostra costituisce l’occasione per un approfondimento a più voci, è interessante fra i saggi pubblicati nel catalogo della mostra Perduti nel paesaggio, quello a firma dell’architetto paesaggista João Ferreira Nunes. Lo studioso ricorda che tutte le comunità inevitabilmente trasformano il territorio per sopravvivere. L’attuale mancanza di fiducia nell’opera umana è la conseguenza dei tanti segni nocivi introdotti nel tempo. Ogni intervento viene oggi inteso, dunque, come negativo, come incapace di generare bellezza: così, di fronte ad ogni trasformazione, come la realizzazione di un’infrastruttura, interviene un giudizio negativo preconcetto, un atteggiamento conservatore che impedisce una valutazione qualitativa della trasformazione stessa. C’è molta confusione fra naturale e artificiale; inoltre è sbagliato considerare il paesaggio come immutabile: il paesaggio è qualcosa di dinamico, in continua evoluzione. Le infrastrutture – scrive Ferreira Nunes – sono state costruite, nel corso della storia, al servizio dell’uomo, e dunque non possono essere escluse dalla nozione di paesaggio. Ma mentre un’infrastruttura del passato (pensiamo a un acquedotto romano) è normalmente considerata parte del paesaggio (anche perché celebrata in quanto tale) è molto più difficile accettare le infrastrutture contemporanee, come un’autostrada o una ferrovia ad alta velocità. La ragione non sta, secondo l’autore, in differenze significative nel modo di progettare e costruire le opere oggi, rispetto al passato, ma nel fatto che si tratta di una trasformazione nuova, che agisce sui luoghi che conosciamo. Indipendentemente dal valore benefico o negativo di una trasformazione, è comunque un dato
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Il convegno è organizzato dalla rivista Trasporti & Cultura col Gruppo di Studio Paesaggi Futuri Coordinatore scientifico: Laura Facchinelli
di fatto che il paesaggio si trasforma in un altro paesaggio, che corrisponderà a un’immagine differente. “Quest’immagine ritrarrà, come una testimonianza per il futuro … le convinzioni della comunità che ha configurato il meccanismo generatore del paesaggio, i suoi valori e quello in cui, di fatto, quella comunità, crede”.
3 - Locandina del convegno Paesaggio e Psiche, organizzato presso il Mart di Rovereto.
Il Mart di Rovereto è un centro di iniziative molto impegnato sul tema del paesaggio. Di seguito alla splendida mostra curata da Gerardo Mosquera, ha dato vita anche ad un’altra esposizione, altrettanto interessante, Scenario di terra, messa a punto dai curatori del museo con l’obiettivo di presentare alcune opere significative del ‘900 in tema di relazione fra uomo e ambiente. Dalla profonda sintonia su questi temi, si è sviluppata l’idea di organizzare presso il Mart un convegno dal titolo Paesaggio e Psiche. In programma per il mese di novembre, il convegno, organizzato dalla nostra rivista col gruppo di studio Paesaggi Futuri, è il terzo sull’argomento, dopo gli appuntamenti di Venezia e Padova. Riproduzione riservata ©
Nella pagina successiva, in alto: Agnes Varda, Bord de mer, 2009, videoinstallazione; in basso: Glenda León, Habitat, 2004. Le foto sono di
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Autori Romeo Danielis – Prof. Ordinario, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche, Università di Trieste Oliviero Baccelli - Vicedirettore CERTeT – Centro di Ricerca in Economia Regionale, Trasporti e Turismo, Università Bocconi, Milano Francesco Barontini - Economista dei trasporti di Gruppo CLAS Spa Lucia Rotaris – Prof. Associato, Dipartimento di Scienze Economiche, Aziendali, Matematiche e Statistiche, Università di Trieste Giovanni Caruso - Dirigente presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Francesca Cesarale - Avvocato, funzionario amministrativo presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti Alessandro Panaro - Responsabile Infrastrutture SRM Andrea Appetecchia - Responsabile Osservatorio nazionale sul trasporto merci e la logistica di Isfort Maria Ines Cusano - PhD, Dipartimento di Economia, Università di Genova Danilo Marigo – Responsabile della logistica di Sito SpA Giacomo Lozzi – DISP/CREI, Università di Roma Tre Edoardo Marcucci – Prof. Associato, DISP/CREI, Università di Roma Tre Claudio Ferrari - Dipartimento di Economia, Università di Genova Andrea Migliardi - Banca d’Italia, Ufficio Analisi e ricerca economica territoriale, Genova Alessio Tei - Dipartimento di Economia, Università di Genova Cristiana Mattioli - DAStU, Politecnico di Milano Antonella Caroli - Direttore beni culturali, Istituto di cultura marittimo-portuale di Trieste
Questo numero della rivista è stato coordinato dal prof. Romeo Danielis dell’Università di Trieste
Copyright Questa rivista è open access, in quanto si ritiene importante la libera diffusione delle conoscenze scientifiche e la circolazione di idee ed esperienze. Gli autori sono responsabili dei contenuti dei loro elaborati ed attribuiscono, a titolo gratuito, alla rivista Trasporti & Cultura il diritto di pubblicarli e distribuirli Non è consentita l’utilizzazione degli elaborati da parte di terzi, per fini commerciali o comunque non autorizzati: qualsiasi riutilizzo, modifica o copia anche parziale dei contenuti senza preavviso è considerata violazione di copyright e perseguibile secondo i termini di legge. Sono consentite le citazioni, purché siano accompagnate dalle corrette indicazioni della fonte e della paternità originale del documento e riportino fedelmente le opinioni espresse dall’autore nel testo originario. Tutto il materiale iconografico presente su Trasporti & Cultura ha il solo scopo di valorizzare, sul piano didattico-scientifico i contributi pubblicati. Il suddetto materiale proviene da diverse fonti, che vengono espressamente citate. Nel caso di violazione del copyright o ove i soggetti e gli autori avessero qualcosa in contrario alla pubblicazione, si prega di darne immediata segnalazione alla redazione della rivista - scrivendo all’indirizzo info@trasportiecultura.net – e questa provvederà prontamente alla rimozione del materiale stesso, previa valutazione della richiesta. 99