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In copertina: Nave passeggeri nel bacino di San Marco a Venezia (foto di Oriana GIovinazzi).
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93 DINAMICHE SULL’OCEANO INDIANO: TRASFORMAZIONI SULL’INTERFACCIA CITTÁ/PORTO
Rivista quadrimestrale gennaio-aprile 2015 anno XV, numero 41 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia Via Venti Settembre 30/A – 37129 Verona e-mail: info@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it per invio materiale: casella postale n. 40 ufficio postale Venezia 12, S. Croce 511 – 30125 Venezia Comitato Scientifico Giuseppe Goisis Università Ca’ Foscari, Venezia Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni Ecole Nationale Supérieure d’Architecture, Strasburg Marco Pasetto Università di Padova Franco Purini Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Università Iuav, Venezia Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais Maria Cristina Treu Politecnico di Milano
5 PORTI E CITTÁ di Laura Facchinelli
7 LE AREE PORTUALI DISMESSE: INTERAZIONI CON LA CITTÁ di Oriana Giovinazzi
15 VENEZIA: IL PORTO COME RISORSA PER LO SVILUPPO ECONOMICO DELLA CITTÁ
29 PERCORSI DI RIQUALIFICAZIONE: IL NUOVO WATERFRONT DI MARINA DI CARRARA di Francesco Messineo e Sergio Beccarelli
37 CATANIA: VERSO UNA POSSIBILE INTEGRAZIONE PORTO-CITTÁ di Elena Cocuzza, Matteo Ignaccolo e Giuseppe Inturri
45 PORTI ITALIANI, RUOLO NEL MEDITERRANEO E SCENARI FUTURI di Oriana Giovinazzi
53 LA RIGENERAZIONE URBANA DEL PORTO DI AMBURGO di Chiara Mazzoleni
69 LA RISCOPERTA DEL WATERFRONT DI ROTTERDAM
di Andrè Fernandes
Pubblicato a Venezia nel mese di aprile 2015 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998
111 CONFLITTI E SFIDE NELL’USO DEGLI SPAZI: IL COMPLESSO DI CAPUABA, PORTO DI VITÓRIA di Flavia Nico Vasconcelos e Felipe Beltrane
di Francesco Gastaldi
La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net
Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S
di Yves Boquet
di Paolo Costa
Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine
2015 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina
103 LA RELAZIONE TRA CITTÁ E PORTO IN ASIA
23 GENOVA E LA SPEZIA, DIFFICILI TRANSIZIONI PER SUPERARE IL ‘900 INDUSTRIALE
61 PROGETTI DI RECUPERO DI AREE INDUSTRIALI DISMESSE SULL’ESTUARIO DEL TAGO
La rivista è sottoposta a referee
di Annick Miquel
di Tom Daamen, Martin Aarts, Menno Huijs e Walter de Vries
77 BORDEAUX E LIONE: VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO CULTURALE NELLA RIGENERAZIONE DEI WATERFRONT di Assunta Martone, Marichela Sepe e Serena Micheletti
85 IL RIFLESSO DEL PORTO. IL PROGETTO TANGER PORT FRA PROMOZIONE POLITICA E FRAMMENTAZIONE URBANA di Zeila Tesoriere
117 NEW YORK, CITTÁ E PORTO: QUALE FUTURO? di Pierre Gras
125 DA DESPINA A VALDRADA, ETEROTOPIE DEL GOLFO PERSICO di Cecilia Scoppetta
137 UN PORTO E UNA CITTÀ DEL BASSO CORSO DEL DANUBIO: BRĂILA di Alexandru Damian
141 PORTO VECCHIO A TRIESTE, UN’ASSORDANTE CATTEDRALE DI SILENZIO di Marta Moretti
145 CITTÁ SOTTERRANEA, CITTÁ SMART: IL CONVEGNO DI NAPOLI di Giuseppe Mazzeo
149 LOGISTICA E TRASPORTO MARITTIMO. UN FOCUS GROUP DEI PROTAGONISTI CAMPANI di Alessandro Panaro
151 TRASPORTI, CULTURA, ARCHITET TURA: PRESENTAZIONE DEL N. 38 DI T&C A PALERMO di Zeila Tesoriere
155 PONTE SULLO STRETTO, PER VALORIZZARE IL MERIDIONE E RILANCIARE L’ECONOMIA ITALIANA. UN CONVEGNO A ROMA di Laura Facchinelli
TRASPORTI & CULTURA N.41
Ports and cities by Laura Facchinelli
Ports are complex entities, entities with a double identity, between transport and city. The context of transport makes the presence of a port an economically significant factor: cities on the sea that have large efficient ports enjoy a definite advantage. A port is history, it entails the development of infrastructure and hence the physical transformation of the territory. But the existence of wharves, warehouses, silos, cranes, tracks, traffic arteries and specialized professions, over time, led to a permanent separation from the adjacent urban context. With regards to the city, the enclosure around the port area creates a situation of closure and exclusion. The seafront is hidden from view, and this has caused the inhabitants to consider port areas exclusively as no-trespass operational areas, with a human component that does not lend itself to integration and a problematic residential environment all around it, often in decline. How did this port situation develop? Recent years have witnessed a rapid technical and functional transformation of maritime shipping, with an increased reliance on containers and the construction of larger ships that can hold a growing number of them. This phenomenon has required the size and equipment of ports to be reconsidered. As a result, ports have often abandoned the spaces adjacent to residential areas, because they had become too small, and moved to locations that could readily allow immediate expansion, with the potential for greater growth in the future. We recently explored these dynamics in issue n. 39 of the magazine, dedicated to logistics. And so the city was left with abandoned areas, configured for functions that had ceased to exist there, but were still part of the collective memory. Slowly the community took possession again, both physically and psychologically, of these formerly “forbidden” spaces. And began to plan a different use for them, related to the life of the city. This is the theme we will address in this issue. The curator has also chosen a number of exemplary case studies of the adaptive re-use of port areas, with attention to experiences not only in Italy, but in various cities throughout Europe, Asia, North Africa and the Americas. This is one of the most ample surveys we have ever concentrated in a single issue of our magazine. I will leave it to the curator herself, in her introduction, to describe the different realities that have been explored by the authors of the articles. What I wish to underline is, once again, the importance of intelligent design in achieving satisfactory results in the re-development of former port spaces: only a good architectural design and a mature and practical concept from the city-planning point of view, will make it possible to restore enjoyable, livable and well-integrated spaces to the city, balanced between the innovation of spaces and forms, on the one hand, and the due conservation of industrial archaeological structures that deserve to be preserved for the future, on the other. Naturally, in addition to the planning concept, there is also a need for good government from a political and administrative point of view: but this is a quality that often seems relegated to the level of theory and good intentions, declared and never followed through. The citizen is disappointed. But he is also passive and uninformed. This is the same old problem, which we have pointed out before: the evolved, cultured and up-to-date citizen must choose the right administrators and monitor their results to make certain they are pursuing the interests of the city. Eschewing the glitter of highfaluting names and the banality of “it doesn’t matter how”. The greatest thing, for a city on the sea, is to take back its own waterfront. From the point of view of the landscape, this is a renaissance, an urban core opening up to new lifestyles for individuals, opening up trails that were once impossible and brand new perspectives. And it all started with the necessary distinction, which has finally been made, between the technical, functional and economic dimension (maritime shipping, to be precise) and the dimension of livability and beauty. Economic wellbeing, and psychological and physical wellbeing: two aspects that can only express themselves fully, in this case, in separate contexts.
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TRASPORTI & CULTURA N.41
Porti e città di Laura Facchinelli
Il porto è una realtà complessa, una realtà che ha una fisionomia duplice, fra trasporto e città. Con riferimento alla prima dimensione, la presenza di un porto è un fattore economicamente rilevante: si pensi alla condizione fortunata delle città che si affacciano sul mare con un grande porto efficiente. Un porto è storia, è sviluppo delle infrastrutture e quindi trasformazione fisica del territorio. Ma proprio la presenza di banchine, magazzini, silos, impianti di sollevamento, binari, arterie stradali, operatori specializzati ha determinato, nel tempo, una condizione di separatezza dall’adiacente contesto urbano. Riguardo alla città, la perimetrazione dell’area portuale è una condizione che chiude ed esclude. Il fronte mare è impedito allo sguardo, e questo ha determinato, negli abitanti, la consuetudine a considerare l’area-porto come solo operativa, non percorribile, con realtà umane difficilmente integrabili e un contesto residenziale, tutt’intorno, problematico, spesso in degrado. Come si è sviluppata la situazione dei porti? Negli anni recenti c’è stata una rapida trasformazione tecnicofunzionale del trasporto marittimo, che ha visto un uso sempre più esteso del container e la costruzione di navi sempre più grandi per contenerne un numero crescente. Questo fenomeno ha comportato un ripensamento anche dei porti, per dimensioni e attrezzature. Così il porto ha abbandonato, spesso, gli spazi adiacenti all’abitato, divenuti troppo angusti, per trasferirsi in territori più adatti a un’espansione immediata, con potenzialità per un’ulteriore crescita in futuro. A queste dinamiche abbiamo dedicato approfondimenti nel n. 39 della rivista, dedicato alla logistica. E dunque la città si è trovata con aree dismesse, configurate per funzioni ormai estranee, ma presenti nella memoria collettiva. Poco a poco la comunità ha ripreso possesso, fisicamente, ma anche psicologicamente di quegli spazi prima “vietati”. E ha cominciato a progettarne un uso diverso, un uso legato alla vita della città. Ecco, questo è il tema affrontato in questo numero. La curatrice ha scelto alcuni casi esemplari di riuso delle aree portuali, con lo sguardo aperto alle esperienze maturate non solo in Italia, ma anche in varie città di Europa, Asia, Nordafrica, Americhe. È un panorama fra i più vasti che siamo riusciti a concentrare in un unico numero della nostra rivista. Lascio alla curatrice stessa delineare, nel suo testo introduttivo, le differenti realtà che sono state approfondite dagli autori degli articoli. Quello che vorrei sottolineare è, ancora una volta, l’importanza dell’intelligenza progettuale per ottenere un buon risultato sul piano della rielaborazione degli spazi ex-portuali: solo un buon disegno architettonico e un’idea matura e concreta sul piano urbanistico consentono di restituire alla città spazi piacevoli, vivibili, integrati. In equilibrio fra innovazione di spazi e forme, da un lato, e, dall’altro, la doverosa conservazione delle archeologie industriali che meritano di essere tramandate ai posteri. Naturalmente, oltre all’idea progettuale, occorre anche capacità di buon governo sul piano politico-amministrativo: è, questa, una qualità che spesso sembra relegata al piano della teoria e delle intenzioni proclamate ma poi disattese. Il cittadino è deluso. Ma è anche disinformato e passivo. È questo il solito problema sul quale abbiamo spesso puntato il dito: il cittadino evoluto, colto e aggiornato sceglie gli amministratori giusti e controlla che il loro operato risponda agli interessi della città. Superando la scenografia dei nomi altisonanti e le banalità del “non importa come”. La cosa più bella, per una città di mare, è riprendere possesso del proprio waterfront (“fronte d’acqua”, per usare la bella lingua italiana). È una rinascita sul piano paesaggistico, un nucleo urbano che si apre a nuove abitudini degli individui, con percorsi prima impossibili e inediti punti di vista. E il tutto ha avuto origine dalla distinzione, necessaria, finalmente attuata, fra la dimensione tecnica, funzionale, economica (quella del trasporto marittimo, appunto) e quella della vivibilità e bellezza. Benessere economico e benessere psico-fisico: due aspetti che solo in contesti separati, in questo caso, possono esprimersi compiutamente.
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TRASPORTI & CULTURA N.41
Le aree portuali dismesse: interazioni con la città di Oriana Giovinazzi
A partire degli anni ’60, il passaggio da una fase di forte sviluppo legata all’industrializzazione ad una nuova fase post-industriale ha determinato importanti processi di trasformazione che hanno inizialmente interessato i principali porti del Nord America, e successivamente dell’Europa, con conseguenti effetti sul tessuto urbano e sulla base economica delle città portuali. La containerizzazione e il gigantismo navale, le nuove tecnologie di movimentazione delle merci, i sistemi logistici avanzati, le attività ad alto contenuto di innovazione hanno generato in molti casi la delocalizzazione delle funzioni industriali e portuali, nonché la dismissione di numerose infrastrutture, con il progressivo trasferimento in aree periferiche o su terreni artificiali. Questa situazione ha prodotto effetti sorprendenti in particolare nelle grandi città portuali, ad esempio quelle asiatiche, dove la fase di maggiore espansione portuale degli anni ’60-‘70 ha portato allo sviluppo di un gran numero di piattaforme portuali e industriali realizzate sull’acqua (Kobe, Osaka, Incheon, Fukuyama, Shanghai, etc.). Gli scali hanno abbandonato i siti di origine prossimi ai grandi centri urbani per baie più o meno vicine, argini costieri e isole artificiali in grado di garantire una maggiore capacità portuale. Le innovazioni tecnologiche e la ricerca di nuove aree di espansione non condizionate dall’occupazione urbana, per poter garantire una maggiore competitività portuale, una migliore accessibilità marittima e il coordinamento tra i diversi sistemi di trasporto, hanno prodotto quindi un cambiamento di scala del porto e l’allontanamento dalla città, una separazione determinata per lo più dalla dissociazione spaziale e da interessi contrapposti nel passaggio da una logica portuale ad una logica prettamente urbana.
Deindustrializzazione ed evoluzione tecnologica: gli effetti sulle aree portuali e industriali La dismissione di grandi complessi industriali localizzati in aree periferiche, e per lo più situati su territori particolarmente estesi (diverse centinaia di ettari), ha interessato un numero piuttosto consistente di casi, generando problematiche rilevanti dal punto di vista ambientale. Nel corso della transizione post-industriale, a seguito del progressivo abbandono degli edifici e della chiusura degli impianti produttivi, questi ambiti dismessi sono diventati territori obsoleti e disconnessi dalla rete
Abandoned port areas: interaction with the city by Oriana Giovinazzi The port has long been a permeable area, physically contiguous, separate but complementary to the urban fabric, and functionally interdependent; it has been an area of interface between land and water that has established various forms of relationship with the city, often determining the expansion and accumulation of wealth. Several factors have triggered separation processes between the city and the port, working over time at a variety of scales and in different spatial and technological conditions, and raising questions about the identity of the port and industrial areas as commercial and productive spaces, turning them into generic suburbs and abandoned brownfields. The transformations undergone by industrial and port cities in the second half of the twentieth century, as seen in the extraordinary dynamics of spatial redevelopment and functional reconversion which have affected unused and obsolete areas, undoubtedly represent a major opportunity for urban development in the contemporary era. The waterfront redevelopment processes were able to reinterpret, in natural and artificial forms, the time and practices of the globalized world, picking up new signs and symbols to complement the traces of the past. In particular, the more recent processes were able in many cases to change the perception of the urban waterfront and port, projecting a new, dynamic and creative image on the international scene, through the creation of new relationships between spaces, ancient uses and future scenarios, between urban image and economic-productive development, cultural heritage and landscape.
Nella pagina a fianco, da sinistra a destra, dall’alto in basso: Malaga, il nuovo terminal delle crociere in città; Santander, una delle aree del waterfront riqualificate; Malaga, El Palmeral de las Sorpresas; Bilbao, il Guggenheim Museum; Barcellona, il waterfront e le aree portuali riprogettate. Le foto sono di Oriana Giovinazzi.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 infrastrutturale, con conseguenti impatti in termini di degrado non solo fisico e ambientale ma anche sociale, e nei casi più “fortunati” con la cessione delle aree a società a forte partecipazione pubblica o a soggetti privati in grado di finanziare le vaste operazioni di riconversione. I fronti d’acqua della riva sud dell’Estuario del Tago, in prossimità del porto di Lisbona, costituiscono un esempio in tal senso. Qui negli anni ’40 sono nati tre grandi complessi industriali interessati a partire dal 2008 dal progetto di rigenerazione Arco Ribeirinho Sul (ARS), in cui il ruolo di promotore e coordinatore operativo è stato affidato ad una società di capitali a partecipazione prevalentemente pubblica (Arco Ribeirinho Sul Sociedade). Il progresso tecnico e la modernizzazione industriale hanno prodotto in numerose esperienze effetti sociali negativi, in particolare in paesi e città ad elevata densità di popolazione dove l’esigenza di manodopera non qualificata è risultata notevolmente ridotta, e dove non si è verificata l’opportunità di ottenere un effetto moltiplicatore sull’occupazione industriale, guardando alla disponibilità di spazi nell’entroterra delle città portuali e allo sviluppo di nuovi collegamenti con il waterfront. Negli ultimi decenni la riqualificazione dei waterfront portuali e il recupero degli ambiti industriali dismessi sono al centro di grandi progetti di riconversione urbana, in particolare per quanto riguarda i porti localizzati nel cuore delle città storiche, o comunque compresi all’interno di un territorio densamente urbanizzato affacciato sull’acqua. La deindustrializzazione dei “vecchi” porti, insieme all’abbandono delle banchine, porta infatti con sé il degrado dei quartieri adiacenti, restituendo un’immagine di progressivo decadimento di aree spesso limitrofe al centro urbano. In risposta a tale situazione, molte città portuali nel contesto internazionale hanno manifestato il desiderio di ripensare nuove forme di relazione tra porto e città, tutelando il patrimonio e l’identità del loro fronte d’acqua che, con il trasferimento delle attività verso altri siti, ha perso del tutto o in parte la sua funzione ma ha conservato alcune tracce del passato e della sua storia. A livello internazionale appare evidente l’interesse per la ricerca di un “modello” finalizzato alla valorizzazione dei waterfront - un tempo ritenuti pressochè privi di valore se non quello funzionale - che oggi riscoprono la loro identità strettamente legata all’acqua, nonché il ruolo importante di una nuova connotazione spaziale e funzionale che, in relazione alle risorse territoriali e paesaggistiche disponibili, si è dimostrata capace di promuovere città che integrano la dimensione portuale, siano esse grandi metropoli o piccoli centri urbani. In realtà un modello unico non esiste. Si possono invece rilevare situazioni che, se differiscono per superfici interessate, strumenti e metodi adottati, dal punto di vista delle relazioni tra città e porto, in termini di scelte di governance, nonché di proposte progettuali e relativi effetti sul territorio, presentano tuttavia alcuni elementi comuni, problematiche e sfide condivise. A dimostrarlo è anche uno studio pubblicato nel 2014 dall’Observatoire Villes Ports Océan Indien (OVPOI) che ha preso in esame le dinamiche delle aree portuali presenti in 6 diversi paesi del SudOvest (Port Louis, Durban, Città del Capo, Port Elizabeth, Tamatave e Mombasa) interessate da progetti di trasformazione dell’interfaccia città-porto. 8
Dismissione e riqualificazione: occasioni per le città sull’acqua In numerose esperienze, il fenomeno della dismissione di aree industriali e portuali non più funzionali alle esigenze contemporanee si è trasformato in un’opportunità; questo è accaduto quando le sinergie tra attori ed interessi sono state capaci di tradurlo in potenzialità, tanto da arrivare nel XXI secolo ad attribuire a tali aree un vero e proprio ruolo nei processi di riqualificazione urbana, in quanto catalizzatori di risorse e nuove funzionalità. In Europa le maggiori città portuali (Barcellona, Valencia, Malaga, Marsiglia, Glasgow, Dublino, Liverpool, Anversa, Oslo, Copenhagen, Helsinki, solo per citarne alcune) si sono focalizzate sullo sviluppo del waterfront con strategie volte a promuovere la loro crescita urbana e lo sviluppo territoriale. L’importanza della relazione tra la città e il porto è emersa nel contesto europeo anche nelle piccole e medie realtà, che hanno scelto di delocalizzare le attività industriali e commerciali in aree esterne al centro urbano, recuperando spazi e strutture sull’acqua per la creazione di spazi pubblici ed aree ricreative. La stessa tendenza si osserva in America e in Asia dove le grandi metropoli (Baltimora, Boston, San Diego, Toronto, Kobe, Seul, Singapore, Shanghai, etc.), come le città medie e le piccole comunità stanno investendo sulla valorizzazione delle aree portuali. I processi di sviluppo e riqualificazione del waterfornt sono diventati più di recente una realtà anche in Australia (Sydney, Melbourne, etc.) e in Nuova Zelanda (Wellington, Auckland, etc.). La tendenza alla riqualificazione urbana del waterfront portuale si è diffusa oltre i litorali del mondo avanzato per raggiungere i paesi di nuova industrializzazione e lambire le regioni più povere dei paesi in via di sviluppo: anche qui si cerca di rivalutare il patrimonio urbano-portuale e di trovare le modalità per conservare e riutilizzare elementi a lungo trascurati in ambiti territoriali affacciati sull’acqua. L’Africa offre numerosi esempi di conservazione attiva e di recupero dell’interfaccia città-porto, come esperienze interessanti di processi di sviluppo (Cape Town, Lamu, Mombasa, Zanzibar, etc.). Dall’analisi di diversi casi emerge chiaramente la complessità dei processi di riconversione industriale e di riqualificazione urbana del waterfront portuale: acquisizione e gestione dei territori; definizione di obiettivi strategici di sviluppo nella relazione tra il porto e la città; continuità o ridisegno architettonico-paesaggistico e rifunzionalizzazione delle aree; accessibilità e fruibilità degli spazi; ricerca di investimenti per la realizzazione degli interventi, etc. Tuttavia le numerose esperienze di “successo” testimoniano come l’apertura e la fruizione pubblica del waterfront possa diventare un’occasione non solo per restituire un luogo affascinante a residenti e turisti, ma anche per risolvere importanti criticità legate ad esempio al sistema della mobilità urbana, alla disoccupazione, alla scarsa disponibilità di strutture e servizi di interesse comune, alla carenza di spazi aperti e di aree verdi, con la finalità di delineare scenari futuri più sostenibili, che non prevedano ad esempio un ulteriore consumo di suolo ma il recupero e la valorizzazione degli insediamenti esistenti, o l’eventuale densificazione degli stessi se necessario ed opportuno. Su questi aspetti sta lavorando la città di Cata-
TRASPORTI & CULTURA N.41 nia, dove la vicinanza al centro storico, il rapporto unico e di grande valore con il mare, la presenza di numerose strutture e servizi, insieme all’elevata accessibilità garantita dal trasporto pubblico, conferiscono un ruolo strategico all’area portuale - considerata uno dei principali poli attrattori del territorio - ma dove tuttavia la possibile interazione tra porto e città risulta fortemente penalizzata dalla presenza di problematiche e criticità di diversa natura. La dimensione estesa e lo stato di degrado e di contaminazione, in cui versano alcune aree dismesse, rendono necessari processi piuttosto complessi, che implicano pertanto la definizione di strategie a lungo termine principalmente finalizzate a risolvere le problematiche connesse alla bonifica dei siti, e solo successivamente al ripensamento della base economico-produttiva, al rafforzamento della loro centralità per un maggior equilibrio territoriale, alla valorizzazione di paesaggi d’acqua spesso unici. Venezia ha vissuto a partire dagli anni ’70 una profonda rivoluzione produttiva legata alla crisi delle attività chimiche di Porto Marghera, parzialmente risolta con il progressivo rafforzarsi delle attività connesse al turismo che, puntando sul patrimonio della città e sul paesaggio straordinario della laguna, hanno garantito il benessere della comunità. Ancora oggi tuttavia ci si interroga sul futuro di questa vasta zona industriale e sull’individuazione nello sviluppo della portualità commerciale, nelle attività logistiche e nel terziario avanzato di una base economica alternativa, che induca le imprese a scegliere di insediarsi o di restare a Marghera, investendo sulle aree proprio per le loro peculiarità. Diverso invece il caso in cui le aree, non soggette ad una lunga o consistente permanenza delle attività industriali, risultano scarsamente contaminate e pertanto consentono processi di trasformazione più rapidi, con una tendenza prevalente al recupero a fini urbani che prevede l’insediamento di complessi residenziali e turistici di lusso. La costruzione del megahub containerizzato (Tanger Med) nella regione di Tanger-Tétouan ha liberato le superfici del vecchio porto dalle sue funzioni commerciali, avviando in tempi brevi un grande progetto di riconversione che trasforma radicalmente il fronte d’acqua e ambisce a collocare la città fra le dieci principali mete turistiche del Mediterraneo entro il 2020. Dai processi di riqualificazione che interessano in generale le aree industriali e portuali dismesse, risultano pressoché differenti, sia per soggetti che per interessi coinvolti, le dinamiche che riguardano arsenali e aree militari, spesso costretti a conservare un ruolo nel settore della difesa, dove tuttavia le evoluzioni recenti negli assetti geopolitici internazionali e le nuove modalità di reclutamento consentono di ripensare forme di relazione con la città, aprendo in parte tali aree a destinazioni funzionali alternative. La Spezia ha avviato di recente un processo di riconversione che punta alla ricerca di un equilibrio tra le diverse vocazione del territorio e alla valorizzazione delle sue molteplici risorse - dalle attività economiche tipiche della tradizione portuale ed industriale al settore turistico e culturale - scegliendo di conservare in parte il ruolo nel settore militare e della difesa che ha avuto l’Arsenale, ma integrandolo con nuove destinazioni d’uso. Nel complesso le operazioni di riqualificazione urbana rappresentano una reale opportunità
per le città industriali e portuali di ripensare l’organizzazione del loro territorio, creando ambiti di forte attrazione in grado di generare nuovi flussi, attraverso opportune e specifiche strategie sia di sviluppo economico che di rivitalizzazione sociale e culturale. I modi e le intensità delle trasformazioni - Sul territorio urbano-portuale le modalità di trasformazione presentano, in relazione alle diverse esperienze, caratteristiche differenti, all’interno delle quali è tuttavia possibile riconoscere alcuni elementi comuni. Dalle proposte progettuali, già realizzate o in corso per la riqualificazione dei fronti d’acqua, emergono infatti alcune tendenze rilevanti: la multifunzionalità (cultura, residenza, commercio, terziario, etc.), la valorizzazione immobiliare, l’attenzione ai temi della sostenibilità e al valore paesaggistico, il ruolo dello spazio pubblico, la promozione dell’immagine della città portuale. Spesso i progetti propongono la riorganizzazione e la valorizzazione dell’esistente anche in risposta a problematiche specifiche di carattere sociale e culturale (carenza di spazi pubblici, degrado del patrimonio architettonico, alto livello di disoccupazione, domanda di residenzialità, etc.), che riguardano non solo la collettività locale ma le differenti tipologie di fruitori. Nei diversi processi la definizione di indirizzi e di scelte strategiche relativi alla zonizzazione e alla rifunzionalizzazione dello spazio, nonché all’immagine che viene restituita in termini di soluzioni architettoniche e di arredo urbano, acquista un ruolo determinante se connessa all’identità territoriale, in quanto elemento di differenziazione e specificità locale in un contesto ormai globalizzato. Per le specifiche modalità di ridefinizione degli assetti socio-economici, e di conseguenza della struttura urbana, in alcuni contesti geografici - come i Paesi del Golfo ad esempio - più che rigenerazione del waterfront occorre parlare di una “generazione” del tutto nuova. Qui una serie di circostanze (caduta dell’impero ottomano, rivoluzione petrolifera, avvio dell’esportazione su vasta scala, etc.), determinatesi in un arco temporale piuttosto breve, hanno trasformato i piccoli centri portuali in capitali internazionali del lusso e del benessere, caratterizzate da nuovi stili di vita e improntate ad un insostenibile consumismo, con rilevanti investimenti in settori strategici e in interventi spesso di portata eccezionale. Il carattere attrattivo del fronte d’acqua - Se il waterfront urbano-portuale appare come una realtà urbana complessa che chiama in causa differenti
1 - Madeira, il nuovo terminal delle crociere. Foto di Oriana Giovinazzi.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 fattori, molteplici livelli di competenza, campi disciplinari diversificati, numerosi interessi spesso difficili da gestire e che rendono difficoltoso un approccio integrato, è altrettanto evidente la sua ricchezza in termini di risorse e di potenzialità. Luogo scenografico di grande visibilità, il waterfront esercita da sempre un’attrazione e un fascino particolare, non solo in termini di valore immobiliare, per la localizzazione strategica sul bordo d’acqua e/o limitrofa al tessuto storico, ma anche dal punto di vista socio-culturale e paesaggistico, attestandosi come una grande opportunità di sviluppo per i territori urbani limitrofi. La prossimità al fronte d’acqua rappresenta infatti un vantaggio competitivo per numerose attività a carattere urbano (uffici, negozi, attività turistiche, residenze, etc.), anche in termini di accessibilità al porto e di trasporto marittimo.
2 - Malmö, l’area riqualificata di Anchor Park.
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La valorizzazione di risorse e caratteristiche specifiche - Le vecchie aree portuali e industriali dismesse presentano spesso caratteristiche uniche ed autentiche, risorse e qualità specifiche, che valorizzate potrebbero favorire il riposizionamento della città su nuovi scenari di competitività, e alle quali pertanto è opportuno fare riferimento nel delineare gli obiettivi e le strategie della riqualificazione. La capacità di scegliere la specializzazione per lo sviluppo implica necessariamente una conoscenza dettagliata delle caratteristiche che rendono un fronte d’acqua speciale ed unico, conoscenza che sta alla base dei processi di riscoperta e di tutela identitaria del luogo e del suo patrimonio. In questo senso diventa importante la ricerca di una possibile integrazione e di un equilibrio tra le diverse “vocazioni” territoriali, in uno sforzo che richiede inoltre la ricomposizione dei diversi interessi. Una realtà fortemente dinamica come Ravenna, interessata da interventi recenti o in corso, finanziati da soggetti pubblici e privati, e finalizzati a ridisegnare il futuro del waterfront, ha scelto la nautica e l’innovazione per costruire una nuova relazione tra la città e il porto-canale che, mettendo a sistema tutte le località del vasto territorio costiero, consente di valorizzare la vocazione specifica di ognuna all’interno di progetto coerente, destinato a diventare l’elemento “attrattore” di nuovi investimenti, in quello che è considerato un settore strategico per il futuro della città e per il rilancio dell’economia locale.
Il ruolo dei grandi eventi temporanei - Un’attenzione particolare va riservata ai grandi eventi temporanei che sono alla base di alcuni tra i più interessanti casi di waterfront redevelopment. Tanto in Europa come nel contesto internazionale, gli effetti di queste manifestazioni hanno reso alcune città d’acqua le protagoniste indiscusse delle vicende urbane più recenti. L’accesso a consistenti ed eccezionali finanziamenti, la certezza dei tempi di realizzazione e la straordinaria opportunità hanno permesso di trasformare occasioni temporanee in acquisizioni durature nel tempo. Coniugare turismo e cultura, puntando sulla risorsa acqua e sul marketing territoriale, è una formula diffusa e ormai consolidata da esperienze di successo per restituire una nuova immagine urbana delle città portuali e delle aree industriali dismesse scelte per ospitare i grandi eventi. È quello che è accaduto a Genova, sede nel 1992 dell’Expo colombiana per i 500 anni della scoperta dell’America, nel 2001 del Vertice G8 dei capi di stato e Capitale Europea della Cultura nel 2004, eventi che hanno giocato un ruolo decisivo nei processo di riqualificazione dell’antica area portuale avendo messo in campo ingenti risorse economiche, attivato capitale sociale e rilanciato l’immagine del centro storico e della città, con interessanti ricadute nel settore turistico e culturale.
La ridefinizione della struttura economica e dei sistemi di relazione Le città portuali del XXI secolo possono essere assunte nell’analisi delle dinamiche economiche, degli assetti spaziali e delle forme sociali come strumento utile a “leggere/interpretare” i recenti processi di trasformazione urbana; un punto di vista privilegiato per osservare la città contemporanea nelle sue molteplici fratture, discontinuità e articolazioni. I mutamenti radicali che le città portuali hanno conosciuto a livello internazionale negli ultimi decenni riflettono infatti le evoluzioni fisiche e relazionali del modo di abitare e vivere oggi i territori, i nuovi fenomeni sociali e culturali che stanno rapidamente modificando gli stili di vita e di consumo, lo spazio del quotidiano e la pratica dei luoghi. In tale contesto i progetti per la riqualificazione delle aree industriali e portuali dismesse devono prestare una particolare attenzione non solo all’immagine e all’identità territoriale ma anche agli aspetti più strettamente legati alla trasformazione della struttura economica e sociale, dove la sfida principale è rappresentata dall’implementazione di un processo di diversificazione in cui, accanto alla valorizzazione delle attività tipiche della tradizione portuale ed industriale (logistica, terziario innovativo e avanzato, cantieristica, etc.), venga attribuito un ruolo importante anche ad altri settori, come il turismo e la cultura ad esempio. Nel rispetto delle strategie di sviluppo individuate nel Piano Operativo Triennale e in linea con le indicazioni del nuovo Piano Regolatore Portuale, l’Autorità Portuale di Taranto ha avviato un processo di riorganizzazione dell’assetto portuale e di integrazione tra porto e territorio che affianca ad una politica di promozione dello scalo, in quanto piattaforma logistica intermodale, un ampio programma di riqualificazione del waterfront urbano, fortemente
TRASPORTI & CULTURA N.41 incentrato sull’auspicabile incremento del traffico crocieristico e sullo sviluppo del settore turistico.
Il rafforzamento delle attività portuali e logistiche La presenza di un porto ancora in attività costringe in molti casi ad elaborare proposte progettuali che necessariamente devono essere pensate in modo da poter coniugare le logiche e le ambizioni di sviluppo del porto con quelle della città. A Marina di Carrara le proposte progettuali interpretano il porto non come mero elemento da occultare, bensì come importante testimonianza dell’evoluzione storica del territorio, e sono orientate a migliorarne la funzionalità e le connessioni in piena coerenza con gli indirizzi e le strategie Piano Regolatore Portuale. Gli interventi previsti consentono allo stesso tempo di conseguire la riqualificazione funzionale, architettonica e paesaggistica dell’interfaccia città-porto e di ridisegnare un sistema di relazioni tra il centro urbano e gli ambiti portuali, restituendo alla collettività il fronte d’acqua, anche nell’ottica di uno sviluppo turistico sostenibile ed integrato con lo straordinario patrimonio territoriale e paesaggistico locale. Se in numerose esperienze si assiste al potenziamento dell’offerta di infrastrutture a servizio dei traffici commerciali, dei servizi logistici, della cantieristica nautica, delle crociere e del diporto - con la realizzazioni di nuovi terminal marittimi e di porti turistici - tendenzialmente gli scenari per lo sviluppo e la riqualificazione degli ambiti portuali sono orientati alla ridefinizione di nuove forme di relazione tra porto e città, mediante la restituzione alla collettività di fronti d’acqua fruibili, il recupero funzionale delle strutture, l’incremento di servizi e spazi pubblici, la disponibilità di nuove connessioni. La diversificazione funzionale in ambito urbano - La ricerca di nuove attività da insediare sugli ambiti urbano-portuali è orientata in particolare verso settori in grado di rafforzare l’immagine territoriale e di garantirne la fruibilità sulla base di modelli occupazionali che privilegino sia l’efficienza del sistema multifunzionale che la qualità architettonica degli interventi. Nuove destinazioni d’uso (commerciali, direzionali, residenziali, ristorazione e accoglienza, industrie creative, ricerca e innovazione, etc.), accanto alle funzioni portuali tradizionali (nautica da diporto, pesca, cantieristica, trasporto pubblico su acqua, attività crocieristiche, etc.), contribuiscono a reintegrare il porto nel tessuto urbano migliorandone la percezione collettiva, mentre la creazione di spazi pubblici, parchi e aree verdi consente di razionalizzare la ripartizione dello spazio tra le differenti funzioni. Questo approccio propone una prospettiva di rigenerazione delle aree in cui le funzioni portuali non vengono sostituite rapidamente dalle funzioni urbane, ma integrate, così che il porto e la città possano coevolvere in modo organico ed armonico. I processi di riqualificazione dei fronte d’acqua che intercettano quindi la domanda emergente sia di attività terziarie che di funzioni residenziali - con il recupero di vecchi magazzini e di strutture industriali in disuso e la realizzazione di innesti urbani - si sono rivelati in alcune esperienze, tra le quali Amburgo, una strategia di successo e il volano per la riconversione immobiliare di aree portuali più permeabili affacciate sul waterfront. L’identità della città portuale per lo sviluppo turistico e culturale - Utilizzata per la valorizzazione del patrimonio storico-architettonico e dell’identi-
tà culturale delle città portuali, ma anche per la promozione del potenziale turistico, la presenza dell’acqua diventa tematica e scenario delle proposte progettuali per la riqualificazione. È riconosciuta come elemento qualificante per l’insediamento di strutture ricettive e di accoglienza (hotel di lusso, marina, residence, etc.), di attività culturali (musei marittimi, poli congressuali, sale multiplex, gallerie espositive, etc.), sportive (diporto nautico, campi da golf, etc.) e per il tempo libero (passeggiate, percorsi tematici, parchi, spiagge urbane, gallerie commerciali, etc.). Impegnata a promuovere processi di integrazione tra porto antico e tessuto urbano, Ancona sta puntando proprio sulla valorizzazione a fini turistici e culturali del suo patrimonio storico-architettonico e sulle possibili forme di interazione con il fronte d’acqua, proponendo una riorganizzazione dello scalo che contempla il recupero di una vasta area demaniale di particolare pregio, destinata a diventare elemento di raccordo tra i due ambiti. Nel ridisegno delle relazioni fra ambito urbano, porto e waterfront, in un’ottica di sviluppo integrato e sostenibile, risulta determinante la scelta di tutelare le risorse e l’identità dello straordinario patrimonio territoriale e paesaggistico presente sul bordo d’acqua. La valorizzazione dell’eredità storico-architettonica e culturale delle aree portuali può favorire, di fatto, la riappropriazione di tali luoghi da parte di residenti e turisti, generando un processo di sviluppo del territorio che non è solo economico ma anche sociale, e rafforzandone l’identità pur modificando o costruendo in alcuni casi una nuova immagine urbana. Particolarmente significativi in tal senso sono due progetti, Bordeaux Les deus Rives e Lyon Confluence, in quanto hanno posto una certa attenzione alla valorizzazione di un patrimonio fortemente legato al paesaggio d’acqua, con la finalità di incrementare l’attrattività delle aree e di contribuire al radicamento culturale di una nuova immagine delle rive fluviali, conservando e rafforzando, allo stesso tempo, i caratteri identitari dei singoli luoghi. La restituzione dei fronti d’acqua alla città - A partire dalle caratteristiche intrinseche, dal patrimonio e dalle peculiarità delle aree portuali e industriali dismesse, i processi di riqualificazione e rifunzionalizzazione consentono non solo il miglioramento della qualità e della fruizione dello spazio, salvaguardando inoltre la memoria storica e le risorse ambientali di questi luoghi “sensibili”, ma anche di ricucire la relazione tra il porto e la città. Ripristinare la relazione fisica e funzionale tra questi due ambiti territoriali, rendendo i fronti d’acqua accessibili e vivibili - attraverso un modello di occupazione urbana a struttura multifunzionale e dinamico, in cui la diversificazione degli usi, le attività ad alto valore aggiunto, l’utilizzo di tecnologie avanzate e il ridotto impatto per l’ambiente acquistano un ruolo fondamentale - consente in molti casi di creare nuove centralità urbane. Al desiderio della città di Napoli di riappropriarsi di parte dell’ambito portuale a stretto contatto con il tessuto urbano - nel rispetto delle esigenze strettamente legate al ruolo del scalo - ha tentato di dare una risposta il progetto proposto per ridisegnare sul waterfront uno spazio articolato e dinamico, in cui usi temporanei e specifici risultano integrati, e le connessioni spaziali tra porto e città sono ridefinite in funzione delle nuove esigenze, rafforzando alcune centralità e valorizzando il patrimonio storico-architettonico. 11
TRASPORTI & CULTURA N.41 L’accessibilità e i sistemi di relazione - Le aree portuali rappresentano oggi una risorsa e un’occasione per indirizzare e implementare il recupero ad usi urbani di ampie zone del territorio non più funzionali. Le operazioni di riqualificazione e valorizzazione necessitano tuttavia di essere supportate da interventi di riorganizzazione del sistema delle relazioni (potenziamento infrastrutturale, miglioramento dell’accessibilità, gestione efficiente dei flussi, etc.). Tra le criticità prevalenti che caratterizzano il sistema delle relazioni fra porto e città risultano generalmente non solo aspetti di natura architettonica, funzionale e percettiva - da ricondurre principalmente alla scarsa accessibilità delle aree, alla presenza di ambiti dequalificati e in disuso, all’assenza di percorsi pedonali - o la presenza di elementi che determinano la schermatura delle principali prospettive e visuali verso l’acqua, ma anche aspetti legati alla viabilità - dovuti alla sovrapposizione o intersezione dei flussi e alla commistione fra mezzi pesanti e traffico urbano- che generano fenomeni di congestione, riducendo l’efficienza e la sicurezza dei sistemi di mobilità in tali aree. L’ottimizzazione del sistema degli spostamenti può essere perseguita attraverso azioni di razionalizzazione e di specializzazione di percorsi ed accessi, finalizzate a ridurre la marginalità e il degrado di tali aree: inventario dei collegamenti esistenti e del potenziale sviluppo futuro; revisione dei piani della mobilità portuale e urbana; creazione di nuove connessioni anche ad uso esclusivo della mobilità pedonale e ciclabile o del trasporto pubblico; individuazione di nuovi assi e nodi di sviluppo per riorganizzare i diversi flussi traffico; miglioramento dell’accessibilità alle diverse parti del territorio, etc. Con problematiche del tutto simili si trova a dover fare i conti la comunità di Capuaba, situata in una zona adiacente al porto di Vitória (Vila Velha) e adibita ad area operativa, in una situazione in cui l’assenza di infrastrutture dedicate e la movimentazione intensiva delle merci, la mancanza di una pianificazione e di un coordinamento tra spazi di accesso e flussi, non consentono di distinguere le aree portuali da quelle urbane.
Visione futura, scelte strategiche e governance per l’interfaccia città-porto Per ridisegnare il futuro dei fronti d’acqua, risulta determinante una visione di medio-lungo periodo da cui emergano obiettivi chiari e coerenti per un processo che, se da un lato punta alla trasformazione delle aree, deve rispondere dall’altro ad esigenze specifiche e garantire la conservazione e valorizzazione dei caratteri identitari dei luoghi: le scelte relative all’uso del suolo devono avere una valenza strutturale e strategica integrata con il tessuto urbano (accessibilità, connessioni, spazio costruito, etc.); la programmazione temporale degli interventi deve prendere in considerazione la fattibilità delle opere e la disponibilità finanziaria per la realizzazione; e infine deve essere privilegiata la qualità e l’innovazione dei progetti in termini di forme e di usi e in un’ottica di sostenibilità. Uno sviluppo adattivo, flessibile e sostenibile - La nuova città portuale, complessa e stratificata, si è sviluppa nel corso del tempo nel segno dell’adat12
tamento, dello sfruttamento di risorse disponibili, della flessibilità, pertanto risulta spesso caratterizzata dalla presenza di reti di relazioni che si sovrappongono e si intersecano, dall’interazione di elementi diversificati, dalla permanenza di un passato che è tendenzialmente parte integrante del contemporaneo, dove le tradizioni e la cultura antica si coniugano con nuove forme di fruizione. I processi di trasformazione degli ambiti portuali e industriali dovrebbero avvenire secondo un approccio di tipo evolutivo ed adattivo a partire dall’esistente, con una particolare attenzione alla morfologia del territorio, all’identità culturale e al paesaggio in quanto patrimonio da tutelare. Dovrebbero essere supportati da politiche e azioni orientate a garantire uno “sviluppo sostenibile” che - in riferimento a diverse dimensioni, quella economica (controllo degli impatti sulle economie locali, produzione di nuova occupazione, etc.), quella urbana e ambientale (tutela e valorizzazione delle risorse storiche, architettoniche, naturali, etc.), quella socio-culturale (interazione tra società, cultura, tradizioni, identità locale, etc.) - non comprometta la possibilità, anche per le generazioni future, di perdurare nello sviluppo stesso, preservando la quantità e la qualità del patrimonio e delle risorse naturali e non. I piani che ridisegnano il futuro di tali aree dovrebbero essere caratterizzati pertanto da una certa flessibilità che consenta eventuali revisioni o perfezionamenti, nonché l’adattamento a nuove esigenze e a situazioni fortemente dinamiche tipiche dei territori tra terra e acqua, soggetti ad eventi (spesso disastrosi) prodotti dalla natura e/o dall’attività antropica, con forti ripercussioni a livello spazio-strutturale, funzionale, economico e sociale. Pianificare la resilienza del waterfront - Principi e “buone pratiche” da adottare nei processi di riqualificazione o di ricostruzione delle aree di waterfront per garantirne lo sviluppo sostenibile, dovrebbero allo stesso tempo essere orientati ad incrementare la “resilienza” del fronte d’acqua, ossia le potenzialità di tale sistema - costantemente in evoluzione - di reagire e di adattarsi a condizioni/situazioni particolarmente complesse, prodotte da eventi inattesi o di lungo periodo, da disastri naturali e antropici (inquinamento, cambiamenti climatici, uragani, tsunami, inondazioni, terremoti, eruzioni, etc.). L’uragano Sandy, che ha travolto la costa nordorientale degli Stati Uniti nell’ottobre 2012, ha messo in evidenza l’estrema fragilità delle città costiere e incoraggiato le autorità newyorkesi ad anticipare e a prevenire questo tipo di rischi climatici per rendere New York meno vulnerabile. Il progetto Vision 2020 se da un lato sostiene un ampliamento delle politiche di riconquista urbana del fronte d’acqua, dall’altro è finalizzato ad incrementare la resilienza climatica della metropoli, tutelando il patrimonio industriale e portuale lasciato in eredità alla città. Se non è possibile pianificare sistemi territoriali in grado di resistere completamente ai disastri naturali o prodotti dall’uomo, è comunque possibile incrementarne la “resilienza” e mitigare gli impatti che potrebbero generare sui waterfront, attraverso misure di riduzione della vulnerabilità e di previsione del rischio. Si punta quindi da un lato a garantire una soglia minima di funzionamento di fronte a condizioni estreme e a situazioni di emergenza, dall’altro ad indirizzare la visione del futuro verso una “finestra di opportunità”.
TRASPORTI & CULTURA N.41 A tal fine sarebbe opportuno implementare sulle aree di waterfront misure di prevenzione del rischio e di mitigazione degli effetti in stretta connessione con politiche e strategie di riqualificazione e di riconversione funzionale, elaborando una visione multidisciplinare e plurisettoriale, capace di tenere insieme le diverse scelte di governo del territorio dentro un quadro dinamico di analisi e scenari. La pianificazione dovrebbe puntare a ricreare sul fronte d’acqua un rapporto tra spazi, usi e visioni, tra immagine urbana e sviluppo sostenibile, mediante specifici strumenti territoriali, opportune strategie di finanziamento, e un dialogo costruttivo tra i diversi attori e gli esperti. L’importanza di un approccio trasversale e strategico - Solo in un numero limitato di casi i processi di riqualificazione delle aree di waterfront vengono avviati a partire da una pianificazione complessiva di interventi specifici, in altri l’implementazione avviene a partire da strategie messe in campo da grandi operatori immobiliari o società a partecipazione pubblico-privata, o a volte con la proposta da parte di una regia unica di singole azioni avviate per fasi successive spesso in assenza di un’effettiva programmazione. Tuttavia l’usuale approccio settoriale risulta essere piuttosto superato dalla necessità di un approccio trasversale e strategico, basato sulla pianificazione integrata dell’interfaccia città-porto (razionalizzazione della mobilità, recupero funzionale, rigenerazione urbana, fruibilità del fronte d’acqua, valorizzazione del patrimonio, sostenibilità, resilienza, etc.) e in grado di gestire le differenti criticità di carattere urbano e portuale. Se la conflittualità tra i differenti interessi del porto e della città - per lo più legati ad esigenze strettamente commerciali e logistiche per il primo, e alla riscoperta del valore identitario dei porti storici e delle aree affacciate sull’acqua per la seconda emerge in un numero consistenze di esperienze, tuttavia città e porto potrebbero avere un certo interesse a formalizzare una strategia comune, che permetta in stretta collaborazione di individuare potenziali soluzioni a problematiche e criticità rilevate, arrivando a delineare in modo condiviso una visione del futuro. A Rotterdam appare chiaro come la relazione tra porto e città sia mutata nel tempo - a seguito dello spostamento delle attività commerciali e logistiche lontano dal centro urbano e del processo di regionalizzazione che conduce a prospettive di sviluppo del porto di scala maggiore - e in che modo tali cambiamenti siano connessi con la riqualicazione del waterfront. Le nuove logiche economiche e le ambizioni mutevoli del porto e della città hanno impegnato entrambi nella ricerca di forme di dialogo e di strategie di sviluppo condivise. Il coordinamento tra attori e la condivisione degli obiettivi - Al fine di evitare un processo decisionale frammentato, caratterizzato dalla mancanza di una visione strategica per il futuro e di un dialogo tra la città e il porto, è necessario identificare i potenziali stakeholder e i relativi interessi, in modo da poter operare in sinergia attraverso il loro coordinamento e con un approccio collaborativo capace di coinvolgere le diverse parti, oggi più che in passato disposte a confrontarsi. Di fronte alla pluralità di attori, alle logiche di sviluppo differenti e alle molteplici pressioni decisionali, è opportuno - se non necessario - individuare
una strategia comune e obiettivi da condividere in un progetto concertato, in cui promotori privati e istituzioni pubbliche risultino disponibili per competenze e interessi specifici a collaborare. L’atteggiamento pubblico e privato verso le zone di waterfront risulta cambiato nel corso del tempo in modo significativo; attorno al tema della riqualificazione dei fronti d’acqua, in particolare per quanto riguarda quelli prossimi al tessuto urbano e interessati da processi di deindustrializzazione o dismissione funzionale, si è sviluppato un forte interesse civico, nonché commerciale e politico. Tendenzialmente sono le iniziative e le scelte di carattere pubblico ad innescare processi di rigenerazione dei waterfront di medio-lungo periodo, in un’ottica di miglioramento della qualità spaziale e della fruibilità urbana, e ad attirare successivamente l’interesse di soggetti privati. In questo senso sono spesso i partenariati pubblico-privati a costituire l’opportunità per la formalizzazione di un approccio integrato allo sviluppo e condiviso tra i diversi attori. Le scelte in alcuni casi sono orientate verso l’insediamento di attività che limitano la privatizzazione delle aree, in altri sono finalizzate a favorire la partecipazione diretta dei proprietari o il coinvolgimento di investitori stranieri.
Una nuova immagine per la città portuale Il porto e le aree industriali ad esso annesse hanno costituito per secoli un ambito penetrabile, fisicamente contiguo, separato ma complementare al tessuto urbano, funzionalmente interdipendente; una zona di interfaccia tra terra e acqua che ha intrattenuto con la città forme differenti di relazione, determinandone spesso l’espansione e l’accumulo di ricchezza. Diversi fattori hanno innescato processi di separazione tra la città e il porto, operando nel tempo ad una varietà di scala e in differenti condizioni spaziali e tecnologiche, fino ad arrivare a mettere in discussione l’identità degli ambiti portuali e industriali in quanto spazi commerciali e produttivi, e a renderli quindi generiche periferie e spazi dismessi. Le trasformazioni sperimentate dalle città portuali e industriali a partire dalla seconda metà del XX secolo, viste alla luce delle straordinarie dinamiche di riqualificazione spaziale e di riconversione funzionale che hanno interessato aree inutilizzate ed obsolete, rappresentano senza dubbio una delle maggiori opportunità di sviluppo urbano in epoca contemporanea. I processi di waterfront redevelopment, tra i fenomeni urbani più diffusi avviati negli ultimi decenni, hanno saputo reinterpretare, attraverso forme naturali e artificiali, il tempo e le pratiche del mondo globalizzato, integrando accanto alle tracce del passato anche nuovi segni e simboli, e restituendo un’immagine multiforme e in continua evoluzione del fronte d’acqua, rispondente ai fenomeni economici, sociali e culturali in atto, spesso attenta alla tutela delle risorse e del patrimonio. Un’immagine dinamica e creativa, che in numerose esperienze ha modificato la percezione del waterfront urbano-portuale nel panorama internazionale. Riproduzione riservata ©
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Venezia: il porto come risorsa per lo sviluppo economico della città di Paolo Costa
Dal dopoguerra ad oggi sono occorse profonde trasformazioni dell’intero sistema urbano italiano, di tutte le sue grandi città e, quindi, anche di Venezia. All’inizio degli anni ‘70 la crisi economica mondiale innestata dal primo shock petrolifero chiudeva il periodo, che durava sin dal 1950, di più intenso sviluppo economico e di più rapida crescita urbana della storia del nostro Paese. In quel periodo “dorato” i sistemi urbani nazionali erano passati prima attraverso una fase di urbanizzazione spinta (concentrazione sia dei posti di lavoro sia delle residenze nelle città più grandi e nei centri delle città funzionali) e poi sempre più verso forme di suburbanizzazione (diffusione nelle città di medie dimensioni e nell’hinterland delle grandi città, della residenza prima, e dei posti di lavoro, dopo). Questo quadro è stato alterato dalle crisi economiche succedutesi a partire dal primo shock petrolifero del 1973 ma, soprattutto, è stato messo in discussione dalla crisi epocale, ben più profonda e duratura, del passaggio - nel mondo sviluppato e, quindi, in Europa e in Italia - dalla fase di sviluppo di lungo periodo fondato sull’industrializzazione a una nuova fase di sviluppo post-industriale. La società post-industriale, caratterizzata dall’emergere di attività connesse con la produzione, lo stoccaggio, la logistica e la distribuzione - tutte attività e produzioni ad alto contenuto di innovazione e di incertezza e, quindi, a localizzazione tendenzialmente urbana - era ed è destinata a condizionare il ruolo produttivo delle città, soprattutto di quelle grandi. La conseguente ristrutturazione produttiva, profonda e molto più rapida del passato, di tutti i sistemi economici occidentali ha messo in crisi la gerarchia delle città, qualunque fosse il loro stadio di sviluppo urbano. La base economica di ogni città è cambiata profondamente. Modificandosi le specializzazioni delle singole città e le loro funzioni nei confronti dell’economia nazionale ed europea, si sono modificati i vantaggi comparati delle diverse aree urbane. La crescita, o il declino, di ogni città è da quel momento dipesa molto più dalla capacità relativa di muoversi verso le specializzazioni vincenti che non dallo stadio del ciclo di sviluppo urbano nel quale si trovava collocata.
L’evoluzione fra salvaguardia fisica e ambientale e attività produttive Venezia non è rimasta estranea a questo processo: l’evoluzione della sua posizione lungo il ciclo degli stadi di sviluppo si è intrecciata, e continua ad
Venice, the port as a resource for the economic development of the city by Paolo Costa After a detailed account of the profound transformations that have taken place in the Italian urban system, and in Venice in particular, the author distinguishes two spheres of activity in the Venetian port: one in Porto Marghera, the area that contains port activities, logistics, and residual chemical and manufacturing industries, the other at the passenger terminal of the Marittima. A more ample concept must be considered for Porto Marghera, namely that the future of Italian ports either is “European” or isn’t, taking into account, obviously, the profound revolution that production in Marghera has undergone since the 1970s. This is the context for the project to develop the port of Venice, focused on the construction of an off-shore deep-water port platform located eight miles off the shore of Malamocco, which will make it possible for the port in Venice to contribute to the growth of the upper-Adriatic port system, expanding its capacity by at least one million containers (TEU) per year. The other asset of the Venetian port system is the cruise sector. While it is important now to find a solution for the environmental damage caused by cruise ships as they navigate through the Bacino di San Marco and the Giudecca Canal, this solution must necessarily contemplate the continuity of this rapidly expanding sector, which offers a valid economic base as an alternative to the tourist monoculture. This means providing a new access route to the passenger port by completing the Contorta-Sant’Angelo Canal.
Nella pagina a fianco: terminal crociere (in alto) e terminal container (in basso) del porto di Venezia. Fonte: Autorità Portuale di Venezia.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 intrecciarsi, con la trasformazione della sua base economica. Questo comprende la ri-definizione del suo “centro” e del suo “hinterland”, e quindi della sua dimensione funzionale, la dinamica della specializzazione delle diverse parti del suo sistema urbano, i rapporti di competizione/collaborazione tra “centro” e “hinterland” nelle fasi, riconoscibili, di suburbanizzazione e disurbanizzazione che Venezia ha vissuto dai primi anni ‘70 ad oggi. In pratica una continua ricerca di equilibrio partita con la crisi delle attività chimiche di Marghera, proseguita con il rafforzarsi delle attività legate al turismo, fino agli sforzi - via via sempre più rilevanti e tuttora in corso - di individuare una base economica, nello sviluppo della portualità commerciale, nelle attività logistiche e nel terziario post-industriale a Porto Marghera, solida e alternativa al solo turismo. Come conseguenza di queste evoluzioni la città funzionale veneziana ha assunto strutture differenti: negli anni ‘70 si è sviluppata in due stadi. Un primo stadio organizzato sul nodo occupazionale principale del Centro storico, che trova riferimenti residenziali, oltre che negli insediamenti lagunari, prevalentemente a Mestre, e un secondo stadio organizzato dal duplice nodo occupazionale di Marghera e Mestre, con riferimento residenziale in un’area di 15-20 comuni della cintura. Su questa struttura portante del “sistema urbano giornaliero di Venezia” si sono poi innestate le relazioni, ancora giornaliere, di scala superiore con i centri di Padova e Treviso, che segnano la presenza di relazioni metropolitane centro-venete. A questi fenomeni non è stata data la necessaria attenzione perché: -
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la dimensione funzionale di Venezia è più difficile da percepire di quella di altre grandi città. Venezia storica suggerisce un’idea di compiutezza difficile da superare. La separazione che la laguna interpone e il clamoroso contrasto di forme tra il costruito degli insediamenti lagunari e il costruito della terraferma, dettano perentoriamente l’idea di una città lagunare tanto diversa da non aver nulla da spartire con gli insediamenti ad essa più vicini. Eppure oggi parlando di Venezia ci si può legittimamente riferire, alternativamente, alla sola città storica lagunare, alla città a cavallo della laguna compresa entro il confine amministrativo del Comune attuale, al sistema urbano giornaliero che, oltre al comune capoluogo, comprende almeno un’altra ventina di comuni che gli fanno da cintura, o, addirittura, all’area metropolitana che, nella condivisione di funzioni centrali per l’intero Veneto, se non per tutto il Nord-Est, si estende fino a comprendere i capoluoghi di Padova e Treviso; si è verificata un’oggettiva subordinazione di ogni aspetto socio-economico e di sviluppo del “problema di Venezia” ai suoi aspetti di “salvaguardia” fisica, così come sono state etichettate - nel gergo proprio del dibattito veneziano avviatosi dopo “l’acqua alta” eccezionale del 4 novembre 1966 che mise a repentaglio la stessa sopravvivenza fisica di Venezia storica - le necessità di difendere il Centro storico di Venezia dalle possibili offese del mare, di risanare la laguna inquinata e di restaurare il patrimonio storico-artistico della città. Una necessità tanto impellente - quella di salvare il “monumento” Venezia - da oscurare l’inscindibilità dei destini dell’urbs e della civitas; per questo i problemi di “sviluppo” non avevano alcuna rilevanza: la
“salvaguardia” esauriva in sé ogni obiettivo venendo a coincidere con la specifica ipotesi di “sviluppo” che chiede a Venezia di esistere e nient’altro. Ma, se la necessità di por mano immediatamente, nel 1966, agli interventi di “salvaguardia” aveva reso trascurabile il fatto che a Venezia operasse, e volesse svilupparsi, una comunità sottoposta a sollecitazioni non diverse da quelle agenti in tutte le altre grandi città italiane, il persistere di questo atteggiamento doveva, disgraziatamente, procrastinare il momento della presa di coscienza dell’impossibilità di dare soluzione stabile ai problemi di “salvaguardia” senza una contemporanea soluzione dei problemi di “sviluppo”. Se Venezia doveva sopravvivere come città, e non solo come insieme di monumenti consumati da frotte di visitatori sempre più frettolosi, allora non aveva alcun senso porsi problemi di sviluppo della civitas, se la stessa esistenza dell’urbs era in dubbio. Ad oggi tuttavia, se, come ci si augura, gli interventi di salvaguardia dell’urbs possono dirsi acquisiti - nonostante molto sia ancora da fare, agendo in primis sulla laguna centrale che, così come stabilisce anche il Piano Morfologico della Laguna di Venezia, soffre di progressiva marinizzazione e perdita di sedimenti - non altrettanto si può dire degli interventi di salvaguardia della civitas: di questo disinteresse, di questa sottovalutazione del (man-
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cato o distorto) “sviluppo”, ci si è cominciati a preoccupare solo quando, da qualche anno, hanno anch’essi assunto i caratteri dell’emergenza. Le conseguenze sono che oggi, accanto a un problema di salvaguardia fisica e ambientale della laguna e di conservazione del patrimonio storico-artistico, esiste per Venezia un problema - altrettanto grave - di sopravvivenza attiva della comunità insediata, peraltro sola condizione di trasformazione di un insieme di valori ambientali e storici inestimabili in una città ancora miracolosamente viva. Paradossalmente appare legittima oggi per la civitas veneziana quella domanda “Venezia, fino a quando?” che all’indomani della grande mareggiata del 1966 si era, invece, sollevata per l’urbs lagunare. La Venezia-civitas (la comunità insediata nella città funzionale cuore dell’area metropolitana centroveneta), con la ricostruzione della base economica attorno alla quale deve al più presto organizzarsi per vivere, potrà anche assolvere al compito storico di tramandare alle future generazioni quella Venezia-urbs (il costruito storico veneziano fatto di edifici e di laguna) sempre meno sostenuta dalle finanze statali e da quelle del mondo, che pure la sente propria. Per farlo è necessario sfuggire alla monocultura turistica, unica base economica ad oggi operante in città. È evidente infatti che oggi il differenziale di rendita spinge ogni giorno - gutta cavat lapidem
- qualche abitazione a trasformarsi in bed and breakfast, qualche palazzo in un nuovo albergo e ogni attività produttiva non turistica a chiudere i battenti. Il tutto aiutato dalla crisi economica che dal 2008 ad oggi ha accelerato il processo risparmiando solo il turismo a Venezia e ha fatto di questo un ammortizzatore sociale dalla doppia faccia. Ha salvato il livello di benessere della comunità veneziana - rendendo meno dolorosa perfino la scomparsa della vecchia Marghera industriale - ma ha spinto sempre più gran parte di Venezia verso una monocultura che oggi sta presentando il conto sotto forma di un’alternativa radicale non più rinviabile. La prima alternativa coincide con “il fingere di non vedere” di questi anni e col lasciare che si completi il processo di definitiva trasformazione di Venezia storica in una destinazione turistica pura, liberata dal “fastidio” dei suoi ultimi residenti e ridotta a una collezione di attrattori culturali ed ambientali e dei, pochi, servizi a loro funzionali. Una prospettiva non più paradossale, meno lontana di quanto non si creda (2030? 2040?) e ineluttabile in mancanza di uno scatto d’orgoglio dei veneziani e dell’Italia tutta. La seconda alternativa, difficile e dolorosa, come tutte le cure di disintossicazione, e perseguibile solo da una volontà politica stabile e coesa per almeno un decennio, passa prima di tutto per la decisione di far rispettare la capacità massima di
1 - Veduta dall’alto della Stazione Marittima e della città di Venezia. Fonte: Venezia Terminal Passeggeri.
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2 - Alcuni yacht in sosta davanti alla Punta della Dogana. Le foto di questa pagina e di quella seguente sono di Venezia Terminal Passeggeri.
accoglienza turistica di Venezia storica. Il come, con le tecnologie delle quali si dispone oggi, è problema quasi irrilevante. Inconfrontabile con il vero nodo: quello della conseguente contrazione dell’offerta. Se, come è ragionevole, si dovesse immaginare di ridurre del 30% la pressione attuale (16 milioni di visitatori/anno), questo implicherebbe una pari riduzione dell’offerta turistica (30% in meno di posti letto, 30% in meno di posti ristorante, etc). Un obiettivo sostenibile solo se parallelamente assistito da una politica di ri-costruzione di una base economica alternativa, capace di far vincere a Venezia la concorrenza sempre più serrata con gli altri nodi urbani europei. Porto (in sé e come fattore di localizzazione per la nuova industria di Marghera), aeroporto (in sé e come fattore di localizzazione di un terziario direzionale di respiro globale, che potrebbe avvalersi
3 - Imbarcazione in transito nel Bacino di San Marco.
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dell’ambiente Venezia, se reso accessibile da un trasporto locale meno obsoleto), università (come catalizzatore di formazione superiore “di mercato” e di ricerca capace di tradursi in progettazione e nuova tecnologia) sono alcuni dei, pochi, blocchi produttivi che, aggiunti a un turismo di qualità, più legato alla valorizzazione degli attrattori culturali (Biennale, Fenice, etc), possono far sperare di riavviare un circuito virtuoso oggi inceppato.
Una prospettiva di sviluppo a scala europea per il porto Limitandosi alla sola portualità si possono individuare almeno due ambiti di azione: l’uno a Porto Marghera, area dove sono insediate le attività portuali, logistiche e – residualmente – industriali e
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4 - Veduta del Canale della Giudecca: sullo sfondo una nave in uscita dal porto.
chimiche; l’altro al terminal passeggeri della Marittima. Per quanto riguarda Porto Marghera bisogna combinare un concetto ampio, ovvero che “il futuro della portualità italiana è europeo o non è”, con una evidenza locale, ovvero che Marghera ha subìto, a partire dagli anni ‘70 del secolo scorso, una profonda rivoluzione produttiva. Il concetto ampio. L’alternativa “nazionale” di una portualità fatta di tanti scali che servono ognuno il proprio hinterland più o meno protetto dalla concorrenza esiste. Ma, oltre che molto meno ambiziosa, è un’alternativa fortemente a rischio di vedere i propri mercati più ricchi contesi e conquistati dalle portualità concorrenti: quelle mediterranee (slovena e croata da un lato, francese e spagnola dall’altro) e soprattutto quelle nordiche e baltiche. In un mercato globale dominato dalla frammentazione spaziale della produzione che ha il suo duale nell’integrazione logistica verticale molto spinta non c’è alternativa alla concorrenza, perché nessun mercato “locale” può considerarsi ormai più naturalmente protetto e quindi non contendibile. Nessun futuro dunque per la portualità italiana che non sia di livello europeo, ovvero in grado di competere globalmente. Una coazione a competere che è un vincolo ma che può diventare anche un’occasione, una grande occasione, per una serie di motivi concomitanti; motivi connessi soprattutto al rafforzarsi della centralità asiatica nell’economia mondiale (un’economia che va caratterizzandosi sempre più non solo come polo produttivo e manifatturiero ma anche come vasto mercato di consumo), al possibile sviluppo delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo, allo spostamento a est del baricentro del mercato europeo - dentro e fuori i confini attuali dell’Unione - e alla ridefinizione della geografia manifatturiera europea, anch’essa tendente a est e sud-est. Tutti fenomeni che rafforzano il vantaggio “geografico” dell’Italia, e dei suoi porti più vicini al cuore dell’Europa, quale appunto è Venezia, sia lungo la più importante delle cate-
ne logistiche globali, quella che va dall’Estremo Oriente all’Europa e viceversa, sia per tutti i traffici da e per la “sponda sud” del Mediterraneo, dal Marocco alla Turchia. Un vantaggio “geografico” che attende adeguate politiche per essere trasformato in vantaggio “economico”. A questo bisogna aggiungere che, volenti o nolenti, la Marghera industriale e chimica non esiste più (o meglio, non è più solo questo). Infatti Marghera sta già cambiando da sola, senza le indicazioni di un progetto strategico, ma seguendo le forze imposte dall’economia e dai mercati. Analizzando i dati dell’Osservatorio su Porto Marghera (raccolti da Comune di Venezia, Autorità Portuale ed Ente Zona Industriale), si può notare quanto il profilo economico-produttivo del polo industriale di Marghera sia radicalmente mutato rispetto al profilo metallurgico e petrolchimico originario, con una accelerazione “portocentrica” negli ultimi anni. Oggi Porto Marghera vede circa 950 imprese insediate, di cui oltre 300 operanti nei settori portuali. Imprese che danno lavoro a oltre 11.500 addetti (tra imprese ed istituzioni), 6.100 dei quali sono addetti portuali (agenzie marittime, spedizionieri, terminal, servizi portuali, ecc.). Anche dal solo confronto con i dati del 2012, si evidenzia che il settore portuale è l’unico comparto a mantenere stabili i livelli occupazionali (+1.1%), contro una riduzione del 14.6% del resto delle attività produttive. Guardando in avanti, poi, si nota come nei prossimi anni le imprese di Porto Marghera, che hanno un diretto coinvolgimento in attività portuali, investiranno oltre 350 milioni di euro in strutture e infrastrutture che possano migliorare la qualità dei servizi offerti dallo scalo veneziano. Altri 90 milioni di euro saranno investiti da imprese che hanno sede a Porto Marghera, ma la cui attività non è strettamente portuale: si tratta di imprese che si servono del porto e che hanno scelto di stabilirsi (e di restare) a Marghera (dati Ente Zona Industriale). Cifre che si interpretano nella volontà delle imprese (portuali e non) di investire sulle aree e sulle at19
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5 - Yacht attraccato lungo la riva dei Sette Martiri. Fonte: Venezia Terminal Passeggeri.
6 - Operazioni nel terminal container di Venezia. Fonte: Autorità Portuale di Venezia.
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tività svolte a Marghera per la sua peculiarità. Investimenti che si vanno ad aggiungere agli oltre 245 milioni di euro investiti direttamente dall’Autorità Portuale con fondi propri o tramite project financing in bonifiche, dragaggi, ampliamento del parco ferroviario e marginamenti ambientali. Questi dati assumono ancor più valore se si considera che a livello regionale (dati Unioncamere Veneto 2013) gli investimenti segnano una contrazione del -4.6% nel 2013 (-7.4% nel 2012), dettata dalla congiuntura economica poco favorevole e dalla crisi. È in questo quadro che si colloca il progetto di sviluppo del porto di Venezia che fa perno sulla realizzazione di una piattaforma portuale d’altura in acque profonde (almeno -20 metri di fondale) collocata a otto miglia al largo di Malamocco, e che punta a mettere lo scalo lagunare in grado di contribuire alla crescita della portualità alto-adriatica con una capacità aggiuntiva di almeno un milione di container (TEU) all’anno. Il progetto veneziano peraltro ha anche l’ambizione e le potenzialità di mettere a disposizione della portualità italiana ed europea una “macchina portuale” innovativa, capace di recuperare molti dei ritardi tecnologici accumulati dalle infrastrutture portuali italiane. Una “macchina portuale” originariamente concepita per superare un handicap, come spesso è accaduto nella storia veneziana, di continua, obbligata, ricerca di uno sviluppo economico sostenibile e compatibile con l’ambiente lagunare: l’handicap della modesta accessibilità nautica che andava costituendo il limite fisico allo sviluppo del porto lagunare a Porto Marghera. Trasformando un vincolo in un’opportunità, il sistema offshoreonshore diventa il punto di forza di un progetto di trasformazione infrastrutturale e logistica di interesse strategico per il Veneto, il Nord Est italiano, l’alto Adriatico, l’Italia e l’Unione Europea. Un sistema ad alta innovazione che promette performance comparabili con quelle dei più avanzati porti al mondo perché coniuga innovazioni tecnologiche e innovazioni di processo che consentono l’uso di un terminale in acque profonde, evitando - e qui sta la vera novità - lo stoccaggio intermedio dei container in altura. L’altro asset della portualità Veneziana che rappresenta una valida base economica alternativa alla monocultura turistica riguarda il settore crociere. Un’evidenza misconosciuta a causa di un equivoco, e l’equivoco sta nel fatto che la crociera è turismo, la forma oggi più dinamica di turismo i cui clienti crescono del 7% medio annuo da oltre un ventennio senza conoscere crisi, ma è un turismo che impiega sempre più il suo tempo libero in nave e, comunque, lontano da Venezia. A Venezia il 91% dei crocieristi del 2015 si imbarcherà all’inizio della crociera e vi sbarcherà alla fine. Per la città e il suo porto il crocierista passa, come ogni altra “merce” in partenza o in arrivo. Con in più il fatto che a Venezia le navi caricano le provviste per l’intera crociera e vi acquistano i servizi e le manutenzioni. Se si ferma negli alberghi di Venezia il crocierista lo fa prima o dopo la crociera e a prescindere da questa. Nel 2015 resterà, è vero, un 9% di “crocieristi giornalieri” sbarcati da navi di passaggio, quelle partite dal Pireo o da altri porti del Mediterraneo orientale, ma si tratta di poco più di 150.000 visitatori anno: briciole nei confronti dei 24 (27?) milioni o più dei visitatori annui di Venezia e, queste sì, briciole alle quali si può facilmente rinunciare per concentrare tutto sulle fun-
zioni di porto capolinea di crociere. Un equivoco, quello che confonde i crocieristi con i turisti che visitano Venezia, che ha conseguenze perniciose se non drammatiche. Quand’anche eliminassimo l’intero comparto crocieristico a Venezia - con conseguenze drammatiche per l’economia della città e per l’intera crocieristica italiana ed adriatica - la pressione turistica su Venezia non diminuirebbe in nessuna misura apprezzabile.
TRASPORTI & CULTURA N.41 desta anche se molto qualificata, che le crociere portano a Venezia, ma è il ruolo speciale - conquistato anche grazie alle skill organizzative che il terminal di Venezia esporta in tutto il mondo - di porto capolinea che Venezia in questo momento svolge. Nel porto capolinea la nave viene sottoposta alle necessarie manutenzioni e viene rifornita di tutto il necessario per passeggeri ed equipaggio per l’intero viaggio, attivando un’economia di fornitura di centinaia di milioni di euro/anno che coinvolge imprese sparse in tutto l’hinterland veneziano e oltre. Una decisione non attentamente ponderata potrebbe mettere a rischio proprio tale economia e, qualora il mondo delle crociere decidesse di spostare l’homeport da Venezia, questo si dirigerebbe verso uno degli altri capisaldi storici del Mediterraneo orientale: Atene o Istanbul. Oggi l’accoppiata aeroporto internazionale Marco Polo-Stazione Marittima ci fa vincere una concorrenza che possiamo perdere solo rinunciando, da provinciali, alla competizione. Stazione Marittima e settore crociere da salvaguardare dunque; ma Stazione Marittima che è raggiungibile anche senza passare davanti San Marco e settore crociere che è sempre più compatibile con il Centro storico grazie alla tecnologia applicata, agli accordi volontari che auto-impongono l’uso di carburanti a basso contenuto di zolfo, come in nessun altro porto italiano, a stringenti obblighi di sicurezza (2 rimorchiatori e 2 piloti che accompagnano il comandante nelle manovre) e naturalmente alla morfologia lagunare che impone alle navi di seguire una “rotaia-canale” sottomarina, impedendo qualsiasi avvicinamento pericoloso volontario o meno - alle rive. L’alternativa proposta dall’Autorità Portuale di Venezia - che, ricordiamo, nasce dalla necessità statale di applicare nel più breve tempo possibile il decreto Clini-Passera, individuando una via alternativa di accesso al porto passeggeri che allontani le grandi navi da San Marco, salvaguardando nel contempo l’eccellenza portuale crocieristica veneziana e italiana - è la realizzazione del Canale Contorta-Sant’Angelo capace di cancellare in un paio d’anni “l’emergenza grandi navi”. Nel frattempo si studieranno soluzioni di lungo periodo e di possibile ri-localizzazione della Stazione Marittima, d’intesa con i Comuni di Venezia, di Mira e di Cavallino-Treporti, e inserite all’interno del progetto di revisione del Piano Regolatore Portuale. Tutte iniziative che si pongono nell’interesse di una diversificazione dell’economia veneziana rispetto alla monocultura turistica e, soprattutto, nell’interesse del Paese che non ha nessun bisogno di rinunciare anche a questa eccellenza. Riproduzione riservata ©
È pur vero che risulta oggi necessario, a fronte di espresse richieste governative (il Decreto CliniPassera) porre rimedio al disagio paesistico che le navi da crociera provocano nel passaggio attraverso il Bacino di San Marco e il Canale della Giudecca. Ma è necessario trovare una soluzione che consenta di “non buttare il bambino con l’acqua sporca”. E il bambino - l’eccellenza crocieristica veneziana - non è l’aggiunta di turisti, molto mo21
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Genova e La Spezia, difficili transizioni per superare il ‘900 industriale di Francesco Gastaldi
Le due città liguri di Genova e La Spezia, importanti poli industriali e portuali durante il Novecento, stanno cercando di guidare un processo di ridefinizione della propria base produttiva verso un’economia diversificata, dove il turismo e la cultura giochino un ruolo importante accanto a settori più tradizionali (portualità e residue presenze industriali). La ridefinizione è stata lunga, travagliata, complessa, l’acquisizione della consapevolezza circa l’irreversibilità delle tendenze alla deindustrializzazione è stata inerziale in molti gruppi sociali delle due città, non sono mancati periodi di grande tensione e smarrimento. Sia a Genova che alla Spezia, ormai da molti anni, sono iniziati processi di riconversione che puntano ad un modello di città dove accanto alla valorizzazione delle attività economiche più competitive, tipiche della tradizione portuale ed industriale (logistica, terziario innovativo e avanzato, biomedicale, elettronica), si promuovono politiche miranti al consolidamento del ruolo delle due città in campo turistico e culturale. Questi settori non sono considerati come un ripiego di fronte alla crisi dei settori principali (nel caso della Spezia, la crisi riguarda anche la presenza del settore militare), ma divengono ambiti economici su cui improntare nuove fasi di sviluppo. In molti documenti delle due amministrazioni comunali si parla di “città a più vocazioni” proprio per sottolineare l’aspirazione di entrambe a valorizzare le molteplici risorse (culturali, ambientali, competenze, know how, ricerca, saperi tecnici, posizione geografica) di cui dispongono, senza sacrificarne alcuna. Lo sfruttamento delle molte risorse disponibili (talvolta trascurate o nascoste), anche tramite il supporto di iniziative di stimolo degli attori di politiche pubbliche, potrebbe favorire il riposizionamento dei due ambiti urbani su nuovi scenari di competitività.
Genova, il Porto Antico e i grandi eventi A Genova, dall’inizio degli anni Novanta, sono state impiegate molte risorse pubbliche per avviare processi di rigenerazione urbana che hanno investito l’area centrale e il waterfront del porto storico ridefinendo l’immagine della città, migliorando l’offerta urbana e gli spazi per il tempo libero, favorendo una nuova collocazione verso un’economia mista dove il turismo e la cultura giocano un ruolo rilevante. Oggi la città si trova di fronte a nuove sfide e questioni legate ai propri scenari futuri, con un settore industriale sempre più marginale, una accentuata crisi demografica, processi migratori
Genoa and La Spezia, difficult transitions to move past the industrial twentieth century by Francesco Gastaldi The cities of Genoa and La Spezia in Liguria were important industrial and port hubs in the nineteenth century. Today they are guiding a process that aims to redefine their industrial base towards a more diversified economy, in which tourism and culture play a greater role beside the more traditional sectors. The process has been a long, troubled and complex one; many social groups in the two cities were slow to become aware that the de-industrialisation process would be irreversible, sparking moments of great tension and disorientation. Many years ago, Genoa and La Spezia each began conversion processes that sought to create a model of city that not only promoted the more competitive economic activities typical of the port and industrial tradition, but also advanced policies to consolidate their position in the areas of tourism and culture. These sectors are not considered a fallback to counter the crisis in the main sectors (for La Spezia, the crisis also involves the presence of the military), but as economic spheres on which to build new phases of development. Both these cities could be defined as “multi vocational cities”, underlining their aspiration to cultivate the many resources they possess (cultural, environmental, capabilities, know-how, research, technical expertise, geographic position), none excluded. The exploitation of these sometimes neglected or hidden resources, sustained by programmes to stimulate public-policy actors, could help to reposition the two cities within the new competitive scenarios.
Nella pagina a fianco, in alto: veduta dell’area del Porto Antico e del waterfront interessato dal processo di riqualificazione (fonte: Comune di Genova). In basso: La Spezia, il waterfront e la città (fonte: Autorità Portuale della Spezia).
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1 - Veduta dell’area del Porto della Spezia e del waterfront interessato dal processo di riqualificazione (fonte: Comune di La Spezia). 2 - Una delle proposte progettuali per il concorso internazionale di idee “Waterfront di La Spezia” (fonte: Comune di La Spezia).
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che hanno ridefinito la composizione sociale. Lo sviluppo del porto a Ponente pone problemi di difficile integrazione con le realtà che, dopo aver sopportato il profondo snaturamento della linea di costa, oggi si trovano a dover subire ingenti quantità di traffico ed inquinamento dovuto a mezzi pesanti che trasportano i container. Esiste un problema generale di miglioramento della qualità urbana ed ambientale, soprattutto nelle zone periferiche e nei quartieri di edilizia residenziale pubblica. Il Porto Antico è sicuramente una delle aree della città che ha subìto le maggiori trasformazioni e le maggiori attenzioni da parte degli attori di politiche pubbliche; oggi, il processo di recupero iniziato negli anni Novanta può dirsi in gran parte completato e ne possono essere valutati esiti ed effetti. I grandi eventi - Expo colombiana per i 500 anni della scoperta dell’America nel 1992, Vertice G8 dei capi di stato nel luglio 2001, Capitale Europea della Cultura nel 2004 - hanno giocato un ruolo decisivo, avendo messo in campo ingenti risorse economiche, attivato capitale sociale e ridefinito l’immagine della città. La grande operazione di trasformazione, riqualificazione e manutenzione urbana che ha visto protagonista il centro storico ed il waterfront portuale, ha contribuito in modo determinante a innescare processi di reversibilità delle tendenze al degrado, fisico, economico e sociale, permettendo la connessione fra il bacino portuale e l’antico nu-
cleo del capoluogo, attraverso la creazione di un nuovo spazio sul mare, aperto alla città. Il binomio waterfront - centro storico ha caratterizzato tutte le più consistenti scelte di politica urbana degli anni Novanta e dei primi anni Duemila, catalizzando la gran parte dei finanziamenti e l’interesse per quest’area che ha assunto progressivamente una valenza rappresentativa per l’intera città. Gli interventi correlati ai grandi eventi, riqualificazione e manutenzione urbana, rifacimento di numerose facciate su vie e poli architettonici principali, rinnovamento dello spazio pubblico sono stati realizzati contestualmente a modifiche dell’assetto viabilistico, al consolidamento della pedonalizzazione e alla regolarizzazione dei flussi di traffico, conferendo un nuovo ruolo e un aspetto rinnovato a poli tradizionali della fruizione cittadina e a nuovi assi o polarità urbane. Il 2004, anno di Genova Città Europea della Cultura, ha rappresentato una svolta nel rilancio e nel consolidamento del ruolo della città nel panorama dei flussi turistici e culturali, a livello nazionale ed europeo. La storia del ruolo di Genova nei grandi eventi è lunga, travagliata, non esente da difficoltà. Nel 1984 la giunta comunale affida all’architetto Renzo Piano il primo incarico per “riflettere” circa i modi e i luoghi per creare l’esposizione colombiana del 1992. Il fatto di realizzarla nel Porto Antico è, all’inizio, un’ipotesi tutt’altro che scontata e l’amministrazione pensa ad un apposito spazio espositivo fuori dalla città o ad una piattaforma sul mare. Progressivamente ci si rende conto che il centro storico e l’area del Porto Antico costituiscono il luogo ideale per la manifestazione e che le opere realizzate, anche dopo l’evento, possono divenire il baricentro di nuove ipotesi di sviluppo per la città. Genova, che ha attraversato durante tutti gli anni Ottanta una profonda crisi di identità e di ruolo, matura la consapevolezza che il fronte a mare, riconnesso funzionalmente con il centro urbano, può rappresentare un’occasione di riscatto e rilancio, e che, attraverso una sapiente azione di promozione, possono essere intercettate nuove opportunità nel campo del turismo e del tempo libero. Al termine delle celebrazioni colombiane si pone il problema del riutilizzo dei volumi e degli spazi pubblici dell’area, che risulta in gran parte chiusa al pubblico. Si teme che la domanda di spazi per l’insediamento di nuove funzioni sia inferiore all’offerta, spaventa la gestione ordinaria degli spazi disponibili, le possibili destinazioni d’uso sembrano vaghe e anche il destino dell’Acquario e del Centro Congressi dei Magazzini del Cotone, i principali elementi di attrazione turistica, sembrano incerti. Con la creazione della Società Porto Antico S.p.A., partecipata all’80% dal Comune di Genova, si avvia una nuova stagione nel recupero e nella gestione dell’area con l’insediamento di nuove funzioni e di attività economiche, mentre l’Acquario passa ad una gestione privata. Si apre così un periodo che vede l’amministrazione pubblica fortemente impegnata nella promozione della città e nel suo inserimento nei circuiti turistici nazionali e internazionali. Negli stessi anni si insedia nel Porto Antico la Facoltà di Economia e Commercio, prende avvio la realizzazione del porticciolo turistico e il nuovo terminal traghetti prosegue il proprio iter progettuale e attuativo. Nonostante le difficoltà, è quindi a partire dal 1992 che la città ha intrapreso il processo di riappropriazione delle aree portuali
TRASPORTI & CULTURA N.41 in via di dismissione; il libero accesso dei cittadini genovesi e dei turisti alle aree portuali ha comportato, in successione, l’eliminazione del regime autonomo dei moli e delle banchine, della dogana e delle barriere fisiche - le cancellate - che delimitavano e proteggevano gli spazi portuali dalla città, nonché l’abbattimento o la trasformazione di tutti quei manufatti di servizio alle attività tipicamente portuali. Nuovi interventi di riqualificazione vengono successivamente eseguiti in occasione del Vertice G8 del 2001, portando all’ulteriore riqualificazione e pedonalizzazione di ampie parti del centro storico e del waterfront cittadino, mediante il restauro dell’antica Stazione Marittima, la realizzazione della passeggiata alla Lanterna che dal terminal traghetti conduce ad uno dei simboli della città, e la costruzione della“Bolla” di Renzo Piano, contribuendo così a mettere in atto processi di reversibilità delle tendenze al degrado o al sottoutilizzo di molte parti dell’area dell’Expo. Una grande operazione di manutenzione urbana, fra il 2001 e il 2004, caratterizza inoltre diverse aree del centro storico, modificandone sensibilmente i caratteri, la fruizione e la percezione pubblica. I principali interventi riguardano il rifacimento di ampie parti di pavimentazioni, il miglioramento (estetico e funzionale) di diverse piazze e spazi pubblici, l’incentivazione al recupero delle facciate di edifici storici, sia privati che pubblici. Gli interventi strutturali previsti per Genova Città Europea della Cultura 2004 hanno interessato il potenziamento dell’offerta culturale attraverso il miglioramento e la riorganizzazione del sistema museale e del patrimonio architettonico, puntando sull’innalzamento della qualità dell’ambiente urbano mediante l’estensione della fruizione della città in tutte le sue componenti. Le azioni derivanti da iniziative e scelte di politiche pubbliche hanno innescato processi duraturi di rigenerazione e di miglioramento della qualità urbana, andando a favorire successivi interventi anche da parte di operatori privati, ed alimentando in alcune aree una valorizzazione ed un cambiamento di immagine, la riscoperta della città da parte degli stessi genovesi, una rivitalizzazione del mercato immobiliare, nonché la creazione ed il progressivo incremento dei flussi turistici. La progressiva valorizzazione del centro storico porta con sé un punto di discontinuità rispetto al passato e un’inversione di tendenza particolarmente significativa: il ritorno dei ceti medio-alti nella parte centrale della città dopo secoli di spostamenti nelle espansioni collinari. I primi segnali di sviluppo a seguito di fenomeni di gentrification sono stati avvistati dalla prima metà degli anni Novanta, ed è significativo notare come a Genova tale processo non si sia avviato grazie ad una pianificazione complessiva di interventi mirati, né come riflesso di una strategia da parte di grandi operatori immobiliari, bensì come conseguenza di una serie di singole azioni, (non inizialmente prevedibili), a regia comunale, che hanno spontaneamente innescato trasformazioni più vaste tramite micro-adattamenti “dal basso” del patrimonio abitativo, del tessuto sociale e di quello economico. In parallelo Genova, in questi ultimi quindici anni, ha progressivamente scelto di limitare ulteriori forme di espansione nelle zone collinari, e di investire, piuttosto, attenzione e risorse nella parte più antica o nelle aree industriali dismesse della città.
La Spezia, verso la città postindustriale e post-militare La Spezia, metabolizzata la crisi dell’industria, è stata interessata, dalla fine degli anni Ottanta, da due “scommesse” che, ancora oggi, appaiono decisive per il suo futuro. La prima è la realizzazione del nuovo fronte a mare, nella Calata Paita, area portuale nel cuore della città. La seconda riguarda la riconversione delle maggiori aree militari e la riorganizzazione dell’Arsenale (che comprende una superficie di 85 ha) in modo da conservare un ruolo nel settore militare e della difesa, ma impegnando parte dell’area per destinazioni diverse. La ricerca dell’equilibrio tra le diverse vocazioni del territorio diventa caratterizzante di una nuova stagione politica che si sviluppa dagli anni Novanta; uno sforzo di ricomposizione dei diversi interessi che attraversano la società e il territorio, e che si materializzano nel nuovo strumento urbanistico generale e in due fasi del piano strategico. Il Piano Regolatore Portuale, approvato nel 2006, dopo un iter durato sei anni, prevede innanzitutto un incremento delle aree dedicate ai traffici commerciali, maggiori spazi per la nautica da diporto e una riorganizzazione complessiva del settore della cantieristica militare, civile e diportistica. È invece restituita alla fruizione pubblica l’area centrale di Calata Paita, destinata a ridefinire il waterfront della città. Il concorso internazionale
3 - Le aree del Porto Antico e del centro storico di Genova oggetto di una progressiva valorizzazione (fonte: Comune di Genova).
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4 - ll Porto Antico di Genova e l’acquario (fonte: Comune di Genova). 5 - Una veduta dell’Arsenale Militare di La Spezia (fonte: Comune di La Spezia). 6 - Il Porto Antico di Genova; sullo sfondo la città e le colline retrostanti (fonte: Comune di Genova).
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di idee bandito nel 2006, è stato vinto dal progetto di Josè Llavador con una proposta ambiziosa che ha riacceso il dibattito su nuovi scenari di sviluppo della città, ripensando e ridisegnando, oltre all’area di Calata Paita, anche la storica passeggiata Morin. Il progetto prevede di realizzare un terminal crociere, un bacino per la nautica da diporto con nuovi pontili e 500 posti barca, spazi commerciali, strutture ricettive, un polo sportivo e uno culturale. L’evoluzione del modello di difesa e di reclutamento, e il mutato assetto geopolitico internazionale, consentono di ripensare il rapporto tra aree militari e città. Per ora si parla di forme di collaborazione nell’uso di spazi, non di vere e proprie dismissioni, ma si intravedono i primi sintomi di una inversione di tendenza. Nel 2007 è stato avviato un primo tavolo tra il Ministro della Difesa e il Comune di La Spezia sulla città e la sua base economica, sociale e culturale, migliorando l’attuale contesto di degrado e sottoutilizzo delle aree militari. L’obiettivo dell’Amministrazione Comunale è di farsi carico, in parte, del processo di riuso e razionalizzazione delle strutture militari in cambio di parte del prezioso patrimonio storico della Marina. Nel 2008 è stato firmato il Protocollo d’Intesa che pone il “caso La Spezia” al di fuori delle normali procedure di dismissione, accelerandone i tempi e individuando autonomi strumenti di scambio e valorizzazione degli insediamenti militari sul territorio. Per l’ex Caserma di artiglieria é prospettata la possibilità di trasformazione in un nuovo polo universitario poiché l’Ateneo necessita di maggiori spazi. Le forme di raccordo e collaborazione hanno come esiti accordi definitivi che prevedono la piena disponibilità dei beni per l’Amministrazione Comunale come nel caso dell’area verde di Marola o del parcheggio di via XV Giugno. L’ospedale mili-
tare “Bruno Falcomatà” potrebbe mettere a disposizione della popolazione civile apparecchiature, ambulatori, attrezzature specialistiche e servizi sanitari, in cambio di opere di manutenzione. In data 15 maggio 2009 è stato sottoscritto e rinnovato un secondo Protocollo d’Intesa finalizzato a concordare gli interventi collegati da interessi comuni in relazione a programmi di riqualificazione urbanistica del tessuto urbano. Nel 2013 è stato acquisito dal Comune il compendio militare “Ex fusione tritolo” in località Pagliari, denominato “Le Casermette”; si tratta di 65 mila mq di superfici da destinare al distretto e alla filiera della nautica, come previsto dal Piano Urbanistico Comunale. Quest’area, inutilizzata dal dopoguerra, limitrofa alla darsena Pagliari e acquisita dall’Amministrazione Comunale al prezzo di 2 milioni di euro, costituisce la seconda fase per il completamento del progetto nato con la Darsena (inaugurata a metà luglio del 2009) e con i primi capannoni degli insediamenti produttivi già realizzati. Il 7 aprile 2014 è stato firmato il Protocollo d’Intesa relativo alla cessione del comprensorio dell’ex ospedale militare “Bruno Falcomatà” al Comune per la realizzazione del nuovo campus universitario nonché del Distretto Ligure delle Tecnologie Marittime. L’accordo prevede anche la gestione ventennale del Centro Sportivo Marina Militare “Montagna”. Il Piano Unitario di Valorizzazione (PUV-LIG) della Regione Liguria del 2009, che comprende solo due aree ex logistiche militari, ha quindi un ruolo marginale nel più generale processo di dismissione del patrimonio militare, oltre a non avere alcuna relazione con il Piano Urbanistico Comunale e il Piano Strategico. La scelta della Regione, per La Spezia, è di non interferire con i processi in atto e in accordi già sottoscritti, evitando ingerenze. Le due
TRASPORTI & CULTURA N.41 finitivamente esaurito il suo ciclo vitale, e necessita oggi di essere ripensato in maniera radicale, aprendo verso nuove stagioni di politiche urbane e di promozione del territorio. Nel caso di Genova l’organizzazione e la gestione delle progettualità legate ai grandi eventi ha costituito un’esperienza di particolare interesse sulla capacità dell’ente pubblico di gestire, in tempi limitati, programmi e procedure negoziali tra pubblico e privato; oggi restano aperti alcuni interrogativi: come estendere spazialmente e temporalmente gli effetti di questa “rinascita”? In che modo diffondere ad altre parti di città gli elementi virtuosi che si sono verificati? Nel caso di La Spezia, se la transizione dalla città industriale alla città post-industriale, pur con tutte le contraddizioni che questo passaggio ha generato, può dirsi in parte avviata e in un certo senso anche assimilata dalla città, che ha lentamente scoperto un modello di sviluppo a più vocazioni, assai diverso e per certi versi più complesso è il discorso concernente la transizione dalla città militare alla città post-militare. Riproduzione riservata ©
Bibliografia Genova Gabrielli B. (2006), Genova: una grande manutenzione, in “Economia della Cultura” n. 4, pagg. 565-572.
basi ex logistiche della Spezia (insieme con alcuni immobili situati nei vicini comuni di Portovenere e Lerici) sono comunque rientrate nel Protocollo d’Intesa dell’agosto 2009. L’Agenzia del Demanio e la Regione Liguria si sono impegnate, ciascuna per le proprie competenze, ad attuare il programma, attraverso la sottoscrizione degli accordi con i singoli comuni e il coordinamento delle attività amministrative necessarie a rendere realizzabili le trasformazioni urbanistiche indicate dal PUV. La possibilità di ripensare una nuova fase di riqualificazione urbana a partire dalle aree militari dismesse o sottoutilizzate, e in particolare dalle aree centrali dell’Arsenale, porta La Spezia ad avviare una stagione che sta iniziando a dare alcuni risultati. Il dialogo intrapreso tra Comune di La Spezia e Marina Militare apre le porte a un percorso in cui sembra ancora prevalere la difesa di rendite di posizione. In città, per molti anni, non è esistito un vero e proprio dibattito sul tema delle dismissioni militari, la radicalizzazione di alcune posizioni ha spesso prodotto immobilismo, veti incrociati, paralisi, precludendo opportunità e nuovi scenari di sviluppo.
Conclusioni In entrambi i casi, il processo di rigenerazione urbana è legato ad un processo di riscoperta identitaria di luoghi e patrimoni storici, a partire dalla valorizzazione del rapporto con il mare, e da un raccordo fra città e porto che integri e renda compatibili la crescita delle attività marittime e la qualità ambientale. L’immaginario che nel corso del Novecento ha alimentato l’idea di città industriale, sia a Genova che a La Spezia, sembra aver de-
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Percorsi di riqualificazione: il nuovo waterfront di Marina di Carrara di Francesco Messineo e Sergio Beccarelli
Il porto di Carrara, fondato a metà del XIX secolo per l’imbarco del celebre marmo bianco estratto dalle vicine cave, è posto al centro di un’articolata rete di trasporti internazionali in collegamento con oltre 85 porti di 48 paesi sparsi nei diversi continenti. Il bacino servito dal porto è costituito principalmente dalla Toscana e dalla Pianura Padana (collegata attraverso l’autostrada A15 e le linee ferroviarie dell’asse Tirreno-Brennero) e si estende a tutte le regioni del Nord e Centro Italia, rappresentando un importante nodo dello strategico corridoio plurimodale tirrenico che collega il Mediterraneo al Centro Europa. La vicinanza delle banchine all’ampia zona industriale di Carrara e Massa, e l’eccezionale capacità delle vie di accesso al porto, stradali e ferroviarie, hanno consentito, negli ultimi anni, uno straordinario sviluppo dei traffici di project cargo. La strettissima integrazione tra attività industriali ed efficienti servizi logistico-portuali ha indotto importanti società multinazionali a scegliere il territorio apuano per lo sviluppo di nuove attività manifatturiere, con la creazione di centinaia di posti di lavoro. L’esempio più rappresentativo riguarda i progetti della GE Oil & Gas - Nuovo Pignone.
Marina di Carrara e gli indirizzi per la riqualificazione dell’interfaccia porto-città Gli scenari di sviluppo delle attività portuali sono alla base del nuovo Piano Regolatore Portuale, che prevede il potenziamento dell’offerta di infrastrutture a disposizione dei traffici commerciali, della cantieristica nautica, delle crociere e del diporto, con la costruzione di una stazione marittima e di una nuova marina da mille posti barca. Fra gli obiettivi strategici del piano stesso è prevista la complessiva riqualificazione dell’intera area che circonda il porto, al fine di migliorarne la funzionalità, l’accessibilità, la fruibilità e la più forte integrazione con l’ambito urbano circostante mediante la realizzazione di spazi pubblici, servizi, aree commerciali e itinerari di valore paesaggistico. A partire dalla fine della seconda guerra mondiale, infatti, l’ambito costiero prossimo al porto è stato interessato da un forte sviluppo demografico e dell’offerta turistica, determinando un paesaggio eterogeneo che fonde aree produttive, legate ai cantieri e alle attività portuali, ad aree residenziali e dedicate all’accoglienza dei turisti e agli impianti balneari.
Strategies to regenerate: the new waterfront of Marina di Carrara by Francesco Messineo and Sergio Beccarelli The port of Marina di Carrara was built in the mid-nineteenth century to ship the famous white marble extracted from the nearby Apuan quarries. This port is still the most important seaport in the world for shipping stone products. The development of the port’s activities is the primary goal of the port’s Strategic Plan, which aims to strengthen the infrastructure available for commercial traffic, shipbuilding, cruises and recreational boating, a new Marine Station and a new Marina with 1000 berths. The urban landscape along the coast appears as a confused pattern that combines industrial areas related to the activities of the port, with residential areas dedicated to tourist hospitality and beach facilities. The plan for the Marina di Carrara Waterfront provides a series of renovation and urban regeneration projects to develop the entire area surrounding the port, improving functionality and access, and providing public spaces, retail areas and itineraries to discover and enjoy the local landscape. These integrated actions for the revitalization of the waterfront aim to improve the functionality and connections to the port, and to offer new urban services for citizens that will achieve three main objectives: the redistribution and renovation of the road system leading to the port, to reduce the effects of heavy vehicle traffic on this area; the regeneration of warehouse areas with the construction of a system of plazas, urban services and green areas; and the creation of promenades along the sea, the beach and the breakwater of the port.
Nella pagina a fianco, in alto: vista aerea del porto di Marina di Carrara (fonte: GE Oil & Gas - Nuovo Pignone); in basso: simulazione virtuale notturna dell’area attrezzata destinata ad eventi culturali e di intrattenimento (fonte: Policreo S.r.l.).
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1 - Inquadramento territoriale (a sinistra) e planimetria generale di progetto con indicazione dei macroambiti di intervento (a destra): a interventi integrati di razionalizzazione della mobilità e riqualificazione del sistema dei viali; b - interventi integrati di rigenerazione urbana e riqualificazione funzionale; c - interventi integrati per la fruibilità e la valorizzazione del sistema litorale. Fonte per questa immagine e per tutte le seguenti: Policreo S.r.l..
Le criticità prevalenti che caratterizzano l’attuale sistema di relazioni fra porto e ambito urbano risultano sia di carattere viabilistico, a causa della scarsa specializzazione degli accessi e della commistione fra mezzi pesanti e traffico locale, sia di natura architettonica, funzionale e percettiva, data la scarsa vivibilità delle aree del lungo porto, la carenza di servizi, l’assenza di una fruibile passeggiata a mare e la diffusa presenza di ambiti dequalificanti e in disuso, che determinano la schermatura delle principali prospettive “città-porto” e le visuali verso la catena delle Alpi Apuane. Il progetto di riqualificazione dell’Interfaccia Porto-Città, sviluppato dalla società di progettazione Policreo S.r.l., per gli aspetti viabilistici, funzionali, architettonici e paesaggistici, e dal prof. Paolo Sammarco, per quanto riguarda le opere idrauliche e marittime, offre opportune risposte agli indirizzi programmatici del nuovo Piano Regolatore Portuale, prevedendo una complessiva rifunzionalizzazione ad ampio raggio delle molteplici relazioni fra il porto e la città di Marina di Carrara, con particolare attenzione alla rigenerazione delle aree maggiormente degradate e marginalizzate e al ripristino connettivo del tessuto urbano. Il quadro complessivo delle azioni progettuali, definito sulla base di un forte coordinamento con le istituzioni competenti (Amministrazione Comunale di Carrara, Soprintendenza per i beni architettonici, paesaggistici, storici, artistici ed etnoantropologici di Lucca e Massa Carrara), nonché attraverso percorsi partecipativi che hanno coinvolto la comunità dei residenti e l’associazionismo locale, interessa una superficie di circa 80.000 m² e si articola in tre macroambiti omogenei di intervento i quali concorrono, in maniera fortemente integrata, al conseguimento degli obiettivi strategici individuati: - interventi integrati di razionalizzazione della mobilità e riqualificazione del sistema dei viali; - interventi integrati di rigenerazione urbana e riconversione funzionale; - interventi integrati per la fruibilità e la valorizzazione del sistema litorale.
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Interventi integrati di razionalizzazione della mobilità e riqualificazione del sistema dei viali Gli interventi integrati di razionalizzazione del sistema della mobilità, delle relazioni con la viabilità urbana e dell’accessibilità al porto riguardano un’ampia area che ricomprende gli storici viali Giovanni da Verrazzano e Cristoforo Colombo nonché lo strategico nodo viario di viale Da Verrazzano, viale Zaccagna e viale delle Pinete. Le problematiche riscontrate in tali ambiti consistono prevalentemente nella presenza di fenomeni di congestione causati dalla promiscuità della rete viaria e dalla diffusa presenza di mezzi pesanti, nella permanenza di punti di conflitto fra le correnti veicolari - determinando particolari criticità in termini di sicurezza stradale, condizioni visibilità e geometrie stradali inadeguate - nonché nell’assenza di un’efficiente ed integrata rete di percorsi pedonali e ciclabili. Dal punto di vista paesaggistico e percettivo si riscontra inoltre la progressiva perdita del patrimonio vegetazionale dei viali, che costituisce peraltro il principale punto di contatto fra ambito urbano e ambito portuale, determinandone la scarsa attrattività e fruibilità da parte della mobilità lenta. Gli interventi prevedono, da un lato, la riqualificazione geometrica e funzionale dell’attuale intersezione canalizzata tra viale Da Verrazzano, viale Zaccagna e viale delle Pinete, perseguendo una generale riorganizzazione della gestione dei flussi e separando il traffico urbano da quello pesante diretto alla nuova offerta portuale, dall’altro la riconfigurazione del sistema dei viali al fine di garantire un efficace collegamento tra parte est ed ovest della città mediante l’ulteriore specializzazione dei flussi, la realizzazione di itinerari ciclopedonali e il riequipaggiamento vegetazionale. Il progetto risolve il nodo viario attraverso la realizzazione di due rotatorie con la funzione di riorganizzare e gestire con elevato grado di sicurez-
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2 - Planimetria degli interventi sulla viabilità e simulazione virtuale della passerella pedonale sul torrente Carrione.
za i flussi di traffico, razionalizzando gli accessi al porto grazie alla realizzazione di ingressi distinti e specializzati per le varie aree funzionali. Lo schema viabilistico sviluppato consente di offrire le opportune geometrie libere per il transito dei carichi eccezionali provenienti sia dai cantieri extra portuali “Nuovo Pignone” sia dalle aree cantieristiche e mercantili del porto. L’organizzazione del nuovo accesso al porto è ottenuta mediante un ampio ponte sul torrente Carrione, con 8 corsie di transito modulabili, in relazione alle esigenze di esercizio del porto stesso, affiancato sul lato mare da una passerella pedonale leggera destinata all’utenza crocieristica; nella medesima area sono previste opere di sistemazione e protezione della foce del torrente stesso. I contestuali interventi di riqualificazione dei viali Da Verrazzano e Colombo consistono nel risezionamento stradale degli stessi attraverso la creazione di due carreggiate separate per senso di marcia, opportunamente affiancate da percorsi ciclopedonali; l’intersezione semaforizzata con l’importante asse di viale XX Settembre è risolta mediante un’ampia rotatoria nell’ambito della quale è prevista la riqualificazione e la ricollocazione del monumento al “Buscaiol”. Per l’intera estensione dei viali è previsto il riequipaggiamento della dotazione vegetazionale mediante l’inserimento di 72 nuove alberature in grado di ricreare una cortina verde ad elevato valore ecosistemico, ambientale e di riqualificazione del paesaggio urbano. L’insieme di tali azioni consente pertanto la complessiva ottimizzazione, messa in sicurezza e fluidificazione del sistema viabilistico esistente attraverso la razionalizzazione e la specializzazione dei percorsi e degli accessi, la riduzione del passaggio di mezzi pesanti in ambito urbano, nonché il miglioramento della qualità paesaggistica e delle interconnessioni lente fra le aree di levante e ponente del porto, anche in ragione delle sfide offerte dal futuro assetto territoriale generato dal potenziamento dell’offerta mercantile, cantieristica e croceristica.
Interventi integrati di rigenerazione urbana e riconversione funzionale L’ambito di intervento si sviluppa su una superficie di circa 18.000 m² delimitata a nord dal viale Cristoforo Colombo, ad ovest dalla pineta sul tratto sud di via Rinchiosa, ad est dagli edifici afferenti alle attività portuali (Autorità Portuale, Capitaneria di Porto); nel tratto più vicino alla costa si attesta lo stretto itinerario pedonale di accesso alla spiaggia libera, unico affaccio sul mare della città. Una consistente parte dell’ambito risulta oggi occupata da aree afferenti alle attività portuali, quali l’ampio piazzale di lamiere recentemente dismesso ed eterogenei edifici di rimessaggio, che rendono possibili interessanti percorsi di riqualificazione e rigenerazione urbana ai fini dell’implementazione dell’offerta di servizi, di spazi di relazione e di aree verdi. Gli obiettivi principali perseguiti consistono infatti nell’implementazione di una più forte relazione fra l’ambito insediativo urbano e l’ambito litoraneo e portuale, oggi ulteriormente compromesso dall’assenza di servizi, offerte commerciali ed itinerari appetibili di connessione, nonché nella riqualificazione e restituzione alla collettività di aree oggi in parziale disuso, o caratterizzate da attività non omogenee con l’importante vocazione turistica e il valore percettivo e paesaggistico del contesto. Le soluzioni progettuali individuate, inoltre, implementano opportunamente le iniziative previste nell’ambito del Piano Urbano dell’Arenile, PUA “Litorale” sviluppato dal Comune di Carrara, che prevede la pedonalizzazione di via Rinchiosa a sud di viale Colombo, risolvendo l’attuale commistione con il traffico veicolare misto. L’intervento si caratterizza per la bassa densità edilizia e per l’integrazione con il contesto nel quale si inserisce; in tale ottica si è interpretato il punto di contatto fra l’ambito insediativo e l’area portuale come cardine strategico da enfatizzare con un’am31
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3 - Planimetria degli interventi di rigenerazione urbana presso la “Porta di Ponente” e simulazioni virtuali dalla piazza alberata e dall’area mercatale.
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pia piazza alberata, interamente pedonale, che partendo da viale Cristoforo Colombo prosegue idealmente l’itinerario principale attestato sull’attuale via Rinchiosa. La quinta verde della pineta adiacente “invade” la nuova piazza integrando alla pavimentazione e ad elementi di arredo urbano i filari di bagolare esistenti e nuove alberature ombreggianti; sul fronte opposto una nuova cortina edilizia caratterizzata da un’architettura contemporanea ad elevata efficienza prestazionale ed energetica definisce il margine della piazza alberata, arricchendo la zona relazionale con diversi servizi e funzioni, creando inoltre una quinta architettonica parallela al sedime degli edifici esistenti dell’Autorità Portuale e della Capitaneria di Porto. La viabilità automobilistica, deviata in una strada di nuova realizzazione ricompresa fra gli edifici polifunzionali e gli esistenti edifici direzionali portuali, prosegue verso il litorale di ponente immettendosi sull’esistente via da Verrazzano attraverso un portale architettonico che funge da soglia tra la città e l’offerta paesaggistica e funzionale della costa. L’edificio che costituisce tale portale, vero e proprio fulcro del sistema insediativo di progetto, collega l’ambito urbano al paesaggio, garantendone la percezione sopraelevata attraverso un itinerario di progressiva scoperta: il fronte rivolto verso la piazza alberata è infatti caratterizzato dalla presenza di un’ampia scalinata a gradoni, luogo informale di relazione e di svago, utilizzabile anche come anfiteatro per eventi, e ideale invito ad abbandonare il piano orizzontale dell’ambito urbano attraverso un percorso che si eleva per recuperare l’orizzonte e traguardare il mare. La realizzazione di un ulteriore spazio aperto di relazione, opportunamente attrezzato per ospitare eventi di mercato o di intrattenimento, e reso
omogeneo mediante quinte architettoniche che schermano gli ambiti incongrui dedicati alla sosta o alle attività portuali, conduce progressivamente ad una piccola piazza protetta da alberature ombreggianti, luogo di meditazione e riposo arricchito dalla mole bianca del faro, da cui traguardare per la prima volta l’orizzonte profondo ma ancora confinato dalla diga foranea. L’insieme degli interventi integrati di riqualificazione urbana e funzionale per la “Porta di Ponente” consente, pertanto, di promuovere importanti percorsi di rigenerazione urbana restituendo alla città un ideale caposaldo tra il centro urbano e il mare, interpretato come sistema dinamico di luoghi di relazione, arricchito da spazi destinati a servizi polifunzionali, ad eventi culturali e di intrattenimento, alla promozione del commercio dei prodotti ittici e agroalimentari locali.
Interventi integrati per la fruibilità e la valorizzazione del sistema litorale La finalità prevalente degli interventi integrati per la fruibilità del sistema litorale è costituita dall’esigenza di ripristinare l’affaccio sul mare della città di Marina di Carrara, oggi fortemente limitato a causa della presenza del porto, della cortina degli impianti balneari e dell’ostruzione visiva determinata dall’alto muro paraonde lungo la diga foranea. L’importante obiettivo di restituire alla collettività una relazione diretta con il mare è stato interpretato mediante soluzioni ispirate all’evocazione della storia del territorio, sia dal punto di vista naturalistico, riproponendo elementi del paesaggio storico del litorale toscano, sia dal punto di vista sim-
TRASPORTI & CULTURA N.41 bolico, rievocando la memoria storica della città e la vocazione preminente del porto stesso, legate all’estrazione e al trasporto del marmo. Il sistema di itinerari che collega la passeggiata lungo il mare con l’ambito urbano inizia in prossimità della spiaggia libera adiacente al molo di ponente; tale ambito di confine è stato individuato come collocazione ideale per il recupero evocativo degli elementi naturalistici costituiti dalle dune vegetate con arbusteti spontanei che caratterizzavano, prima dell’estensivo sfruttamento delle coste, gran parte del litorale tirrenico. Gli itinerari si sviluppano su un’area complessiva di oltre 4.000 m² e risultano caratterizzati dall’alternanza di percorsi pedonali e sistemi di vasche dall’andamento curvilineo, irregolare ed avvolgente, le cui pareti accompagnano idealmente verso la spiaggia o verso la passeggiata sul mare, digradando progressivamente fino a scomparire nella sabbia; la vegetazione autoctona e storica riproposta in tali ambiti è caratterizzata da forte mutevolezza stagionale, determinata dalle intensità e direzionalità dei venti e dal clima, offrendo percezioni e suggestioni sempre diverse durante l’arco dell’anno. L’importante vocazione di un territorio storicamente legato all’estrazione, alla lavorazione e al trasporto del celebre marmo di Carrara è interpretata attraverso un itinerario pedonale affiancato ed accompagnato da grandi monoliti bianchi posti in mare in prossimità del molo, rievocando la preminente funzione portuale di imbarco dei materiali lapidei provenienti dalle cave situate nel vicino entroterra. Tali elementi, realizzati mediante conglomerato cementizio pigmentato con polvere di marmo, ricreano spazi fortemente articolati, individuando punti di sosta e di osservazione protetta del paesaggio, utilizzabili anche come “solarium” nella stagione estiva.
Nella medesima ottica la presenza del porto è stata interpretata non come mero elemento da occultare, bensì come importante testimonianza dell’evoluzione storica del territorio: a tal fine è stata sviluppata una approfondita analisi dei coni visivi strategici sia sull’arco delle Alpi Apuane sia sulle imponenti strutture portuali, enfatizzando i punti di percezione di particolare pregio ed attenuando eventuali ambiti di disturbo. La percezione di manufatti e impianti potenzialmente incongrui afferenti all’ambito portuale lungo l’intero sviluppo della passeggiata a mare è pertanto schermata attraverso particolari filtri visivi, ottenuti mediante la giustapposizione di elementi metallici orientati con differenti angolazioni al fine di ricreare, a seconda dei contesti, effetti di mascheramento completo ovvero di parziale copertura. Tali elementi culminano con aggetti variabili per profondità ed orientamento, a ricreare un sistema di ombreggiamento e consentendo inoltre l’integrazione di illuminazioni a led al fine di garantire la fruibilità in sicurezza anche nelle ore notturne. Il percorso evocativo termina in corrispondenza di un ampio spazio attrezzato con sedute che si caratterizza come la nuova “piazza a mare” della città: punto di vista preferenziale in quanto collocato in corrispondenza dell’angolo che segna il cambio di direzionalità della diga foranea ed orientato verso lo scenario naturale del golfo della Spezia. Dall’ambito della “piazza a mare” si accede all’itinerario pedonale pensile che si sviluppa sulla sommità della diga foranea; il radicale cambio di destinazione della diga stessa, da semplice opera di protezione delle banchine a passeggiata pedonale, ha richiesto una risagomatura e un potenziamento della sezione corrente al fine di ottenere la funzionalità richiesta. Il dimensionamento dell’opera è stato ottimizzato facendo ricorso ad un modello fisico bidimensio-
4 - Itinerari evocativi delle preesistenze naturalistiche del litorale toscano, planimetria e simulazione virtuale.
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5 - Itinerario evocativo della memoria storica del territorio Apuano, concept di progetto e simulazioni virtuali.
6 - Passeggiata lungomare in corrispondenza della diga foranea, simulazione panoramica con percezione verso l’ambito portuale e il mare.
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nale in canaletta: la nuova sezione consente pertanto la fruibilità pedonale, presentando valori del sormonto del moto ondoso (overtopping) compatibili con la sicurezza dei fruitori. Il percorso si sviluppa per una lunghezza di circa 860 metri, fino al culmine della diga, in corrispondenza dell’esistente lanterna di accesso al porto e consente di traguardare l’orizzonte lungo tutto l’itinerario; l’aggetto dell’area calpestabile, ottenuto grazie alla geometria della barriera paraonde, consente di limitare la visuale della berma della scogliera, enfatizzando la percezione aperta del mare. In prossimità di alcuni punti ritenuti particolarmente significativi sono stati infine ricreati slarghi attrezzati con sedute e ampie finestrature oppor-
tunamente orientate nell’elemento di filtro visivo, inquadrando determinati ambiti riconosciuti come peculiari del paesaggio naturalistico ed insediativo-storico afferente all’ambito delle Alpi Apuane.
Conclusioni Le azioni progettuali integrate intraprese, in piena coerenza con gli indirizzi programmatici e le strategie di trasformazione del Piano Regolatore del Porto, con gli strumenti di pianificazione vigenti a scala provinciale e comunale nonché con i processi partecipativi sviluppati, consentono di con-
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seguire una profonda riqualificazione funzionale, architettonica e paesaggistica in grado di promuovere nuove e contemporanee relazioni urbane di Interfaccia Porto-Città. Il quadro complessivo degli interventi, oltre a migliorare la funzionalità e le connessioni del porto, permette pertanto di restituire alla comunità di Marina di Carrara oltre 20.000 m² di aree dismesse riqualificate come piazze pedonali alberate o luoghi di relazione, commercio e svago, 3.000 m² destinati a spazi commerciali e direzionali, ricettivi, per la ristorazione e i servizi all’offerta turistica, nonché 1.2 km di percorsi ed itinerari panoramici lungomare riqualificati, ridisegnando le relazioni fra ambito urbano, porto e litorale nell’ottica di
uno sviluppo turistico sostenibile ed integrato con lo straordinario patrimonio territoriale e paesaggistico locale.
7 - Simulazione virtuale dall’ambito marino degli itinerari evocativi della memoria storica del territorio.
Riproduzione riservata ©
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Catania: verso una possibile integrazione porto-città di Elena Cocuzza, Matteo Ignaccolo e Giuseppe Inturri
Negli ultimi decenni la delocalizzazione di attività portuali, o di parte di esse, e la dismissione delle relative infrastrutture, sono stati il punto di partenza di processi di trasformazione delle città, per inserire attrezzature, nuove funzioni, e attività culturali, economiche e turistiche (Gabrielli, 2004). La città di Catania, tema della nostra trattazione, ha uno sviluppo lungo la costa ionica siciliana di circa 9 km1; gran parte del tessuto storico si affaccia lungo l’area portuale che si estende su 3 km di litorale ed è chiusa da un recinto murario doganale. Quest’ultimo è interamente costeggiato dal principale asse di accesso da sud alla città, la Strada Statale 114, interessato da elevati flussi di traffico veicolare a doppio senso di marcia, lungo il quale si susseguono da sud via Domenico Tempio, via Cristoforo Colombo, piazza Borsellino2, via Cardinale Dusmet, piazza dei Martiri e piazza Giovanni XXIII, quest’ultima sede della stazione ferroviaria Catania Centrale3. Lungo via Dusmet, parallelamente al recinto portuale, si trova il viadotto ferroviario in muratura denominato “Archi della Marina”, realizzato nel 1869 e raddoppiato in sezione trasversale al fine di renderlo a doppio binario negli anni sessanta del XX secolo. Ancora oggi è in funzione e collega la stazione ferroviaria all’imbocco della galleria Acquicella4. Ad ovest dell’area portuale è situato un tessuto edilizio, espansione della città verso sud dopo il terremoto del 1693, da anni afflitto da un forte degrado fisico e sociale, anche per la presenza di edifici industriali e capannoni dismessi, degradati e abbandonati in attesa di una rifunzionalizzazione e riqualificazione, tra i quali il cementificio Italcementi e il mercato ittico. La vicinanza al centro storico e la presenza di numerose funzioni (residenziale, commerciale) e attività (servizi, attrezzature comunali e istituzioni), insieme all’elevata accessibilità garantita dal trasporto pubblico conferiscono un ruolo strategico all’area, considerata uno dei principali poli attrattori del territorio. Infatti, sono presenti due sta1 Oltre ai 2,5 km del litorale costiero sabbioso a sud, conosciuto come la Playa, si susseguono, in direzione nord, la foce del torrente Acquicella, il porto commerciale polifunzionale, la scogliera de Larmisi - che si estende per circa 2 km ed è attualmente occupata dal tracciato ferroviario - e il lungomare nord con gli antichi borghi marinari di San Giovanni Li Cuti e di Ognina. 2 Ex piazza Alcalà. 3 Che assorbe la totalità del traffico ferroviario passeggeri della città. 4 La linea ferroviaria, dopo piazza dei Martiri, prosegue sul suddetto viadotto, superato il quale continua dapprima in trincea e, successivamente, in galleria, passando in adiacenza al Castello Ursino, proseguendo infine a cielo aperto fino alla stazione Acquicella.
Catania: towards a possible integration between port and city by Elena Cocuzza, Matteo Ignaccolo and Giuseppe Inturri In recent decades, the development of port areas has served as a catalyst for the regeneration of cities, and as an opportunity to promote sustainable development. In Catania, part of the city lies along the port area (which extends 3 km along the coast and is enclosed by a fence for customs purposes); the port is located in an area of strategic importance because of its proximity to the historic centre, among other things. Thus, the port-city relationship is a matter of debate, as Catania awaits the design and approval of a new City Master Plan and a new Port Plan. A critical examination of recentlyproposed city and port plans highlight the crucial role that the port could play in the future, because it would be a unique opportunity to create an urban waterfront, to identify critical issues, and to plan new facilities. To open and develop public-domain areas would offer a unique opportunity to create an urban waterfront, to resolve critical issues such as the urban mobility system or the lack of common public facilities and green areas, and to select areas that could be designated for new functions and activities for residents and tourists in the city.
Nella pagina a fianco, in alto: una veduta del Porto Vecchio di Catania; in basso: il Porto Peschereccio e Molo Crispi nel Porto di Catania.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 zioni della linea metropolitana5, Catania Centrale e Porto, quest’ultima situata in corrispondenza dell’ingresso nord del porto, la suddetta stazione ferroviaria e i terminal dei bus urbani ed extraurbani, nelle piazze Giovanni XXIII e Borsellino. Inoltre, il rapporto con il mare è unico e di grande valore tradizionale, storico, culturale e ambientale, ed è oggetto di ampio dibattito da diversi anni, essendo Catania in attesa sia della redazione di un nuovo Piano Regolatore Generale (PRG), che dell’approvazione della proposta di Piano Regolatore Portuale (PRP), presentata dall’Autorità Portuale nel 2004.
Dinamiche storiche urbane Catania, fondata nel 729 a.C., in seguito al terremoto del 1693 fu ricostruita secondo delle direttrici ortogonali, che si intersecano ad angolo retto attorno al duomo. In seguito, sul tratto a sud-est delle mura6 realizzate da Carlo V, attuale via Dusmet, furono edificate numerose residenze7 e, nel XVIII e XIX secolo, il governo borbonico cominciò il potenziamento infrastrutturale del porto, in corrispondenza dell’odierno Porto Vecchio. L’attuale assetto dell’area è stato in parte determinato dalla costruzione, a partire dal 1866, della ferrovia Messina-Catania-Siracusa, con percorso costiero8, e degli Archi della Marina fondati parte sulla battigia e parte in mare, inglobati nel tessuto urbano all’inizio degli anni trenta del XX secolo per la realizzazione del Molo Crispi. In seguito ai bombardamenti subiti dalla città durante il conflitto, con il riempimento dei detriti e delle macerie fu realizzata piazza Borsellino. Successivamente, grazie a ulteriori ampliamenti verso il mare lungo l’area a ovest, si è ottenuta la configurazione attuale, ricavando spazi per altre banchine e per la viabilità interna al porto.
Background Il porto di Catania9 svolge attività commerciale polifunzionale10, crocieristica11, cantieristica, peschereccia e diportistica. Ricopre un ruolo centrale nel sistema economico regionale, avendo come bacino d’utenza un territorio con una popolazione di circa 3 milioni di abitanti, afferenti a 6 delle 9 province siciliane. Negli ultimi anni ha registrato notevoli sviluppi nel settore dei container e dei traghetti Ro-Ro e Ro-Pax, grazie alla sua ubicazione e al collegamento, tramite l’Asse dei servizi e 5 La metropolitana non sfrutta ancora appieno la potenzialità della linea a causa dell’incompletezza della rete; si pone pertanto come obiettivo la prosecuzione della linea all’interno del centro storico e il collegamento delle tratte esistenti, a nordovest, con la fascia pedemontana etnea e, lungo la periferia sud ovest, con l’infrastruttura aeroportuale. 6 La cinta muraria che aveva racchiuso la città per secoli - il cui tracciato è ancora leggibile nel tessuto urbano - decaduto il valore difensivo, fu in parte distrutta e in parte inglobata nelle nuove costruzioni. 7 Tra le quali il seminario Arcivescovile, palazzo dei Chierici e palazzo Biscari. 8 In ambito urbano alterna tratti a cielo aperto e in galleria. 9 Classificato dal T.U. 16 luglio 1984, articoli 3 e 10, come scalo di II categoria, 1° classe, porto di rilevanza economica internazionale. È sede di Autorità Portuale, Ente gestore del porto istituito dalla Legge N. 84 del 28 gennaio 1994 “Riordino della legislazione in materia portuale”. 10 Dati 2013: 5.847,702 tonnellate movimentate, 30.255 TEUs e 197.377 crocieristi in transito (Fonte: Assoporti e Autorità Portuale di Catania). 11 Catania è un porto di transito.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 la Tangenziale, con la rete stradale e autostradale regionale, con l’aeroporto e con la stazione ferroviaria di Bicocca12, entrambi situati a pochi km a sud. Nella stessa area si trova la Zona Industriale, sviluppatasi a partire degli anni ‘50 del XX secolo, nella quale si è insediato un importante polo tecnologico e, più recentemente, un polo logistico13, anche grazie alla presenza di numerosi poli commerciali nell’hinterland. Inoltre sono in corso i lavori per la realizzazione dell’Interporto14 di Catania-Bicocca. L’attuale struttura portuale risale al XX secolo, dispone di 3.462 m di accosti, 650.000 m2 di superficie a terra, 800.000 m2 di specchi acquei, ed è costituita da un bacino artificiale limitato a est dal Molo di Levante, dove è situato un impianto di degassificazione, e a sud dal Molo di Mezzogiorno, destinato a merci varie. Nella zona a nord, lungo via Dusmet, vi è lo Sporgente Centrale, utilizzato per navi Ro-Ro e da crociera, situato tra il Porto Vecchio, a ovest, adibito al traffico dei motopescherecci e alle imbarcazioni da diporto, e il Porto Nuovo, a est, con banchine utilizzate da pescherecci, club nautici e traghetti Ro-Ro. Lungo le vie Colombo e Tempio si susseguono il Molo Crispi, dove sono ubicate banchine per navi Ro-Pax, portacontainer e silos15; un porticciolo pescherecci e alcune aree in concessione per cantieri nautici. Tuttavia, in seguito alla significativa e continua crescita16, si registra un uso misto delle aree e delle infrastrutture esistenti, la carenza di piazzali operativi, la mancanza di spazi e strutture a uso esclusivo del settore crocieristico e della nautica da diporto. Anche la viabilità interna risulta inadeguata, con la conseguente sovrapposizione e intersezione sia di flussi veicolari (mezzi pesanti/privati) che di veicoli/persone, per l’assenza di spazi e percorsi per la mobilità pedonale/ciclistica. Il trasporto merci è esclusivamente su gomma, pur essendoci una rete ferroviaria interna per la loro movimentazione e, nella fascia17 compresa tra gli Archi della Marina e il recinto portuale, rami di collegamento alla rete principale già dismessi. Negli ultimi anni, l’accesso in entrata/uscita dei mezzi pesanti avviene dal varco Faro Biscari, situato a sud e collegato all’Asse dei servizi, per minimizzare le interferenze con il congestionato traffico urbano. Il varco Dusmet, invece, è destinato ai pedoni e al traffico veicolare privato. Attualmente, lungo il perimetro portuale esterno, così come lungo le vie limitrofe, si evince la scarsità di aree a uso esclusivo della mobilità pedonale, oltre che la mancanza di percorsi ciclabili, e permangono le condizioni di marginalità e degrado che affliggono, da anni, il tessuto lungo la fascia tra il Faro Biscari e piazza Borsellino, nonostante diverse proposte di riqualificazione susseguitesi nel tempo. Un primo tentativo di apertura del porto alla città è stato il restauro e la rifunzionalizzazione della Vecchia Dogana, situata lungo via Dusmet a ridosso dell’omonimo varco, un edificio della fine del XIX secolo del Demanio Marittimo gestito dall’Autorità Portuale, dato in concessione per 30 anni grazie ad un project financing. Inaugurata nell’ot12 Principale scalo merci regionale e tra i più importanti a livello nazionale. 13 Costituito da numerose aziende private che offrono servizi di trasporto e logistici avanzati a livello regionale e nazionale. 14 Un centro di trasporto e interscambio delle merci che occuperà un’area di 212.000 m2. 15 Capacità di stoccaggio di 48.500 t. 16 68.749 crocieristi in transito nel 2005. 17 Tale area è di competenza dell’Autorità Portuale.
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TRASPORTI & CULTURA N.41
I piani a confronto: la riqualificazione mancata e i possibili scenari di intervento
1, 2 e 3 - Nella pagina 38, dall’alto in basso: gli Archi della Marina, via Dusmet, Piazza Borsellino (inizio XX secolo). 4, 5 e 6 - Nella pagina 39, dall’alto in basso: gli Archi della Marina, via Dusmet e piazza Borsellino (oggi). 7 - In questa pagina: Catania, l’area portuale.
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tobre 2011, la struttura, che dispone di 10.000 m² di superficie coperta su tre livelli, è nata come polo enogastronomico18 e ospita attività commerciali e di intrattenimento, oltre che il centro di accoglienza per i crocieristi in transito e i turisti, la stazione marittima e un ufficio di informazione turistica19. Tuttavia, a causa di errate politiche di gestione e della crisi economica, è fortemente sottoutilizzata. Per di più, trattandosi di un intervento puntuale, la scarsa presenza dei flussi di visitatori ha evidenziato maggiormente le criticità legate al sistema della mobilità urbana e portuale. In seguito alle recenti trasformazioni avvenute in altre città portuali in ambito internazionale e in relazione al valore emblematico che molte aree portuali hanno assunto, diventando spazi pubblici a servizio del centro urbano e fruibili non solo dagli utenti del porto ma anche dai cittadini, a Catania le richieste sempre più pressanti della città hanno determinato una forte attenzione, data la vicinanza del tessuto storico e il ruolo strategico dell’area, alla possibile interazione tra porto e città. Tale rapporto, tuttavia, è fortemente penalizzato dalla presenza di barriere di diversa natura: la cinta doganale, con la conseguente mancanza di connessione con il fronte mare, il sistema della mobilità e i forti flussi di traffico lungo il perimetro portuale esterno, la presenza della linea ferroviaria sugli Archi della Marina. Da questi ultimi elementi non si può prescindere nell’ottica di una auspicata integrazione e realizzazione di un waterfront urbano. Indubbiamente un ruolo chiave potrebbe essere rappresentato dalla nuova Darsena Commerciale, situata a sud, in fase di completamento: un intervento di adeguamento tecnico-funzionale al PRP vigente, che prevede la realizzazione di nuove banchine e piazzali20 portuali destinati al traffico Ro-Ro e container, per complessivi 120.000 m2 e con un incremento pari al 70% della superficie attuale.
La città è in attesa di un nuovo Piano Regolatore Generale poiché, nonostante il susseguirsi di proposte negli ultimi vent’anni, il PRG redatto dall’architetto Luigi Piccinato nel 1964, approvato nel 1969, costituisce ancora oggi lo strumento urbanistico vigente. Tale piano circoscrive la fascia costiera come “Area Industriale-Portuale-Ferroviaria”, il tessuto lungo via Dusmet “Centro storico” e gli isolati compresi tra piazza Borsellino e via Tempio “Area artigianale”. L’assetto della viabilità proposto prevede una nuova arteria stradale in direzione dell’aeroporto (con parziale sventramento del tessuto esistente). Inoltre il piano individua un’area verde in piazza Borsellino e un’espansione del porto a sud. Tuttavia, i previsti interventi di demolizione e riorganizzazione del tessuto esistente non sono stati eseguiti, né sono state espropriate le aree destinate a verde pubblico, con conseguente parziale realizzazione dei servizi. Nel 1978 è stato approvato il Piano Regolatore Portuale, tuttora vigente, che si limita a indicare alcuni lavori di infrastrutturazione del porto, quali il prolungamento della Diga Foranea, l’ampliamento del Molo di Levante, una nuova Darsena a servizio della zona industriale e del traffico containerizzato e una infrastruttura a sud adibita a porto peschereccio. Un primo accenno alla volontà di riqualificare la zona lungo il porto si riscontra nella proposta di Piano Regolatore Generale del 1994, nella quale Pierluigi Cervellati manifesta la volontà di creare una sorta di waterfront, progettando un bacino d’acqua in piazza Borsellino e aree verdi all’interno del recinto portuale a nord, senza dare, però, una specifica definizione degli interspazi circostanti le aree operative. Propone di destinare a servizi turistico-ricettivi e di interesse comune sia gli edifici dismessi lungo le vie Colombo e Tempio che nuove edificazioni da realizzare più a sud, dove prevede anche aree verdi e un porto turistico a ridosso del Molo di Mezzogiorno. In seguito a un adeguamento21 tecnico-funzionale al PRP vigente è stata assunta una destinazione d’uso parzialmente diversa di alcune banchine e specchi acquei, in particolare per la Darsena, destinata a servizio del traffico Ro-Ro e container (la cui conformazione è stata definita da un ulteriore intervento22 di adeguamento nel 2003), e del porto peschereccio, destinato anche a porto turistico. In seguito alla Legge n. 84 del 28 gennaio 1994, Riordino della legislazione in materia portuale, il Piano Regolatore Portuale23 è divenuto uno strumento di pianificazione del territorio portuale e delle aree limitrofe, non più “mero strumento di programmazione di opere portuali”. Essendo lo strumento vigente inadeguato per le mutate esigenze di sviluppo del porto, la proposta di PRP, redatta nel febbraio 2004 dall’Autorità Portuale, si pone l’obiettivo di rinnovarne l’assetto, trasferendo la movimentazione dei container e i traffici Ro-Ro nella nuova Darsena Commerciale, ulteriormente ampliata, e di mantenere i traffici legati alla
18 Ospita la Città del Gusto del Gambero Rosso. 19 Della Provincia di Catania. 20 Saranno disponibili 5 nuovi ormeggi, in aggiunta all’esistente, per complessivi 1.100 m di banchine e 150.000 m2 di specchi acquei.
21 Approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con Voto n° 221 del 25/06/1998. 22 Approvato dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con Voto n° 451 del 15/01/2003. 23 È un piano strutturale di lungo periodo (10-15 anni).
TRASPORTI & CULTURA N.41 “Interazione porto-città”, lungo via Dusmet, denominato Waterfront, “dove collocare altre attrezzature portuali ma anche propriamente urbane legate ai servizi, al commercio, alla cultura, alla direzionalità, che comprende gli innesti e gli affacci urbani, rivolti a collegare il tessuto della città con le aree portuali più permeabili e più compatibili con i flussi e le attività urbane”. Le infrastrutture25 portuali e le retrostanti aree a nord, più vicine al centro storico, pertanto, sono destinate ad attività portuali (nautica da diporto, pesca, servizi di trasporto pubblico via mare, terminal crocieristico e stazione marittima26) compatibili con gli usi urbani previsti (oltre ad attività commerciali e di ristorazione nella Vecchia Dogana, sono previsti spazi espositivi, attività ricettive, di ristorazione, commerciali, uffici e pubbliche amministrazioni, da allocare in edifici esistenti e di progetto). In seguito all’interramento27 dei suddetti binari di raccordo e all’abbattimento della cinta doganale, che viene mantenuta per 1,4 km per delimitare l’ambito operativo, tali aree verrebbero rese accessibili e pienamente fruibili dalla città, con spazi e percorsi pedonali/ciclabili e aree verdi, tra le quali un vasto giardino pubblico in piazza Borsellino, da integrare all’esistente villa Pacini. Relativamente all’area sud, al fine di creare una cerniera tra il porto commerciale e la zona balneare, è prevista un’ulteriore espansione, a ridosso della nuova Darsena, con la realizzazione di un porto turistico28 per attività cantieristiche, sportive e nautica da diporto, e un altro ambito di “Interazione porto-città”, denominato Playa”29. Da anni è in discussione anche la realizzazione del cosiddetto Nodo Catania, un progetto per il raddoppio in ambito urbano della ferrovia30. Nel 2003 è stato sviluppato un progetto preliminare31, nell’ambito della Legge Obiettivo32, che prevedeva interventi nel territorio comunale di Catania che si inseriscono nel più ampio contesto della direttrice Messina-Catania-Palermo33, tra i quali: realizzazione di nuove fermate nell’ottica di sviluppo di un servizio metropolitano; interramento della ferrovia lungo la scogliera de Larmisi e della stazione Catania Centrale; raddoppio della tratta compresa tra gli Archi e la stazione Acquicella. Quest’ultimo ha scatenato un acceso dibattito, poiché prevede alcune demolizioni nel tessuto urbano esistente, e ha ottenuto parere negativo sia dal Comune (subordinato al parere della Soprintendenza ai BB.CC. AA.) che da diverse associazioni di cittadini. La riqualificazione e la fruizione del waterfront sono anche tra le priorità dell’Amministrazione comunale che nel 2004 ha incaricato lo studio MBM Arquitects34 di un progetto urbano del tratto costiero tra piazza Borsellino e Ognina, in seguito al progetto preliminare di interramento della linea ferrata e della stazione, per una maggiore integra-
movimentazione delle altre merci sul lato occidentale del porto. Inoltre, in accordo con le Linee guida per la redazione dei Piani Regolatori Portuali del 2004, nell’ottica di un processo di pianificazione e gestione più ampio e articolato, individua un ambito24 di 24 I diversi ambiti individuati sono coincidenti con le aree demaniali marittime di competenza dell’Autorità Portuale di Catania.
25 É previsto l’ampliamento della banchina del Porto Vecchio. 26 Queste ultime due sono previste nello Sporgente Centrale. 27 La presenza dei binari costituisce un pericolo per il transito di biciclette e motocicli. 28 Circa 114.447 m2, dotato di imboccatura separata. 29 Dove sono previste attività sportive, terziarie e il potenziamento delle attività fieristiche presenti. 30 La ferrovia attualmente offre un servizio di lunga percorrenza per le linee Messina-Catania-Siracusa e CataniaPalermo. 31 Approvato con delibera CIPE n. 45 del 29/9/2004. 32 Strumento legislativo che stabilisce procedure e modalità di finanziamento per la realizzazione delle grandi infrastrutture strategiche in Italia per il decennio dal 2002 al 2013. 33 Facente parte del corridoio Scandinavo-Mediterraneo della Rete di trasporto Trans-Europea TEN-T. 34 Autore del piano di Barcellona per le Olimpiadi del 1992.
8 - PRP vigente e proposta per il nuovo PRP del 2004. (fonte: Autorità Portuale di Catania).
9 - Ambiti individuati dalla proposta di PRP del 2004.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 diverse, i due piani destinano la riconversione degli edifici dismessi lungo le vie Tempio e Colombo a funzioni residenziali, commerciali, culturali, turistico-ricettive, direzionali, con attrezzature pubbliche e di quartiere (aree verdi, spazi e percorsi pedonali e ciclabili) per integrare gli aspetti della mobilità dolce, finalizzati alla riqualificazione dell’ambito urbano limitrofo, alla valorizzazione turistica di tutto il waterfront e alla sua fruizione da parte dei cittadini. Elemento innovativo del piano del 2012 è la proposta di un tracciato ferroviario alternativo, totalmente interrato in galleria, che dalla Stazione Centrale (di cui è previsto l’interramento) si addentra progressivamente all’interno del porto verso la banchina del Porto Vecchio37 (dove è prevista la fermata38 Duomo-Porto in corrispondenza della Vecchia Dogana), occupando una porzione39 dell’attuale specchio acqueo e proseguendo in direzione della stazione Acquicella. Infine, si ipotizza una pista ciclopedonale, un parco lineare sul viadotto ferroviario e l’uso commerciale degli spazi sottostanti.
Conclusioni
10 - Proposta PRP del 2004 e ipotesi di tracciato ferroviario PRG del 2012.
bilità territoriale della costa e fruibilità da parte dei cittadini. Il progetto prevede: l’interramento della grande viabilità dal porto al Faro Biscari per liberare via Dusmet e l’asse viario lungo il recinto portuale, individuando una strada pedonale/ciclabile e una fascia di verde ai lati della quale si innesta una nuova arteria stradale, denominata Circonvallazione di Levante; un tracciato ferroviario alternativo, un percorso interrato che passa sotto il porto; l’abbattimento degli Archi; tra il Porto Nuovo e la stazione ferroviaria, un nuovo porto turistico, infrastruttura prevista dalla proposta di PRP, invece, a ridosso del torrente Acquicella. Le successive proposte di PRG, redatte dagli Uffici tecnici del Comune di Catania nel dicembre 2004 e nel 2012 - quest’ultima con la consulenza del Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Catania - assumono, tra gli indirizzi per la loro redazione, le previsioni35 del PRP relative all’ambito Waterfront. Entrambe le proposte, inoltre, per migliorare il sistema della mobilità nei pressi del varco doganale situato a sud, prevedono la realizzazione di rampe interrate di collegamento dirette tra l’Asse dei servizi e il varco doganale, in corrispondenza del Faro Biscari, prospettata già dal PRP. In entrambi i casi la viabilità interna all’ambito operativo non interferisce con quella urbana esistente né con le possibili soluzioni prospettate36. Seppur con percentuali 35 Tuttavia, la proposta del 2004 prevede un porto turistico a ridosso della Diga Foranea, indicato dal PRP a sud. 36 La proposta del 2004 prevede una Circonvallazione di
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Da quanto precedentemente esposto40 emergono alcune tendenze, quali il possibile abbattimento di parte del recinto doganale e l’uso urbano delle aree portuali lungo via Dusmet, in seguito all’apertura della Nuova Darsena, che si vanno ormai consolidando, evincendosi il ruolo fondamentale che il porto potrebbe avere come possibile motore di rigenerazione urbana. L’apertura e fruizione delle suddette aree demaniali sarebbe un’occasione unica per creare un waterfront urbano e risolvere importanti criticità legate sia al sistema della mobilità urbana che alla carenza di attrezzature di interesse comune e aree verdi, oltre che per reperire aree da destinare a nuove funzioni e attività. Dati i possibili flussi futuri e le attuali criticità per gli utenti vulnerabili che interessano l’area, nell’ottica di uno scenario più sostenibile41 (Banister, 2008), si potrebbe migliorare la permeabilità pedonale e ciclistica, attualmente fortemente carente. La proposta di PRP del 2004 prevede circa 28.220 m2 di verde attrezzato e 20.169 m2 di spazi e percorsi pedonali, suscettibili di incremento a seguito dell’eventuale fruizione del Molo di Levante (sia alla quota banchina che alla sommità). Un Levante, come ingresso sud alla città, il cui tracciato interrato costeggia l’area del porto dall’asse dei servizi fino a piazza Giovanni XXIII. 37 Tale ipotesi sfrutta l’allargamento della suddetta banchina prevista già dal PRP per consentire il passaggio della nuova galleria ferrovia interrata, in alternativa all’attuale percorso sugli Archi, anche con funzione metropolitana, e la realizzazione della nuova stazione interrata che potrà ospitare anche spazi di tipo mercantile e per l’accoglienza dei crocieristi. 38 Un’altra fermata ferroviaria è prevista lungo il tessuto retrostante via Colombo. 39 A tal fine, è previsto l’ampliamento della banchina compresa tra il Molo Crispi e lo Sporgente Centrale, intervento già ipotizzato dal PRP. 40 Tra le procedure di varianti e di deroghe al PRG vigente attivate, nel 2014 è stata presentata la Variante Centro Storico, al fine di rigenerare l’area così definita, che attraverso interventi di ripristino e riqualificazione, mira alla conservazione e valorizzazione del patrimonio edilizio esistente e al riequilibrio degli standard di attrezzature e servizi. In riferimento all’area di interazione settentrionale tra porto e città, anche tale variante condivide quanto previsto dalla proposta di PRP. 41 Al fine di assicurare un’elevata efficienza spaziale ed energetica, benessere fisico, equità sociale e aumento della sicurezza stradale, in linea con le politiche dell’Unione Europea.
TRASPORTI & CULTURA N.41 beneficio immediatamente riscontrabile sarebbe un incremento dell’accessibilità dal porto al centro storico, e viceversa, data la vicinanza di piazza Duomo, non solo per i turisti42 e i fruitori del porto ma anche per i cittadini, migliorando la qualità del loro deflusso. Inoltre, si potrebbe ridefinire la viabilità ipotizzando soluzioni alternative43 all’attuale assetto viario. Tuttavia, permarrebbero le criticità lungo l’asse viario a ovest, dove non è prevista alcuna interazione tra il porto e la città, che rimarrebbero separati per la presenza del recinto portuale. Qui, pertanto, sarebbe auspicabile migliorare la permeabilità pedonale, cercando in sinergia con l’Autorità Portuale possibili soluzioni, ad esempio realizzando un percorso pedonale e ciclabile costiero sino alla Playa come continuità del waterfront nord, magari sfruttando la differenza di quota presente, in parte, tra l’asse viario urbano e quello portuale, pur mantenendolo separato dalle zone operative. Ulteriore elemento progettuale integrativo potrebbe essere la riconversione di alcune aree ed edifici dismessi lungo le vie Tempio e Colombo, a destinazioni legate ad eventuali esigenze infrastrutturali delle attività portuali esistenti e in programma44, grazie alla loro ubicazione. Indubbiamente è necessario risolvere la vicenda Nodo Catania, sebbene siano ormai consolidate le ipotesi di realizzare un tracciato ferroviario alternativo a quello proposto nel 2003, e convertire a usi urbani gli Archi della Marina e il sedime ferroviario da dismettere. Tali elementi, infatti, favorirebbero ulteriormente l’auspicata integrazione porto-città. Inoltre, seppur dall’analisi delle proposte di PRG susseguitesi si evinca la condivisione di obiettivi fondamentali tra pianificazione urbana e portuale, restano non poche criticità legate all’incertezza normativa e procedurale, poiché il PRP definisce le strategie ma non le modalità intermedie per operare. È chiaro che l’usuale approccio settoriale risulta essere ormai superato dalla necessità di una pianificazione integrata, in grado di gestire meglio le criticità di carattere urbano e portuale. Occorre, pertanto, uno strumento urbanistico diverso, una sorta di Piano Speciale45, come previsto ad esempio dalla legislazione spagnola, per le aree di interazione porto-città. Ovvero uno strumento di pianificazione urbanistica attraverso il quale, dopo aver individuato spazi e usi46 consentiti per promuovere lo sviluppo economico e sociale del porto, concretizzare gli interventi conformi alla pianificazione urbana, e il cui procedimento amministrativo prevede la partecipazione pubblica, pubblico-privata o privata. Inoltre, è necessario identificare i “potenziali stakeholder e i relativi interessi, bisogni e principi” 42 Dopo il calo subito nel 2013 rispetto al 2012, in seguito al lavoro svolto dal Comune e dall’Autorità Portuale di Catania con le compagnie di navigazione, è previsto un aumento delle navi da crociera in transito a Catania. 43 In ambito portuale, il PRP prevede una nuova strada a due corsie a senso unico, parallela e contigua per un primo tratto alla ferrovia esistente, che passa sul lato mare della Vecchia Dogana, immettendosi successivamente in via Dusmet, che potrebbe essere utilizzata a senso unico in direzione sud-nord. 44 Ad esempio il Cementificio per attività logistiche per la Nuova Darsena commerciale. 45 Real Decreto Legislativo 2/2011 Ley de Puertos del Estado y de la Marina Mercante. Individua spazi e usi compatibili con le attività portuali previste e, pertanto, consentiti. La redazione e la formulazione del Piano Speciale compete all’Autorità Portuale, mentre l’attuazione e l’approvazione alle Autorità di pianificazione urbanistica. 46 Attività commerciali, culturali, sportive, educative, ricreative, aree per esposizioni e fiere, etc.
(Cascetta et al., 2013) per operare in sinergia attraverso il loro coordinamento, al fine di evitare un processo decisionale frammentato. Infine, sarebbe fondamentale introdurre, nel processo pianificatorio, una fase di valutazione e monitoraggio47, che necessita di parametri oggettivi e quantificabili definiti da indicatori, al fine di misurare l’efficacia e l’efficienza del piano stesso. Riproduzione riservata ©
Bibliografia Autorità Portuale di Catania (2004), Relazione del Piano Regolatore Portuale di Catania. Banister D. (2008), The sustainable mobility paradigm, “Transport Policy”, vol. 15, iss. 2, pp. 73-80. Calthorpe P. (1993), The Next american metropolis, Princeton Architectural Press. Cascetta E., Pagliara F. (2013), Public Engagement for Planning and Designing Transportation Systems, “Procedia. Social and Behavioral Sciences”, vol. 87, pp. 103-116. Cocuzza E., Fischer E. (2010), Intermodalità, Paesaggio, Architettura tra la costa e la città di Catania, Tesi di Laurea in Architettura, Università degli Studi di Catania. Gabrielli B. (2004), La rinascita delle città: il caso di Genova, “Portus” n. 8, ottobre, pp.42-45. Legge N. 84 del 28 gennaio 1994, Riordino della legislazione in materia portuale. Linee guida per la redazione dei Piani Regolatori Portuali (2004). Pavia R. (2010), La riqualificazione del waterfront Monumentale del porto di Napoli, “Portus” n. 20, pp.25-27. Relazione Illustrativa del Piano Regolatore Generale di Catania (2004). Relazione Illustrativa del Piano Regolatore Generale di Catania (2012).
47 Per la valutazione e il monitoraggio di piani e programmi, l’UE suggerisce un metodo basato sulla sequenza di indicatori di IORI (Input-Output-Risultato-Impatto), in tal modo ogni intervento genera una sequenza di eventi tra loro connessi tramite processi causa-effetto (EC, The New Programming Period 2007-2013, Indicative guidelines on evaluation methods: monitoring and evaluation indicators, Working Document No. 2).
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Porti italiani, ruolo nel Mediterraneo e scenari futuri di Oriana Giovinazzi
Le coste italiane costituiscono una grande risorsa; i porti un incredibile volano per lo sviluppo del territorio in grado di generare ricchezza e occupazione, di catalizzare risorse e investimenti con interessanti ricadute economiche. Le infrastrutture portuali, il sistema logistico e i diversi comparti del settore (cantieristica navale, nautica da diporto, pesca, crocieristica, turismo, ecc.) si attestano come vere e proprie industrie in grado di produrre ripercussioni sulla crescita del sistema produttivo e di generare effetti moltiplicativi, contribuendo alla competitività dell’intero Paese.
Le città-porto del Mediterraneo Affacciate sul Mediterraneo – storicamente crocevia principale del traffico commerciale internazionale verso il Nord America e l’Estremo Oriente – le città portuali italiane, grazie alla loro posizione geografica, presentano particolari opportunità per quanto riguarda il settore della logistica e il trasporto delle merci, potenzialità connesse in particolare alla presenza di infrastrutture e di attività portuali di una certa rilevanza, possibilità concrete e prospettive future confermate dagli studi recenti, che indicano una probabile espansione del volume dei traffici marittimi intercontinentali nel breve periodo e a cui potrebbe essere sostanzialmente legato in futuro anche lo sviluppo dell’Italia. I porti italiani giocano, infatti, un ruolo importante nel settore dell’economia marittima e rappresentano un nodo strategico nel sistema degli scambi commerciali del Mediterraneo; in particolare gli scali del Sud sono destinati ad acquisire un peso considerevole nei diversi segmenti di traffico in quanto ad essi fanno capo le reti marittime del traffico container e la Rete delle Autostrade del Mare. Tuttavia, nonostante il vantaggio derivante dalla centralità rispetto al Mediterraneo, e quindi all’Europa, l’attuale sistema portuale italiano non eccelle particolarmente per efficienza e dinamismo, manca di una rete strutturata e organizzata, risente fortemente dell’assenza di un sistema nazionale efficiente per quanto riguarda i trasporti marittimi e terrestri, e i porti storici stretti tra il tessuto urbano e l’acqua spesso non dispongono di spazi e di infrastrutture in grado di rispondere alle nuove esigenze e alle richieste del mercato. La complessa gestione portuale è stata spesso affrontata nel suo insieme, senza proporre tuttavia un progetto comune e condiviso con le amministrazioni locali per quanto riguarda lo sviluppo degli scali, correndo il rischio di disperdere risorse e opportunità, e orientando l’attenzione in prevalenza sulla governance.
Italian ports: their role in the Mediterranean and future scenarios by Oriana Giovinazzi The Italian coasts are a great resource; the harbours an incredible driving force for the development of the territory, that can generate wealth and employment, catalyse resources and investments to create a substantial economic impact on the entire country. The port cities, thanks to their geographical position in the Mediterranean, offer particular opportunities and interesting prospects; however, the poorly integrated port system does not particularly excel in efficiency and dynamism. To delineate the scenario of the future, Italy is counting on a particular instrument, the “National strategic plan for the port and logistics”, to increase the competitiveness and efficiency of the system, bring together different actors and interests, encourage investment in research and innovation, promote an integrated approach to economic growth and sustainable development, while respecting local and specific needs, and highlight the vocations of the individual ports within a comprehensive vision. Policies and actions should therefore not only satisfy the demand for new spaces and the need to modernize port areas, but should also address the degradation of brownfield sites in the historic ports and the desire of the local community to reclaim portions of waterfront in a strongly “urban” spirit. Case studies have shown that the Mediterranean port cities are especially well-suited for tourist development, where the port can become a new multifunctional reality and an urban centre that offers commercial activities, public spaces and places for entertainment and leisure.
Nella pagina a fianco, in alto: una veduta della città e del porto di Ancona (fonte: Autorità Portuale di Ancona); in basso: una veduta del golfo di Napoli dalla Certosa di San Martino.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 È accaduto anche con la legge n. 84 del 1994 che, finalizzata a riorganizzare e sviluppare il settore portuale, ha conferito all’Autorità Portuale specifici compiti di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo, stabilendo tuttavia che i Piani Regolatori Portuali fossero adottati nell’ambito di una “intesa” tra Autorità portuale e Amministrazione comunale, e aprendo così all’integrazione tra piano portuale e piano urbanistico. La normativa se da un lato ha prodotto alcuni risultati dal punto di vista operativo e una certa ripresa di competitività dei porti, dall’altro è apparsa piuttosto lontana dalle dinamiche in atto nel trasporto e nel settore marittimo, e non è stata in grado di valorizzare i principali scali italiani con proiezione internazionale. I risultati di questo confronto si sono rivelati decisamente modesti anche per i numerosi progetti e le iniziative concorsuali per la riqualificazione dei waterfront portuali che in poche esperienze hanno avuto successo. La carenza di risorse finanziarie, lo scarso interesse da parte di investitori privati e l’intervento pubblico che, in termini di realizzazioni infrastrutturali e di rilancio della portualità, è apparso piuttosto discontinuo negli ultimi anni, hanno contribuito ad incrementare la complessità del sistema. Per disegnare il futuro scenario del sistema portuale, lo strumento su cui l’Italia sta puntando attualmente è una pianificazione strategica in grado di mettere in sinergia diversi attori e interessi (imprese ferroviarie, operatori, gestori delle infrastrutture, aziende di trasporto ecc.), il settore pubblico e quello privato. L’obiettivo è incrementare la competitività e la qualità dei servizi, garantendo l’equilibrio tra costi e benefici, ed incoraggiando gli investimenti nella ricerca e nell’innovazione del settore marittimo, per favorire un approccio integrato alla crescita economica e allo sviluppo sostenibile.
Alcune esperienze in Italia Occorre tuttavia tener presente che molti porti italiani stanno progressivamente abbandonando l’esclusiva funzione industriale, sviluppata dall’Ottocento fino alla metà del secolo scorso, per acquisire nuove funzioni e assetti organizzativi differenti, per lo più legati al turismo e alle attività marittime. Sono numerose le città affacciate sull’acqua che negli ultimi anni in Italia stanno provando ad immaginare e a costruire un futuro, spesso divise tra sviluppo portuale e riqualificazione urbana o alla ricerca di possibili forme di dialogo e di interazione tra gli interessi del porto e quelli della città. Tra queste: Napoli, che per il rilancio del suo porto punta su un sistema multifunzionale, Ancona, che promuove processi di integrazione tra porto storico e tessuto urbano in un’ottica di valorizzazione del patrimonio storico-archeologico a fini turistici, Ravenna, che sceglie la nautica e l’innovazione per lo sviluppo futuro del porto-canale, Taranto, che accanto al consolidamento come hub logistico intermodale sta lavorando alla riqualificazione del waterfront. Sono esperienze, descritte brevemente di seguito, che, pur nella loro diversità di contesto e di situazione, presentano alcune caratteristiche in comune e raccontano l’assenza di una logica di sistema caratterizzata dalla specializzazione e dall’integrazione funzionale. I ritardi accumulati sono spesso da attribuire per lo più alla difficoltà di concepire una “regia unica” e di definire un indirizzo generale per i trasporti e la logistica, per le infrastrutture e le 46
destinazioni funzionali, con il rischio, per i prossimi anni, di ottenere risultati parziali e di non sfruttare a pieno potenzialità ed occasioni. Un sistema-porto multifunzionale per il rilancio del Golfo di Napoli Il ruolo strategico del Porto di Napoli nel sistema del Mediterraneo è legato in parte alle potenzialità del territorio e in parte alla sua posizione geografica. Collegato con le regioni del Centro-Nord e dell’Europa Centrale, lo scalo si attesta come “porta” delle Autostrade del Mare e come polo intermodale integrato con le principali reti infrastrutturali, nonché con i nodi presenti sul territorio, dagli hub aeroportuali agli interporti, dai centri di distribuzione alle piastre logistiche: una “cerniera” quindi tra la terra e il mare, tra il waterfront e l’entroterra. Il bacino portuale si affaccia su una superficie di circa 2.700.000 mq di specchi acquei e dispone di 75 approdi. In particolare sul canale di accesso insistono alcune darsene o bacini: le darsene Diaz, Vittorio Veneto, Granili e Pollena che costituiscono il bacino commerciale; il Bacino del Piliero per il traffico misto, merci e passeggeri; il Bacino Angioino adibito prevalentemente a traffico passeggeri; la Darsena dei Bacini destinata ad attività cantieristiche e riparazioni navali, la nuova Darsena di Levante e la Darsena Industriale. La pianificazione portuale per i prossimi anni prevede diversi interventi di natura infrastrutturale e organizzativo-gestionale finalizzati ad un miglioramento delle condizioni di accessibilità e fruibilità delle aree portuali e al completamento del processo di specializzazione funzionale dei vari comparti portuali, in modo da consolidare progressivamente la multifunzionalità dello scalo in un’ottica di sistema-porto del Golfo di Napoli. Il carattere multifunzionale del porto si manifesta in tre diversi settori: l’attività commerciale, l’attività cantieristica, l’attività turistico-crocieristica. Per quanto riguarda il traffico commerciale, il settore Ro-Ro ha registrato un aumento dovuto allo sviluppo dei traffici legati alle Autostrade del Mare; significativo è anche l’andamento della movimentazione dei container che, dopo aver subito alcune flessioni negli scorsi anni, ha registrato un leggero incremento a partire dal 2007 ed è destinata a crescere ulteriormente. Con la finalità di movimentare in futuro più di un milione di TEU/anno saranno realizzati gli interventi per la trasformazione della Darsena di Levante in terminal container, che permetteranno di rispondere a nuove esigenze e a diverse tipologie del traffico. Nell’ambito del terminal saranno realizzate quattro aree funzionali: uno scalo ferroviario situato nella parte opposta alla banchina, un’area dedicata a uffici e parcheggi, un’area per il carico e lo scarico dei container e un ambito per lo stoccaccio delle merci. Il comparto industriale ha conosciuto di recente un nuovo rilancio con l’attività cantieristica: il numero delle navi in rimessaggio è aumentato, come del resto il numero di occupati nel settore. Il porto potrebbe quindi recuperare in tempi brevi il suo ruolo nel campo delle riparazioni e delle costruzioni navali nel bacino del Mediterraneo. Il Porto di Napoli è inoltre uno scalo di riferimento a livello internazionale per gli operatori delle crociere. Per quanto riguarda infatti il traffico passeggeri, questo settore è quello che ha fatto registrare di recente il maggior tasso di incremento, con una certa capacità competitiva anche nel traffico strettamente legato al settore turistico e al trasporto
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locale che interessa l’intero Golfo di Napoli, secondo al mondo per numero di passeggeri dopo la Baia di Hong Kong. Per il potenziamento delle linee delle Autostrade del Mare (in prevalenza dirette verso la Sicilia), del sistema di cabotaggio che attualmente interessa la Sardegna, le Isole Pontine, le Isole Eolie e Tunisi, nonché dei collegamenti con le linee tirreniche, è in previsione l’incremento non solo dei servizi ai passeggeri, ma anche delle banchine, con l’adeguamento del Molo Immacolatella Vecchia, il consolidamento della Banchina Piscane per il traffico Ro-Ro, la realizzazione di nuovi ormeggi alla Calata del Piliero. Il futuro del Porto di Napoli si gioca anche sulla riqualificazione del waterfront, destinato a diventare un polo di particolare attrazione per crocieristi, turisti e residenti, grazie alle opportunità offerte dal patrimonio storico-architettonico, culturale e paesaggistico del territorio partenopeo. Per diversi anni la demolizione del recinto portuale e il recupero di alcuni ambiti di interesse urbano sono stati oggetto di un intenso dibattito, che ha messo in evidenza il desiderio della città di riappropriarsi di parte dell’area portuale (dai Giardini del Molosiglio al Parco della Marinella), nel rispetto delle esigenze strettamente legate al ruolo del porto in quanto nodo intermodale e spazio attrezzato per i traffici commerciali, non trasferibili all’esterno della città. A tal fine, dieci anni fa, una holding a carattere interamente pubblico (52% Autorità Portuale, 48% tra Regione Campania, Comune e Provincia di Napoli), la Nausicaa, è stata incaricata di programmare e gestire, mediante un concorso internazionale di idee in due fasi bandito nel 2004, un ambizioso progetto per la trasformazione dell’area turistico-monumentale del porto (dall’Immacolatella Vecchia al Molo Beverello, dalla Darsena Acton al Molo San Vincenzo), che avrebbe dovuto modificare la complessa relazione tra il mare e la città. L’idea progettuale selezionata proponeva, come richiesto dal bando, uno spazio urbano complesso, dinamico e ibrido in cui usi temporanei e specializzati risultassero integrati, e le connessioni
spaziali tra l’area portuale storica e la città fossero ridefinite, rafforzando la centralità di Piazza Municipio, realizzando un grande spazio pubblico dalla Stazione Marittima a Piazza del Plebiscito e valorizzando il patrimonio storico-architettonico e archeologico dell’area. La Stazione Marittima (3.300 mq di superficie, 7 banchine per complessivi 1.100 m), oggi utilizzata anche come centro congressi, avrebbe dovuto accogliere alcuni spazi commerciali, trasformandosi in una grande “piazza sull’acqua” affacciata sullo straordinario paesaggio del Golfo, mentre gli edifici dell’Immacolatella Vecchia avrebbero ospitato il Museo del Mare. Il recupero del Molo San Vincenzo, della Darsena Acton e delle aree limitrofe avrebbe consentito di creare una spettacolare passeggiata a mare dotata di ristoranti, bar, botteghe artigiane e attività commerciali in prossimità del centro storico-monumentale della città. Un progetto che, come altri in Italia, si sta misurando con i tempi lunghi di ricorsi, vicende giudiziarie, pareri e sentenze, con alcuni cambiamenti nel quadro decisionale e in particolare da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, nonché con i conflitti sorti all’interno dell’Autorità Portuale a causa delle richieste di alcuni privati di aver riconosciuto un diritto di progettare ed eseguire interventi su aree demaniali senza rispettare le regole e le garanzie di concorrenzialità imprenditoriale nella realizzazione delle opere pubbliche. Saranno invece realizzati, probabilmente, un approdo per imbarcazioni da diporto a seguito della dismissione dello scalo passeggeri di Mergellina e il nuovo terminal passeggeri sul Molo Beverello. Quest’ultimo dovrebbe concentrare nelle aree immediatamente limitrofe il traffico passeggeri (crociere, traghetti, aliscafi), consentire di razionalizzare i flussi (circa 9 milioni persone/anno) e ridefinire le connessioni spaziali interne all’area portuale, superando le attuali separazioni e difficoltà di accesso e dando risposta ad una serie di esigenze manifestate non solo dai turisti, ma anche da pendolari e residenti.
1 - Il Terminal Crociere di Ravenna a Porto Corsini (fonte: Autorità Portuale di Ravenna).
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2 - Il porto di Napoli visto dal mare (foto di Oriana Giovinazzi). 3 - Il Terminal Crociere nel Porto di Napoli (foto di Oriana Giovinazzi).
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Ancona: l’integrazione tra porto antico e tessuto urbano per la valorizzazione del patrimonio storicoarcheologico Il porto di Ancona, uno dei principali scali del Mediterraneo, è classificato di rilevanza strategica internazionale dall’Unione Europea, in quanto inserito nel corridoio Scandinavo-Mediterraneo delle reti TEN-T (da cui proviene il 38% del traffico container), che attraversa il Mar Baltico dalla Finlandia e dalla Svezia collegando i principali centri urbani e i porti della Scandinavia e della Germania settentrionale ai centri industrializzati di produzione della Germania meridionale, dell’Austria e del Nord Italia, quindi ai porti italiani sino a Malta. Il porto svolge inoltre una rilevante funzione di connessione tra l’Italia e la Grecia, tra il Corridoio e le Autostrade del Mare del Mediterraneo sud-orientale verso Croazia e Albania; tra i primi porti in Italia per traffico internazionale di passeggeri su navi di linea, lo scalo accoglie più di un milione di persone in transito lungo le direttrici Balcani, Grecia e Mediterraneo orientale (traghetti e navi da crociera), e ospita numerose attività legate all’economia del mare, quali la pesca (prima flotta dell’Adriatico), la nautica e la cantieristica (stabilimento Fincantieri e nautica di lusso). L’area su cui si estende la giurisdizione dell’Autorità Portuale (100 ettari circa)
comprende il porto storico, la Nuova Darsena, la zona demaniale sino a Falconara Marittima, con le spiagge e le infrastrutture a mare legate all’attività della raffineria e allo scarico/carico dei prodotti petroliferi e del greggio. L’attuale organizzazione degli spazi e delle aree demaniali è stata definita in funzione delle indicazioni contenute nel Piano Regolatore Portuale risalente al 1988, a causa della mancata approvazione della Variante al Piano Regolatore del Porto, con alcune difficoltà per quanto riguarda i processi di trasformazione in atto in ambito portuale. Per rispondere alle esigenze di potenziamento e sviluppo dei traffici marittimi e delle attività portuali, ma anche per promuovere processi di integrazione tra porto antico e tessuto urbano in un’ottica di valorizzazione del patrimonio storicoarcheologico a fini turistici, la riorganizzazione dello scalo si è basata sulla messa in coerenza degli strumenti urbanistici da un lato e sulla definizione di un quadro di obiettivi strategici condivisi dal porto e dalla città dall’altro. Attualmente, con la finalità di garantire la futura competitività dello scalo e incrementarne la capacità operativa, l’Autorità Portuale sta implementando il Piano Regolatore Portuale vigente (200.000 mq di nuovi piazzali, banchina di 900 mt, fondali di 14 mt, molo di sopraflutto di 676 mt), e definendo allo stesso tempo una proposta per l’assetto dell’ambito storico e per la costruzione del nuovo terminal crociere, in modo da avviare il processo di riqualificazione del waterfront e di recupero delle aree monumentali, insieme al trasferimento di alcune attività portuali dal porto storico alla Nuova Darsena. Il Piano Regolatore Portuale vigente - il cui aggiornamento ha introdotto diversi adeguamenti tecnico-funzionali in linea con le attuali prospettive di sviluppo - se da un lato punta a dare una risposta all’incremento dei flussi di merci e delle attività logistiche, attraverso l’ampliamento delle aree portuali e il miglioramento dell’accessibilità da terra e dal mare, dall’altro è finalizzato all’ottimizzazione delle infrastrutture e degli spazi esistenti, nonché alla loro riqualificazione e specializzazione. L’esigenza di disporre di nuove superfici in prossimità delle banchine a supporto dei traffici container, merci varie e rinfuse è particolarmente avvertita per quanto riguarda i traffici commerciali, a tal punto che l’Autorità Portuale, in attesa di completare le opere relative all’estensione della banchina rettilinea e all’adeguamento dei fondali antistanti, ha già acquisito e riconvertito 100.000 mq del sedime ex Tubimar ad usi portuali e firmato un accordo per l’acquisizione dell’ex-complesso di proprietà della Bunge Italia S.p.a (49.000 mq), situato in un’area strategica dell’ambito portuale, la cui compravendita è strettamente connessa all’intervento di bonifica del sito da parte del soggetto proprietario. Dopo l’acquisizione dell’intero sito, il progetto prevede il recupero ambientale accanto alla rifunzionalizzazione per usi pertinenti ai traffici attuali e futuri. Una nuova piattaforma logistica e un terminal per il trasporto combinato a supporto dell’intermodalità ferro-marittima saranno invece realizzati sull’area ferroviaria dismessa dello Scalo Marotti (50.000 mq), in prossimità delle banchine d’ormeggio delle unità navali Ro-Pax in concessione d’uso gratuito all’Autorità Portuale fino al 2030: un processo che avverrà per fasi successive e con un graduale investimento di risorse in funzione delle esigenze e dell’evoluzione dei traffici.
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La demolizione delle strutture in elevazione e del vecchio padiglione dell’ex-complesso fieristico in zona Mandracchio - sul sedime immediatamente prospiciente i siti monumentali ed archeologici della città (Arco di Traiano, porto romano, mura monumentali e centro storico) - consentirà invece, a seguito del recupero e della riqualificazione anche delle relative aree di pertinenza, la realizzazione di un nuovo terminal crocieristico dotato di strutture ricettive (40.000 mc) con 7 approdi disponibili per unità navali di ultima generazione (18.000 mq, di cui 2.000 mq di superfici coperte). Il terminal, progettato per diventare un elemento di cerniera tra porto e città, sarà operativo prevedibilmente entro il 2017 e sarà in grado da un lato di dare risposta alle diverse esigenze connesse alle attività portuali e dall’altro di integrarsi con il contesto urbano limitrofo valorizzando l’intero scalo: il terminal ospiterà infatti servizi strettamente connessi al settore crocieristico, ma anche attività commerciali, sociali e ricreative fruibili sia da passeggeri e turisti che dalla popolazione locale. Il progetto in corso per il recupero di quest’area demaniale, in stato di dismissione e di degrado, comporterà una conseguente valorizzazione del patrimonio storico e architettonico con interessanti opportunità di sviluppo in termini di attività
economiche e sociali sul territorio. La zona monumentale dello scalo, a partire dal complesso Fincantieri fino all’ex ospedale della Marina, costituisce una zona di pregio culturale destinata a diventare l’elemento di raccordo tra il porto e la città. Tra gli interventi previsti dall’Autorità Portuale per la valorizzazione del patrimonio storico e monumentale: la rimozione di recinzioni, gru, aree di deposito merci, ecc.; il restauro e la riqualificazione delle mura medievali, rendendo inoltre accessibile il camminamento soprastante, l’ex scuola marinara, la portella Panunzi; la rifunzionalizzazione ad uso turistico-ricreativo e culturale dell’area del porto storico caratterizzata dalla presenza di alcune emergenze storico-architettoniche (Arco di Traiano, Lanterna, porto romano, ecc.); il miglioramento della fruibilità urbana e dell’accessibilità al waterfront, anche in occasione di eventi specifici; un accesso alla città dedicato ai crocieristi, prospiciente la zona monumentale ed archeologica del porto.
4 - Il porto turistico nei pressi del Castel dell’Ovo; sullo sfondo il porto di Napoli (foto di Oriana Giovinazzi).
La nautica e l’innovazione per il porto-canale di Ravenna Ravenna, porto leader in Italia per gli scambi commerciali con i mercati dell’Oriente e del Mar Nero, è una grande infrastruttura attrezzata per offrire 49
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5 - Una veduta del portocanale di Ravenna.
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sui suoi terminal servizi diversificati per ogni tipo di merce (prodotti petroliferi e chimici, materie prime e prodotti finiti, prodotti siderurgici, legname, agro-alimentare). In rapporto alla sua posizione geografica nel contesto del Mediterraneo, all’inclusione nel sistema della grande viabilità e al collegamento con le principali reti di trasporto, lo scalo risulta facilmente raggiungibile dai maggiori centri italiani ed europei, e costituisce un nodo fondamentale del Corridoio Adriatico. Progettato come polo industriale negli anni ’50, il porto-canale (14 km) si è consolidato negli ultimi anni per la funzione commerciale a servizio di aree e attività delle regioni padane e del Nord-Est in genere. Lo scalo dispone di due terminali per il traffico container e per il traffico Ro-Ro, di 24 km di banchine, di 2.800.000 mq di magazzini, di 1.400.000 mq di aree distribuite all’interno del perimetro portuale esteso su 2.080 ettari, dei quali oltre 1.500 urbanizzati o in corso di urbanizzazione. Si tratta di una realtà dinamica, oggetto di interventi recenti o in corso, finanziati da soggetti pubblici e privati, volti a migliorare le dotazioni infrastrutturali, ad ampliare e a specializzare l’offerta di servizi per ottenere standard qualitativi sempre più elevati. I progetti che contribuiranno in modo determinante a ridisegnare nel prossimo futuro la relazione tra la città e il porto sono il nuovo Avamporto di Porto Corsini e la Cittadella della Nautica e dell’Innovazione. Per il completamento dell’Avamporto di Porto Corsini – antica località balneare situata sulla riva sinistra del Porto-Canale – e di alcune aree del Demanio Marittimo comprese tra la Diga e il Molo Nord, il Comune e l’Autorità Portuale di Ravenna hanno stipulato nel 2001 un accordo di programma per un concorso di idee, che nel 2004 ha portato all’approvazione del progetto urbanistico risultato vincitore, che sarà realizzato mediante una partnership tra pubblico e privato: un borgo marittimo caratterizzato dalla compattezza del tessuto urbano e dalla distribuzione di fabbricati residenziali su una rete privata di strade pedonali e a viabilità condivisa, intervallate dalla presenza di alcuni spazi pubblici. Il progetto prevede inoltre la realizzazione di una piazza e di un centro commerciale, sporting club, uffici, strutture alberghiere e residenze turistiche di standard elevato, aree verdi, parcheggi pubblici etc. L’intervento interessa una superficie fondiaria complessiva di 18 ettari
in gran parte recuperati al mare, per complessivi 41.450 mq di superficie utile. Lo specchio acqueo situato di fronte all’area riqualificata, in località Porto Corsini e prossimo all’accesso al Canale Candiano, è destinato al nuovo Terminal Crociere, in grado di ospitare grandi navi turistiche (fino a 350 m di lunghezza con un pescaggio di 11 m) e servizi di accoglienza per i passeggeri, il terminal si colloca nello scenario internazionale del turismo crocieristico in modo competitivo, diversificando ed ampliando l’offerta del porto e generando un indotto interessante a livello locale. A completamento di un sistema dedicato alla nautica da diporto, che mette a sistema tutte le località della costa ravennate valorizzando la vocazione specifica di ognuna in un progetto coerente, si colloca il progetto per la Cittadella della Nautica e dell’Innovazione, elemento “attrattore” di nuovi investimenti in un settore strategico per il futuro della città e grande occasione per il rilancio dell’economia locale e lo sviluppo immobiliare. Gli interventi per il recupero del waterfront e il potenziamento di infrastrutture e servizi portuali lungo i 12 km che corrono dalla Darsena di Città alla costa hanno la finalità di valorizzare la vocazione turistica e nautica del territorio. L’area interessata, situata lungo il porto-canale Candiano e precedentemente occupata dall’ex Sarom (116 ettari) era caratterizzata dalla presenza di attività in parte produttive (28 ettari), in parte dismesse o da riconvertire (88 ettari). La scelta è stata quella di destinarla ad attività secondarie e terziarie più leggere e compatibili delle preesistenti, accanto ad insediamenti urbani e servizi legati agli usi del mare, quali la logistica, la cantieristica e il turismo nautico. La superficie totale dedicata ai comparti connessi alla cantieristica, con possibilità di un’eventuale espansione, accoglie 9 capannoni per una superficie utile di 45.000 mq, mentre all’artigianato di servizio alla nautica sono destinati 7 ettari con 55.000 mq di superficie utile; altre attività industriali trovano accoglienza su una superficie coperta di 18.000 mq. Infine il Tecnopolo (4 ettari) mette a disposizione circa 12.000 mq di superfici coperte per il comparto della ricerca, dell’innovazione e della formazione, ma anche spazi commerciali, zone espositive e strutture ricettive, per una superficie utile di 41.000 mq.
TRASPORTI & CULTURA N.41 La riqualificazione del waterfront e il consolidamento di Taranto come hub logistico intermodale Situato in posizione strategica nella geografia del Mediterraneo, il Porto di Taranto risulta essere il baricentro delle rotte principali tra Oriente e Occidente, un ponte naturale per i traffici verso il Medio e l’Estremo Oriente e verso i Paesi africani. Lo scalo possiede ottime potenzialità per quanto riguarda il traffico container di provenienza e destinazione transoceanica, lo sviluppo delle attività di transhipment e la crescita dei traffici europei, legati in particolare alla sua posizione strategica sulla rotta Suez-Gibilterra e alla disponibilità di grandi spazi. Il Porto di Taranto assicura un elevato volume di movimentazione delle merci di tipo industriale, in entrata o in uscita prevalentemente dalle industrie locali, grazie anche al collegamento del terminal con il sistema ferroviario e la rete stradale. Per quanto riguarda i traffici Ro-Ro di merci varie (in prevalenza cabotaggio e navigazione a corto raggio), la posizione geografica di Taranto costituisce una notevole opportunità per lo scalo pugliese per quanto riguarda i collegamenti con la Grecia, la Turchia e i Balcani. Interessanti sviluppi futuri riguardano i traghetti misti e il traffico passeggeri, i cui livelli sono destinati ad aumentare in rapporto alla posizione che lo scalo occupa rispetto ad altri Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo, in particolare all’Egitto. Il ruolo di transit port di Taranto per il traffico crocieristico di provenienza tirrenica si affianca a quello di Bari e Brindisi per le crociere che attraversano l’Adriatico. Il Piano Regolatore Portuale indica tra i principali indirizzi di sviluppo l’implementazione della vocazione commerciale, la razionalizzazione dell’assetto portuale e la relazione con la città. Tra gli obiettivi per il prossimo futuro figura sostanzialmente il consolidamento del Porto di Taranto come piattaforma logistica intermodale, attraverso l’adeguamento delle dotazioni infrastrutturali dello scalo ionico alle nuove esigenze del mercato. La realizzazione di un nuovo hub logistico integrato al sistema intermodale del Corridoio Adriatico potrebbe modificare in modo sostanziale gli equilibri della logistica nel Mediterraneo e in particolare nel Sud d’Italia. A contribuire in modo determinante allo sviluppo del settore logistico sul territorio sarà inoltre la costruzione in area retro-portuale di un distripark e di un complesso di edifici commerciali, che occuperanno una superficie di 750.000 mq a ridosso del Terminal Container, incentivando l’insediamento di imprese diversificate all’interno di uno dei nodi principali del sistema portuale del Corridoio Adriatico, e quindi della rete transeuropea (TEN). Nel rispetto delle strategie di sviluppo individuate nel Piano Operativo Triennale e in linea con le indicazioni del nuovo Piano Regolatore Portuale, l’Autorità Portuale ha avviato un processo di riorganizzazione dell’assetto portuale e di integrazione tra il porto e il territorio attraverso la riqualificazione del waterfront urbano, supportato da una politica di promozione dello scalo, anche in funzione di un auspicabile sviluppo del traffico turistico. In particolare è prevista la realizzazione sul Molo S. Cataldo di un centro polivalente (attività direzionali, auditorium polifunzionale, sala convegni, spazi polifunzionali per attività espositive e didattiche, attività di accoglienza e di servizio a passeggeri e crocieristi, etc.) dedicato a turisti e residenti. Il complesso, servito da una banchina di ormeggio e da alcuni terminal dedicati alle diverse attività, genera una continuità tra spazi pubblici e interconnessioni pedonali nel tratto che dal Molo
S. Eligio e Piazza Fontana si sviluppa fino all’estremità del Molo S. Cataldo, e consente di instaurare un nuovo sistema di relazioni tra il tessuto urbano ed il bacino portuale. Con l’intento di valorizzare la vocazione tipicamente portuale di Taranto sarà allestito inoltre un centro espositivo multimediale attraverso l’aggregazione apparentemente casuale di 11 container su due livelli; il Port Exhibition Center, è destinato a diventare un polo attrattivo per la cultura marina, una sorta di laboratorio del mare circondato da percorsi pedonali e aree verdi.
Un piano strategico per la portualità italiana L’esigenza di definire nuove normative e politiche volte ad incrementare innanzitutto l’efficienza del sistema - razionalizzando la logistica nazionale e rilanciando la portualità, nel rispetto di esigenze e specificità locali all’interno di una visione complessiva – ha portato all’elaborazione del Piano strategico nazionale della portualità e della logistica (Art. 29 della Legge n. 164 dell’11 novembre 2014 di conversione del Decreto Legge n. 133 dell’11 settembre 2014 “Sblocca Italia”), documento di programmazione flessibile che ha la finalità di indicare una prospettiva di sviluppo tesa a valorizzare le differenze di “vocazione” dei singoli porti in rapporto alle caratteristiche specifiche. In questo contesto politiche e azioni sono chiamate a misurarsi non solo con la domanda di nuovi spazi e l’esigenza di un ammodernamento degli ambiti portuali, affinché possano rispondere ad un mercato che ha registrato negli ultimi anni profonde trasformazioni, ma anche con il degrado di aree portuali e industriali dismesse affacciate sull’acqua e con il desiderio della comunità locale di riappropriarsi di alcuni porzioni di waterfront a natura fortemente “urbana”. In numerose esperienze appare evidente la difficoltà di dialogo tra due realtà profondamente diverse, nonché la difformità di visioni e obiettivi da parte delle autorità cittadine e portuali sulle scelte future, che testimoniano il forte distacco tra città e porto. Emerge chiaramente, anche dai casi presentati, come il Bacino del Mediterraneo si presti in modo particolare a valorizzazioni turistiche che interessano in senso ampio il marketing del territorio, in cui il porto, attestandosi come nuova realtà polifunzionale, torna ad essere una centralità urbana di attività commerciali, luoghi pubblici e spazi per l’intrattenimento. La portata e l’impatto delle trasformazioni sono in molti casi piuttosto vasti tanto da arrivare a coinvolgere l’intero ambito portuale, attivando veri e propri processi di riqualificazione urbana a cui partecipa anche l’industria immobiliare e il settore privato. È soprattutto il settore crocieristico a vivere un momento di forte espansione, che registra la crescita maggiore nel business del turismo con un forte aumento di passeggeri movimentati nei porti italiani, seguito dal diporto nautico e dallo sviluppo di porti turistici e marine, a cui si affianca la realizzazione di un mix funzionale altamente diversificato (ospitalità e accoglienza, tempo libero, intrattenimento, commercio al dettaglio, ristorazione, etc.) e solitamente una valorizzazione di carattere residenziale che contribuisce al recupero spazio-funzionale delle aree portuali dismesse. Riproduzione riservata ©
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La rigenerazione urbana del porto di Amburgo di Chiara Mazzoleni
La fine della cortina di ferro e la riunificazione della Germania hanno avuto, tra le loro conseguenze immediate, anche l’accelerazione del processo di rigenerazione dell’area del vecchio porto di Amburgo. Da sempre, dai tempi della Lega Anseatica, il fiume Elba - sul cui ampio estuario, nel punto dove si passa dalla navigazione marittima a quella fluviale, si estende la città - è stato il principale motore della sua ricchezza. Al tempo stesso, essendo la sua foce così vicina, il fiume ha sempre costituito anche una minaccia per la città, spesso esposta al rischio delle inondazioni causate dalle tempeste associate alle maree, via via mitigate con consistenti opere di prevenzione. Dalla metà degli anni 2000 il porto, uno dei maggiori scali marittimi europei, con la sua distesa di banchine, aree di stoccaggio e di deposito, magazzini e cantieri navali, e il suo efficiente collegamento con gran parte dell’Europa tramite vie fluviali, canali navigabili, un imponente snodo ferroviario e una fitta rete stradale, è diventato il secondo a livello europeo per traffico di container e il terzo (dopo Rotterdam e Anversa) per numero di tonnellate di merci movimentate. Strettamente connessa all’attività portuale è una parte considerevole dell’occupazione e importante è il contributo di questa attività alla formazione del valore aggiunto locale. Se oltre all’occupazione direttamente indotta dal porto si considera anche quella indiretta, la loro incidenza nel 2010 ha raggiunto il 16,3% rispetto all’occupazione complessiva dell’area urbana (Merk O., Hesse M., 2012). Fino alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, la libera città anseatica, seguendo la sua centenaria vocazione per gli scambi e i commerci, è stata un’importante struttura marittimo-commerciale, con un forte comparto industriale meccanico e rilevanti funzioni terziarie, soprattutto nei settori assicurativo e dell’editoria, e un grande scalo merci. Uno scalo che per lungo tempo si è però trovato molto vicino alla cortina di ferro, a servizio di un’area metropolitana dimezzata, essendo Amburgo rimasta separata dal suo entroterra naturale a est a causa della divisione delle due Germanie. L’espansione del porto è avvenuta soprattutto lungo la sponda meridionale dell’Elba, sfruttando prima la grande isola di Wilhelmsburg, formata dai due bracci del fiume e luogo di insediamento di un antico nucleo di origine medievale esteso su alcune penisole protette da argini, quindi interessando con ingenti trasformazioni i nuclei rurali e i borghi di pescatori delle aree di Altenwerder, Moorburg e Finkenwerder. A Wilhelmsburg, dove a partire dagli anni ’30 è stato riorganizzato il traffico mercantile concentrato prevalentemente sul
The urban regeneration of the port of Hamburg by Chiara Mazzoleni Since the free port was established, for over a century Hamburg – a city with a long tradition of economic know-how, town planning and pioneering housing projects – has developed far from the river, due to the industries established around the port and to avoid the risk of flooding. Over the past two decades, the city has embarked on a complex regeneration project along the northern edge of the port to exploit the opportunities inherent in developing the Elbe area. The most ambitious project is the expansion of the urban centre with the creation of a new urban district, HafenCity: currently under construction in the old port area, it is based on the principle of sustainability and a master-plan aimed at creating a “close-grained and diverse mixed use”. This comprehensive urban renewal process seeks to promote economic and job growth, strengthen the infrastructure for education, culture and research, and create the conditions to increase the attractiveness of the city while tangibly improving the quality of life of its residents, relying on planning devices and urban development projects to give the concept new impulse and tangible form. As a constitutional city-state, capable of managing urban transformations with strong public accountability, Hamburg is particularly qualified to lead the debate on new forms of public-private partnership. With this experience, the city has also tried to shape a new “urban contract”, in which citizens are given greater responsibility and a stronger voice in planning and decisionmaking processes. Nella pagina a fianco, in alto: il Porto di Amburgo prima della Seconda Guerra Mondiale (fonte: HHLA/Hamburger Fotoarchiv); Speicherstadt prima della Seconda Guerra Mondiale (fonte: HHLA/Hamburger Fotoarchiv).
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1 - Il Porto di Amburgo all’inizio degli anni ’90.
trasporto del petrolio e dei suoi derivati, sono stati scavati numerosi bacini, si è formata la “città degli immigrati” - gli operai stranieri che lavoravano nelle industrie del porto - e ingenti, anche per numero di morti, sono state le devastazioni dell’alluvione del 1962 prima, e delle contaminazioni da diossina della discarica di Georgswerder successivamente. Per il concorso di questi fattori quest’area, posta di fronte al vecchio porto, è diventata la più depressa della città. Una concomitanza di circostanze - dalla ristrutturazione dell’economia, alla crisi dei cantieri navali, allo sviluppo della containerizzazione come nuovo sistema per la movimentazione delle merci - ha comportato lo spostamento del porto verso Ovest, dove si poteva disporre di fondali più profondi, e la dismissione di grandi aree e strutture produttive, in particolare lungo la sponda nord del fiume. Il distretto degli antichi magazzini – Speicherstadt - realizzato tra il 1883 e il 1927 secondo un piano unitario progettato dall’ingegnere civico Franz
2 - Masterplan di HafenCity, 2000 (Kees Christiaanse/ ASTOC).
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Andreas Meyer, poliedrica figura di esperto impegnato nello stesso periodo nella progettazione di opere che facevano parte di un più complesso processo di modernizzazione della città, è rimasto zona doganale e franca fino al 2003 e separato dal centro urbano da un canale. Posti a cerniera tra l’area urbana centrale e il porto, e delimitanti l’area chiusa alla città ed esclusa dalle imposte doganali, questi imponenti edifici in mattone di stile neogotico costituiscono un massiccio fronte unitario lungo i canali interni e rappresentano il più importante complesso monumentale di Amburgo. Essi hanno continuato a essere uno degli ambiti portuali più estesi d’Europa per lo stoccaggio e lo scambio di spezie, tè, caffè, cacao e tappeti, anche se progressivamente molte scorte di prodotti sono state trasferite in depositi più moderni ed efficienti, e il distretto ha iniziato un graduale processo di mutamento di destinazioni d’uso. Nel 1991 Speicherstadt è stata definita area storica protetta, e dal 2012 non fa più parte del
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3 - Speicherstadt, 2000.
porto ed è stata inserita in uno specifico schema di sviluppo. Dagli anni ’70, con lo spostamento dei terminal container, il porto franco è invece caduto progressivamente in declino e disuso, ed è rimasto con una parte significativa della sua area ancora occupata all’inizio degli anni ‘90 da impianti per la conversione in gas del carbone. Dopo la riunificazione nel 1990 e l’apertura dei mercati nell’Est europeo, Amburgo è diventata uno snodo cruciale per i traffici con l’Europa centrale, quindi, con la regione balcanica, ha riscoperto su vasta scala la propria vocazione commerciale marittima e ha cercato di riconquistare il primato come porto per le navi da container e centro di scambi commerciali. Di fronte alle nuove circostanze, la sfida che la città - a storica guida SPD (Partito Socialdemocratico di Germania) - avrebbe dovuto affrontare con rapidità sarebbe stata l’estensione dell’area portuale, la riorganizzazione della logistica marittima per renderla confacente a un volume di merci mai sostenuto in precedenza e la riconversione dell’antica struttura portuale. Quest’ultima, in particolare, avrebbe dovuto essere adattata alle profonde trasformazioni economiche e sociali, alle tendenze di sviluppo dell’area metropolitana - repentinamente giunta a superare i 4,5 milioni di abitanti - e al conseguente rafforzamento del ruolo dell’area urbana centrale.
La gestazione della proposta di rigenerazione dell’area del vecchio porto La questione della riqualificazione della sponda urbana dell’Elba, occupata in gran parte da attività produttive e di servizio connesse al porto, per restituire alla città il rapporto a lungo precluso con il fiume, a partire dalla rifunzionalizzazione delle aree e degli edifici dismessi, era già stata affrontata intorno alla metà degli anni ’80, in una fase nella quale avevano iniziato a essere evidenti gli effetti
della trasformazione della sua base economica. La proposta di un piano di riconversione della fascia del waterfront più vicina al nucleo urbano centrale - Perlenkette (collana di perle), una sequenza di edifici per uffici e abitazioni lungo l’argine nord connessi da una promenade - presentata da un gruppo di esperti, fortemente sostenuta dal responsabile dell’urbanistica e condivisa dai principali esponenti del governo della città, era stata occasione di un ampio dibattito ma anche di un forte conflitto con gli esponenti del movimento autonomo di occupazione delle case. Dai primi anni ’70 era infatti iniziata la massiccia occupazione del patrimonio edilizio pubblico appartenente alla SAGA GWG (società immobiliare municipale), che si sarebbe poi protratta fino alla fine degli anni ’80. In particolare l’area delle banchine, nel distretto di Mitte e di Hafenstraße, comprendente un intero isolato di St. Pauli in riva all’Elba, erano diventati luoghi di sperimentazione politica e culturale di differenti stili di vita urbani. La riqualificazione della sponda del fiume, che comprendeva il fronte sull’Elba del quartiere di St. Pauli, affidata sostanzialmente al mercato e basata sulla sostituzione del tessuto edilizio esistente e delle funzioni residenziali con attività terziarie, non poteva che contrapporsi alle nuove forme d’uso della città e alle nuove pratiche abitative espresse dai movimenti sociali. La difesa di Hafenstraße e della “cittadella autonoma” di St. Pauli aveva così assunto un importante significato politico-simbolico. Nonostante la lunga e intensa conflittualità sociale, la capacità del movimento degli squatter di istaurare una vertenza con il Senato di Amburgo, senza cedere sulla difesa dell’autogestione ma con disponibilità a trovare un’adeguata forma di gestione del patrimonio pubblico occupato, avrebbe portato all’abbandono da parte dell’amministrazione del piano di demolizione degli edifici degradati e alla loro cessione agli occupanti organizzatisi in forma associativa. Così come le barricate fanno parte della tradizio55
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4 - Masterplan di HafenCity aggiornato nel 2010.
5 - Nuovo distretto di HafenCity, 2011.
ne della città, un altro aspetto che possiamo dire è entrato più di recente a farne parte sono le pratiche dell’abitare collettivo, di cui Amburgo è diventata singolare laboratorio. Dalla forma della comunità d’abitazione (Wohngemeinschaft), associata a modalità collettive di azione politica, esse avranno interessanti sviluppi nelle nuove forme dell’abitare di iniziativa collettiva (Baugemeinschaft) e con queste ultime si confronterà l’amministrazione pubblica, sia agendo come agevolatrice di diverse iniziative, sia attribuendo ad esse un importante valore sociale nelle politiche di rigenerazione urbana (Bricocoli, 2011). La riqualificazione della sponda fluviale, che ha intercettato la domanda emergente sia di attività terziarie, sia di funzioni residenziali non tradizionali e che ha recuperato vecchi magazzini e strutture portuali in disuso, si è rivelata una strategia di successo e un indubbio volano per la riconversione e il rinnovo dello stock 56
immobiliare degli ambiti urbani più vicini al fiume. Con l’allargamento dell’area di influenza della città e la forte pressione esercitata sul suo nucleo centrale dalle attività terziarie, l’attenzione delle istituzioni pubbliche ha iniziato ad essere orientata sulla riconversione urbana dell’area del vecchio porto, come dimostra il primo studio di fattibilità relativo al suo riuso - di carattere non ufficiale - richiesto dal sindaco Henning Voscherau, che sarà alla guida dell’amministrazione per l’intera fase di gestazione del progetto di HafenCity (dal 1988 al 1997). Questo servirà come base per avviare un’azione concertata tra le principali istituzioni (comune e società pubbliche per la logistica e per lo sviluppo del porto) volta all’acquisizione da parte dell’amministrazione delle aree e degli edifici non di proprietà pubblica presenti nel porto. È apparso chiaro fin da subito che il progetto di rigenerazione del porto in disuso e quello dell’e-
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6 -Masterplan di HafenCity: suddivisione dell’area del distretto in quartieri.
spansione dell’area portuale dovevano essere tra loro correlati. L’accordo tacito tra i principali attori istituzionali avrebbe previsto l’utilizzo delle risorse finanziare generate dalla riconversione urbana del vecchio porto per la modernizzazione dell’infrastruttura portuale e la creazione di un nuovo terminal container (nell’area di Altenwerder). Un ulteriore studio finalizzato a delineare un progetto di massima che prevedeva l’espansione del centro urbano sull’area portuale è stato successivamente affidato a un noto professionista e accademico di Amburgo, Volkwin Marg, e presentato alla fine del 1996. La proposta, relativa all’area centrale del porto, contiene i principi guida che saranno alla base dello schema Vision HafenCity reso pubblico nel 1997. Sempre nel 1997 il Senato di Amburgo delibera lo sviluppo di HafenCity, contestualmente all’istituzione di un “Fondo speciale per la città e il porto” - per l’infrastrutturazione e la messa in sicurezza del nuovo quartiere e per la realizzazione del nuovo impianto portuale di Altenweder - da rimborsare in parte attraverso la vendita delle aree del porto. Sarà questa la legittimazione politica per la rimozione dell’area di HafenCity dall’ambito di pertinenza dell’Autorità Portuale (Weinhold J., 2008; HafenCity Hamburg, 2006; Mazzoleni C., 2013).
Il masterplan di HafenCity I principi guida che informano Vision HafenCity sono ripresi nel bando del concorso pubblico per la redazione del masterplan che viene indetto nel 1999 dai ministeri per lo Sviluppo urbano e dell’Economia e dalla società HCH, struttura posseduta interamente dalla città di Amburgo, istituita nel 1998 per promuovere e coordinare lo sviluppo complessivo del nuovo distretto e per gestire il Fondo speciale. Essi attengono alla creazione di una nuova parte di città, che si aggiunge all’area centrale, e alla formazione di un ambiente urbano caratterizzato da mixité, con una significativa pre-
senza di residenze che compensano la forte perdita di questa funzione nell’area storica centrale. Il bando viene vinto dal team tedesco-olandese Kees Christiaanse-ASTOC e, in una versione ampliata e rielaborata, il masterplan di HafenCity viene approvato nel 2000 e sottoposto a un’ampia discussione pubblica, quindi è assunto dal governo come schema direttore per lo sviluppo sostenibile – al tempo stesso economico, sociale e ambientale – e per la valorizzazione dell’identità marittima del nucleo centrale della regione metropolitana. Il perfezionamento del masterplan, sotto la supervisione del responsabile dell’urbanistica della città, Jörn Walter, considerata la complessità dell’organizzazione del processo di sviluppo del nuovo distretto e il suo stretto coordinamento con le azioni di acquisizione delle aree, di trasferimento in altre parti urbane della attività produttive ancora in funzione, di bonifica dei suoli, di difesa dalle inondazioni e di infrastrutturazione ha portato alla suddivisione dell’ambito in tre grandi sezioni e in dodici comparti con differenti caratterizzazioni, nonchè alla previsione di fasi di esecuzione definite nell’arco temporale programmato di venticinque anni (2000-2025). Un’attenta analisi delle trasformazioni socio-economiche in corso nella città e nell’area metropolitana, e un’accurata valutazione della fattibilità degli interventi, insieme a un forte orientamento della politica urbana verso il controllo del consumo di suolo, sostanziano il dimensionamento del nuovo distretto che si estende sull’intera area prima occupata dal porto e dalle attività industriali ad esso connesse – per complessivi 157 ettari (dei quali 35 di superficie acquea) – e consente all’area storica centrale di aumentare del 40% la sua superficie e di ridefinire il suo fronte sul fiume. Gli aspetti più rilevanti del cambiamento strutturale della base economica della città, che hanno influito sulle previsioni di sviluppo di HafenCity, sono in particolare l’accentuata transizione dell’economia verso il settore dei servizi avanzati e il forte mutamento nella struttura della popolazione, so57
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7 - HafenCity, Magellano Terraces, 2013.
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prattutto nella grandezza dei nuclei familiari che per più dell’80%, all’inizio del 2000, sono risultati composti da uno o due componenti. Quest’ultimo rappresenta uno degli aspetti emergenti nella società urbana contemporanea che riconosce nell’area centrale della città l’ambiente più rispondente ai nuovi stili di vita e di consumo (Schulte, Walter, 2013). Nel complesso, con riferimento ai dati dell’ultimo aggiornamento del masterplan (2010), alla fine del periodo programmato per il completamento del distretto, sono stati previsti l’insediamento di circa 12 mila abitanti – che si aggiungono ai 14 mila residenti dell’area urbana centrale - la realizzazione di più di 6 mila nuove abitazioni e la creazione di più di 45 mila posti di lavoro. La superficie lorda di suolo complessiva per i nuovi edifici è stata stimata in 2,32 milioni di m² mentre l’uso del suolo risulta ripartito per il 31% in superficie edificata, per il 24% in superficie interessata da infrastrutture per la mobilità e per il 44% in spazi aperti (25% pubblici e 13% privati a uso pubblico). La circolazione interna all’area avviene attraverso 5 km di strade carrabili e 10 km di percorsi pedonali. Relativamente alle destinazioni d’uso, regolate da soglie definite ma flessibili nell’articolazione delle diverse attività nel tempo, non meno del 30% è la superficie destinata a residenza, all’incirca il 48% quella destinata ad attività terziarie, il 9% e il 13% quella adibita rispettivamente a servizi di quartiere (attività commerciali e di ristoro) e ad attrezzature collettive (educazione, cultura, tempo libero). Il piano, appositamente studiato con finalità comunicative (per veicolare l’idea e l’immagine di HafenCity al pubblico e per attrarre l’interesse degli investitori), è stato concepito come un dispositivo flessibile, soggetto a perfezionamento nel corso del processo anche in relazione alle trasformazioni socio-economiche dell’area urbana, con linee guida e criteri di indirizzo articolati in due livelli. Un primo livello con valenza strutturale e strategica, connesso al progetto dell’armatura urbana (accessibilità, interconnessioni tra le parti, mobilità, struttura e forma dello spazio costruito e di quello aperto, opere di protezione dalle piene) e alla programmazione per fasi temporali delle opere, inquadra l’insieme degli interventi e ne individua i requisiti fondamentali in relazione agli obiettivi del piano. Requisiti che nella sostanza attengono alla formazione di un ambiente con
elevati caratteri di urbanità e che consistono: nel carattere compatto e denso del tessuto edilizio; in nuovi quartieri con tipologie abitative miste, in risposta a una domanda fortemente articolata e diversificata per gruppi sociali ed esigenze abitative; nella mixité insediativa da conseguire sia nei vari quartieri sia nei singoli edifici (mixité “a grana fine”) e assicurando funzioni commerciali e di servizio ai piani terra in modo da rendere lo spazio aperto più fruibile al pubblico; nella qualità e continuità degli spazi pubblici; nella continuità tra il nucleo storico centrale, il nuovo distretto e i quartieri adiacenti; nella realizzazione di edifici con valore simbolico, caratterizzanti l’identità della città, in punti individuati come prominenti; nell’affaccio sull’acqua degli edifici a prevalente carattere residenziale. Un secondo livello, a scala dei singoli quartieri, regola gli aspetti micro-urbanistici e architettonici degli interventi, in base al carattere e al ruolo assegnato ai diversi comparti, con prescrizioni che attengono alla divisione dei lotti – soprattutto per facilitare l’insediamento di piccole e medie imprese e la realizzazione di abitazioni collettive (Baugemeinschaft) – la diversificazione delle proprietà, l’altezza degli edifici, i materiali da impiegare (soprattutto negli edifici adiacenti a Speicherstadt) e il rapporto dei piani terra con lo spazio aperto. Per quanto concerne la gestione del processo di sviluppo del distretto, affidata alla società HCH sotto la costante supervisione di un’apposita struttura del Ministero per lo Sviluppo Urbano e l’Ambiente di Amburgo, sono indette gare d’appalto per l’allocazione dei suoli per i lotti a destinazione residenziale, mentre per i lotti destinati prevalentemente a uffici soluzioni adeguate vengono concordate con la società di gestione. La selezione delle domande e dei progetti non privilegia la migliore offerta in termini economici, bensì la qualità delle proposte in termini sia di forme e modi d’uso innovativi, sia di condizioni di sostenibilità (risparmio ed efficienza energetica in primo luogo). Un altro aspetto rilevante della gestione consiste nell’applicazione del criterio dell’opzione esclusiva, per tutti i tipi d’uso del suolo, in seguito all’assegnazione dei lotti. Opzione che consente agli assegnatari di disporre di un tempo sufficiente (circa 18 mesi) per perfezionare l’intervento proposto, di ottimizzare la sua qualità attraverso un apposito concorso di architettura, di reperire le risorse necessarie e di predisporre il progetto per l’approvazione, con il supporto della società HCH. Queste condizioni hanno dimostrato di essere efficaci nel favorire comportamenti cooperativi, nel disincentivare strategie opportunistiche da parte degli investitori e nel consentire una forte riduzione dei rischi di investimento. Il masterplan è stato rivisto e perfezionato nel 2006 e nel 2010, con un’ampia discussione pubblica e la realizzazione di numerosi eventi nel corso della realizzazione dei primi quartieri, e ha affrontato le nuove esigenze emerse nel corso del processo, prima tra le quali l’estensione al nuovo distretto della rete metropolitana, l’insediamento di una nuova sede universitaria (HafenCity University, HCU) dedicata agli studi sull’ambiente costruito e lo sviluppo metropolitano, e l’incremento della densità insediativa, soprattutto nella parte a est - Baakenhafen – dove sono previsti il potenziamento della funzione residenziale rispetto alla proposta iniziale e una maggiore articolazione delle tipologie abitative (abitazioni collettive, edilizia sociale, edilizia libera).
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L’esito di una governance e di regolazioni strategiche A circa 15 anni dall’approvazione del piano si può dire che il centro di Amburgo ha riconquistato il suo rapporto con l’acqua e la città si è riappropriata della sua parte monumentale, Speicherstadt, anch’essa in gran parte riadattata alle funzioni urbane emergenti connesse all’industria creativa. È stato realizzato più del 40% del nuovo distretto, con il consistente apporto delle risorse finanziarie generate dalle trasformazioni, previste in 2.4 miliardi di euro di stanziamenti pubblici (linea metropolitana esclusa) e in più di 8 miliardi di euro di stanziamenti privati (HafenCity Hamburg, 2013). Soprattutto ha preso forma il cuore di HafenCity, con il suo importante spazio pubblico, le promenade lungo gli argini del fiume, la sua rilevante infrastruttura culturale (musei, università, asili per l’infanzia, scuola elementare-centro per attività sociali, foro ecumenico, etc.), il terminal crociere. È in corso di completamento l’Elbphilarmonie, il simbolo del nuovo distretto, per la realizzazione del quale - anche per la complessità del progetto non sono stati rispettati né i tempi di realizzazione né i costi preventivati, più che triplicati, ed è quindi l’intervento che ha calamitato le voci dissenzienti del progetto del nuovo distretto. I bacini del vecchio porto sono diventati elemento centrale della strategia di valorizzazione dell’identità portuale della città, mentre le darsene sono state trasformate in uno spazio pubblico di connessione di grande qualità urbana. Nelle parti con maggiore carattere residenziale risulta elevata l’incidenza di tipologie abitative “ibride”, prevalentemente in abitazioni collettive. Ciò testimonia l’attenzione rivolta dal governo locale verso le pratiche collettive dell’abitare – privilegiate nell’allocazione dei lotti – per il ruolo che le stesse possono svolgere come dispositivi in grado non solo di abbattere significativamente i prezzi rispetto ai valori di mercato, ma anche di vitalizzare il contesto e favorire la coesione sociale. La maggior parte degli interventi ha elevati standard di sostenibilità ecologica raggiunti attraverso l’applicazione dei criteri di sostenibilità e questo comprova il forte orientamento delle politiche pubbliche della città stato verso la riduzione dell’impatto ambientale delle trasformazioni (con innovazioni che includono nuovi sistemi di fornitura del calore, di certificazione su misura degli edifici e di mobilità intermodale). Più di 2 mila persone si sono già insediate e circa 9 mila lavorano nelle 500 imprese già operative nelle aree completate. Di queste alcune sono attività con migliaia di addetti (sedi direzionali dello Spiegel, di Unilever, della società di servizi marittimi Germanischer Lloyd, e le sedi di società internazionali specializzate nella logistica), ma numerose sono anche le attività di piccola e media dimensione nei settori dei servizi commerciali, ricreativi, ricettivi, della gestione delle attività portuali e delle reti commerciali (logistica, consulenza, certificazione), dell’energia sostenibile e delle nuove tecnologie. Contestualmente alla realizzazione del nuovo distretto di HafenCity, la città ha elaborato uno schema strategico per lo sviluppo dell’area metropolitana, costantemente aggiornato e discusso con la popolazione anche nella forma più recente del “laboratorio urbano”, all’interno del quale vengono discussi i grandi temi e i progetti. Lo schema, nel solco della lunga tradizione di pianificazione urbana di Amburgo, discusso e definito in coope-
razione con la regione metropolitana, prevede che non si attui un ulteriore consumo di suolo, se non nei limiti del potenziamento del sistema logistico essenziale all’attività del porto, che lo sviluppo insediativo avvenga attraverso la densificazione degli insediamenti esistenti lungo i tracciati, e in particolare nei nodi della rete di trasporto pubblico su ferro, potenziando lo spazio pubblico e soprattutto rigenerando e riqualificando le aree portuali dismesse o degradate. Tra queste, oltre all’area di HafenCity, l’isola di Wilhelmsburg, ancora interessata dall’industria portuale e socialmente marginale, che è stata individuata quale laboratorio di sperimentazione dei temi del cambiamento climatico, delle energie rinnovabili e della coesione sociale affrontati dall’esposizione internazionale di architettura, IBA Hamburg, del 2013. In quest’ambito, oltre ai numerosi progetti per riqualificare e potenziare la funzione residenziale, l’ex discarica pubblica di Georgswerder è stata trasformata in una “montagna energetica” e l’ex-bunker della Seconda Guerra Mondiale è stato trasformato in una centrale di energia solare e di produzione di biogas. Impegnata da più di un decennio in una sorta di metamorfosi ecologica, Amburgo ha meritato il titolo di “capitale europea verde” nel 2011. Attraverso il suo piano di rigenerazione urbana delle aree portuali - riconosciuto come il più rilevante e complesso in corso in Europa – il quale ha già riconfigurato la sua immagine e ha raggiunto un ampio consenso, la città ha dimostrato di saper gestire la transizione postindustriale e affrontare il cambiamento della sua struttura economica e sociale attraverso politiche di trasformazione e di sviluppo urbano a forte regia pubblica, gestite da organismi direttivi e da esperti di elevata qualità, e basate su strumenti di piano e sulla pratica diffusa dei concorsi. L’esperienza di rigenerazione urbana di Amburgo può essere definita, a ragione, un caso esemplare di come fattori cruciali per promuovere lo sviluppo della città, costruire beni pubblici e capitale territoriale, migliorare la qualità della vita urbana, ma anche rafforzare la coesione sociale siano regolazioni di carattere strategico e una struttura di governance legittimate socialmente. Riproduzione riservata ©
Bibliografia Bricocoli M. (2011), Amburgo. Pratiche e progetti di abitazione collettiva, in Sampieri A. (a cura di), “L’abitare collettivo”, FrancoAngeli, Milano. HafenCity Hamburg (2006), The Masterplan, HafenCity Hamburg GmbH. HafenCity Hamburg (2013), Essentials Quarters Projects, HafenCity Hamburg GmbH. Mazzoleni C. (2013), Amburgo, HafenCity. Rinnovamento della città e governo urbano, in “Imprese & Città”, n. 2. Merk O., Hesse M. (2012), The Competitiveness of Global PortCities: The Case of Hamburg – Germany, “OECD Regional Development Working Paper”, OECD Publishing, Paris. Schulte W., Walter J. (2013), More city in the city, interview by C. Fuchs, Area, n. 126. Weinhold J. (2008), Port Culture: Maritime Entertainment and Urban Revitalisation, 1950-2000, in Hessler M., Zimmermann C. (eds.), Creative Urban Milieus. Historical Perspectives on Culture, Economy and the City, Campus-Verlag, Frankfurt.
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Progetti di recupero di aree industriali dismesse sull’Estuario del Tago di André Fernandes
I waterfront hanno sperimentato importanti trasformazioni nel tempo in termini di usi e funzioni, in particolare negli ultimi 50 anni. Estendendo il periodo di riferimento, ci si rende conto che la prossimità dei fronti d’acqua rappresenta un vantaggio competitivo per diverse attività, in termini di accessibilità al porto e di trasporto marittimo. Come sostiene Marshall, “il confine tra città e acqua, tra il luogo di produzione e il suo punto base di trasporto, è stata la zona più intensamente utilizzata nel XIX secolo” (Marshall, 2001). Risulta evidente la prevalenza di usi industriali sui waterfront urbani, in particolare di funzioni industriali e portuali fortemente dipendenti in termini di accessibilità dal porto per lo sviluppo delle proprie attività (principalmente l’importazione di materie prime e l’esportazione di prodotti trasformati). Rafferty e Holst evidenziano questo aspetto affermando che “in un primo momento il fronte d’acqua è solo una zona di attracco, un luogo di imbarco e sbarco di passeggeri e merci. Nel momento in cui la vita economica della regione diventa maggiormente diversificata, il waterfront diventa la sede non solo di industrie marittime, come ad esempio la movimentazione delle merci, la pesca, la cantieristica navale e la riparazione, ma anche di altre imprese commerciali. Negozi, pensioni e piccoli hotel sorgono per soddisfare le esigenze del settore del trasporto marittimo; vengono realizzati stabilimenti per la produzione di merci da spedire“ (Rafferty e Holst, 2004). Le trasformazioni tecnologiche ridefiniscono la relazione tra trasporto e industria, influenzando l’occupazione del waterfront. A partire da questa considerazione Marshall riferisce che “i progressi concomitanti del trasporto stradale, ferroviario e acqueo, in combinazione con le esigenze della containerizzazione, hanno spostato i punti di riferimento del trasporto acqueo lontano dai precedenti waterfront storici” (Marshall, 2001). I modelli di trasformazione e rinnovamento del porto proposti da Bird, Hoyle e Hayuth esemplificano questo processo. Questo comporta una separazione spaziale tra porto e città, con il primo tentativo di individuare: (i) nuove aree di espansione non condizionate dall’occupazione urbana; (ii) una migliore accessibilità marittima; e, (iii) un maggior coordinamento dei sistemi di trasporto con le grandi infrastrutture del trasporto terrestre. Inoltre, il progressivo abbandono dei waterfront urbani, occupati da funzioni portuali/industriali fino a quel momento, ha avviato un processo di declino (causato dalla delocalizzazione del porto e delle infrastrutture industriali, e dal fenomeno della deindustrializzazione), come affermato da Kirkwood (2001) e Page (1997).
Titolo The projects to regenerate Autore abandoned industrial areas on the Tagus Estuary by André Fernandes Fuga. Qui aborers picimin conemo od maio ipis re lam dolo quiam ut rem repe plab ipsaperum anda idignimet poritam vendio quatissiment velias autindustrial oditi quunt The activity ofoffi thecia large-scale repro vellatur amfrom inverchit exped quat aut complex dating the second pa cum coremporro expelitatum cycle of con modern industrialization on quam autat et quuntur, laborEstuary si odis reptat the South bank ofquunt the Tagus perero blabo. digendaera (Portugal) went Nemporio into declinete in the 1980s, nes eat toexthe estioraerae laciet unt and led progressivevolum functional facesto volecup taerspi endundis dunt et obsolescence of this territory, resulting eos numet, brownfi cusant elds restia cussignifi idunto in extensive with cantqui ratquam ra accust earum repraes tiamus. environmental liabilities. The rise of the Borit hitaque non endissincit exerumq third cycle of modern industrialization uisque am, aturi dolescite comnis (the post-industrial era) has led to a simpos et officiuconcern stiumquabout amustiu et ut growing thererumque regeneration et aut archili gentur mostem venistiundi of the riverfronts in the estuary and the voloreicil maximil ipsanih itemos estiandae revitalization of the areas in the former verum dolor alibus ne atiore ilis eum re large-scale industrial complex. In this que volorem eturiadescribes nos mi, etthe volorest, context, the paper growthsim enim nobitiaoftemquo id qui quiaspeditat and decline these complexes, analysing eos disquosofutthe rerem sam that iusa have consed que the details projects been licitius, as et volectem ratio test, vellibus, submitted for its regeneration. apis nonsed quaestemque pediciendam, Particular attention shall be paid to nullupt inulparum ipictat. interpreting the influence of previous Faccabo. nis eatent functionsEcae considering thevolorum nature etur? Ucientinctus rerum, sitas quiate nullabo and specificities of the proposals remque ad ma volorenda corum, comnim for intervention; to the importance reicia cus, optatquam simus cum, sinctor of implementing a continuous epudaercius, ommoloinberume et hilictate regeneration process this complex, as vendipsandem et aborat rem fugiass a long-term strategy; to reinforcing the iminumet expediti haruptas competitiveness of thisdolorem territory; and to restor mint es secumet ommo modipsam understanding how the cultural heritage quis doluptiatur sequi accus atat mi, has been addressed in nobis the process. voluptati volor aligenimet quaepudant labo. Nam vendae lique vitaeptaquis molupie ntibusamus volore, offictio dolupta tisimeniant omnis re dollab ipsunt quisque di dolorehenis demporepudis alibus dipidi qui que verovit ibuscius, quidenet, od eribearum aut que dolest et, odigeni andebit volorum ipis et exera samus cum nos et fuga. Us, consequia volorem oluptio quam voluptatur, omnimporecus dest, in et ipiciis citiam sit elitibu sandis venissitis aut experias rerio blandio. Ribusci mpore, iur sanissequae vendis suntium et quaesto mod quam, ut il es mo voluptae
Nella pagina a fianco: vista dall’alto dell’Area della Siderurgia Nacional, al centro sul fronte d’acqua a sinistra (fonte: Administração do Porto de Lisboa, SA; autore: João Ferrand).
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1 - Il modello Anyport elaborato da Bird (fonte: Elaborato da Figueira de Sousa, 2004).
Nel corso della transizione verso l’era post-industriale, le aree portuali dismesse e inutilizzate sono diventate territori obsoleti (e disconnessi), caratterizzati da “cessione di vaste aree industriali, abbandono di edifici, chiusura di impianti produttivi, con conseguenti problematiche in termini di degrado di natura fisica e sociale di ambiti rilevanti di tessuto urbano” (Bruttomesso, 2001). I waterfront urbani, concepiti come territori privilegiati per l’insediamento delle attività industriali, sono ormai considerati una nuova “categoria” nella struttura urbana della città post-industriale. Sono responsabili non solo “(…) di mantenere il carattere delle zone di confine tra l’acqua e la città” (Bruttomesso, 2001), ma anche “(…) di ricreare l’immagine della città, di riconquistare gli investimenti economici e di attrarre la comunità verso il centro abbandonato” (Marshall, 2001). Le dinamiche di rigenerazione del waterfront non si esauriscono, tuttavia, nel processo che porta alla trasformazione delle infrastrutture portuali, e quindi non sono confinate agli ambiti portuali. I fronti d’acqua della riva sud dell’Estuario del Tago costituiscono un esempio in tal senso. Questi riverfront non si presentano come waterfront portuali in senso stretto, in quanto riuniscono funzionalità che non possono essere spiegate sulla base di teorie e modelli incentrati esclusivamente sull’analisi degli ambiti portuali. Tuttavia queste rive fluviali integrano l’area del Porto di Lisbona, e pertanto le dinamiche di trasformazione non possono essere separate dall’influenza esercitata dalla presenza del porto. Infatti l’accessibilità marittima del Porto di Lisbona (che facilita l’importazione delle materie prime utilizzate nel processo produttivo e l’esportazione dei prodotti trasformati) rappresenta uno dei principali fattori di localizzazione che hanno determinato la nascita di tre complessi industriali sulla riva sud dell’Estuario del Tago, a partire dagli anni ‘40: Companhia União Fabril - CUF (Barreiro), Siderurgia Nacional (Seixal) e Lisnave Shipyard (Almada). Nel caso della CUF, l’installazione del polo industriale sulla riva sud dell’Estuario del Tago (Barreiro) è avvenuta nel 1907. A partire dagli anni ‘40, questo complesso ha avuto un forte sviluppo, che ha interessato diverse attività industriali, in particolare nel settore dell’industria chimica. Per quanto riguarda la Siderurgia Nacional, la scommessa è diventata realtà nei primi anni ‘60, nel comune di Seixal. Questo investimento in un
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grande complesso del settore siderurgico deve essere inquadrato nella possibilità di sviluppo delle industrie di base in Portogallo. Lisnave, situato in Margueira (Almada), rientra nei Planos de Fomento (Piani di Sviluppo) dello Estado Novo (Stato Nuovo). Questi cantieri hanno puntato al mercato esterno, piuttosto che alla flotta mercantile nazionale. In questo modo, i cantieri di Lisbona hanno approfittato della posizione geografica sulla costa est-atlantica europea del territorio nazionale. Questo aspetto ha dato loro un importante ruolo geo-strategico per quanto riguarda l’attraversamento delle principali rotte marittime che assicurano il collegamento dell’Europa con gli altri continenti. Gli anni ‘80 sono comunque segnati dal declino delle attività dei grandi complessi del secondo ciclo dell’industrializzazione moderna. L’obsolescenza funzionale di questi ambiti ha portato allo sviluppo di vaste aree dismesse, con rilevanti impatti dal punto di vista ambientale. Questi territori non sono situati in zone centrali, una particolarità del primo ciclo dell’industrializzazione moderna. Si trovano invece in aree geografiche periferiche, per lo più situate su territori estesi (diverse centinaia di ettari), con notevoli problematiche ambientali.
Progetti di rigenerazione Con l’arrivo del terzo ciclo dell’industrializzazione moderna (o era post-industriale) è emerso un interesse crescente per la riqualificazione dell’Estuario del Tago, con la rivitalizzazione dei riverfront e la rigenerazione dei grandi complessi industriali del secondo ciclo dell’industrializzazione moderna. Considerando la dimensione e il degrado (urbano ed ambientale) dei territori che richiedono un intervento, è stata riconosciuta l’importanza di perseguire un processo di rigenerazione in questi complessi, con strategie a lungo termine per: (i) valorizzare territori estesi con posizioni e paesaggi privilegiati; (ii) affermare nuove centralità sulla riva sud dell’Estuario del Tago, al fine di contribuire ad un modello territoriale più equilibrato; (iii) rinnovare la base industriale della regione (con nuove attività legate alla conoscenza e all’economia culturale), contribuendo così al rafforzamento della competitività di questo territorio. In questo contesto, il progetto Arco Ribeirinho Sul
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2 - Localizzazione dei complessi industriali del secondo ciclo dell’industrializzazione moderna (fonte: Elaborazione Own).
(ARS), un’iniziativa governativa approvata nel 2008, è finalizzata a promuovere la riqualificazione della riva sud del fiume Tago, con particolare attenzione alla rigenerazione dei tre complessi industriali. Questo progetto intende sfruttare gli effetti diretti e indiretti degli investimenti strutturali per la Penisola di Setúbal, vale a dire: il Terzo Ponte sul fiume Tago, la Piattaforma Logistica di Poceirão e diverse infrastrutture di trasporto di rilevanza regionale (investimenti che sono stati sospesi). Una società di capitali prevalentemente pubblica (Arco Ribeirinho Sul Sociedade) è stata creata con il fine di coordinare e di rendere operativo lo sviluppo del progetto. Questa società è orientata a garantire l’articolazione dell’intervento finale e la sua attuazione nel quadro regionale, vale a dire il collegamento con i diversi strumenti di settore già in fase di elaborazione per le aree dei tre complessi industriali.
L’area dei cantieri Lisnave I cantieri sono stati rimossi da Margueira (Almada) nel 2000, liberando circa 50 ettari di terreni affacciati sul fiume. Questa operazione, vista come un’opportunità per la rivitalizzazione di vaste aree abbandonate mediante nuovi usi e funzioni, ha interessato una superficie di 113 ettari. Nel 2009 è stato approvato il Plano de Urbanização de Almada Nascente - Cidade da Água (Piano di Urbanizzazione) avviato nel 2002. Questo strumento punta a ripristinare la relazione fisica e funzionale della città e della popolazione con l’acqua, creando una nuova centralità urbana. La trasposizione di questi principi di intervento del modello di occupazione ha dato luogo ad struttura urbana multifunzionale, in cui la diversificazione degli usi
è messa in evidenza: cultura e tempo libero, commercio e servizi, usi misti, residenziale e spazi pubblici (Cf. Atkins et al., 2009). L’affermarsi di questo territorio come nuova centralità metropolitana comporta la creazione di una serie di elementi di supporto classificati come “spazi e attrezzature strutturali e strategici associati”: Docks e Channel (terminal crociere e marina); Tagus Square e Multi-Purpose Buildings; Lisnave Square e Shipping Industry Museum; Cova da Piedade Square e Tagus Museum; Docks e Eco-park (aree verdi e zone d’acqua); altre, comprese industrie creative, spazi di conoscenza e di ricerca, aree sportive per uso intercomunale (cfr Atkins et al., 2009). L’analisi di questo Piano di Urbanizzazione permette di comprendere l’influenza del precedente processo di industrializzazione: (i) nella creazione di una vasta area dismessa che ha portato ad un ampio processo di rivitalizzazione; (ii) nella scelta delle opzioni di zonizzazione dello spazio e di arredo urbano; e, (iii) nella definizione di un identità territoriale valutata come elemento realmente di differenziazione e come supporto per lo sviluppo di attività di conoscenza, turismo e tempo libero. Il primo di questi aspetti è relativamente consensuale, in quanto quello che è in gioco è un processo di intervento integrato su territori di ampia estensione, funzionalmente obsoleti, aree inutilizzate e degradate dal punto di vista ambientale. Per quanto riguarda il secondo aspetto, il layout ereditato dal cantiere ha determinato il modello di occupazione dell’area di intervento del Piano di Urbanizzazione, che è strutturata dal complesso delle opere portuali (moli e canali). In termini di progettazione “il nuovo ambiente urbano riflette le caratteristiche strutturali del luogo: linearità delle banchine, viste, aspetti climatici, usi e densità (…)”
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TRASPORTI & CULTURA N.41 (Atkins et al., 2009). Da notare che i vecchi Dock 10 e 11 costituiscono un punto di riferimento della rete dello spazio pubblico, assumendo gli stessi anche come elementi con valore paesaggistico. D’altra parte, il complesso di moli e banchine - con collegamenti terrestri e accessibilità piuttosto efficienti - ha permesso lo sviluppo della vocazione nautica (turismo nautico, attività nautiche ricreative e per il tempo libero), consentendo una migliore relazione funzionale tra la città e lo specchio d’acqua dell’estuario. La proposta per la costruzione di un porto turistico e di aree a supporto delle attività marittimo-turistiche, in particolare di un terminal crociere, punta a perseguire questo obiettivo. In termini di opere portuali, le strutture di banchina sono gli elementi che collegano fisicamente la città al piano d’acqua, permettendo una nuova convergenza tra questi due elementi nonché una relazione più stretta con gli spazi pubblici. La prossimità agli spazi pubblici consente una più intensa esperienza sensoriale dei cittadini nel rapporto con l’acqua e con il paesaggio del Tago. Infine, per quanto concerne il terzo aspetto, il valore dell’identità territoriale di questa area, connessa con i cantieri navali, è stato identificato come uno degli obiettivi strategici del Piano di Urbanizzazione - “Valore della cultura e del patrimonio locale” - sulla base delle seguenti linee guida: recuperare spazi urbani ed edifici storici; riconoscere il ruolo dell’industria cantieristica per lo sviluppo economico di Almada; incentivare lo sviluppo di attività artistiche e culturali; promuovere eventi legati all’acqua incentrati sul fiume (Atkins et al., 2009). Nonostante il Piano di Urbanizzazione sia stato approvato, il processo di rigenerazione non è ancora avviato. Questo dipenderà strettamente dalla presenza di investitori privati interessati al progetto.
L’area della Companhia União Fabril (CUF), Quimiparque Il declino dell’attività di questo complesso industriale, a partire dagli anni ‘80, ha portato alla disponibilità di una vasta area, funzionalmente obsoleta e severamente degradata dal punto di vista ambientale. Il processo di elaborazione del Plano de Urbanização do Território da Quimiparque e Áreas Envolventes (2008) ha avuto inizio in una situazione di (i) disponibilità di proprietà caratterizzate da una localizzazione privilegiata e in una (ii) prospettiva di investimenti strutturali per l’Area Metropolitana di Lisbona in materia di trasporti e di accessibilità, che hanno aperto nuove opportunità di sviluppo per questo territorio. In tale contesto, è stato riconosciuto che “condizioni particolarmente favorevoli sembrano esistere per lo sviluppo di una strategia integrata per il futuro della città di Barreiro in grado di creare in sé un nuovo tipo di centralità urbana e regionale” (Augusto Mateus & Associados, 2007), sulla base di un processo integrato di rigenerazione del territorio del Quimiparque. Un processo in grado di assicurare una posizione strategica regionale per Barreiro, e capace di promuovere una riqualificazione, non solo urbana ed economica, ma anche in termini di mobilità su questo territorio. Tuttavia, la sospensione di tali progetti strutturali ha condizionato la fattibilità della strategia di intervento, e quindi il Piano di Urbanizzazione non è stato formalmente approvato. Nel frattempo, il territorio è stato preso in considerazione per la co-
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struzione del nuovo terminal container del Porto di Lisbona. È quindi importante comprendere il posizionamento dei fronti fluviali nella proposta di Piano di Urbanizzazione. Infatti il documento intende “creare le condizioni per una fruizione e trasformazione degli usi del suolo che permettano di promuovere una rigenerazione dinamica, aprendo lo spazio all’insediamento di nuove attività ad alto valore aggiunto, con un elevato livello di utilizzo della tecnologia e con impatti ridotti per l’ambiente “(Risco, 2010). La proposta di Piano di Urbanizzazione, che interessa una vasta area (circa 632 ha) ha la finalità di: (i) assicurare l’integrazione urbanistica di nuovi corridoi di trasporto; (ii) garantire l’articolazione urbanistica e funzionale del territorio del Quimiparque con il territorio urbano consolidato della città di Barreiro; (iii) promuovere una zonizzazione strutturata del territorio sulla base di tre centralità (Gare do Sul, Praça Central e Núcleo de Recreio do Porto da Verderena) e tre aree funzionalmente indipendenti. Per quanto riguarda le centralità, le funzioni e l’uso dominante del suolo sono considerati come fattori che differenziano ogni polo funzionale. Nel caso della Gare do Sul, la centralità è determinata dalla localizzazione dell’interfaccia del trasporto ferroviario e stradale. Per quanto riguarda la Praça Central, la proposta è di individuare il nuovo terminal fluviale nelle vicinanze. Infine, considerando il Núcleo do Porto de Recreio da Verderena, l’idea è di sfruttare il terreno utilizzato per il terminal fluviale e le infrastrutture ferroviarie e creare uno spazio progettato per il tempo libero e dotato di un porto turistico, con una vasta gamma di prodotti e servizi nei dintorni. Il piano di zonizzazione proposto è stato articolato in tre aree principali, non ad uso esclusivo, ma con le seguenti destinazioni: - Zona A - situata nel nord-est della Penisola di Barreiro (nella zona est della linea dell’alta velocità proposta, compresa l’area urbana di Lavradio), utilizzata per attività industriali e logistiche di medie dimensioni; - Zona B - situata nel centro nord della Penisola di Barreiro (nella zona est della linea ad alta velocità proposta, a nord del corridoio ferroviario fino al centro urbano della città) utilizzata per attività economiche diversificate; - Zona C - situata nel centro della città, nella zona consolidata del centro di Barreiro (area di riverfront alla foce del fiume Coina), ad uso misto – residenze, commercio e servizi (Cf. Augusto Mateus & Associados, 2007; Risco, 2010). Tale proposta ha la finalità di dimostrare che, pur trattandosi di un’operazione di rigenerazione in un vasto sito industriale dismesso (e nei suoi dintorni), le preesistenze non sono state ignorate nella zonizzazione prevista. Da notare che la zona A corrisponde all’area a maggior concentrazione di attività industriali in questo territorio. È evidente la vocazione industriale di questo ambito, che può essere rafforzata con le unità potenziali installate nella Zona B. In questo modo, viene realizzato un centro industriale e logistico, e allo stesso tempo, è possibile migliorare l’accessibilità ferroviaria e marittima. Il Piano di Urbanizzazione propone la creazione di una barriera verde - Parque Verde Urbano - tra la zona A e B, al fine di minimizzare l’impatto visivo generato dalle attività in corso nella prima di queste due zone. Nella zona B, la riqualificazione urbana e commerciale sfrutta il territorio in quanto tale, senza l’inse-
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3 - Il territorio da consolidare nell’ambito del progetto Arco Ribeirinho Sul (fonte: Parque Expo, www.parque expo.pt).
4 - Proposta di Piano di Urbanizzazione per il territorio del Quimiparque e per le aree limitrofe (fonte: Risco/ NPK, Municipalità di Barreiro, www.cm-barreiro.pt)
diamento di alcuna attività, e tenta di implementare le dinamiche di rigenerazione già avviate. Nella zona C la buona accessibilità marittima viene potenziata attraverso la creazione di un porto turi-
stico. Il riverfront associato a questo terminal sarà inoltre utilizzato per l’installazione di attività commerciali, servizi e residenze, che caratterizzeranno questa nuova centralità.
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L’area della Siderurgia Nacional
5 - Vista dall’alto dell’Area di CUF/Quimiparque, in alto a sinistra nella foto (fonte: Administração do Porto de Lisboa, SA; autore: João Ferrand).
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L’area della dismessa Siderurgia Nacional è stata oggetto della Proposta di Piano Particolareggiato, che ha determinato: (i) la localizzazione di nuove industrie, di aree logistiche, nautica da diporto, scuola di nuove tecnologie, in un’area di 500 ettari; (ii) il recupero e la riqualificazione ambientale, con la creazione di un parco urbano di 80 ettari; (iii) la costruzione di nuove accessibilità, tra cui il nuovo ponte che connette Seixal e Barreiro (Cf. CMS, 2011). La zonizzazione proposta struttura il territorio in tre aree principali: la Zona Nord (orientata verso usi residenziali, commercio, servizi, attrezzature e tempo libero); la Zona Centrale (orientata verso usi industriali); la Zona Sud (orientata verso l’industria leggera e le attività logistiche) (Cf. CMS/
Baía do Tejo, 2010). Al fine di rendere compatibili gli usi dominanti in ogni settore, la Proposta del Piano Particolareggiato prevede la creazione di spazi verdi nelle vicinanze, così come corridoi strutturali (collegamento dei parchi urbani). Questi corridoi dovrebbero garantire la separazione fisica e visiva tra le zone. Occorre evidenziare, tuttavia, che questo strumento non è stato concluso. È stato elaborato un nuovo piano che copre una superficie di 530 ettari, il Plano de Estrutura na Área da Ex-Siderurgia Nacional, avviato nel 2012. Pur essendo un piano in itinere, le informazioni ottenute consentono di comprendere che gli indirizzi seguono le scelte strategiche definite in precedenza, dando priorità al perseguimento di un processo di rigenerazione in grado di garantire la riqualificazione urbana e ambientale di questo territorio, considerando l’articolazione di usi urbani, industriali e logistici.
TRASPORTI & CULTURA N.41 È importante considerare che l’occupazione industriale sul riverfront durante il secondo ciclo di industrializzazione (soprattutto nel caso di Siderurgia Nacional) e il suo declino, alcuni anni più tardi (inizio degli anni ‘80), ha reso disponibile un vasto territorio industriale dismesso, con consistenti problematiche ambientali. L’intervento di rigenerazione mantiene la natura industriale di questo territorio, creando le condizioni per attrarre nuove attività (Zona Centrale e Zona Sud) compatibili con le esigenze ambientali e con i nuovi usi previsti: residenze, commercio, servizi e tempo libero (Zona Nord).
Considerazioni finali La crisi finanziaria internazionale del 2008, che ha interessato di conseguenza l’economia portoghese, ha gradualmente prodotto vincoli significativi per l’implementazione degli interventi previsti, nell’ambito del progetto ARS, e anche negli strumenti di pianificazione territoriale proposti per le aree dei complessi industriali. La chiusura della società Arco Ribeirinho Sul, la sospensione dei progetti strutturali per quanto riguarda l’accessibilità infrastrutturale, le difficoltà connesse con la mobilitazione delle risorse finanziarie necessarie per la conclusione degli investimenti pubblici previsti nel Piano Strategico del progetto ARS, la crisi nel settore delle costruzioni e del mercato vanno in questa direzione. Tuttavia, l’analisi degli strumenti permette di identificare la prevalenza di interventi ispirati alla stessa logica in questi territori, ancorata alle seguenti linee guida: - sfruttare il potenziale di territori estesi, come l’orografia e la posizione geografica strategica, nel contesto dell’Area Metropolitana di Lisbona e dell’Estuario del Tago; - risolvere gli impatti ambientali ereditati dal secondo ciclo di industrializzazione moderna; - modificare l’uso del suolo, sulla base di modelli occupazionali che privilegiano lo sviluppo di una struttura urbana multifunzionale, con aree residenziali, ambiti per il commercio e attività di servizio, zone per attività culturali e per il tempo libero; - promuovere l’articolazione di questi territori con ecosistemi lungo le rive fluviali; - creare le condizioni strutturali per l’insediamento e lo sviluppo di nuove attività economiche, in particolare attraverso il miglioramento dell’accessibilità e la promozione di spazi e strutture adeguati per le attività economiche; - enfatizzare la qualità architettonica dell’area di intervento, al fine di contribuire alla creazione di una nuova e moderna immagine urbana di alta qualità (in modo che non rientri nello stereotipo di “sobborgo industriale” associato a questo territorio); sussiste chiaramente una problematica sia con la riqualificazione fisica che con la proiezione della sua immagine; - creare attrezzature e spazi di supporto a scala regionale, in grado di contribuire a (i) riqualificare e differenziare questi territori; (ii) rendere questi territori più dinamici dal punto di vista sociale, attirando nuovo pubblico; (iii) rafforzare l’integrazione funzionale della riva sud dell’Estuario del Tago nella città di Lisbona, e (iv) trasformare questi territori in nuove centralità urbane a livello metropolitano.
Bibliografia Atkins, Santa-Rita Arquitectos and Richard Rogers Partnership (2009) Plano de Urbanização de Almada Nascente: Relatório de Síntese. s.l.: Atkins, Santa-Rita Arquitectos and Richard Rogers Partnership. Augusto Mateus & Associados (2007) Estratégia de Desenvolvimento Empresarial e Urbano do Barreiro: Diagnóstico e Plano de Acção. Lisboa: Augusto Mateus & Associados. Bruttomesso, R. (2001) Complexity on the waterfront. In Marshall, R. (ed.). “Waterfronts in Post-Industrial Cities”. London: Spon Press. CMS – Câmara Municipal do Seixal and Baía do Tejo (2010) Plano de Pormenor da Ex Siderurgia Nacional. s.l.: Câmara Municipal do Seixal, Baía do Tejo. CMS – Câmara Municipal do Seixal (2011) Concelho do Seixal – Desenvolvimento Sustentável. Seixal: Câmara Municipal do Seixal. Figuera de Sousa, J. (2004) O Porto do Funchal no contexto do sistema portuário regional: as infraestruturas, os tráfegos e as funções portuárias. Lisboa: Faculdade de Ciências Sociais e Humanas – Universidade Nova de Lisboa (Doctoral Thesis). Kirkwood, N. (2001) Manufactured sites: integrating technology and design in reclaimed landscapes. Kirkwood, N. (ed.) “Manufactured sites: Rethinking the Post-Industrial Landscape”. New York: Taylor & Francis. Marshall, R. (2001) Contemporary urban space-making at the water’s edge. In Marshall, R. (ed.). “Waterfronts in Post-Industrial Cities”. London: Spon Press. Page, W. (1997) Contaminated Sites and Environmental Cleanup: International Approaches to Prevention, Remediation and Reuse. San Diego: Academic Press. Rafferty, L. and Holst, L. (2004) An Introduction to Urban Waterfront Development. In AAVV. “Remaking the Urban Waterfront”. Washington D. C.: Urban Land Institute. Risco (2010) Plano de Urbanização do Território da Quimiparque e Área Envolvente. Relatório de Proposta de Plano. Lisboa: Risco.
Riproduzione riservata © Traduzione dall’inglese a cura di Oriana Giovinazzi
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La riscoperta del waterfront di Rotterdam di Tom Daamen, Martin Aarts, Menno Huijs e Walter de Vries
Questo articolo racconta la storia di come, nell’ultimo decennio, la città e il porto hanno elaborato una strategia di sviluppo comune per i CityPorts di Rotterdam. Il processo ha prodotto come risultato incrementale, i cosiddetti piani di sviluppo “organici”, che segnano la nascita di un nuovo rapporto tra il porto e la città. In sostanza, Rotterdam ha prodotto nuovi modi di pensare e di agire per quanto riguarda le aree “tra città e porto”. All’interno della cosiddetta interfaccia porto-città, Autorità Portuale e Municipalità sono in prima linea per reinventare le relazioni tra porto e città per il XXI secolo. In passato, le aree al confine geografico dei porti e delle loro città sono state generalmente oggetto di abbandono e di conseguente riqualificazione urbana. Le vecchie aree portuali risultano interessanti per il riutilizzo urbano a partire dalla loro posizione sul waterfront e dalla loro prossimità al centro della città. Del resto, l’atteggiamento pubblico verso le zone di waterfront è cambiato in modo significativo dagli anni ‘60, e ha creato un grande interesse civico - e, quindi, commerciale e politico - per i fronti d’acqua in ambito urbano. Oggi, la pressione per lo sviluppo di destinazioni alternative in aree che sono degradate o sottoutilizzate rispetto alle loro funzioni originali è in crescita, in particolare per quanto riguarda alcuni ambiti portuali limitrofi alla città. In effetti, l’elevato grado di attenzione verso i progetti di “waterfront redevelopment” ha innescato in tutto il mondo una “logica” caratterizzata da un’apparentemente inarrestabile e continuo declino o spostamento del porto, con conseguenti immediate opportunità di riqualificazione urbana (Daamen, 2007, 2010; Norcliffe et al., 1996). Allo stesso tempo, è stato osservato un movimento opposto, caratterizzato da un rinnovato interesse da parte delle autorità portuali per le zone più antiche dell’area portuale esistente.
Lo sviluppo della città portuale a Rotterdam Nel corso degli ultimi cinque decenni, la letteratura dedicata alle città portuali è in continua e rapida crescita. La ricerca in questo campo è diventata paradossalmente più intensa da quando molte città portuali stanno effettivamente perdendo le loro attività e l’identità marittima (Ducruet, 2010). Questa sezione si concentra su alcuni degli sviluppi più importanti che consentono di comprendere come i rapporti tra porto e città siano mutati, e come tali cambiamenti siano connessi con la riqualificazione del waterfront a Rotterdam.
Rediscovering the waterfront in Rotterdam by Tom Daamen, Martin Aarts, Menno Huijs and Walter de Vries To many outsiders, the port and city of Rotterdam form a strong symbiosis. Indeed, as the port of Rotterdam became the largest in Europe and even the World, planners and policy makers did much to keep up appearances. About ten years ago, their optimism reached a point of euphoria. A huge port expansion plan in the North Sea was expected to provide the city with ample opportunities to develop a new urban environment in old port areas inside Rotterdam’s highway rim. This new area (1,600 hectares) was called Stadshavens or ‘CityPorts’, and was set to transform the large-scale port into a new urban environment. However, the euphoria around the CityPorts transformation plan soon turned into disappointment. Those involved worked hard to achieve a development perspective that offered both the port and the city opportunities to enjoy their diverse qualities. This process has resulted in more realistic, so-called ‘organic’ development plans, which herald a new relationship between the port and the city. In essence, Rotterdam has produced new ways of thinking and acting with regard to the areas ‘between city and port’. Inside the so-called port-city interface, the port authority and the municipality are at the forefront of reinventing the relationships between port and city for the twenty-first century. Recently, the lessons learned since the start of the project have been incorporated into a new strategy. Large-scale master planning has been replaced by an incremental, ‘bottom-up’ development approach that will guide the future of the CityPorts area.
Nella pagina a fianco, in alto: padiglione galleggiante nel Rijnhaven, vicino al centro città; in basso: una veduta da ovest verso est delle rive del fiume Maas (2009).
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1 - Una panoramica dei principali porti in Europa.
2 - Stadshavens o CityPorts Rotterdam, il luogo in cui città e porto si incontrano.
Lo sviluppo del porto di Rotterdam - Nel XIV secolo, Rotterdam era una piccola città affacciata sulle rive del fiume Rotte, e sede di attività legate alla pesca fluviale, alla cantieristica e in parte al commercio. Nel corso del tempo, la città si è trasformata in un vero porto commerciale. L’apertura del canale Nieuwe Waterweg nel 1872 ha segnato l’inizio dell’enorme crescita di Rotterdam. Il principale vantaggio competitivo del porto di Rotterdam è stato il collegamento diretto verso il mare, privo di ostacoli e senza ponti, di cui beneficia ancora oggi. Questi corsi d’acqua liberi e profondi hanno costituito le premesse per un porto efficiente e facilmente accessibile, che dimostra la sua capacità unica di accogliere le navi più grandi del mondo. Se la posizione geografica di Rotterdam è alla base del suo successo, è la sofisticata ingegneria idraulica olandese che ha garantito la sua collocazione in Europa come una delle principali porte d’accesso. Il porto di Rotterdam è accessibile dal Mare del Nord, e fa parte del cosiddetto Hamburg-Le Havre range (HLH). Nel 2015, il porto di Rotterdam è l’home port per uno dei maggiori centri petroliferi e chimici del mondo, e uno dei principali centri per lo stoccaggio di tutti i tipi di rinfuse liquide che vanta il più grande cluster di impianti e serbatoi di stoccaggio in Europa. Inoltre, Rotterdam è il principale hub container in Europa, e anche il più grande porto per rinfuse solide, con un volume complessivo di circa 440 milioni di tonnellate nel 2013, vale a dire una quota del 37,3% nel HLH range1. In sintesi, il porto di Rotterdam è, sia in termini di volumi di merci che di industrie petrolchimiche, uno dei luoghi più importanti a livello internazionale. Sono due le evoluzioni principali che hanno lentamente modificato il carattere delle relazioni tra il porto e la città di Rotterdam. La prima è la spostamento geografico del porto lontano dalla città e la seconda è il processo di regionalizzazione portuale. Il trasferimento delle attività portuali - L’evoluzione del porto di Rotterdam è, come per molti altri porti, accuratamente descritta dai modelli portuali del ricercatore Brian Stewart Hoyle. A partire dal sito portuale d’origine - caratterizzato da banchine laterali di piccole dimensioni adiacenti al centro della città - nel XIX secolo l’espansione del porto di Rotterdam, a valle verso il mare, è in primo luogo il prodotto dell’evoluzione delle tecnologie marittime e dell’innovazione nella movimentazione delle merci. Verso il XX secolo, le banchine e i terminal vengono trasferiti a decine di chilometri di distanza sulla terra strappata al mare. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, Rotterdam si è rapidamente risollevata dai pesanti bombardamenti e dalle devastazioni. In prossimità del centro della città, le opere di ricostruzione si sono concentrate in particolare sulla zona del porto. Sono stati realizzati nuovi complessi per ospitare l’industria petrolchimica in crescita e il futuro terminal container. L’espansione portuale non era finalizzata esclusivamente a favorire i grandi volumi, ma anche lo sviluppo industriale. Questa duplice strategia era basata sull’idea che il porto potesse servire come una posizione eccellente per specifici settori industriali (in particolare l’industria petrolchimica), dove l’industria lavora anche per servire il porto offrendo allo stesso una base per1 http://www.portofrotterdam.com/nl/Over-de-haven/havenstatistieken/Documents/Haven-in-cijfers-2013.pdf
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manente per l’approvvigionamento delle merci. E poi, era soprattutto questa funzione industriale che avrebbe potuto generare occupazione nella regione. La zona di Botlek-Europoort, che è stata costruita nel 1950, comprende oggi uno dei più importanti complessi chimici in Europa. Lo sviluppo portuale è avvenuto a scapito di altre funzioni, come i villaggi di Nieuwesluis e Blankenburg, o alcune riserve naturali. L’area di Maasvlakte, una penisola artificiale che è stata sottratta al mare alla fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, è stata co-
TRASPORTI & CULTURA N.41 (ossia al di fuori delle aree residenziali). Questo ha prodotto una separazione geografica tra la città e il suo porto. A Rotterdam tale situazione non solo ha fatto sì che il porto sia scomparso alla vista: il porto ha lasciato anche la mente della maggior parte dei cittadini. La regionalizzazione portuale - Un secondo importante processo che si sta verificando e che modifica radicalmente il rapporto tra la città e il porto è la regionalizzazione portuale. La regionalizzazione portuale conduce la prospettiva di sviluppo del porto ad una scala geografica maggiore, vale a dire oltre il perimetro portuale (Notteboom & Rodrigue, 2005). Questa fase dello sviluppo portuale è caratterizzata da una forte interdipendenza funzionale e anche dallo sviluppo congiunto di uno specifico centro di carico e di selezionate piattaforme logistiche intermodali nel suo entroterra, infine porta alla formazione di una “rete a baricentro regionale”. Questo implica lo sviluppo di una catena logistica efficiente e solida che unisce i differenti terminal retroportuali, le piattaforme multimodali, i centri di servizio logistico e i corridoi di collegamento in una rete di trasporto. In una prospettiva di regionalizzazione, il porto non è più l’unico punto di rottura nella movimentazione delle merci. Al contrario, dato che il flusso di carico attraversa numerosi porti marittimi e diversi hub interni, il porto è solo un elemento della rete complessiva dei flussi di trasporto. Di conseguenza, i porti non possono più attendersi di attrarre merci semplicemente perché sono i gateway naturali per un ricco entroterra. I principali operatori portuali considerano i porti esclusivamente come un sotto-sistema della catena logistica. Di conseguenza, i loro pacchetti di servizi non si concentrano sull’interfaccia terra-mare dei porti, ma sulla qualità e l’affidabilità dell’intera catena di trasporto (Notteboom & Winkelmans, 2001; Van Klink & De Langen, 1999). L’idea di sistemi di trasporto non è utile solo per ragioni economiche. Questi possono creare il margine necessario per un’ulteriore crescita del traffico container marittimo. I terminal interni, in quanto tali, acquisiscono una funzione satellitare importante per quanto riguarda i porti, contribuiscono infatti ad alleviare gli ambiti portuali marittimi da una potenziale congestione. Ad esempio, l’Autorità Portuale di Rotterdam ha compreso che i porti fluviali possono contribuire a superare una vasta serie di vincoli locali (ad esempio la congestione stradale, la mancanza di terreni disponibili, le questioni ambientali). Nondimeno questo funziona anche per una distanza superiore fra la città e il porto.
struita successivamente. Infine, a partire dal 2008, è in costruzione l’area di Maasvlakte II. Quest’ultima espansione verso il Mare del Nord ha reso disponibile un totale di 2.000 ettari di nuovi ambiti portuali. In pratica Rotterdam e molti altri porti marittimi hanno assistito ad uno spostamento dell’espansione portuale verso acque aperte guidato da logiche economiche - per esempio la necessità di aree di dimensioni maggiori e più moderne, di un’ottima accessibilità al mare, e di aree in grado di sopportare impatti ambientali altamente negativi
Il cambiamento delle relazioni e del waterfront Nuove logiche economiche e ambizioni mutevoli sia del porto che della città fanno in modo che entrambi si impegnino in nuove relazioni l’uno con l’altra. Sia lo spostamento del porto verso il mare che la tendenza alla regionalizzazione portuale favoriscono nuovi rapporti tra porto e città. Da un lato, la città deve adottare nuove strategie per continuare a sfruttare il vantaggio della presenza di un grande porto. Dall’altra parte le Autorità Portuali devono fare in modo che gli sviluppi da loro auspicati siano politicamente supportati dalla cit71
TRASPORTI & CULTURA N.41 tà, sebbene tali sviluppi abbiano luogo principalmente al di fuori del perimetro urbano. Entrambe le sfide si uniscono nelle aree di riqualificazione del waterfront. Questo si traduce in due principi fondamentali della pianificazione strategica che guidano la riqualificazione del waterfront: la diversificazione economica e l’insediamento residenziale insieme ad altre funzioni non portuali. La riqualificazione del waterfront per la diversificazione economica - In linea generale, la presenza di un grande porto è percepita come una fonte di innovazione grazie alla presenza di grandi imprese multinazionali, di aziende leader e di cluster di industrie connesse e di supporto. È attraverso la cooperazione con i porti esteri e con gli altri hub logistici che il porto contribuisce ad aiutare le aziende olandesi e sostiene la diffusione delle competenze e l’ulteriore scambio di conoscenze nei settori della gestione portuale e della logistica (Van den Bosch, 2011). A Rotterdam, tali opportunità di innovazione sono particolarmente ricercate nel settore del trasporto sostenibile e della transizione energetica. Sia le Autorità Portuali che la Municipalità percepiscono il “greening” delle attività portuali come un vantaggio competitivo, in quanto sta diventando sempre più uno dei criteri per la scelta del porto, ad esempio, da parte delle compagnie di navigazione preoccupate per la loro immagine e per l’impronta ambientale. Pertanto il porto e la città di Rotterdam investono in soluzioni innovative per ridurre i problemi di congestione e mobilità urbana, e per produrre energie rinnovabili (eolica e solare) e fonti energetiche biologiche. A dimostrazione di questo la nota Rotterdam Climate Initiative. La città di Rotterdam ha elaborato questo programma con la finalità di “creare un movimento in cui governi, organizzazioni, aziende, istituti di ricerca e cittadini possano collaborare per la riduzione delle emissioni di CO2, per l’adattamento ai cambiamenti climatici, e per promuovere l’economia nella regione di Rotterdam” (www.rotterdamclimateinitiative. nl). Questo programma è stato sviluppato come parte del C40 Climate Leadership Group, un organismo internazionale che aggrega diverse grandi
3 - L’area di CityPorts Rotterdam.
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città interessate alla gestione dei cambiamenti climatici. Il Consiglio Comunale ha individuato una serie di misure volte a migliorare la qualità dell’aria di Rotterdam, utilizzando metodi di trasporto più “puliti” e riducendo le emissioni delle attività industriali e portuali. In teoria, la ricerca di innovazioni trova terreno fertile nelle vecchie aree portuali situate sull’interfaccia porto-città. Dopo tutto, la conoscenza può essere sviluppata e applicata al tempo stesso, ad un porto come ad un grande laboratorio. Inoltre, la disponibilità di tale conoscenza contribuisce a rafforzare il cluster portuale nella zona di Rotterdam. Infine, si adopera per attirare professionisti altamente qualificati per la città. La riqualificazione del waterfront per l’insediamento residenziale e di altre funzioni non portuali - Allo stesso tempo, le aree portuali che costituiscono l’interfaccia con la città si qualificano come eccellenti posizioni per funzioni urbane e funzioni legate al porto. Il settore dei servizi in espansione, la relativa crescita di posti di lavoro scientifici, gestionali, tecnici e professionali ben retribuiti, e il conseguente aumento del reddito disponibile per un numero sempre maggiore di persone, genera un incremento della domanda di abitazioni, uffici, negozi e attività per il tempo libero in luoghi centrali e distinti della città. L’enfasi postmoderna per la varietà e l’individualismo ha in particolare favorito luoghi come i waterfront, offrendo opportunità per la creazione non solo di un mix di ambienti riservati e di nicchia, ma anche per la ricerca di stili di tempo e di spazio specifici, basata sulle lunghe e importanti storie di tali luoghi (Norcliffe et al., 1996). I waterfront rispecchiano oggi le tendenze socio-culturali della città e della sua società in generale, allo stesso modo in cui la città riflette la vitalità economica del porto. Infine, lo sviluppo di aree residenziali attrattive nel raggio visivo e sonoro del porto contribuisce a reintegrare il porto nel tessuto urbano. In quanto tale, può contribuire a migliorare la percezione pubblica delle attività portuali. La ricerca di nuove e migliori relazioni economiche e sociali da cui sia il porto che la città possono trarre vantaggio si manifesta in modo particolare
TRASPORTI & CULTURA N. 41 nella città di Rotterdam che ha lavorato sulla propria riqualificazione del waterfront. La riqualificazione del fronte d’acqua può essere divisa in due fasi. La prima fase è emersa durante i primi anni ‘80, quando è stato elaborato un imponente programma di sviluppo del waterfront su vasta scala denominato Kop van Zuid e in seguito realizzato. La seconda fase riguarda l’area di Rotterdam CityPorts. Entrambe vengono descritte nella sezione successiva.
Il Waterfront Redevelopment a Rotterdam a partire dal 1980 A Rotterdam, il Consiglio Comunale controlla lo sviluppo economico, territoriale e sociale della città. Negli ultimi anni, le sue sfide principali sono state orientate a costruire la forza del settore portuale e della logistica, a diversificare l’economia della città e ampliare le sue strutture. Le strategie sono focalizzate a rendere Rotterdam un luogo più attraente per l’“industria della conoscenza” e la “formazione dei lavoratori”. Anche se la città ha sicuramente beneficiato della presenza del porto in termini di occupazione, le tendenze che abbiamo descritto in precedenza hanno notevolmente ridotto lo spin-off economico locale del porto. In effetti una grande sfida per Rotterdam, e per altre città portuali industriali, è la necessità di accrescere la partecipazione economica dei suoi cittadini. La prima fase: l’espansione dell’Inner City e del Leap South - A Rotterdam, la città ha iniziato ad avvertire le conseguenze dello spostamento del porto verso l’esterno su un livello di scala maggiore a partire dai primi anni ‘80 in poi. Tuttavia, a quel tempo, urbanisti e responsabili politici erano già arrivati a comprendere le potenzialità delle aree portuali dismesse prossime al centro della città. In particolare, questa è stata un’ottima occasione per ripensare l’identità della città. Fino a quel momento, le aree portuali erano servite da barriera geografica tra il centro urbano e il fiume Maas. Nello specifico, il fiume che scorre in modo visibile attraverso il cuore della città non era realmente parte di essa. Il fiume separava letteralmente la città in un ricco argine a nord e in un argine povero a sud, suddividendo altresì la città dal punto di vista sociale. Anche se le persone vivevano in una stessa città, il fiume Maas – pur essendo fondamentale per il successo del porto - impediva la creazione di una identità urbana condivisa tra gli abitanti della città. Nel momento in cui le vecchie aree portuali sono state abbandonate, questa situazione ha lentamente cominciato a cambiare. Anziché limitarsi a percepire il fiume Maas come il motore economico del porto, il fiume doveva ora essere percepito come il punto di forza unico dell’identità culturale di Rotterdam. La strategia di sviluppo che doveva riportare il fiume al centro dell’identità della città, ruotava attorno a due interventi principali: il primo, ripristinare il collegamento tra il centro della città e il fiume (estendendo così il centro urbano verso il corso d’acqua); il secondo, colmare il divario fisico e psicologico tra le rive nord e sud del fiume. Le vecchie aree portuali, che uniscono entrambi i lati del fiume, presentano alcune caratteristiche uniche ed autentiche. Si è tentato di riqualificare ogni area separatamente, facendo riferimento alle loro qualità specifiche. Questo ha richiesto un for-
te “senso del luogo” da parte degli urbanisti e dei promotori immobiliari, che implica una conoscenza sofisticata di quelle caratteristiche che rendono un luogo speciale, tra cui gli elementi che favoriscono un senso di autentico attaccamento e di appartenenza (cf. McCann, 2002). Accanto alle vecchie aree portuali sul versante nord del fiume Maas, anche il recupero di alcune aree portuali dismesse sul versante sud è stato parte del piano di riqualificazione su larga scala del waterfront della città di Rotterdam. È soprattutto in queste zone nel sud di Rotterdam che gli effetti della riduzione dello spin off in termini di occupazione portuale si sono fatti sentire. Il progetto su larga scala, chiamato Kop van Zuid (Head of South) ha comportato uno sviluppo ad uso misto di abitazioni, uffici, tempo libero e infrastrutture. Gli obiettivi sociali hanno avuto un ruolo di primo piano nello sviluppo dell’area Kop van Zuid. Una visione centrale per farla diventare un elemento di unione economica, sociale, fisica per la città, storicamente divisa dal fiume. Attirare i residenti ad alto reddito è diventato un obiettivo esplicito della Municipalità nel momento in cui i responsabili politici hanno constatato che la città presentava un ridotto numero di famiglie della classe media. Kop van Zuid ha reso disponibili nuove residenze a Rotterdam con tipologie che generalmente risultano carenti: grandi appartamenti di lusso e case unifamiliari. La progettazione è stata avviata alla fine degli anni ‘80, e la realizzazione ha progredito rapidamente dopo il completamento del ponte strallato Erasmus Bridge, vera e propria icona, lungo 790 metri (2.600 piedi) terminato nel 1996, che collega l’area in via di sviluppo (e il sud di Rotterdam) con il centro della città sul lato nord del fiume. Il ponte è stato fondamentale per connettere il versante nord e sud l’uno all’altro, ed è già diventato un landmark della città di Rotterdam. La seconda fase: Rotterdam CityPorts - Dove la città e il porto sono cresciuti a distanza l’uno dall’altro nel XX secolo, il porto e la città stanno ora posizionando gli Stadshavens o progetto CityPorts in quanto luogo in cui costruire nuove forme di re-
4 - L’area di Kop van Zuid col Wilhelmina Pier, che sarà completato nel 2020.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 lazione. Naturalmente non è possibile fare tutto questo da soli. L’Autorità Portuale vorrebbe migliorare la propria posizione competitiva non solo rimanendo il più grande porto d’Europa, ma, in particolare, anche il porto più intelligente e più sostenibile del mondo. Allo stesso tempo, le autorità cittadine sono alla ricerca di nuovi settori di attività che, anche in questo momento economico difficile, siano in grado di rafforzare la visibilità dell’area - attualmente incentrata in modo unilaterale su funzioni portuali tradizionali. Queste due ambizioni convergono in CityPorts. In quest’area, dove la città e il porto si incontrano, è stato creato lo spazio per avviare nuove attività importanti sia per la città che per il porto. Il progetto CityPorts è stato avviato nel 2002 come piano di trasformazione su larga scala. Le attività portuali in questa residua porzione del porto – situata sul margine autostradale di Rotterdam – erano sostanzialmente in via di dismissione. A partire da questo momento, la città ha elaborato piani ambiziosi per l’urbanizzazione su larga scala, proprio come durante la prima fase. Tra le proposte più radicali, sarebbe stato realizzato un nuovo stadio di calcio nel Waalhaven. Anche il Museo Marittimo, situato in modo visibile nel centro della città, sarebbe stato trasferito nella zona. Ma tali piani non sono andati molto avanti. I responsabili decisionali per la città e per il porto hanno dovuto optare per una strategia alternativa. Questa alternativa è stata concordata nel 2007, poco prima dello scoppio della crisi finanziaria. Il nucleo del nuovo approccio è stato articolato attorno alla definizione di cinque cosiddette “finestre di opportunità”: cinque diverse prospettive di sviluppo per cinque ambiti dell’area CityPorts. Ogni opportunità si è sviluppata fuori dalle dinamiche ancora previste all’interno dell’area. Al fine di perseguire tali prospettive di sviluppo, l’organizzazione del progetto CityPorts ha costituito alleanze strategiche con aziende, centri di ricerca, e altri enti governativi. La strategia messa in campo per CityPorts sembra essere un’ottima occasione per la nuova realtà di Rotterdam. Le “finestre di opportunità” non vincolano il futuro nei piani di progetto tipo, ma sono estremamente adattabili alla situazione dinamica in e intorno all’area. Le alleanze che si sono formate attorno a tali prospettive sono state in grado di adeguare e sviluppare i piani in funzione dei cambiamenti che si sono verificati. Il contenuto di ogni “finestra di opportunità” viene delineato di seguito: - Volume & Valore ha lo scopo di valorizzare il potenziale economico dell’area CityPorts, anticipando le opportunità che la zona sarebbe in grado di offrire per le attività connesse al porto con un valore aggiunto per la regione - come servizi marittimi, formazione in ambito portuale, e settori economici minori emergenti come l’industria del riciclo (RDM Campus, www. rdmcoe.nl) o produzioni innovative legate al porto. - Reinventare la Tecnologia Delta si focalizza sullo spazio messo a disposizione da CityPorts per la conoscenza applicata nei settori dell’acqua e della tecnologia Delta. - Superamento delle Frontiere & Comunità Fluttuanti è incentrata sulle opportunità sociali e culturali offerte da CityPorts. - Insediamenti Galleggianti sfrutta il potenziale di CityPorts per una forma alternativa di sviluppo del waterfront. Le banchine abbandonate si prestano alla realizzazione di costruzioni galleggianti. Qui le diverse parti stanno dimostran74
do il loro interesse per il Rijnhaven, dove è stato realizzato il primo padiglione galleggiante. - Mobilità Sostenibile si propone di utilizzare le caratteristiche dell’acqua per il trasporto di persone e merci. L’area CityPorts dispone di una banchina lunga chilometri. Pressoché qualsiasi posizione all’interno dell’area non dista più di qualche centinaio di metri dall’acqua. Questo offre interessanti opportunità per il trasporto pubblico e privato sull’acqua. A partire da queste cinque “finestre di opportunità”, CityPorts presenta una strategia differente rispetto al progetto di Kop van Zuid. All’interno di CityPorts, l’economia portuale gioca ancora un ruolo importante. Su larga scala, risultano assenti piani top-down spesso associati a costosi (pre) investimenti in infrastrutture. In CityPorts, le autorità cittadine e portuali hanno cercato di collaborare in modo incrementale, e quindi relativamente a prova di crisi. Pertanto, i progettisti del porto e della città hanno puntato ad individuare soluzioni a vantaggio degli interessi dell’intera regione di Rotterdam.
Rotterdam riscopre il waterfront I progetti di riqualificazione del waterfront di Rotterdam in questo documento illustrano il rapporto mutevole tra città e porto. Durante la maggior parte del XIX e del XX secolo, le funzioni urbane e portuali hanno seguito percorsi di sviluppo relativamente separati, e la relazione sembrava un rapporto di “vita insieme a distanza”. La scala crescente delle operazioni portuali richiesta dai grandi piani di espansione, ha dato luogo allo spostamento in corso del porto verso il mare. I siti portuali abbandonati prossimi al centro urbano di Rotterdam sono stati ri-urbanizzati. Il porto è in gran parte scomparso dalla vista e dalla mente dei cittadini di Rotterdam. Nel corso degli ultimi 30 anni, sì è assistito ad un lieve cambiamento nel rapporto tra la città e il porto. Sono state descritte due fasi principali di riqualificazione del waterfront di Rotterdam. La prima fase - la trasformazione urbana delle aree portuali dismesse - non aveva tanto lo scopo di riportare il porto di nuovo verso la città, quanto di riportare il fiume nell’identità o nel DNA di Rotterdam. Questo ha prodotto un programma di sviluppo del waterfront proattivo e su larga scala, finalizzato ad eliminare la barriera fisica e psicologica tra la riva nord e sud del fiume. Nel ridisegnare le vecchie aree portuali in questione, è stato di fondamentale importanza utilizzare come punto di partenza le qualità esistenti del luogo. Mentre il progetto Kop van Zuid nella prima fase era ancora in fase di attuazione, i funzionari della città e del porto avevano già annunciato la seconda fase. Presto apparve evidente che il punto di partenza per l’area di CityPorts era tuttavia totalmente diverso. Per prima cosa, l’area di CityPorts non si trovava nelle immediate vicinanze del centro della città. Al contrario, la zona era situata nella periferia del tessuto urbano. In effetti è servito del tempo ai pianificatori della città e del porto per elaborare un approccio sofisticato con un adeguato “senso del luogo”. Sebbene CityPorts fosse stato originariamente pensato per seguire una traiettoria di trasformazione simile a quella dei porti più antichi di Rotterdam, le ambizioni di entrambe le autorità cittadine e portuali sono cambiate. La città è diventata sempre più convinta che la soluzio-
TRASPORTI & CULTURA N. 41 ne non era da ricercare in un masterplan su larga scala. In parte a seguito delle conseguenze della crisi economica, è stato necessario ridimensionare le ambizioni progettuali di Rotterdam e individuare nuove modalità di sviluppo per la vasta area di CityPorts. Del resto la Municipalità si trovava - ed è tuttora – in un processo di ridefinizione del suo ruolo e delle funzioni pubbliche, il che significa che ha optato per un ruolo più modesto e di semplificazione dello sviluppo della città. Non essendo i piani di sviluppo su larga scala del tutto compatibili con tale ruolo. Oggi l’attenzione della Municipalità di Rotterdam è orientata alla creazione di una conoscenza dettagliata delle dinamiche locali di una specifica area. Le qualità presenti nell’area in esame costituiscono il punto di partenza per innescare un processo incrementale, bottom-up, di cambiamento. Ovviamente un tale approccio si traduce in una differente prospettiva di riqualificazione del waterfront - una prospettiva in cui le funzioni portuali non vengono rapidamente sostituite dalle funzioni urbane. Porto e città possono co-evolvere in modo organico e armonico. Questo è necessario per specifiche aree residenziali, che possono riportare il porto nei cuori e nelle menti dei cittadini di Rotterdam. E questo si richiede per attrarre specifiche nicchie di attività che rafforzano allo stesso tempo l’economia urbana e portuale. Infine, i fronti d’acqua dell’area di CityPorts risultano particolarmente indicati per l’insediamento di funzioni urbane che necessitano di ampi spazi difficilmente disponibili in altri ambiti della città. Tutte queste funzioni sono importanti sia per la città che per il porto. Una questione, quella della riqualificazione delle aree di waterfront a Rotterdam, in precedenza gestita esclusivamente dalla città, mentre ora l’Autorità Portuale assume un ruolo maggiormente proattivo. Questo impegno proattivo dell’Autorità Portuale è volutamente pensato per creare il sostegno dell’opinione pubblica per le attività portuali in corso nel resto della regione (cf. Merkx et al., 2004; Van Hooydonck, 2006, 2007). Poiché la situazione attuale di Rotterdam è del tutto nuova, il processo che ruota attorno al progetto CityPorts non è sempre semplice e privo di difficoltà. È un processo di dare e avere, di flessibilità e attesa, in quanto non è sempre facile trovare soluzioni condivise. Le strategie di sviluppo devono essere saldamente inserite all’interno delle specificità locali presenti nelle diverse località di CityPorts, in quanto l’epoca dei sistemi di riqualificazione su larga scala è ora sia irrealistica che non auspicabile. Inoltre, è importante sottolineare che la strategia attuale di sviluppo del waterfront a Rotterdam è parte di una strategia municipale più ampia, finalizzata a connettere maggiormente le economie del porto e della città. Questa strategia più vasta è economicamente guidata, e agevola le aziende portuali che beneficiano di una eccellente conoscenza e di infrastrutture di servizio da parte della città e viceversa. Questo riguarda non solo le aree di CityPorts, ma anche lo sviluppo del Central Business District di Rotterdam come centro di affari marittimo di livello internazionale, nonchè l’interazione con i campus universitari della regione, dove si studiano le nuove tecnologie portuali (stampa in 3D, nuove tecnologie di rilevamento e nanotecnologie)2. A sua volta, l’applicazione di
queste nuove tecnologie richiede grandi spazi che sono disponibili nell’area di CityPorts. Nonostante l’importanza crescente a livello internazionale del ruolo riconosciuto del porto di Rotterdam, il suo punto di riferimento a livello regionale resterà Rijnmond. In questa posizione specifica in cui le più grandi navi marittime entrano nel continente europeo, e dove ha trovato sede uno dei più grandi gruppi petrolchimici del mondo. Per le ragioni illustrate in questo documento - il sostegno pubblico, il rafforzamento dell’economia portuale e urbana, la promozione di un’immagine di città più attraente con la creazione di aree residenziali diversificate - affinché l’home port possa funzionare in modo efficiente, è necessaria una strategia di sviluppo a livello di città portuale che comprenda la zona di CityPorts. Occorre riconoscere le dipendenze reciproche, perché solo in questo modo è possibile ipotizzare uno sviluppo armonico della città e del porto nel XXI secolo. Riproduzione riservata © Traduzione dall’inglese a cura di Oriana Giovinazzi
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2 A Rotterdam si trova un istituto di ricerca dedicato per la ricerca connessa al porto, ossia il SmartPort Rotterdam, (http:// smart-port.nl/).
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TRASPORTI & CULTURA N. 41
Bordeaux e Lione: valorizzazione del patrimonio culturale nella rigenerazione dei waterfront di Assunta Martone, Marichela Sepe e Serena Micheletti
La fase di trasformazione urbana in corso da circa trent’anni, attraverso la dismissione di aree industriali, impianti portuali e linee ferroviarie, ha modificato l’aspetto di molti territori italiani ed europei. Il recupero di queste aree, dall’area di HafenCity ad Amburgo, alla riva Abondaibarra a Bilbao fino alla riqualificazione della confluenza tra il Rodano e la Saona a Lione è divenuto elemento di successo per determinare l’attrattività dei territori e dei paesaggi (Sepe, 2009; 2013a). In linea con questi concetti, i progetti di riqualificazione delle aree portuali, delle sponde dei fiumi o degli argini, sono tesi a creare ambienti attrattivi in grado di generare nuove economie. Tali processi di trasformazione stanno conducendo queste aree a sostituire le funzioni produttive dismesse con funzioni culturali, residenziali, commerciali e terziarie, e ad integrare le diverse modalità di attuazione degli interventi per far fronte alla complessità delle operazioni da realizzare (Giovinazzi, Moretti, 2009). Allo stesso tempo, valorizzando il patrimonio culturale tangibile e intangibile, e consentendo di creare spazi pubblici, questi progetti favoriscono di fatto la riappropriazione di tali luoghi da parte dei cittadini, modificando e costruendo nuovi paesaggi urbani (Sepe, 2013b). Le caratteristiche del territorio, inteso come sistema complesso dove le risorse culturali divengono elementi della catena di valore aggiunto, assumono quindi un ruolo chiave per lo sviluppo del sistema locale (Ferilli, Pedrini, 2007). La produzione e la fruizione culturale svolgono funzioni di generazione e di diffusione di pensiero creativo e forniscono strumenti per la crescita di opportunità individuali, creando un processo di sviluppo del territorio socialmente sostenibile (Ferilli, Pedrini, 2007; Zukin, 1995). Partendo da tali premesse, l’articolo intende illustrare due casi studio in tal senso particolarmente significativi, il caso di Bordeaux Les deus Rives e quello di Lyon Confluence (Farinella, 2003; Tsiomis, Ziegler, 2007), che hanno posto attenzione alla valorizzazione del patrimonio culturale in un’ottica di sostenibilità sociale, economica ed ambientale al fine di una rigenerazione dei territori e di una ridefinizione dell’identità consapevole e condivisa dalla popolazione. Entrambi i progetti hanno avuto due fasi di realizzazione, di cui la seconda è ancora in corso di completamento. I casi studio sono descritti ponendo attenzione sia al progetto urbano in rapporto all’identità dei luoghi che alla trasformazione socioeconomica.
Bordeaux and Lyon: enhancing the cultural heritage in waterfront regeneration by Assunta Martone, Marichela Sepe and Serena Micheletti Recently the role of culture has been a driving factor in urban regeneration. The focus on culture as a factor in regional transformation has been strong in response to the competitiveness among cities as well as the requirements of sustainability in the cultural sector. The role of culture has thus become decisive in building a system of interventions in which employment, social and sustainable development are the product of the integration of places, people, economies and traditions. Bordeaux and Lyon are emblematic case studies. The transformation process in Bordeaux aimed to redefine the identity of places long associated exclusively with wine production, and to revitalize its economy. The Urban Pilot Project Bordeaux Les deux Rives targets the tangible and intangible heritage with projects to upgrade the system of open spaces; reconnect the historic and modern city to the river; establish a lighting plan; restore monuments and historic façades; identify new hubs to reorganize pedestrian, bicycle, and automobile circulation, and design an extensive tram system. The identity of Lyon, historically linked to silk production and later to industry, is redefined to develop attractiveness, quality of life and creativity. Lyon Confluence, the main urban renewal project, began in 1995 and develops an approach of evolutionary occupation. “Visibility” measures were implemented concurrently with experimental urban environmental policies, the enhancement of the cultural heritage and the creation of alternative transport systems.
Nella pagina a fianco, in alto: Place de la Comedie, Bordeaux, dettaglio della nuova linea di tram ecologico (foto: Marichela Sepe). In basso: lo “specchio d’acqua” di Place de la Bourse (foto: Marichela Sepe).
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TRASPORTI & CULTURA N.41
Patrimonio culturale e rigenerazione: due casi studio
1 - I progetti urbani previsti a Bordeaux entro il 2030 (fonte: a’urba, Agence d’urbanisme Bordeaux métropole Aquitaine).
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Bordeaux Les deux Rives - Il caso di rigenerazione urbana di Bordeaux si basa su una articolata pianificazione di interventi urbani e di risorse finanziarie volta a ridefinire l’identità dei luoghi, da tempo legata solo alla produzione vinicola, e rivitalizzare l’economia della città, ponendola tra le prime venti metropoli francesi. Bordeaux è una città media della Francia, capoluogo del Dipartimento della Gironda e della regione dell’Aquitania, con un’economia tradizionalmente caratterizzata dal settore vitivinicolo e dal turismo ad esso legato. Il porto fluviale, posto a 50 km dal mare, negli anni Quaranta era uno scalo commerciale. Oggi il traffico commerciale è stato dirottato a Le Verdon e
gli hangar sono stati smantellati per dar vita ad una serie di spazi pubblici sul lungomare e valorizzare la vista degli edifici dalla banchina, mentre il porto si è trasformato in sbarco crocieristico in continuità con lo sviluppo turistico a cui la città sta puntando. Il progetto principale è Bordeaux Les deux Rives, teso all’integrazione, allo sviluppo e alla rivitalizzazione del territorio e del paesaggio delle due rive del fiume Garonna (Martone, Sepe, 2011). La prima fase per la messa in atto della strategia di trasformazione di Bordeaux è organizzata seguendo alcune azioni principali, la realizzazione del progetto di mobilità, in particolare legata alla rete tramviaria, la riqualificazione degli spazi pubblici, in relazione soprattutto ai quais jardinés. Il processo di rigenerazione urbana inizia nel 1995 quando Alain Juppé, eletto Sindaco di Bordeaux e successivamente anche presidente della Communauté Urbaine de Bordeaux (CUB) che amministra l’area metropolitana, promuove la costruzione di un nuovo progetto urbano e di una rete tramviaria a sostegno per gestire la trasformazione in maniera integrata. Nel 1996 viene presentato il PPU (Progetto Pilota Urbano) Bordeaux Les deux Rives in risposta al bando di gara lanciato dalla Commissione europea nel quadro dei fondi FESR. Attraverso il Bordeaux Les deux Rives si promuove lo sviluppo delle due rive della Garonna, traducendo il progetto di recupero della città in opportune strategie di sviluppo e di rivitalizzazione del territorio connesse al suo fiume. Il programma viene attuato tra il 1997 e il 2001 con il coordinamento della società pubblico-privata Bordeaux Métropole Aménagement, di cui la Communauté Urbaine de Bordeaux è la principale azionista pubblica insieme alle città di Bordeaux, Mérignac e Arcachon e del Conseil Général de Gironde, mentre Caissedes Dépôts et Consignations, il Crédit Local de France, la Caisse d’Epargne Aquitaine Nord e il Crédit Agricole sono i principali azionisti privati. Al riguardo, sono state organizzate 22 azioni per la realizzazione di un progetto integrato di riqualificazione urbana, sviluppo economico e rivitalizzazione sociale e culturale. Le azioni riguardano il patrimonio culturale tangibile e intangibile ed includono interventi quali: la riqualificazione del sistema degli spazi aperti, il ricongiungimento della città storica e contemporanea con l’ambito fluviale, il Plan Lumière, il restauro di monumenti e facciate storiche, gli interventi sul patrimonio edilizio (Matteini, 2008). Particolare attenzione è posta al risanamento ambientale delle rive della Garonna, alla creazione di una rete di mobilità sostenibile per ottenere la più adeguata accessibilità alle diverse parti del territorio interessato dalla trasformazione, alla creazione o valorizzazione di attività atte a garantire una elevata ricezione turistica tutto l’anno con eventi culturali legati ai luoghi - come la Fête du Vin e Fête du Fleuve - e alla partecipazione della popolazione. Il programma ha previsto altresì la realizzazione di attrezzature e alloggi per un nuovo centro abitativo situato nella zona della Bastide, ed una vasta area di attrezzature pubbliche tra cui il Giardino Botanico e il Parco degli Argini, aree per lo sport e le aree per i giochi e per il tempo libero (Carta, 2007). Riguardo alla mobilità sono stati individuati i nuovi assi e nodi di sviluppo per riorganizzare il traffico pedonale, piste ciclabili, automobilistiche, e un ampio sistema tranviario.
TRASPORTI & CULTURA N. 41 Quest’ultimo, in particolare, come previsto dal PPU, è realizzato per supportare il processo di trasformazione bordolese, costituendo la trama lungo la quale vengono effettuati interventi di composizione degli spazi aperti e inserimenti di opere di arte contemporanea, e allo stesso tempo il sostegno lineare sul quale agganciare le reti ecologiche. Delle nuove linee tramviarie, il cui progetto è stato realizzato da un gruppo interdisciplinare di architetti e paesaggisti, una passa parallela al sistema dei boulevard esterni e l’altra procede lungo la Garonna, per servire i quais, per un totale di 23 km. La percezione degli spazi pubblici, per la riqualificazione del contesto urbano circostante, in questo modo è stata notevolmente modificata. Il prolungamento delle linee previsto entro il 2020
per ulteriori 20 km supporterà gli otto parchi in realizzazione. Per i progetti degli spazi aperti, un importante riferimento è costituito dalla Charte des Paysages di Bordeaux, documento essenziale del Plan Vert della città approvato nel 2000, alla cui redazione ha collaborato il paesaggista Michel Desvigne. Gli spazi sono realizzati reinterpretando la tradizione bordolese - attraverso la scelta di materiali, arredi, specie botaniche, temi e oggetti d’arte contemporanei in linea con l’identità dello specifico luogo - o ricreandone una diversa, ma in sintonia con le caratteristiche del contesto. L’asse tematico fondamentale per la realizzazione di Bordeaux Les deux Rives è il sistema di spazi aperti storici sulla riva sinistra che, con la dismissione delle aree industriali del porto fluviale, sono stati interessati da
2 -Bordeaux, waterfront adiacente a Place de la Bourse.
3 - Il nuovo waterfront di Bordeaux, prospettiva (foto: Marichela Sepe).
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4 - La place Nautique (fonte: SPLA Lyon Confluence). 5 - Il progetto per la riva della Saona, dettaglio (fonte: SPLA Lyon Confluence).
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un totale ridisegno realizzato ad opera dell’architetto Corajoud. Tra gli altri progetti nell’ambito del PPU Bordeaux Les deux Rives, il progetto ZAC des Chartrons ha messo in atto la riqualificazione di un’area industriale dismessa in stato di degrado e consentito la creazione di un nuovo quartiere costituito da case e locali commerciali, avendo un effetto a catena su tutta l’area tra il centro storico e la base navale sottomarina a nord della Città. Nel 2001 viene approvato lo Schéma Directeur de l’Aire Métropolitaine Bordelaise per il periodo 2010-2020. Lo Schéma Directeur che ha valore di SCoT (Schéma de Cohérence Territoriale) definisce la pianificazione strategica e lo sviluppo sostenibile di un’area che copre 91 comuni e 820.000 abitanti entro il 2020. A questo fine gli obiettivi dello Schéma riguardano: limitare l’espansione urbana, concentrando lo sviluppo nel cuore della città e delle centralità periferiche; preservare, valorizzare e gestire la struttura naturale del paesaggio che circonda la città; definire e strutturare i maggiori centri economici dello sviluppo della città; promuovere la riqualificazione urbana e la densificazione lungo gli assi di trasporto pesanti. Il Master Plan definisce il quadro per lo sviluppo della città a cui ogni documento di programmazione prodotto da parte delle comunità dovrà fare riferimento. Nel 2001, grazie anche al ruolo di promozione e di leva per il progetto urbanistico complessivo intrapreso dal Comune di Bordeaux svolto dal PPU Bordeaux Les deux Rives, la città ottiene per il periodo 2001-2007 i finanziamenti europei per il PIC
(Programma di Iniziativa Comunitaria) Urban 2 “Unicités”. Questo programma, non ancora del tutto completato, è realizzato in continuità con il PPU. Esso mantiene un approccio trasversale e integrato al territorio ponendosi quale priorità quella di realizzare un “progetto globale che permetta lo sviluppo sostenibile dell’insieme dei quartieri intorno al fiume e alle sue rive”, e di far emergere un vero e proprio centro di agglomerazione, portando avanti, anche dal punto di vista sociale, il processo di trasformazione iniziato nel 1995. Lyon Confluence - Lione ha avviato da oltre venti anni una riconversione ambientale e culturale, fungendo da laboratorio che sperimenta diverse forme di governo di territorio: dallo Schéma Directeur Lyon 2010 (1992) allo Schéma de Cohérence Territoriale (2009), dallo SDAU Schéma Directeur d’Aménagement e d’Urbanisme de Lyon (1978) a Lyon 2020, Schéma Directeur de l’Agglomération Lyonnaise 1988-1992 (Palazzo, 2011). Con lo Schéma Directeur Lyon 2010, viene definita una visione di medio-lungo periodo, dichiarando obiettivi chiari e coerenti che mirano a trasformare l’area di Lione in una metropoli internazionale in grado di conservare e rafforzare i caratteri identitari delle singole aree, mantenendo il collegamento tra le caratteristiche del passato ed il nuovo profilo dell’immagine lionese (D’Ascia, 2007; Ferrari, 2005). Con l’istituzione della Communauté Urbaine de Lyon (Grand Lyon), nel 1966, la riconversione del
TRASPORTI & CULTURA N.41 quartiere Perrache è inserita in un più ampio progetto urbano, che ha un carattere fortemente sperimentale (Budin, 2011; Palazzo, 2010; Cioce, 2007). L’intera città viene riorganizzata attraverso il disegno di un nuovo framework di sistemi di pianificazione tematici, quali la rivitalizzazione degli spazi pubblici sia al centro che in periferia, la valorizzazione del paesaggio urbano con parchi e luoghi storici, la creazione di nuovi poli di sviluppo urbano ed economico, la reinterpretazione dei luoghi della mobilità e la realizzazione di una nuova rete pubblica di trasporti e stradale (Marchigiani, 2003). Per meglio comprendere ed elaborare idee di sviluppo condivise, il sindaco Raymond Barre attiva un processo di concertazione che individua la missione per un’area di 150 ettari denominata Perrache Confluent (Cioce, 2007; Demeuse, Marek, Veithen, 2008). In tal modo l’agglomerato lionese si rende consapevole della sua identità e mobilita adeguati valori per costruire il suo futuro. Il processo di rigenerazione è avviato nel 1995 con il mandato di Barre e la creazione nel 1997 della Mission Perrache Confluent, rinominata Lyon Confluence nel 1998 insieme al lancio della consultazione per la riqualificazione (Virányi Z.G., 2010). Il processo si è basato sull’ascolto dell’esistente, sviluppando un approccio di occupazione evolutiva, attenta alla morfologia dei luoghi e alla sostenibilità, ed usando il paesaggio come elemento fondante del patrimonio culturale. La realizzazione di interventi di grande “visibilità” è stata accompagnata da politiche urbane di sperimentazione in campo ambientale, di riqualificazione di quartieri degradati e di attuazione di sistemi di trasporto alternativi (Scaramuzzi, 2005; Palazzo, 2010). Il progetto di trasformazione ha avuto evoluzioni riconducibili in tappe ed articolate in due periodi di circa quindici anni di ciascuna, entrambe caratterizzate dall’alta qualità ambientale (HQE), la densità urbana e la vegetazione. La prima fase inizia nel 1998 con un concorso internazionale vinto dal gruppo MBM (Thierry Melot, Oriol Bohigas e Catherine Mosbach), e la successiva costituzione nel 2003 della ZAC fase 1. Il distretto è composto da 21 edifici (660 abitazioni e 15.000 mq di uffici) divisi in 3 blocchi di fabbricati, che presentano requisiti rigorosi in termini di efficienza energetica, uso di energie rinnovabili e diversità sociale. Questa fase - che ha beneficiato anche del programma europeo Concerto, che ha finanziato, con circa 3,9 milioni di euro, il progetto Renaissance per sviluppare a Lione un modello di quartiere sostenibile - si sviluppa sulle aree già liberate dalle attività portuali lungo la Saona (Quai Rambaud), con la realizzazione di un parco urbano lungo il fiume, la nuova Place Nautique (nella Presqu’ile) ed il prolungamento della linea tranviaria. Nel 1999 per portare il progetto nella fase operativa viene costituita la SAEML (Société Anonyme d’Economie Mixte Locale) Lyon Confluence. Il piano generale per lo sviluppo della prima fase è affidato a François Grether e Michel Desvignes. In questa prima fase i paesaggisti Georges e Julien Descombes immaginano gli argini della Saona con differenti scenari: a monte, un’area urbana; al centro, giardini ed attività nautiche; ed a valle, una sequenza naturale e bucolica (http://www.lyonconfluence.fr). Nel 2003 iniziano i lavori del tram, che entra in servizio nel 2005, lungo il corso Charlemagne, strada principale di Confluence, mentre nel 2006 vengono intrapresi gli scavi per i lavori
della Place Nautique, simbolo della Confluence, e la riorganizzazione delle nuove banchine. Tra i landmark dell’operazione di trasformazione delle due rive, il Cube Orange dello studio Jakob + MacFarlane Architects è di notevole impatto sul paesaggio urbano. L’attenzione all’ambiente è in particolare evidenziata dalla rigenerazione in chiave ecosostenibile del quartiere Sainte-Blandine, progetto per 100.000 mq di edifici e 7.200 persone, mentre la relazione tra recupero urbano ed attività artistiche e culturali si osserva nella Sucrière, magazzino dello zucchero eretto nel 1930 lungo le rive del fiume Saona e dal 2003 utilizzato come spazio espositivo che accoglie, tra l’altro, parte della Biennale d’Arte Contemporanea. Nella ZAC fase 2, attivata nel 2010, Grand Lyon firma un accordo di cooperazione con il WWF francese per sviluppare a Confluence il primo quartiere francese certificato WWF One Planet Living. Il progetto implica una visione della sostenibilità ancora più ampia rispetto alla prima fase, che comprende l’efficienza energetica, la drastica riduzione dei rifiuti, lo sviluppo di trasporti sostenibili e la protezione del patrimonio culturale e naturale. Lo sviluppo della fase 2, assegnato a Jacques Her-
6 - Lyon Confluence, il progetto al 2014 (fonte: Lyon Confluence).
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7 - Il “cubo arancione” progettato dagli architetti Jakob e Mac Farlane (fonte: SPLA Lyon Confluence).
zog e Pierre de Meuron insieme al paesaggista Michel Desvigne, riguarda un’area di 24 ettari a est della Confluence, separata dal fiume Rodano dall’autostrada. Pierre de Meuron associa il codice urbano di Confluence al DNA degli individui, e lo individua nella struttura architettonica esistente, conservando alcuni degli edifici dell’area (MIPIM Cannes, marzo 2012). La forte presenza della vegetazione, della vision del Parc Ramifié e del parco attivo dell’area portuale, continua in questa fase insieme all’ottimizzazione nell’uso della luce solare. La rigenerazione della zona prevede che nelle aree tra i palazzi vengano inserite piccole piazze e spazi pubblici, insieme ad aree di verde in grado di favorire la permeabilità del quartiere. Per mantenere viva l’identità e la storia del luogo, circa il 30% degli edifici dismessi saranno conservati per dare continuità architettonica. I fabbricati recuperati avranno un uso misto ed altezza variabile (da 3 a 17 piani), ospiteranno uffici, abitazioni, negozi e servizi pubblici, e saranno sede privilegiata per le attività culturali e le industrie creative. Un aspetto importante in questa operazione di trasformazione è l’uso di energie rinnovabili che è presente in diverse forme. In particolare, il progetto dimostrativo realizzato in collaborazione con l’agenzia pubblica giapponese New Energy and Industrial Technology Development Organization (NEDO) ha lo scopo di aumentare il rendimento energetico degli edifici che saranno costruiti nei prossimi anni nella zona. Per aiutare i residenti a gestire il consumo energetico, sugli edifici eco-ristrutturati a Perrache, è stata prevista l’installazione di “scatole di energia” che misurano il consumo energetico di ciascun circuito elettrico di distribuzione domestico, e che, rilevando grafici del consumo, allertano sui consumi elevati e forniscono raccomandazioni personalizzate per il risparmio energetico. Infine è previsto un “sistema di gestione comune” (CMS) per la gestione e controllo dei dati di consumo energetico per l’intero progetto. 82
Conclusioni L’articolo ha presentato due casi studio, ponendo l’attenzione sul ruolo del patrimonio culturale, fortemente legato al paesaggio, nella rigenerazione urbana e sociale delle aree interessate. In merito a Bordeaux Les deux Rives, il progetto di riqualificazione è partito dalle questioni dell’identità, considerata elemento fondamentale del patrimonio culturale, per arrivare ai temi della competizione e della coesione e dello sviluppo tecnologico della seconda fase ancora in corso. La trasformazione dell’area portuale e dell’intera area attorno alle due rive della Garonna sta avvenendo con un piano unico e un forte desiderio di rinnovamento dell’identità dei luoghi. Stanno contribuendo alla trasformazione della città non solo i numerosi interventi urbani e sugli spazi pubblici - realizzati con l’aiuto della Charte des Paysages – ma anche il progetto per la mobilità. A questi si uniscono inoltre gli interventi sulle attività culturali legati ai teatri, al cinema Megarama, alla scuola circense, alle attività gastronomiche locali, al salone della lettura e alle manifestazioni culturali e sportive, che stanno contribuendo al radicamento culturale della nuova immagine. Il recupero degli spazi intorno alle banchine della riva sinistra, con il piano di illuminazione e la ristrutturazione delle facciate e l’ampia rete di tram, orientata a modificare la percezione dei luoghi, ha notevolmente aumentato l’attrattiva di questi spazi. Non si è puntato sulla costruzione di mega strutture realizzate da note firme dell’architettura internazionale, ma ad una innovazione delle infrastrutture della mobilità e culturali, e ad una serie di interventi urbani medio-piccoli mirati a connettere le diverse parti delle culture e del territorio delle due rive e ad innalzare la qualità della vita. La popolazione, in questo lungo processo di trasformazione, è stata coinvolta con diverse modalità di partecipazione che hanno portato al recepimento
TRASPORTI & CULTURA N.41 delle esigenze comuni e quindi al supporto di abitanti e attori coinvolti. In linea con Bordeaux Les deux Rives è anche il progetto Lyon Confluence, dove gli attori hanno ridefinito e rafforzato l’identità culturale, migliorando l’immagine della città, recuperando il rapporto con la presenza dell’acqua e aumentando l’attrattività dei luoghi non solo per i residenti e visitatori, ma anche per gli investitori. La prima fase di Lyon Confluence è quasi completa, mentre la seconda sarà ultimata entro il 2020 con un ulteriore sviluppo del trasporto pubblico, così come sta avvenendo per Bordeaux. Dal punto di vista urbano, i nuovi landmark, il recupero dei capannoni ad uso culturale e dei mercati, la forte attenzione agli spazi pubblici e al verde hanno modificato il paesaggio urbano e il profilo dell’area. È stata migliorata la relazione tra spazi urbani e fluviali, sia seguendo il tracciato dei fiumi, e ridando sbocchi fisici e superfici contigue all’acqua, che creando collegamenti trasversali con la città (Ferrari, 2004; Demeuse et al, 2008). La morfofologia di Confluence, presentandosi però con un triangolo chiuso su due lati tra i fiumi ed il terzo delimitato dalla ferrovia e dall’autostrada, costituisce ancora una sorta di barriera all’accesso. Il principale obiettivo della rigenerazione, quello di estendere il centro della città, sarà definitivamente raggiunto quando le barriere saranno eliminate. Fondamentali sono infine anche altri aspetti che, come nel caso di Bordeaux, pur se apparentemente non centrali, costituiscono elemento per il successo dell’operazione: la consapevolezza dei rappresentanti delle istituzioni, e degli altri attori, sull’uso dell’energia e del suo risparmio nella pianificazione urbana; l’utilizzo di standard di energia rinnovabili locali superiori alle normative nazionali, con un alto livello di ripetibilità per altre località francesi; la diversità sociale mirata e sostenuta all’interno della zona interessata; una campagna di sensibilizzazione degli utenti finali sulle buone prassi per gli edifici efficienti. Riproduzione riservata ©
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Il riflesso del porto. Il progetto Tanger Port fra promozione politica e frammentazione urbana di Zeila Tesoriere
A partire dal 1999, data della sua assunzione al trono, Mohammed VI ha indirizzato il Marocco alla modernizzazione del Paese e al suo riposizionamento economico e politico in un contesto non solo maghrebino, ma risolutamente orientato all’Europa e alle dinamiche globali. La realizzazione di questo rinnovamento è collegata, come è ovvio, alla definizione di un impalcato in cui le condizioni materiali e fisiche di trasformazione dei territori si accompagnano al disegno delle politiche di governance per la realizzazione delle opere e l’attrazione dei capitali, al lavoro diplomatico per la stesura di accordi internazionali, all’elaborazione di figure che rappresentino le capacità e l’affidabilità del Paese. A una cinquantina d’anni dalla cessazione del protettorato francese1, il Marocco persegue oggi la costruzione di un profilo di equilibrio e moderazione politica, cercando un ruolo di rilievo internazionale che possa affermarlo fra i protagonisti contemporanei di molti processi su più scale. L’acquisizione di questi nuovi caratteri è strategicamente legata all’innovazione delle infrastrutture: la costruzione di sistemi integrati e performanti attraverso la realizzazione di autostrade, ferrovie, aeroporti, porti, consente di fornire un supporto concreto allo svolgimento delle attività e all’innesco dei loro potenti indotti, ma non solo: dà luogo anche alla costruzione di un immaginario, che simboleggia il ruolo del Paese e le sue aspirazioni. Il sistema mondiale delle infrastrutture in cui oggi il Marocco si inserisce è quello che l’Occidente ha costruito per sé nel secolo scorso, quando insieme all’industrializzazione ha realizzato un arsenale imponente per gestire e produrre i trasporti, l’informazione e la comunicazione, l’energia e le sue fonti. Nei primi anni di questo nuovo secolo, l’accelerazione dei processi legati alle economie della crisi, della transizione energetica e della decrescita ci 1 Le pressioni politiche francesi si attuano sin dall’inizio dell’Ottocento per esercitare un controllo esteso e costante sull’Africa del Nord. A differenza dell’Algeria, che fu la sola ufficiale colonia francese nel Maghreb, il Marocco – insieme alla Tunisia – è stato a partire dal 1912 un protettorato della Francia. Tale condizione giuridica avrebbe dovuto prevedere una speciale tutela da parte del governo francese nelle politiche internazionali, riservando autonomia e identità propria ai governi locali. Nella realtà, sia per l’ingerenza politica e le strategie attuate, che per lo sfruttamento delle materie prime e per la quantità di popolazione francese presente nel Paese, il sistema appariva in pratica analogo a quello coloniale. La presenza di forti spinte nazionaliste e indipendentiste in Marocco appare determinante nel 1956 per l’abrogazione definitiva del protettorato e il ripristino della piena sovranità attribuita a Mohammed Ben Youssef, cofirmatario del trattato di indipendenza, che assumerà la guida del paese come Mohammed V.
The reflection of the harbour. The Tanger Port project: political promotion and urban fragmentation by Zeila Tesoriere Relying on several large-scale projects launched during the fifteen-year reign of King Mohammed VI, Morocco is addressing its unprecedented infrastructural development as a crucial tool to bolster its economic competitiveness, and to turn the country into an attractive platform for foreign investment. Contributing to enhance the northern region and its Mediterranean façade, the Tanger Port renewal should be framed within the context of the colossal container terminal of Tanger Med, in a scenario distinguished by the current political promotion of the monarchical discourse. As the Tanger Port project reaches completion, a number of critical issues have been raised regarding the application of this trend in urban waterfront regeneration. The generic architecture master-planned by Forster, Reichen and Rober, ends up isolating the old town, especially Medina, from the new linear luxury fragment on the coast. The misinterpretation of the cultural and potential values expressed by this unique spatial identity, increases the social and economic gap dividing this fragmented urban realm. Because infrastructure always acts on a symbolic level, the influence of Tanger Port on the city of Tangiers questions the role of innovation in these processes, and illuminates how these new forms of spatial production, driven by foreign capitals and delineated by megaprojects, respond to the renewal of urban structures.
Nella pagina a fianco, in alto: Tanger Port, Render del progetto di Norman Foster, Reichen & Robert. La nuova Halle des congrès, fra la darsena da diporto e l’area turistica (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port). Al centro: Render del progetto di Norman Foster, Reichen & Robert. La nuova promenade con il palmeto sul tratto conclusivo del boulevard Mohammed VI, vista dalle mura della Medina (© SATP Société d’Aménagement Tanger Port). In basso: Render del progetto di Norman Foster, Reichen & Robert. La nuova Place de la presqu’île, adiacente alla diga di protezione della nuova darsena per il diporto (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port).
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1 - Vista aerea dello stato di fatto. In primo piano a destra, il molo principale. Sullo sfondo, il tessuto basso e compatto della Medina (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port).
ha riconsegnato un’attrezzatura centenaria, che, messa alla prova dalla riconversione e dal riciclo, mostra i limiti dell’idea di infrastruttura ereditata dal Novecento - e dei paradigmi che l’hanno generata – nell’incontro con le nuove condizioni dei nostri scenari. L’evoluzione di questi modelli o l’elaborazione di modelli alternativi è il tema principale dei progetti europei di infrastruttura degli ultimi quarant’anni. In un contesto che comincia la costruzione delle sue infrastrutture maggiori nel secolo XXI, avendo saltato la tappa matrice dell’industrializzazione propria del secolo precedente, fino a che punto agisce l’innovazione rispetto alla ripresa di impianti già largamente diffusi? Come intervengono le trasformazioni o ibridazioni dei programmi? Che ruolo svolge l’architettura come mediatrice predominante nel rapporto fra l’infrastruttura, il suo territorio urbano, il suo paesaggio, nell’articolazione delle nuove pratiche e dei nuovi orizzonti necessari alla società che la costruisce?
Effetto specchio: guardare Tanger Port da Tanger Med Queste riflessioni hanno origine in una ricerca precedente, interessata alle mutazioni dell’architettura infrastrutturale attraverso le operazioni in corso nella regione di Tanger-Tétouan, che ruotano intorno alla realizzazione del mega polo portuario containerizzato di Tanger Méditérranée (Tanger Med)2. Per comprenderne il significato come applicazione di un modello globale in un luogo con identità culturale e sociopolitica proprie, una prima metodologia, abituale, ha letto le politiche e le strategie di pianificazione in rapporto all’esito trasformativo che queste architetture hanno sui territori. Ciò non era sufficiente a spiegare il ruolo di questi progetti nella costruzione di un discorso di rappresentatività del Paese e dei suoi valori, 2 Cfr. Afriques, programme pluriannuel de recherche 20112015; LIAT, Laboratoire de Recherche Infrastructure Architecture Territoire, Ecole Normale Supérieure d’Architecture Paris Malaquais; titolo della ricerca: Les grands projets urbains dans la rive sud méditerranéenne de Tanger à Tanger Med.
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cui si affida il rilancio del Marocco; discorso che si costruisce per figure elaborando un immaginario che appare al tempo stesso esito e necessità per la realizzazione dei progetti. Questa dimensione simbolica accompagna da sempre l’infrastruttura, ed è stata colta attraverso un corpus di contrappunto, formato dal riflesso dei progetti sulla stampa locale e sugli altri media3. In questa prospettiva, le innovazioni apportate dall’operazione Tanger Med sono apparse solo moderatamente legate all’adattamento di un modello generale alle condizioni locali. Le più evidenti fra queste, legate al quadro complessivo di ideazione - attuazione delle opere, sono risultate indotte in primo luogo dal desiderio di costruire un’infrastruttura funzionale alla promozione politica della monarchia. Su un registro implicito, altre variazioni rispetto agli schemi noti consistono nella prosecuzione dell’infrastruttura in una sua continuazione immateriale, incarnata da un insieme pulviscolare di attività sociali di sostegno alle popolazioni che abitano i territori trasformati4. É però nel disegno di potenziamento della regione settentrionale del Marocco che deve essere colto il riverbero di Tanger Med, e in particolare riguardo ai suoi effetti nella costruzione di un rapporto con la città di Tangeri - dalla quale dista in realtà più di 20 chilometri - e soprattutto in relazione al suo porto urbano. Il legame si sviluppa su due livelli. In termini materiali, la costruzione del megahub per il traffico containerizzato ha liberato il vecchio porto di Tanger Ville dalle sue funzioni commerciali e da parte di quelle turistiche, dando il via a un grande progetto di rigenerazione che ambisce a collocare Tangeri fra le dieci principali mete turistiche del Mediterraneo entro il 20205. 3 In particolare: sui giornali e attraverso le emittenti televisive, in riferimento ai manifesti, brochure, slogan pubblicitari e i documenti di candidatura alle competizioni per ospitare grandi eventi, nella citazione dei progetti in interventi ufficiali delle Istituzioni e in particolare da parte del re Mohammed IV. 4 Tali attività fanno capo in maggior parte alla Fondation Tanger Med pour le développement humain. Cfr. Tesoriere, Zeila, “Infrastructure réparatrice. Tanger Med et ses doubles à l’ère de la concurrence planétaire”, in: Afriques: architectures, infrastructures et territoires en devenir, Beaux-Arts de Paris Editions, Parigi, 2015. 5 Cfr. gli obiettivi strategici enunciati nel piano di sviluppo del
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2 - Vista aerea del progetto di Norman Foster, Reichen & Robert. In primo piano, a sinistra, il molo per il nuovo attracco delle navi da crociera e dei fast ferries in collegamento con la Spagna. Affacciata sul mare, la nuova Place du large. In secondo piano a destra, il nuovo porto peschereccio (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port).
In rapporto a questa grande opera di rigenerazione, l’eco simbolica del nuovo colossale porto commerciale su quello della città è servita a confermare l’affidabilità del quadro politico e gestionale, legittimare le figure di governance e garantire agli investitori di saper portare a termine grandi operazioni infrastrutturali. É la risonanza di un porto sull’altro a far luce sulla gigantesca riconfigurazione del fronte marocchino aperto sullo stretto di Gibilterra, che investe la linea di costa di un insieme di trasformazioni ininterrotte per una sessantina di chilometri6. Osservando Tanger Port da Tanger Med si coglie la costruzione di una identità territoriale e di governo che si autopubblicizza come candidata protagonista di processi di livello globale. Le prime questioni che si pongono in questo senso riguardano i modi e i mezzi – finanziari, logistici, di governance e di leadership – che consentono ad un paese come il Marocco di imbastire la trama indispensabile alla realizzazione di queste opere, attrarre i capitali, gestirli, concludere le opere e immetterle in un regime di pieno esercizio in poco più di quindici anni. Le stesse questioni conducono inoltre a chiedersi quale sia la reale capacità di queste trasformazioni di migliorare il tessuto sociale dei loro territori, di far crescere l’alfabetizzazione, il livello occupazionale, la qualità della vita e degli habitat di luoghi durevolmente associati al contrabbando, ai traffici illegali di armi e droga, alla gestione criminale dell’emigrazione, marcati dalla presenza di numerose e vaste bidonville7. Ministère du Tourisme et de l’artisanat du Maroc “Vision 2020”. 6 Dall’uno all’altro dei suoi capi, il complesso portuario di Tanger Med 1, Tanger Med 2 e l’approdo turistico Tanger Passengers con i terminal riservati MRE (Marocains Résidents à l’Étranger) si estende per poco più di 40 chilometri. Fra Tanger Med e la città di Tangeri è oggi in atto la costruzione del nuovo porto a secco di Ksar er Sghir, con la riconversione della vecchia marina reale e la realizzazione di una ville nouvelle. Subito a ridosso scorrono i nuovi cantieri infrastrutturali della nuova autostrada che collega Tangeri a Tanger Med e dei binari dell’alta velocità che in due ore condurranno da Casablanca a Tangeri sino a Tanger Med. Lungo la costa le opere procedono poi con la riconversione del porto di Tangeri per circa sei chilometri. 7 Il lettore può fare riferimento ai numerosi lavori di Raffaele Cattedra, César Ducruet, Sabine Planel. Planel, in particolare,
Sullo sfondo delle contraddizioni e dei paradossi del quadro politico ed economico, un’attenzione maggiore allo spessore spaziale delle politiche in atto fornisce alcune informazioni sul ruolo e il significato di questi progetti nell’era della competizione planetaria fra i territori e le loro risorse.
Il potenziamento della regione settentrionale del Marocco e il ruolo dei porti di Tangeri L’equilibrio fra la facciata atlantica e quella molto meno estesa sul Mediterraneo è stato posto fra le principali priorità del nuovo governo del Marocco. Appena insediatosi, nel 1999, il Re Mohammed VI ha dedicato la sua prima visita ufficiale alla città di Tangeri e alla sua provincia: un territorio brullo, non urbanizzato, scarsamente infrastrutturato, tradizionalmente trascurato dagli interessi dei governi precedenti, rivolti alla sequenza che sulla costa atlantica si estende da Marrakech sino a Casablanca, passando per la capitale, Rabat. Le grandi opere che da quindici anni stanno trasformando la regione settentrionale del Marocco, fanno riferimento a modelli diffusi a scala planetaria. La loro applicazione maghrebina si caratterizza soprattutto per il largo ricorso a regimi derogatori in termini pianificatori e fiscali e per l’istituzione di dimostra come la catena di Agence e Fondation in cui si segmentano oggi i processi di trasformazione dei territori marocchini agisca secondo l’importazione di una cultura di impresa che solo surrettiziamente tiene conto delle questioni strutturali di cui i luoghi e le popolazioni sono realmente portatori. Il breve articolo di Philippe Trétiak Retour de Tanger, in: “Architecture d’Aujourd’hui” n. 388, 2012, ricostruisce con agilità la tensione determinata dalle brutali trasformazioni della provincia tangerina rispetto all’immutabilità del sistema urbano, alla perdurante interclusione della Medina e al suo progressivo abbandono. Ennesima illusione che le rovine, l’incuria e la fatiscenza possano essere letti come segni di una genuinità pittoresca. È impossibile trovare un punto di vista critico sull’opera di Mohammed VI nella attuale produzione marocchina. Riguardo all’ampiezza dei suoi affari e alle implicazioni economiche personali del Re nello sviluppo del Paese, si potrà fare riferimento a Graciet, Catherine; Eric, Laurent, Le roi prédateur. Mains basse sur le Maroc, Seuil, Parigi 2012, 216 p.
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3 - Vista aerea dello stato di fatto. In primo piano la darsena del porto peschereccio e la zona franca adibita a stoccaggio delle merci (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port).
4 - Vista aerea del progetto di Norman Foster, Reichen & Robert. In primo piano i due bacini per il diporto e la zona franca convertita ad area di ricezione turistica (© SATP Société d’ Aménagement Tanger Port).
numerose zone franche, che rendono vantaggioso l’impegno economico per i numerosi investitori stranieri8, condizioni entrambe di vantaggio nella competizione con le città portuarie occidentali – e italiane in particolare - ove la congruenza complessiva e l’efficacia dei piani di rigenerazione o di nuova dotazione portuaria dipende dalla difficile sinergia fra diversi soggetti proprietari e attuatori9. Nel 2010, entrato a regime il traffico sulla prima piattaforma di Tanger Med, con i terminal 1 e 2, un decreto ministeriale10 ha posto fine alle attività di trasbordo nell’area commerciale del porto di Tangeri, portando a un totale di circa 54 ettari le aree da riconvertire. Questa tranche avrebbe proseguito una precedente fase di sviluppo delle attività turistico-portuarie (2006-2009) che aveva l’obiettivo di raggiungere un traffico di 300.000 8 I capitali esteri provengono, come si può immaginare, in parte dagli Emirati Arabi (gruppi Emaar e Qatari Diar in particolare), ma anche da molti paesi europei, fra cui la Spagna e la Francia sono i principali. 9 É sufficiente fare riferimento alle difficoltà di dialogo fra autorità portuali, società di gestione dei container, compagnie armatrici e autorità ferroviarie nel caso di Gioia Tauro. 10 Cfr. Arrêté ministériel del 15.12.2010.
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crocieristi l’anno sulle rotte passanti per lo stretto di Gibilterra. La nuova fase, che dovrebbe concludersi nel 2016, completerà la riconversione: ampliati i bacini pescherecci e della navigazione da diporto, si costruiranno una stazione crocieristica, edifici alberghieri di lusso e residence, servizi commerciali, nuovi spazi pubblici. Le linee principali dell’intero disegno sono state elaborate dall’Office d’exploitation des ports du maroc (ODEP)11. L’ODEP è fra gli interlocutori principali del Re per il rilancio della regione settentrionale del Marocco. Le previsioni per la pianificazione delle nuove infrastrutture portuarie elaborate fra il 1999 e il 2000, prefiguranti il Plan Directeur Portuaire National (PDPN), individuavano come la migliore fra le diverse possibilità di sviluppo il potenziamento della costa mediterranea del Paese, attraverso il potenziamento dei traffici portuari 11 Istituzione pubblica fondata nel 1984; a partire dall’assunzione al trono di Mohammed VI, essa ha ampliato le sue prerogative, estendendole dal controllo e incentivazione delle attività commerciali portuarie, alle proiezioni di sviluppo delle economie portuarie e alle operazioni necessarie per incrementarle.
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5 - Fotografia aerea di Tangeri. In evidenza: la Medina, il Boulevard Mohammed VI e gli interventi in atto per la riconversione del porto (© Zeila Tesoriere).
Medina esclusa
intorno a Tangeri. In questa fase, si ribadivano i limiti posti dal porto di Tangeri alla costruzione di una nuova e competitiva infrastruttura portuaria: moderata profondità dei fondali e delle aree libere per le estensioni, difficoltà di accesso, prossimità della facciata urbana e delle spiagge per la balneazione. Da qui si fissava quindi la duplice strategia oggi in atto. Un nuovo grande porto per navi portacontainer – l’odierno colossale Tanger Med – sarebbe stato realizzato lungo la costa oltre Ksar er Seghir, alle cui spalle un grande territorio era disponibile per le zone franche industriali, logistiche e terziarie di supporto. L’impianto di questa concatenazione di sistemi produttivi, infrastrutturali, di servizio, avrebbe trasformato radicalmente la linea di costa e l’entroterra, come è effettivamente successo. Inoltre, avrebbe sgravato il vecchio porto di Tangeri da tutte le attività commerciali e da una parte di quelle turistiche, per aprire la fase progettuale di riconversione.12
A partire dal 2006, l’Agence Urbaine de Tanger ha lanciato il concorso internazionale Tanger Port, per la riconversione del porto di Tangeri. I cinque progetti selezionati sono poi stati valutati dall’Agence Nationale des Ports (ANP)13, che ha premiato il progetto del gruppo composto da Norman Foster e Reichen & Robert, oggi in fase avanzata di realizzazione. Il porto è a ridosso della parte più antica della città, la Medina: 26 ettari compatti, omogenei dal punto di vista morfologico e della cronologia del costruito, circondati da mura ininterrotte lungo un perimetro di 2.200 metri. Il degrado del tessuto architettonico e sociale che si accompagna a tale perdurante interclusione interpellerebbe direttamente qualsiasi trasformazione urbana in prossimità, e a maggior ragione una grande opera che abbia l’obiettivo esplicito di legare la città al porto,
12 Cfr. ODEP Maroc, «Prévision des trafics et planification des infrastructures portuaires: Expériences en Méditerranée occidentale», 2000.
13 Gli altri partecipanti sono stati: Zaha Hadid architects; Khattabi & Dobrev; Zekri & Ragala; Jabri & Kindi; Mountassir & Collado; Iraqi & Azorine.
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6 - Masterplan, Norman Foster, Reichen & Robert. Progetto vincitore (© SATP Société d’Aménagement Tanger Port).
di costruire una dimensione urbana disponibile alla molteplicità di pratiche degli abitanti, dei turisti locali e dei crocieristi, valorizzando le diverse parti della città in ragione della loro identità storico-architettonica14. In realtà, sin dal 1998, gli indirizzi dello Schéma Directeur d’Aménagement Urbain (SDAU) di Tangeri, con i quali il bando di concorso per la riconversione del porto è coerente, tracciano una direzione differente. Il porto di Tangeri è letteralmente a ridosso della Medina, ma gli accessi alla cittadella murata restano poco numerosi, né si evidenzia l’intenzione di interpretarne la patrimonializzazione in una direzione di sviluppo, incrementando i collegamenti trasversali fra la città retrostante e il porto. Nessuna misura concreta in tal senso ha inoltre fatto seguito al successivo Plan d’Aménagement et de Sauvegarde de la Medina de Tanger. Se, infine, il recente Boulevard Mohammed VI, larga strada a quattro corsie parallela alla linea di costa, nel suo tratto lungo la parte urbana del Novecento presenta la regolare intersezione con una rete di traverse di penetrazione, in prossimità del porto e della Medina esso diventa invece un nastro privo di incroci, che isola la cittadella ancora di più e indirizza i flussi dei turisti che arrivano al porto dal lato opposto, verso la parte nuova della città. All’avvio della seconda fase dei lavori, nel 2010, è stata istituita la Société d’Aménagement du Port de Tanger (SAPT), che ha la regia delle opere e delle relazioni fra i diversi soggetti proprietari delle aree. Quest’unità d’azione agisce in deroga rispetto ai regolamenti e alle normative dei settori rispettivi e ha poteri estesi sulle politiche di negoziazione dei finanziamenti e degli utili in ritorno sulle aree. La SAPT è un interlocutore diretto di Mohammed VI: il Re ne attribuisce le posizioni apicali a figure a lui vicine15, manager formati ad una nuova competitività d’impresa, che hanno orchestrato un quadro che ha già realizzato più del 70% delle opere, da completare nel 2016. A partire dal 2006, lo spostamento del porto peschereccio dall’attuale insenatura centrale adia14 Cfr. http://www.sapt.ma/index.php/fr/le-projet/ses-objectifs. Per il Plan d’Aménagement et de Sauvegarde de la Medina de Tanger, vedi: http://www.aut.gov.ma/PAGE%20DETAILS/ MEDINA%20DE%20TANGER.html 15 Abdelouafi Laftit dal 2010 al 2014; dal 2014 a oggi Mohamed Ouanaya.
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cente ai cantieri navali del diporto, al di là della darsena principale verso ovest, ha separato le attività produttive di Tanger Port da quelle turistiche, spostando al di fuori della costruenda zona loro dedicata il traffico veicolare generato dall’avvio del pescato alla vendita. L’interramento di un esteso braccio di mare ha permesso la costruzione di 12 ettari di nuovi terrapieni, che racchiudono un nuovo bacino di 11 ettari. La connessione con il resto del porto è una nuova piazza, ai piedi delle mura della Medina, su cui sarà costruita una Moschea di 2.000 m². Le aree del vecchio porto peschereccio così liberate si sono aggiunte alla nuova dotazione per il diporto, per cui è stato costruito un ulteriore bacino, delimitato da una nuova diga di separazione contigua alla spiaggia, verso est. Il settore su cui però sono attese le trasformazioni principali, la cui riuscita e il cui indotto sono gli obiettivi maggiori del progetto, sono il potenziamento del porto turistico per le navi da crociera e la nuova dotazione alberghiera di lusso (5 e 4 stelle; residence). Quest’ultima, in particolare, strategicamente impiantata sull’unica zona franca dei complessivi 54 ettari su terraferma, è la porzione più redditizia dell’operazione. Qui la SAPT ha posto la massima attenzione nell’attrazione di capitali esteri e nell’individuazione dei benefici previsti per gli investitori, dedicando all’elaborazione degli accordi finanziari un tempo molto più esteso di quello riservato al progetto delle opere e alla loro effettiva costruzione16. Il sistema degli spazi pubblici, ripartiti fra nuove piazze a cerniera fra i diversi settori e lunghe promenade alberate, completa il complesso, insieme alla costruzione di alcuni edifici culturali e turistici: un museo, un polo congressuale con sale multiplex da proiezione, un polo per il commercio di lusso. Paradossalmente, il tema della connessione fra il porto e la parte antica della città viene affrontato attraverso la disposizione di una teleferica, la prima del Marocco, che con 90 cabine per tratta e un traffico di 2.800 viaggiatori per direzione, ha disposto una delle sue quattro fermate alla Kasba, facendo transitare i passeggeri dall’alto sulla Medina. Il ruolo dell’architettura, in quest’articolata composizione, appare ridotto. Il progetto di Norman Foster, Reichen & Robert segue le linee fornite dall’Agence Urbaine de Tanger in occasione del concorso, senza proporre variazioni o integrazioni. Al di là di una generica definizione delle volumetrie degli edifici per la ricezione turistica, gli elaborati concorsuali mostrano un limitato approfondimento dell’indagine architettonica. Nella disposizione dei circa 30 ettari di spazi pubblici, il progetto di alcune delle piazze mostra una conoscenza relativa del carattere dei luoghi da parte dei progettisti. La Place du Large, per esempio, alla testa dell’ex molo commerciale, fra gli attuali bacini da diporto e l’attracco delle navi da crociera, è predisposta come una spianata di 5 ettari fornita di una rada vegetazione e in contatto diretto con l’acqua. L’ampiezza, l’affaccio sul mare e la poca protezione dal sole si coniugano male con il soleggiamento dei mesi più caldi e con le brusche raffiche di vento, regolari nel porto di Tangeri, che arrivano anche a 100 km\h. 16 Gli accordi sono stati elaborati fra il 2009 e il 2013. Si sono conclusi a favore del gruppo Eagle Hills, società degli Emirati Arabi con sede ad Abu Dhabi, incaricata della costruzione di due hotel di lusso e di un gruppo di residence per un investimento di 4 miliardi di Dirhams.
TRASPORTI & CULTURA N.41 Il rapporto con la Medina, ancora, è orientato ad una semplicistica assimilazione dei suoi valori pittoreschi, profittando del restauro della superficie esterna delle mura, utilizzate come fondale compositivo nella disposizione di alcune delle piazze. Poche indicazioni sono disponibili sugli edifici, infine, i cui render presentano facciate in vetro alternate ad altre componenti metalliche. E’ l’ennesima ammiccante allusione all’high tech, invocata per confondere l’omologazione caricaturale ad un refrain generico con una reale proposta progettuale che elabori una risposta contemporanea all’aggiornamento delle identità linguistiche dell’architettura locale, rispetto alle caratteristiche climatiche e culturali dei luoghi, in accordo con le tecnologie e i contenuti di cui i progetti sono portatori.
Conclusioni É proprio intendendo l’architettura come mediatrice fra gli obiettivi economico-politici ed i bisogni e i valori espressi da una comunità e dai suoi luoghi, che si possono esprimere delle conclusioni. Riguardare Tanger Port da Tanger Med chiarisce che il progetto ha una dimensione urbana diversa da quella che appare. Esso deve essere letto nella grande serie di trasformazioni che si estende fra i due porti, dalla linea di costa verso l’interno sino alle pendici del massiccio montuoso del Rif. Malgrado la collocazione urbana e prossima alla sua parte più antica della città , infatti, la riconversione del waterfront di Tanger Port non si pone nella prosecuzione di quelle sperimentazioni che, pur con i limiti di ciascun progetto e colte in una sintesi schematica, indagano da almeno una cinquantina d’anni le potenzialità di integrazione fra le forme del porto e quelle della città. In questo senso, l’introduzione progressivamente sempre più rappresentativa di attività di svago, tempo libero, culturali, chiarisce la volontà di molte città contemporanee di rigenerare le proprie aree pericentrali limitandone la privatizzazione. A Tanger Port, invece, l’appetibilità fondiaria è una condizione cui le linee complessive di sviluppo urbano danno credito sin dall’inizio. Tanger Port è un progetto rivolto verso l’esterno tanto in senso letterale, data la sua architettura che crea separazioni con la città retrostante, e in particolare con la Medina, quanto in senso traslato. L’ingresso massiccio di capitali stranieri per la trasformazione delle aree innesca processi economici ormai noti, i cui benefici sui circuiti economici locali di scala più bassa, locali, sono limitati. Da questo punto di vista, Tanger Port si inscrive a sua volta in una tendenza globale, in via di standardizzazione, che riguarda città portuali con aree comparabili, come succede a Casablanca con il progetto Casa Marina, o a Haidar Pasha, il vecchio porto per cargo e container di Istanbul, che sta per liberarsi delle sue funzioni originarie, presto trasferite al porto di Ambarli, e che ha già destinato le aree a un progetto di riconversione in cui la facciata marittima urbana sarà investita da funzioni alberghiere e residenziali di lusso. La stessa procedura ha già avuto luogo nell’antico porto industriale di Istanbul, per il quale è stato lanciato un concorso internazionale, vinto da Zaha Hadid Architects. Si tratta di città con economie in rapida crescita e sistemi di governo autoritari o monarchici che incoraggiano l’ingresso di finanziatori stranieri con un’elevata frammentazione dei processi
attuativi, associando la proliferazione di zone franche all’istituzione di procedimenti derogatori rispetto ai soggetti proprietari e decisori sulle aree. Tali aree, inoltre, rispetto ad altre analoghe di collocazione europea o in genere occidentale, sono libere dalle stigmate della lunga permanenza industriale sui siti. Il loro suolo, sottosuolo e acqua non particolarmente contaminati offrono una via breve alla trasformazione in aree residenziali e turistiche di lusso. Accanto a questo, che appare il contributo principale di Tanger Port alla circolazione dei modelli e delle idee in un quadro comparativo ampio che indirizza e qualifica i progetti, si delinea un altro elemento che riguarda il tema dell’innovazione in progetti di questo tipo. Le infrastrutture sono sempre elementi relativi di insiemi più grandi e interconnessi. Costruire una nuova dotazione nazionale significa inserire un elemento elaborato in un contesto geograficamente e culturalmente situato in un’articolazione globale, con gli altri componenti della quale la singola infrastruttura deve essere in grado di interagire, ma oggi soprattutto di competere. Entro questi limiti, le innovazioni degli impianti non possono che manifestarsi gradualmente, e mantenendo comunque nello stesso artefatto un livello di conformità al modello prevalente che consenta un efficace inserimento di quell’esempio nella rete. Le operazioni in corso fra Tanger Ville e Tanger Med confermano che le innovazioni nel progetto sono l’esito di processi complessi, in cui influiscono moltissimo politiche di governo nettamente orientate, le ricerche correlate e la disponibilità dei paesi a investire nella sperimentazione, nella formazione, nel know-how. Da questo punto di vista, l’attenzione rivolta dai vecchi porti urbani occidentali ai temi della loro autonomia energetica e sostenibilità appare oggi uno degli elementi di cambiamento principale nelle operazioni di riconversione. L’applicazione del modello dell’urban waterfront renewal a Tangeri, attraverso il disequilibrio creato da un disegno urbano che perdura nella separazione spaziale delle pratiche e dei livelli economici e sociali dei gruppi destinatari, appare piuttosto involutivo, ricordando inoltre le strategie di pianificazione del periodo del protettorato che si mossero in direzioni analoghe nel caso di Casablanca. Le infrastrutture sono generatrici di immaginari che funzionano al livello delle comunicazioni simboliche. Da questo punto di vista, gli interventi di Tanger Port esprimono con chiarezza l’idea di futuro che li ha generati, in relazione all’uomo che abita questi spazi e agli orizzonti della sua società. Riproduzione riservata ©
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Dinamiche sull’Oceano Indiano: trasformazioni sull’interfaccia città/porto di Annick Miquel
Molte città portuali manifestano oggi il desiderio e la volontà di conservare o di riqualificare il loro fronte d’acqua. Con il trasferimento delle attività verso altri siti in acque profonde, gli antichi bacini portuali hanno perso del tutto o in parte la loro funzione. Questa deindustrializzazione del “vecchio” porto, insieme all’abbanono delle banchine, porta con sé l’obsolescenza e il decadimento dei quartieri adiacenti. Cosa fare allora di questi spazi dismessi dall’immagine a volte degradata, prossimi al centro della città? Se questo interrogativo si è posto una cinquantina di anni fa negli Stati Uniti, è più recente per quanto riguarda le città portuali della zona sud-ovest dell’Oceano Indiano, dove Città del Capo (Sud Africa) ha aperto la strada ad una nuova “unione” del porto e della città, all’inizio degli anni ‘90.
Migliorare l’immagine della città portuale attraverso il waterfront A partire dagli anni ‘50, le principali città portuali degli Stati Uniti (Boston, Baltimora, San Francisco ecc.) hanno avviato un processo di ricomposizione degli antichi spazi portuali in ambito urbano. Il carattere attrattivo del margine marittimo tipico del “waterfront” viene utilizzato in questo caso per perseguire una rivalutazione dei suoli e attrarre programmi immobiliari sfruttando la localizzazione sul bordo d’acqua (uffici, negozi, attività turistiche, residenze di lusso ecc.). A partire da questa riconversione e dall’apertura verso l’acqua, l’obiettivo è quello di rivitalizzare i centri cittadini, valorizzare l’immagine propria della città portuale e offrire attività in grado di attrarre nuovi flussi. Questo movimento definito waterfront redevelopment si è progressivamente diffuso nel Nord America, e successivamente in tutto il mondo, dove viene considerato come un modello efficace per la valorizzazione degli antichi ambiti portuali situati nel cuore delle città. Tale fenomeno è ben osservabile nella zona sudovest dell’Oceano Indiano, dove i primi progetti di riqualificazione del waterfront sono stati avviati negli anni ‘90 (Victoria & Alfred Waterfront a Città del Capo in Sud Africa, completato nel 1992; o Caudan Waterfront a Port Louis - Mauritius, completato nel 1996). Se i fenomeni di riqualificazione dei waterfront e degli ambiti urbano-portuali tendono a diffondersi, il modello di governance delle operazioni, le ambizioni, le forme di cooperazione e l’autono-
The dynamics in the Indian Ocean: transformation at the interface between city and port by Annick Miquel Many port cities are currently demonstrating the will and the desire to preserve or to regenerate their waterfront. As activities are being transferred to other sites in deeper waters, the ancient port basins have lost all or part of their functions. This deindustrialization of the “old” port, with its abandoned wharves, leads to the obsolescence and decline of the adjacent districts. What may therefore be done with these abandoned spaces, which sometimes appear derelict, and are adjacent to the city centres? While this issue was being addressed fifty years ago in the United States, it is a far more recent concern in regional port cities of the south-western Indian Ocean, where Capetown (South Africa) paved the way for a new “union” between port and city in the early 1990s. While the regeneration of waterfronts and urban-port spaces is a growing trend, the governance of the operations, the ambitions, the forms of cooperation and the independence of the actors involved, as well as the effects on the territory, highlight a variety of situations. The purpose of the article is to describe the various dynamics currently taking place in the southwestern Indian Ocean, in terms of projects and considerations focusing on the transformation of the interface between city and port. To this end, 10 port areas in 6 different countries were examined throughout the year 2014, revealing a total of 17 different waterfront -planning projects.
Nella pagina a fianco: una veduta di Città del Capo. Sullo sfondo il Victoria & Alfred Waterfront (© AIVP).
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1 - Localizzazione geografica delle 10 aree portuali osservate (fonte: DIVA-GIS; elaborazione: OVPOI, 2014). 2 - Elenco dei progetti di waterfront osservati (fonte: OVPOI).
mia degli attori coinvolti, nonché gli effetti sul territorio mostrano tuttavia una varietà di situazioni. Questo studio ha la finalità di descrivere le diverse dinamiche in atto nel sud-ovest dell’Oceano Indiano, in termini di progetti e di effetti legati alla trasformazione dell’interfaccia città/porto. A tal fine, nel corso del 2014, sono state prese in esame 10 aree portuali, dislocate in 6 diversi paesi, individuando complessivamente 17 progetti che riguardano lo sviluppo del waterfront.
Progetti ed effetti osservati in 10 ambiti portuali dell’Oceano Indiano Le città portuali del sud-ovest dell’Oceano Indiano sono impegnate in una riflessione in questo senso, e alcune realizzazioni orientate alla trasformazione dei waterfront hanno già preso forma. Al di là delle differenze spaziali in termini di sviluppo, della dimensione delle città o dell’importanza e della struttura dei traffici portuali, nessuna di queste città portuali si trova nella stessa situazione, tuttavia le sfide sono condivise e le problematiche comuni. Allo stesso modo, in tutto il mondo, una cosa è certa: il dialogo tra la città e il porto costituisce uno degli aspetti essenziali per poter garantire il successo di un’operazione di sviluppo locale sull’interfaccia città/porto. Ogni ambito portuale può ottimizzare il suo progetto alla luce dei risultati ottenuti da altri, in primo luogo facendo riferimento ai suoi “vicini più prossimi” che operano in un contesto relativamente simile. La presente visione prospettica ha la finalità di proporre al lettore alcune chiavi per decifrare le questioni inerenti i waterfront a livello regionale. L’esercizio è piuttosto complesso di fronte alla diversità delle strategie regionali su interfacce spesso in conflitto. Questo confronto in parallelo viene utilizzato principalmente per esplorare città 94
portuali con politiche di rigenerazione differenziata e allo stesso tempo per portare avanti l’azione di ognuna. Al di là della dimensione o della vocazione delle operazioni di riconversione, questo approccio a livello regionale ha il grande merito di riconciliare porto e città in una logica di comune adattamento alle realtà locali. Il Victoria & Alfred Waterfront di Città del Capo: una logica di sviluppo “liberale”, un luogo di qualità per lo shopping e il tempo libero in un contesto “autentico” All’origine del processo di riconversione portuale, l’impulso è stato dato principalmente da SATS/ Transnet che ha avviato il finanziamento del progetto prima di rivendere l’operazione. In questo caso l’intervento pubblico ha fatto da leva per lo sviluppo privato, essendo quest’ultimo, del resto, facilitato da una gestione territoriale unica. Una strategia comune città/porto comincia quindi ad essere attuata per permettere una migliore integrazione del sito con il centro urbano. Accogliendo 23 milioni di visitatori l’anno, il V&A Waterfront si attesta oggi come la prima destinazione turistica dell’Africa del Sud. Percepito da alcuni come “artificiale”, potrebbe essere descritto come una “trappola per turisti”. In quanto “tempio” dello shopping e del divertimento, potrebbe essere considerato come un “prodotto”, dovendo adattarsi alle esigenze e alle dinamiche del mercato. Tuttavia questo significherebbe dimenticare che se l’operazione è la risposta ad un ampio studio di mercato, è fortemente supportata anche dalla Municipalità e dagli abitanti di Città del Capo che desiderano recuperare l’accessibilità al loro fronte d’acqua. L’ambito portuale di Port Elizabeth pronto ad accogliere il suo waterfront: tra interessi nazionali, provinciali e locali Il progetto di riqualificazione del waterfront di Port Elizabeth si inscrive nella politica nazionale sud-africana in materia di riconversione portuale,
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3 - Studio dello sviluppo complessivo dei fronti d’acqua delle città portuali del sud-ovest dell’Oceano Indiano (elaborazione: OVPOI).
che ha la finalità di promuovere il settore turistico conservando un’attività portuale efficiente. Alcuni consorzi sono in corsa per proporre e mettere a punto scenari di riqualificazione. La loro formalizzazione è stata tendenzialmente rallentata, in particolare con il fine di poter applicare la politica nazionale di Transnet NPA (National Ports Authority). Per un decennio, gli attori del progetto sono stati frenati dalla mancanza di una visione sulle scelte di uso del suolo, essendo tra l’altro questa scarsa chiarezza amplificata da problematiche giuridiche tra Transnet NPA e Southern Port Development. Infine, grazie all’attivismo della Camera del Commercio e dell’Industria di Nelson Mandela Bay, che ha incoraggiato un approccio collaborativo capace di coinvolgere le diverse parti interessate, gli obiettivi di riqualificazione del waterfront sono stati formalizzati. In definitiva il sito dovrebbe servire allo stesso tempo la strategia di sviluppo del porto (divenire il primo porto sud-africano per vetture) e quella della Municipalità di Port Elizabeth, che punta su ricadute economiche sostanziali. Durban, una riqualificazione del fronte marittimo possibile attraverso la formalizzazione di una strategia comune città/porto L’ambito portuale di Durban ha avviato alcuni programmi di sviluppo su due siti del waterfront. Uno è situato presso il quartiere storico di Point, un ambito di difficile gestione, essendo geograficamen-
te stretto tra il mare da un lato e il terminal delle auto dall’altro. Il secondo, divenuto oggetto di un intervento di rigenerazione urbana con fini principalmente residenziali, si estende lungo il Victoria Embankment, dove accoglie come noto il Wilson’s Wharf, proponendo spazi commerciali e culturali. Il processo di pianificazione condiviso TEMPI (Transnet Ethekwini Municipality Planning Initiative) ha permesso alla Municipalità di Durban di valorizzare i fronti d’acqua urbani con la garanzia che il porto trasferirà progressivamente una parte delle sue attività, in modo da rendere disponibili i suoli e ridurre l’inquinamento. Forte di questo clima di concertazione, al fine di stimolare lo sviluppo dell’area di Point Waterfront, la Municipalità ha avviato il progetto del parco acquatico Ushaka Marine World, che ha avuto un effetto leva per la realizzazione di una prestigiosa operazione di promozione immobiliare nota in tutto il Sud Africa. Pertanto questa iniziativa di rinnovamento urbano può essere vista come “un progetto vasto e concertato in cui i promotori privati e le istituzioni pubbliche risultano uniti”. Parallelamente, per quanto riguarda il Victoria Embankment Waterfront, la Municipalità, Transnet NPA e alcuni attori privati hanno avanzato la proposta di un partenariato per la risistemazione del sito, integrando le attività ricreative con quelle legate all’attività portuale. I due siti del waterfront di Durban, pur essendo geograficamente separati, rientrano comunque in una stessa strategia: divenire il “V&A Waterfront di Durban”. 95
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4 - Il waterfront di Città del Capo, Africa del Sud (© OVPOI).
5 - Il Caudan Waterfront, Port Louis, Mauritius (© OVPOI).
Due operazioni di riqualificazione urbana a Monbasa incentrate sulla tutela e sulla valorizzazione dell’esistente Il programma di sviluppo è orientato allo stesso tempo verso le esigenze della popolazione locale (creazione di posti di lavoro, miglioramento degli spazi pubblici ecc.) e verso quelle dei turisti. Gli interventi sembrano già portare i loro frutti per quanto riguarda il vecchio porto. Per contro, l’altro waterfront, situato presso il popolare parco di Mama Ngina Drive, resta ancora da valorizzare. La classificazione come area protetta, così come il risanamento, hanno prodotto un certo dinamismo nella città storica. La ristrutturazione della Leven House, i cui cantieri sono stati completati nel 2008, ha permesso di ritrovare la sua funzionalità grazie a numerose attività che si svolgono in questo complesso e nei pressi dello stesso. Questo duplice intervento di tutela/valorizzazione è sostenuto principalmente dal governo attraverso i Musées Nationaux du Kenya ma supportato da numerosi attori (investitori, Ambasciata di Francia, KPA - Kenya Port Authority, comunità locale ecc.). Pur avendo coinvolto già numerosi partner, occorre constatare che una strategia città/porto condivisa non è ancora stata formalizzata. I progetti futuri, come quello del terminal crocieristico mutifunzionale, insieme all’attuale possibilità messa in campo dal Kenya di realizzare dei “partenariati pubblico-privati”, potrebbero costituire una concreta opportunità, in particolare per consentire di formalizzare un approccio integrato allo sviluppo turistico dell’intero sud dell’isola di Mombasa. Il waterfront di Tamatave beneficia del supporto di una forma di collaborazione città/porto unica nel Madagascar Il progetto complessivo, elaborato da uno studio di architetti del Madascar, propone la riorganizzazione e la valorizzazione dell’esistente in risposta ad una situazione preoccupante (strada litoranea distrutta, carenza di igiene degli spazi commerciali, edifici e patrimonio architettonico del fronte d’acqua in degrado ecc.). Promosso dalla Commune Urbaine de Toamasina, con il CDVT (Comité de Developpement de la Ville de Tamatave) e la SPAT (Société du Port à Gestion Autonome de Toamasina), e in parte sostenuto dalla collettività, il progetto risponde ad alcune problematiche sociali e culturali (attraverso il miglioramento degli spazi pubblici o la creazione di posti di lavoro) ed è rivolto sia alla popolazione locale che ai turisti. Parallelamente, l’ambito portuale di Taomasina cerca di superare un’altra sfida al fine di elaborare rapidamente alcuni documenti di pianificazione e programmazione, destinati a generare inoltre un clima di fiducia in grado di suscitare l’interesse di eventuali investitori. Questa missione, che coinvolge il Governo e la Commune Urbaine de Toamasina, può allo stesso tempo contare oggi su una struttura di collaborazione città/porto unica in Madagascar: il CDVT. La potenziale ricomposizione del fronte urbano-portuale di Diego-Suarez L’interfaccia città/porto identificata risulta poco accessibile per la popolazione locale, a causa della presenza di infrastrutture portuali e di hotel che privatizzano l’accesso al fronte mare. Per ottimizzare la riqualificazione del suo waterfront, l’ambito portuale di Diego-Suarez dovrà misurarsi con differenti condizioni. In effetti, alla scarsa disponibili-
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tà di risorse finanziarie e alla mancanza di un controllo sul territorio si aggiunge un porto che, fino a quando non sarà autonomo, difficilmente potrà integrare la sua strategia nell’ambito di una dinamica locale. Si rileva comunque una forma di dialogo città/porto per quanto riguarda l’attività crocieristica, in forte crescita. La strategia di sviluppo è destinata a concentrarsi inoltre verso la valorizzazione dell’Anse de Melleville, e verso la volontà di incrementare l’offerta culturale e ricreativa. Inoltre,
TRASPORTI & CULTURA N.41 Port-Louis: un waterfront ricco di progetti, riqualificato dal settore privato e riorganizzato dal Governo La riconversione del waterfront di Port-Louis, pur essendo principalmente gestita dal settore privato è stata caratterizzata da una forma di partecipazione attiva del Governo. Autorizzato da quest’ultimo, lo sviluppo complessivo si inscrive in una logica di working waterfront orientata verso il turismo, nel rispetto comunque della strategia di sviluppo delle attività portuali. Detto questo, la presenza di numerosi portatori di interesse del progetto ha reso ulteriormente complessi gli orientamenti per la riqualificazione, in quanto la pluralità di attori ha generato una serie di proposte necessariamente ridondanti. Questa questione è attualmente centrale a PortLouis, dove per di più occorre prendere in considerazione la recente proliferazione di centri commerciali sull’isola, entrati in concorrenza con l’offerta commerciale presente sul waterfront. Se il Governo gioca un ruolo importante nella riqualificazione del fronte d’acqua, la Municipalità ha tutto da guadagnare, affermando inoltre in modo chiaro la sua missione in quanto ente pianificatore della città e sostenitore di politiche ambiziose (per divenire la prima città “a zero emissioni di anidride carbonica” dell’Africa). In questo senso la città potrebbe avere un grande interesse a formalizzare una strategia comune con il suo porto, che permetta inoltre di rispondere in modo coordinato, e quindi sostenibile, alle numerose problematiche future. Alcune riflessioni in corso per valorizzare il potenziale naturale del waterfront di Mamoudzou Il territorio di Mahorais si estende tra le due isole di Petite Terre e di Grande Terre. Quest’ultima ospita l’ambito portuale di Mamoudzou, città che ha sostituito nel 1987 Dzaoudzi come capitale del territorio. Un servizio di imbarcazioni collega la Petite Terre, dove si trova l’aeroporto, e la Grande Terre, sede di gran parte della vita economica. Con oltre 4 milioni di passeggeri l’anno, questo collegamento di 2,6 km è una delle linee marittime più frequentate in Francia. Nel 1992, è stato costruito un nuovo porto a Longoni, a nord della Grande Terre, che svolge tutte le funzioni di un porto commerciale. La strategia di sviluppo del waterfront di Mamoudzou prende forma da un progetto misto a duplice obiettivo. Si colloca presso la stazione marittima e il porto nautico, e mostra la volontà di risolvere i disfunzionamenti operativi e urbani, ricomponendo il sistema viario e migliorando la ricettività turistica.
l’interfaccia città/porto attuale potrebbe conoscere una profonda trasformazione nei prossimi anni attraverso il progetto di creazione dell’hub di Andrakaka, che implicherebbe una delocalizzazione del porto attuale verso la penisola. In quanto agli effetti della trasformazione del fronte marittimo della città, questo progetto dovrà implicare, in rapporto all’estensione dei mutamenti previsti, un vero dialogo tra la città e il porto, essendo quest’ultimo in via di divenire autonomo.
Il fronte mare di Maputo rivisitato dal progetto di riqualificazione del quartiere della città bassa La municipalità di Maputo, attraverso un piano di ristrutturazione delle infrastrutture, distribuito su un arco temporale di dieci anni e conosciuto come ProMaputo, ha avviato una processo di riqualificazione della città nel suo complesso e in particolare del suo centro storico: il quartiere della città bassa. La riqualificazione del waterfront di Maputo si inserisce in questo progetto complessivo, in cui avrà un ruolo importante una programmazione mista, caratterizzata per il 70% da abitazioni (per partecipare allo sviluppo residenziale della città bassa storica che perde progressivamente il suo dinamismo economico e demografico) e per il 30% dal commercio in stretta connessione con il settore del turismo. Questo sviluppo turistico si appoggerà sull’attività del terminal crociere e su un ap97
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6 - Interfaccia città/porto a Port Elizabeth, Africa del Sud (fonte: Google, CNES/ Astrium; elaborazione: OVPOI, 2014).
proccio orientato alla valorizzazione del patrimonio storico di tutta la città bassa. L’articolazione operativa e finanziaria di questa iniziativa dovrà essere oggetto di partenariati pubblico-privati, un sistema divenuto oggi frequente a Maputo. Infine, nonostante il progetto di riqualificazione della città bassa coinvolga direttamente l’interfaccia città/porto come il porto commerciale stesso, una strategia comune per le due entità, pur essendo attualmente prevista in via teorica, non è ancora stata formalizzata. Le Port: un progetto di riqualificazione locale che si caratterizza per coerenza e durata Caratterizzato da una continuità politica nell’ambito della Municipalità, il progetto complessivo, risalente al 1971 e concluso nel 2014, riflette il carattere visionario dello stesso, in un momento in cui numerose città portuali sono alle prese con problematiche di riconquista dei loro fronti d’acqua. Il progetto è sostenuto dalle autorità pubbliche attraverso uno sviluppatore specializzato. Se l’equilibrio finanziario dell’operazione è difficile da perseguire, di fatto per l’importanza degli spazi pubblici integrati nel programma, la Municipalità punta sulle ripercussioni economiche di questa operazione, nel medio e lungo periodo, correlate all’affluenza turistica e alla crescente attrattività del centro urbano. La Municipalità e l’Autorità Portuale hanno posto inoltre una serie di condizioni da parte loro, attraverso la formalizzazione 98
di istanze di dialogo, in particolare per una riqualificazione del fronte mare che possa agire come polo di attrazione, tanto per la città che per il porto, entrambi riuniti e orientati verso una stessa finalità di sviluppo.
Un’analisi incrociata dei progetti legati alla trasformazione dei waterfront sull’interfaccia città/porto Uno sguardo alla natura dei progetti permette di apprezzare come, sull’interfaccia città/porto, gli interventi mettano in gioco l’entità “città” e l’entità “porto”. La natura duplice o triplice dei programmi di sviluppo per “ripensare” complessivamente la struttura del territorio portuale L’analisi mostra che la metà dei progetti osservati nel sud-ovest della zona dell’Oceano Indiano è interessata da un processo di riconversione che porta alla trasformazione funzionale del sito portuale. È il caso, ad esempio, dei progetti di sviluppo situati a Port-Louis (Mauritius), Port-Louis waterfront e Caudan waterfront, dove gli antichi magazzini sottoutilizzati hanno lasciato il posto ad attività commerciali e turistiche. In questo senso la città
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7 - I due waterfront di Durban, Africa del Sud (fonte: digitalglobe 2014, Geoeye 2014; elaborazione: OVPOI, 2014).
ha la meglio sul porto, estendendo il territorio urbano sull’ambito portuale storico, aspetto che rileva d’altra parte gli sforzi da parte dell’Autorità Portuale in termini di cessione di superfici. Queste operazioni di riqualificazione rappresentano pertanto una reale opportunità per la città portuale di ripensare complessivamente l’organizzazione del suo territorio. Parallelamente, al di là della natura dominante di questi programmi, è importante precisare alcune sfumature, in quanto questa natura può a volte essere duplice o triplice. È il caso per esempio del progetto situato a Mamoudzou (Mayotte/France), che integra allo stesso tempo una volontà di riqualificazione urbana e un approccio al rinnovamento portuale, attraverso la riorganizzazione del sistema viario e della ricettività presso la stazione marittima del fronte mare, nonché mediante la de-
localizzazione del porto nautico. Allo stesso modo, a Port Elizabeth (Africa del Sud), il progetto esistente è misto, con un obiettivo di riqualificazione del waterfront che implicherà allo stesso tempo una riconversione portuale, successiva alla delocalizzazione delle attività, così come una gestione dei territori, oggi lasciati all’abbandono, situati in prossimità dell’attuale Yacht Club. Una zona dell’Oceano Indiano dinamica ma eterogenea Lo stato di fatto delle operazioni di riconquista dei fronti d’acqua nei 10 ambiti portuali del grande bacino occidentale dell’Oceano Indiano, esteso alla Città del Capo, rivela che alcune sono ancora ad uno stadio di progetto, altre accolgono già una moltitudine di visitatori, mentre altre ancora sono ridisegnate senza sosta da fasi successive 99
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8 - Interfaccia città/porto a Mombasa, Kenya (fonte: digitalglobe 2014, Geoeye 2014; elaborazione: OVPOI, 2014).
9 - Caratteristiche dei progetti di sviluppo del waterfont osservati (elaborazione: OVPOI).
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di espansione. Risulta che ognuna delle entità regionali studiate, al di là delle strategie di riconquista, ripensi il rapporto città/porto. Non esiste un modello unico ma una serie di situazioni, sia per quanto riguarda le superficie interessate che in termini di strumenti e metodi utilizzati, sia nei rapporti tra la città e il porto che nella proposta e nei contenuti della riqualificazione. Tra i progetti realizzati, si può notare a titolo di esempio che in Sud Africa, 13 anni separano l’inizio dei lavori eseguiti sul V&A Waterfront (Città del Capo), che hanno avuto inizio nel 1990, da quelli avviati a Point (Durban) nel 2013, dove la realizzazione del parco acquatico Ushaka Marine World ha
innescato un’operazione di rinnovamento urbano di 55 ettari situati nel cuore di questo quartiere storico. Inoltre, considerando le dinamiche di progetto in corso, si può citare per esempio l’iniziativa intrapresa a Tamatave (Madagascar), dove gli interventi di riqualificazione del waterfront hanno avuto inizio a partire dal ripristino della strada litoranea, e successivamente a seguito della progressiva riorganizzazione dell’attività economica, in particolare grazie alla creazione di prototipi di chioschi e ad una proposta di valorizzazione del fronte mare lungo 500 metri lineari. La zona dell’Oceano Indiano conta infine altri progetti la cui realizzazione è più lontana, come per
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10 - Analisi incrociata delle caratteristiche dei progetti di riqualificazione dei waterfront (© OVPOI).
esempio il noto progetto di Maputo (Mozambico), che riguarda il risanamento del quartiere della città bassa e del porto pescherecci, e per il quale una seconda presentazione pubblica ha avuto luogo recentemente nel luglio del 2014. Un esempio di buona pratica. La formalizzazione di una strategia comune per coniugare le differenze tra logiche di sviluppo L’analisi dei progetti della zona dell’Oceano Indiano non può ignorare il fatto che l’insieme delle iniziative di riqualificazione del waterfront osservate ha come elemento comune la presenza di un porto ancora in attività, che obbliga di conseguenza ognuno di questi progetti ad essere pensato in funzione di una duplice sfida: quella di poter coniugare le logiche e le ambizioni di sviluppo della città con quelle del suo porto. Di fronte alla pluralità di attori, le cui logiche di sviluppo sono differenti (logiche pubbliche, logiche private dei promotori, logiche di sviluppo portuale, logiche di sviluppo della città ecc.). e che esercitano ciascuno una pressione decisionale, si pone legittimamente la questione dell’esistenza di una strategia comune per rispondere a tali logiche a volte contrastanti. Questo è uno degli indicatori che si è tentato di identificare.
Conclusioni Se tra i progetti ad oggi realizzati, le operazioni per lo sviluppo del waterfront di tipo “liberale” risultano diffuse, restano per il momento limitate a due paesi (Sud Africa e Mauritius). Tali operazioni hanno contribuito allo sviluppo di luoghi divenuti attrattivi. Si tratta di siti a volte di notevoli dimensioni che, pur avendo raggiunto la loro riconversione, devono rimanere proattivi per affrontare nuove sfide, come quella di migliorare la loro interazione
urbana o sociale con i quartieri limitrofi. Esiste tuttavia un’alternativa a tale modello “liberale”, in cui altri modelli di sviluppo del waterfront permettono di coniugare la creazione di un luogo affascinante per i turisti e per la popolazione locale. In questo senso, la zona dell’Oceano Indiano è ricca di iniziative che sono state messe in evidenza nello studio condotto dall’Observatoire Villes Ports Océan Indien1. Infatti, se le logiche di sviluppo sono differenti da un ambito portuale, o da un progetto, all’altro, la dimensione turistica costituisce un denominatore comune. Questa strategia basata sullo sviluppo del turismo urbano risulta chiaramente evidente in 6 aree portuali oggetto dello studio (Port Louis, Durban, Città del Capo, Port Elizabeth, Tamatave e Mombasa), tutti progetti misti. Questa constatazione solleva di conseguenza la questione del potenziale turistico delle città portuali e della loro identità, sapendo che sono costruite su territori in cui la forte eredità patrimoniale può essere valorizzata, e questo in particolare nella zona dell’Oceano Indiano2. Riproduzione riservata © Traduzione dal francese a cura di Oriana Giovinazzi
1 Creato nel 2009, l’Observatoire Villes Ports de l’Océan Indien ha come obiettivo principale il consolidamento a scala regionale di una strategia locale per quanto riguarda i progetti di sviluppo delle città portuali e dei porti. L’osservatorio riunisce porti, città, aziende private o enti pubblici, accomunati dalla stessa volontà di migliorare il dialogo tra le città e i porti, promuovere gli scambi di esperienze tra ambiti portual e la diffusione di conoscenza per rendere migliore lo sviluppo futuro (http://www.indianocean-aivp.org; info@io-aivp.org). 2 Per ulteriori dettagli consultare la versione completa dello studio: Etude des aménagements globaux des fronts de mer dans les villes portuaires du sud-ouest de l’océan, 228p, OVPOI, Décembre 2014.
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La relazione fra città e porto in Asia di Yves Boquet
Molte città a livello internazionale stanno vivendo oggi una trasformazione radicale dei loro fronti d’acqua. Le evoluzioni tecnologiche del trasporto marittimo stanno generando un cambiamento di scala dei porti e una dissociazione spaziale tra funzione portuale/logistica e tessuto urbano. Punti di riferimento per le potenze coloniali, numerose città portuali asiatiche sono nate dalla colonizzazione e dagli scambi commerciali. Esse figurano oggi tra i principali porti del mondo, in una regione caratterizzata da tassi di crescita molto alti e dove la densità della popolazione urbana è di gran lunga più elevata rispetto a quella dei paesi “occidentali”. L’obsolescenza delle vecchie infrastrutture lascia il posto ad una triplice dinamica, di espansione spaziale dei porti, di rinnovamento degli antichi ambiti portuali e di multifunzionalità. La sfida è quella di passare da una logica portuale ad una logica urbana (Chen, 2009; Chang e Huang, 2010): come ridare vita a waterfront obsoleti e a quartieri in via di degrado, creando spazi urbani per la nuova economia e il tempo libero?
La crescita dei porti asiatici Il confronto delle classifiche dei primi porti mondiali in vent’anni illustra il dinamismo dei porti dell’Asia. In particolare, i porti cinesi hanno registrato una crescita eccezionale del loro traffico, così come alcuni porti del Sud-Est asiatico, mentre i porti giapponesi vedono in paragone ristagnare il loro traffico. L’evoluzione della gerarchia portuale esprime la divisione internazionale del lavoro e la forte crescita industriale dei paesi emergenti, mentre il Giappone è entrato in una fase postindustriale che non genera più una forte crescita dei traffici portuali. In Giappone, la fase di maggiore espansione portuale si è verificata negli anni ’60-’70. Si è osservato in quel periodo uno sviluppo massiccio di piattaforme portuali e industriali sull’acqua, le umetatechi. Utilizzando le rocce estratte dalle vicine montagne, i prodotti del dragaggio per gli accosti alle rive (scavi di canali profondi per accogliere le navi ad elevato pescaggio) e diversi materiali di recupero, compresi i rifiuti compattati, Kobe, estesa tra mare e montagna, ha sviluppato e modernizzato la sua attività portuale costruendo spazi per l’industria pesante e lo stoccaggio dei container. Un processo simile è stato osservato a Osaka, Nagoya, nella baia di Tokyo e sul mare interno del Giappone (Himeji, Fukuyama, Tokuyama, Matsuyama): complessi di raffinazione petrolifera, industria pesante, logistica associata alla containerizzazione. Lo stesso a Singapore (ZI di Jurong Island), Incheon
The relationship between city and port in Asia by Yves Boquet Many cities within the international context have recently undergone a radical transformation of their waterfronts. The technological evolution of maritime transport has led to a change of scale in ports and a spatial disconnection between the port/logistic function and the urban space. Many Asian port cities, which were founded as a result of colonization and trade, have become some of the most important ports at a global scale, in a region that boasts extremely high rates of growth and where the urban demographic density is higher than in western nations. The obsolescence of the old infrastructure has paved the way for three-fold dynamics in the spatial expansion of ports, the regeneration of ancient port areas and multi-functionality. The goal is to switch from the logic of a port to the logic of a city: how can we restore dynamism to obsolete waterfronts and marginal districts, to create urban spaces for the new economy and leisure time? The more important trends in the projects for regenerating Asian port cities, focus on multi-functionality, the enhancement of the cultural heritage, and sustainability, all in the spirit of promoting the image of a global city that relies on advanced technology and spectacular realizations (“megaprojects”).
Nella pagina a fianco, in alto: evocazione del commercio coloniale sugli argini del Singapore River (Boquet, 2008); in basso: risistemazione del lungofiume del Singapore River (Boquet, 2008).
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1 - Victoria Harbor, Hong Kong, veduta dell’alto dell’International Commerce Center (Boquet, 2013).
(Corea del Sud) e Shanghai, dove il porto lascia le rive del Huangpu per spostarsi verso la foce dello Yangzi (zona industriale di Waigaoqiao) e poi sull’isola artificiale di Yangshan realizzata su affioramenti rocciosi all’ingresso della baia di Hangzhou, 80 km a Sud-Est del Bund. Gli spazi portuali abbandonano i siti di origine, prossimi alla città, per baie più o meno vicine, argini costieri e isole artificiali che consentono una maggiore capacità portuale. A Dalian (Cina), Qingdao (Cina) e Busan (Corea del Sud) si sono così sviluppati terminal portuali altamente specializzati. La funzione portuale si è dissociata quindi progressivamente dalla città. A Bangkok, se il fiume Chao Phraya appare molto animato, l’essenziale del traffico è attualmente a Laem Chabang. Tuttavia, a Manila (Filippine), pur essendosi un po’ esteso sulla baia, da una parte all’altra della foce del fiume Pasig, il porto non è cambiato dopo l’epoca coloniale. Alcuni cluster portuali servono città relativamente vicine sul litorale di uno stesso paese (porti sul fiume Perles nel Sud della Cina: Hong Kong, Shenzhen, Guangzhou; e del basso Yangzi: Shanghai, Ningbo-Zhoushan) (Comtois e Dong, 2007), anche attraverso le frontiere (Singapore e Tanjung Pelepas in Malesia): i porti sono allo stesso tempo concorrenti e complementari, in una situazione di “cooperazione” portuale (Song, 2003; Notteboom e al. 2009), ossia in una sorta di combinazione di cooperazione/competizione, che pone problemi di governance portuale a scale che non sono più quelle della città (Slack e Wang, 2002).
Conflitti città-porto Le città traggono un grande vantaggio dallo sviluppo dei loro porti: occupazione, entrate fiscali (anche se numerosi complessi portuali si sono svi104
luppati in Asia attraverso un sistema di zone franche), sviluppo economico (industrializzazione). Ma il porto ha anche un impatto negativo sulla città: congestione del traffico, effetti di separazione città-acqua, inquinamento atmosferico, rumore, inquinamento luminoso (terminal in attività 24h/24). Alcuni conflitti possono sorgere con il collasso delle strutture spaziali e sociali tradizionali dei porti e la separazione crescente con la città. In prossimità dei quartieri più densi del centro, il porto di Manila vede così i mezzi che trasportano i container convergere e farsi strada tra veicoli particolari, jeepneys, autobus urbani, autocarri provinciali e tricicli motorizzati (trisikel) o no (pedicab), che incrementano la congestione. Nel 2013, il sindaco, M. Estrada, ha assunto la decisione unilaterale di vietare l’attraversamento diurno di Manila ai camion che collegano il porto alle aree industriali situate a sud dell’agglomerato nelle province periurbane di Cavite e Laguna. Il risultato: ingorghi di mezzi in attesa al di fuori dei confini di Manila dell’autorizzazione di accesso in città, una sosta prolungata in rada delle navi impossibilitate a scaricare le merci, periodi di cassa integrazione nelle fabbriche non più approvvigionate, con una diminuzione della competitività economica del paese. Le difficoltà risultano aggravate dal fatto che le strutture portuali sono obsolete, con magazzini fatiscenti, bacini che non sono in grado di accogliere le grandi navi, e la vicinanza di bidonville, i cui abitanti sono attirati dalle opportunità offerte dal porto, legali (impieghi di giorno) o illegali (furto di merci nei container). Si punta attualmente a trasferire una parte delle attività portuali verso altri due siti, a circa 80 km in linea d’area, Subic Bay a Nord (valorizzazione di un’antica base navale americana) e Batangas a Sud (un porto che funziona limitatamente nonostante la sua efficienza dal punto di vista nautico e il suo ruolo di punto di
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2 - Classifica dei primi venti porti mondiali (in milioni di tonnellate) nel 1993 e nel 2013 (fonte: Images Économiques du Monde 19951996 & Port of Rotterdam).
3 - Classifica dei primi venti porti container a livello mondiale nel 1993 e nel 2013 (fonte: Evergreen Marine Transportation & Containerization International).
passaggio verso le altre isole, come Mindoro). Una congestione simile è stata osservata a Cebu, nel centro dell’arcipelago filippino, dove il “balletto” incessante dei ferry tra isole ostacola il funzionamento del porto commerciale (Boquet, 2015). I conflitti città-porto sono inoltre legati al progresso tecnico. I porti offrono numerosi impieghi (coolies cinesi del Sud-Est asiatico), ma lo sviluppo della containerizzazione e l’automatizzazione delle operazioni di carico/scarico che ne risultano hanno notevolmente ridotto l’esigenza di manodopera non qualificata. La modernizzazione portuale produce effetti sociali negativi in questi paesi e in città ad elevata densità di popolazione. Le navi restano poco tempo in banchina, questo modifica la tradizionale atmosfera cosmopolita dei porti. Tuttavia lo sviluppo portuale su nuovi spazi più adeguati alla logistica moderna, può produrre un effetto moltiplicatore sull’occupazione industriale dell’entroterra della città portuale, se le reti del traffico terrestre sono ben sviluppate tra porto e aree industriali. A Busan (Frémont e Ducruet, 2004), la crescita dei traffici del sistema portuale non rafforza più la centralità urbana, a causa della dissociazione spaziale crescente porto-città. La creazione di valore aggiunto negli ambiti portuali centrali o periferici è più debole. Occorre trovare altre fonti di dinamismo per il cuore metropolitano. L’ambiente è una delle tre ragioni principali di conflitto. I porti giapponesi degli anni ’60-’70 erano vaste Zone Industriali Portuali, che ricevevano petroliere e grandi navi portarinfuse, a servizio delle raffinerie petrolifere, degli stabilimenti petrolchimici e dei complessi siderurgici (associati ad alcuni cantieri navali e fabbriche di assemblaggio di automobili), come successivamente Shanghai (Waigaoqiao), Singapore (Jurong) o in Corea del Sud (Ulsan, Pohang). Le rive della baia di Tokio sono
state totalmente artificializzate, e la qualità delle acque, come in altri settori del litorale giapponese, profondamente compromessa, riducendo al minimo il potenziale di pesca nelle immediate vicinanze del primo porto pescherecci a livello mondiale. Numerosi siti portuali antichi, lungo i corsi d’acqua che hanno assicurato uno sviluppo molto rapido della funzione portuale, risultano fortemente inquinati con disagi paesaggistici riconosciuti da tutti (Singapore River, Pasig River a Manila, Suzhou Creek a Shanghai). La riorganizzazione della governance portuale, nel contesto del capitalismo internazionale e dell’incremento della gestione privata, genera anche conflitti di interesse tra le amministrazioni urbane rivolte all’interesse locale (o ai loro propri interessi in caso di paesi ad elevata corruzione) e le società di gestione portuale preoccupate dell’efficienza operativa da offrire agli armatori. Nei paesi centralizzati (Cina, Singapore) il potere centrale controlla e guida le gestione portuale, cosa che non accade se si fa riferimento ad un contesto politico di governance più debole (Filippine) o più decentralizzata. Gli obiettivi in termini di pianificazione dei terreni disponibili o degli ambiti portuali declassati possono risultare molto differenti: priorità alla riconquista urbana o allo sviluppo portuale?
I nuovi waterfront urbani in Asia Nelle operazioni di riqualificazione e valorizzazione dei fronti d’acqua portuali delle città asiatiche emergono alcune tendenze rilevanti (John e al., 2013): multifunzionalità, valorizzazione immobiliare, urbanistica verde/sostenibile, il tutto in uno spirito di promozione dell’immagine di città globale che passa per le tecnologie avanzate e le rea105
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4 - Il terminale container di Tsing Yi, Hong Kong (Boquet, 2011).
lizzazioni spettacolari (“megaprogetti”) (Lin, 2007). Se l’espansione portuale del Giappone è avvenuta attraverso la costruzione di piattaforme industialo-portuali, oggi l’insieme delle funzioni urbane può ritrovarsi sull’acqua. Kobe dispone, come Osaka (Kansai International Airport), Kitakyushu e Nagoya (Chubu Centrair) di un aeroporto in piena baia, ma i terrapieni affacciati sulle rive sono anche frammenti di città. Port Island è stata costruita tra il 1996 e il 1981. Il perimetro dell’isola (523 ettari) è a vocazione portuale (terminal container), ma la sua parte centrale è a carattere urbano (hotel, centro congressi, museo, caffetterie, negozio IKEA, diversi parchi). Un po’ più ad Est, l’isola di Rokko (1973-1992, 580 ettari) ospita anch’essa hotel, impianti sportivi, mercati, edifici con vista sul mare, un parco di attrazioni, un museo della moda, la Kobe International University e alcuni terminal container. Il sistema della metropolitana automatica “Port Liner” e “Rokko Liner” collega le due isole alla stazione di Sannomiya, e all’aeroporto di Kobe una e alla stazione di Sumiyoshi l’altra. A Osaka, il complesso ludico di Tempozan, servito dalla metropolitana, include una delle maggior ruote del mondo (113 mt), il più grande acquario del Giappone (Osaka Aquarium Kaiyukan) e un centro commerciale (boutique, ristoranti, discoteche). Basato sul tema “Mare e Porto” e organizzato attorno ad un asse centrale soprannominato “la marcia verso il mare”, Tempozan Market Place è un laboratorio di espressione per gli artisti di strada. In adiacenza al terminal crociere e ad un quartiere residenziale che comprende scuole e ospedali, esso ha sostituito un antico sito industriale su umetate-chi. È il primo adattamento in Giappone dei modelli di riqualificazione dei fronti d’acqua sperimentati negli Stati Uniti: passeggiate, acquari, spazi per il divertimento, ripresi nelle città giapponesi e asiatiche. A Yokohama, Minato Mirai 21 (156 ettari di cui 76 sottratti all’acqua dopo gli anni ’80), ospita un museo della marina, un museo di arte moderna, un parco di attrazioni (Cosmoworld) dominato dalla 106
grande ruota Cosmoclock (121 mt) e dai 70 piani della Landmark Tower, per lungo tempo il più alto grattacielo giapponese. Il piano di Minato Mirai 21 rompe con la tradizione urbana giapponese: l’idea europea del boulevard ha sostituito un sistema di crescita organica privo di asse strutturante. Il nuovo quartiere dispone di tre assi urbani che collegano le stazioni e la metropolitana ai parchi del fronte d’acqua, offrendo spazi pubblici aperti lineari e viste panoramiche sulla baia. Nissan ha stabilito la sua sede mondiale a Minato Mirai 21, il nuovo cuore di una città che vuole affermarsi su Tokyo, dove anche Disneyland Japan è costruito sull’acqua, tanto che nello schema di pianificazione della capitale giapponese, il waterfront è uno dei “subcentri”, come Shinjuku o Ikebukuro (Saito, 2003). Costituito da diverse isole artificiali, è connesso attraverso un metro automatico sopraelevato (Yurikamome, “gabbiano a testa nera”) di 12 km con partenza dalla stazione di Shimbashi. Questa rivitalizzazione dei fronti d’acqua giapponesi utilizza il mare come tematica e scenario, come supporto alle attività ludiche: passeggiate, musei marittimi, acquari, ristoranti. È quello che si ritrova a Singapore (Chang, Huang e Savage, 2004). Per diversificare la sua economia, liberare i cittadini dalla loro tendenza a lavorare troppo, e sviluppare la sua attrattività in quanto città globale (Chang, 2004), la città-stato ha realizzato diversi progetti per lo sviluppo turistico. Il complesso per divertimenti dell’isola di Sentosa (terreni da golf, hotel, museo di storia, parco a tema “Universal Studios Singapore”, giardini di farfalle, acquario e numerose spiagge) è collegato in 15 minuti al centro di Singapore da una monorotaia (Sentosa Express) che offre una bella vista sui terminal container. Un secondo progetto, Marina Bay (Sevin, 2008; Yap, 2013), è un complesso di grandi hotel associati ad alcuni parchi e ad un sistema di controllo dell’approvvigionamento di acqua della città (diga). Questo progetto del governo è stato affidato ad un consorzio internazionale di esperti in idraulica e in pianificazione urbana, per sottolineare la dimen-
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5 - La nuova immagine delle rive del Chao Phraya. I grattacieli della globalizzazione dominano le banchine “stile Thai” in un rinnovamento spettacolare dell’immagine della città (Boquet e al., 2014).
sione “globale” di Marina Bay. Gli elementi principali dell’operazione sono la grande ruota Singapore Flyer (165 mt) e l’hotel Marina Sands, con la sua immensa piscina sulla copertura comune alle tre torri che la sostengono. Infine, il Singapore River, attorno al quale la città si è sviluppata nel XIX secolo, è stato oggetto di una riconquista degli argini: recupero e trasformazione degli antichi magazzini, realizzazione di passeggiate da una parte e dall’altra, arricchite da statue che ricostruiscono una storia idealizzata del passato di Singapore e delle relazioni tra colonizzatori inglesi e popolazione locale (Malesi) o immigrati (Cinesi, Indiani). Lo sviluppo post-portuale punta inoltre a creare un’identità di Singapore di armonia multiculturale (Chang e Huang, 2005; Yuen, 2005) e porta ad una gentrificazione dello spazio pericentrale (Wong, 2006), ma al prezzo sociale del trasferimento forzato della popolazione povera durante l’eliminazione dei bassifondi sul bordo d’acqua (Dobbs, 2002). Ristoranti e musei (per esempio il Museo delle Civilizzazioni Asiatico) sono distribuiti lungo le rive del fiume ai piedi delle torri del CBD (lato Ovest) e in prossimità degli edifici governativi di epoca coloniale (lato Est). Una parte del sito è utilizzata per il circuito transitorio del Gran Premio di Singapore di Formula 1 (Henderson, 2010), corsa urbana che si svolge durante la notte. Una nuova fase di sviluppo del fronte d’acqua di Singapore è prevista per il 2015-2025, con il trasferimento dei terminal container di Tanjong Pagar, prossimi al CDB, verso un sito periferico, liberando superfici di suolo litoranee particolarmente interessanti. A Taiwan, Kaohsiung inaugura nel 2014 un nuovo ambito post-portuale. “Asia’s New Bay Area” si compone di quattro grandi progetti immobiliari sul waterfront, e di una tramvia, la prima del paese sul bordo d’acqua. Il Centro Internazionale dei Congressi e delle Esposizioni è dedicato a promuovere le conquiste di Taiwan nei settori agricolo, informatico, delle tecnologie marittime e del turismo. Un centro crocieristico, sede di “Ports Taiwan International”, sarà in grado di ricevere due grandi navi di 225.000 tonnellate e accogliere 2.000 pas-
seggeri all’ora. Il progetto include inoltre il Centro Culturale Marittimo e il Centro della Musica Popolare (concerti all’aperto sull’acqua e auditorium interno). Una zona dedicata alle industrie culturali e creative è prevista per gli artisti residenti, attorno ad una nuova biblioteca digitale e multimediale realizzata secondo le norme dell’architettura ecologica. L’obiettivo del progetto “Asia’s New Bay” è triplice: diversificare l’attività economica, sperimentare nuove tecniche di costruzione in uno spirito di sviluppo sostenibile, accrescere la visibilità internazionale di Kaohsiung. Stessa volontà innovativa nel Songdo International Business District, appena a Sud di Incheon (Corea del Sud). Un nuovo quartiere di affari che si sviluppa su 610 ettari, con la più alta torre del paese (NEATT: Northeast Asia Trade Tower, 305 m), destinato ad essere una vetrina dello sviluppo urbano sostenibile (parchi, piste ciclabili, veicoli elettrici, riciclo dei rifiuti, etc.), con quattro siti universitari, 80.000 appartamenti, uffici e spazi commerciali. La dimensione ludica è qui meno pronunciata (Kim, 2010; Kim, 2014). La messa in scena dello spazio urbano litoraneo è evidente a Shanghai e Hong Kong. Dopo l’apertura nel 1993 della Zona Economica di Pudong, ad Est del fiume Huangpu, la culla di Shanghai, il quartiere di affari di Lujiazui è sorto dal nulla con alcune delle torri più alte del mondo: Jinmao Tower (Hotel Hyatt), Shanghai Financial Center, Pearl of Orient. Ai loro piedi, un centro congressuale e il più grande acquario cinese sul waterfront. Alcuni giochi di luce valorizzano di sera queste torri gigantesche, che si ammirano meglio dal lato della città antica, sul Bund dell’epoca delle concessioni, boulevard di lungofiume aperto alle automobili ma anche dotato di un percorso pedonale e verdeggiante affacciato sul corso d’acqua. Gli sforzi di Shanghai per trasformare le sue rive risultano inoltre evidenti nelle operazioni di riconquista urbana delle rive del Suzhou Creek, un tempo una discarica a cielo aperto, oggi spazio rivalorizzato dopo l’eliminazione di fabbriche inquinanti e la realizzazione di quartieri residenziali di lusso (Boquet, 2009). 107
TRASPORTI & CULTURA N.41 A Hong Kong, infine, da una parte all’altra del Victoria Harbor che separa il CBD di Central - sull’isola di Hong Kong stessa - dalla zona di Tsim Sha Tsui di Kowloon, recuperi successivi di suolo hanno ridotto lo spazio portuale per creare nuovi spazi per uffici, alcune torri (International Financial Center, 412 mt e International Commerce Center, 488 m), numerose passeggiate sul bordo d’acqua e dei terminal marittimi, al prezzo della distruzione di resti della storia urbana insostituibili. Nonostante la costruzione delle linee del metro che connettono Hong Kong a Kowloon e l’esiguità crescente di uno spazio portuale percorso da imbarcazioni da cabotaggio, chiatte delle Cina Popolare e da catamarani veloci che assicurano il collegamento di Macao, l’attività dei traghetti Star Ferry resta importante: turisti e residenti adorano questa traversata di 10 minuti in battello. Anche se la sua funzione puramente portuale lascia il posto al profitto del suo ruolo di gestione logistica dei flussi (Wang e Cheng, 2010) - che stanno diventando sempre più intensi su porti situati nella Cina Popolare, come Shenzhen - Hong Kong resta comunque un porto! I container non sono lontani, ogni giorno una o due navi da crociera ormeggiano sulle banchine di Kowloon, in attesa di attraccare prossimamente sul molo della pista dismessa dell’aeroporto Kaitak. A fianco di Kowloon, la passeggiata sul fronte d’acqua di Tsim Sha Tsui, “Avenue of the Stars”, evoca Hollywood con le firme sul cemento fresco delle star del cinema di Hong Kong e le loro statue. Di fronte, i grattacieli di Central sono come a Shanghai oggetto di uno spettacolo di suoni e luci notturne, intercalati dalle sirene delle navi. Dopo decenni di “avanzata” degli argini e di sviluppi complessi (passerelle, parcheggi, sedi congressuali) che hanno allontanato la città dal porto, tagliandola inoltre con un’autostrada, una commissione per la pianificazione del waterfront tenta oggi di porre le basi per una nuova osmosi spazio urbanospazio marittimo. I casi descritti sopra riguardano città portuali situate in paesi economicamente più avanzati, che hanno investito nella valorizzazione dei loro waterfront. Il modello si ripete in misura ridotta, nei paesi meno ricchi come il Bangladesh, la Tailandia o le Filippine. A Dhaka, la preoccupazione principale sembra essere la protezione dalle inondazioni in una città densamente popolata. La riorganizzazione delle rive del fiume Buriganga consiste pertanto attualmente nel costruire delle banchine e nel rinverdimento delle aree prossime all’acqua, razionalizzando la ripartizione dello spazio tra le differenti funzioni (Rahman, 2013). A Bangkok, dove le preoccupazioni ambientali sono ugualmente presenti (Thaitako e McGrath, 2008), le rive fluviali del Chao Phraya accolgono un numero crescente di immobili per uffici, di hotel di lusso e di ristoranti eleganti, adiacenti ai resti più antichi delle attività portuali e dei quartieri popolari poveri. Il fiume è intensamente utilizzato come asse del traffico, tanto dagli abitanti della metropoli che dai turisti. A Manila, il fronte d’acqua è stato trasformato in un’ampia passeggiata dove è possibile ammirare il tramonto del sole (Gomez, 2008). Al termine della passeggiata a Nord, accanto al porto container, si trova l’acquario Ocean Park, e a Sud, dopo il Centro Culturale Filippino - progetto della ex First Lady Imelda Marcos (Gueguen, 2013) - il vasto Mall of Asia. Tali aree sono state sottratte al mare, come a Hong Kong, Singapore e Osaka. Nel dicembre del 108
2012, prima della sua sconfitta alle municipali, l’ex sindaco di Manila, Alfredo Lim, ha annunciato un progetto spettacolare di rinnovamento del settore portuale. I 59 ettari di proprietà della Philippine Ports Authority sono stati trasformati in un nuovo centro finanziario, con grattacieli, di cui uno di 100 piani, il più alto delle Filippine, hotel, ristoranti e negozi lungo la riva.
Conclusioni La globalizzazione e la rivoluzione dei trasporti hanno in particolar modo interessato le città portuali asiatiche. Queste si sono dovute adattare rapidamente alle loro ruolo centrale nella logistica internazionale attraverso un’espansione spaziale delle loro strutture portuali, ma anche, nella loro ricerca di un modello internazionale per la valorizzazione dei fronti d’acqua un tempo ritenuti privi di valore se non quello funzionale, ma che acquistano oggi una dimensione identitaria. Lo scenario offerto dal waterfront è essenziale per la promozione di una città, che non è più solo un porto, ma che integra la dimensione portuale nella sua nuova identità di metropoli globale. Riproduzione riservata © Traduzione dal francese a cura di Oriana Giovinazzi
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Conflitti e sfide nell’uso degli spazi: il complesso di Capuaba, Porto di Vitória di Flavia Nico Vasconcelos e Felipe Beltrane
La città di Vila Velha ha un legame storico con la vita del porto. È il comune più antico dello stato dello Espírito Santo, fondato all’arrivo dei Portoghesi nel 1535, e destinato a diventare all’inizio del XX secolo il miglior sito per l’insediamento di un porto attrezzato, in primo luogo attraverso la costruzione della linea ferroviaria che collega Vitória a Minas Gerais. È stata tuttavia una decisione politica a indurre la scelta dell’isola della capitale di stato, Vitória, come sede del Porto di Vitória. Esclusivamente per l’esigenza di ampliamento del porto, unita alla mancanza di spazi nella capitale di stato, nuovi terminal portuali sono stati costruiti sull’altro lato della baia, nei distretti di Aribiri, Paul e Capuaba nella limitrofa città di Vila Velha.
Capuaba Complex: il porto di Vitória in Vila Velha Il Porto di Vitória è gestito dall’autorità portuale federale Companhia Docas do Espírito Santo (Codesa). La struttura comprende sette terminal per il trasporto di carichi di varia natura, quali generi alimentari, prodotti metallurgici; minerale di ferro; diverse materie prime, dispositivi elettrici ed elettronici; abbigliamento, veicoli, e rinfuse solide e liquide. I terminal sono distribuiti sulle città di Vitória, Vila Velha e Aracruz. All’interno dell’attuale municipalità di Vitória, il Porto di Vitória comprende (a) Vitória o Commercial Docks - per merci generiche e operazioni offshore, e (b) il Terminal Flexibras/Technip, in gestione all’omonima compagnia, che produce e spedisce via nave tubi flessibili e materiali vari per operazioni offshore. Vila Velha è sede (a) del Terminal Prysmian, terminal privato e in gestione all’omonima compagnia per la produzione e spedizione via nave di cavi; (b) dei Paul Docks, con un ormeggio in gestione a PEIÚ S/A per la movimentazione di rinfuse solide, e l’altro in gestione a Codesa per il trattamento esclusivo di ghisa di prima fusione; (c) del Terminal Rinfuse Liquide São Torquato, installato per forniture di rinfuse liquide e derivati del petrolio, le cui attività sono attualmente sospese a causa del rischio elevato per la collettività. Vila Velha ospita inoltre i moli che compongono il complesso di Capuaba: (a) il Terminal Dolphins de Atalaia, installato per fornire e supportare operazioni di esportazione di rinfuse liquide, quali alcol etilico e melassa: questo terminal è in via di realizzazione e la sua ultimazione è prevista nel 2016; (b) la Companhia Portuária Vila-Velha (CPVV), inaugurata nel 2000 come primo terminal portuale privato in Brasile, che offre prestazioni di servizi nel
Conflicts and challenges in the shared use of spaces: the Capuaba complex in the port of Vitória by Flavia Nico Vasconcelos and Felipe Beltrane Many of the port facilities of Porto de Vitória/Brazil are in the neighboring municipality of Vila Velha. The Capuaba Dock, in the region of Capuaba/Vila Velha, is the only container terminal in the province of Espírito Santo and the one that receives the largest port investments. The study adopted a proposal of good practices from AIVP as a methodology to analyze how the Capuaba region and Capuaba Dock deal with the need to share the only sea/land access, which is also an avenue used routinely by city locals. The conclusion is that the lack of urban and port planning reflects on mobility and makes the sharing of spaces a great challenge. We confirmed that there is no plan geared to the city or which considers making the most of city-port interfaces. Development plans and projects are aimed solely at port activity and are based on the use of the backland to meet the growing demands of the Port of Vitória. The Municipality of Vila Velha has not implemented corrective plans or projects to attenuate the impact of port operations and promote improvements to the quality of life in the district. The situation in the area is currently problematic, due to a lack of control and planning, and an absence of dialogue between port and city.
Nella pagina a fianco, in alto: il Porto di Vitória ria su entrambi i lati della baia: la città di Vitória a sinistra e la città di Vila Velha a destra (© Leonel Albuquerque). In basso: I Capuaba Docks e la città di Vitória sull’altro lato della baia di Vitória (© Leonel Albuquerque).
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1 - Le banchine portuali di Capuaba caratterizzate da una movimentazione intensiva di merci (© Leonel Albuquerque).
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settore della ricerca e della produzione di petrolio e gas in mare aperto, forniture di servizi di base, di logistica marittima e terrestre e di stoccaggio; e (c) i Capuaba Docks. I Capuaba Docks hanno avuto un forte impulso insieme ai Paul Docks negli anni Settanta. Quando furono avviate le attività, fu soprannominato “porto laboratorio”, subendo adattamenti, ampliamenti e, col passare degli anni, modifiche in linea con l’economia locale. I moli sono operativi 24 ore al giorno, e si tratta di un ambito portuale esteso, con 12,800 m² di aree retro-portuali, 396 m di banchine, un pescaggio che raggiunge i 10.67 m e la capacità per una nave Panamax. Due ormeggi compongono (a) il Terminal Codesa e movimentano prodotti agricoli e generi vari. Gli altri tre ormeggi sono stati concessi in gestione al settore privato e costituiscono il (b) Terminal de Vila Velha (TVV), collocato in posizione strategica per il carico e scarico di container, navi roll-on/rolloff, marmo e granito, e merci varie. Il TVV è tra i terminal brasiliani con il miglior tasso di produttività operativa, e l’unico terminal portuale in Espírito Santo a fornire un servizio di movimentazione container specializzato. La responsabilità delle operazioni e della gestione è presa in carico da Vale, tramite Log-In Internacional Logística. Il terminal riceve investimenti portuali importanti per l’economia dello Stato, e in primo luogo per Vila Velha. Secondo i dati forniti dai suddetti terminal, circa l’88% delle spedizioni arriva nello stato attraverso Vila Velha; il 60% viene consegnato tramite l’autostrada federale BR 101 e il 28% tramite la BR 262. Il 66% del totale viene imbarcato da Vila Velha, movimentazione che ha luogo tramite strada o ferrovia, facendo della regione di Capuaba il collegamento principale tra mare e terraferma o tra porto e città.
Lo sviluppo urbano disorganizzato di Vila Velha e il caso di Capuaba Negli anni Settanta e Ottanta, lo sviluppo del sistema di trasporto su strada, l’attuazione di progetti su larga scala (Fibria, Samarco, Vale, ArcelorMittal), con consistenti investimenti nelle infrastrutture (trasporti, porto ed energia), e lo sviluppo dell’industria delle costruzioni civili hanno attratto persone provenienti da zone rurali e da altri stati verso l’area metropolitana di Vitória. In questo contesto, in coerenza con il Master Plan 2008, Vila Velha è stata una delle municipalità che ha ospitato il maggior numero di persone migrate verso la città dopo l’estirpazione delle piantagioni di caffè e l’attuazione di vasti progetti industriali e infrastrutturali, con un aumento della popolazione pari al 179.3% tra il 1970 e il 2000. Gli anni Novanta sono stati contrassegnati dalla creazione di diversi quartieri, molti dei quali con infrastrutture inadeguate, e dall’aumento delle attività tipicamente urbane. Occupazioni più recenti e irregolari si sono verificate in zone inadeguate – con molte fragilità ambientali – o dotate di infrastrutture e di servizi pubblici di base precari (Noé, 2008). Le aree prossime al porto e i punti di accesso alle nuove unità residenziali hanno lasciato vuoti estesi nel sistema urbano regionale, contribuendo ad un’occupazione del suolo disorganizzata, illegale e abusiva che ha interessato una vasta area metropolitana, incluse foreste, mangrovie e colline successivamente urbanizzate e integrate nel sistema urbano esistente (Oliveira, 2008). È in questo contesto che va compresa la comunità di Capuaba. La stessa è situata in una zona adiacente al porto, adibita ad area operativa, con ap-
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pezzamenti di terreno caratterizzati da una pressoché totale assenza di coordinamento tra gli spazi di accesso, una assoluta mancanza di urbanizzazione, una tendenza verso la movimentazione intensiva e periferica delle merci portuali. Quella di questa zona è la storia di un’evoluzione territoriale avvenuta senza alcuna cura per l’adattamento ambientale; l’occupazione e lo sviluppo urbano sono stati segnati della formazione continua di discariche pubbliche, che hanno causato degrado e modifiche – per alcuni aspetti selvaggi – del sito originario. Tale sviluppo riflette la mancanza di politiche pubbliche per quanto riguarda l’urbanizzazione, e in questo caso ha prodotto un contesto disorganizzato, con problemi strutturali, urbani e di mobilità. Le installazioni portuali situate sui Capuaba Docks sono accessibili attraverso un’unica strada asfaltata recentemente raddoppiata, che consente il collegamento tra il porto e l’Avenida Carlos Lindenberg e l’arteria a scorrimento veloce Jerônimo Monteiro, che a sua volta si integra con altre strade urbane della regione. Nell’area retrostante il complesso di Capuaba si trovano diversi insediamenti residenziali a media ed alta densità demografica. La questione della mobilità urbana costituisce un problema: la strada stretta che serve il porto viene utilizzata, da una parte, per i consistenti volumi di traffico pesante che circolano costantemente per soddisfare le esigenze portuali, dall’altra, anche da automobili, autobus, biciclette e pedoni. Una soluzione per la mobilità e l’uso condiviso degli spazi che costituisce, pertanto, una delle sfide più urgenti in relazione all’interfaccia città-porto nella regione di Capuaba1. 1 La situazione ambientale nella zona di Paul non è meno critica. La situazione – peggiorata in diverse occasioni dall’occupazione di aree di protezione ambientale, in particolare con riferimento alla devastazione di macchie di mangrovie protette,
Integrare gli spazi urbani: uno studio per Capuaba
2 - I container sulle banchine dei Capuaba Docks (© Leonel Albuquerque).
Difficoltà e sfide sull’interfaccia città-porto sono affrontate dal Réseau Mondial des Villes Portuaires (Worldwide Network of Port Cities - AIVP2) tramite pubblicazioni e conferenze in tutto il mondo, con l’obiettivo di discutere delle problematiche delle città portuali. Nell’ambito di una conferenza che si è svolta nel 2007 a Le Havre - città che ospita la sede centrale dell’associazione - è stato presentato un manuale di buone pratiche per l’interfaccia città-porto, dal titolo Plan the City with the Port. Per lo studio dell’interfaccia città-porto a Capuaba abbiamo fatto riferimento alla prima serie di obiettivi nel documento - Integrare gli spazi, che individua due finalità, suddivise in cinque raccomandazioni. Abbiamo esaminato la situazione di Capuaba in relazione ad ognuno di essi, in modo da identificare le sfide e i conflitti principali nella condivisione degli spazi nella regione. Il primo obiettivo è (A) “Rispettare gli accessi alle aree portuali” e riporta tre raccomandazioni. La prima (A.1), è “Rideterminare i piani di movimendi risorse idriche nella baia di Vitória Bay e alla foce del fiume Aribiri, per usi portuali e retro-portuali da parte di grosse compagnie e per edilizia residenziale non convenzionale – è una delle indigenze urbane critiche che si riscontrano solitamente nelle occupazioni irregolari di aree ecologicamente fragili. Si è verificato inoltre un impatto urbano considerevole in seguito ai lavori e all’occupazione di zone per l’ampliamento del porto e delle infrastrutture operative del retro-porto di Vila Velha. Il Terminal portuale Peiú, situato nell’adiacente distretto di Paul, è accessibile tramite la strada urbana che serve il quartiere. 2 La AIVP è stata fondata nel 1988 per iniziativa di città, porti e principalmente di partner istituzionali ed economici al fine di istituire una struttura permanente per lo scambio di informazioni, esperienze e contatti, per consentire una miglior analisi tesa allo sviluppo di tutti i progetti portuali.
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3 - Una veduta dei Capuaba Docks e dell’unico collegamento stradale tra il porto, l’Avenida Carlos Lindenberg e l’arteria a scorrimento veloce Jerônimo Monteiro (© Leonel Albuquerque). 4 - Mezzi pesanti, container e veicoli urbani condividono la stessa arteria stradale che connette la città e il porto (© ANTAQ - Agência Nacional de Transporte Aquaviário). 5 - La stretta vicinanza tra le abitazioni e il traffico generato dal porto (© ANTAQ - Agência Nacional de Transporte Aquaviário).
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tazione portuale e urbana”. Il documento afferma che le necessità di accesso al porto richiedono una riflessione prioritaria sui piani per la movimentazione portuale e urbana, che dovrebbero coprire contemporaneamente i flussi di persone e di merci e riguardare tutte le modalità di trasporto. La seconda raccomandazione è (A.2) “Valutare le incompatibilità e prevedere gli sviluppi irreversibili”, con l’intenzione di mantenere spazi per la crescita delle attività portuali. Per evitare questo tipo di intoppo, andrebbe stilato un inventario dei territori portuali, dei collegamenti esistenti e del loro potenziale sviluppo in relazione agli scenari di espansione del porto, insieme alle varie opzioni per lo sviluppo e la crescita dell’area urbana, identificando pertanto compatibilità e incompatibilità su entrambi i fronti.
La terza e ultima raccomandazione che rientra in questa prima finalità è (A.3) “Realizzare nuovi collegamenti con l’opportunità di ottenere nuovi spazi”. Si ritiene che un nuovo piano dei collegamenti possa migliorare la competitività del porto e contemporaneamente ridurre l’impatto prodotto dalle sue attività, rendendo inoltre disponibili spazi per lo sviluppo urbano e portuale. In altri termini, si tratta di individuare le possibili azioni da intraprendere affinché le aree del complesso di Capuaba possano essere utilizzate per offrire servizi più efficienti e per sfruttare o rendere disponibili gli spazi inutilizzati nella regione. La seconda finalità è (B) “Prendersi cura dell’accessibilità dei siti sull’interfaccia città-porto”, per la quale si individuano due raccomandazioni. La prima è (B.1) “Partire dal sistema esistente e completarlo”, e la seconda è (B.2) “Prestare attenzione alle connessioni con i terminal passeggeri”. Si tratta di un modo per integrare i collegamenti stradali dal porto verso il tessuto urbano, includendo nuove connessioni fisiche, quali marciapiedi e punti di accesso pedonali, piste ciclabili, corsie degli autobus, etc. I Capuaba Docks sono attualmente limitati a due punti di accesso: uno collega il porto al vicino quartiere di São Torquato e alle autostrade BR101 e BR262: si tratta di una strada a carreggiata unica con limite di altezza dovuto alla presenza di due vecchi viadotti che la attraversano, uno non operativo e l’altro occupato da una strada ferrata a doppio binario che collega il terminal rinfuse al vicino comune di Cariacica; l’altro accesso collega il porto alle strade a scorrimento veloce Carlos Lindemberg (ES-080) e Darly Santos (ES-471/BR-447) tramite la Capuaba Highway. Diversi aspetti vanno qui presi in considerazione: una responsabilità sempre più estesa di Codesa e una questione di giurisdizione. Il fatto è che la sua servitù di passaggio (30 m) è notevolmente compromessa da attività invasive su entrambi i lati, con la necessità immediata di una complessiva riqualificazione. Al fine di ottenere un incremento dell’operatività, dovrebbero essere aggiunte delle strade laterali per l’accesso al sito e andrebbe intrapreso uno studio sull’adattamento dell’autostrada Jerônimo Monteir, con cui si interseca a circa 200 metri dai ponti in direzione della ES-080. Verifiche con Codesa e con l’amministrazione non hanno portato alla luce alcun progetto precedente l’installazione del porto né alcun consolidamento circa la condivisione di spazi tra città e porto nella regione di Capuaba. L’osservazione diretta del sito, in cui comunità e attività portuali vivono fianco a fianco, lascia chiaramente trapelare i risultati della mancanza di studi antecedenti l’inizio delle opere portuali: la stessa strada sui cui circolano i mezzi pesanti – la Capuaba Highway – è attraversata da automobili private, biciclette, moto e pedoni. Per di più, nemmeno i confini tra area residenziale e area commerciale/portuale risultano chiaramente individuabili. Area urbana e portuale si confondono, coesistono nello stesso spazio senza delimitazioni d’uso predefinite, una situazione dannosa per entrambe le parti. Sul versante urbano, sono da segnalare gli impatti delle operazioni portuali e della movimentazione dei carichi sulla rete stradale e ferroviaria all’interno del tessuto cittadino, e una lunga storia di degrado ambientale su un’area urbana piuttosto estesa. Sull’altro versante, l’attuale logistica stradale per il complesso di Capuaba è ritenuta inadeguata e influisce negativamente sulle sue operazioni e su quelle dei terminal adiacenti.
TRASPORTI & CULTURA N.41 Le autorità pubbliche locali sono consapevoli del problema e, insieme all’Associação dos Empresários de Vila Velha (Asevila), hanno elaborato progetti e soluzioni, presentati nel Plano de Desenvolvimento Sustentável do Município de Vila Velha/ES, pubblicato nel 2010. Le proposte contenute in questo documento devono comunque fare i conti con il lento processo decisionale politico brasiliano e con la dipendenza dai finanziamenti provenienti dai tre livelli di governo, tra discussioni circa la responsabilità per alcune strade e aree. Per quanto riguarda l’uso e l’occupazione del suolo a Vila Velha, il Plano de Desenvolvimento Sustentável do Município de Vila Velha/ES (Asevila, 2010) sottolinea come l’incompatibilità d’uso risulti più evidente nelle zone periferiche come Capuaba, dove si osserva un’occupazione residenziale a bassa rendita accanto alle aree portuali, retro-portuali e industriali, oltre all’occupazione di colline, canali e pianure, considerate zone a rischio. L’attività portuale dà luogo ad una considerevole movimentazione di veicoli da carico su strade che sono inadeguate per tale traffico, generando la svalutazione dell’edilizia abitativa e un’occupazione irregolare e non qualificata. In altri termini, la mancanza di pianificazione e l’assenza di un altro sbocco per le merci portuali collocano il porto e la comunità in una situazione difficile. È risaputo che i sistemi di mobilità rivestono di per sé un ruolo significativo per lo sviluppo urbano e che le strade con alta connettività e distribuzione dei flussi riducono punti di contatto e capillarità, dando origine ad una sorta di “effetto tunnel” che consolida gli spazi vuoti (Miranda, 2007). Quello che si osserva a Capuaba è il conflitto su una strada per veicoli pesanti che necessita di spazi per la distribuzione dei flussi alla velocità richiesta dal mercato, ma non offre possibilità di creare tali spazi in quanto la stessa arteria è condivisa con la comunità, che occupa il territorio in modo disorganizzato e utilizza la strada secondo i ritmi di un cittadino lì residente. Abbiamo già evidenziato l’assenza di piani da parte di Codesa orientati alla città o che prendano in considerazione l’implementazione dell’interfaccia città-porto. Piani e progetti di sviluppo sono finalizzati esclusivamente all’attività portuale e sono basati sull’utilizzo dell’area retrostante per soddisfare le crescenti esigenze del Porto di Vitória. Per Codesa è importante che questa zona sia utilizzata come mezzo di reddito supplementare – secondo il Coordenação de Gestão Portuária (COGESP) di Codesa, questa iniziativa ha prodotto un incremento degli utili del 334% rispetto al 2009. L’area operativa movimenta 52.000 tonnellate di merci, attività che produce inoltre un aumento finanziario nelle casse di Codesa - nell’ordine di 2.778 milioni di R$ (Real Brasiliani) – del 128% rispetto all’anno precedente. I principali beni immagazzinati nell’area operativa sono prodotti siderurgici (62%) quali rotaie, bobine e piastre, e rinfuse solide (30%), quali carbon coke e manganese. Il restante 8% è costituito da veicoli (6%) e da pietre ornamentali, macchine e attrezzature (2%). Le cifre dimostrano quindi come lo scalo merci di Capuaba sia di primaria importanza per le attività portuali, in quanto in grado sia di operare come zona per lo stoccaggio delle merci che di contribuire alla generazione di attività, occupazione e utili per porto, municipalità e stato. A tal fine, è di primaria importanza che le politiche commerciali adottate negli ultimi anni vengano mantenute. Per quanto riguarda la raccomandazione di prestare attenzione ai collegamenti con i terminal pas-
seggeri, questo non è uno scenario possibile per la regione di Capuaba, concentrata com’è sulle operazioni portuali di movimentazione merci e container. I turisti delle navi da crociera vengono invece accolti presso i Commercial Docks a Vitória. Nonostante il complesso di Capuaba sia di notevole importanza economica per la municipalità di Vila Velha e, per estensione, per lo stato dello Espírito Santo – in quanto sede dell’unico terminal container dello stato – la strutturazione degli accessi al porto non ha ricevuto l’attenzione necessaria. L’amministrazione municipale non ha adottato progetti risolutivi né interventi atti ad attenuare l’impatto delle operazioni portuali e a promuovere miglioramenti della qualità di vita. L’area limitrofa ai moli del Porto di Capuaba si trova attualmente in una situazione difficile, causata da una mancanza di controllo e di pianificazione, congiuntamente all’assenza di dialogo tra porto e città. Se ne conclude che gli interessi del porto sono in contrasto con quelli della città. Gli spazi sono insufficienti e contesi tra le due parti. Senza una preventiva pianificazione e un dialogo città-porto, ai confini tra questi due elementi - il porto che disturba la collettività e la città che ostacola il porto - nessuno scenario al momento è stato formulato al fine di cambiare questa situazione. Riproduzione riservata © Traduzione dall’inglese a cura di Lisa Germano
Bibliografia Miranda, Clara Luiza; Di PIero, Leandro F; Abe, André Tomoyuki. Plano Diretor de Transporte e Mobilidade Urbana de Vitória. Vitória, 2007. Noé, Carmen Júlia Barcellos. Relatório técnico da avaliação do Plano Diretor Municipal de Vila Velha. Vila Velha, 2008. Disponibile su: <http://web.observatoriodasmetropoles.net/planosdiretores/produtos/es>. Ultimo accesso: ottobre 2013. Oliveira José Teixeira de. História do Estado do Espírito Santo. 2. ed. ampl. E atual. Vitória, ES: Fundação Cultural do Espírito Santo, 1975. 596 p. Asevila. Plano de Desenvolvimento Sustentável do Município de Vila-Velha e Entorno-ES. Vila Velha, 2008. Disponibile su: <http://www.vilavelha.es.gov.br/files/arquivos/publicacoes/ publicidade/6-plano-de-desenvolvimento-sustentavel-de-vila-velha/174-plano-de-desenvolvimento-sustentavel-de-vilavelha.pdf> Ultimo accesso: 25 ottobre 2013. PMVV. Plano Diretor do Município de Vila Velha. Vila Velha, 2008. Disponibile su: < http://www.cmvv.es.gov.br/PDM/PDM-VV2007-PDM-Lei-4575-07-Consolidado-Texto.pdf> Ultimo accesso: 10 gennaio 2008. CODESA. Porto de Vitória. Autorità portuale. Vitória, 20 agosto 2013. Disponibile su: <http://www.codesa.gov.br/site/.> Ultimo accesso: 1 novembre 2013.
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New York, città e porto: quale futuro? di Pierre Gras
La storia della città e quella del porto di New York sono strettamente correlate. Il ruolo del porto infatti è stato davvero fondamentale per lo sviluppo della prima grande metropoli non europea, contribuendo ad incrementare la sua demografia grazie ad una consistente immigrazione, principalmente di origine europea, tra la metà del XIX secolo e il 1920. Questo ha permesso di affermare la sua influenza su tutta l’economia americana. Pur non essendo più così essenziale alla collocazione a livello internazionale della New York di oggi, gli ambiti particolari e straordinariamente situati che il porto ha generato contribuiscono attualmente all’espansione del “cuore metropolitano” di New York ben oltre il suo perimetro originario, determinando importanti trasformazioni allo stesso tempo urbane, sociali e culturali. I nuovi territori del waterfront costituiscono così uno degli elementi che hanno attivato questa nuova fase della ricomposizione newyorkese.
Un porto a riparo di un sito eccezionale All’origine dello sviluppo economico della città, il porto ha beneficiato di un sito naturale eccezionale che lo proteggeva dalle tempeste. Con 750 km di coste, New York è infatti dotata di uno dei più estesi litorali urbani del mondo, come Venezia, Hong Kong o Singapore. Nel 1819, l’apertura del canale che collega l’Hudson al Lago Érié ha prodotto un vantaggio decisivo rispetto alle sue principali rivali, Boston e Philadelphia, che si è andato rafforzando nel corso del XIX secolo. Questo ha permesso di garantire una notevole capacità di esportazione, attirando di conseguenza una grande forza lavoro a buon mercato, soprattutto nel settore dell’industria tessile, con l’arrivo di migranti provenienti dall’Europa centrale e orientale. Tuttavia, fino al 1830-1840, New York è rimasta una walking city, molto prossima al suo porto, caratterizzata da spostamenti piuttosto brevi, per lo più confinati alla punta meridionale di Manhattan. Ma tra la metà e la fine del XIX secolo, la conquista di un territorio più esteso ha comportato l’attraversamento dei due fiumi e la creazione di una metropoli di dimensioni mondiali, accompagnata da uno sviluppo industriale e demografico considerevole, che ha generato un incremento del numero di persone e capitali in questo ambito limitato del territorio americano. Essendo le attività di prestigio situate al centro dell’isola di Manhattan, sono stati realizzati nuovi spostamenti verso le banchine e le zone industriali. Nella “città bassa” (South
New York, city and port: what does the future hold? by Pierre Gras The history of the city and port of New York are undoubtedly linked. The role of the port was indeed central to the development of the first major nonEuropean city, helping to boost its demographics through substantial immigration from the mid nineteenth century to the 1920s. If the port is not as essential to the international reputation of New York today, the specific areas it has generated boast remarkable locations, currently contributing to the expansion of the “metropolitan heart” of New York beyond its original scope, and leading to strong urban, social and cultural mutations. The most important Port in the world until the end of the 1950s, New York has experienced significant withdrawal of its maritime and trading activities accompanying its industrial decline. The historic port areas were relocated to New Jersey and the vast sites left vacant along the banks of the two rivers (Hudson and East River) have faced real difficulties reconverting, due to the pollution of their subsoil and the city’s low attractiveness in the years 1970-80. But the heritage of the huge warehouses and “industrial castles” attracted the attention of public authorities. The City of New York developed the Vision 2020 plan during the long tenure of Mayor Michael Bloomberg, though the consequences of Hurricane Sandy, which flooded the shores of the city in the fall of 2012, have cooled the frenzy of investors.
Nella pagina a fianco, in alto: una vista di Manhattan dal Fulton Street Dock (Berenice Abbott, 1935 © Museum of the City of New York). In basso: il canale industriale Gowanus, prossima tappa della riconquista (© Pierre Gras, 2011).
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1 - Il settore degli antichi cantieri navali di Red Hook (© Pierre Gras, 2011).
Manhattan e Lower East Side) le residenze borghesi di St John’s Park sono state cedute agli immigrati e questi quartieri sono divenuti vaste aree occupate da depositi, fabbriche e baraccopoli (slums). Dall’altra parte dei due corsi d’acqua, a Brooklyn e a Staten Island, si sono concentrate le attività più rumorose o a bassa intensità: cantieri navali, aree di stoccaggio merci, pontili ecc. La storia unitaria di New York dopo il XVII secolo si divide in più racconti. Nel 1900, l’agglomerato urbano newyorkese è il più popolato degli Stati Uniti, ma anche il più grande centro industriale e finanziario del paese. Nel periodo tra le due guerre, nel porto di New York si concentra un terzo del tonnellaggio complessivo delle navi che entrano nelle acque territoriali americane, attirando più della metà delle importazioni e la quasi totalità delle esportazioni della costa Est degli Stati Uniti. Il traffico newyorkese evolve ad immagine del commercio americano, passando da una logica coloniale a quella di un porto che sviluppa relazioni nel contesto internazionale. New York rappresenta inoltre il terminal principale per i transatlantici che attraccano negli Stati Uniti, accogliendo circa i due terzi del traffico passeggeri in ingresso nel Paese.
1930: “New York in brandelli” All’inizio degli anni ‘30, tuttavia, il “crash” di Wall Street e le attività speculative fanno improvvisamente esplodere la “bolla” dorata in cui viveva la città da mezzo secolo. “L’America sprofonda nella depressione e la New York arrivata si ritrova in brandelli”, racconta lo scrittore Jerome Charyn. Un terzo delle industrie manifatturiere di New York è in difficoltà e circa la metà della forza lavoro della città risulta disoccupata. Il fotografo Walker Evans 118
immortala la visione tragica di una città morta, dove le tende dei senzatetto occupano gli spazi lasciati liberi tra i grattacieli drammaticamente vuoti. Tuttavia, l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel corso della Seconda Guerra Mondiale assicura alle industrie newyorkesi un ritorno in auge e il porto conosce il suo momento migliore. Nel 1950, New York sfiora gli otto milioni di abitanti e il suo porto è nuovamente il più importante a livello mondiale. Tuttavia una nuova crisi, dovuta in parte alla concorrenza internazionale, colpisce la città con tutta la sua intensità a partire dagli anni ‘60. Questo genera un gran numero di aree industriali dismesse, in particolare nei quartieri di Bronx e Queens. Il cantiere navale di Navy Yard chiude nel 1966. Il transito delle merci, oggetto di una containerizzazione crescente, si sposta verso il terminal di Newark, nel New Jersey. Dell’antico grande porto centrale restano soltanto alcune attività residue a Brooklyn, nella zona di Red Hook, e al Howland Hook Marine Terminal di Staten Island. A metà degli anni ‘70, la deindustrializzazione, i problemi di sicurezza urbana e un certo declino demografico portano la città sull’orlo del fallimento. Viene salvata infine dallo Stato Federale Repubblicano che autorizza il Tesoro a stanziare 2,3 miliardi di dollari l’anno per tre anni nel bilancio locale, imponendo tuttavia alla città forti restrizioni. Oggi, nel contesto delle “città globali”, la posizione della metropoli, la cui area urbana conta circa 22 milioni di abitanti (8 milioni solo nella Città di New York), non viene più messa in discussione. Questo comporta una dimensione portuale necessaria, dal momento che non si vive in un mondo virtuale che agevola il flusso continuo di beni e materie prime. New York, capitale finanziaria mondiale, detiene ancora un ruolo portuale primario sulla costa Est degli Stati Uniti. Il porto gestisce nel 2010, 142
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2 - Il Brooklyn Bridge Park (© Pierre Gras, 2011).
milioni di tonnellate di merci (5,2 milioni di container). Aspetto che non ha nulla di paradossale, dal momento che gli studi dimostrano che un terzo delle attività di servizio negli Stati Uniti, soprattutto le più dinamiche, è legato al settore industriale, in particolare all’esportazione1.
Le tracce della conquista industriale Anche se talvolta occorre osservarle accuratamente, le tracce di questa conquista industriale sono ancora visibili nei diversi distretti newyorkesi. L’industrializzazione di New York ha generato un prodigioso sforzo in termini costruttivi. Si tratta di infrastrutture e di sistemi di trasporto che la simboleggiano perfettamente, il ponte di Brooklyn (1883) sull’East River, un capolavoro degli ingegneri Roebling padre e figlio, ma anche ponti a struttura metallica e a traversine incrociate che hanno portato la strada e la linea ferroviaria sopra i corsi d’acqua. Numerose fabbriche, depositi e magazzini legati allo stoccaggio e alla lavorazione delle materie prime, di cui una testimonianza è la vecchia raffineria Domino Sugar a Brooklyn, costituiscono l’eredità dell’epoca dei “castelli industriali” costruiti in mattoni, o più di recente in calcestruzzo. Alcuni si trovano oggi in pessimo stato. Tuttavia, occupano ancora un posto speciale nell’immaginario americano. I magazzini, i silos, gli edifici industriali sono stati per gli architetti, tra cui il famoso Albert Kahn, l’occasione per progettare soluzioni allo stesso tempo funzionali e portatrici 1 Cf. Pierre Gras, Le temps des ports; déclin et renaissance des villes portuaires (1940-2010), Paris, Tallandier, 2010, pp. 141-146.
di una nuova estetica. Il lavoro di servizio dell’Inventario americano e le committenze affidate alle fine degli anni ‘30 a diversi fotografi professionisti, come Joseph Elliott, Jet Lowe, Sandy Noyes e Gerald Weinstein, hanno contribuito a rendere riconoscibile il valore di questo patrimonio industriale spesso degradato. Negli corso degli anni ‘90, nella maggior parte dei paesi sviluppati, il “riuso” degli antichi porti urbani e la costruzione di un nuovo rapporto della città con il fronte d’acqua sono andati di pari passo con la creazione di metropoli turistiche e con la globalizzazione del patrimonio urbano. Si è diffuso un nuovo immaginario legato al fiume, caratterizzato da grandi operazioni di riconversione delle aree industriali e portuali abbandonate in poli di attrazione per il tempo libero. Negli Stati Uniti, San Francisco, Baltimora e Boston hanno segnato il passo attraverso operazioni pioneristiche. Per ragioni legate sia al suo status particolare di “città del mondo” e sia alla crisi finanziaria subita, New York ha inizialmente registrato un ritardo, prima di intraprendere le prime operazioni di riconversione, essenzialmente a Manhattan. Questo patrimonio suscita un forte interesse degli investitori a partire dal XXI secolo, come accaduto per il progetto Domino Sugar. Questo antico zuccherificio domina il waterfront di Williamsburg. Costruito nel 1856 dalla famiglia Havemeyer, è stato il primo e il più originale di una decina di stabilimenti che hanno contribuito alla nascita del complesso industriale e portuale newyorkese. Alla fine della Guerra di Secessione (1865), era inoltre diventata la più grande raffineria di zucchero al mondo, che impiegava fino a 4.000 lavoratori e trattava 3 milioni di libbre di zucchero al giorno, vale a dire più della metà dello zucchero consumato nell’intero Paese. A seguito di un incendio 119
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3 - La New York industriale, vista da Bérénice Abbott (Berenice Abbott, 1930 © Museum of the City of New York).
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nel 1882, la fabbrica è stata completamente ricostruita con due grandi edifici in mattoni e dal camino riconoscibile che, ancora oggi, si innalza nel cielo di New York. Il logo “Domino Sugar” è stato aggiunto negli anni ‘50, trasformando questo complesso di 90.000 metri quadrati, in un vero e proprio landmark. I progetti per la trasformazione del sito sono stati oggetto di discussione per diversi anni. Infine, il Consiglio Municipale, a maggioranza democratica, ha approvato nella primavera del 2010 un “piano di riqualificazione” di diverse decine di milioni di dollari per l’intera area, che trasforma gran parte del complesso industriale in residenze e spazi verdi, e che riconverte la parte centrale - classificata “patrimonio di notevole valore” nel 2007 - in uffici. Il principale svantaggio di questo tipo di patrimonio è tuttavia lo stato di inquinamento in cui l’industria pesante ha lasciato i luoghi dopo la dismissione. Tra gli Stati della costa nord-orientale, il New Jersey ha emanato nel 1986 una legislazione vincolante: ogni proprietario di un sito industriale deve garantire la decontaminazione prima della cessazione definitiva delle attività o del trasferimento. Ma invece di promuovere il “riuso” delle vecchie fabbriche da parte dei rilevatari, questa normativa ha bloccato di fatto il mercato immobiliare e ha causato il crollo del valore dei terreni nelle antiche aree industriali, in quanto i proprie-
tari si sono dichiarati incapaci di sostenere i costi di sgombero degli impianti e la bonifica dei suoli. Lo Stato di New York si è ben guardato dall’adottare una legislazione così draconiana.
Quali prospettive urbane? Da parte sua, la città di New York si è lanciata negli ultimi dieci anni nella realizzazione di nuove aree urbane, sia a Manhattan che Brooklyn, come anche nel Queens. La mancanza di razionalità spaziale e il carattere composito di molti antichi siti industriali, da attribuire a successive integrazioni edilizie o a nuove espansioni, appare un minimo inconveniente se si prevede di attirare ancora nuove imprese di piccola dimensione: “The new jobs are in small business”, commentano gli imprenditori, citando il caso del New Haven, dove è stato possibile convertire le vecchie fabbriche di armi di Winchester in “hotel industriali” alla fine degli anni ‘80. Tuttavia questo risulta più complicato se si vuole garantire una trasformazione complessiva del sito con una certa coerenza architettonica ed urbana. Il tessuto urbano newyorkese è infatti eterogeneo, integra attività, residenze, magazzini, negozi, depositi di materiali: un vero mosaico che si percepisce maggiormente quando si attraversa l’East River per esempio. “Si è di fronte ad una sto-
TRASPORTI & CULTURA N.41 ria, ma nella confusione” scrive a tale proposito il geografo e urbanista Marcel Roncayolo. Questo apparente “disordine” non ha lasciato indifferenti le autorità che, dopo aver preso di mira con fermezza la criminalità sotto il mandato di Rudolf Giuliani (1994-2001), si sono fatte carico della riorganizzazione dello sviluppo dei diversi litorali. L’alternativa di una riconversione “soft” dei waterfront industriali e portuali non è certo negli Stati Uniti meno complessa che altrove. Il loro successo non si basa su imponenti interventi del potere federale, salvo eccezioni, negli Stati. Ha origine a partire da una molteplicità di iniziative individuali o associative, e di partenariato pubblico-privato, in una tradizione di fatto tutta americana. Con pazienza e determinazione, gli attori del settore mobilitano l’opinione pubblica, raccolgono fondi e sostegni, ricercano partner privati e riescono a persuadere le autorità politiche ed istituzionali a non affidare il loro futuro esclusivamente alla promozione privata. Quando la conservazione non è possibile o auspicabile – o la pressione politica interna è troppo forte – inducono la mobilitazione delle collettività locali, come per il Brooklyn Bridge Park, uno spazio ormai dedicato al pubblico, almeno in parte, di fronte allo skyline di Manhattan. Altre iniziative a livello locale, come l’azienda agricola comunitaria di Red Hook realizzata alla fine del 2000 su terreni appartenenti agli antichi cantieri navali e in prossimità di residenze operaie, mostrano allo stesso modo un percorso meno “brutale” e meglio percepito dalla popolazione che non gli errori della speculazione edilizia. Tuttavia, a Williamsburg e più ancora a Brooklyn Heights, le classi medio-alte si contendono questi nuovi spazi in via di riqualificazione, i cui prezzi sono in rapido aumento.
Il waterfront newyorkese si mobilita A cavallo degli anni 2000, sulla scia dell’elezione di Michael Bloomberg in qualità di sindaco (2002-2013), il tempo è piuttosto quello dei grandi progetti privati. Il sindaco e il presidente del City Council, Christine Quinn, presentano nella primavera del 2011 un documento di 200 pagine intitolato Vision 2020 - New York Comprehensive Waterfront Plan 2. Pur sostenendo l’espansione del settore dell’industria marittima, ma relegandola definitivamente a Newark, nel vicino stato del New Jersey, Vision 2020 apre la strada ad un ulteriore sviluppo del fronte d’acqua in favore di nuove destinazioni d’uso, quali la costruzione di residenze, il recupero dei dock ad uso commerciale o direzionale, ma anche la creazione di spazi pubblici e di parchi. Per la prima volta dopo Roosevelt e il New Deal, la città è inondata da un “sistema di progetti” con cospicui investimenti privati3. Vision 2020 include alcuni requisiti specifici per gli spazi situati a contatto con l’acqua, ma intende anche introdurre nuove pra2 New York Vision 2020 - New York Comprehensive Waterfront Plan, 2011, NYC Planning - Department of City Planning, City of New York, 192 p. 3 L’amministrazione Clinton ha tuttavia messo in campo nel 1994, uno strumento volto ad incitare gli investimenti mediante sgravi fiscali in favore di alcuni quartieri svantaggiati (Harlem et Williamsburg principalmente), ma che ha contribuito allo stesso tempo ad accelerare la gentrificazione di tali aree: l’Empowerment Zones.
tiche urbane. Ad esempio la creazione di “grandi strutture culturali” nei pressi di tali siti punta ad incitare le classi agiate a riappropriarsi dei litorali. Presentando pubblicamente questo progetto, il sindaco uscente declina con orgoglio le sue realizzazioni anteriori: “Abbiamo costruito nuovi parchi sul fronte d’acqua in ognuno dei cinque distretti della città e ripulito i nostri litorali dopo anni di declino e di abbandono. E abbiamo creato nuovi posti di lavoro lungo l’intero waterfront a partire dal litorale Nord di Staten Island fino all’estremità del Bronx”. Continua specificando nel dettaglio gli obiettivi di Vision 2020: “Questi progetti costituiscono una delle più spettacolari trasformazioni del waterfront di tutta la storia americana. Continueremo ad utilizzarli come motore della crescita economica dell’America e ad investire in iniziative che aiuteranno i newyorkesi a rendere i loro quartieri verdi e a costruire una città più sostenibile sul piano economico”. Per il sindaco, la superficie d’acqua in senso lato, è considerata ormai il “sesto distretto” di New York4. I programmi d’azione proposti sono orientati ad estendere l’accessibilità pubblica all’acqua, a rivitalizzare il waterfront, a favorire la creazione di posti di lavoro, a migliorare la qualità delle acque, a rinaturalizzare la costa, a valorizzare una “rete blu” (Blue Network) in tutta la città, a migliorare la governance urbana e, infine, ad incrementare la “resilienza climatica”. Tali obiettivi sono successivamente declinati quartiere per quartiere. Un’agenda stabilisce inoltre un elenco di “progetti prioritari”, sostenuti e sviluppati da un numero importante di agenzie e partner semi-pubblici, come la New York City Economic Development Corporation, molto vicina agli investitori e al business newyorkese, i dipartimenti municipali Parks & Recreation e Environnemental Protection, e certamente il noto Department of City Planning. Due progetti recenti sono emblematici in tal senso: la trasformazione della High Line, una passeggiata di 2,5 km nel cuore del West Side di Manhattan, realizzata su un’antica linea ferroviaria sopraelevata utilizzata per il trasporto delle merci nel distretto industriale Meatpacking, e la costruzione del Brooklyn Bridge Park ai piedi del ponte di Brooklyn, entrambi realizzati sotto il mandato Bloomberg con un importante contributo da parte del settore privato. Tra la primavera e l’autunno 2010, la municipalità ha avuto modo di valutare l’interesse dei newyorkesi verso questo tipo di politica, in occasione di una serie di incontri e di workshop organizzati nei cinque distretti, ai quali hanno partecipato direttamente un migliaio di abitanti e di rappresentanti delle comunità. Gli stessi hanno elaborato diverse centinaia di raccomandazioni e di osservazioni sul progetto Vision 2020. Si tratta dell’inizio di una nuova mobilitazione che, alla fine del terzo mandato di Michael Bloomberg, risulta articolata su tali tematiche e contribuisce al successo democratico e all’elezione netta di un sindaco “radicale” (in senso americano), Bill de Blasio, ex mediatore della città di New York5. Perché se Vision 2020 sostiene un ampliamento delle politiche di riconquista urbana del fronte d’acqua ed è pensato per “far fronte alle sfide del cambiamento climatico e 4 Facendo riferimento alla storia di New York e ai suoi cinque distretti (Manhattan, Brooklyn, Bronx, Queens e Staten Island), riuniti in una sola entità amministrativa e politica nel 1898. 5 Con un risultato eccezionale del 73% dei voti, contro il 24% per il candidato repubblicano Joe Lhota.
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4 - La trasformazione della High Line ha generato un importante processo di gentrificazione nella zona sud-ovest di Manhattan.
5 - Nella pagina seguente, in alto: un patrimonio di qualità, ma spesso degradato (© Pierre Gras, 2011). 6 - Nella pagina seguente, in basso: una vista dell’antico stabilimento Domino Sugar, nella zona di Williamsburg (© Pierre Gras, 2011).
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dell’innalzamento del livello dei mari”, si può affermare che presto i newyorkesi prenderanno questi obiettivi alla lettera. Mentre i quartieri popolari sono stati gentrificati al ritmo della “riconquista”, le organizzazioni comunitarie hanno preso consapevolezza dei problemi, sia demografici che elettorali, e del loro peso, avendo la comunità ispanica svolto un ruolo chiave accanto alle organizzazioni afro-americane tradizionalmente attive. Solo i circoli di attivisti fino ad allora erano stati portatori di tali tematiche e avevano difeso in particolare il libero accesso al waterfront privatizzato da molteplici attività, industriali e non. Alcune decine di attivisti, pionieri o incoscienti, praticavano la canoa sull’East River o sul canale Gowanus, riconosciuto nel 2010 come uno dei maggiori siti inquinati del territorio americano, come gesto di sfida contro gli abusi del periodo industriale o la relativa indifferenza del potere politico. Progressivamente, queste iniziative sono state promosse da gruppi che reclamavano un accesso all’acqua più democratico, riconversioni meno selettive destinate alle classi svantaggiate e nuovi posti di lavori – “verdi” o no, purché esistano – in grado di permettere alla popolazione povera di beneficiare allo stesso modo della nuova crescita e dell’attrattività ritrovata della città. L’abbandono di una parte dei quartieri meno ben “collocati” sulla scala di questa riconquista è servito da motore per tali rivendicazioni. E questa logica ha presto debuttato in ambito politico.
Una rottura nell’azione municipale? Nel corso della sua campagna di successo, il nuovo sindaco Bill de Blasio ha più volte dichiarato che avrebbe condotto una politica “di rottura” rispet-
to a quella del sindaco precedente che, durante i dodici anni del suo mandato, si era posto l’ambizione “di attirare i ricchi, le classi creative e i turisti, offrendo una serie di servizi urbani, cosa che ha contribuito al processo di gentrificazione non solo di Downtown e Midtown, ma anche di Harlem e Brooklyn”6. Bill de Blasio ha utilizzato la metafora della “storia delle due città” per evocare i contrasti sociali (un quinto dei newyorkesi possono essere considerati poveri secondo i criteri dell’ufficio locale del censimento). È possibile immaginare che una netta inflessione sarà data a questa politica proattiva e univoca di sviluppo della costa newyorkese. Questa dovrà tener conto di tale capacità di mobilitazione delle comunità locali “in un contesto fortemente segnato dalla rivalità intermetropolitana e da programmi incentrati su una politica di attrattività territoriale”. Resta da comprendere in quale forma e a vantaggio di quali progetti specifici questo orientamento strategico sarà gestito e se, come tra l’altro ipotizzato, il patrimonio del waterfront industriale e portuale avrà un ruolo maggiore. Diversi fattori possono contrastare questa volontà di “rottura” e lo sviluppo “democratico” del litorale. Innanzitutto, la dimensione climatica del problema. L’uragano Sandy, che ha travolto la costa nord-orientale degli Stati Uniti nell’ottobre 2012, è stato definito come la “tempesta del secolo” dagli esperti, che stimano nel corso dei prossimi 20 anni che tali eventi potrebbero riproporsi su una scala senza precedenti. Questa catastrofe - il cui costo umano e materiale è stato estremamente elevato (100 morti, di cui 40 a New York, e 50 miliardi di dollari di danni) - ha messo in evidenza la fragilità delle infrastrutture delle città costiere (metropolitane, tunnel, centrali elettriche, infrastrutture portuali) che sono state gravemente colpite. Questo ha incoraggiato le autorità locali ad anticipare e a prevenire questo tipo di rischi climatici per rendere New York meno vulnerabile, cosa che potrebbe tradursi in costi significativi per la collettività. Per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile, New York non è tuttavia da meno da dieci anni, anche se l’uso diffuso della climatizzazione e la congestione permanente del trasporto urbano restano un problema in una città che ha l’obiettivo di ridurre del 30% le sue emissioni di gas ad effetto serra entro il 2030. Un’estrema attenzione deve essere prestata quindi per quanto riguarda gli sviluppi futuri, che coinvolgono questo patrimonio litoraneo attrattivo ma fragile. Peraltro, il contesto economico generale pesa fortemente su un progetto del genere. Negli Stati Uniti, è imperativo che capitali, promotori e clienti siano coinvolti, il che comporta forti vincoli di redditività per ogni progetto. L’atteggiamento delle autorità responsabili della “riqualificazione” appare ambivalente. Perché il desiderio di ottenere un’immagine sempre più prestigiosa, in particolare attraverso la realizzazione di nuovi waterfront con grandi architetture, o di migliorare la qualità della vita attraverso la natura e gli spazi pubblici che le malelingue chiamano “effetto cappuccino” entra inevitabilmente in conflitto con la tutela della memoria industriale e del patrimonio portuale, e talvolta con l’attaccamento della popolazione al proprio quartiere, che questa è chiamata in gran parte a rivendicare quando la riconversione si fa troppo eccessiva. 6 Il numero annuale di turisti che visitano New York è passato da 35 milioni nel 2001 a 52 milioni nel 2013.
TRASPORTI & CULTURA N.41 Infine, la domanda sociale si fa più forte in materia di occupazione e di sicurezza urbana, le disparità territoriali e le disuguaglianze sociali tra i quartieri sono in crescita in queste zone, con la componente di rischio che esse rappresentano sull’intero progetto politico di ricomposizione urbana. New York sorprende sempre per la sua capacità di reinvenzione. Da questo punto di vista, il progetto sociale della municipalità di Blasio non può essere paragonato ad una semplice “deformazione” del progetto di modernizzazione di Michael Bloomberg. Dovrà effettivamente coinvolgere più ampi settori della popolazione newyorkese e mostrare risultati tangibili nel breve termine, soprattutto in materia di trasporto pubblico e di gestione di nuovi spazi pubblici legati a tali sviluppi7. A beneficio, possiamo sperare, di una nuova immagine di metropoli capace di riconciliare i newyorkesi con il loro porto e con l’intero litorale fluviale e marittimo.
Bigliografia Bergeron L. & Maiullari-Pontois M.T., 2000, Le patrimoine industriel des États-Unis, Paris, Hoëbeke, 288 p. Cardia C., 1987, Ils ont construit New York: histoire de la métropole au XIXe siècle, Chêne-Bourg, Georg éd., 256 p. Chaline C. & Rodrigues-Malta R., 1994, Ces ports qui créèrent des villes, Paris, L’Harmattan, 300 p. Charyn J., 1994, New York; chronique d’une ville sauvage, Paris, Gallimard Découverte, 176 p. Condit C., 1981, The port of New York: A history of the rails and terminal system from the Grand Central Electrification to the present, Chicago, Chicago University Press, 2 vol. Demangeon A., 1931, «Le port de New York», in Annales de Géographie n. 224, vol. 40, 205-208. Marshall R., 2001, Waterfronts in Post-industrial Cities, New York, Spon Press, 207 p. Masboungi A. & Cohen J.-L. (dir.), 2014, New York, réguler pour innover. Les années Bloomberg, Marseille, Parenthèses, 224 p. Roncayolo M., 2002, Lectures de ville; formes et temps, Marseille, Parenthèses, 394 p. Sassen S., 1996, Les villes globales; New York, Londres, Tokyo, Paris, Descartes et Cie, 530 p. Vermeersch L., 1998, La ville américaine et ses paysages portuaires: entre fonction et symbole, Paris, L’Harmattan, 206 p. Weil F., 2000, Histoire de New York, Paris, Fayard, 378 p.
7 Bill de Blasio ha in particolare annunciato che rimetterà in causa (discussione) il principio di fabbricazione o di gestione di parchi e ampi spazi verdi da parte di associazioni sovvenzionate o direttamente da parte del settore privato, sistematizzato sotto il mandato di Bloomberg.
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Da Despina a Valdrada, eterotopie del Golfo Persico di Cecilia Scoppetta
In due modi si raggiunge Despina: per nave o per cammello. La città si presenta differente a chi viene da terra e a chi da mare. Il cammelliere che vede spuntare all’orizzonte dell’altipiano i pinnacoli dei grattacieli, le antenne radar […] pensa a una nave, sa che è una città ma la pensa come a un bastimento che lo porti via dal deserto, un veliero che stia per salpare, col vento che già gonfia le vele non ancora slegate, o un vapore con la caldaia che vibra nella catena di ferro, e pensa a tutti i porti, alle merci d’oltremare che le gru scaricano sui moli, alle osterie dove equipaggi di diversa bandiera si rompono bottiglie sulla testa […]. Nella foschia della costa il marinaio distingue la forma d’una gobba di cammello, d’una sella ricamata di frange luccicanti tra due gobbe chiazzate che avanzano dondolando, sa che è una città ma la pensa come un cammello dal cui basto pendono otri e bisacce […] e già si vede in testa a una lunga carovana che lo porta via dal deserto del mare, verso oasi d’acqua dolce all’ombra seghettata delle palme, verso palazzi dalle spesse mura di calce, dai cortili di piastrelle […]. Ogni città riceve la sua forma dal deserto a cui si oppone; e così il cammelliere e il marinaio vedono Despina, città di confine tra due deserti. Italo Calvino, Le città invisibili,1993
Il modello insediativo storico tra nomadismo e sedentarietà La Despina descritta da Calvino riproduce poeticamente la tradizionale rappresentazione dicotomica dei popoli arabi, fondata sull’intima relazione tra nomadi e cittadini – tra natura e cultura – dove, lo spazio della legge (bled al-makhzen) convive con quello dell’insubordinazione (bled as-siba) (Petruccioli, 1985), consentendo l’interiorizzazione dell’Altro e non la sua espulsione come “diverso” o “barbaro”, tipica della cultura occidentale. Le radici di tale rappresentazione dicotomica sono da ricercare nel rapporto delle popolazioni del deserto con il proprio territorio, dove momenti di accentramento e di edificazione urbana si alternano a fasi di dispersione, proprie della vita erratica e pastorale. Gli insediamenti, infatti, sono disposti lungo le direttrici che permettono le relazioni tra la costa e l’interno e, anche se di modeste dimensioni, le stesse oasi hanno sempre caratteristiche urbane, in quanto luoghi di sosta per le carovane e di scambio di merci: l’attività agricola, legata alla presenza dell’acqua, è certamente una componente primaria dell’economia dell’oasi, ma non la sola (Laureano, 1995). La dimensione del viaggio, dello spostamento, del commercio è quindi indispensabile per comprendere la struttura organizzativa e sociale dello spazio arabo. Secondo lo storico Ibn Khaldun, vissuto nella Spagna araba del XIV secolo, la società
From Despina to Valdrada, heterotopias in the Persian Gulf by Cecilia Scoppetta The aim of the paper is to analyse the features of the distinctive urban segregation pattern that first emerged in the Arab Gulf seaport-cities as a result of both their specific historical path and globalization process, and then spread to Western countries by way of the current financial-economic crisis. Starting from their origins, determined by their position on the border between the desert and the sea, Arab Gulf cities are described across their successive historical stages, highlighting the links that still exist between spatial and social order. The current fragmented spatial pattern based on segregation generates a hybrid world-city model, where the concept of “island” appears as a crucial key to understanding this sort of contemporary “urbanity”: not only the artificial islands and a seascape in which it may soon be difficult to differentiate what is natural and what is built, but the thematic Free Trade Zones as well, the gated communities and the labour camps on the edge of the desert that are part of the official city even if they were built by the immigrants who live there, and the off-shore heterotopias. In this sense, one could say that the concept of “island” may actually be seen as a social program inscribed in the space (a sort of urban lapsus linguae). The paper underlines the need to focus on how such a peculiar urban pattern comes to place the meaning itself of city and public space in a very critical position.
Nella pagina a fianco: grattacieli a Dubai.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 dove l’organizzazione itinerante che assicura i trasporti ha un ruolo e un valore pari ai poli del sistema. Richiedendo nei diversi luoghi di sosta le medesime condizioni di supporto, l’attività commerciale contribuisce a spiegarne la trama organizzativa urbana omogenea: il palmeto, il serraglio per le carovane, il cimitero ed il luogo di culto all’esterno dell’abitato, l’asse del mercato percorribile senza penetrare il tessuto delle abitazioni private, i grandi edifici religiosi con i bagni e gli alberghi. Sarebbe, tuttavia, fuorviante pensare a un modello costituito da due mondi separati - le carovane in perenne movimento e le città come “stazioni di servizio” - perché si tratta, in realtà, di due aspetti dello stesso fenomeno, dove la città si organizza e struttura le vie commerciali, ma, al tempo stesso, è la carovana che crea il centro urbano. Infatti, per dimensione, organizzazione, popolazione e varietà di beni e strutture trasportate, le periodiche grandi carovane possono essere considerate come vere e proprie “città in movimento”. La tradizione delle grandi carovane, del resto, è molto arcaica e risale alla storia mitica dei popoli: si pensi, ad esempio, all’epopea ebraica o alle grandi dinastie di re persiani, fondate su una capitale itinerante. Quando la carovana sostava, l’accampamento rispondeva a precisi principi organizzativi e difensivi dall’impianto simile ad un agglomerato urbano, la cui matrice era data dalle strutture idriche e di produzione agricola, con al centro una cittadella in muratura, luogo di deposito collettivo delle merci, intorno al quale venivano disposte le tende destinate, nel tempo, a divenire edifici residenziali. Il mercato costituiva l’ultima struttura a divenire stabile: legato ai movimenti commerciali, tendeva infatti a mantenere a lungo una organizzazione mobile o precaria. Questo processo spiega perché le città arabe presentano spesso una struttura doppia, dove il centro urbano, una volta formato e cinto da mura, tendeva a ricreare all’esterno un nuovo spazio per la carovana che, col tempo, poteva dare origine ad una nuova agglomerazione.
Tra mare e deserto: le città-porto del Golfo Persico
1 - Percorsi carovanieri, principali oasi, centri di pellegrinaggio e città-porto nella Penisola Araba prima della scoperta del petrolio. 2 - Città petrolifere, centri industriali (raffinazione), autostrade e giacimenti esistenti.
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(umran) si fonda sui due poli della vita nomade (badiya, da cui “beduino”) e sedentaria (hadra), la prima caratterizzata dall’utilizzo diretto della natura e dalla soddisfazione dei bisogni elementari, dove a dominare sono i rapporti di fierezza e di lignaggio; la seconda basata sulla trasformazione della natura e sulla divisione del lavoro, che determina le classi e l’emergere di una aristocrazia economica (Ibn Khaldun, 1978, I, p. 241). Non a caso, anticipando sorprendentemente la potente metafora contemporanea del network, nel Corano (Sura XII) il mondo è visto come una rete di città lontane connesse dalle carovaniere,
Collocati al termine delle vie carovaniere che, muovendo dai porti sul Mar Rosso, attraversavano la penisola arabica centrale passando per il nodo de La Mecca, le città-porto del Golfo Persico non costituiscono un’eccezione alla regola generale. Si tratta, infatti, di città murate, con edifici in terra cruda, sorte in relazione alla pesca delle ostriche perlifere e al loro commercio. Sebbene le sabbie mobili e le paludi costiere della regione di Al-Hasa non favorissero l’approdo, a partire dal VII sec. d. C. - divenuti insicuri i precedenti itinerari verso l’India (come, ad esempio, quello che passava per Petra) a causa delle continue guerre tra Bizantini e Persiani - questi centri costieri dall’entroterra limitato ed arido acquisirono importanza, soprattutto dopo l’avvento degli Abbasidi (750-1258) ed il trasferimento del Califfato a Baghdad. L’intenso traffico marittimo che ne derivò era dato dalla collocazione di Bassora, il porto della capitale, presso lo Shatt Al-Arab, cioè il corso d’acqua navigabile formato dal Tigri e dall’Eufrate, il cui delta sfocia nel Golfo Persico. L’antico villaggio di pescatori si strutturò, quindi, intorno al commercio marittimo e ad attività com-
TRASPORTI & CULTURA N.41 merciali di limitate dimensioni, legate alla costruzione e riparazione di imbarcazioni. Del resto, date le difficili condizioni ambientali, questi centri urbani - la cui popolazione poteva variare da 2.000 a 15.000 abitanti - non erano in grado di sostenersi grazie ad una propria produzione agricola. Soprattutto in casi come quello di Doha (Qatar) - il cui entroterra è costituito da un deserto pietroso che occupa un altopiano calcareo, con precipitazioni che non superano i 100 mm annui - il necessario approvvigionamento non poteva provenire dalla troppo lontana oasi di Hufüf, pur essendo questa una delle più vaste d’Arabia grazie alla presenza di numerose sorgenti calde e fredde alimentate da un’ampia falda sotterranea. Gli scambi commerciali costituivano, quindi, la modalità di approvvigionamento privilegiata, basata sull’importazione di grano, acqua, spezie e materie prime e sull’esportazione verso l’Iran, l’Iraq, l’India e l’Africa orientale di perle, cammelli e burro. Tale economia urbana, basata sul commercio marittimo e su quello carovaniero, costituiva il principale fattore di trasformazione della tradizionale organizzazione socio-economica tribale, sostanzialmente autosufficiente, introducendo inedite forme di divisione del lavoro, in grado di dar luogo al formarsi di differenti classi sociali. Da un lato, quindi, i mercanti (al-tujjar), proprietari delle imbarcazioni, il cui benessere economico era dato dal controllo dei mezzi di produzione (Al Falah, 1983). Dall’altro, la fascia di popolazione, quantitativamente più ampia, dei pescatori di perle (al-ghasa) e dei marinai, formava un proletariato urbano collocato, però, all’interno di un sistema politico ed economico arcaico, in cui i rapporti di produzione si estendevano al di là del processo produttivo, permeando l’intera struttura delle relazioni sociali. Coltivatori delle oasi all’esterno delle mura urbane (alcuni dei quali proprietari di piccoli appezzamenti, ma la maggior parte braccianti su terreni di proprietà degli sceicchi o delle famiglie benestanti), carpentieri e manovali impegnati nei cantieri navali o nell’edilizia, pastori beduini, artigiani, bottegai, pescatori, religiosi delle scuole coraniche, funzionari, membri dei corpi di guardia delle famiglie dominanti formavano una classe intermedia. Tale stratificazione sociale trovava corrispondenza nell’organizzazione urbana, dove quartieri ben distinti contribuivano, almeno in parte, al consolidamento di nuove “micro-identità”, superando le vecchie appartenenze tribali, basate su legami di sangue.
Un improvviso illimitato benessere In coincidenza con la caduta dell’impero ottomano, la scoperta di ingenti giacimenti petroliferi e l’avvio dell’esportazione su vasta scala della preziosa risorsa determinarono nei Paesi del Golfo Persico la trasformazione radicale dei precedenti assetti socio-economici. La dimensione di tale trasformazione è data dall’unanimità, da parte della comunità scientifica locale, nell’individuare due fasi ben distinte (“pre-oil” e “post-oil”) nello sviluppo storico dei paesi dell’area. Del resto, circa il 50% delle riserve petrolifere mondiali si trova nei Paesi del Golfo e, per di più, con costi di estrazione ridotti per via della scarsa profondità dei depositi. Verificatasi in un arco di tempo brevissimo, la “rivoluzione petrolifera” - “dagli stracci alla ricchezza”,
secondo Al-Fahirn, 1996 - ha infatti modificato radicalmente non soltanto la struttura socio-economica, ma anche quella urbana, trasformando i piccoli centri portuali dalle povere architetture in terra cruda in scintillanti capitali connesse, nel contesto della globalizzazione, alle principali “world cities”. A partire dagli anni ’70 – quando, durante la crisi del ’73, legata alla guerra arabo-israeliana, i prezzi del petrolio salirono alle stelle – i Paesi del Golfo Persico hanno conosciuto un benessere senza precedenti, poiché la redistribuzione dell’ingente surplus di capitali si è tradotto in un altissimo livello di reddito pro-capite che ha fatto sì che il benessere così rapidamente e facilmente raggiunto fosse percepito come illimitato, vero e proprio “dono di Dio” (Khalaf, 1992). L’improvvisa ed inaspettata ricchezza d’un tratto permise – a Paesi ancora strutturalmente arcaici, con un’economia di sussistenza, che non avevano conosciuto alcuna rivoluzione industriale – l’acquisto di tecnologie sviluppate nel corso di più di due secoli dall’Occidente industrializzato, consentendo anche rilevanti investimenti esteri in settori strategici e livelli di consumo impensabili in qualsiasi altra parte del mondo. Letteralmente spazzate via le attività economiche tradizionali, ridotte a manifestazione folkloristica, venne avviato un processo di industrializzazione inizialmente basato sull’investimento pubblico in interventi spesso sovradimensionati – oltre alle raffinerie, impianti di trasformazione dell’alluminio o di desalinizzazione delle acque marine, porti
3 - L’hotel a 7 stelle “Burj AlArab” a Dubai.
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4 - Livelli di democrazia ed estrazione petrolifera.
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ed aeroporti – che innescarono rilevanti fenomeni migratori verso le aree urbane. In seguito l’intervento pubblico fu re-indirizzato verso la produzione di beni di consumo, in modo da ridurre le importazioni. A partire dalla metà degli anni ’90, le radicali trasformazioni connesse alla scoperta dei giacimenti petroliferi hanno dato luogo all’emergere di una specifica tipologia sociale – definita dagli studiosi locali (Khalaf & Hammoud, 1987) come al-mujtama’t al-naftiyarn (“società petrolifere”) – che, nelle sue caratteristiche socio-antropologiche e strutturali, differisce sia dalle società tipiche del capitalismo avanzato che dalla tipologia identificata da Shils (1963) e Geertz (1963) come “Terzo Mondo emergente”. Né – per i livelli di benessere e reddito pro-capite, dimensione della popolazione e della quota di lavoratori immigrati – si può paragonare l’organizzazione sociale dei Paesi del Golfo con quella degli altri stati produttori di risorse energetiche, quali l’Iran, l’Iraq, l’Algeria, la Nigeria o il Venezuela. Oltre a condizioni climatiche ed ecologiche, evoluzione storica, caratteri demografici, aspetti linguistici, culturali e religiosi, tali “società petrolifere” condividono, infatti, la prosperità apparentemente illimitata derivante dall’estrazione petrolifera che, a sua volta, ha dato luogo ad analoghe trasformazioni, modalità di sviluppo, criticità e livelli di integrazione nel contesto della cosiddetta “world economy”. Grazie al surplus di capitali, la modernizzazione si è tradotta, in sostanza, nella trasformazione degli antichi al-tujjar in agenti di compagnie multinazionali (Ansari & Qutub, 1983) volte a soddisfare, attraverso il più alto livello di importazioni al mondo, una inesauribile domanda di beni di lusso corrispondente ai nuovi stili di vita improntati ad un insostenibile consumismo. In tal modo, le economie dei Paesi del Golfo sono divenute quasi del tutto dipendenti dagli introiti 128
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petroliferi, definendo il modello che Khalaf e Hammoud (1987) chiamano «the oil mode of production» che, con una accelerazione senza precedenti, ha finito per “dare forma” ad ogni aspetto della vita sociale.
Paternalismo e dipendenza Inizialmente, secondo una logica ancora colonialista, l’estrazione petrolifera era limitata ad alcune enclaves isolate di proprietà di compagnie – come, ad esempio, la Shell Company of Qatar (del gruppo Royal Dutch Shell) – che si occupavano anche della gestione e della commercializzazione. In seguito, il diretto e completo controllo delle risorse petrolifere è passato nelle mani delle diverse famiglie regnanti. Ciò ha consentito agli sceicchi di liberarsi della necessità di dover di volta in volta trovare forme di mediazione con le altre famiglie mercantili, come, invece, avveniva nella fase pre-petrolifera, quando il controllo dei mezzi di produzione (le navi) era condiviso e richiedeva necessariamente un’accorta strategia di alleanze, estesa alle tribù beduine, in grado di assicurare una protezione militare. Conseguenza del nuovo assetto di potere è che l’inaspettato benessere non deriva dalle forze sociali produttive, ma viene re-distribuito “dall’alto” attraverso uno sterminato apparato burocratico, che Al-Rumaihi (1983) definisce «beducrats». In tal modo, lo “Stato petrolifero” (dawlat al-naft) ha finito per estendersi ben oltre il semplice controllo dei mezzi di produzione (Ismael, 1982) – che, in ogni caso, non riguardano soltanto le risorse petrolifere, ma anche le più rilevanti attività nel settore commerciale, industriale e finanziario (per non parlare dei terreni, soprattutto edificabili) – ed arrivando ad invadere ogni spazio, anche privato, della vita sociale, in modo paradossalmente ana-
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5 - Lavoratori immigrati nei Paesi del Golfo.
6 - Principali comunità immigrate nei Paesi del Golfo (in migliaia).
logo all’approccio tipico dei Paesi del Patto di Varsavia. Un esempio in questo senso è dato dal modello di industrializzazione prescelto: inizialmente, infatti, il settore industriale era strettamente legato – direttamente o indirettamente – al ciclo del petrolio, mentre tutti gli altri elementi del processo produttivo (forza lavoro, materie prime, competenze specifiche, ecc.) dovevano essere necessariamente importati. Di conseguenza, l’intero settore industriale era sostenuto dal finanziamento pubblico, che a sua volta derivava dalle esportazioni petrolifere. Quello dello “Stato petrolifero” è quindi un volto paternalistico, dominante su ogni aspetto della vita quotidiana in quanto in grado di provvedere, attraverso la re-distribuzione del benessere petrolifero, a qualsiasi necessità: non soltanto in termini di infrastrutture pubbliche, ma anche mediante un sistema di welfare del tutto inimmaginabile nei Paesi dell’Occidente avanzato. Si tratta, cioè, di una struttura di potere del tutto asimmetrica, in grado di produrre non “cittadini” ma – utilizzando le parole di Al-Falah (1983) – parassitari “recipients”, “charity seekers” che “work little and produce nothing”. Sullo sfondo della “dependency syndrome” (Nagi, 1986) prodotta da un’economia quasi completamente basata sull’esportazione delle risorse energetiche, la re-distribuzione dello “Stato petrolifero” tende quindi a tradursi in assistenzialismo, la cui conseguenza più evidente consiste nella necessità di “importare” non soltanto forza lavoro non qualificata, da impiegare nel processo di estrazione e raffinazione petrolifera o nei servizi, ma anche le competenze adeguate a sostenere un livello di sviluppo più che avanzato (Ibrahim, 1982). Per questo motivo i Paesi del Golfo costituiscono oggi una delle principali destinazioni dei flussi migratori globali (Castles & Miller, 1998; Nayyar, 2002; Castree et al., 2004). Di conseguenza, in ciascuno di questi Paesi, la popolazione autoctona, pur se privilegiata, è ormai divenuta minoritaria. A causa delle affinità linguistiche, culturali e religiose, inizialmente la forza lavoro straniera proveniva dai Paesi arabi circostanti, ma ben presto la diffusione delle ideologie sociali e politiche radicali - quali il marxismo o il panarabismo, che rivendicavano l’abolizione della monarchia o il
ripensamento dei confini nazionali intesi come artificiose imposizioni dell’Occidente imperialista - cominciò ad essere percepita come pericolosa minaccia per la stabilità interna e, nei decenni successivi, ai lavoratori stranieri provenienti dai Paesi arabi vennero preferiti gli immigrati asiatici, più facili da licenziare, ritenuti più efficienti, obbedienti e gestibili (Ghobash, 1986), anche perché tendenti a non trasferirsi con le proprie famiglie (e, quindi, non intenzionati a rimanere a lungo). Accanto ai milioni di lavoratori non qualificati, provenienti dal sud-est asiatico ed impiegati mediante contratti a termine e con bassi salari, anche molti consulenti e manager europei, nordamericani e australiani contribuirono ad ingrossare le fila dell’immigrazione nei Paesi del Golfo.
Petro-urbanistica Lo “Stato petrolifero”, con i suoi caratteri di dipendenza, trova la sua espressione fisico-spaziale in uno specifico modello urbano, la cosiddetta “oilcity” (Khalaf, 2006), definita attraverso quello che Riad (1981) ha definito «petro-urbanism». Si tratta di un modello che non può essere pienamente compreso se non collocato nel contesto più ampio delle peculiari dinamiche dell’economia petrolifera all’interno dei processi di globalizzazione. Infatti, pur se organizzati in relazione all’attività estrattiva, non è possibile interpretare i centri urbani dei Paesi del Golfo come “città industriali”, dato che il processo di industrializzazione che li ha strutturati non è paragonabile a quello verificatosi negli altri cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, dove urbanizzazione e industrializzazione sono fenomeni verificatisi in modo graduale, pur se con un’accelerazione rispetto al passato. Inoltre, alla velocissima trasformazione e alle asimmetrie nella composizione demografica e dei settori economici si aggiunge la collocazione costiera, dove la realizzazione di nuove ed imponenti infrastrutture portuali ha sostituito le originarie attività legate alla pesca, finendo paradossalmente per introdurre fattori di tolleranza culturale non riscontrabili in altri Stati islamici conservatori. Anche il ruolo di città capitale di Stati sostanzialmente privi di territorio contribuisce a definire la specificità di questi centri urbani, nei quali si concentrano, oltre 129
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7 - Un nuovo insediamento a Dubai.
alla maggior parte della popolazione, le principali attività economiche, funzioni amministrative e di governo. Ulteriori fattori di differenziazione sono dati dalle specifiche modalità di diretto e pervasivo controllo, da parte dello Stato “elargitore” (cioè della famiglia regnante), su ogni aspetto della vita dei propri cittadini-sudditi e sui mezzi di produzione. Ma è soprattutto il possesso della totalità del territorio da parte degli Sceicchi a far sì che quest’ultimo possa essere inteso come “tabula rasa” - oltre tutto non investito dai processi di urbanizzazione spontanea, propri dei cosiddetti “Paesi in via di sviluppo”, né dai fenomeni di dismissione industriale tipici dell’Occidente industrializzato - insieme alla propensione, da parte della popolazione autoctona, verso l’insediamento a bassa densità (con il conseguente abbandono della città vecchia) a definire, sotto il profilo fisico-spaziale, il modello della “oil-city” la cui espansione orizzontale è indirettamente proporzionale alla dimensione demografica. Infatti, all’inizio del processo di “urbanizzazione petrolifera”, le tradizionali città-oasi cominciarono ad espandersi oltre gli antichi confini, definiti in relazione alle esigenze di approvvigionamento. In questo senso, l’abbattimento delle mura urbane e la conseguente dissoluzione dell’originaria forma compatta costituirono il primo effetto del processo di “petro-urbanizzazione”, destinato a produrre una delle più basse densità insediative del mondo. Nella “oil-city” che ne è derivata possono, quindi, essere individuati tre ambiti ben distinti: l’antica città vecchia, il nuovo centro degli affari ed i suburbi periferici, che costituiscono l’area dimensionalmente più rilevante, organizzata secondo una rigida maglia ortogonale, dove strade ed autostrade definiscono i lotti quadrati degli insediamenti residenziali. La trasformazione urbana, nei Paesi del Golfo, sembra essersi verificata, infatti, secondo modalità differenti da quelle tipiche delle città coloniali, dove la “città nuova” dei colonizzatori tende a collocarsi accanto ed, in qualche modo, in contrasto rispetto a quella “vecchia” preesistente. Ciò non è affatto casuale: eccetto il Bahrain, i Paesi del Golfo non hanno conosciuto un periodo coloniale e la modernizzazione ha seguito un percorso differente. Non è stata imposta dall’alto e dall’esterno, ma
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è stata – piuttosto – adottata o, meglio, importata. Sotto il profilo fisico-spaziale, ciò non ha comportato – quale espressione tangibile dell’istaurarsi di un nuovo ordine – l’accostamento di un nuovo centro coloniale accanto a quello preesistente: la modernizzazione ha, piuttosto, investito il vecchio centro urbano, distruggendolo insieme agli antichi modelli socio-culturali che vi trovavano espressione. Anche le antiche relazioni tra la città e il mare, basate sulle attività legate alla pesca, si sono trasformate, permanendo simbolicamente nella forma di ciò che Khalaf (1992) efficacemente definisce “state-supported annual production of nostalgia”, volte ad intensificare la percezione del raggiunto illimitato benessere, così differente dal vecchio ayyam al-faqr (“tempo della povertà”). È il caso, ad esempio, della celebrazione annuale dell’indipendenza nazionale del Kuwait, chiamata youm albahhar al-Kuwaiti (“il giorno del pescatore kuwaitiano”), o del youm al-badiya (“giorno del deserto”) o, ancora, della ihya thikra al-ghous (“commemorazione della pesca delle perle”). Anche per quanto riguarda le specifiche modalità di trasformazione urbana nelle città dei Paesi del Golfo, differentemente dai centri di antica industrializzazione (in Occidente, ma anche nei Paesi ex-comunisti), più che di “rigenerazione urbana” si può parlare di vera e propria “generazione” urbana (Pacione, 2005). Nel suo insieme, la “oil-city” può essere vista come vera e propria antitesi della città preesistente, proprio come la villa mono o bi-familiare rispetto alla tradizionale tipologia dell’edificio a corte interna. Se, infatti, si può dire che la forma urbana tradizionale, basata sul criterio di adattamento al difficile ambiente desertico, costituisca il modello più interessante dal punto di vista ecologico, per via della capacità di ri-utilizzazione delle risorse, la “oil-city” si configura come il suo perfetto opposto, dati i livelli altissimi di consumo di energia per abitante. Una ulteriore caratteristica distintiva della oilcity, dovuta all’abbondanza di petrolio e alla bassa densità abitativa, consiste nel predominio dell’automobile. Non che manchino i trasporti pubblici: questi, tuttavia, vengono utilizzati soltanto dagli lavoratori immigrati e, di conseguenza, vengono anche simbolicamente associati al
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8 - Modelli insediativi della popolazione autoctona.
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9 - Modelli insediativi dei lavoratori immigrati.
bar, caffè e ristoranti alla moda in cui sono impiegati i lavoratori immigrati sottopagati, ma anche delle più avanzate innovazioni tecnologiche e, soprattutto, di aria condizionata che, durante la stagione calda e umida (circa metà dell’anno), attrae migliaia di visitatori-consumatori. Oltre a determinare i più alti livelli di spreco di risorse energetiche al mondo, questi “paradisi artificiali” tendono a riflettere “the dream image of the global economy” (Kanna, 2003), contribuendo alla produzione di “global subjectivities”, cioè alla costruzione di immaginari e discorsi omologanti. Ma, forse, la caratteristica peculiare della “oil-city” – che, in fondo, riassume tutti gli elementi evidenziati in precedenza – riguarda la dimensione segregativa della sua struttura fisico-spaziale che, secondo Dresch e Piscatori (2005), può essere interpretata come espressione di un sistema di casta de facto, basato non su fattori religiosi, etnici o tribali, ma sul rapporto tra nazionalità, proprietà e reddito che, a sua volta, può essere ricondotto al generoso “wealthfare” (Nagi, 1986) derivante 131
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10 - Usi del suolo previsti a Dubai nel 2030. 11 - Tipologie urbane previste a Dubai nel 2030.
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dalla “sindrome da dipendenza” dovuta al surplus petrolifero. Infatti, soltanto alla popolazione autoctona (almuwateneen) – oscillante, sotto il profilo ideologico, tra tradizionalismo e modernità, dove il consumismo recentemente raggiunto si affianca alla difesa identitaria (e dei privilegi connessi) – è consentito il possesso di terreni ed edifici o l’affitto di terreni di proprietà pubblica. Oltre a godere di un’ampia gamma di servizi pubblici ed agevolazioni, soltanto questa fascia sempre più ristretta di popolazione può inoltre usufruire dei prestiti statali non gravati da interessi (ard wa qardh) per la costruzione di una delle ville mono o bi-familiari che sembrano esprimere quella sorta di “diritto alla privacy” tipico delle aree di espansione suburbana (Nagi, 1998). Oltre a subire la condizione di “visitatore” perpetuo, data dalle difficoltà delle procedure di naturalizzazione, la popolazione immigrata (alwafadeen), invece, non usufruisce del sistema del “wealthfare” e dipende dal proprio datore di lavoro (kafeel), figura sociale emergente non soltanto dotata di privilegi legali, ma posta anche in grado
di esercitare un enorme potere dal punto di vista sociale ed economico che molto spesso si traduce in forme di sfruttamento (Khalaf, 1992). Al kafeel, ad esempio, è affidata la custodia del passaporto del lavoratore straniero così come l’organizzazione della maggior parte degli aspetti della sua vita quotidiana: abitazione, cibo, talvolta abbigliamento e, nei casi più estremi, anche il tempo libero (Longva, 1997).
Il modello emergente della città post-petrolifera L’esaurimento imminente delle risorse petrolifere e dei depositi di gas naturale costituisce il fattore principale della recente inversione di tendenza delle politiche di sviluppo dei Paesi del Golfo, le cui strategie appaiono oggi maggiormente orientate verso una diversificazione delle attività economiche al fine di spezzare la “sindrome da dipendenza”. I settori economici privilegiati sembrano essere quelli tipici delle “world cities” (Sassen, 1991): non soltanto investimenti diretti verso gli ambiti tradizionalmente legati agli scambi commerciali (potenziamento di porti ed aeroporti nell’ottica della creazione di hub internazionali), ma anche riguardanti la dimensione immateriale tipica delle economie globalizzate. Le attività privilegiate riguardano, in primo luogo, il settore finanziario (banche off-shore), ITC e media: si pensi al ruolo crescente di Al-Jazeera, la cui sede è a Doha, in Qatar. Ulteriori ambiti di investimento sono costituiti dal settore educativo e culturale, con l’istituzione del campus della Georgetown University, a Doha, che aspira ad attirare studenti da tutto il mondo, o il Guggenheim Museum di Abu Dabhi, negli Emirati Arabi, o, ancora, del nuovo Teatro dell’Opera a Dubai. A partire dagli anni ’90, l’Emirato di Dubai ha infatti indirizzato le proprie strategie di investimento verso il potenziamento dell’offerta turistica di alto livello, con la realizzazione di hotel a 5 stelle, spiagge attrezzate e shopping mall specializzati in prodotti “di lusso”. Ciò ha consentito un notevole incremento di visitatori, che sono passati dai 3 milioni del 2000 ai 7 milioni del 2007. Proprio nel 2007, inoltre, lo sceicco di Abu Dabhi Sultan Ben Tahoon, ha siglato un accordo con il Louvre, impegnandosi a versare, nell’arco di trent’anni, un miliardo di euro alla Francia in cambio della de-localizzazione temporanea di opere e know how. Sarà l’”archistar” francese Jean Nouvel a realizzare il nuovo museo dalla forma di un’enorme medusa nel distretto cultural-balneare che verrà inaugurato nel 2015, dove è prevista anche la realizzazione del Guggenheim Museum di Frank Gehry e del Performing Centre di Zaha Hadid. Si tratta di un progetto che si colloca nel quadro di un più vasto processo di monetizzazione della cultura, tipico della fase neo-liberista, che sta suscitando un vivace dibattito in Europa, riguardante non soltanto la questione delle manovalanze indiane o bengalesi senza diritto di sciopero, ingaggiate per la realizzazione degli avveniristici edifici secondo regole biasimate dalle organizzazioni umanitarie. Ci si interroga, inoltre, sul significato di una simile “esportazione” in un contesto geografico, storico e culturale così lontano, da parte di un’istituzione così strettamente connessa alla storia della Francia. Anche il settore dell’intrattenimento e dei grandi “eventi” costituisce un ambito privilegiato per gli
TRASPORTI & CULTURA N.41 investimenti delle famiglie regnanti nei Paesi del Golfo, con il torneo di Formula 1 ed i Giochi Asiatici a Doha, dove – pur se accompagnati dalle accuse di corruzione recentemente dal Sunday Times – si svolgeranno anche i Mondiali di calcio del 2020, nonostante il fatto che, anche nel periodo dell’anno prescelto (dal 19 novembre al 23 dicembre) le temperature possono ancora toccare i 31°, con un livello di umidità del 70%. Per ovviare a questo inconveniente, i dodici stadi previsti (di cui uno già esistente e due da ristrutturare), distanti non più di 50 km o un’ora di viaggio l’uno dall’altro, saranno realizzati con tecnologie eco-sostenibili e climatizzati. Una nuova rete metropolitana ed un innovativo sistema di trasporto pubblico, comprendente anche un servizio di traghetti, consentirà di spostarsi rapidamente tra le sedi di gara (oltre a Doha, i centri di Madinat Ash Shamal, Al-Khor, Umm Salal, Al-Rayyan, Lusail, Al-Wakhrah), fino alla possibilità di assistere a tre partite in un giorno. Gli strumenti utilizzati per la localizzazione di queste strategie di investimento sono di due tipi. Il primo consiste nella istituzione di Free Trades Zones (FTZ), collocate all’interno di aeroporti ed aree portuali, con tassazioni notevolmente ridotte, semplificazioni burocratiche ed una limitata, e talvolta inesistente, regolamentazione dei contratti di lavoro. All’interno delle trentasei FTZ esistenti, ad esempio, sono consentite deroghe alla regola tradizionale che, per i non autoctoni privi di cittadinanza, prevede delle restrizioni alla possibilità di stabilire attività produttive nel Paese o di acquisire quote (non più del 51%) di società locali. Oltre alla proprietà straniera del 100%, le FTZ offrono numerosi vantaggi agli investitori: nessuna imposta per 15 anni rinnovabili, libertà di rimpatriare il capitale e il reddito, nessuna imposta sul reddito personale, completa esenzione dai dazi doganali per le importazioni nella zona franca, nessuna restrizione valutaria. In sostanza, le aziende operanti nelle FTZ sono trattate come se fossero esterne agli Emirati. Grazie a queste agevolazioni, in seguito all’istituzione, nel 1985, della prima Free Trade Zone a Jebel Ali (Dubai), il modello si è rapidamente diffuso in Kuwait, Bahrain e, soprattutto, negli Emirati Arabi. Dubai Media City, all’interno della quale sono presenti la CNN e la BBC, è oggi la principale Free Trade Zone al mondo esclusivamente dedicata ai media. Le FTZ possono infatti essere “generaliste”, consentendo lo svolgimento di qualsiasi attività economica o commerciale, o “specialistiche”, permettendo cioè lo svolgimento solo di determinate attività economiche, come nel caso di Dubai Media City, di Dubai Internet City o di Dubai Health Care City, dedicata al “turismo sanitario”. Il secondo strumento utilizzato riguarda la liberalizzazione del diritto di proprietà privata, cioè la possibilità, da parte di privati anche non residenti, di possedere terreni ed edifici, pur se soltanto in alcune zone prestabilite. Ciò implica la possibilità, da parte dei non autoctoni, di acquisire lo status di residente per tre anni. Tale strumento è stato utilizzato per la prima volta a Dubai, con la legge n. 7 del 2006, in seguito ad un primo annuncio del 2002. Questa prima apertura al mercato aveva immediatamente suscitato un forte interesse degli investitori stranieri, spinti da motivazioni differenti: da un lato, gli stranieri residenti de facto, costretti all’affitto in quanto non residenti de jure; dall’altro, i nuovi potenziali residenti (tra cui, ad esempio, molti pensionati statunitensi),
attratti dalle possibilità di impiego remunerativi presso le sedi delle multinazionali. La nuova normativa, tuttavia, era diretta soprattutto ai fondi di investimento immobiliare, attratti dalla stabilità economica, dalle agevolazioni fiscali (tassazione sul reddito delle persone fisiche assente, un’unica imposta sull’attività d’impresa ed un’aliquota del 3% sul valore aggiunto), dal boom del settore del credito (prima della crisi del 2008), ma anche dalla possibilità di riciclare denaro “sporco” (gli Emirati, ad esempio, sono inclusi nelle tre black list che, ai fini della normativa italiana, individuano gli Stati a “fiscalità privilegiata”). Il decision-making, in ogni caso, rimane sempre saldamente nelle mani della famiglia regnante, che alle funzioni politiche tradizionali ha aggiunto la gestione “manageriale” di una “cosa pubblica” trattata come una multinazionale. Ciò appare evidente nei più recenti sviluppi dell’attività edilizia, dove, ad esempio, la stessa famiglia degli sceicchi Amir, negli Emirati Arabi, detiene quote non irrilevanti di società private straniere che operano nel settore delle costruzioni grazie alle aperture consentite dalla nuova normativa.
Isole di eterotopia ed iper-realtà Gli effetti dei due nuovi strumenti sullo spazio urbano sono stati rilevanti. Ad essi si può ricondurre l’emergere di uno specifico modello tanto distintivo quanto quello precedente della “oil-city”. Anche se, nonostante la loro specializzazione, tutte le città del Golfo, in quanto nodi della rete globale, senza dubbio svolgono il ruolo tipico delle «world cities» (Sassen, 1991; Friedmann, 1995), si tratta, tuttavia, di un modello che non può essere semplicemente collocato all’interno di questa categoria: semmai, può essere ricondotto al gruppo di “world cities” che Taylor (2004) definisce “wannabees”. Il marketing urbano, strettamente connesso all’industria dei media e del turismo, vi svolge infatti un ruolo non irrilevante, dando vita ad una specifica sotto-tipologia urbana derivante da interventi “iconici” realizzati da archistar – quali Frank Gehry, Zaha Hadid, Tadao Ando o Jean Nouvel – e il continuo ricorso a superlativi: “le isole artificiali più grandi del mondo”, “Burj Al-Arab, l’hotel a sette stelle”, “l’edificio più alto della terra”, “Burj Dubai, il chilometro più elegante mai costruito”, “Masdar City, la prima città al mondo senza emissioni, rifiuti e traffico”, ecc. Poiché il ricorso all’aria condizionata consente la sperimentazione di forme architettoniche impensabili in precedenza (Katodrytis, 2006), gli edifici – concepiti come replicabili “spazi mentali” del consumo – finiscono per risultare indifferenziati contenitori di attività varie, al punto che non è possibile distinguere un albergo da un edificio residenziale o per uffici. Analogamente, le stesse nozioni di “centro” e “periferia” sembrano perdere senso: si direbbe, infatti, che la città sia, al tempo stesso, ovunque e in nessun luogo. Come nelle eterotopie di Foucault (1986), questi spazi urbani effimeri «invertono, contestano e rappresentano gli spazi reali» e sembrano «in grado di giustapporre in un singolo luogo reale spazi differenti e reciprocamente incompatibili, come in una sorta di microcosmo». Si direbbe che l’antica Despina si sia trasformata in Anastasia, «città ingannatrice», la cui descrizione «non fa che risvegliare i desideri uno per volta per obbligarti a soffocarli» e dove «se per otto ore al giorno tu lavori […] la tua fatica che dà forma al desiderio prende dal desiderio la sua forma, e tu credi di godere per tutta
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12 - Rappresentazione tridimensionale del futuro sviluppo di Dubai.
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Anastasia mentre non ne sei che lo schiavo» (Calvino, 1993). Questa concezione dei luoghi, riscontrabile al livello del singolo edificio, si traduce in uno spazio urbano frammentato, che presenta le caratteristiche del collage. In questo senso, si può parlare di un modello “ibrido” di “world city”, basato, da un lato, su un controllo sociale pervasivo da parte dello Stato e, dall’altro, su un neo-liberismo economico, dove, invece, le regole sono ridotte al minimo. Drogato dalla continua promessa di nuove e sempre più sorprendenti “mirabilia” e tendente a creare appetiti più che a risolvere problemi, il modello “ibrido” che caratterizza le città del Golfo appare quale una sorta di “laboratorio” dove viene sperimentato un tipo di urbanistica del tutto inedito rispetto al passato (ed alla stessa ragion d’essere della disciplina), in grado di mettere in crisi l’idea stessa di “città” e di “spazio pubblico”. Non è un caso, del resto, che il concetto di isola costituisca un fattore cruciale dell’intera organizzazione fisico-spaziale delle città del Golfo, essenziale per comprenderne le forme emergenti di “urbanità” che vi si sperimentano. Il riferimento non è soltanto alle isole artificiali dell’arcipelago turistico di “The Palm” o di “The World”, dove è difficile distinguere il naturale dall’artificiale, il residente dal turista, la dimensione quotidiana del lavoro e del tempo libero. Non si allude nemmeno alle “Free Trade Zones” tematiche o al permanere dei precedenti assetti di segregazione fisico-spaziale, in cui i differenti gruppi etnici o nazionali (autoctoni, arabi, asiatici ed europei o nordamericani) continuano a vivere in quartieri residenziali rigidamente separati e senza alcuna possibilità di interazione (Nagi, 2006). Ulteriori isole di segregazione sono, infatti, costituite dai campi di lavoro recintati e situati ai margini del deserto, che non fanno parte della città ufficiale, anche se quest’ultima – con le sue eterotopie off-shore – è stata materialmente costruita da chi li abita: pachistani, indiani e bengalesi. Parallelamente, le isole artificiali si configurano come vere e proprie “gated communities”, dotate di recinzioni e sistemi di sorveglianza, contribuendo alla “costruzione” dello stile di vita dei propri privilegiati abitanti, la cui condizione è
quella di proprietari temporanei, cioè di ospiti. Gli estremi opposti dei campi dei lavoratori immigrati e delle isole artificiali sembrano quindi rivelare come il concetto di “isola” possa essere inteso come vero e proprio deliberato programma sociale inscritto nello spazio urbano: una sorta di lapsus linguae. Come nella Valdrada di Calvino (1993), «le due città gemelle» – «una diritta sopra il lago e una riflessa capovolta» – «non sono uguali, perché nulla di ciò che esiste o avviene a Valdrada è simmetrico: a ogni viso e gesto rispondono dallo specchio un viso o gesto inverso punto per punto. Le due Valdrade vivono l’una per l’altra, guardandosi negli occhi di continuo, ma non si amano». Che tale modello – così distante dall’idea di città ed “urbanità”“costruite” in più di un secolo di teoria e pratica urbanistica – cominci ad affermarsi anche al di fuori dello specifico contesto in cui si è sviluppato, grazie alla natura reticolare dell’economia globale contemporanea, dovrebbe essere oggetto di una riflessione approfondita sulle radici etiche della disciplina. La crisi economico-finanziaria degli ultimi anni non sembra, però, lasciare spazio ad alcun dibattito, mentre i tessuti urbani di intere parti di città subiscono inimmaginabili “mutazioni genetiche”, destinate a cambiarne profondamente il significato e la struttura sociale. Un esempio in questo senso è dato dal fatto che, sullo sfondo dei processi di degrado che investono un patrimonio edilizio pubblico ormai fatiscente e talvolta perfino inagibile (come nel caso della periferia milanese), di recente Tamir bin Hamad al-Thani, emiro del Qatar – che già partecipa con il QIA (Qatar Investment Authority, il fondo di investimenti del Qatar) a diverse joint ventures con soci europei nei settori dell’edilizia e del lusso – ha rilevato il 60% che ancora non possedeva del Progetto Porta Nuova a Milano, diventandone così l’unico proprietario. Si tratta di un progetto destinato a cambiare il volto della città, comprendente il quartier generale di Unicredit (con il grattacielo più alto d’Italia), la sede di Google, il “bosco verticale” (la torre residenziale progettata da Stefano Boeri e vincitrice di un premio internazionale). Sull’area di 290 mila mq è previsto, inoltre, un in-
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Un porto e una città del basso corso del Danubio: Brăila di Alexandru Damian
La città e il porto di Brăila, che sono stati oggetto della mostra intitolata “La modernizzazione della città portuale di Brăila (1830-1930)”, svoltasi tra il 1 e il 15 aprile del 2015 presso la Nuova Galleria dell’Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica di Venezia, sono stati, per oltre cento anni, di notevole rilevanza, per la Valacchia e, in seguito, per la cosiddetta “Piccola Romania”, cioè per la giovane Romania creatasi inizialmente dall’unione di Valacchia e Moldavia nel 1859 sotto Alexandru Ioan Cuza che si trasformò, tra il 1960-1966 nella base della Romania odierna. Brăila durante il suo “secolo d’oro”, e cioè nel periodo compreso tra il 1830 e il 1930, è un tema già approfondito da varie personalità della storiografia romena, così come ricorda il prof. Ionel Cândea nel catalogo della mostra suddetta. Da sempre, gli abitanti di Brăila sono stati occupati con l’agricoltura, l’allevamento degli animali e la pesca sul Danubio. Un veliero, stemma della città di Brăila, è simbolo del commercio, occupazione principale degli abitanti dell’area. Nel 1836, qui fu creata la prima Camera di Arbitraggio Commerciale della Valacchia, ma nel 1882 anche la prima borsa dei cereali e delle merci della Romania. L’importanza di Brăila quale città portuale sul Danubio per la Valacchia iniziò già dal Quattrocento, quando la Dobrugia (rom. Dobrogea) entrò a far parte dell’Impero Ottomano (tra il 1418-1421), e continuò ad occupare un ruolo primordiale quale città portuale fino al 1878, quando, in seguito al Trattato di pace russo-turco di Santo Stefano ed al Congresso di Berlino dello stesso anno, la Dobrugia fu consegnata al giovane regno di Romania, il quale aveva da poco ottenuto l’indipendenza dall’Impero Ottomano. Così l’importanza di Brăila iniziò a diminuire gradualmente, dato che gli altri porti dobrugiani avrebbero preso il posto di Brăila e il maggiore porto della Romania sarebbe diventato Constanţa. Comunque fosse, Brăila ha continuato a rappresentare dalla seconda metà del XIX secolo fino alla Prima Guerra Mondiale, il più significativo porto romeno per le esportazioni di merci, specializzato nel commercio dei cereali. Come ormai è ben noto, la Romania dell’epoca rappresentava uno dei paesi più importanti per la produzione ed esportazione dei cereali in Europa, tanto che si resero subito necessari la modernizzazione e l’ampliamento delle strutture portuali cosicché, a partire dal 1830, il porto venne modernizzato e ampliato a più riprese. I lavori di maggiore rilevanza furono portati a termine nel 1891, quando furono ultimati il bacino artificiale per il carico e lo scarico delle merci e il grande silos per le granaglie, entrambi ideati e progettati dall’ingegnere romeno Anghel Saligny.
A port and a city in the lower course of the Danube: Brăila by Alexandru Damian For over one hundred years, between 1830 and 1930, the city and port of Brăila, on the Danube, were important for Wallachia first, then for “Little Romania”, which later became today’s nation of Romania. Brăila was the most significant Romanian port for merchandise export, and was specialized in the grain trade. It was expanded and modernized on various occasions. In 1911, at the height of its activity, the trade that moved through the port of Brăila represented 22% of total trade in Romania, and 20% of imports. This development brought with it steam-powered mills, pasta factories, the shipyard, the beer factory. There were many navigation companies based in the port, some for the river and some for the sea, a few of which were Italian. Many Italian companies opened factories in Brăila, especially in the food sector. There were many immigrants from all over the world. In 1930, the city counted over 68,000 inhabitants. Brăila therefore played a major role in the economy and in the development of modern Romania. The crisis in the 1930s led to its decadence, but the city remained a populous one and maintains significant potential for port and cultural activities in the present.
Nella pagina a fianco, in alto: Via Imperatore Traiano, cartolina d’epoca; in basso: Carta telegrafica postale della “Piccola Romania” 1865 (la città di Brăila evidenziata nella mappa).
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1 - In questa pagina, in alto: la stazione marittima, anni ‘70. 2 - In questa pagina, in basso: via Galați, cartolina d’epoca. 3 - Al centro: il bacino dei moli, cartolina d’epoca.
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Il porto di Brăila fu modernizzato nel periodo di sviluppo successivo al 1830, quando la maggior parte delle città della Valacchia, per effetto del Trattato di Adrianopoli (1829), si svilupparono in maniera notevole. Pertanto la città e il porto, che prima aveva avuto un’importanza strategica per il commercio della Valacchia con l’Impero Ottomano nell’esportazione di cereali, ricevono una nuova spinta grazie alle nuove vie commerciali apertesi in seguito al suddetto trattato. Nel 1911, anno di massima attività portuale, il commercio che passava per il porto di Brăila rappresentava il 22% del totale del commercio romeno ed il 20% delle importazioni. Tale sviluppo significava: mulini a vapore, fabbriche per la pasta, il cantiere navale (1864), la fabbrica di birra (1872) e la banchina (1883). Il primo investimento straniero a Brăila fu fatto nel 1924 dalla Società Franco-Romena mentre nel 1937 a Brăila si tenne il XII Congresso generale dell’Unione delle città di Romania. Dopo la Prima Guerra Mondiale tutti gli sforzi per rinvigorire l’attività mercantile furono vanificati in seguito alla Grande Depressione (1929-1933), le cui conseguenze si fecero sentire a lungo nei successivi decenni. La dogana sulla banchina comprendeva un bacino con una superficie di 8,5 ettari, con 19 approdi per l’attracco delle navi, e un’area custodita dalla guardia doganale di 41,5 ettari, un porto ben servito da magazzini e macchinari necessari per lo scarico e
lo stoccaggio delle merci in transito e in deposito. Il porto, ubicato lungo il Danubio più a monte del bacino artificiale per il carico e lo scarico delle merci, era destinato anzitutto all’esportazione di granaglie. Qui avevano la loro sede i vari operatori portuali, vi si trovavano i magazzini per le granaglie, le ferrovie collegate alla rete nazionale, gli elevatori, i moli flottanti, 16 pontili marittimi con scalandroni e un pontile fluviale. Il porto minore, ritenuto «di rifugio», era a Ghecet. Qui si riparavano, durante l’inverno, le navi fluviali in attesa che fossero rimesse in uso. All’inizio del XX secolo, tra le navi annotate nei registri portuali di Brăila, c’erano quelle olandesi (12 mercantili in entrata e 13 in uscita), quelle che battevano bandiera belga (9 in entrata, 7 in uscita), due spagnole e due con bandiera sia norvegese che svedese. Come dimostrano i registri portuali, le principali merci caricate nel porto di Brăila erano le granaglie. Nel porto erano attive numerose società di navigazione, romene o straniere, tanto fluviali quanto marittime. Tra le società di navigazione e le imprese mercantili, c’erano anche quelle italiane: la società commerciale Pedemonte, azienda sarda con sede a Galaţi e filiali a Brăila e Calafat. Tale società negli anni 1831–1847 monopolizzò il commercio italiano delle granaglie nei porti romeni. Erano operative, inoltre, la società di navigazione Gattorno & Co, l’agenzia navale Gattorno SAR per trasporti marittimi e terrestri, fondata nel 1857, la Società Italiana di Servizi Marittimi e poi la Ed. Fanciotti & Co, una società in nome collettivo, consistente in un’agenzia marittima, assicurativa e commissionaria per danni, che inoltre riforniva chiatte e rimorchiatori. Altre ditte italiane trovarono terreno fertile nella città portuale di Brăila, quali la fabbrica di maccheroni Sebastiano Barabino, di proprietà dell’omonimo cittadino italiano, fondata nel 1846, oppure la ditta Forno Gerbolino & Borghetti, fondata nel 1857, che nel 1866 aveva in proprietà 5 mulini, una struttura per la produzione dei biscotti per la marina mercantile, botteghe di
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4 - Il mulino e la fabbrica di paste Violato.
ferramenta e falegnamerie, lavanderie e asciugatrici. Per la ditta lavoravano 63 operai. Questa ditta partecipò all’Esposizione Universale di Parigi del 1867 e ricevette una menzione d’onore per la qualità della sua farina. Come tutti i porti, Brăila rappresentò un luogo dove trovarono dimora tutti coloro che speravano in un futuro di prosperità, ricevendo immigrati da varie parti del mondo: tedeschi, italiani, austriaci, francesi, che arrivarono attratti dalle condizioni favorevoli per i traffici mercantili, ai quali si aggiunsero popolazioni dai territori ottomani (greci, bulgari, armeni, ebrei), ma anche ungheresi e russi. Le varie etnie che vivevano a Brăila si stabilirono in posizioni strategiche della città: i greci nelle vicinanze del Danubio, gli ebrei nella zona centrale, che rappresentava anche la migliore zona commerciale, mentre i russi lipovani (russi delle aree di Odessa e Tulcea) fondarono un proprio villaggio nei pressi della città chiamato Pisc, che in seguito fu inglobato nella città stessa. Alla fine dell’800, gran parte degli affari mercantili erano nelle mani degli stranieri (specialmente ebrei e greci), e fra le ditte mercantili 58 erano di proprietà dei romeni, mentre 76 erano straniere, creando così una città multiculturale e multietnica. Al fine di conservare e promuovere la propria identità culturale, le popolazioni che si stabilirono qui si organizzarono in comunità etniche, edificando chiese, scuole e biblioteche e pubblicando perfino i propri giornali, riunendosi in associazioni culturali o politiche, tutte autogestite e finanziate in maniera privata. Per esempio, la comunità italiana di Brăila pubblicava il bisettimanale bilingue Mercur, jurnal comerţial/Mercurio, giornale di commercio (1840), un periodico diretto da Ioan Penescu e F. Gussio. L’emigrazione italiana a Brăila si fece sentire significativamente nel campo economico, con l’impegno della marina mercatile del Regno di Sardegna nei traffici internazionali di cereali. Per esempio, nel porto di Brăila nel 1860 furono registrati 138
bastimenti sardi e 2 toscani, i quali scaricavano zucchero, caffè, olio, riso e vino e caricavano granaglie. Date le relazioni commerciali italiane con il porto di Brăila fu aperto, nel 1838, un viceconsolato sardo, che dal 1885 diventò agenzia consolare del giovane Regno d’Italia. La comunità italiana di Brăila contava, al censimento del 1899, oltre 274 residenti di origine italiana. Come si è visto in questa breve presentazione, la città di Brăila ha avuto una grande importanza per l’economia e per lo sviluppo della Romania moderna e anche se, dopo gli anni ’30 del XX secolo, il commercio non riprese più ad essere quello che era stato nel cosiddetto secolo d’oro di Brăila, la città ebbe un’importante ripresa dopo la seconda Grande Guerra, quando furono messe in funzione due grandi industrie in città: quella petrochimica e quella cartacea. Tali industrie, create nell’ambito del commonwealth sovietico, non trovarono più utilità dopo la rivoluzione romena del 1989 cosicché seguì un vero e proprio declino. A testimonianza di ciò sta il censimento del 1930, quando la popolazione di Brăila contava 68.347 abitanti: Brăila era una delle città di grande rilevanza per la Romania, qualità che mantenne fino a qualche decennio fa, dato che, nel 1992, contava quasi 240 mila abitanti, posizionandosi come undicesimo comune del paese. Dal 1992 in poi la popolazione della città iniziò a diminuire, e nel 2011 si contavano 180.302 abitanti. Comunque la città di Brăila continua ad avere un potenziale portuale e culturale di ampio rilievo per l’economia danubiana e del Mar Nero. La storia della più importante città portuale della Valacchia, la sua fortuna e la sua decadenza, il suo passato e il presente, lasciano vedere il ruolo rilevante che il grande fiume europeo ha per quest’area del basso corso del Danubio. Un’area che speriamo riscopra le sue radici marinare in un prossimo futuro. Riproduzione riservata ©
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Porto Vecchio a Trieste, un’assordante cattedrale di silenzio di Marta Moretti
Ci sono luoghi che più di altri riassumono, in un unico sito, le tracce della storia di una città. Che concentrano, in pochi metri quadrati, la metafora delle dinamiche urbane. Che, nascosti o inaccessibili, testimoniano anche l’infinito campo delle possibilità future. Porto Vecchio è per Trieste un condensato del tempo, dove la grandezza del passato convive con l’abbandono e l’incertezza dell’oggi, e dove si leggono però anche le straordinarie potenzialità di avviare. Addossato al Borgo Teresiano, Porto Vecchio è “città nella città”. Una superficie di 600.000 metri quadri, costituiti da magazzini, moli, banchine, rimesse, officine, edifici e fabbriche abbandonate, affacciati sul mare. Progettato in modo unitario tra gli anni ‘60 e gli anni ’80 dell’Ottocento, Porto Vecchio rese ricca la città, diventando il porto-emporio dell’impero Austro-Ungarico grazie al collegamento ferroviario per Vienna. Venne poi presto abbandonato a favore di un nuovo sito, più funzionale alla rapida evoluzione dei trasporti marittimi, che richiedeva fondali più profondi e una nuova organizzazione degli spazi. Porto Vecchio è quindi un porto senza nome, prima chiamato “nuovo” poi “vecchio” rispetto a quello che lo avrebbe sostituito, ma sin da subito nato “franco” per le funzioni che vi erano svolte. Una denominazione che oggi sembra enfatizzare ancor più il silenzio che lo domina. Un luogo pieno di storie sopite, dimenticate o interrotte, abitato da silenti fantasmi che ne attraversano gli spazi ormai desolati e decadenti. Un’area in cui sussistono numerosi vincoli giuridici – non vi è libero accesso a causa del suo essere porto franco – e fisici, così costretta tra il parco ferroviario e la linea di costa. Straordinarie architetture abitano gli spazi di Porto Vecchio: depositi entrati a far parte dell’immaginario collettivo, come il Magazzino 18 dove sono ancora stoccate le masserizie lasciate dagli italiani della diaspora, la prima fabbrica della Stock o la Centrale Idrodinamica, massima eccellenza tecnologica nel panorama portuale dell’epoca, che alimentava il movimento di tutti gli apparati attraverso una fitta rete di tubazioni ad alta pressione. Un luogo quindi, Porto Vecchio, che abbonda di segni e di bellezza, da cui emerge, proprio fra le crepe dei muri e le fessure sui tetti, anche una promessa per il futuro. Trieste questo lo sa da oltre 40 anni. La sua rinascita o il suo rilancio partono da qui e, se ancora non si è trovata la formula che permetta di riconnettere questa meravigliosa cattedrale del lavoro al resto di quella città che lambisce per centinaia di metri, non si è mai smesso, in questi lunghi anni, di ricominciare da qui. Ci hanno provato in molti: un fermento di proposte e progetti, alcuni dei quali firmati dal gotha 141
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A pag. 140, in alto: piazzale Adria Terminal (© Neva Gasparo); in basso: Molo 0 Garitta (©Neva Gasparo). A pag. 141, in alto: centrale idrodinamica (anni ‘80) (© Neva Gasparo); in basso: La copertina del libro raffigurante una finestra aperta su Porto Vecchio.
1 e 2 - In questa pagina, in alto: Bacino (anni ‘90) (© Neva Gasparo); in basso: Hangar 06 (anni ‘90) (© Neva Gasparo).
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dell’architettura internazionale, ha scosso, sin dagli anni ’60 del secolo scorso, le vecchie pietre e fatto sussultare gli edifici conquistati dalla natura selvaggia, ospitando sopralluoghi, misurazioni, calcoli e rilievi. Dall’ipotesi di radicale trasformazione dell’area del progetto di Semerani e Tamaro del 1969, al masterplan di Kenzo Tange del ’71, alle proposte di Polis Spa, Bonifica Spa e Tergeste, presentate a cavallo degli anni ’80 e ’90, sino al progetto di Manuel de Solà Morales per l’Associazione Trieste Futura che cambia orientamento, puntando alla reintegrazione di Porto Vecchio nel tessuto urbano di Trieste. Visione unitaria e processo di trasformazione per fasi, con una nuova centralità agli spazi pubblici, informano tutti i progetti successivi, da quello di Stefano Boeri del 2001, commissionato dall’Autorità Portuale, a quello del 2004 dell’Ente Fiera di Trieste, a quello di Alberto Cecchetto e Maurizio Bradaschia promosso da TriestExpo Challenge per l’Expo del 2008. Infine, dopo l’approvazione della Variante al Piano Rego-
latore Comunale per le aree di Porto Vecchio, che stabiliva il mantenimento di funzioni terminalistiche legate alla portualità commerciale, venne affidato da Autorità Portuale, Fondazione CR Trieste e Camera di Commercio l’incarico di realizzare un masterplan per il recupero di Porto Vecchio, elaborato da One Works con Norman Foster&Partners tra 2007 e 2008, che identifica destinazioni d’uso, accessi, costi, fasi e fattibilità tecnica. Sulla base di questo strumento, si apre nel 2008 un bando di manifestazioni di interesse per l’assegnazione delle concessioni all’uso di Porto Vecchio. Tra le 34 proposte presentate, viene scelta l’ipotesi avanzata dalle imprese Rizzani de Eccher e Maltauro che prevede la realizzazione di una sorta di cittadella del turismo e della nautica da diporto con tre marine, attrezzature ricettive e commerciali, aree per la cantieristica e l’artigianato. Un processo lungo che dovrà passare attraverso la sdemanializzazione dell’area e la sua effettiva ricucitura con la città. Ad oggi, il filologico restauro della Centrale Idro-
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elettrica, del Magazzino 26 e del Capannone 1, insieme all’imponente presenza della gru Ursus, rappresentano un landmark, una preziosa testimonianza di archeologia industriale e, grazie alla parziale apertura dell’area recuperata con la costituzione di un Polo Museale del Porto di Trieste, lasciano appena intravedere il futuro “possibile” per Porto Vecchio. Fortemente voluto dalla passata amministrazione, il Polo Museale, che dovrebbe completarsi con l’estensione del museo alla Sottostazione Elettrica, è oggi messo in serio pericolo per la liquidazione dell’Istituto di Cultura Marittimo Portuale di Trieste che aveva il compito di “valorizzare i beni culturali nella disponibilità dell’Autorità Portuale di Trieste e consentirne la pubblica fruizione”. Ora, dopo una spesa di 12 milioni di euro di fondi pubblici (Regione Friuli Venezia Giulia, Ministero Beni Culturali, Autorità Portuale e Fondi Europei) per il recupero degli edifici, il destino di questo patrimonio è però incerto. Un patrimonio però immortalato, minuziosamen-
te e costantemente, dalla fotografa triestina Neva Gasparo che ha attraversato gli spazi di Porto Vecchio – pieni e vuoti, desolati e ricchi – in ogni stagione, con ogni condizione meteorologica, per registrarne il respiro, i colpi di tosse, i sussulti. In silenzio e con discrezione, l’occhio digitale di Neva Gasparo ha indagato, registrato, analizzato, nell’arco di trenta lunghi anni, ogni respiro di Porto Vecchio, a Trieste. Senza far rumore. Viaggio in Porto Vecchio (2013 Lint Editoriale srl, Trieste) è l’esito di questa perlustrazione. Un reportage fedele e, al tempo stesso, commovente e poetico, non solo per verificare il degrado che il tempo deposita sui manufatti, sui tetti squarciati e sui rovi ma per mettere anche in risalto ciò che Porto Vecchio è nella sua essenza più intima: una finestra aperta su un mare di possibilità.
3 - Facciate del magazzino 26 dopo il restauro (© Neva Gasparo).
Riproduzione riservata © 4 - In basso: Hangar 09 (anni ‘80) (© Neva Gasparo).
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Città sotterranea, città smart: il convegno di Napoli di Giuseppe Mazzeo
Lo scorso 16 gennaio 2015, sul tema Città sotterranea, città smart, si è svolto un seminario scientifico presso la Scuola Politecnica e delle Scienze di Base dell’Università Federico II di Napoli. L’occasione è stata la presentazione del numero 40 di Trasporti & Cultura, pubblicato con lo stesso titolo, e la premiazione dei saggi selezionati per il biennale premio Trasporti & Cultura. Da sempre la città ha avuto una sua più o meno estesa parte sotterranea. I due mondi si sono incrociati e hanno contribuito a creare nuovi ruoli e nuovi significati nella struttura della città e nella sua funzionalità. Grotte e rifugi sono stati la prima casa degli antenati dell’uomo moderno; a proposito di questa scelta dell’uomo preistorico, Marshall McLuhan (citato da Zevi in Paesaggi e città) ha sostenuto che l’uso di un recesso roccioso è da ritenere una testimonianza della capacità dell’uomo di trasformare un involucro passivo in un processo attivo. In questo processo attivo i nostri antenati hanno mostrato grandi capacità, dando ragione agli antropologi che sostengono che l’adattabilità e il senso estetico sono innati nella specie umana e si sono manifestati sin dalle origini. È necessario ripensare all’antropizzazione indiscriminata della superficie del nostro pianeta agendo nella direzione della conservazione e valorizzazione di un bene che non è infinito. La crescente aliquota di popolazione mondiale che è anche popolazione urbana fa sì che i fattori critici e i problemi che si creano nelle città siano sempre più complessi: è quindi necessario ragionare in termini logici approfondendo la ricerca di soluzioni strategiche di insieme in cui la pianificazione e la gestione delle città sono strumenti fondamentali per un corretto uso delle risorse. È comunemente accettata la nozione di città come sistema antropico per eccellenza. Il suo funzionamento deriva in modo rilevante dalla sua organizzazione e dal fatto che tutte le sue parti, quindi anche la città sotterranea, contribuiscono ad essa. Certamente l’intelligenza crea una città migliore nella sua complessa funzionalità e nei servizi che offre. In quanto tale, la città smart accresce il già elevato livello di intelligenza intrinseco della città, qualità presente in modo diversificato nelle diverse epoche, ma sempre relazionata al livello di sviluppo tecnologico e culturale. Una città intelligente è anche una città sostenibile. Sostenibilità significa capacità di conservare lo stock di risorse necessarie al suo funzionamento, ma significa anche rendere possibile una qualità della vita sempre maggiore. La conformazione attuale della città è strutturata su un livello di elevata insostenibilità nei riguardi del consumo di risorse, ma anche su una elevata
capacità di produzione della ricchezza e del reddito. La città di domani, per confermarsi intelligente, dovrà coniugare questi due aspetti, attualmente in contraddizione tra di loro ma costretti sempre più a creare una sintesi sostenibile e logica. Tra le risposte possibili sono da annoverare anche quelle che portano a realizzare strutture sotterranee artificiali sempre più complesse e ad aumentarne le volumetrie e le capacità in rapporto a nuove esigenze che via via si vengono a creare. L’incontro del 16 gennaio è stato organizzato dal curatore del numero 40 della rivista, Giuseppe Mazzeo, ed è stato supportato dal Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile ed Ambientale, presso il quale è in corso di svolgimento la ricerca PON Smart City dal titolo Smart Energy Master per il Governo Energetico del Territorio e da Laura Facchinelli, direttore di Trasporti & Cultura, che ha gestito il processo di realizzazione della rivista. L’incontro ha visto la partecipazione di una serie di esperti appartenenti sia al mondo scientifico che a quello delle imprese impegnate in progetti che interessano il sottosuolo urbano. Dopo i saluti di Piero Salatino, presidente della Scuola Politecnica, di Bruno Montella, direttore del DICEA e di Paola Avallone, direttore dell’ISSM-CNR, Giuseppe Mazzeo, nella relazione introduttiva, ha sottolineato come la materia non sia oggetto di ricerche e di studi specifici in quanto non esiste una attenzione disciplinare alla parte sotterranea delle città, se non per le soluzioni che essa può proporre a problemi che sorgono nella parte sovrastante. Questa carenza, però, non è una mancanza, bensì un fattore di positività in quanto rende più liberi gli apporti interdisciplinari, l’ampiezza di vedute e gli scambi sull’argomento. Di grande interesse gli interventi all’incontro. Rosa Anna La Rocca ha affrontato le relazioni tra città sotterranea e funzione turistica, evidenziando gli esempi sempre più numerosi presenti a livello mondiale. Antonello De Risi ha presentato lo stato di avanzamento del progetto della Linea 1 della Metropolitana di Napoli e le specificità che caratterizzano le sue ultime stazioni, Toledo e Piazza Garibaldi. L’intervento di Enzo Siviero si è incentrato su alcuni dei più recenti progetti di mobilità che stanno interessando l’area metropolitana di Istanbul, con l’evidenziazione delle problematiche connesse all’inserimento paesaggistico delle opere e al loro impatto sulla complessa stratificazione archeologica della città. Carmela Gargiulo ha incentrato il suo intervento sul concetto di città smart e sui risultati che il progetto SEM Smart Energy Master sta ottenendo, evidenziando come la città intelligente è la città che coinvolge tutte le sue parti in un funzionamento organico ed efficiente.
Nella pagina a fianco, in alto: il tavolo dei relatori; in basso: Enzo Siviero e Paolo Costa nel momento della consegna del Premio Trasporti & Cultura.
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1 - La sala del convegno presso la Scuola Politecnica e delle Scienze di Base dell’Università Federico II di Napoli.
Gli interventi di Francesco Domenico Moccia e di Francesco Rispoli hanno posto in evidenza alcuni degli elementi fondamentali e dei punti critici dell’azione sulla città sotterranea. Il primo ha approfondito le relazioni connesse all’evoluzione della città e alla pianificazione delle strutture fisiche e funzionali, mettendo in evidenza come la questione della città compatta sia di grande interesse: proporre questo tipo di città ne aumenta la sostenibilità ma pone come questione ineludibile anche l’uso dello spazio sotterraneo. Comunque anche per la città sotterranea si pone il problema di evitare un processo di “colonizzazione” che può avere le stesse conseguenze nefaste di quanto av-
2 e 3 - I relatori Oriana Giovinazzi e Giuseppe Mazzeo.
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venuto in superficie. Il secondo ha puntato l’attenzione sulla complessità delle strutture urbane, al cui interno funzioni e volumi si interconnettono con aspetti di socialità e di vivibilità complessiva. Di particolare interesse il ragionamento sulla differenza tra progetto e realtà che connota da sempre il rapporto tra l’architettura e la città e che, nella città sotterranea, assume un rilievo particolare: la stessa importanza che assume lo scavo nella città mediterranea, scavo che non è fatto su un suolo amorfo ma che “porta alla luce” l’esistenza di testimonianze di ciò che la città era nel passato. Nel complesso la giornata di studi ha evidenziato
TRASPORTI & CULTURA N.41 molti elementi di interesse, oltre alla necessità di approfondire le strette connessioni che esistono tra città sotterranea e il resto della struttura urbana, in modo da massimizzare i vantaggi che un uso accorto ma crescente della parte sotterranea delle città può portare all’efficienza delle strutture urbane nel loro complesso. Le strutture sotterrane possono essere considerate come semplici elementi puntuali la cui realizzazione è funzionale alla risoluzione di una specifica necessità, oppure come elementi di un sistema complesso che utilizza la dimensione sotterranea per allocarvi più funzioni interconnesse, rappresentando così un valido supporto alla città. La esplicitazione di questo carattere sistemico rappresenta una sfida nel processo di pianificazione della città in quanto mette in evidenza come i sistemi urbani evolvano grazie all’apporto di elementi che via via si inseriscono nel loro complesso equilibrio. Il rapporto tra i due spazi, quello sotterraneo e quello di superficie, assume forme e significati diversi. Tra i due sussistono relazioni che possono connotare o meno la riuscita delle azioni di sviluppo delle città, soprattutto quelle di maggiori dimensioni. Intanto è da osservare che la significatività della città sotterranea aumenta con la densità urbana presente nelle città. Maggiore è la densità, più le città sotterranee assumono rilievo nell’economia complessiva della città. Un secondo elemento è la qualità della rete di mobilità, che rappresenta un elemento vitale per le strutture urbane moderne. Essa non si riduce solo alla creazione di canali e nodi di scambio con l’esterno, ma si estende alla individuazione di funzioni che possono essere favorevolmente influenzate dalla presenza delle reti, nell’ottica della riduzione dei carichi di superficie. Un terzo elemento è la coerenza della pianificazione di superficie con quella sotterranea, nel senso che non esiste un piano autonomo della città sotterranea ma che le due realtà devono essere strettamente relazionate. Una corretta pianificazione significa anche definire con attenzione le funzioni che possono essere spostate con successo nelle parti sotterranee della città e la relativa analisi delle volumetrie, delle superfici e delle soluzioni tecniche atte a renderle realizzabili.
Un quarto elemento è la necessità di costruire spazi sempre più vivibili utilizzando modelli architettonici avanzati che si basino su tecnologie capaci di trasformare uno spazio tendenzialmente claustrofobico in uno spazio vivibile. Le tecnologie nel settore dell’illuminazione, del condizionamento, dell’acustica, dei materiali, possono essere di grande aiuto in questa direzione. Gli interventi al seminario hanno testimoniato le potenzialità insite nella utilizzazione dello spazio sotterraneo delle città, ma hanno messo in evidenza anche le problematiche che possono crearsi. Per questo è opportuno mantenere una visione oggettiva dell’argomento, basata su una corretta sperimentazione capace di portare a risultati concreti. Si vuole evidenziare il fatto che la città sotterranea è una possibile soluzione a determinati problemi, da mettere in conto se l’insieme dei costi e dei benefici economici, ambientali e comportamentali la rende fattibile. La parte conclusiva dell’incontro è stata incentrata sulla premiazione dei saggi di Mariolina Besio e di Paolo Costa, i quali non si sono sottratti ad un approfondimento delle tematiche affrontate nei loro saggi, quelle del paesaggio in rapporto alla città e della portualità italiana in rapporto a quella europea e mondiale. Entrambi i docenti hanno evidenziato come la città sia una struttura ad elevata complessità in cui il giusto mix tra innovazione (l’evoluzione della portualità) e storia (il paesaggio urbano, sia storico che più recente) sia uno dei fattori più incisivi per la sua migliore qualità e funzionalità. L’intervento di Rocco Papa ha concluso la mattinata di studi mettendo in evidenza l’importanza di approfondire le relazioni tra l’intelligenza urbana e gli aspetti connessi di qualità urbana. A questo scopo sarà importante aumentare le occasioni di discussione con l’obiettivo di comprendere al meglio connessioni e rapporti ancora da approfondire e da esplicitare. Riproduzione riservata ©
4 - A sinistra: Paolo Costa, vincitore per la sezione B del Premio Trasporti & Cultura. 5 - A destra: la direttrice della rivista Laura Facchinelli con Mariolina Besio, vincitrice per la sezione A del Premio.
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Logistica e trasporto marittimo: un focus group dei protagonisti campani di Alessandro Panaro
Nell’ambito della attività di network organizzate da SRM, correlate al progetto partito nel gennaio 2014 che ha visto entrare il trasporto marittimo a titolo istituzionale nei suoi filoni di ricerca1, il 20 febbraio scorso si è tenuto, nella sede dell’Unione degli Industriali di Napoli, un focus group economico sul tema “Trasporto marittimo: analisi congiunturale e fenomeni in atto”. L’occasione per l’organizzazione dell’incontro è stata la presentazione della Rivista Trasporti e Cultura con particolare riferimento ai temi “Logistica e trasporto marittimo: criticità e prospettive di una realtà complezza”, da cui è scaturito il dibattito sui temi citati con i principali rappresentanti e stakeholder del panorama dello shipping campano. Il Direttore Responsabile di Trasporti e Cultura, Laura Facchinelli, e l’Architetto Oriana Giovinazzi dell’Università Iuav di Venezia hanno aperto i lavori della mattinata, presentando, in primis, la Rivista e, in un secondo momento, il volume dedicato a Logistica, sviluppo e ambiente, concentrando l’attenzione sulla logistica distributiva e, quindi, sulla capacità del sistema del trasporto italiano di gestire in modo efficiente, ed allo stesso tempo sostenibile, il flusso delle merci generato dal sistema economico. Offrendo una sintesi di alcuni aspetti emersi dai contributi pubblicati e curati da alcuni esperti del settore, una particolare attenzione è stata, inoltre, posta sul trasporto marittimo, sui nuovi scenari tecnologici ed industriali che si prospettano per lo stesso e sul ruolo delle infrastrutture portuali e retro portuali. Tali argomenti hanno rappresentato la giusta premessa all’intervento di Alessandro Panaro, Responsabile dell’Ufficio Maritime and Mediterranean Observatory di SRM, che ha tracciato un quadro sull’attuale congiuntura del trasporto marittimo, tanto nazionale quanto internazionale. Oltre che sull’analisi dei dati più significatici per il settore, l’accento è stato posto su alcuni fenomeni, attualmente in atto, che possono non solo modificare la struttura dello stesso ma anche avere risvolti significativi sulla geografia economica che lo caratterizza. Si tratta, nello specifico, delle alleanze tra i grandi carrier e dell’esistenza di nuovi competitor portuali nell’area mediterranea. Se, nel primo caso, per i nostri porti si aprono scenari interessanti essendo spesso inseriti nelle nuove rotte, nel secondo si ravvedono segnali di allarme collegati alla presenza di nuove realtà, forti e costantemente in crescita. Basti pensare che la portualità turca ha 1 Per approfondimenti si veda www.srm-maritimeconomy. com
una crescita a doppia cifra e continua ad investire sul settore in modo significativo. Un ulteriore fenomeno destinato a modificare la scena (soprattutto quella dell’area del Mediterraneo) è il raddoppio del canale di Suez: una volta avviato, i tempi per il suo attraversamento si ridurranno notevolmente ed è presumibile pensare ad una riconfigurazione delle rotte in essere. A seguire, un dibattito tra alcuni dei principali esponenti della logistica e della portualità campana. In particolare, hanno preso parte allo stesso: Domenico De Crescenzo, Presidente del Consiglio Compartimentale degli Spedizionieri Doganali di Napoli; Nicola Coccia, Presidente della Commissione Finanza di Confitarma; Francesco Karrer, Commissario dell’Autorità Portuale di Napoli; Andrea Mastellone, Presidente Assoagenti Napoli; Umberto Masucci, Presidente del Propeller Club e Francesco Tavassi, Presidente della Sezione Logistica dell’Unione Industriali di Napoli. Gli argomenti sui quali ci si è confrontati sono stati numerosi ed hanno toccato molteplici aspetti dello shipping basati non sono sull’attuale scenario economico, ma anche sulle più rilevanti previsioni per il futuro: previsioni che parlano di un aumento del 400% qui al 2050 e che vedono Asia e Africa come le principali aree di scambio interessate. Ciò non solo pone le basi per un ridisegno dell’attuale geografia dei traffici, ma rappresenta anche la possibilità di nuove opportunità di sviluppo per i nostri scali. Numerose riflessioni hanno, poi, riguardato le criticità, infrastrutturali e non, del sistema logistico e portuale italiano e sono state prese in considerazioni realtà estere come esempi da seguire. Due i punti sui quali ci si è soffermati maggiormente: il tema dei controlli doganali e delle tempistiche relative (spesso superiori a quelli di altri grandi porti europei) e la necessità di avere un piano portuale nazionale e, quindi, una politica unica e condivisa, in grado di orientare ed interconnettere le strategie dei singoli scali al pari di quanto avviene, ad esempio, in Spagna con Puertos del Estado. Posto che il settore dello shipping è un tassello importante della nostra economia, dall’incontro è emersa, per concludere, la necessità di un contesto coeso e di un’attività indirizzata ad un comune obiettivo che abbia alla base una chiara visione del futuro e delle nuove opportunità che si presenteranno. Riproduzione riservata © Nella pagina a fianco: due momenti dell’incontro.
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Trasporti, Cultura, Architettura: presentazione del n. 38 di T&C a Palermo di Zeila Tesoriere
La presentazione del n. 38 della rivista, dedicato al tema “Stazioni e città”, curato da Zeila Tesoriere, ha avuto luogo il 23 gennaio 2015 presso l’edificio 14 della scuola Politecnica dell’Università degli Studi di Palermo (UniPa), sede del Corso di Studi quinquennale in Architettura. La discussione è stata inserita nella sequenza di attività conclusive dei laboratori di progettazione architettonica del I semestre, che da molti anni adottano la metodologia intensiva del workshop durante l’ultima settimana di corso. Si tratta di una modalità didattica che consiste in una serie continua di cinque giorni di attività progettuale ininterrotta, che gli studenti svolgono in laboratorio con il docente per l’intera giornata. L’attività in aula si affianca a sessioni di critica con docenti invitati, presentazione di libri, opere specialistiche e conferenze che hanno luogo a fine giornata, dopo le attività di progettazione. Questa metodologia didattica è stata mantenuta nella trasformazione che ha interessato la ex Facoltà d’Architettura dell’Università degli Studi di Palermo nell’applicazione della L. 240 per la riorganizzazione del sistema universitario. Nel corso di Studi in Architettura quinquennale a ciclo unico LM4_Pa, le attività di progettazione architettonica dei workshop di fine semestre sono associate ormai da anni alla rassegna “Pioggia di libri”. Ideata e organizzata da Andrea Sciascia, che dal 2012 è coordinatore del CdS, la rassegna presenta le pubblicazioni più recenti dei docenti che vi insegnano, percorrendone i temi con gli autori, un coordinatore e un discussant. Giunta alla sesta edizione, essa è ormai un canale attivo con ricorrenza per la diffusione e la discussione dei risultati delle ricerche, e per la costruzione di forme trasversali di completamento delle attività didattiche. Le attività svolte il 23 gennaio hanno fatto precedere alla presentazione della rivista che si è svolta nel pomeriggio, conferenze e sessioni di critica organizzate da Zeila Tesoriere nell’ambito del workshop conclusivo del laboratorio IV di progettazione architettonica di cui è stata titolare per l’AA 2014-2015, dal titolo Circonvallazione inversa; architettura e infrastruttura nella città contemporanea. I temi del corso e della sua giornata finale seguono le indicazioni espresse dal profilo dell’insegnamento, che ha l’obiettivo di “indagare le questioni relative al progetto urbano, sviluppando elaborazioni risolutive di necessità emergenti nella città, con particolare riguardo ai temi delle connessioni tra le infrastrutture della mobilità e i tessuti esistenti, tra le aree dismesse e le parti di città al contorno, tra le aree marginali o periferiche e le centralità urbane.” Il dialogo fra l’infrastruttura e il progetto d’archi-
tettura nella città contemporanea appare oggi fra gli elementi che marcano l’evoluzione della disciplina e dei suoi dispostivi. La formazione degli studenti attraverso occasioni progettuali che inquadrino le figure interpretative e operative con cui l’architettura trasforma l’intorno in relazione alle infrastrutture permette loro un confronto diretto con elementi di attualità ineludibile. La decrescita, la transizione energetica, le questioni poste dalle eredità costruite del passato e del Novecento in particolare, sono fattori centrali della nostra condizione attuale. Le risposte che l’architettura è chiamata a fornire per trasformare le città dell’uomo e i suoi paesaggi si misurano certamente tutte con questi temi. Essi ricorrono nelle diverse attività che hanno avuto luogo il 23 gennaio. La conferenza “Topography, topology and energy”, tenuta al mattino da Florian Hertweck, architetto, docente presso l’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Versailles e autore di uno degli articoli del numero, ha trattato i nuovi approcci topologici del progetto di architettura che affronta la definizione formale dell’edificio e del disegno dei fatti urbani attraverso i temi della città dialogica e del rapporto con l’energia. In successione, un jury composto da Laura Facchinelli, direttrice della rivista, Enzo Siviero (IUAV), Maribel Casas e lo stesso Hertweck (entrambi ENSAVersailles) ha discusso i progetti degli studenti del laboratorio IV di progettazione architettonica di cui ZeilaTesoriere è il docente titolare.
Nella pagina a fianco, da sinistra a destra e dall’alto in basso: Fabrizio Micari, Enzo Siviero, Vincenzo Melluso; Marcella Aprile; Zeila Tesoriere; Laura Facchinelli; il pubblico in aula. In questa pagina: la chiesa di San Giovanni degli Eremiti a Palermo.
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1 - Da sinistra: Zeila Tesoriere, Enzo Siviero e Laura Facchinelli.
La prima attività del pomeriggio è stata la conferenza “Costruire l’armonia”, di Enzo Siviero, introdotto dai saluti di Fabrizio Micari, Presidente della Scuola Politecnica, e di Marcella Aprile, direttore del Dipartimento di Architettura. La lunga attività di docente e progettista di ponti del prof. Siviero lo rendono un interprete di riferimento del rapporto fra infrastruttura, progetto, città e paesaggio, e un interlocutore d’eccezione nel trasferimento dei termini di questo rapporto ad un ambito didattico interdisciplinare. In relazione alla lunga carriera del prof. Siviero, Laura
2 - Una veduta di Piazza Pretoria a Palermo.
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Facchinelli ha poi presentato il volume Il ponte umano, che raccoglie alcune riflessioni dedicate alla sua opera dai colleghi delle Università italiane in occasione della sua quiescenza. È in questo quadro articolato che ha infine avuto luogo la presentazione del n. 38, nell’ambito della citata rassegna “Pioggia di libri”. Il pubblico numeroso si è composto unendo agli studenti del Corso di Studi in Architettura gli Architetti dell’ordine professionale della Provincia di Palermo, per i quali la partecipazione alla rassegna è stata riconosciuta di valore formativo. La trasversalità dell’azione
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didattica e la sua estensione a professionisti già attivi nel privato o in relazione a soggetti istituzionali è elemento di ulteriore valorizzazione dei temi trattati. Introdotta da Vincenzo Melluso (UniPa), Laura Facchinelli ha presentato i temi e gli obiettivi della rivista, ricordando l’intera sequenza dei numeri pubblicati e tratteggiando la particolarità dell’unica rivista specialistica italiana che elabora i temi dell’infrastruttura dei trasporti attraverso la chiave delle trasformazioni culturali e materiali che il suo progetto determina nei paesaggi, nei territori, nelle pratiche. Zeila Tesoriere ha quindi introdotto il numero, sottolineando l’obiettivo di sollecitare negli autori invitati l’espressione di un punto di vista architettonico sui casi scelti, volendo fornire un contributo al chiarimento del rapporto che il progetto dell’edificio di infrastruttura ha oggi con la città contemporanea e, al tempo stesso, con le questioni disciplinari in cui si inquadra. Il discussant è stato Giuseppe Marsala (UniPa). Le riflessioni e le domande poste dal pubblico hanno concluso la giornata, permettendo di sottolineare alcuni aspetti dei temi trattati e confermando la proficuità della rassegna nel costruire occasioni di incontro e confronto. Le infrastrutture dei trasporti e i loro edifici si pongono oggi fra gli elementi urbani capaci di avviare la loro modernizzazione e il loro riciclo senza che necessariamente si installino l’obsolescenza e l’abbandono. Progettarne la trasformazione per tappe, rinnovando gli usi mentre prosegue l’esercizio, definisce un nuovo approccio a questo insieme di progetti. Sullo sfondo delle mutazioni più generali che oggi riguardano il progetto della stazione, e che solo in parte si possono ricondurre alla mutata tecnologia dell’Alta Velocità, la generalizzazione della multi modalità e l’interramento frequente dei corpi di fabbrica si affermano fra i nodi compositivi centrali. L’autonomia crescente del suolo come elemento su cui operare compositivamente e figurativamente nella costruzione dei fatti urbani è il punto più evidente in cui questi nuovi progetti proseguono il dialogo che l’architettura e l’infrastruttura hanno intessuto con la città nel corso del Novecento. Si tratteggia sullo sfondo un cambiamento di paradigma riguardo
all’infrastruttura, che sempre più spesso associa alla grande scala che definisce il suo assetto primario, la multiscalarità dell’inserzione urbana e la multi temporalità di un intreccio di pratiche legate alla diversificazione dei flussi. Interpretare il significato e le valenze di queste trasformazioni profonde è oggi uno dei temi che attraversano il progetto d’architettura.
3 e 4 - La presentazione dei progetti degli studenti del laboratorio di progettazione architettonica.
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Ponte sullo Stretto, per valorizzare il Meridione e rilanciare l’economia italiana. Un convegno a Roma di Laura Facchinelli
Sono attualmente in atto grandiose trasformazioni che stanno cambiando molto rapidamente ruoli ed equilibri geoeconomici nel mondo. I traffici, in rapida crescita, si concentrano sul Mar Mediterraneo. Dove il nostro Paese si trova, geograficamente, in posizione baricentrica, senza però aver compreso né valorizzato le proprie potenzialità. Occorre concentrare lo studio sul Mediterraneo e sui paesi che vi si affacciano per scoprirne le possibili interazioni. È urgente puntare l’attenzione sulla Sicilia, collegandola (finalmente) al continente mediante il progettato Ponte sullo Stretto, segmento fondamentale del corridoio 1. È fondamentare potenziare e mettere a sistema i porti dell’area dello Stretto, primo fra quali quello di Gioia Tauro. Solo così l’Italia potrà intercettare i traffici, assumendo un ruolo da protagonista. Questo il filo conduttore del convegno La macro regione del Mezzogiorno, che si è svolto il 17 giugno a Roma nella sede dello “Spazio Europa” (gestito dall’Ufficio di informazione in Italia del Parlamento Europeo e dalla rappresentanza in Italia della Commissione Europea). Sede significativa ed appropriata per sottolineare il concetto enunciato nel sottotitolo dell’evento: Sicilia-Calabria, binomio inscindibile nel TEN-T 5 per una nuova centralità dell’Italia e dell’Europa nel Mediterraneo. Ha organizzato l’evento l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (ISAG), per il quale è intervenuto, in apertura, Filippo Romeo, con la collaborazione di Innovatori Europei, che al convegno era rappresentato dal presidente Massimo Preziuso. Fondamentale il ruolo di Cosimo Inferrera del Centro Europeo di Studi Universitari e del Comitato Peloritano Ponte Subito. Il prof. Inferrera ha paragonato l’Italia a un grande molo situato nel Mediterraneo, mentre la Sicilia divide il Mediterraneo stesso in due parti: o si passa sotto o si passa sopra. Da medico (Inferrera è stato docente all’Università di Messina) ha ricordato che siamo andando incontro a un disastro ambientale, perché il Mediterraneo rappresenta l’1% dei mari, ma vi scorre il 33% del traffico container. Pertanto c’è un crescente inquinamento, con densità massima nel tratto fra la Sicilia e Gibilterra. Se fermiamo metà del traffico all’altezza di Augusta (porto ora utilizzato solo per scopi militari) noi salviamo il Mediterraneo. La scrivente ha avuto l’occasione, in apertura, di sottolineare l’importanza del “Dare continuità alle vie terrestri”: era questo il tema del numero 12 della rivista Trasporti & Cultura nel quale, esattamente 10 anni fa, si affrontò, da vari punti di vista, la questione del Ponte sullo Stretto di Messina. Un precedente storico – quello del ponte ferroviario che venne costruito negli anni ’40 dell’800 per col-
legare Venezia con la terraferma - fa comprendere come, 170 dopo, debba considerarsi naturale, irrinunciabile, urgente collegare, finalmente, la Sicilia al resto dell’Italia e all’Europa. Il panorama delineato dai relatori è stato molto ampio. Sintetizziamo alcuni argomenti ricordando la scansione del convegno in diverse aree tematiche, differenti ma complementari.
Dal ponte il primo passo per il rilancio economico del Mezzogiorno e del Paese Sono intervenuti, fra gli altri, Maurizio Ballisteri (avvocato, università di Messina), Giorgio Diana (Politecnico di Milano), Domenico Napoli (CEFRIS Gioia Tauro) - Quello del ponte sullo Stretto è un progetto innovativo: si tratta del ponte più lungo mai progettato: 3.300 metri a campata unica. Secondo l’Economist l’Italia è arretrata dal punto di vista delle infrastrutture, e il fatto che la realizzazione dell’opera sia stata interrotta e la Società Stretto di Messina sia stata messa in liquidazione, con conseguenti risarcimenti per Impregilo, è una metafora dell’incapacità del nostro Stato. Il ponte deve intendersi come segmento di completamento di una direttrice. Sono state studiate soluzioni per i possibili problemi tecnici: ad esempio il problema del vento può essere risolto adottando una forma aerodinamica dotata di barriere del vento con alettoni. Il ponte – là dove si incontrano Europa, Asia e Africa – sarà un fulcro grandioso: dal punto di vista politico-economico, ma anche per la componente energetica (possibile produzione di energie alternative: eolica, solare, geotermica). Il ponte può pertanto essere volano di sviluppo. E può autofinanziarsi. Domenico Napoli ricorda, infatti, che il raddoppio del canale di Suez porterà un aumento sensibile delle navi in transito nel Mediterraneo. Il porto di Gioia Tauro è localizzato sulla grande rotta per Gibilterra e pertanto fa gola alle multinazionali, che vorrebbero insediarvisi. Occorre creare una zona economica speciale, con defiscalizzazione, potenziamento della ferrovia e tutto quel che serve per rendere appetibile l’area. Tutti i corridoi di traffico vanno in orizzontale, purtroppo sono state perse molte occasioni, causa le lungaggini burocratiche. Intanto si è sviluppato Tanger Med, che ha profondità, zona industriale e… l’idea di collegamento sottomarino con la Spagna. Corridoio, porto e ponte potrebbero costituire, assieme, una risorsa. Tramite il ponte, la logistica
Nella pagina a fianco: un momento del convegno di Roma e immagini della localizzazione del Ponte sullo Stretto.
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TRASPORTI & CULTURA N.41 potrebbe creare ricerca e occupazione per i giovani. Si tratta di stimolare quello che già c’è, con un deciso intervento normativo. Nel Mediterraneo, la posizione della Sicilia è centrale: lo ha ricordato Gian Luigi Corinto (Università di Macerata) ma c’è uno strabismo della politica italiana che, attratta dall’Europa, ha abdicato alla visione mediterranea. Fra le molte culture, in un’area complessa e turbolenta, non abbiamo trovato il modo di creare una cultura unica: ma se siamo frammentati, nel contesto globale avremo un ruolo marginale. Il mondo sta cambiando, lo sta cambiando la Cina, con la nuova Via della Seta marittima, ma anche con l’idea di grandiose opere infrastrutturali come la ferrovia più lunga del mondo, da Madrid alla costa orientale. Nell’orizzonte 2030 l’Oriente e il sud-est asiatico saranno protagonisti, e noi diventeremo zona di vacanze. Lo ha affermato con forza Alessandro Di Liberto dell’ISAG. Nel previsto, sensibile incremento dei traffici legato al raddoppio di Suez, la chiave di volta è la Sicilia col Meridione. Occorrono infrastrutture per diventare centrali nei traffici marittimi. Ma non stiamo facendo niente. Dobbiamo agire adesso!
Il futuro tra innovazione e utopia
1 - Localizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina (fonte: OpenStreetMap contributor).
Occorre ampliare lo sguardo. Secondo Enzo Siviero (Università Iuav, Venezia) l’Italia dovrebbe guardare di più all’Africa. Grandi ponti sono stati costruiti nel mondo: ed ecco Tune.it, l’idea nuova e ambiziosa di collegare la Sicilia con la Tunisia. Con un continente che da tempo ha espresso l’idea di un corridoio pan-africano. Non concentriamoci troppo sull’India e sulla Cina: quelle sono il presen-
te, ma il futuro è nell’Africa. L’America del nord non punta più sul manufatturiero, ma su innovazione e ricerca. Ugualmente il nord Europa. L’area euroasiatica e gli Emirati Arabi hanno i giacimenti di petrolio e metano mentre il corridoio africano valorizzerà i giacimenti di materie prime. In questa nuova geografia dello sviluppo, l’Italia – sottolinea Rocco Giordano (Consulta Autotrasporto e Logistica) – ha una posizione geografica favorevole, ma il mercato degli scambi è penalizzato dalle Alpi e dalla debolezza del sistema economico-infrastrutturale del Mezzogiorno. L’analisi evidenzia errori macroscopici: il Corridoio 1 è stato interrotto a Napoli; l’Europa non guarda all’Africa, anzi tende a indebolire i paesi della fascia sud; non si fa più ricerca e innovazione. È centrale la politica del trasporti. È necessario – a ricordarlo è Gustavo Gagliardi dell’Università di Tor Vergata – un piano d’azione sui corridoi marittimi transmediterranei. È urgente una politica di rilancio dell’economia del mare considerando il Mediterraneo bene comune, bacino sul quale i paesi della sponda sud si interfacciano con quelli della sponda nord, con piattaforme logistiche che dialogano tra loro. L’Italia può proporsi per la regia dei corridoi mediterranei. Ma c’è carenza decisionale e si stanno perdendo troppe occasioni. Iniziative nuove, però, ci sono ad iniziativa di privati. Nel nostro sud - dove arriva solo il 10% degli investimenti pubblici per l’Alta Velocità; dove il porto di Gioia Tauro non è in grado di attrarre traffici anche per l’arretratezza della rete ferroviaria – un gruppo di imprenditori ha costituito una società di trasporto ferroviario a partire dai porti di Gioia Tauro e Augusta. E ha anche brevettato un carro ferroviario che può circolare su tutte le linee europee, e ha acquistato una locomotiva multitensione con pianale di carico ad assetto variabile che può transitare nelle gallerie a sagoma inadeguata. È un tentativo concreto di uscire dalla paralisi del Mezzogiorno. La testimonianza è di Giuseppe Bova di Progetto Ferroviario Reggio Calabria.
L’Area integrata dello Stretto. Le infrastrutture del Sud per invertire il declino Sul piano infrastrutturale è fondamentale il completamento del corridoio scandinavo-mediterraneo. Giovanni Mollica, ingegnere e imprenditore di Messina, afferma che “la logistica dei trasporti può essere, per l’Italia e per il sud, quello che è il petrolio per i paesi arabi”. Il concetto è chiaro, ma il corridoio Berlino-Palermo è stato prolungato a nord verso Helsinky, mentre è stata tagliata la parte sud. Questo significa che la Salerno-Reggio e il ponte sono stati ritenuti interventi non prioritari. Ma le infrastrutture, oltre alla funzione trasportistica, sono fondamentali anche per lo sviluppo economico-sociale dell’area: i benefici, spiega Mollica, dipendono da come l’infrastruttura è progettata e da come viene coinvolto il territorio. L’infrastruttura va assunta come asset strategico. Ci sono importanti esempi di collegamento fra infrastrutture e università. Si pensi all’Oresund link, che ha portato occupazione e ricchezza in settori completamente diversi, con la creazione di un corsorzio di 12 università, 6 parchi scientifici-tecnologici, coinvolgendo 2.000 aziende e una medical valley. E consentendo di ridurre l’inquinamento e 156
TRASPORTI & CULTURA N.41 di migliorare la qualità della vita. Nel nostro paese la delocalizzazione degli insediamenti industriali che si concentrano nel nord potrebbe creare sviluppo al sud. Del complemento del corridoio Berlino-Palermo ha parlato, dati alla mano, anche Giovanni Saccà (Università di Verona), che ha illustrato alcuni grandi progetti riguardanti la Scandinavia passando, successivamente, ai problemi tecnici da affrontare per la realizzazione del collegamento nel sud Italia. Bartolomeo Giachino, già sottosegretario, ha confrontato l’azione decisa e lungimirante di Cavour con i mancati interventi che hanno portato, negli ultimi decenni, all’attuale paese privo di disegno strategico. “Occorre cambiare il corso delle cose e promuovere la crescita: altrimenti il paese non ha futuro”. “Promuovere il sud porterà benefici al nord”. Giacomo Borruso (Università di Trieste) accenna, però, alle reazioni negative suscitate dal nuovo Piano Strategico per i porti e la logistica, che prevede un accentramento di governance con riduzione delle autorità portuali. Grande apprezzamento ha suscitato un grande personaggio come Giuseppe Zamberletti, già ministro della Protezione Civile. Era necessario puntare, sì sulle strade, ma anche sulle ferrovie, dice Zamberletti. Si diceva che l’Alta Velocità era costosa e non serviva, così nessuno si azzardava più ad affrontare una questione così importante e, per uscire dall’impasse, si è dovuta creare una società apposita, la TAV, tanto per partire. Va considerato che l’Alta Velocità vuol dire anche Alta Capacità, perché liberando le “tracce” si possono far circolare più treni, con grande beneficio complessivo. Purtroppo l’Italia delle infrastrutture finisce in Campania e Puglia, e questo proprio mentre si affacciano potenze mondiali come Cina e India. Oggi c’è la crisi economica, e poi ci sono i nemici ideologici… Il ponte sembra un’infrastruttura per Calabria e Sicilia, ma è parte di un sistema. Le grandi potenze dell’Estremo Oriente hanno bisogno di una piattaforma europea nel Mediterraneo, ma perché, allora, il ponte dobbiamo pagarlo noi? Vogliamo il finanziamento del ponte – che dev’essere soprattutto ferroviario - e la partecipazione al costo delle infrastrutture del sud: si tratta di mettere in atto una grande operazione internazionale. Le tecnologie ci sono (le nostre imprese imparano le tecnologie e le applicano altrove). Questa operazione può smontare gran parte dell’opposizione politica (si pensa che l’opera gravi sul contribuen-
te con rientro in tempi lunghi), ma occorre abilità nelle trattative con le forze politiche. La strada che abbiamo individuato è quella giusta. La possibilità di un finanziamento è stato confermata da Francesco Attaguile (presidente Hub Sicilia Internazionale): c’è effettivamente la disponibilità della Cina a finanziare le opere del sud Italia. Deve nascere la lobby delle infrastrutture nel sud. L’Europa è convinta di essere al centro del mondo, ma, come con Papa Francesco la chiesa si è girata dall’altra parte, così sappiamo che i goal si fanno verso sud (Cina, India, Africa, Turchia, sud America). Occorre aprire l’Europa verso questi paesi che dominano, ed è urgente: altrimenti il declino dell’Europa sarà irreversibile. Questa è la visione strategica che dobbiamo far arrivare ai nostri governanti! Da notare che, dagli anni ’90, si è verificata una caduta verticale degli investimenti al sud (su questo fondamentale aspetto interverrà anche Aurelio Misiti, già presidente del Consiglio Nazionale dei Lavori Pubblici). Ma questa politica è contraddittoria rispetto a quella visione strategica che ha portato altri paesi ad investire proprio per promuovere le proprie aree meno sviluppare (come ha fatto la Spagna avviando l’Alta Velocità partendo da Siviglia, per recuperare l’Andalusia). È necessario riconvertire la visione: le risorse possono anche non essere pubbliche. Il ponte di Messina si farà: il problema è quando. Il ritardo provoca danno. Le regioni meridionali, oggi, sono protese verso la ricchezza, che porterà un ritorno di investimento. Che sia realistico pensare a finanziamenti privati per grandi infrastrutture lo ha detto, in chiusura del convegno, anche l’economista Stefano Baietti, con un cenno alle idee di grandi attraversamenti, come quello che potrebbe essere realizzato sulla direttrice Londra-Parigi-Mosca-Bering-New York. I grandi enti di finanziamento – spiega Baietti – non sono più favorevoli alle grandi trasformazioni territoriali: c’è interesse, invece, per i grandi progetti di collegamento. Questi sono strumento di sviluppo e di pace, ma per promuovere risultati importanti è utile, da sempre, creare istituzioni sovranazionali. Per dare slancio ai progetti infrastrutture dobbiamo vedere sempre tre aspetti: i grandi istituti economici, l’ingegneria visionaria, il momento geopolitico geostrategico. E considerare che, fra i grandi collegamenti mondiali, di importanza cruciale sono quelli del Mediterraneo. Riproduzione riservata ©
2 - In questa pagina: lo Stretto visto da Messina, sullo sfondo la costa calabrese col pilone di Santa Trada (fonte: Wikipedia). Nella pagina seguente: navi davanti alla Stazione Marittima di Venezia.
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Autori Oriana Giovinazzi - Architetto, PhD in Pianificazione Territoriale e Politiche Pubbliche, Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi, Università Iuav di Venezia Paolo Costa - Presidente dell’Autorità Portuale di Venezia Francesco Gastaldi - Professore Associato di Urbanistica, Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi, Università Iuav, Venezia Francesco Messineo - Ingegnere, Presidente dell’Autorità Portuale di Carrara Sergio Beccarelli - Architetto, Policreo S.r.l. Elena Cocuzza - Dottoranda in Pianificazione dei Trasporti, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura (DICAR), Università di Catania Matteo Ignaccolo - Professore di Pianificazione dei Trasporti, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura (DICAR), Università di Catania Giuseppe Inturri - Professore Associato di Pianificazione dei Trasporti, Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura (DICAR), Università di Catania Chiara Mazzoleni - Professore Associato di Urbanistica, Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi, Università Iuav di Venezia André Fernandes - Ricercatore, Centro Interdisciplinar de Ciências Sociais (CICS.NOVA), Faculdade de Ciências Sociais e Humanas, Universidade Nova de Lisboa, Lisboa Tom Daamen - PhD, Department of Real Estate & Housing, Urban Development Management, Faculty of Architecture and the Built Environment, Delft University of Technology Martin Aarts - Municipalità di Rotterdam Menno Huijs - Municipalità di Rotterdam Walter de Vries - Municipalità di Rotterdam Assunta Martone - Ricercatore, Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS), CNR Marichela Sepe - Ricercatore, Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS), CNR Serena Micheletti - Ricercatore, Istituto di Ricerca su Innovazione e Servizi per lo Sviluppo (IRISS), CNR Zeila Tesoriere - Professore Associato di Composizione Architettonica e Urbana, Scuola Politecnica, Università di Palermo Annick Miquel - Direttore Generale, Observatoire Villes Ports Océan Indien (OVPOI), France Yves Boquet - Professore Ordinario di Geografia, Université de Bourgogne; Segretario Generale dell’Association de Géographes Français Flavia Nico Vasconcelos - Docente del Master in Sociologia Politica, Coordinatrice dell’Observatório Cidade e Porto (OCP), Università Vila Velha/UVV, Espírito Santo, Brasil Felipe Beltrane - Ricercatore, Observatório Cidade e Porto (OCP), Università Vila Velha/UVV, Espírito Santo, Brasil Pierre Gras - Storico, Consulente, Professore Associato, École Nationale Supérieure d’Architecture de Lyon; Ricercatore, Institute d’Urbanisme de Lyon Cecilia Scoppetta - PhD in Pianificazione Territoriale e Urbanistica, Dipartimento di Design, Tecnologia dell’Architettura, Territorio e Ambiente (DATA), Università La Sapienza di Roma Alexandru Damian - Coordinatore arti visive, Commissario aggiunto della Romania alla Biennale Istituto Romeno di Cultura e Ricerca Umanistica Marta Moretti - Pubblicista, collabora con testate on-line Giuseppe Mazzeo - Ricercatore CNR, ISSM, Università di Napoli Federico II, DICEA, Laboratorio TeMA Alessandro Panaro - Responsabile infrastrutture, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno (SRM) Questo numero della rivista è stato curato da Oriana Giovinazzi, Architetto, PhD, Università Iuav di Venezia, direttore responsabile e coordinatore editoriale della rivista “Portus” . Ha coordinato diversi progetti di ricerca dedicati alla relazione città-porto e alla riqualificazione dei waterfront.
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