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TRASPORTI E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE 1
Comitato d’Onore Paolo Costa già Presidente Commissione Trasporti Parlamento Europeo Giuseppe Goisis Filosofo Politico, Venezia Franco Purini Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Università telematica E-Campus, Novedrate Maria Cristina Treu Architetto Urbanista, Milano
Comitato Scienti co: Oliviero Baccelli CERTeT, Università Bocconi, Milano Alberto Ferlenga Università Iuav, Venezia Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Stefano Maggi Università di Siena Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni ENSA Paris-Belleville, UMR AUSser Marco Pasetto Università di Padova Michelangelo Savino Università di Padova Luca Tamini Politecnico di Milano Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais
In copertina: treno ad alta velocità attraversa una campagna in ore. © FS Italiane | Photo
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Rivista quadrimestrale
71 LE NUOVE ROTTE DELLA SOSTENI BILITÀ NEL TRASPORTO AEREO
gennaio-aprile 2020
di Davide Tassi
anno XX, numero 56 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia e-mail: laura.facchinelli@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it
5 TRASPORTI E SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE di Laura Facchinelli
7 I COSTI DEL CAMBIAMENTO CLIMATICO, CONTENIMENTO DELLE EMISSIONI E STRATEGIE DI ADATTAMENTO, STRUMENTI E PROSPETTIVE di Francesco Bosello
17 I SISTEMI DI TRASPORTO A CONFRONTO: ESTERNALITÀ E IMPATTI AMBIENTALI
77 STRATEGIE E AZIONI PER UNA NAVIGAZIONE SEMPRE PIÙ GREEN di Mario Mattioli
83 NEXTSTOP ASIA, IL FUTURO GREEN DELLA MOBILITÀ di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti
91 SICUREZZA DELLA CIRCOLAZIO NE FERROVIARIA E TUTELA DELL’AMBIENTE, DUE OBIETTIVI DA PERSEGUIRE IN SINERGIA di Giovanni Caruso e Christian Lusi
di Marco Pasetto e Giovanni Giacomello
27 LA DECARBONIZZAZIONE DEL SETTORE TRASPORTI IN EUROPA E IN ITALIA ENTRO IL 2050 di Veronica Aneris e Carlos Calvo Ambel
35 RILANCIO DEL TRASPORTO FERROVIARIO MERCI IN ITALIA E IN EUROPA: INNOVAZIONI TECNICHE E ORGANIZZATIVE PER LA SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE di Giovanni Giacomello
La rivista è sottoposta a double-blind peer review
43 EMISSIO NI CLIMALTERANTI IN ITALIA E NELLA ZONA EURO: IL PESO DEL TRASPORTO MERCI SU GOMMA di Mariano Bella
Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net 2019 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di aprile 2020 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524
49 L’INTEGRAZIONE DELLA SOSTENIBILITÀ NELLE ATTIVITÀ AZIENDALI. L’ESPERIENZA DEL GRUPPO FERROVIE DELLO STATO di Lorenzo Radice e Valerio Birindelli
55 DALLE AUTOSTRADE TERRESTRI ALLE AUTOSTRADE DEL MARE: PROSPETTIVE DI RIDUZIONE DELL’IMPATTO AMBIENTALE di Ennio Cascetta e Matteo Arena
65 INTERMODALITÀ MARITTIMA E ABBATTIMENTO DELLE EMISSIONI INQUINANTI NEL SETTORE TRASPORTI, L’IMPEGNO DI ALIS di Antonio Errigo
97 COMUNICAZIONE E COMPORTA MENTI SOSTENIBILI NEL SETTORE DEI TRASPORTI di Federica Bosello
109 ALLEANZA ITALIANA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE, AZIONI INTEGRATE PER UN NUOVO MODELLO DI SVILUPPO Intervista ad Enrico Giovannini a cura di Federica Bosello
113 DALLE INFRASTRUTTURE DEL TER RITORIO ALLE INFRASTRUTTURE COME PAESAGGIO. APPUNTI SULLA NATURA E SULL’EVOLUZIO NE DEI SISTEMI STRADALI di Franco Purini
119 LE FERROVIE NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO, COLLEGAMENTI DI TERRITORI E MODI DI VIAGGIO di Anthony Gouthez
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Transport and environmental sustainability by Laura Facchinelli
We have a big problem: the critical condition of our relationship with the environment, which translates into climate change. This problem is so vast and connected to a multiplicity of activities that heads of nations, yanked in every direction by different interests, often deny rather than address it, and individuals, due to actual difficulties or simply indifference, persist in behaviour that aggravates the situation. Since transport is one of the activities that has the greatest impact on the environment, we chose to dedicate this issue of our magazine to analysing various modes of transport from the perspective of environmental sustainability: a point of view that only recently has become a focus of attention, thanks to the younger generations who are taking a strong stand on the issue. The experts who, in the pages that follow, analyse the sustainability of transports, belong in part to the world of academic research, others represent transport handlers or regulating bodies. It is not a coincidence that the editors are the expression of two different approaches to the problem: research and communication. The importance of research is rather easy to perceive: to address a complex problem, it is important to keep it under strict observation. The fundamental role of communication is clear if one considers that individuals are responsible for acting positively or negatively towards the environment, and the multiplication of individual negative actions determines results that are potentially devastating and irreversible. Communicate the risks, channel correct behaviour, engage rational thought and emotions: these are the strategies necessary to create awareness in our citizens, who will demand responsible decisions regarding the production of vehicles and the management of services. As the opening article, we publish an analysis of climate change, which poses unprecedented environmental, social and economic challenges: beyond policies to limit sources of pollution, we need to completely rethink our model of development. The two articles that follow go to the crux of the matter, comparing the different transportation systems – by land, by sea, by air – in terms of polluting emissions and the strategies needed to contain them. Freight transport is a signi cant factor in pollution, given the prevalent use of motor vehicles: great bene t could derive from reinforcing railway service, from relying more widely on intermodality and, in particular, from transferring goods onto the Motorways of the Sea. Much is already being done to achieve greener navigation. Transporting people also impacts the environment, and it is not just automobiles that stand accused: air transport has an equally negative impact. Constructors have long been experimenting with innovative strategies to reduce emissions, while a growing (though limited) number of people choose, when possible, to travel by train. That is the reason, to orient people towards this type of choice, for the launch of awareness campaigns, of messages channelled by the persuasive power of images. When this issue is published, the world over will still be contending with the effects of the pandemic, a serious and unexpected event that has led to an almost total interruption of transport services. We are now looking forward to a gradual recovery, but as the danger of infection persists, we will have to introduce measures for social distancing and individual protection which are difcult to implement and highly penalizing. This inauspicious event, which is impacting the year 2020, might boost the search for and implementation of a new balance between consumption – of goods, services, resources – and the environment, starting in the world of transport. At least we hope it will.
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Trasporti e sostenibilità ambientale di Laura Facchinelli
C’è un grande problema: la criticità della nostra relazione con l’ambiente, che si traduce nel cambiamento climatico. Un problema talmente vasto e connesso con molteplici attività che spesso i responsabili delle nazioni, strattonati da ben altri interessi, anziché affrontarlo lo negano, e le singole persone, per difficoltà reali o semplice indifferenza, persistono nei comportamenti che aggravano la situazione. Poiché una delle attività che maggiormente incidono sull’ambiente è quella dei trasporti, abbiamo voluto dedicare questo numero della rivista all’analisi delle varie modalità di trasporto dal punto di vista della sostenibilità ambientale: un punto di vista che solo recentemente è balzato al centro dell’attenzione, grazie alle prese di posizione del mondo giovanile. Fra gli esperti che analizzano, nelle pagine che seguono, la sostenibilità dei trasporti, alcuni appartengono al mondo della ricerca universitaria, altri rappresentano soggetti gestori di trasporti e organismi di controllo. Non è casuale che i curatori siano espressione di due diversi approcci al problema: la ricerca e la comunicazione. L’importanza della ricerca è facilmente intuibile: per affrontare un problema complesso, occorre tenerlo sotto stretta osservazione. Il ruolo fondamentale della comunicazione viene compreso se si considera che sono i singoli individui che adottano comportamenti positivi o negativi nei confronti dell’ambiente ed è moltiplicando singole azioni negative che si determinano risultati potenzialmente devastanti e irreversibili. Far conoscere i rischi, veicolare comportamenti corretti, coinvolgere la ragione e le emozioni: queste strategie sono necessarie per ottenere cittadini consapevoli, che pretenderanno scelte responsabili nella produzione dei veicoli e nella gestione dei servizi. In apertura, pubblichiamo un’analisi del cambiamento climatico, che pone s de ambientali, sociali ed economiche senza precedenti: al di là delle politiche di contenimento delle fonti inquinanti, si imporrebbe un vero e proprio ripensamento del nostro modello di sviluppo. Con i due interventi successivi si entra nel vivo confrontando i diversi sistemi di trasporto – terrestre, marittimo, aereo - rispetto alle emissioni inquinanti e alle strategie di contenimento. Il trasporto delle merci incide pesantemente sull’inquinamento, dato l’uso prevalente degli autoveicoli: grandi bene ci potranno venire dal potenziamento del servizio ferroviario, dall’uso esteso dell’intermodalità e, in particolare, dal trasferimento delle merci sulle Autostrade del mare. E già si sta operando per ottenere una navigazione sempre più green. Anche il trasporto delle persone incide sull’ambiente, e sul banco degli accusati non ci sono soltanto le automobili: il trasporto aereo ha un impatto altrettanto pesante. Da tempo i costruttori sono alla ricerca di strategie innovative per ridurre le emissioni, mentre un numero crescente (seppure limitato) di persone sceglie, quando possibile, di viaggiare in treno. Ed ecco che proprio per orientare le persone verso queste scelte si lanciano campagne di sensibilizzazione, si lanciano messaggi, veicolati dalla forza persuasiva delle immagini. All’uscita di questo numero, il mondo intero sarà ancora sotto l’effetto della pandemia, un fatto grave e inaspettato che ha portato ad una interruzione, pressoché totale, dei servizi di trasporto. Si prospetta ora una ripresa graduale ma, perdurando il pericolo di contagio, si renderà necessaria l’introduzione di misure di distanziamento e di protezione individuale, difficili da realizzare e molto penalizzanti. L’infausto evento che sta segnando il 2020 potrebbe accelerare la ricerca e l’affermazione di un nuovo equilibrio fra consumo - di beni, servizi, risorse - e ambiente, a partire proprio dal mondo dei trasporti. Ma è solo una speranza.
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I costi del cambiamento climatico, contenimento delle emissioni e strategie di adattamento, strumenti e prospettive di Francesco Bosello
L’esistenza di un riscaldamento globale, provocato dalla presenza in atmosfera di una serie di gas, soprattutto anidride carbonica (CO2), metano e ossido di azoto chiamati “gas serra” per la loro capacità di “intrappolare” calore, è fenomeno ben noto sin dall’800 (Arrhenius, 1896).
Il riscaldamento globale e i suoi impatti Il riscaldamento del pianeta è conseguenza diretta dell’esistenza stessa di un’atmosfera e, se non ci fossero, atmosfera e riscaldamento, la vita sulla Terra, come noi la conosciamo, non sarebbe possibile. Tuttavia oggi la concentrazione della sola CO2 supera le 410 parti per milione, un livello superiore a quello osservato negli ultimi 800.000 anni (Figura 1 sx). Livelli simili di CO2 erano presenti in atmosfera circa 3 milioni di anni fa, quando sia la temperatura media globale che il livello del mare erano signi cativamente più alti di oggi. Non solo: la rapidità con la quale la concentrazione è aumentata negli ultimi due secoli, è senza precedenti (Figura 1 dx). Questo ha comportato e continuerà a comportare per i prossimi decenni un mutamento del clima. Sono attese cioè variazioni del comportamento dei fenomeni circolatori atmosferici e oceanici alle scale più diverse, e del modo in cui micro e macro ora e fauna si riproducono, crescono e si diffondono sul pianeta. Quanto osservato al giorno d’oggi è provocato in gran parte dalle emissioni di gas serra di natura antropica associate alle attività di produzione e consumo basate sull’utilizzo dei combustibili fossili, petrolio, carbone e gas naturale, sull’uso del suolo per attività agricole e dalla deforestazione. Tale punto, su cui concorda la comunità scienti ca pressoché unanimemente, viene ribadito dall’Intergovernamental Panel on Climate Change (IPCC)
Title The costs of climate change by emission control and adaptation strategies, instruments and perspectives The by Francesco Bosello
Today the concentration of greenhouse gases in the atmosphere, a critical factor in global warming, has reached unprecedented levels. This derives from the massive use of fossil fuels that since the industrial revolution have been the basis for our development model. Global warming above 2°C will have an impact on human societies with highly unpredictable environmental, social and economic consequences. The costs could exceed 20% of the world GNP if the temperature rises 4°C. In Italy between 2 and 8%. Given these scenarios, it seems appropriate to implement urgent and forceful measures to ght climate change. The 2015 Paris accord is an important step in this direction. It con rms the international community’s aspiration to limit the temperature rise to “far below 2°C above the pre-industrial level”. It also contains a commitment to voluntarily reduce emissions, between 2020 and 2030, signed by 187 nations. Europe has already established binding goals in its “action for the climate” and, having largely achieved the goals of the “energy and climate package for 2020”, is de ning its “long-term strategy” that aims at a zero net emissions by 2050. The challenge is now to translate these commitments into practice. It is a complex process that must be carefully governed to compensate for inevitable imbalances and to draw the maximum advantage from the opportunities that will be created.
Nella pagina a anco, in alto: lo scenario più pessimista in caso di totale assenza di politiche climatiche prevede un aumento medio della temperatura terrestre superiore ai 4°C per ne secolo. In basso: la CO2 è il principale gas serra e la sua concentrazione supera oggi le 410 parti per milione.
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1 - Figura 1: concentrazione di CO2 in atmosfera in parti per milione (PPM) negli ultimi 800 mila anni (fonte: US Environmental Protection Agency, 2015), sx; concentrazione CO2 in atmosfera in PPM e forza radiante (in Watt per m2) negli ultimi 10 mila anni (fonte: IPCC AR4, 2007), dx.
che nel suo 5° rapporto del 2013 (IPCC WGI) afferma: “che è estremamente probabile1 che la componente umana sia stata la causa preponderante del riscaldamento osservato dalla seconda metà del ventesimo secolo”. Ma cosa ci possiamo aspettare? In generale aumenti di temperatura comportano: variazioni nelle precipitazioni, scarsità idrica e intensi carsi dei fenomeni siccitosi con conseguente riduzione delle rese delle principali colture cerealicole; perdita di ecosistemi e di biodiversità con conseguenze non facilmente prevedibili sulla catena alimentare; aumento di frequenza e intensità degli eventi precipitatori estremi associati a fenomeni di dissesto idro-geologico e stress per le infrastrutture; variazioni di mortalità e morbilità da malattie cardio-vascolari e respiratorie conseguenti variazioni nello stress termico, mutamento nella diffusione di vettori e agenti patogeni, innalzamento del livello del mare con perdita di zone costiere e migrazione forzata. Se l’aumento di temperatura rimane a livelli contenuti, secondo la comunità scienti ca al di sotto dei 2°C rispetto al periodo pre-industriale, questi impatti, pur non trascurabili, saranno ancora “gestibili”. Al di sopra, le trasformazioni imposte alle società umane saranno tali da avere conseguenze ambientali, sociali ed economiche difficilmente prevedibili. A livelli di riscaldamento particolarmente elevati, entrano poi in gioco i cosiddetti tipping point climatici. Questi eventi dall’esito potenzialmente catastro co, tipico esempio 1 Con “estremamente probabile” l’IPCC nei suoi rapporti traduce in termini qualitativi una probabilità quanti cabile tra il 95 e il 100%.
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è il collasso dei ghiacci della Groenlandia al quale è associato un innalzamento del livello del mare di 7 metri, a condizioni normali hanno una probabilità molto piccola di veri carsi. Aumenti di temperatura anomali creano però condizioni anormali. Kriegler et al. (2009), ad esempio, stimano che con un aumento di temperatura media globale al di sopra dei 4°C esiste una probabilità del 56% che un tipping point climatico, lo studio ne considera cinque2, venga superato. Il quadro desta particolare preoccupazione considerando che dall’inizio del secolo scorso la temperatura globale è già aumentata di circa 1° C. Il “nostro” Mediterraneo, in particolare, risulta purtroppo un “hot spot” climatico, un’area cioè in cui gli aumenti di temperatura sono più marcati rispetto alla media globale (Allen et al. 2018). In questo contesto si colloca l’Italia. Il dato storico osservato (Castellari et al. 2014) riporta un aumento della temperatura media di circa 1°C/secolo negli ultimi 100 anni, ma di 2°C/secolo se la rilevazione si riferisce agli ultimi 50 anni. Le precipitazioni cumulate medie annuali, pur nell’alta variabilità sul territorio appaiono in diminuzione, nell’ordine dell’1%/decennio. I cambiamenti climatici in atto hanno già comportato una diminuzione degli apporti nevosi, della permanenza della neve al suolo ed effetti sul permafrost. Negli ultimi 100 anni il livello relativo del Mediterraneo si è innalzato di 12 cm. Nel futuro tutto questo è destinato ad accentuarsi con ulte2 Interruzione nella circolazione termoalina, collasso dei ghiacci della Groenlandia o della crosta glaciale antartica, cambiamenti nel Nino, drastica riduzione nella foresta amazzonica.
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2 - Il cambiamento climatico impatterà il modo in cui i grandi fenomeni circolatori come i cicloni si comportano rendendone alcune tipologie più frequenti ed intense.
riore aumento del livello del mare, intensi carsi di eventi estremi, siccità, precipitazioni, ondate di calore.
Una valutazione economica: complessità e dati Si può tentare una valutazione economica delle conseguenze del cambiamento climatico? Questo è probabilmente uno degli esercizi più s danti con i quali la scienza economica si sta misurando da circa quarant’anni, che ha prodotto nuove metodologie di indagine, ampliato i con ni della disciplina, generato un’estesissima letteratura, altrettanti dibattiti e talora polemiche. Tutto è collegato al ruolo dell’incertezza. L’incertezza è caratteristica tipica del processo scienti co. Nel contesto dei cambiamenti climatici, interviene già a “monte” della valutazione economica, dal momento che, nonostante la conoscenza acquisita, il comportamento del clima in risposta all’aumento di concentrazione di gas serra nell’atmosfera, non è perfettamente prevedibile; così come non sono perfettamente prevedibili le reazioni dei sistemi ecologico-ambientali alle pressioni climatiche. In sede di valutazione economica, però, all’incertezza si somma un elemento di soggettività. Questo deriva da tre elementi caratterizzanti il cambiamento climatico: la sua dimensione intertemporale, la sua dimensione globale, e il fatto di impattare anche beni e servizi “non di mercato”.
La dimensione intertemporale pone due ordini di problemi. Il primo si riferisce al fatto di dover valutare dei costi, non solo per le società presenti, ma anche per quelle future. Il tipo di società impattata non è neutrale nella determinazione dei costi, che potranno essere anche molto diversi pur a parità di stressor ambientale. Essendo impossibile “prevedere” come saranno le società umane tra 50 o 100 anni, la comunità scienti ca usa “scenari”. Questi non sono però “predizioni”, ma piuttosto “narrative” internamente coerenti, riguardo a possibili evoluzioni future. In campo di analisi economica del cambiamento climatico attualmente si usano 5 scenari chiamati Shared Social Economic Pathways (SSPs) che descrivono 5 diversi possibili sentieri di sviluppo socio-economico per le comunità umane (Riahi et al. 2017)3. Il secondo problema deriva dal fatto di dover aggregare e confrontare costi e bene ci distribuiti in tempi diversi. Sempli cando: più si ritiene il 3 L’SSP1 e l’SSP5 prevedono “investimenti sostanziali in istruzione e sanità, rapida crescita economica e istituzioni ben funzionanti”. Tuttavia mentre l’SSP5 presume che lo sviluppo sia guidato da un’economia basata sui combustibili fossili e ad alta intensità energetica, quindi con elevate emissioni e incrementi di temperatura, l’SSP1 presuppone una particolare sensibilità ambientale e verso la sostenibilità. Gli SSP3 e SSP4 propongono una visione più “pessimista” di sviluppo con pochi investimenti in istruzione e salute, maggior divario tra paesi ricchi e poveri, disuguaglianze crescenti e maggior crescita della popolazione. L’SSP2 con gura uno scenario di “mezzo”, in cui il modello di sviluppo è una prosecuzione dell’esperienza storica corrente.
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3 - Tabella 1 Valutazione economica degli impatti globali del cambiamento climatico. Risultati e metodologie a confronto. Fonti: tabella: nostro adattamento e rielaborazione da Howard e Sterner (2017); gura basso sx: Tol (2018); gura basso dx: Burke et al. (2015).
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futuro, o le future generazioni, “importanti”, più i costi futuri del cambiamento climatico saranno “importanti”, più alta sarà la somma di tali costi lungo il tempo e più giusti cato sarà destinare oggi risorse a contrastarli. La scelta del “peso” da assegnare al futuro, in gergo, del tasso di sconto, è una scelta dalla quale sono ineliminabili elementi di soggettività e quindi, per sua natura, opinabile. La dimensione globale del cambiamento climatico pone delle problematiche per certi versi simili. Gli impatti climatici colpiscono paesi diversi, classi sociali diverse, individui diversi. Pertanto, anche a parità di perdita monetaria, la penalizzazione sarà diversa, plausibilmente maggiore, per i paesi più poveri o gli individui più svantaggiati. Tenerne o non tenerne conto ha delle dirette ripercussioni sia sulla stima complessiva dei costi che sulla valutazione dell’opportunità delle politiche climatiche. Ma se, e in che modo, considerare l’asimmetria tra soggetti, introduce nuovamente un elemento di soggettività. Un’ultima fonte di incertezza è collegata alla valutazione di impatti climatici che colpiscono beni e servizi non associabili ad un uso “immediato” e/o non oggetto di transazioni in mercati ufficiali. Tali sono ad esempio molti servizi eco-sistemici o della biodiversità
che, pur producendo innegabili vantaggi, non vengono né prodotti, né acquistati. In questo contesto non è possibile utilizzare il sistema dei prezzi, che, pur con tutti i suoi limiti, fornisce quantomeno un primo riferimento di valore. Si deve ricorrere, invece, a tecniche che “elicitino” direttamente il valore da soggetti interessati. Queste tecniche si basano su interviste e, pertanto, le indicazioni ottenute sono, in ultima istanza, soggette alla variabilità derivante dalle caratteristiche degli intervistati. Nonostante tutte queste limitazioni, quanto sappiamo sui costi e i rischi potenziali del cambiamento climatico è già sufficiente a sostenere una decisa azione di contrasto e ad indicarci in che direzione indirizzarla. Mondo - Diversi approcci metodologici sono stati seguiti per stimare i futuri impatti economici del clima. Uno consiste nell’utilizzo di modelli economici accoppiati con tecniche diverse a modelli di impatto climatico; un altro, che ultimamente sta conoscendo un particolare sviluppo, consiste invece nell’applicare tecniche econometrico-statistiche che analizzano il rapporto tra fattori climatici e performance economica nel passato per poi effettuare proiezioni al futuro; un altro
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4 - Fenomeni come l’acqua alta eccezionale di Venezia del 2019 diventeranno più frequenti in un contesto di cambiaento climatico e innalzamento del livello del mare.
ancora, de nibile semi-quantitativo, si basa sull’estrazione di dati e proiezioni dal parere quali cato di esperti. Ciascuno ha i suoi punti di forza e di debolezza. I risultati delle diverse metodologie riguardo gli impatti sul PIL mondiale vengono riassunti in tabella 1 che riporta anche due gra ci esempli cativi per permettere un più diretto confronto tra le valutazioni modellistiche e quelle econometriche. Dalla tabella si evince come gli impatti economici del clima possano essere, in media, contenuti per aumenti di temperatura entro i 2°C, per poi aumentare signi cativamente per temperature maggiori. Da notare che la maggior parte degli studi condotti con modelli (tabella 1 basso sx), si è concentrata su aumenti di temperature tra 2 e 3°C, che rappresentano climi più “simili” a quello attuale. Temperature oltre questa soglia porterebbero ad effetti imprevedibili difficilmente rappresentabili attraverso modelli economici che quindi raramente tentano questo esercizio. Gli approcci econometrici e i metodi semi quantitativi (un esempio in tabella 1 basso dx) sono meno limitati in tale senso. I risultati di questi studi confermano i trend evidenziati dall’analisi modellistica, tuttavia evidenziano perdite molto più elevate sia per aumenti di temperatura attorno ai 4°C, circa il 23% del PIL mondiale, che per aumenti di temperatura più contenuti, 10% già attorno ai 2°C di riscaldamento. Un elemento su cui tutti gli studi concorda-
no è che il cambiamento climatico aumenta la distanza tra ricchi e poveri, e quindi la disuguaglianza. I paesi in via di sviluppo evidenziando perdite di PIL molto più elevate dei paesi sviluppati anche quando la perdita mondiale media è contenuta o addirittura leggermente negativa. I fattori che contribuiscono a questo risultato sono tre: anzitutto i paesi in via di sviluppo sono concentrati alle medie e basse latitudini, dove il cambiamento climatico si materializza in contesti già di elevata temperatura. Le economie in via di sviluppo mostrano inoltre una maggiore dipendenza da settori, primo tra tutti l’agricoltura, che sono più sensibili alle variazioni del clima. In ne, hanno minori risorse, nanziarie, economiche ed istituzionali per fare fronte ai cambiamenti climatici. Ma ciò accade anche all’interno di un paese: i gruppi sociali più sfavoriti, tendono ad essere più esposti e meno adattabili agli impatti climatici.
Europa - Una valutazione integrata degli impatti economici del cambiamento climatico sul PIL europeo, distinguendo per principali aree geogra che e categorie/settori di impatto, viene proposta dal progetto PESETA III (Ciscar et al 2018) che confronta uno scenario di aumento della temperatura di 2°C, con uno di “elevato cambiamento climatico” in cui le temperature medie mondiali sono previste superare i 3°C nel periodo 2071-2100 (Figura 2).
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5 - Figura 2.: impatti economici del cambiamento climatico in Europa (% PIL) per regione e “aree di impatto” negli scenari di aumento di temperatura di 2°C e “elevato”.
Le aree economicamente più colpite risultano essere l’Europa centro-meridionale e meridionale. Quest’ultima, nello scenario ad elevato cambiamento climatico evidenzia perdite di PIL superiori al 4%. La componente di costo più elevata è quella associata alle variazioni di morbilità e mortalità derivante dagli aumenti di patologie cardio-vascolari e respiratorie indotte dagli aumenti di temperature medie ed estreme. Voci di costo elevate sono associate alla perdita di produttività del lavoro pari a circa lo 0.4% del PIL regionale, seguite dalle perdite di aree e infrastrutture costiere per innalzamento del livello del mare e da quelle nel settore agricolo. Non bisogna comunque trascurare il fatto che i danni espressi su aree geogra che così estese possano nascondere zone di alta o altissima vulnerabilità economica al loro interno. Infatti, la caratterizzazione macroeconomica su scale sub-nazionali degli impatti climatici è uno dei campi su cui la ricerca sta investendo di più. È inoltre importante sottolineare che queste analisi non contengono valutazioni relative al veri carsi di eventuali tipping point climatici. Italia - L’Italia, per la sua collocazione mediterranea e le caratteristiche oro-geogra che, risulta particolarmente esposta ai rischi di un clima in cambiamento. Perdite economiche sarebbero sensibili già in scenari di aumento di temperatura moderati secondo Carraro et al (2009) che riportano una perdita di PIL tra i
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2 e i 3.5 miliardi di euro, e perdite di benessere per le famiglie quanti cabili in 20 miliardi di euro l’anno per un aumento di temperatura anche di soli 1.5°C rispetto al periodo pre-industriale. Un aumento di temperatura attorno ai 4° C comporterebbe perdite di PIL del 2%, circa 35 miliardi di euro l’anno, secondo McCallum et al (2013) se non addirittura del 7% (Kahn et al., 2019) o dell’8% (Ronchi, 2019) secondo più recenti studi condotti con tecniche econometriche. Guardando ai costi diretti per settore, sembrerebbe che le perdite economiche più rilevanti si materializzino nelle infrastrutture - reti di comunicazione, trasporto e distribuzione - a seguito del maggiore dissesto idrogeologico. Ad esempio, in uno scenario climatico che prevede il superamento dei 2°C a metà secolo e dei 4-5°C a ne secolo Al eri et al. (2015) quanti cano i danni da eventi alluvionali tra 4.5 e 11 miliardi nel 2050 e tra i 14 e i 72 miliardi nel 2080. Dato sostanzialmente confermato dal già citato progetto PESETA III dal quale l’Italia risulta il Paese europeo con la più alta esposizione economica al rischio alluvionale futuro. Nel settore agricolo, impatti negativi sulle rese sembrano prevalere per aumenti di temperatura superiori ai 2°C. McCallum et al. (2013) quanti cano i costi diretti associati, nello 0,7% del PIL (12 miliardi di Euro) per un aumento della temperatura di 2°C e nell’1,9% del PIL (32 miliardi di Euro) per un aumento di 4°C. Perdite ancora più elevate,
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dell’ordine di 87–162 miliardi di euro a ne secolo, vengono riportati dalle analisi che stimano la riduzione attesa del valore delle rendite fondiarie (Van Passel e Massetti 2017). La redistribuzione dei ussi turistici potrebbe provocare perdite economiche dirette per minori arrivi e presenze tra i 17 e 52 miliardi di euro nel 2050 per scenari climatici di +2°C e +4°C rispettivamente (McCallum et al., 2013), mentre, secondo il progetto PESETA III, le perdite attese da inondazione ed erosione costiera varierebbero tra i 650 e i 950 milioni di euro annui nel 2050 e tra i 3.1 e i 5.7 miliardi di euro nel 2100.
Le politiche climatiche Di fronte a questi scenari cosa si può fare? La prima ed ovvia risposta è ridurre alla fonte le cause del cambiamento climatico e quindi mitigare le emissioni di gas serra. L’accordo di Parigi del 2015 a conclusione del 21° round negoziale sul clima (la 21a Conferenza delle Parti o COP 21) è un passo importante in questa direzione. Oltre a ribadire l’aspirazione della comunità internazionale a contenere l’aumento della temperatura “ben al di sotto dei 2°C rispetto al periodo preindustriale” puntando a 1,5°C, ssa come punto di partenza i cosiddetti Nationally Determined Contributions (NDC). Questi sono una serie di impegni di riduzione delle emissioni, volontari, ma soggetti a veri ca e incrementabili, da conseguirsi tra il 2020 e il 2030 assunti da parte di 187 nazioni che rappresentano più del 95% delle emissioni mondiali. Gli NDC sono però solo lo stadio iniziale di un processo più lungo. Anzitutto sono impegni che da non vincolanti dovrebbero essere trasformati in cogenti. Inoltre, così come attualmente formulati, sarebbero in grado di contenere l’aumento della temperatura solo tra i 2.8 e i 3.2°C (Climate Action Tracker). Quanto sia difficile fare passi avanti in entrambe le direzioni è dimostrato dalla lentezza con cui progrediscono i negoziati internazionali sul clima post Parigi, testimoniati dal nulla di fatto dell’ultima conferenza sul clima di Madrid del 2019. Ci sono vari ordini di difficoltà. La de-carbonizzazione costa. In realtà, molto meno di quanto costerebbe non fare nulla, ma le cifre sono comunque ingenti. È stato stimato che il contenimento dell’aumento della temperatura entro i 2°C richiederebbe investimenti addizionali annui nel settore energetico pari a circa l’1.5% del PIL mondiale (Gupta et al. 2014); del 2,5% se l’obiet-
tivo fossero gli 1.5°C (UE 2019). Per l’Europa si parlerebbe di circa 80-175 miliardi di euro aggiuntivi l’anno per rimanere sotto i 2°C e di 175-290 miliardi di euro per raggiungere gli 1.5°C (UE 2019) e cioè circa l’1, 1,6% del PIL dell’UE rispettivamente. Gli investimenti creano nuove modalità di produzione, nascita ed espansione di nuovi settori economici, nuove professioni, opportunità occupazionali e quindi non sono “costi secchi”. La s da rimane però epocale. Richiede un totale ripensamento del processo tecnologico, di produzione e consumo fondato sui combustibili fossili su cui si è basato il sentiero di sviluppo economico umano dalla rivoluzione industriale ad oggi. Basti pensare che il sentiero emissivo compatibile con il contenimento dell’aumento di temperatura a 1.5°C richiederebbe zero emissioni nette di CO2 al 2050 che a sua volta imporrebbe un massiccio disinvestimento nelle fonti fossili che lascerebbe inutilizzato circa l’84% delle riserve attualmente note e commercialmente sfruttabili. L’altro problema è costituito dalla distribuzione dei costi della transizione energetica tra Paesi. Quelli in via di sviluppo, in particolare, non solo devono giustamente vedere riconosciuta la loro minore responsabilità sia storica che in termini pro-capite nei confronti del problema, ma devono anche essere tutelati affinché il processo di de-carbonizzazione non si traduca in ulteriore penalizzazione delle loro possibilità di crescita. Ciò detto, senza un attivo coinvolgimento nella mitigazione dei Paesi in via di sviluppo e soprattutto di quelli di rapida industrializzazione come Cina, India, Indonesia, che in totale emettono oggi più dei Paesi industrializzati, ogni obiettivo di contenimento delle emissioni diventa velleitario. Conciliare efficacia, efficienza ed equità delle politiche climatiche in ambito internazionale è però estremamente complesso. L’Europa ha accettato la s da posta dall’emergenza climatica stabilendo degli obiettivi vincolanti nella sua “azione per il clima”. Questa si sostanzia anzitutto nel “pacchetto per il clima e l’energia 2020”. Questo, per il 2020, prevede: una riduzione delle emissioni di gas serra del 20% rispetto ai livelli del 1990; il 20% di energia prodotto da fonte rinnovabile, un miglioramento dell’efficienza energetica del 20%. Il primo obiettivo è stato conseguito in anticipo: già nel 2016 la riduzione delle emissioni dell’UE era del 23% rispetto al 1990. Anche l’obiettivo sulle rinnovabili è stato conseguito. Secondo le ultime rilevazioni disponibili da EUROSTAT riferite al 2018, l’UE aveva praticamente raggiunto il
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6- I fenomeni siccitosi e la scarsità idrica saranno sempre più frequenti in un contesto di cambiamento climatico. L’Europa meridionale risulta particolarmente esposta.
traguardo, con molti Stati, tra cui l’Italia, che avevano fatto meglio di quanto previsto dalla normativa. In campo di efficienza energetica invece i progressi appaiono più lenti. Il post 2020 europeo è attualmente regolato dal “quadro per le politiche dell’energia e del clima 2030”. Questo prevede: un taglio delle emissioni di gas serra del 40% rispetto ai livelli del 1990; una quota del 32% da energia rinnovabile e un miglioramento del 32.5% nell’efficienza energetica. A ciascuno Stato Membro è stato richiesto di presentare un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima (PNIEC) per il periodo 2021-2030 entro ne 2019. L’Italia ha ufficialmente approvato il suo PNIEC, il cui testo è attualmente disponibile sul sito del MISE, nel dicembre 2019. La s da principale attende comunque l’UE nel periodo 2030-2050. Il traguardo ultimo è quello di un’economia clima-neutrale e con zero emissioni nette di gas serra al 2050. Attualmente l’UE, che ha recentemente varato il suo piano di investimenti verdi nel Green Deal e ciascuno Stato Membro stanno de nendo le loro “strategie di lungo termine” per il conseguimento dell’ambizioso obiettivo. La mitigazione è però solo uno dei pilastri dell’azione contro i cambiamenti climatici. L’altro è l’adattamento che agisce sugli impatti e consiste nel porre in essere tutte le misure atte a ridurre preventivamente o reattivamente le loro conseguenze negative. L’adattamento ha due aspetti interessanti. Anzitutto, consiste in azioni e misure, quali ad esempio protezione contro inondazioni costiere e uviali, efficienza delle reti, che per la maggior parte già rientrano nelle
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buone pratiche di piani cazione di ogni amministratore pubblico. Nella maggior parte dei casi, si tratta quindi di adeguare quanto si sta già facendo allo stress aggiuntivo posto dal cambiamento climatico. In secondo luogo, offre spesso importanti opportunità di sviluppo aggiuntive rispetto alla riduzione del danno. Ad esempio, azioni contro la scarsità idrica ed i processi di deserti cazione, hanno effetti che vanno oltre la riduzione della vulnerabilità climatica, ma possono promuovere lo sviluppo di un settore economico o di una regione. L’accordo di Parigi del 2015 ha segnato una svolta anche in questo senso. Anzitutto l’adattamento vi appare come elemento fondamentale dell’azione climatica assieme alla mitigazione con obiettivi speci ci parte integrante degli NDC della quasi totalità dei Paesi in via di sviluppo. Inoltre viene riconosciuta la necessità di un sostegno all’adattamento: in tale direzione va l’impegno di stanziare risorse pari a 100 miliardi di dollari all’anno da qui no al 2025 per il sostegno allo sforzo sia di mitigazione che di adattamento nei Paesi in via di sviluppo. La s da principale oggi è quindi quella di tradurre in pratica gli impegni presi. I Paesi europei si sono tutti ormai dotati di una Strategia Nazionale di Adattamento e hanno de nito, o sono in fase di de nizione/ approvazione, dei rispettivi Piani Nazionali di Adattamento. Inoltre, piani di adattamento vengono correntemente sviluppati a livello regionale e urbano. E proprio il 2020 è l’anno in cui l’UE compirà la revisione della sua strategia di adattamento.
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Conclusioni
timates”, Environmental and Resource Economics, 68(1): 197–225
Il cambiamento climatico pone delle s de ambientali, sociali ed economiche senza precedenti. Si aggiunge, acuendoli, ad altri “mega trend” di criticità come la crescita della popolazione, i suoi spostamenti, la pressione e l’esaurimento delle risorse, l’iniqua distribuzione della ricchezza. Tutti questi elementi, sono strettamente connessi e impongono di fatto un ripensamento del nostro modello di sviluppo. Di fronte all’innegabile complessità, le conoscenze di cui già oggi disponiamo ci danno indicazioni su come agire, ci dicono che il contenimento dell’incremento della temperatura è possibile, e che, oltre ai costi, si possono aprire altrettante opportunità. Sta a noi raccogliere la s da.
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I sistemi di trasporto a confronto: esternalità e impatti ambientali di Marco Pasetto e Giovanni Giacomello
Il sistema dei trasporti si fonda su diversi modi (strada, ferrovia, aereo, ecc.) con proprie caratteristiche, che li rendono adeguati per un certo tipo di attività, nalità e/o itinerario. Infatti, ogni mezzo di trasporto ha un ambito di utilizzo entro il quale il suo funzionamento può essere riconosciuto come sostenibile dal punto di vista economico (soprattutto alla luce del rapporto costi/ricavi). Ad esempio - banalizzando - ponendo a confronto il trasporto aereo e quello ferroviario, si osserva come il primo costituisca soluzione ottimale per la movimentazione di merci o persone su grandi distanze con massima celerità (a qualunque livello territoriale), mentre il secondo sia vieppiù idoneo allo spostamento di merci o passeggeri quantitativamente più rilevanti, ma con tempi maggiori e su distanze più contenute. Si possono quindi de nire degli ambiti propri per ciascuna modalità di trasporto. Questi ambiti sono però spesso principalmente teorici, perché nella realtà concorrono a modi carli numerosi fattori legati al singolo paese (decisioni politiche, benessere, presenza delle infrastrutture di trasporto adeguate, prodotto interno lordo, industria, logistica, ecc.). Infatti quando si parla di “sviluppo dei trasporti”, e di “trasporti” in genere, si fa riferimento al contesto territoriale ed economico di una specica realtà. Il trasporto stradale (o su gomma – per distinguerlo dal trasporto su ferro o rotaia) ha subito negli ultimi cinquant’anni una evoluzione e una spinta economica notevole, soprattutto in Italia: la logistica, ovvero la mobilità delle merci è, infatti, diventata generalmente molto spesso “monopolio” della “gomma”. Recentemente in Italia, a seguito di decisioni e valutazioni diverse (politiche sovranazionali e nazionali, valutazioni economiche, interessi corporativi di settore, ecc.), il trasporto su ferro ha ricevuto maggiore slancio e ha risentito di una crescita (dopo anni di calo), giungendo a coprire circa il 20% del totale di merci movimentate. Gli indirizzi dell’Unione Europea sono quelli di diminuire il traffico
A comparative study of transportation systems: externalities and environmental impact by Marco Pasetto and Giovanni Giacomello Transport systems are a set of services that, properly dimensioned, make it possible to satisfy the demand for mobility of people and goods. Each transport system has its own operating range within which it is sustainable and economically efficient. This range depends on a series of factors related to the economic and social situation of the different countries (such as wealth, transport infrastructure, gross domestic product, etc.). In many cases the transport systems are unbalanced, and some prevail over others because they are more deeply rooted in the territory, or for political and economic reasons. The reality of each country is very different; it is therefore quite difficult to compare the transport systems of different nations. To avoid making unrealistic assumptions, it is necessary to rely on a common method that makes it possible to characterise the transport systems in homogeneous terms. Since each mode of transport produces (to a greater or lesser extent) a series of externalities expressed in terms of economic costs to the community, this approach can evaluate the fallout of the externalities and the environmental impact of the various transport systems from a social and economic point of view. Referring to factors recognized and discussed in the literature (such as the impact on climate, congestion, noise, etc.), the Authors used this approach to examine different transport systems, and analysed the problem to identify possible solutions for balancing the transport system mode at the European scale.
Nella pagina a anco, in alto: foto di un aereo cargo durante le operazioni a terra. Fonte: https://www. ger manaviation .co m/ services-fracht/. In basso: l’intermodalità gommaferro: foto di camion su carri ferroviari (la cosiddetta “autostrada viaggainte”). Fonte: https:// it.wikipedia.org/wiki/Autostrada_viaggiante.
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1 - Trasporto intermodale per mare. Fonte: it.wik ipedia.org/wik i/ Nave portacontainer. 2 - Nave traghetto per trasporto passeggeri.
merci su gomma per aumentare quello su rotaia: la s da è quella di trasferire su ferro almeno il 30% delle merci entro il 2030 e il 50% entro il 2050.
I diversi sistemi di trasporto a confronto Gli ambiti dei modi di trasporto - I campi di convenienza delle diverse modalità di trasporto possono essere sommariamente individuati in base al volume di merci o di passeggeri da trasportare e alla distanza per la quale il sistema è considerato economicamente e logisticamente sostenibile ( gura 3). Nell’ambito del trasporto merci il fenomeno è stato studiato da Hoover, che ha fatto rilevare l’opportunità di ricorrere ai diversi modi di trasporto in relazione alle distanze ed ai volumi movimentati.
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Si può, quindi, de nire per ciascun modo di trasporto un ambito di funzionamento ottimale e sostenibile, con cui si correla una “funzione propria” (dal punto di vista della mobilità di passeggeri e di merci). Il sistema su gomma (autotrasporto per le merci o autobus di linea per i passeggeri) ha un ambito di compatibilità molto ampio in termini di distanza (congruente con brevi e lunghi percorsi), mentre per quel che concerne i volumi può essere associato al trasporto di quantità assai variabili (da limitate a medie, soprattutto no a non elevate distanze). Possiamo indenti care le medie distanze in spostamenti di tipo regionale, ma il sistema di trasporto su gomma può arrivare no a distanze di tipo nazionale e, oggigiorno, talora anche sovranazionale (si pensi all’attuale mobilità transfrontaliera fra Italia ed Europa dell’Est), seppur sempre con la movimentazione di quantità relativamente ridotte. Il sistema ferroviario è, invece, destinato a trasportare ben più alti volumi di merci e/o di passeggeri e ad essere competitivo su brevi e medie distanze (non diversamente dal trasporto su gomma), in relazione alle quantità in gioco. La prerogativa del trasporto navale è quella di trasportare grandi quantità di merci (navi cargo) o persone (transatlantici o navi da crociera) su distanze molto elevate. Il sistema aereo può stivare un volume di merci o di passeggeri di medio livello su lunghe distanze e possiede il vantaggio della più elevata celerità. De nito l’ambito di utilizzo dei diversi modi di trasporto, è allora possibile effettuare una valutazione circa l’impatto sull’ambiente di ciascuno di essi (in termini di emissioni gassose, inquinamento acustico ecc.), veri candone l’idoneità di impiego e le ricadute sull’economia globale, anche in considerazione dei volumi di merci e persone movimentati. A titolo di esempio, si osserva che in Italia il sistema stradale, nonostante quanto sopra osservato, è sicuramente più utilizzato rispetto al sistema ferroviario sulle mediolunghe distanze. Ciò non si deve ad una minore funzionalità di quest’ultimo, ma al fatto che il sistema su gomma (autotrasporto in particolare) è ben organizzato e capillarmente diffuso nel territorio, sia per la presenza di estese infrastrutture che per la disponibilità di parchi veicolari ben strutturati. Diventa quindi più probabile, a parità di quantità di merci da trasportare, che un’azienda utilizzi il trasporto su gomma piuttosto che su rotaia per movimentare beni in quantità più o meno signi cative. Inoltre, si deve tenere presente che, per lo spostamento di merci (o
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persone), il più delle volte è sfruttato il mezzo che permette di giungere rapidamente a destinazione, piuttosto di suddividere lo spostamento fra due o più vettori (utilizzando diversi mezzi di trasporto). Le ragioni di tale situazione sono da ricercare nelle dinamiche economiche che legano spostamenti e modi di trasporto. Nel caso dello spostamento di persone, ad esempio, tra due città, viene previlegiato il sistema che consente un risparmio di denaro e, al tempo stesso, di tempo. Non sempre l’utilizzo di due o più mezzi di trasporto (ferrovia ed autobus) viene preso in considerazione (anche se ciò consentirebbe di risparmiare emissioni gassose rispetto alla sola automobile). Si predilige invece la soluzione più veloce e meno costosa (nel breve termine), a discapito della sostenibilità economica ed ambientale: l’inquinamento atmosferico dovuto ai veicoli privati è sempre maggiore di quello correlato col trasporto pubblico, a parità di passeggeri movimentati. Similmente accade per le merci. La spedizione con mezzi più economici e diretti (ma più costosi dal punto di vista dell’inquinamento) è privilegiata rispetto a soluzioni più dispendiose in termini di costo e tempo di consegna. Così, la spedizione di merci in Italia utilizza ancora abitualmente il vettore su gomma, piuttosto che previlegiare una complementarietà tra strada e rotaia (o addirittura la via aerea). Ciò, anche prescindendo da numero e quantità di merce movimentata. Ciò che caratterizza la scelta dei modi di trasporto non è, generalmente, la somma degli impatti ambientali, ma piuttosto il concorso di leggi di mercato, prezzi, economia e tempi di viaggio. L’analisi dell’inquinamento dei diversi sistemi di trasporto - L’inquinamento dei diversi modi di trasporto può essere valutato mediante l’analisi di differenti indicatori consolidati descritti nella letteratura di settore.
A livello europeo è stato pubblicato nel 2019 un documento riassuntivo sui costi esterni dovuti ai diversi modi di trasporto (con riferimento a dati dell’anno 2016). Lo studio ha individuato i costi esterni più importanti nel campo dei trasporti, ovvero: impatto sull’ecosistema, emissioni dovute alla produzione di energia, rumore, inquinamento atmosferico, impatto sul clima, congestione/ritardo, incidentalità. Il fattore “congestione/ritardo” è stato valutato solo per alcuni sistemi di trasporto a causa della mancanza di dati. Lo studio ha riguardato mezzi di trasporto su strada (sia viaggiatori – automobile privata e autobus/bus turistici – che merci – veicoli commerciali leggeri e veicoli pesanti), mezzi di trasporto su ferro (sia viaggiatori che merci), il mezzo aereo (solo passeggeri) e mezzi di spostamento via mare e per vie d’acqua interne. Analizzando l’incidenza dei valori dei singoli costi esterni rispetto al totale dei costi a livello europeo (UE28 – anno 2016, gura 4), la congestione/ritardo, l’incidentalità e l’impatto sul clima sono i parametri che in uenzano maggiormente il totale dei costi esterni (32.5%, 31.3 e 12,4% rispettivamente), mentre l’inquinamento atmosferico, il rumore, le emissioni dovute alla produzione di energia e l’impatto sull’ecosistema non hanno un grande rilievo sulle esternalità totali (8.5%, 6%, 4.7% e 4.6%, rispettivamente). Rispetto al 2008 (anno dei dati del precedente rapporto comunitario sulle esternalità dei trasporti), sostanzialmente non si evidenziano variazioni sostanziali. Si possono notare un leggero aumento della componente “rumore” (dal 2.7% al 6%) e una leggera diminuzione di incidentalità, impatto sul clima e emissioni dovute alla produzione di energia. Dai diagrammi di gura 5 si possono effettuare delle valutazioni sulle modalità di impatto dei diversi modi di trasporto sul totale dei costi esterni. In particolare, il trasporto su gomma incide maggiormente sul totale dei costi esterni (per più del 90%). Seguono poi
3 - Schematizzazione della sostenibilità economicologistica dei diversi sistemi di trasporto.
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4 - Quota di incidenza delle singole voci di costo sul totale delle esternalità a livello europeo (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28). Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019. 5 Quota di incidenza dei sistemi di trasporto sul totale delle esternalità (costi) a livello europeo (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28). Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
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il trasporto aereo, quello ferroviario e in ne il trasporto per vie d’acque interne (per l’anno 2016 sono 3.9%, 2.1% e 0.3%, rispettivamente), i quali, nel complesso, raggiungono appena il 6% del totale. I dati per il trasporto marittimo non sono presenti nel rapporto del 2008, ma sono presenti in quello del 2016 e, seppure con delle stime molto grezze, si indica che esso abbia un impatto per circa il 10% sul totale dei costi esterni. Il trasporto stradale si conferma essere la modalità con le più alte esternalità. I costi delle automobili private superano i 500 miliardi di euro per anno ( gura 6). Nel caso del trasporto merci, veicoli commerciali e veicoli pesanti hanno costi esterni elevati ( gura 7) e, anche escludendo il parametro
“congestione/ritardo” ( gura 8), superano i 50 miliardi di euro per anno in termini di costo totale (dati riferiti all’Unione Europea a 28 Paesi per l’anno 2016). Seguono, in termini di costi esterni totali, il trasporto aereo passeggeri (poco superiore a 30 miliardi di euro per anno - aumentato rispetto all’anno 2008) e il trasporto stradale passeggeri (autobus e bus turistici). Il trasporto ferroviario (sia passeggeri che merci) ha un basso costo esterno, come il trasporto per vie navigabili interne ( umi, canali, ecc.). Non è presente nelle gure sopra citate il trasporto marittimo per le merci, il quale è stato stimato nel rapporto del 2019 e totalizza circa 100 miliardi di euro per anno in termini di corso esterno totale.
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6 - Costi esterni a livello europeo (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28) dei diversi sistemi di trasporto. Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
7 - Costi esterni a livello europeo (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28) dei diversi sistemi di trasporto (escludendo le automobili private). Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
Volendo quindi classi care i mezzi di trasporto rispetto alle loro esternalità, è possibile indicare nell’autoveicolo privato (trasporto passeggeri) il mezzo più inquinante, seguito dal trasporto delle merci su gomma e (al terzo posto) dal trasporto merci di tipo commerciale (piccoli camion, furgoni, ecc.). Dalle gure 6, 7 e 8 è possibile inoltre identi care le principali voci di costo che in uenzano il singolo modo di trasporto. Il traspor-
to stradale è in uenzato maggiormente dalla congestione delle infrastrutture (principalmente a causa del ritardo che si accumula durante uno spostamento). Per gli altri mezzi di trasporto ( gura 8) i parametri che hanno in uenza sono l’impatto sul clima (nel trasporto aereo), il rumore (nel trasporto ferroviario) e, in parte, le emissioni dovute alla produzione di energia (sia per il trasporto aereo che per quello ferroviario). Tali consi-
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8 - Costi esterni a livello europeo (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28) dei diversi sistemi di trasporto (escludendo le automobili private e il costo relativo alla congestione). Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
derazioni sono possibili valutando la percentuale di incidenza di ciascun fattore su ogni sistema di trasporto ( gura 9). Si riporta anche la gura 10, nella quale si evidenziano gli stessi dati della gura 9, escludendo il parametro “congestione”, che non impatta su alcuni modi di trasporto. Le gure 9 e 10 confermano quanto precisato e dimostrano che il trasporto su vie d’acqua navigabili interne risente soprattutto del parametro “inquinamento atmosferico”. Analizzando ulteriori dati riportati nel rapporto dell’anno 2019, è possibile effettuare delle valutazioni tra ciò che accade in Europa e in Italia. I dati del 2016 indicano per l’Europa un valore medio del costo esterno pari a 28.1 miliardi di euro per il trasporto stradale, 0.6 miliardi di euro per il trasporto ferroviario e 0.10 miliardi di euro per il trasporto per vie d’acqua interne. In Italia il costo esterno è di 115.0 miliardi di euro per il trasporto stradale, 2.2 miliardi di euro per il trasporto ferroviario e di 0.009 miliardi di euro per il trasporto per vie d’acqua interne. Sommando i valori dei costi esterni di tutti i 28 paesi dell’Unione Europea, si determinano dei costi esterni pari a: 820.4 miliardi di euro per il trasporto stradale, 17.9 miliardi di euro per il trasporto ferroviario e 2.9 miliardi di euro per il trasporto per vie d’acqua interne. L’incidenza del costo esterno totale su PIL per i 28 paesi dell’Unione Europea (al 2016)
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si assesta all’incirca sul 5.5% riferendosi al valore medio, e sul 5.7% riferendosi invece al valore totale dei costi esterni, mentre in Italia è di circa il 6.8%. Può essere condotta un’ulteriore valutazione in termini di costo esterno medio per i diversi sistemi di trasporto (sia passeggeri che merci). Come in precedenza, è possibile comprendere quale fattore in uenzi maggiormente l’esternalità di un preciso modo di trasporto. Le automobili (trasporto passeggeri) hanno un costo esterno pari a 0.078 euro per passeggero per chilometro (senza tenere in considerazione la congestione stradale). Il sistema ferroviario invece ha un costo esterno totale medio di 0.028 euro per passeggero per chilometro (circa tre volte in meno di quello stradale). In letteratura si trova anche una differenza tra mezzi ferroviari elettrici e mezzi con motore diesel (a causa del basso fattore di carico che contraddistingue quest’ultima tipologia di mezzi di trasporto): si passa da 0.013 euro per passeggero per chilometro a 0.026 euro per passeggero per chilometro (il doppio), rispettivamente. Il trasporto aereo passeggeri ha invece un costo esterno pari a circa 0.034 euro per passeggero per chilometro (considerando che il costo è mediato su voli a corto, medio e lungo raggio), ovvero un 20% in più del costo esterno per il trasporto ferroviario
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9 - Quota di incidenza delle singole voci di costo sul totale delle esternalità a livello europeo per ciascun sistema di trasporto (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28). Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
10 - Quota di incidenza delle singole voci di costo sul totale delle esternalità a livello europeo per ciascun sistema di trasporto (confronto tra anno 2008 – UE27 e anno 2016 – UE28), escludendo il costo della congestione. Fonte: rielaborazione degli autori su dati dei rapporti europei dell’anno 2011 e dell’anno 2019.
passeggeri. Però il costo esterno medio per il trasporto aereo su brevi distanze (0.043 euro per passeggero per chilometro) è circa 3 volte superiore rispetto a quello per un sistema ferroviario ad alta velocità (0.013 euro per passeggero per chilometro). Nel caso del trasporto aereo predomina l’impatto sul clima rispetto agli altri fattori, mentre nel caso del trasporto su gomma (automobile) sono
elevati i costi relativi a incidenti, impatto sul clima e inquinamento atmosferico. Il costo esterno medio per il trasporto merci è molto inferiore come ordine di grandezza rispetto a quello passeggeri. In questo caso il costo medio per il trasporto marittimo è il più basso (circa 0.065 euro per tonnellata per chilometro), seguito da quello ferroviario (0.013 euro per tonnellata per chilome-
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11 - Terminal intermodale per il trasporto merci su ferro/gomma. Fonte: www.hupac.com.
tro) da quello del trasporto per vie d’acqua interne (0.019 euro per tonnellata per chilometro) e in ne da quello del trasporto su gomma (camion e veicoli pesanti, 0.034 euro per tonnellata per chilometro). Non sono presenti abbastanza dati per effettuare una valutazione sulle esternalità del trasporto aereo merci (cargo). È possibile notare dai dati per il trasporto merci, come il costo medio del trasporto su gomma sia circa 2.5 volte più grande del costo medio del trasporto su ferro. I dati sul trasporto merci e passeggeri non contengono il fattore congestione/ritardo. I costi esterni per il trasporto marittimo, per il trasporto su gomma e soprattutto per il trasporto per vie d’acqua interne sono in uenzati dall’inquinamento atmosferico. Il trasporto merci su gomma risente anche dell’incidentalità e del rumore, mentre nel costo medio del trasporto ferroviario predomina il solo rumore.
Conclusioni L’analisi effettuata in questo articolo ha indicato che tra le principali categorie di costo esterno relative alle attività di trasporto spiccano in modo particolare gli incidenti, l’inquinamento atmosferico e la congestione. Si è visto come le esternalità negative relative al trasporto su gomma siano nettamente più elevate di quelle del trasporto su ferro (il quale risulta avere i costi più bassi, sia in termini unitari che totali), del trasporto aereo e del trasporto per vie d’acqua interne. Tuttavia, i dati e le statistiche indicano che il treno ha dei volumi di trasporto nettamen-
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te inferiori rispetto alla gomma (per quanto riguarda i passeggeri e le merci) e minori rispetto all’aereo (per i passeggeri). Anche il trasporto per vie d’acqua interne incide per una piccola parte nello spostamento di merci e passeggeri. La disparità tra i sistemi di trasporto è da attribuirsi anche alla forma dei mercati stessi (ad esempio, il mercato ferroviario ha avuto per molto tempo una forma “monopolistica”) che ha creato degli squilibri modali e ha negato una possibile concorrenza nelle diverse nazioni. A livello ambientale la s da dei sistemi di trasporto è quella di ridurre le esternalità (impatto speci co sul consumo di energia o sulle emissioni). Al contempo è necessario espandere le quote di mercato dei diversi sistemi di trasporto, ma il ridisegno modale deve essere effettuato de nendo degli obiettivi per i diversi sistemi di trasporto sia a livello nazionale che europeo, riequilibrando gli spostamenti sull’appropriato mezzo di trasporto (ad esempio aumentando il numero di mezzi stradali che utilizzano la ferrovia come “autostrada”, gure 1 e 11). Un ulteriore passo in avanti può essere compiuto investendo economicamente sulle innovazioni tecnico-scienti che per una riduzione delle esternalità di tipo ambientale. Si cita a questo proposito il possibile utilizzo sulle strade ( gura 12) di veicoli su gomma dotati di motore elettrico e di pantografo che captano la corrente da linee dedicate posizionate sopra la pavimentazione stradale (come nelle ferrovie). © Riproduzione riservata
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12 - Trasporto elettrico su gomma. Fonte: www. va d oeto rn oweb. c om/ camion-filobus-si-puoma-serve-uno-standardeuropeo/.
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La decarbonizzazione del settore trasporti in Europa e in Italia entro il 2050 di Veronica Aneris, Carlos Calvo Ambel
Responsabile per oltre un quarto (27%) delle emissioni totali di gas serra prodotte dall’economia europea1, con emissioni il 30% maggiori rispetto ai livelli del 1990, e che continuano ad aumentare, oggi il settore trasporti rappresenta il più grande problema climatico europeo. Esso assorbe circa i due terzi delle importazioni di combustibili fossili dell’Europa, che dipende da quest’ultimi ancora all’89%. Il settore trasporti è cardine al generale processo di decarbonizzazione che l’economia europea ed italiana devono implementare urgentemente al ne di ottemperare agli impegni climatici assunti in ambito internazionale tramite l’Accordo di Parigi. Il Green Deal Europeo, appena presentato da Parlamento e Commissione, pone nalmente l’impegno climatico in cima all’agenda politica e sancisce l’impegno dell’Europa a raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, con un obiettivo intermedio di riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 50%, o se possibile del 55%, al 2030. In questo quadro, una grande attenzione è nalmente dedicata anche al settore trasporti, per cui il Green Deal indica una riduzione del 90% delle emissioni entro il 2050. Un target considerevolmente s dante, in quanto la transizione verso un trasporto ad emissioni quasi zero in un arco temporale di 20-30 anni implica una revisione radicale, in grado di invertire un trend emissivo che persiste da oltre un secolo. Nel nostro rapporto How to decarbonise European transport by 20502, cerchiamo di rispondere alla grande questione: è possibile decarbonizzare il settore trasporti? E qual è il percorso ottimale per raggiungere tale obiettivo? 1 Inclusi aviazione e navigazione internazionali. 2 How to decarbonize Europan Transport by 2050, T&E 2018 https://www.transportenvironment.org/sites/te/ files/publications/2018_11_2050_synthesis_report_ transport_decarbonisation.pdf
Decarbonising the transport sector in Europe and Italy by the year 2050 by Veronica Aneris and Carlos
Calvo Ambel
Transport is Europe’s biggest climate problem, accounting for 27% of European GHG emissions. In order to keep global warming below 2°C, as indicated in the Paris Agreement, Europe has agreed to “zero net emissions” by 2050 and for transport, the European Green Deal prescribes a 90% reduction in GHG emissions by 2050. This implies a radical revision of the way we move people and goods, that could invert the trend of growing emissions in transport, which has persisted for more than a century. The analysis performed by T&E in its report How to decarbonise the EU transport sector by 2050 shows that it is feasible and highly desirable, though not obvious, to reach beyond this objective and achieve the full decarbonisation of transport. If we wish to meet that target, we must act to considerably reduce demand by means of Avoid and Shift measures on the one hand, and achieve a quick shift to zero-emissions vehicles on the other (acting on the Improve pillar). Minimizing the requirement of additional clean electricity is a key parameter to be taken into account when choosing zero-emission transport technologies. This means focusing on the most efficient pathways (direct charging) wherever possible, and leaving the much lower efficiencies of hydrogen and electrofuels, where no other alternatives exist, as in the case of long-distance ships and planes. For Italy, in particular, meeting the target will require policies to quickly dump inconsistent, short term solutions such as gas, and shift attention from non-scalable biofuels to scalable, efficient zero-emissions technologies, such as electri cation.
Nella pagina a anco, in alto a sinistra: una nave bunker di idrogeno liquido; esiste un ruolo chiaro per l’idrogeno in cui nora mancano azioni normative: aviazione e navigazione. In alto a destra: i camion elettrici eActros di Daimler; il settore dei trasporti pesanti, camion e autobus, è responsabile di circa un quinto dell’inquinamento da carbonio del trasporto su strada. Al centro: auto e furgoni rappresentano la principale fonte di emissioni del trasporto su strada, ma i veicoli elettrici offrono una soluzione a emissioni zero. In basso: per decarbonizzare i trasporti, un fattore essenziale sarà la quantità aggiuntiva di energia a emissioni zero che sarà necessaria.
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La roadmap sopracitata, di cui una sintesi in italiano è stata proposta nel rapporto Mobilitaria 20193 a cura di Kyoto Club e CNR, mostra che decarbonizzare completamente il settore trasporti europeo è possibile e altamente desiderabile. Per quanto s dante possa apparire, questo obiettivo è non solo necessario, ma rappresenta un’opportunità unica per trasformare un settore che oggi è profondamente insostenibile, non solo sotto il pro lo climatico ed ambientale, ma anche dal punto di vista sociale ed economico.
Emissioni di CO2 del settore trasporti in Europa e in Italia In Europa, le emissioni combinate di auto, furgoni, camion, navi ed aerei rappresentano la più grande – e crescente - fonte di emissioni: il 27% del totale emesso nel 2017. Il settore trasporti italiano, con il 28% delle emissioni nel 2018, si attesta sulla media europea. Il trasporto su strada è responsabile di circa tre quarti delle emissioni totali. All’interno di questa categoria le auto ed i veicoli commerciali leggeri (furgoni) rappresentano la fonte principale. Il settore del trasporto pesante, camion e bus, assorbe circa un quinto del totale, un quarto se si considera solo il trasporto terrestre e ci si aspetta che le emissioni continuino ad aumentare anche a causa del crescente settore dell’e-commerce. Le emissioni del comparto aviazione sono raddoppiate4 dal 1990 e a livello globale, potrebbero addirittura triplicare5 al 2050 se non si interviene prontamente. In ne il settore marittimo, responsabile su scala globale di circa 1Gt di emissioni di CO2 eq. ogni anno, è tra i principali settori emissivi dell’economia. A livello europeo incide per un quinto, con circa 200 Mt/anno. In gura 2, vengono mostrati la ripartizione modale delle emissioni di CO2 del settore trasporti italiano e i trend emissivi corrispondenti, indicizzati al 1990. La quota di emissioni del settore auto privato per l’Italia è superiore alla media europea, il 52% del totale contro il 43% per l’Europa. In generale, i postumi della crisi economiconanziaria 2008-2009 che avevano motivato 3 Mobilitaria 2019, Kyoto Club e CNR-IIA http://www. muoversincitta.it/wpcontent/uploads/ 2019/04/mobilitaria2019 _copertina.jpg 4 Report degli stati Membri al UNFCCC; 5 Analisi: l’aviazione potrebbe consumare un quarto del carbon budget per 1,5 C entro il 2050, Carbon Brief, 2016.
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la diminuzione delle emissioni negli anni precedenti al 2016, sembrano ormai superati; il disaccoppiamento tra attività ed emissioni appare ancora lontano e insieme all’attività riprendono a crescere anche le emissioni per tutte le modalità di trasporto.
Percorsi di decarbonizzazione Nell’affrontare il complesso tema della decarbonizzazione del settore trasporti è necessario un approccio olistico che tenga conto del fatto che tutti i settori dell’economia devono essere decarbonizzati e che una scelta effettuata in un settore può avere ripercussione in altri. Un parametro essenziale da tenere in conto è la quantità addizionale di energia ad emissioni zero che si renderà necessaria. La riduzione della domanda di trasporto ed il trasferimento modale verso sistemi di spostamento più efficienti costituiscono un prerequisito fondamentale di ogni percorso al ne di ridurre la domanda di energia nale del sistema trasporti ed al contempo generare un miglioramento sostanziale in termini qualità dell’aria e vivibilità degli spazi urbani. Le principali misure dei pilastri Avoid e Shift della mobilità sostenibile sono ben note e già in atto in molti dei principali centri urbani europei. In generale è possibile affermare che la combinazione di politiche disincentivanti dell’uso del mezzo privato (aumento del costo e diminuzione del comfort) insieme all’offerta di valide alternative, avranno come effetto la transizione dall’uso del mezzo privato con singolo occupante verso l’uso del trasporto pubblico e forme attive di spostamento. Per portare a zero le emissioni del settore trasporti però, tali misure da sole non sono sufficienti. Importanti trasformazioni tecnologiche del mezzo che utilizziamo per spostare merci e passeggeri, ovvero l’azione sul terzo pilastro della mobilità sostenibile Improve, saranno necessarie al ne di giungere ad un sistema in cui tutti i modi, dall’auto all’aereo, viaggeranno con un’energia ad emissioni “quasi” zero. Vi è ormai convergenza sul fatto che l’unica forma di energia a emissioni zero scalabile sull’intera domanda di trasporto è l’energia elettrica, che può essere dispiegata in forma diretta (veicoli a batteria, autostrade elettriche) o in forma di vettore energetico (idrogeno ed elettrocarburanti). La contemporanea decarbonizzazione del settore energetico rappresenta la condicio sine qua non della decarbonizzazione del trasporto e di altri settori dell’economia, e
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1 - Fig. 1, emissioni del trasporto europeo per settore modale nel 2017. Fonte: UNFCCC, Inventari nazionali di emissioni di gas serra.
2 - Fig. 2, emissioni del trasporto europeo per settore modale nel 2017. Fonte: UNFCCC, Inventari nazionali di emissioni di gas serra.
fortunamente, l’Europa e l’Italia sembrano avere un chiaro piano di penetrazione delle rinnovabili e contemporaneo phase-out di fossili a partire dal carbone. Per il 2030 il Piano Nazionale Energia e Clima Italiano prevede una quota delle energie rinnovabili nella rete è pari al 55%. L’analisi dei vari percorsi, sviluppata per i diversi settori modali, è stata strutturata partendo dalla valutazione della possibile riduzione della domanda di trasporto merci e passeggeri e successivamente calcolando l’energia elettrica rinnovabile addizionale necessaria per alimentare la domanda residua in tre possibili percorsi di improve tecnologico: l’ elettri cazione tramite carica diretta, tramite idrogeno e l’alimentazione attraverso gli elettrocarburanti (power -to-liquid e po-
wer-to-gas). I biocarburanti avanzati, liquidi o gassosi, potranno giocare invece un ruolo limitato ed eventualmente complementare all’elettricità rinnovabile, considerata la loro disponibilità nita. In questa analisi il potenziale di biocarburanti avanzati liquidi è stato completamente allocato al settore aviazione, al ne di limitare al minimo il ricorso agli eccessivamente costosi elettro-carburanti (per i quali si stima un costo, pur con una certa approsimazione, di 2100€/ton nel 2050). Le tecnologie ibride plug-in, non sono considerate nell’analisi, in quanto tecnologie di transizione non in grado di raggiungere la piena decarbonizzazione. Allo stesso modo non è stato considerato il biometano, la cui limitata disponibilità addizionale (stimata a livello europeo pari al 6%
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3 - Fig. 3, efficienza Wellto Wheel dei differenti percorsi tecnologici per veicolo passeggeri a elettricità rinnovabile. Fonte: How to Decarbonize Eu Transport by 2050, T&E 2018.
della domanda di energia nei trasporti6) e la mancanza di scalabilità, non giusti cano gli investimenti necessari al livello delle infrastrutture. Trasporto terrestre - Dal punto di vista delle misure di tipo Avoid e Shift, per la mobilità passeggeri privata si valuta una riduzione delle emissioni del 28% al 2050 (40% rispetto al 2015) rispetto allo scenario base, ottenibile tramite potenziamento del trasporto pubblico e dei servizi di nuova mobilità, insieme a politiche atte a disincentivare in modo deciso l’uso e la proprietà privata dell’automobile (riforma tassazione carburanti e tasse autoveicoli, rincaro pedaggi autostradali e declinazione di questi sulle performance ambientale del mezzo, limiti di velocità). Per il trasporto pesante delle merci si assume una riduzione delle emissioni del 36% rispetto allo scenario base nel 2050 grazie ad una combinazione di incremento di efficienza derivante dai nuovi standard emissivi, shift modale dalla strada alla rotaia e miglioramento della logistica. Per il settore ferroviario viene assunto il raddoppio dell’attività merci e passeggeri al 2050. La restante domanda di trasporto va porta6 Natural gas-powered vehicles and ships the facts. Transport & Environment, 2018.
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ta a zero emissioni tramite tecnologie adeguate. Alcune modalità come i motorini, le moto, le automobili, i furgoni e i bus urbani hanno un percorso già delineato: l’elettri cazione tramite carica diretta della batteria. La gura 3 mostra l’efficienza energetica in un approccio well-to-wheel dei diversi sistemi di propulsione a elettricità rinnovabile per veicolo passeggeri. Proporzioni simili sono applicabili a tutte le altre modalità di trasporto. L’elevata efficienza energetica della carica diretta a batteria, insieme ai sorprendenti progressi nel campo delle batterie agli ioni di litio, che permettono di stoccare una sempre maggiore quantità di energia, in spazi e con costi sempre minori, fanno di questa tecnologia la favorita per tutti gli spostamenti terrestri con distanze inferiori ai 400 km. Il futuro (prossimo) di automobili, autobus urbani, furgoni e camion di medio raggio è elettrico. I treni hanno intrapreso già da tempo un chiaro percorso di elettri cazione. Per la restante quota che viaggia ancora a diesel, si ipotizza l’elettri cazione o l’idrogeno a celle combustibile. Per gli autobus ed i camion di lunga percorrenza (>400km) la strada verso 100% rinnovabile è più incerta. Per raggiungere 100% di ZEV (Zero Emissions Vehicles) nel trasporto merci stradale entro il 2050, sono tre le alternative principali: camion a idrogeno prodotto
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con elettricità rinnovabile, autostrade elettricate o camion elettrici alimentati a batteria. In tabella 1 si riportano le quote di vendita di mezzi a emissioni zero per il trasporto su strada che si rendono necessarie per raggiungere l’obiettivo 2050.
Settori navale e aereo - Per l’aviazione e il settore navale, in questa sede ci si limita a pochi cenni. Per gli aerei, la modalità di trasporto maggiormente difficile da portare a zero emissioni, a valle di un aumento dell’efficienza energetica dei vettori, e della riduzione della domanda di trasporto, si assume un contributo al 2050 da biocarburanti liquidi avanzati pari all’ 11% della domanda residua ed il resto dovrà essere affidato agli elettrocarburanti7 (power-to-liquid). Per decarbonizzare il trasporto marittimo, le opzioni tecnologiche a emissioni zero più probabili per i diversi segmenti della navigazione europea sono, a seconda delle distanze percorse, navi a propulsione elettrica diretta e navi alimentate a idrogeno o ammoniaca ottenuti da fonti rinnovabili.
Il percorso ottimale Nella tabella 2 vengono riportate le quantità di elettricità a zero emissioni per le varie modalità di trasporto in TWh e, tra parentesi, il valore percentuale rispetto alla generazione elettrica totale europea nel 2015, a seconda che la tecnologia di decarbonizzazione sia la carica diretta, l’idrogeno o l’ammoniaca o gli elettrocarburanti. I valori in tabella tengono già conto della riduzione della domanda menzionata a monte e del contributo dei biocarburanti avanzati per il settore aereo. Secondo l’analisi sopra riportata, la ricetta ottimale di decarbonizzazione, che minimizza la quantità di elettricità pulita supplementare necessaria ad alimentare le varie otte, sembra essere costituita dai seguenti ingredienti: - elettri cazione diretta di tutto il trasporto terrestre - per il trasporto marittimo: elettri cazione diretta per breve e media percorrenza (Roll on/Roll Off ) e Idrogeno/Ammoniaca per le lunghe distanze - aviazione: biocarburanti liquidi avanzati sostenibili ed elettro-carburanti.
7 Carburanti sintetici che dovrebbero essere ottenuti combinando idrogeno prodotto utilizzando energia elettrica rinnovabile addizionale e carbonio da CO2 estratta con tecnologia di cattura diretta dall’aria.
Uno sguardo al carbon budget Il carbon budget è la quantità massima di emissioni antropogeniche di gas ad effetto serra che possiamo emettere da oggi al 2050 per rimanere al di sotto delle soglie di innalzamento della temperatura media planetaria di 1.5°C o 2°C. È un parametro importante che permette di tenere conto delle emissioni cumulative caratteristiche dei vari percorsi di decarbonizzazione. Infatti non è solo importante arrivare a emissioni quasi zero al 2050 ma anche “come” ci si arriva. Allo stesso obiettivo si può pervenire con percorsi differenti e alcuni potrebbero implicare una quantità di emissioni eccessive in atmosfera. L’allocazione del budget di carbonio tra paesi, come sottolineato da diversi istituti di ricerca, può seguire differenti regole di applicazione. In questa sede viene utilizzata la metodologia più semplice, ed anche la più generosa per l’Europa, che alloca il budget di carbonio in base all’attuale quota di emissioni dei singoli paesi (“grandfathering approach”). Al momento della stesura del rapporto ( ne 2018) e prendendo come baseline il 2016, il settore europeo ed italiano dei trasporti avevano rispettivamente un budget di carbonio pari a 8.9 e 0.9 Gt CO2 per lo scenario di 1.5°C e pari a 22.8 e 2.3 Gt CO2 eq per lo scenario di 2°C.
4 - Tab. 1, ipotesi di vendita di veicoli a zero emissioni per settore modale. Fonte: T&E (2019), How to decarbonise European transport by 2050. 5 - Tab. 2, quantità di elettricità pulita necessaria per decarbonizzare le diverse modalità di trasporto. Fonte: How to decarbonise European transport by 2050,T&E (2019).
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6 - Tab. 3, assegnazione del carbon budget basata sull’approccio “grandfathering” rispetto alle emissioni cumulative di GHG per settore modale in Europa e in Italia. Fonte: T&E (2019) How to decarbonise European transport by 2050 per il carbon budget europeo e calcoli in house per carbon budget italiano.
7 - Fig. 4, proiezione delle emissioni di gas serra del trasporto italiano nel 2030 e target di riduzione previsto dal regolamento ESR (sx) e contributo dei nuovi standard europei per auto, furgoni e veicoli pesanti al 2030. Fonte: Emission Reduction Strategies for the transport sector in Italy (Euki Initiative) T&E (2019).
Nella tabella 3 sono riportati i carbon budget per settori modali, per l’Europa e l’Italia, ad eccezione del settore marittimo8, e la quantità di emissioni cumulate al 2050 che corrisponderebbe al percorso ottimale di decarbonizzazione analizzato. Come si può notare, malgrado la roadmap di decarbonizzazione analizzata possa apparire estremamente ambiziosa, in realtà è appena sufficiente per stare sotto la soglia dello scenario dei 2°C, mentre il limite degli 1.5°C viene ampiamente superato. Ciò sottolinea l’importanza vitale delle misure di breve termine volte a ridurre la domanda di trasporto e la necessità di accelerare la penetrazione di veicoli a zero emissioni nella otta rispetto alle apparentemente ambiziose percentuali riportate in Tabella 1. 8 Non è stato possibile modellare le emissioni di gas serra cumulative ma solo la domanda di energia nale al 2050 a causa della mancanza di un modello adeguato per il settore. Per questo motivo il settore marittimo non è stato incluso nel carbon budget.
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Gli obiettivi 2030 e 2050 per l’Italia ed il contributo delle politiche europee e nazionali Il rapporto Emission Reduction Strategies for the Italian transport sector (T&E, 2018) ha mostrato come, in uno scenario business as usual, le emissioni del settore trasporti su strada italiano ammonteranno nel 2030 a circa 100 milioni di tonnellate di CO2. L’Italia, in base all’ Effort Sharing Regulation, deve ridurre entro il 2030 le emissioni di gas serra del 33% rispetto al 2005 per i settori non ETS. Assumendo di ripartire equamente il target tra tutti i settori afferenti all’ESR, sarà necessario ridurre le emissioni di circa 23,8 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2030. Il contributo derivante dalle attuali politiche europee in materia di trasporti, riassunte in tabella 4, è stimato, pur con una certa approssimazione, pari a circa 8,2 milioni di tonnellate di CO2 al 2030, ovvero circa un terzo del totale. La maggior parte dello sforzo ne-
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5 - Tabella 4, requisiti minimi UE 2030 per la riduzione delle emissioni di gas serra del settore trasporti. Fonte: T&E.
cessario al rispetto dell’obiettivo vincolante 2030 andrà effettuato a livello nazionale. Per l’obiettivo 2050, le restanti 77 milioni di tonnellate di CO2 dovranno essere portate a zero entro il 2050 al più tardi. Questo implica una velocità di riduzione richiesta nel ventennio 2030-2050 considerevolmente superiore a quella necessaria nella prossima decade. È evidente la necessità di implementare da oggi misure scalabili nel tempo, che possano fare da apripista alla decarbonizzazione del settore, pena il mancato raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero al 2050 al più tardi. Il Green Deal Europeo ha anticipato la revisione del regolamento per gli standard di CO2 di auto e furgoni a Giugno 2021, indicando per queste modalità un chiaro percorso a emissioni zero dal 2025 in poi. Una revisione stringente degli obiettivi di riduzione in tale sede, insieme all’introduzione di un target di emissioni zero per tutti i veicoli venduti dal 2035, appaiono in questo contesto assolutamente auspicabili. Conferirebbero all’industria certezza di investimento, alle amministrazioni chiarezza sulla quantità e tipologia di infrastrutture necessarie e trasparenza ai consumatori.
Conclusioni L’analisi effettuata mostra che decarbonizzare il settore trasporti è possibile, ma non ovvio e mette bene in evidenza l’ampiezza della s da associata al complesso tema della decarbonizzazione dei trasporti. S da ancora più importante per l’Italia, in ritardo rispetto ad altri stati membri, nell’affrontare i problemi del suo sistema trasporti e che po-
trebbe essere portata a cadere, ancora una volta, nella tentazione di scelte di breve termine. Il Piano Nazionale Clima ed Energia che il governo italiano ha recentemente inviato a Bruxelles nella sua forma de nitiva, purtroppo non coglie l’ampiezza della trasformazione richiesta. Il piano è inadeguato a mettere il settore trasporti italiano sulla rotta della decarbonizzazione in tempi utili. Esso fallisce nel mettere soluzioni scalabili a emissioni zero al centro della propria strategia, conferendo ai biocombustibili un ruolo centrale e basandosi sul gas come soluzione ponte. Tuttavia, come già evidenziato, i biocombustibili avanzati, data la loro disponibilità limitata, possono giocare un ruolo solo limitato e complementare all’elettri cazione, che deve essere invece centrale, insieme ad un set deciso e robusto di misure di tipo avoid e shift capaci di ridurre considerevolmente la domanda di energia nale del trasporto di merci e passeggeri. Il gas, per il quale un ruolo considerevole è assegnato dal PNIEC soprattutto al settore delle merci su strada e marittimo, va nella direzione opposta al raggiungimento dell’obiettivo nale in quanto è per sua natura un combustibile fossile. Le proiezioni relative al carbon budget, discusse in precedenza mostrano chiaramente come non vi sia più alcuno spazio per tecnologie ponte basate sui fossili. Se si vuole centrare l’obiettivo, bisogna andare dritti verso soluzioni a emissioni zero, senza perdere altro tempo e tenere lo sguardo sso sull’orizzonte 2050. © Riproduzione riservata
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Rilancio del trasporto ferroviario merci in Italia e in Europa: innovazioni tecniche e organizzative per la sostenibilità ambientale di Giovanni Giacomello
Il trasporto delle merci è una delle componenti essenziali dell’economia sia su scala europea sia su scala italiana, perché contribuisce alla competitività dei settori industriale e terziario e ha un impatto signi cativo sull’occupazione. In Europa, nel 2018 il trasporto interno di merci (sommando strada, rotaia e vie navigabili interne) ha spostato un volume di circa 2300 miliardi di tonnellate al chilometro in un anno e il 75% del totale è stato spostato dal trasporto stradale. Il trasporto su strada infatti è pari a circa un terzo del consumo energetico e delle emissioni totali di CO2 in Unione Europea. Con ciò è evidente come il trasporto su strada abbia un impatto negativo sull’ambiente e sulla qualità della vita. Il trasporto su ferro ha invece delle emissioni di CO2 che sono circa 3.5 volte inferiori (per tonnellata al chilometro) a quelle prodotte dal trasporto su strada. Ancora oggi il trasporto ferroviario però copre solo una piccola quota degli spostamenti di merci europei ed italiani. Parte del problema è ancora dovuto alla mancanza di innovazione nel settore e alla presenza di un mercato frammentato e non ancora completamente liberalizzato. Il miglioramento della situazione attuale passa quindi attraverso investimenti economici diretti ad innovare sia dal punto di vista tecnico che organizzativo il sistema di trasporto merci. D’altro canto, si è avuto un forte indebolimento del trasporto ferroviario merci nella trasformazione da una economia nella quale si aveva una produzione di magazzino ad una economia nella quale vi è una produzione che tende a soddisfare la domanda in tempo reale (economia di pronta consegna e door to door - cosa non possibile per il trasporto merci ferroviario). La maggior parte degli studiosi ritiene che la soluzione per contrastare questo fenomeno, per dare nuovo slancio al trasporto merci su ferro e per aumentarne la competitività rispetto ad altri sistemi di trasporto, sia il miglioramen-
The revitalization of railway freight transport in Italy and Europe: technical and organizational innovations for environmental sustainability by Giovanni Giacomello Rail freight transport has a high level of environmental sustainability compared to road freight transport, but the latter enjoys the lion’s share of the modal split both in Italy and in Europe. The reason for this situation is linked to multiple factors: an almost total lack of policies and disincentives to restrict road freight traffic (except for some countries in Europe), technical shortcomings, a large number of operators, a partial liberalization of the European railway market and high operating costs. The introduction of numerous legislative acts at the European level and research in the technical eld (new types of command and control systems, automatic wagon coupling, new wagons for intermodal transport) have given a boost to rail freight transport. This article describes the current scenario of rail freight transport, comparing the situations in Italy and in Europe, and highlighting the latest results in the technical and organizational eld for a future increase in the transport mode share of freight.
Nella pagina a anco, in alto: terminal di Busto Arsizio-Gallarate, uno dei principali terminal intermodali del nord Italia (Fonte: www.hupac.ch). Al centro: l’autostrada viaggiante e il trasporto di tipo intermodale: fase di caricamento di rimorchi stradali su carri merci ferroviari (Fonte: www. portofrotterdam.com). In basso: come si presenta l’ETR 500 Mercitalia fast per il nuovo servizio cargo (Fonte: La Tecnica Professionale n.7-8, luglioagosto, 2018).
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1 - L’interporto di Padova: uno dei centri logistici più importanti nel panorama del nord est italiano (Fonte: www.ri inegroup. com).
to dell’affidabilità e la riduzione dei costi dei servizi ferroviari, nonché l’intermodalità strada-ferrovia.
Il trasporto ferroviario merci Studi e ricerche di settore hanno dimostrato che il trasporto ferroviario è più sostenibile, e (soprattutto) più competitivo, su medie e lunghe distanze. Infatti, il costo totale di un viaggio internazionale in treno varia a seconda dei diritti nazionali di accesso, del livello di concorrenza, dei tempi di percorrenza e dell’economia di scala. In particolare, gli ingenti costi ssi aggiuntivi relativi al primo e all’ultimo miglio (ad esempio, per il carico e/o lo scarico nei terminal) sono suddivisi in modo più uniforme su medie e lunghe distanze. Il trasporto ferroviario oggi è quindi più competitivo su lunghe distanze e nel trasportare grandi ussi di merci (caratteristica di una piccola quota degli scambi italiani ed europei). Di conseguenza, il costo totale, per tonnellata-chilometro, del trasporto ferroviario delle merci su tali distanze è inferiore a quello del trasporto su gomma delle stesse merci. Inoltre, il trasporto ferroviario è il mezzo più economico per alcuni tipi di prodotti speci ci, come i combustibili minerali solidi, le materie prime e i prodotti chimici. L’Unione Europea ha promosso a partire dal 1992 metodi di trasporto più efficienti e sostenibili, come quello ferroviario. Nel 2001 la Commissione europea ha sottolineato l’importanza di rivitalizzare il settore ferro-
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viario, ssando l’obiettivo, entro il 2010, di mantenere la quota di mercato del settore del trasporto merci su ferrovia al 35% negli Stati membri dell’Unione Europea. Nel 2011 si è inoltre stabilito di traferire, entro il 2030, il 30% del trasporto merci su strada (con percorrenze superiori a 300 km) verso altri modi di trasporto, quali la ferrovia, e di trasferirne più del 50% entro il 2050. Il gap tra trasporto stradale e ferroviario nell’Unione Europea è da recuperare ed è dovuto anche al fatto che si sono date priorità diverse in precedenza, privilegiando il trasporto passeggeri, la qualità e i prezzi dei servizi. Infatti, confrontando il sistema ferroviario di trasporto merci in USA e in Europa, alcuni studi internazionali hanno veri cato che, seppure il trend in entrambi i paesi sia simile, la quota di ripartizione modale in Europa è molto bassa. L’attuale tendenza si focalizza sull’affidabilità del servizio e sul concetto dei treni shuttle (convogli completi con orario prestabilito che fanno servizio di linea diretto tra due terminali), efficace in termini di costi e di tempi, ma applicabile alla sola produzione di massa. L’attuale politica di innovazione tecnica ed organizzativa, tesa a rendere il trasporto merci più competitivo su spostamenti brevi e con ussi inferiori, è incentrata invece sull’applicazione di soluzioni che rivitalizzino il settore, come ad esempio: nuovi sistemi di comando e controllo, automatismi di aggancio tra i carri e il trasporto intermodale di contenitori e semi-rimorchi. All’interno del
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2 - Il trasporto ferroviario convenzionale: trasporto legname su carri ferroviari (Fonte: www.adriaeco. eu).
quadro di ricerca europeo “Horizon 2020” è stata attivata infatti la collaborazione pubblico-privata “Shift2Rail” per incrementare l’innovazione europea in questo settore. Gran parte degli studi effettuati sui sistemi di trasporto delle merci si sono concentrati sul rendere possibile il carico orizzontale dei contenitori e dei semi-rimorchi (direttamente sotto la catenaria). Infatti, il caricamento in senso verticale dei contenitori (metodo attualmente utilizzato) è limitato dalla presenza della catenaria (trazione elettrica). In genere nei porti e negli interporti la catenaria non è presente e le manovre vengono effettuate con motrici diesel. La s da attuale è quindi quella di permettere le operazioni di carico e scarico anche con la presenza della catenaria. Questo porterebbe ad una diminuzione dell’inquinamento dovuto all’utilizzo dei mezzi diesel e ad un aumento ulteriore della sostenibilità del trasporto merci. L’incremento del trasporto merci su ferro può essere perseguito anche migliorando ed incentivando l’intermodalità: spostando quindi quote di traffico dalla strada alla ferrovia permettendo un migliore e più veloce spostamento dei rimorchi dei mezzi pesanti sui vagoni ferroviari. Si espongono di seguito quattro soluzioni no ad ora adottate in Europa e in Italia per il trasporto intermodale. La prima, il “Metrocargo Intermodal Transport”, è un carro che permette di caricare e scaricare il carico in senso orizzontale, operazione molto utile nei porti, nei retro-porti e laddove vi è un cambio tra diversi scartamenti
ferroviari (come ad esempio in Spagna e in Russia). La seconda soluzione è costituita da carri che permettono il carico parallelo orizzontale di semi-rimorchi e motrici riducendo l’altezza del carro stesso in modo da adottarlo alla sagoma ferroviaria (ne sono degli esempi il “Modalohr”, il “CargoBeamer” e il “Magswing”). La terza soluzione è un sistema di carri che permettono il carico verticale di semi-rimorchi (non adatti ad essere sollevati da gru) mediante apposito telaio (ISU – “Innovativer Sattelshlepper Umschlag”). In ne, l’ultimo sistema, il “Railrunner”, è un sistema che rilancia quello americano “Roadrunner” di carrelli che permettono l’aggancio diretto dei semi-rimorchi stradali (che devono essere appositamente progettati). Generalmente le soluzioni di carico dall’alto hanno maggiori costi operativi (30% in più per il “Modalohr” e 40% in più per il “CargoBeamer”) e richiedono maggiore spazio rispetto al carico verticale.
La normativa europea ed italiana in favore del trasporto ferroviario merci Da tempo l’Unione Europea (e quindi anche l’Italia) ha avviato un processo di ripartizione modale (volto all’aumento delle merci trasportate su ferro) attraverso la liberalizzazione e la creazione di un mercato ferroviario unico su scala europea. Gli obiettivi dell’Unione Europea sono: 1) aprire alla concorrenza il mercato interno
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3 - Nella pagina a anco, in alto: carro Modalohr per il trasporto intermodale dei rimorchi stradali in forma di “Autostrada viaggiante” (Fonte: www. eurailpress.de). 4 - Nella pagina a anco, al centro: il trasporto ferroviario a servizio dei grandi spedizionieri (Fonte: www.jurist.org). 5 - Nella pagina a anco, in basso: altra fotogra a che rappresenta un tipico trasporto ferroviario convenzionale: prodotti chimici di tipo liquido o gassoso (Fonte: www.ambientesicurezzaweb.it).
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del trasporto ferroviario delle merci e dei passeggeri; 2) pervenire alla de nizione di un’autorizzazione unica dei tipi di veicolo e di una sola certi cazione di sicurezza dell’impresa ferroviaria; 3) elaborare un approccio integrato per la gestione dei corridoi merci; 4) garantire un accesso effettivo e non discriminatorio all’infrastruttura ferroviaria e ai servizi connessi, in particolare mediante la separazione strutturale di gestori. A partire dagli anni Novanta il settore ferroviario è stato interessato da un processo di liberalizzazione su impulso del legislatore comunitario. Dopo la Direttiva 91/440/CEE, che ha imposto l’obbligo di separazione fra gestore della rete ed esercente il servizio di trasporto, sono stati adottati quattro “pacchetti ferroviari”, composti a loro volta da direttive e regolamenti. Il primo pacchetto ferroviario, emanato nel 2001, ha avviato l’apertura del mercato alla concorrenza, garantendo l’accesso equo e non discriminatorio alla rete ferroviaria e l’utilizzo ottimale della stessa. Tale pacchetto è destinato ai servizi di trasporto internazionale delle merci e impone che tali servizi abbiano diritto di accesso all’infrastruttura degli stati membri dell’Unione Europea e all’intera rete ferroviaria europea. Il secondo pacchetto ferroviario, adottato nel 2004, ha previsto misure relative alla sicurezza, all’interoperabilità del sistema ferroviario europeo (ossia alla possibilità, per i treni di ogni stato membro, di circolare su tutta la rete europea) e all’ampliamento della concorrenza nel settore del trasporto nazionale delle merci. Il terzo pacchetto ferroviario, adottato nel 2007, ha introdotto i diritti di accesso aperto per i servizi di trasporto ferroviario internazionale di passeggeri. Il quarto pacchetto ferroviario, in ne, intende completare la liberalizzazione del trasporto ferroviario e la ride nizione del ruolo e dei compiti dell’Agenzia Ferroviaria Europea. Esso include sei misure legislative, che dal punto di vista del trasporto merci si riassumono in: a) rivitalizzazione del settore ferroviario (il quale viene de nito di tipo “strategico”); b) spostamento delle merci verso il trasporto ferroviario (il cosiddetto “shift modale”); c) istituzione di una rete di linee ferroviarie dedicata esclusivamente ai servizi merci; d) riduzione delle emissioni di gas serra (con l’obiettivo per il settore dei trasporti di diminuire le emissioni di gas serra del 20% entro il 2030 rispetto ai livelli del 2008); e) armonizzazione nei settori dell’interoperabilità e della sicurezza; f) miglioramento
dell’affidabilità, riduzione della congestione e abbassamento dei costi amministrativi e di esercizio. La s da consiste nel realizzare cambiamenti strutturali atti a consentire al trasporto ferroviario di competere efficacemente e, quindi, di catturare una porzione più signi cativa di merci sulle medie e lunghe distanze.
L’organizzazione del trasporto ferroviario merci Il trasporto merci su ferro prevede la partecipazione di diverse parti interessate. In particolare: gli spedizionieri (che scelgono la modalità di trasporto che meglio si addice alle loro esigenze), le imprese ferroviarie (operatori ferroviari che forniscono il servizio di trasporto merci e in concorrenza tra loro in tutta l’Unione Europea), i gestori delle infrastrutture (che possiedono le infrastrutture e si occupano, tra l’altro, di assegnare le capacità di infrastruttura alle imprese ferroviarie), gli organismi nazionali di regolamentazione (responsabili di garantire, a tutte le imprese ferroviarie, un accesso equo e non discriminatorio alla rete ferroviaria) e le autorità nazionali preposte alla sicurezza (responsabili del rilascio di certi cati di sicurezza per le imprese ferroviarie e delle autorizzazioni per i veicoli ferroviari in cooperazione con l’Agenzia ferroviaria europea). Esistono diverse forme di trasporto merci ferroviario: trasporto a carro singolo (il cliente desidera trasportare le proprie merci solo in alcuni carri di un treno composto da carri appartenenti a più clienti), treno completo o “blocco” (il cliente possiede abbastanza merci per riempire un intero treno) e trasporto intermodale o combinato strada-rotaia (il container o il rimorchio viene caricato su un carro). Le soluzioni adottate dalle imprese ferroviarie merci in Italia si suddividono in convenzionale e intermodale. Quella di tipo convenzionale tratta il trasporto di merci generiche (legno, carta, materiali da costruzione, prodotti per la grande distribuzione, prodotti siderurgici semilavorati e niti, prodotti chimici, parti meccaniche, trasporto di nuovi veicoli, ecc.), mentre quella di tipo intermodale tratta containers, casse mobili, semirimorchi e camion accompagnati (la cosiddetta “Autostrada Viaggiante”) di operatori multimodali (grandi spedizionieri nazionali e internazionali, principali compagnie di navigazione). Le soluzioni dal punto di vista logistico prevedono: la formazione di treni completi pro-
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grammati e dedicati (su relazioni internazionali e nazionali), l’utilizzo del trasporto a carro singolo (per gli impianti abilitati), oppure il trasporto ferroviario di contenitori da terminal a terminal.
Il trasporto ferroviario merci: confronto tra Italia ed Europa Gli studi e le statistiche internazionali indicano che, seppure le politiche e le misure adottate (a livello europeo ed italiano) mirino a diminuire il trasporto merci su strada, la ripartizione modale è tutt’oggi sbilanciata fortemente sul modo di trasporto stradale. A partire dalle statistiche Eurostat del 2017 considerando i soli modi di trasporto terrestre (strada, ferrovia e vie d’acqua interne), in Europa il 76,7% del trasporto di merci interno (in tonnellate al chilometro) si è svolto su strada, mentre solo il 17,3% si è svolto su ferrovia. In Italia, secondo le medesime statistiche, la quota del trasporto su strada è ancora più elevata rispetto a quella su ferro (rispettivamente, 87% e 13% circa). Il trend degli ultimi tre anni (dal 2015 al 2017) però denota un aumento, sia su scala europea che su scala italiana, del traffico merci su ferro, indicando che lo spostamento modale è, pur se lentamente, in atto. Andando a fare un confronto più nel dettaglio, nei porti italiani le quote modali ferroviarie (relative al trasporto dei contenitori) non sono molto elevate. Solo i porti di Trieste e La Spezia hanno quote paragonabili con i porti del nord Europa (30% per Trieste, 27% per La Spezia e 45,8% per Amburgo). Gli altri porti italiani hanno quote modali ferroviarie inferiori al 12% (solo Livorno e Genova si attestato attorno a questa percentuale). La media della ripartizione modale ferroviaria europea è più elevata di quella italiana perché alcuni Paesi europei hanno percentuali maggiori: nel 2017 la Svizzera e l’Austria (grazie alle politiche di limitazione e di disincentivazione del transito dei veicoli stradali e al miglioramento delle infrastrutture ferroviarie) hanno raggiunto una quota modale ferroviaria di oltre il 30%. Anche altri Paesi dell’est Europa (Slovenia, Rep. Slovacca, Lettonia, Lituania, Estonia, Bulgaria e Ungheria) hanno una maggiore ripartizione modale su ferro con valori oscillanti tra il 70% e il 30% (dovuto alla diversa organizzazione della ripartizione modale esistente in questi Paesi e connessa con l’esigenza di una piani cazione generale anticipata).
Il trasporto merci è operato da una miriade di imprese ferroviarie merci e da molti operatori di trasporto multimodale, che operano in quasi tutto il mondo. Tra questi i principali sono: Hupac, Cemat e Kombiverkehr, IFB, Rail Cargo group, Alpe Adria e Contship. Tali operatori di trasporto multimodale operano in Italia e in Unione Europea collegando giornalmente gli interporti. Il numero degli
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La costituzione di questo nuovo grande polo italiano ha dato una rivitalizzazione del settore ferroviario merci, sia stimolando la concorrenza che contribuendo alla riduzione delle emissioni nell’atmosfera (diminuendo il traffico merci su strada). Nel 2018 infatti il traffico ferroviario merci del Gruppo FS ha movimentato circa 40 milioni di tonnellate di merci (circa un milione e mezzo di veicoli pesanti su strada in meno). Da ottobre 2018 è nato anche il servizio cargo “Mercitalia Fast”: i treni che effettuano tale servizio sono ETR 500 composti da 12 vagoni (per una capacità di trasporto equivalente a 18 tir o due aerei Boeing 747 Cargo) appositamente attrezzati per il trasporto di una tipologia di contenitori (roll container) facilmente e velocemente movimentabili. Il primo servizio è stato effettuato tra Caserta Marcianise e Bologna Interporto con un tempo di viaggio di 3 ore e 20 minuti.
Conclusioni
6 - Il “CargoBeamer” per il trasporto intermodale dei rimorchi stradali (altra forma di “Autostrada viaggiante”, Fonte: www. wikipedia.org). 7 - Una delle nuovissime locomotive della otta Mercitalia Rail: l’aumento della quota di ripartizione modale delle merci passa anche dall’innovazione tecnologica del materiale rotabile (Fonte: www. biancolavoro.it).
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operatori di trasporto merci in Italia indica che vi è un’alta competitività tra operatori sia in Italia che in Europa e che c’è un continuo scambio internamente all’Italia e all’Europa. Ad esempio, Kombiverkehr (tedesco), IFB (belga), Rail Cargo group (austriaco) hanno collegamenti merci giornalieri diretti tra Italia e altri paesi europei. In Italia, dal 2017, è operativo il “polo Mercitalia”, raggruppamento di sette società del Gruppo FS Italiane che operano nel business del trasporto merci e nella logistica (tra cui anche Cemat e Italcontainer). Le principali società operanti sono “Mercitalia Rail” (impresa ferroviaria merci in Italia e in Europa), “TX Logistik” (impresa ferroviaria merci in Germania e operativa in diversi paesi europei). La costituzione di un unico polo per le merci e la logistica ha permesso al Gruppo FS di ottimizzare i servizi e di essere più competitivo a livello nazionale ed europeo. Il “polo Mercitalia” si concentra sui grandi corridoi ferroviari di traffico transalpino (da/ per l’Italia), sulle principali dorsali ferroviarie che collegano il nord e il sud dell’Italia e sulle interconnessioni tra le principali aree economiche e i maggiori porti italiani ed europei.
Le caratteristiche del trasporto merci in Italia continuano a non favorire l’alternativa intermodale seppure siano presenti numerosi interporti e porti attrezzati. Studi effettuati in Italia hanno dimostrato che i centri logistici e merci più importanti e più attivi si localizzano lungo i principali corridoi europei nel nord ovest e nel nord est dell’Italia (Verona Quadrante Europa, Novara, Padova, Bologna, Milano-Melzo, Milano Segrate, Milano Smistamento, il porto di La Spezia, il porto di Trieste e il terminale ferroviario di Busto Arsizio-Gallarate). Gli stessi studi, inoltre, indicano che il trasporto stradale continua ad essere utilizzato, a discapito di quello ferroviario, su distanze uguali o inferiori a 200 km (circa l’80% delle tonnellate del trasporto merci su strada all’interno dell’Italia nel 2015), mentre su distanze maggiori è il trasporto ferroviario a farla da padrone (meno del 5% delle tonnellate del trasporto merci su strada all’interno dell’Italia nel 2015). Tutto ciò dipende dal costo dei due mezzi di trasporto e dalle modalità con cui avviene lo spostamento delle merci (intermodale o meno). Gli studi hanno indicato che il costo del trasporto stradale è minore di quello ferroviario (di tipo intermodale) al di sotto degli 800 km. Mettendo a confronto le conseguenze delle disposizioni dei pacchetti ferroviari e le s de ambientali globali, si può notare che la strategia dell’Unione Europea è quella di incentivare ulteriormente la ripartizione modale del traffico merci previlegiando il trasporto su ferro. L’Unione Europea ha
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8 - L’interessante slogan utilizzato dall’operatore multimodale Tedesco: “less CO2 rail”, ovvero “ferrovia signi ca minore emissione di CO2” (Fonte: www.directrailservices. com).
infatti individuato tre linee d’azione integrate per aumentare anche la sostenibilità del trasporto merci: avoid/shift/improve, ovvero “evitare lo spostamento con mezzi inquinanti”/“aumentare la quota di trasporto merci su ferro”/“migliorare l’efficienza dei veicoli e passare a modalità di trasporto più sostenibili”. In quest’ultima linea di azione, il ruolo delle ferrovie è essenziale. La s da ferroviaria dei Paesi dell’Unione Europea a livello ambientale non è solo quella di ridurre l’impatto sul consumo di energia (o sulle emissioni di CO2), ma di espandere la loro quota di mercato. Parallelamente è necessario che i medesimi Paesi incrementino l’efficienza dei collegamenti ferroviari e abbattano i costi di esercizio.
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Emissioni climalteranti in Italia e nella zona euro: il peso del trasporto merci su gomma di Mariano Bella
Alla ne del 2019, in materia di transizione verde - sia consentita questa generica espressione - sono stati pubblicati diversi documenti di grande importanza per il futuro dell’Unione Europea (Green Deal) e per il nostro Paese (PNIEC e allegati)1. Vi si disegna un percorso al 2030 per il raggiungimento, declinato su vari strumenti, di una riduzione tanto dei consumi energetici quanto delle emissioni di GHG (Greenhouse Gases). In questo articolo si veri ca la dimensione quantitativa del punto di partenza, collocabile alla ne del 2020, da cui prenderebbe le mosse questo ambizioso percorso. Il lavoro è focalizzato esclusivamente sulle emissioni climalteranti (nel prosieguo indicate anche come GHG, o CO2 equivalente o anche soltanto emissioni, in quanto gli inquinanti locali come i particolati non sono considerati, come detto, in questa nota). Si vuole stabilire quanto realizzato al riguardo nel recente passato dai diversi Paesi europei e dai differenti settori produttivi. Si evidenzia che il trasporto pesante su gomma ha ottenuto, in Italia, eccellenti risultati in termini di riduzione delle emissioni. Di conseguenza, appare difficile che esso possa contribuire in modo signi cativo alle future obbligate ulteriori riduzioni. Verosimilmente da altri settori produttivi dovranno giungere i più cospicui contributi2. 1 I più importanti sono il “Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima” del Ministero dello Sviluppo Economico (dicembre 2019), la “Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni - il Green New Deal Europeo” della Commissione Europea e la “Noti ca delle misure e dei metodi adottati dagli Stati membri per l’applicazione dell’articolo 7 della Direttiva 2012/27/UE” dell’Allegato III del Regolamento 9 (UE) 2018/1999 sulla Governance dell’Unione dell’energia. 2 Il materiale contenuto in questo articolo è una rielaborazione sintetica di Ufficio Studi Confcommercio (2019), Le emissioni climalteranti nell’Unione europea e il ruolo del settore trasporti, ottobre (presente nella sezione pubblica “ufficio studi” del sito www.confcom-
Climate-altering emissions in Italy and in the Eurozone: the contribution of road freight traffic by Mariano Bella By the end of the year 2019, a rapidly growing number of documents has been published about the green transition leading the general concept of “green” to be explicitly recognized. These works ought to be of great importance for the future of Europe (Green Deal) and for our country (PNIEC and annexes), because all of them design a strategy that relies on a range of tools to achieve a reduction in 2030 of both energy consumption and greenhouse gas emissions (GHG). The analysis conducted in this article aims to assess the quantitative dimension of the starting point for this transition, which can be dated to the end of the second decade of the 21st century, thus allowing this ambitious plan to move forward. In particular, there is widespread concern about what has recently been done by different European countries and by different sectors of production. The work helps point out that heavy road transport has achieved excellent results in reducing emissions, particularly in Italy. It therefore becomes difficult to think about this sector as one that can signi cantly contribute to the reductions that will be required in the future. Reasonably, the most relevant contributions will be provided by other productive sectors. Nella pagina a anco: veicoli per trasporti pesanti su strada: in Italia dal 1991 al 2017, il trasporto professionale su gomma ha ridotto l’emissione di GHG quasi del 30%
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1 - Tab. 1, emissioni di GHG. Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati European Environment Agency ed Eurostat.
Le emissioni climalteranti (GHG) in Italia e in Europa A sentire certi adagi mediatici, improvvidamente raccolti anche da qualche esponente politico, si ha l’impressione che la transizione verso un’economia verde - o più verde - appartenga esclusivamente all’agenda di un radioso futuro, per giunta prossimo. In altre parole, e senza toni polemici, potrebbe sembrare, al cittadino poco attento alla materia, che nulla sia stato fatto no ad oggi e che tutto si debba fare nei prossimi anni. A partire da domani. Ma così non è stato e non è. La tabella 1 riassume i dati ufficiali3 sulle emissioni in due punti distanti nel tempo per l’Italia e per alcuni Paesi europei. Prima di commentarli è opportuno soltanto ricordare che si tratta di dati ufficiali e degli unici dati ufficiali. Tutte le narrazioni basate su dati differenti non hanno base scienti ca e sono, pertanto, irrilevanti per la costruzione di un’idea ben fondata sulla situazione di partenza su cui si vanno a innestare gli obiettivi dei progetti europei e nazionali per il prossimo futuro (progetti che sulle medesime fonti, ovviamente, si basano). In 27 anni, cioè considerando il 1990 come dato acquisito e base dei conteggi e il 2017 come dato di arrivo, l’ultimo disponibile con completezza dei dettagli, le emissioni di GHG si sono ridotte del 24,8% nell’Unione europea (a 28 Paesi, EU28). Conviene subito ricordare che dentro l’intervallo considerato le dinamiche delle emissioni sono quasi monotòne, cioè gli estremi considerati nelle tabelle e nel testo sono effettivamente rappresentativi dell’evoluzione del fenomeno lungo tutto il periodo e non costituiscono, sotto il pro lo quantitativo, osservazioni eccezionali (come si desume anche dalla gura 1). In termini pro capite la riduzione è stata superiore al 30%. Entrambi i dati sono rilevanti. C’è una riduzione complessiva dei gas climercio.it). 3 Annual European Union greenhouse gas inventory 1990-2017 and inventory report 2019 (2019), European Environment Agency, May.
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malteranti emessi ogni anno e non è dovuta all’eventuale calo della popolazione la quale, invece, è cresciuta, nel medesimo periodo, di circa il 5%. Col passare del tempo, quindi, in Europa, al crescere della popolazione le emissioni si riducono. E si riducono ovunque tranne che in Spagna, Paese nel quale forse sarebbe necessario un allineamento ai trend degli altri partner, visto che proprio il dato della penisola iberica disegna un pro lo nel quale nella media dei 27 anni considerati ogni aumento unitario nella popolazione porta con sé un aumento delle emissioni esattamente pari all’emissione media pro capite (che infatti resta costante nei due punti temporali considerati e pari a 6,5 tonnellate annue pro capite). L’Italia è dinamicamente in linea con le medie: se qualche Paese si comporta meglio di altri, qualcun altro si deve comportare peggio, per contribuire alla semplice statistica che si chiama media4. Apparentemente, la Germania si comporta bene, il Regno Unito benissimo. Ma se si osservano le tonnellate di CO2 equivalente per abitante il quadro si complica. È vero che in Germania e Regno Unito le emissioni scendono più rapidamente che altrove, ma è altrettanto vero che i livelli per abitante in questi due Paesi sono ancora oggi superiori alle medie e superiori al dato italiano. Tenendo conto dell’intero scenario, l’Italia ne esce piuttosto bene: riduce le emissioni a buon ritmo e in termini di tonnellate pro capite è sui minimi: 6,8 per anno pari a 18,6 chilogrammi per giorno, al di sotto della zona euro (8,3 tonnellate/anno) e dell’Unione europea (7,9). Le evidenze contenute nella stessa tabella 1 potrebbero costituire la base per un negoziato sugli obiettivi prospettici in termini di riduzione delle emissioni. La si osservi in termini problematici come è opportuno fare in un negoziato tra contraenti che tentano di massimizzare una qualche funzione obiettivo che dipende da speci ci parametri nazionali (e si capisce: poiché le emissioni hanno effetti globali, per un italiano sarebbe meglio produrre e inquinare liberamente a patto che qualche altro Paese riduca sensibilmente le propri emissioni, ottenendo, quindi, vantaggi in termini sia di benessere economico sia di benessere ambientale, grazie al comportamento virtuoso di un altro partner). Da una parte, in tale ipotetico negoziato, 4 Queste banalissime considerazioni sembrano spesso costituire difficoltà logiche insormontabili nel dibattito politico-mediatico attuale, nel quale spesso domina la sorpresa che qualche soggetto abbia mostrato, appunto, performance peggiori della media del gruppo di cui fa parte e sul quale gruppo la stessa media viene calcolata!
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2 - Fig. 1, emissioni di GHG e PIL, indici in volume 1990=100: Il gra co di sinistra si riferisce all’ Italia e quello di destra all’EuroZona. Elaborazioni Ufficio Studi Confcommercio su dati European Environment Agency ed Eurostat.
qualcuno potrebbe pretendere, per esempio, che la Spagna - o anche l’Italia - acceleri il processo di riduzione delle emissioni in ragione della circostanza che in passato lo ha fatto in misura più esigua dei partner. D’altra parte, la Spagna e l’Italia avrebbero buonissime ragioni per sostenere che sono gli altri partner a dovere accelerare nella riduzione dei GHG in quanto in termini pro capite l’inquinamento di ciascun cittadino spagnolo e italiano si colloca sotto la media dell’inquinamento in Europa. Giusto per dire che ci possono essere - e in effetti ci sono - punti di vista e letture dei dati ben differenti, e comunque legittimi. Il conitto nella de nizione degli obiettivi va naturalmente ridotto a quel livello che consente di trovare un accordo. Ha rilievo anche la parametrizzazione delle emissioni rispetto alla ricchezza prodotta nell’unità di tempo, il PIL. Anzi, se non si conoscesse la recente storia economica europea e italiana verrebbe immediatamente da chiedersi se i buoni risultati di tabella 1 non derivino da un possibile crollo della produzione. Fortunatamente così non è come testimoniato dalla gura 1. Nel lungo periodo il prodotto cresce, le emissioni scendono drasticamente5. Le dinamiche sono piuttosto chiare. Sia in Italia sia nell’eurozona (come in EU28, dato non riportato) prima della grande crisi alla crescita del 5 Il che non vuole suggerire che le emissioni non dipendano positivamente dal livello della produzione. Al crescere di questa, a parità di altre condizioni, le emissioni aumentano. Il fatto è che le altre condizioni, durante il periodo considerato, non sono rimaste affatto costanti - si pensi alla tecnologia o ai comportamenti individuali - e l’effetto del loro variare ha più che compensato l’impatto della produzione sulle emissioni. È molto recente, tra l’altro, l’evidenza che l’impatto del contagio da Covid-19 abbia ridotto l’attività produttiva in Cina e in concomitanza si sia osservata una cospicua e altrettanto repentina riduzione della CO2 equivalente. Tuttavia, questa circostanza non è di alcun conforto perché quando lo shock transitorio sarà passato le emissioni riprenderanno il loro livello. Quando la correlazione tra produzione ed emissioni è particolarmente stretta essa tradisce un modo di produrre che non è pienamente sostenibile secondo i parametri internazionalmente condivisi.
PIL corrispondeva una sostanziale stabilità delle emissioni, riducendosi quindi la quantità di emissioni per euro di prodotto. Dal 2007 le emissioni calano molto più rapidamente rispetto al passato, anche a causa della riduzione del PIL: poiché le emissioni calano più rapidamente del PIL anche in questo periodo si riduce il rapporto emissioni/prodotto. Le cause sono molteplici e se ne discuterà brevemente nel paragrafo successivo. Non sfugge, in ne, che la pure modesta ripresa innescatasi dal 2014 contribuisce a una moderata ma visibile ripresa nel volume della CO2. È sempre meglio guardare ai trend di lungo termine per farsi un’idea della situazione e della dinamica attraverso cui si è giunti all’oggi: le oscillazioni di breve termine possono essere fuorvianti in quanto dovute anche a shock transitori che, per de nizione, non persistono nel tempo. Qual è dunque la situazione attuale (sempre il 2017) in termini di rapporto emissioni/PIL? Anche in questo caso le evidenze, riportate sinteticamente nella tabella 2, sono confortanti. La riduzione è signi cativa sia per l’EuroZona sia per l’Italia. Il livello di emissioni per unità di PIL è, in Italia, inferiore di oltre il 6% rispetto alla media dei Paesi dell’area dell’euro. La terziarizzazione della nostra economia non è estranea a questa circostanza. Avendo contezza dei dati n qui riportati, dovrebbe risultare un po’ difficile vagheggiare un futuro come denso di promesse in contrapposizione a un passato caratterizzato da indolenza e trascuratezza rispetto ai temi del riscaldamento globale connesso alle emissioni di GHG: molto è stato fatto e gli sforzi sono stati diffusi e coronati da successo. Questo costituisce dunque un ottimo punto di partenza per rafforzare in futuro, con i nuovi piani in cantiere, ciò che abbiamo cominciato a costruire nel passato.
3 - Tab. 2, emissioni di GHG per unità di PIL, grammi di CO2 equivalente per euro di PIL (misurato a a prezzi costanti del 2017), livelli e var. % 1991-2017.
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Le emissioni e il ruolo del trasporto merci su gomma I settori produttivi intesi come settori emittenti presentano gradi ben differenziati di contribuzione alle emissioni climalteranti. Pertanto, bisogna stabilire, anche in ottica evolutiva e nella comparazione internazionale, la rilevanza assoluta e relativa dei diversi settori produttivi in termini di GHG. Il focus riguarda il trasporto di merci su gomma (veicoli pesanti)6. Il tema settoriale è dirimente rispetto all’impostazione delle policy. Perché si può fare qualsiasi ragionamento ineccepibile sul piano logico - del tipo: colpire quei settori le cui emissioni sono crescenti, tanto per fare un esempio - ma se le azioni devono portare a qualche risultato è opportuno concentrarsi su attività il cui contributo è particolarmente rilevante (per continuare l’esempio: logico preoccuparsi di chi inquina, ma se il livello assoluto e relativo dell’emissione è marginale, sarà trascurabile anche il risultato dell’eventuale contenimento per il sistema economico nel complesso). Il che non vuol dire che non sia necessario, equo e anche efficiente imporre vincoli a qualsiasi settore. È però opportuno avere presente le dimensioni assolute e relative del problema. Nel caso dei trasporti in generale e, in particolare, per il trasporto di merci su gomma, è difficile non ravvisare nel tenore del dibattito politico-mediatico una sottostante accusa di costituire una fonte, anzi, la fonte principale di inquinamento. Si pensi, tanto per convergere sul concetto in parola, all’insistenza con cui si propone, forse da decenni, la ricetta che ultimamente va sotto la locuzione “cura del ferro” (spostare le merci dalla gomma alla ferrovia). La tabella 3 è utile a de nire il perimetro della questione e merita un commento piuttosto articolato. La presentazione dei dati è focalizzata sui trasporti, nella declinazione dal generale al particolare che rende evidente come quasi il 93% delle emissioni nel settore dei trasporti - tanto in Italia quanto nell’EuroZona - è dovuto alla strada (92,4 milioni di tonnellate su 99,5 nel caso italiano). Ai veicoli pesanti, ovviamente nell’ambito della strada, è ascrivibile il 18,8% della CO2 emessa dai trasporti 6 I settori sono de niti in coerenza con le classi cazioni ufficiali. Cfr. Annual European Union greenhouse gas inventory 1990-2017 and inventory report 2019 (2019), European Environment Agency, May. Per una discussione degli schemi adottati in questo articolo si può fare riferimento al rapporto citato alla nota 1.
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(18,7 su 99,5) oppure, altrimenti calcolato, il 20,2% delle emissioni dei trasporti su strada (18,7 su 92,4). Nel complesso, la tabella presenta un settore aggregato “altri settori” che è costituito dalla somma di tutte le altre aree di emissione (dalla manifattura al comparto residenziale). L’altro settore emissivo che è stato enucleato a parte è l’uso del terreno. Il totale GHG è dato dalla somma delle emissioni nei trasporti, negli altri settori e nell’uso del terreno. Tralasciando i livelli assoluti, la terza colonna evidenzia la variazione complessiva delle emissioni per settore sui 27 anni considerati. In Italia, i trasporti, e quelli su gomma in particolare, palesano riduzioni di GHG molto inferiori alla media complessiva, cioè 2,7% in meno contro una riduzione del 20,4% per il complesso (quest’ultimo numero è naturalmente quello presente nella tabella 1 per l’Italia). Tuttavia, i veicoli pesanti riducono i GHG di quasi 10 punti percentuali oltre la riduzione totale (-29,7% contro -20,4%). Il dato è particolare per la sua eccezionalità. Il mondo del trasporto professionale su gomma, trainato dall’innovazione tecnologica e orientato da obblighi e divieti - provvedimenti sovente molto costosi - ha fatto ben più della sua parte nella riduzione di emissioni. La struttura del mercato dei veicoli industriali, nella migrazione da euro 0 a euro 6, è mutata radicalmente: la quota di veicoli euro 5 più euro 6 sul totale circolante di veicoli industriali è passata dall’11,8% del 2013 al 18,6% del 2016; dovrebbe attestarsi al 28,2% nel 2020. Il riscontro di questo percorso è nei dati di tabella 3, come visto. Non ci si può esimere, di conseguenza, dal porre una questione: perché non si è disegnata un’analoga traiettoria per l’uso residenziale di elettricità e gas? Perché non c’è stato un progetto di agricoltura da euro 1 o 2 ad agricoltura euro 6 (o se c’è stato, perchè non ha funzionato)? Giusto per evidenziare due settori piuttosto deboli in termini di performance emissive. Tornando alla tabella 3, si può effettuare un utile confronto tra le colonne 3 e 4: cioè tra performance dinamiche delle emissioni in Italia rispetto all’EuroZona. Anche in questo caso si notano scarti eccezionali; le evoluzioni hanno verso opposto. Questo fenomeno non è dovuto alle tecniche di compilazione della tabella; infatti, l’entrata dei Paesi dell’Est tra il 2003 e il 2007 nell’EuroZona è teoricamente neutrale in quanto le emissioni - e le altre variabili economiche o demogra che utilizzate - sono conteggiate a perimetro costante, come se, cioè, i nuovi paesi fossero
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5 - Tab. 3, emissioni di GHG per settore nel 2017, milioni di tonnellate di CO2 equivalente, var. % 1991-2017 e quote % dei settori di emissione sul totale economia.
già dal 1991 appartenenti all’area della moneta comune. La spiegazione è semplice: in molti Paesi europei vi è stata un’attenzione decisamente minore rispetto all’Italia riguardo il contenimento delle emissioni nei trasporti. E possibile, poi, che, per quanto riguarda i Paesi dell’Est, visto che i trasporti sono un vero e proprio motore dell’economia, assieme alla logistica, la forte crescita economica registrata sia stata agevolata dalla moderazione nelle restrizioni imposte alle emissioni di questi settori. Resta il fatto che se i trasporti nel resto della zona euro e dell’Europa in generale, avessero presentato dinamiche emissive analoghe a quelle presentate dall’Italia, gli obiettivi di riduzione di GHG nel complesso sarebbero già molto prossimi a quelli che i nuovi documenti internazionali si pre ggono per il 2030 (anche se, allo stato attuale è difficile una quanti cazione precisa di queste grandezze). In ne, il peso relativo del trasporto pesante è pari al 4,6% sul totale delle emissioni in Italia, una quota sensibilmente inferiore all’analogo parametro dell’EuroZona (5,9%). Pertanto, continuare a puntare su questo ambito produttivo al ne di migliorare l’ammontare delle emissioni climalteranti può produrre, nel migliore dei casi, risultati esigui. Nel peggiore, risultati perniciosi che possono essere indicati con il titolo sintetico di carbon leakeage, che implica anche più inquinamento globale e minori risorse da tassazione internalizzante. Questo aspetto - che è in larga misura fuori dal tema dell’articolo - attiene alla tassazione distorsiva che i trasporti subiscono7 in alcuni Paesi europei, in particolare in Italia. L’eccesso di tassazione può comportare delocalizzazione di servizi di trasporto verso aree territoriali meno attente alla decarbonizzazione, ad esempio nell’Europa dell’Est. Con il risultato di peggiorare gli effetti globali delle emissioni - si emette di più e non di meno - assieme a una riduzione del-
le risorse derivanti allo stato dalla tassazione, diretta e indiretta, a causa del minore reddito generato nel Paese di origine. È molto importante sottolineare il contributo negativo dell’uso del terreno. La forestazione, in altri termini, assorbe più CO2 di quella che genera. Non è una gran scoperta, certo, però meritevole, comunque, di una sottolineatura: molte banalità sono vere e, quindi, non vanno dimenticate (come spesso accade quando si va alla ricerca di suggestioni particolarmente so sticate che però possono rivelarsi false).
7 Il tema è trattato in Ufficio Studi Confcommercio (2018), Ri essioni sul sistema dei trasporti in Italia (cap. 1), ottobre (presente nella sezione pubblica “ufficio studi” del sito www.confcommercio.it).
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Note conclusive Per concludere. I trasporti sono un campo su cui accanirsi, nel senso che sono la questione da risolvere per migliorare il processo di decarbonizzazione? Probabilmente no, almeno non si possono scrivere al primo posto nella lista gerarchica dei problemi da affrontare. I dati presentati in questa nota evidenziano qualcosa di cui sovente ci si dimentica: l’integrazione planetaria delle produzioni e l’intensi carsi bene co degli scambi tra zone lontane nel globo, chiedono più e non meno servizi di trasporto. Quindi, le politiche dovrebbero tenerne conto: disincentivare il trasporto - per esempio, incrementandone ulteriormente la tassazione - riduce gli scambi e i relativi bene ci. Sostenibilità è preservare, e, se possibile, accrescere, il capitale ambientale assieme a quello economico e sociale. Viceversa, la strada è quella della decrescita, di cui solo l’opzione “infelice” è disponibile. Guardando al futuro, si deve tenere conto del passato. È sempre possibile rilevare che “si poteva fare di più e meglio”. Ma è altrettanto possibile rilevare che “si poteva fare di meno e peggio”. Fin qui una cosa è certa: la lotta alle emissioni ha prodotto risultati tangibili ed evidentissimi, almeno per quanto riguarda l’Europa e l’Italia.
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L’integrazione della sostenibilità nelle attività aziendali. L’esperienza del gruppo Ferrovie dello Stato di Lorenzo Radice e Valerio Birindelli
Ferrovie dello Stato Italiane, quale grande gruppo industriale nel settore dei trasporti, ha la responsabilità e la consapevolezza di quanto le proprie scelte possano incidere sulla qualità della vita delle persone e sugli equilibri naturali. FS Italiane intende quindi proporre soluzioni che, grazie all’esperienza acquisita e all’impegno per una costante innovazione, possano garantire la creazione di valore diffuso, solido e duraturo.
La sostenibilità, il settore dei trasporti e il trasporto su ferro Con insistenza crescente il concetto di sostenibilità si è andato affermando nel dibattito accademico e pubblico, trovando poi una naturale ricaduta sulle attività aziendali. Numerose analisi hanno sottolineato la stretta interdipendenza tra la competitività delle aziende e il benessere delle comunità, con conseguenti cambiamenti innovativi nelle decisioni aziendali. Sempre più imprese considerano oggi la sostenibilità come parte integrante delle proprie strategie, ssando anche obiettivi misurabili in ambiti quali economia circolare, emissioni climalteranti, valorizzazione delle diversità, benessere dei dipendenti e gestione responsabile dei fornitori. La necessità di trovare un equilibrio tra le dinamiche economiche, ambientali e sociali, a favore di uno sviluppo concreto e durevole, si fonda su una consolidata letteratura ed è alla base di numerosi ragionamenti e impegni dell’agenda della comunità internazionale e nazionale. Il rapporto del Club di Roma I limiti dello Sviluppo ha evidenziato, già nel 1972, l’urgenza di rivedere i paradigmi di crescita diffusi all’epoca a favore di un modello capace di garantire sviluppo equo e in armonia con l’ambiente. Quindici anni dopo, il rapporto Bruntland Our Common Future - pubblicato dalla Commissione mondiale sull’Ambiente e sullo Sviluppo -, a cui si deve la nota de nizione di sviluppo sostenibile (“uno sviluppo che
Integrating sustainability into corporate activities, the experience of the FS Italiane Group by Lorenzo Radice and Valerio Birindelli The balance between economic, environmental and social dynamics, necessary to ensure tangible and lasting development, is a widespread concern and the topic of several studies, as well as a source of discussion and commitment in the national and international political agenda. Various analyses have underlined the close interdependence between business competitiveness and the well-being of communities. An increasing number of companies consider sustainability to be a founding element of their strategies, and apply its principles to their everyday activities (i.e. setting measurable objectives in areas such as the circular economy, climate-changing emissions, enhancing diversity, employee well-being and responsible supplier management). Ferrovie dello Stato Italiane Group, as a large industrial group in the transport sector, feels responsible for the impact of its activities on people’s quality of life and on the environment. The FS Group thus intends to propose solutions inspired by experience and innovation that can guarantee the creation of widespread, solid and lasting value.
Nella pagina a anco, treni ad alta velocità. Per tutte le immagini che accompagnano questo articolo: © FS Italiane | Photo
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soddis i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”), ha insistito sulla stretta connessione tra dinamiche sociali, ambientali ed economiche. Più di recente, nel 2015 l’ONU, in continuità con la Dichiarazione del Millennio del 2000, ha pubblicato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile. Questo documento, che ssa 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals, SDG) riconosce la complessità delle s de future e fonda, sull’integrazione delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economica), il presupposto per promuovere benessere umano e salute dei sistemi naturali in un contesto economico positivo. Nello stesso anno, la Conferenza di Parigi sui cambiamenti climatici (COP21) ha visto un ampio coinvolgimento di istituzioni, organizzazioni no pro t, accademici e aziende per affrontare l’emergenza climatica e ribadire la necessità di un nuovo modello economico e produttivo. Diverse indagini stanno anche testimoniando come, sia su base volontaria sia sotto la spinta delle autorità pubbliche, un numero in continua crescita di imprese abbia fatto della responsabilità sociale e ambientale un elemento centrale della propria missione aziendale. Ad agosto 2019, 181 dirigenti di grandi società statunitensi appartenenti alla Business Roundtable - tra cui i leader di J.P. Morgan, Apple, Pepsi e Amazon - hanno sottoscritto una dichiarazione in cui sostengono la necessità di includere pratiche sostenibili nelle loro aziende per garantire un successo nel lungo periodo. Uno studio di Accenture del 2016, realizzato insieme al Global Compact delle Nazioni Unite, intervistando oltre 1.000 amministratori delegati di imprese presenti in più di 100 Paesi e in altrettanti settori, ha mostrato come l’Agenda 2030 costituisca un riferimento strategico importante per i prossimi anni: - l’88% degli intervistati valuta essenziale integrare i principi di sostenibilità nell’attività per ottenere progressi; - l’80% degli intervistati ritiene la capacità di dimostrare un impegno sociale elemento di differenziazione nel settore in cui operano e gli SDGs un’importante occasione per rivedere gli approcci alla creazione di valore sostenibile (87% del campione). Una ricerca condotta da EY e DNV GL, nel 2017, su oltre 1.500 professionisti in diverse parti del mondo e su quasi 200 aziende italiane, ha rilevato come a livello internazionale la sostenibilità sia entrata a far parte delle strategie aziendali, in quasi la metà del
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campione intervistato. Interessante è notare come l’Italia non faccia eccezione e mostri un progressivo ma evidente passaggio a una visione della sostenibilità come parte integrante delle strategie generali. Tra i fattori che stanno accelerando il cambiamento di paradigma vi è la crescente inuenza degli stakeholder sulla vita dell’azienda. Ad esempio, è evidente come, collegata alla scelta di consumo e/o di investimento, ci sia anche la volontà manifesta (o talvolta anche solo latente) di fruire di beni e servizi o investire in attività meritevoli dal punto di vista ambientale o sociale. Oppure di non investire in attività considerate negative. La mobilità è una delle s de più complesse che la società deve affrontare: la crescente propensione al movimento attesa per i prossimi anni si contrappone alla necessità di ridurre le esternalità negative, come le emissioni inquinanti e climalteranti e il trafco, per ottenere una migliore qualità della vita. Merita di essere richiamato un principio formulato nel 2013 da Bernardo Secchi (architetto, urbanista e ingegnere) applicato al contesto urbano ma estendibile a dimensioni territoriali anche più ampie: “una città organizzata con un’equa distribuzione spaziale dei servizi collettivi, quali spazi verdi, reti di distribuzione dell’energia, dell’acqua e un sistema di trasporto che ne garantisca l’accessibilità, può essere un importante strumento per reagire alla crisi generale e offrire nuove forme di lavoro”. In un momento di cambiamenti legati a fattori demogra ci (espansione dei centri urbani, invecchiamento della popolazione, ecc.), ambientali (rischi climatici, perdita della biodiversità, ecc.), tecnologici (modalità di interazione, digitalizzazione, ecc.) e industriali (lavoro, risorse, innovazioni, ecc.) è necessaria una valutazione della complessità per il perfezionamento delle soluzioni di mobilità da proporre. Il settore dei trasporti può offrire l’opportunità di combinare la protezione del clima e la salvaguardia ambientale con un equilibrio economico grazie a un bilanciamento dei sistemi di mobilità e a un’attenzione alle esigenze degli stakeholder. Differenti scelte di mobilità nelle abitudini quotidiane possono implicare miglioramenti in termini di traffico, di sicurezza, di inquinamento e di emissioni, apportando bene ci nella qualità della vita delle persone e minori rischi per l’ambiente. Il trasporto ferroviario può fornire un grande contributo, ad esempio, per le efficienti prestazioni energetiche che lo caratterizzano: in Europa le emissioni di anidride carbonica del trasporto su ferro ammontano solo al 2,9% sul totale delle emissioni della mobilità, a fronte di una quo-
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ta di trasporti pari al 9%. Sempre con riferimento alle emissioni di CO2, un viaggatore che usa il treno in Italia emette mediamente in atmosfera il 75% in meno di anidride carbonica rispetto a un viaggio in aereo e il 60% in meno rispetto a quello in automobile. Nel recepire la s da lanciata alla COP21 insieme a numerose imprese ferroviarie mondiali, l’International Union of Railways (UIC), di cui il Gruppo FS è parte, ha preso l’impegno afnché le emissioni speci che in atmosfera, a livello globale, derivanti dall’attività ferroviaria fossero ridotte in modo signi cativo. La COP25 del 2019 rappresenta un’ulteriore opportunità per l’UIC di rafforzare il ruolo delle ferrovie nello sviluppo dei trasporti sostenibile, ssando la carbon neutrality delle attività di trasporto e annunciando la propria disponibilità a sostenere gli SDG e riferire sui loro progressi su quelli più rilevanti. In Europa la ferrovia sta assumendo nuovamente una posizione strategica essenziale, contribuendo allo sviluppo dell’economia e della mobilità sostenibile, e allo stesso tempo alla protezione dell’ambiente e della coesione territoriale. Anche il CER, Community of European Railway and Infrastructure Companies, intende rafforzare il posizionamento del sistema ferroviario come spina dorsale della mobilità intermodale, sicura e a basse emissioni, insistendo su 5 linee di azione: digitalizzazione, centralità del cliente, ferrovie ancora più sostenibili, nanza sostenibile e nuove opportunità di mercato.
Sostenibilità e il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane L’introduzione e il progressivo sviluppo dell’Alta Velocità ferroviaria italiana, di cui quest’anno ricorrono i 10 anni di attività, hanno mostrato come l’innovazione e gli investimenti correttamente indirizzati possano determinare il miglioramento delle performance economiche passando attraverso la riduzione delle esternalità negative, ambientali e sociali, permettendo, nel caso speci co, un cambiamento verso modalità di trasporto più sostenibili; l’importante cambio delle abitudini di viaggio ha consentito di evitare l’emissione di enormi quantità di CO2 in atmosfera e ha indotto una signi cativa riduzione di incidenti e congestione stradale. Il sistema AV/AC italiano Torino– Salerno ha rivoluzionato lo stile di vita delle persone e la mobilità in Italia, riducendo le distanze, accorciando il Paese e avvicinando i cittadini. 350 milioni di viaggiatori in 10 anni, 380 milioni di chilometri percorsi e circa 20 milioni di tonnellate in meno di anidride
carbonica emessi in atmosfera fra il 2008 e il 2018, grazie allo shift modale dall’auto privata e dall’aereo verso il treno. Nel 2018, ogni persona che ha viaggiato su un treno AV ha risparmiato mediamente un’ora al giorno, rispetto a un viaggio con le stesse destinazioni fatto nel 2005. L’Alta Velocità è un esempio di come innovando, lavorando sui mezzi, ottimizzando le infrastrutture materiali e digitali, sviluppando soluzioni di mobilità in una prospettiva di servizio alla persona, si possano migliorare i servizi e creare valore per tutta la collettività e per i territori. In tal senso il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane intende contribuire attivamente e in modo sempre più signi cativo allo sviluppo di strategie per affrontare le s de globali e che indirizzino tutte le attività dell’azienda ad agire sotto il segno della sostenibilità. La holding Ferrovie dello Stato Italiane è particolarmente attiva nel promuovere, indirizzare, coordinare e facilitare l’adozione di strategie e indirizzi in linea con i principi di sostenibilità attraverso modelli, regole, processi e controlli che garantiscano l’efficacia delle azioni intraprese, e che al contempo assicurino l’autonomia e l’indipendenza delle società controllate. De nito e consolidato un sistema di reporting di informazioni di sostenibilità che con uisce nell’annuale Rapporto di Sostenibilità di Gruppo, pubblicato la prima volta nel 2008, FS Italiane sta formalizzando un sistema di controllo per una rendicontazione sempre più trasparente e veri cabile. Partendo da un approccio attento soprattutto alla compliance, la realizzazione del Rapporto di Sostenibilità ha assunto nel tempo la valenza di documento attraverso cui sviluppare decisioni strategiche a integrazione del modo di fare business. Il reporting, favorito dalle recenti normative come quella sulla dichiarazione non nanziaria, Dr.lgs. n. 254 del 2016, che hanno spinto su un approccio integrato delle ricadute dell’attività aziendale, è uno degli strumenti principali che permette alle aziende di conoscere e raccontare le modalità in cui il contesto esterno condiziona le scelte operative e al tempo stesso di valutare gli impatti sociali, ambientali ed economici. Nel 2016 FS Italiane ha istituito il Comitato di Sostenibilità, organo consultivo i cui membri sono Amministratori Delegati delle principali società del Gruppo e Direttori Centrali della holding. La funzione consultiva e propositiva del Comitato è un veicolo per stimolare i vertici aziendali a una ri essione costante sul valore prodotto secondo le dimensioni sociali e ambientali, oltre che economiche. Con il Modello di governo della Sostenibili-
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tà, adottato nel 2019, è stato introdotto uno strumento per facilitare la transizione verso un business attento tanto ai risultati economico- nanziari quanto agli impatti ambientali e verso le persone. Il Modello, impostato in un’ottica di miglioramento continuo delle prestazioni, de nisce la governance e i processi di gestione tesi a favorire l’integrazione delle dinamiche di sostenibilità nella strategia del Gruppo e l’implementazione delle azioni che conseguirà alla messa in atto del Modello. Sul fronte del confronto con gli stakeholder, dal 2013, rappresentanti di istituzioni, università, associazioni, organizzazioni e cittadini hanno periodicamente partecipato ai “Panel degli stakeholder”. Incontri nei quali FS Italiane promuove un percorso di confronto per formulare proposte di miglioramento a cui il Gruppo si impegna a dare concreto seguito. Nel 2018, gli stakeholder sono stati coinvolti, in particolare, per avviare un processo di denizione di obiettivi di lungo periodo, al 2030 e al 2050, per tutto il Gruppo FS, permettendo di raccogliere nuovi input per la de nizione dei Piani e delle strategie. Il processo ha portato a de nire 3 target che sono stati approvati dal CdA di FS Italiane nel 2019: - Emissioni: il Gruppo FS Italiane mira a diventare carbon neutral entro il 2050 in riferimento sia all’energia acquistata sia a quella autoprodotta dalle Società del Gruppo (inclusa l’energia da trazione su ferro e su gomma) e usata per gli impianti ssi (officine, stazioni, uffici, gallerie, strade). - Sicurezza: il Gruppo FS Italiane si è posto l’obiettivo di diventare best in class in Europa in tema di sicurezza (safety) con la vision di azzerare, entro il 2050, gli eventi mortali tra i viaggiatori che scelgono i mezzi del Gruppo per i propri spostamenti (treno, autobus e altri sistemi di mobilità), tra i dipendenti, tra gli appaltatori e tra le persone interferenti con sistema ferroviario. Entro il 2030, si dovrà ottenere la riduzione del 50%, rispetto al 2015, degli incidenti mortali sulle strade di competenza Anas. - Mobilità sostenibile: obiettivo del Gruppo FS Italiane è incrementare lo shift modale a favore della mobilità collettiva e condivisa in Italia del 15% entro il 2050, incentivando le persone a non utilizzare l’auto privata. Secondo il Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel 2015 circa il 77% delle persone ha usato l’auto privata e solo il 17,5% ha scelto altri mezzi di trasporto più ecosostenibili (treno, tram, funivie, trasporti urbani e extraubani). Per quanto riguarda le merci, l’obiettivo del Gruppo FS Italiane è trasferire il
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50% del trasporto su ferro entro il 2050. Sempre secondo il Conto Nazionale delle Infrastrutture e dei Trasporti, nel 2015 il trasporto merci su ferro si è attestato intorno al 12% contro il 54% di quello su gomma. Il Gruppo FS ha sperimentato con successo anche gli strumenti della nanza sostenibile, emettendo due green bond (uno nel 2017 e uno nel 2019) per l’acquisto di treni regionali, Alta Velocità e merci (1,3 miliardi di euro): treni ad alta efficienza energetica e ad alto tasso di riciclabilità, oltre che sicuri. L’ultimo green bond, emesso nel 2019, con un valore nominale 700 milioni di euro, nanzierà l’acquisto di nuovi treni regionali per oltre il 70%, oltre a treni AV Frecciarossa 1000 e materiale rotabile per il trasporto merci (locomotori e vagoni). La domanda è stata pari a 3,5 volte l’offerta. Gli ordini complessivi sono stati di 2,5 miliardi di euro, provenienti da 156 investitori, di cui il 65% dall’estero. Degli ordini totali circa il 47% è stato fatto da investitori impegnati verso i temi della sostenibilità. Tutti i progetti nanziati da green bond assicurano, infatti, miglioramenti dell’efficienza energetica, riduzione delle emissioni di gas serra e shift modale verso il treno. Con questa operazione, FS Italiane è stata la prima emittente italiana ad aver ottenuto la certi cazione dalla Climate Bonds Initiative, organizzazione no pro t che promuove a livello mondiale la nanza sostenibile come strumento per contrastare i cambiamenti climatici. L’attenzione verso la mobilità sostenibile dei mercati nanziari è alta, tanto che secondo Climate Bonds Standards, il 61% dei green bond emessi nel 2017 sono stati destinati a progetti di trasporto a basse emissioni. Un processo di integrazione di sostenibilità deve inoltre porre l’attenzione sulle conseguenze ambientali e sociali del proprio agire nell’intera catena del valore. Da diversi anni, clausole di sostenibilità sono inserite nelle opere infrastrutturali e nella fornitura di treni. Il Gruppo intende innalzare ulteriormente il proprio pro lo di sostenibilità considerando anche la supply chain, valutando, monitorando e riconoscendo i fornitori che assicurano rilevanti performance ambientali e sociali. Dopo un progetto pilota, condotto dalla controllata Rete Ferroviaria Italiana (RFI), il Gruppo intende istituire una task force sul Supply Chain Sustainable Management e applicare in modo sempre più diffuso criteri di sostenibilità nella catena di approvvigionamento. La sostenibilità rappresenta per il Gruppo una priorità e un fattore strategico, che si traduce in un impegno costante per offrire
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servizi efficienti, sicuri e ridotti impatti ambientali. Sull’esempio dell’Alta Velocità, che ha mostrato come innovazione e visione strategica possano contribuire alla riduzione delle esternalità ambientali negative, gli investimenti sui nuovi mezzi vengono indirizzati in una prospettiva di sostenibilità. I nuovi treni regionali Pop e Rock, oltre a essere quasi interamente riciclabili, rispondono a importanti requisiti ambientali che permettono di consumare no al 30% di energia in meno rispetto ai treni di precedente generazione, così come risultano signi cative le performance ambientali dei nuovi mezzi per il trasporto delle merci, locomotori e carri. Anche le società del Gruppo FS che si occupano di trasporto su gomma si stanno impegnando a rinnovare la otta in favore di mezzi di moderna motorizzazione che permettono un sensibile abbattimento di emissioni dannose per l’ambiente e per la salute (CO2, NOx, PM): il nuovo Piano industriale 2019–2023 prevede quasi 1.500 nuovi bus di cui circa un terzo a basse o zero emissioni. Oltre agli investimenti sui mezzi, il centro delle strategie passa dagli investimenti sulle reti infrastrutturali e sui nodi per sviluppare, in collaborazione con tutte le istituzioni del territorio, un sistema di mobilità ancora più sostenibile e integrato, specialmente nelle aree urbane e metropolitane che costituiscono uno dei punti più evidenti della crisi della mobilità. L’inserimento ambientale di opere ingegneristiche di grande estensione e complessità, quali le infrastrutture ferroviarie e stradali, passa attraverso il confronto partecipativo con gli stakeholder interessati. Tale attività, in essere dalle prime fasi progettuali no alle fasi realizzative e all’esercizio dell’infrastruttura, viene effettuata nella consapevolezza che l’opera costituisce un’opportunità per valorizzare i territori attraversati, favorendo le continuità del tessuto naturale e urbano grazie a soluzioni progettuali mirate a integrare obiettivi ambientali, economici e sociali. Come sottolineato, anche nel Piano industriale 2019-2023 FS Italiane intende contribuire allo sviluppo di sistemi di trasporto sostenibili, nelle città metropolitane e nei principali contesti urbani italiani, assumendo un ruolo chiave nella riquali cazione urbanistica delle città italiane, attraverso lo sviluppo di soluzioni per Smart City, il potenziamento delle infrastrutture dei nodi urbani e la progettazione e sviluppo di nuove infrastrutture dei servizi di trasporto rapido di massa. Le stazioni, da sempre centro della città moderna, rappresenteranno ancora di più
uno dei fulcri dello sviluppo urbanistico del futuro. Cuore delle Smart City, favoriranno sempre più accessibilità e multi-modalità. Saranno un hub multi-servizi per i cittadini, luoghi di mobilità non più concepiti come meri luoghi di transito, di arrivo e partenza dei viaggiatori ma come poli che esprimono valore culturale, sociale ed economico a basso impatto ambientale. Consapevole del ruolo centrale del settore della mobilità per una crescita responsabile, il Gruppo FS Italiane intende contribuire attivamente al miglioramento della qualità della vita e dei territori attraversati, sviluppando infrastrutture e modalità di trasporto integrate ed efficienti. Il Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane ha rafforzato il proprio impegno per realizzare un progetto di mobilità in grado di coniugare obiettivi economico- nanziari e responsabilità sociale e ambientale, anticipando le s de del futuro e creando valore nel lungo periodo per il sistema Paese. In questo senso sta indirizzando le proprie strategie, innovando, lavorando su mezzi e infrastrutture, materiali e digitali, e sviluppando soluzioni di mobilità sostenibili in una prospettiva di servizio alla persona. © Riproduzione riservata
Bibliogra a CER (2019), Ever better railways for an even closer Union. Commissione Europea (2019), Verso un’Europa Sostenibile entro Il 2030. Crédit Agricole (2018), Supporting you in the Energy Transition. EY and DNV GL (2017), Seize the Change. Integrare la sostenibilità nel business. Meadows D. L. et al. (1972), The Limits to Growth, Universe Books, New York. Porter M. E., Kramer M. R. (2011), “Creating Shared Value” Harvard Business Review. Secchi B. (2013), La città dei ricchi e la città dei poveri, Laterza, Bari. UIC (2014), Low Carbon Rail Challenge. Technical Report. UN Global Compact–Accenture Strategy CEO (2016), Transforming Partnerships for the SDGs. World Commission on Environment and Development (1987), Our Common Future, Oxford University Press, London.
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Dalle Autostrade terrestri alle Autostrade del Mare: prospettive di riduzione dell’impatto ambientale di Ennio Cascetta e Matteo Arena
Lo sviluppo delle Autostrade del Mare potrebbe riassumersi, in forma deliberatamente sempli catoria, nell’azione di due attori chiave. Da una parte l’Unione Europea quale ente propulsore per la de nizione giuridica e strategica, la piani cazione trasportistica e, quota parte, per il co nanziamento delle Autostrade del Mare. Dall’altro lato, l’Italia quale migliore soggetto attuatore di tale programma a livello europeo, sia nella componente istituzionale che di mercato.
Dalla piani cazione e de nizione europea di Autostrade del Mare all’implementazione nazionale Partiamo dall’Europa. Il Programma delle Autostrade del Mare nasce su impulso della Direzione Generale per la Mobilità ed i Trasporti della Commissione Europea, e viene enunciato formalmente per la prima volta nel Libro Bianco dei Trasporti del 2001, con l’obiettivo di realizzare un sistema di trasporto equilibrato in termini modali su scala europea, promuovendo una modalità alternativa e competitiva rispetto al trasporto su gomma, integrata, ambientalmente sostenibile, affidabile ed economicamente efficiente, attraverso l’introduzione di catene logistiche intermodali basate in prevalenza sul trasporto marittimo di corto raggio. Tra gli obiettivi speci ci del Programma delle Autostrade del Mare rientravano (e vi rientrano ancora oggi) la riduzione della congestione stradale e delle conseguenti esternalità negative prodotte, la promozione di una maggiore coesione economica e sociale tra gli Stati membri, in particolare per le aree periferiche ed insulari europee e lo sviluppo di collegamenti logistici efficienti a supporto degli scambi commerciali intra ed extra europei ed all’interno del territorio degli Stati Membri.
From Motorways on land to Motorways on the Sea: prospects for reducing environmental impact by Ennio Cascetta and Matteo Arena The Motorways of the Sea (MoS) programme, a fundamental pillar of the TEN-T planning framework, was established with the aim of creating a balanced transport system, enhancing environmental sustainability, territorial cohesion and the general efficiency of the logistics chain in intra- and extra-European trade. Based on the narrower de nition of MoS, namely the speci c maritime segment targeted to the cargo sector, but also including the passenger segment, transported on Ro-Ro and Ro-Pax vessels, featured in “scheduled”, reliable, high-frequency and integrated maritime based routes, Italy is undoubtedly the leader in Europe for this type of traffic. Moreover, at the national level, this is the segment that boasts the best performance over the last ve years, as it offers an impressive array of services and capacity on both cabotage and international routes. The current cargos using MoS in Italian ports allowed a negative externalities savings in 2018 of around € 624 Mln, of which over € 194 Mln were linked to air pollution and GHG emission reduction, compared to the alternative in which the above-mentioned traffic would have been diverted to road transport. This is a signi cant result, which in the short term however, must address the issue of decarbonising maritime transport. In fact, if the entry into force of stricter new environmental regulations might ensure even better performance from the MoS sector, the huge capital investments required for eet compliance could cause a modal back-shift towards road transport.
Nella pagina a anco: due immagini di navi traghetto in navigazione.
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Più speci catamente, nell’impianto de nitorio originario, le Autostrade del Mare venivano de nite come rotte e servizi marittimi di Short Sea Shipping, prevalentemente destinati al settore cargo ma comprendenti anche il segmento passeggeri, di tipo Ro-Ro e Ro-Pax, che presentavano le caratteristiche di essere rotte “schedulate”, affidabili, ad alta frequenza ed integrate nella catena logistica door-todoor, ovvero per le quali era prevista la naturale integrazione intermodale. A completamento di tale percorso, con l’emanazione delle Linee guida TEN-T del 29 aprile 2004 da parte del Consiglio e del Parlamento Europeo, l’Unione Europea aveva stabilito le modalità di nanziamento nonché gli obiettivi del programma Autostrade del Mare, individuando per l’appunto un ristretto numero di progetti prioritari per l’implementazione della rete di trasporto dell’Unione Europea, tra cui le Autostrade del Mare inquadrate come Progetto Prioritario 21 (PP21). Con il Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2013 sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della Rete Transeuropea dei trasporti, che abroga la decisione n. 661/2010/UE, sulla scorta degli obiettivi contenuti nel Libro Bianco Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti . Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile del 2011, viene parzialmente modi cato l’assetto della piani cazione precedente, per cui la rete trans-europea dei trasporti multimodale viene progettata attraverso una piani cazione a “doppio strato”: una rete globale (comprehensive), da completare entro il 2050, ed una rete centrale (core), di maggior rilevanza strategica per il mercato interno UE, da completare entro il 2030, quest’ultima composta anche da un’architettura strutturata in corridoi transnazionali multimodali con performance e standard tecnici comuni di prestazione ed accessibilità. A fortiori, nel 2013 viene ribadita la rilevanza delle Autostrade del Mare. In primis, all’art. 21 del Regolamento (UE) 1315/2013 le Autostrade del Mare vengono de nite formalmente “la dimensione marittima delle reti transeuropee dei trasporti [che…] contribuiscono alla realizzazione di uno spazio europeo dei trasporti marittimi senza barriere. Le Autostrade del Mare consistono in rotte marittime a corto raggio, porti, attrezzature e infrastrutture marittime connesse, nonché impianti, come anche in formalità amministrative sempli cate che permettono il trasporto marittimo a corto raggio o servizi mare- ume tra almeno due porti, incluse le connessioni con il retroterra”.
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D’altro canto, i 9 corridoi della rete centrale, di cui 4 che interessano direttamente il nostro Paese (corridoi della rete centrale BalticoAdriatico, Mediterraneo, Scandinavo-Mediterraneo, Reno-Alpino) sono composti da sezioni e progetti pre-identi cati individuati nell’Allegato I, Parte I del Regolamento UE n. 1316/2013, insieme a quattro priorità cosiddette “orizzontali”, che riguardano il programma Cielo Unico (Single Sky – SESAR), le applicazioni telematiche ITS, ERTMS, RIS, VTMIS, i progetti di innovazione tecnologica e, per l’appunto, dalle Autostrade del Mare. Le Autostrade del Mare assumono pertanto la natura di rete marittima a completamento della rete terrestre, di corridoi trasportistici marittimi, in linea con la nuova piani cazione europea della rete dei trasporti disegnata in corridoi multimodali e non più in singoli progetti prioritari. Sono, in pratica, parte fondante della nuova piani cazione trasportistica di matrice europea. Parallelamente alle deliberazioni di Bruxelles, l’Italia diventa il principale player europeo nel segmento speci co. Anche nella fattispecie nazionale, vi è stata soprattutto negli ultimi anni una rilevante attenzione al settore delle Autostrade del Mare, il cui ruolo è stato inserito in documenti strategici e normativi di portata nazionale, diventando parte integrante della più ampia “Cura dell’Acqua” progettata all’interno della strategia “Connettere l’Italia”. Più speci catamente, a partire dal Piano Nazionale Strategico della Portualità e della Logistica adottato il 26 Agosto 2015 con Decreto del Presidente del Consiglio, in cui viene indicato espressamente la promozione delle “Autostrade del Mare” nell’Obiettivo 3 “Miglioramento accessibilità e collegamenti marittimi e terresti” – Azione 3 “Misure per migliorare i servizi di trasporto ed aumentare l’accessibilità dei porti via mare e via terra”, passando per la previsione dell’art. 1, comma 647 della Legge di Stabilità 2016 che “ha previsto lo stanziamento di risorse statali a favore delle imprese che utilizzano le Autostrade del Mare, con origine in porti italiani e destinazione nei porti del territorio nazionale o degli Stati membri dell’Unione Europea o dello Spazio economico europeo”, il cosiddetto “Marebonus”, per nire con gli Allegati Infrastrutture al Documento di Economia e Finanza degli anni 2016, 2017, 2018 che riconoscono la centralità del traffico e dei servizi di “Autostrade del Mare” elencando anche i programmi di investimento portuali dedicati a tale segmento, è evidente come il settore sia diventato
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sempre più centrale nella piani cazione e programmazione infrastrutturale e regolamentare nazionale. A ragion veduta.
Andamento e caratterizzazione del mercato italiano delle Autostrade del Mare Tornando infatti alla de nizione più tradizionale di Autostrade del Mare, vale a dire quel segmento di trasporto marittimo di rotabili (autoveicoli commerciali, rimorchi o semirimorchi) su navi Ro-Ro o miste (RoPax), su servizi regolari, frequenti ed economicamente sostenibili sia su tratte di cabotaggio nazionale che su rotte internazionali, risulta essere il segmento marittimo con la più alta dinamica di crescita, sia lato trasporto cargo che nella sua componente passeggeri. In un’ottica comparativa europea, il traffico Ro-Ro nazionale è, sulla base degli ultimi dati disponibili Eurostat del 2017, secondo a livello EU 28 per merce movimentata dopo il Regno Unito, con una quota di mercato del 18,1% mentre nel 2009 era al 13,4%, e primo paese per traffico passeggeri non crocieristi con un market share del 18,3% e primo paese anche per passeggeri trasportati su tratte nazionali. A livello nazionale, il traffico di Autostrade del Mare è senza dubbio il segmento che ha registrato le migliori performance negli ultimi cinque anni come rappresentato in tabella 1. Il segmento Ro-Ro è cresciuto del 27,3% dal 2014 al 2018 con un CAGR del 6,2%, diventando oramai circa il 22% del totale delle movimentazioni portuali nazionali, al pari del traffico containerizzato. Ottimo andamento anche per il segmento Ro-Pax e quindi passeggeri su traghetti, che nello stesso arco temporale ha registrato una crescita del 16,7%, ben maggiore del traffico crocieristico. Tale trend, sia lato merci che passeggeri, sembra essere in leggero rallentamento nel corso del 2019, non tale da impattare sull’ottimo andamento a medio-lungo termine del segmento. Ad ulteriore testimonianza del ruolo di anello fondamentale della catena logistica nazionale ed internazionale a servizio della mobilità delle merci per il tessuto produttivo italiano rivestito dalle Autostrade del Mare, è interessante notare come il segmento registri dinamiche parallele ai trend macro e micro economici del paese. Se da un lato, infatti, l’economia nazionale si è caratterizzata con un notevole grado di internazionalizzazione manifestato
dal forte aumento dell’export tricolore, le Autostrade del Mare dal canto loro hanno accompagnato perfettamente tale dinamica, diventando sempre più vettore degli scambi internazionali della merce via mare, con una quota movimentata in ambito internazionale che è salita dal 21,2% del 2010 al 33,5% del 2018 del totale Ro-Ro, con la restante quota che, invece, viaggia su tratte di cabotaggio nazionale. Tale funzione, tra l’altro, è particolarmente evidente su alcune direttrici commerciali internazionali storiche per l’Italia, quali l’asse Italia-Spagna e Italia-area balcanica, in cui le Autostrade del Mare hanno assunto il ruolo di principale modalità di trasporto dei beni in export ed import tra l’Italia ed i rispettivi paesi. A titolo esempli cativo, e concentrandoci sulla relazione Italia-Spagna, delle oltre 18 milioni di tonnellate di merce scambiata tra i due paesi nel 2018, circa il 47% viene scambiato via mare e, di questo, oltre il 66% viene trasportato via Autostrade del Mare. In tal senso, potremmo considerare le Autostrade del Mare una vera e propria infrastruttura mobile transfrontaliera, al pari dei valichi alpini terrestri, che nella fattispecie generano riduzioni di esternalità negative del trasporto stradale, diminuiscono la pressione e la saturazione sulle sezioni autostradali di con ne (in primis Ventimiglia e Frejus) e che hanno costi di realizzazione e gestione decisamente inferiori rispetto alle altre modalità di trasporto.
Passando al lato dell’offerta di servizi di Autostrade del Mare, le compagnie, sia nazionali che internazionali, garantiscono 132 servizi, di cui 16 che comprendono sia tratte di cabotaggio che tratte internazionali all’interno dello stesso servizio, che generano 567 partenze settimanali con oltre 1,3 milioni di metri lineari di capacità di stiva netta a settimana sui segmenti Ro-Ro e Ro-Pax, secondo l’articolazione riportata in tabella 2. Le compagnie che erogano questi servizi sono complessivamente 20, di cui 10 italiane, tra cui uno “slot agreement” tra due compagnie, ed altrettante internazionali. Con riferimento alla struttura dei servizi di Autostrade del Mare, in gura 2 sono rappresentate le rotte nazionali ed internazionali che scalano i porti italiani. La gura evidenzia in particolare l’esistenza di numerosi collegamenti e della consistente capacità allocata nelle tratte fra la penisola e le isole maggiori, nonché tra i porti italiani dell’Adriatico e quelli della penisola balcanica che si trovano sull’altra sponda adriatica.
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1 - Tabella 1: andamento 2014-2018 delle movimentazioni portuali italiane. Fonte: Elaborazioni RAM S.p.A. su dati ESPO.
2 - Fig. 1: rappresentazione gra ca della merce trasportata via Autostrade del Mare nel 2018 sulla relazione Italia-Spagna (import+export). Fonte: elaborazioni RAM S.p.A. su proprio database ADM e su dati Coeweb
Prospettive e strumenti per l’ulteriore efficientamento delle Autostrade del Mare La dinamicità e la rilevanza acquisita dal mercato delle Autostrade del Mare in Italia descritta nei precedenti capoversi, ed analizzata sia in termini di domanda che di offerta
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di servizi, ci conduce al cuore della questione, vale a dire a quanti care il traffico di veicoli pesanti sottratto alla rete stradale e che attualmente usufruisce dei servizi Autostrade del Mare, a confrontare in termini differenziali il traffico veicolare che oggi viaggia su mare rispetto allo scenario tutto-strada e quindi, in de nitiva, a fornire una valutazione sul raggiungimento o meno dell’obiettivo
TRASPORTI & CULTURA N.56 3 - Tabella 2 - Offerta di servizi Ro-Ro e Ro-Pax da/ verso i porti italiani: partenze e capacità offerta settimanale (dato a giugno 2018). Fonti: elaborazioni RAM su rilevazioni di mercato; la capacità settimanale risulta stimata laddove le informazioni non sono risultate disponibili.
4 - Figura 2 - Offerta complessiva di servizi Ro-Ro e Ro-Pax: capacità settimanale. Fonte: elaborazione RAM.
di sostenibilità su cui regge l’istituzione del programma delle Autostrade del Mare. Sostanzialmente, il traffico di rotabili che nel corso del 2018 ha usufruito delle Autostrade del Mare con toccate nei porti italiani sia su tratte internazionali che nazionali, al netto dei traffici su traghetti tra continente e Sardegna su cui non esiste l’alternativa stradale, ammonta a circa 1.379 Mln v-km. Tale stima viene desunta dalla ripartizione delle unità Ro-Ro movimentate nei porti italiani in regime di cabotaggio e di navigazione internazionale, al netto appunto del traffico da/per la Sardegna e depurando il traffico di cabotaggio del doppio conteggio negli scali italiani, applicando una stima della percorrenza media sulle principali tratte ADM nazionali1 ed internazionali2. Se confrontato col traffico di veicoli pesanti autostradale registrato in Italia nel corso del 2018, ed ammontante a circa 19.585 Mln v-km3, si può desumere che
le Autostrade del Mare pesano il 7% del trafco pesante autostradale nazionale. Al ne di calcolare l’impatto ambientale, e più genericamente l’impatto in termini di esternalità negative, generate dal traffico delle Autostrade del Mare rispetto all’equivalente traffico su rete stradale, appare opportuno dal punto di vista metodologico basarsi sullo studio4 commissionato dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti italiano in risposta ai chiarimenti richiesti dalla Commissione Europea DG Competition per l’adozione delle misure di incentivazione nazionale Ferrobonus e Norma Merci. Tale studio è basato sostanzialmente sui dati dell’“Handbook on external costs of transports” del 20145 della Commissione Europea per la modalità stradale e ferroviaria, che ha aggiornato l’Handbook sempre commissionato dalla Commissione Europea datato 2008, ed i parametri del “Marco Polo external cost cal-
1 Nello speci co, sono state considerate le tratte Genova-Palermo, Livorno-Salerno, Catania-Ravenna, Napoli-Palermo e Catania-Salerno. 2 Nello speci co sono state considerate le percorrenze su piattaforma continentale dei principali servizi internazionali tra Italia-Spagna (Livorno-Barcellona, Civitavecchia-Barcellona e Salerno-Valencia), ItaliaGrecia (Venezia-Patrasso, Ancona-Igoumenitsa, BariPatrasso), Italia-Turchia (Trieste-Istanbul). 3 Fonte Aiscat pubblicazioni semestrali 2018;
4 “Misure di supporto al trasporto ferroviario di merci” realizzato da PWC S.p.A. nel 2016 per conto del MIT. 5 Sebbene l’Handbook del 2014 è stato a sua volta di recente (2019) aggiornato, i valori del trasporto marittimo per il territorio italiano fanno riferimento a rilevazioni effettuate in soli 3 porti nazionali e riguardanti unicamente il segmento Ro-Pax e misurati in termini di costi marginali. Dai calcoli effettuati, utilizzando i parametri dell’Handbook 2019, il differenziale delle esternalità negative traffici ADM-equivalenti
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5 - Tabella 3 - Costi esterni medi trasporto stradale veicoli pesanti e trasporto marittimo. Fonte: “Misure di supporto al trasporto ferroviario di merci” su “Handbook on external costs of transports” del 2014 e “Marco Polo external cost calculator for freight transport”. 6 - Tabella 4 – Risparmi monetari dei costi esterni traffici ADM vs. scenario tutto-strada in Italia nel 2018. Fonte: elaborazione RAM S.p.A. su dati Misure di supporto al trasporto ferroviario di merci” su “Handbook on external costs of transports” del 2014 e “Marco Polo external cost calculator for freight transport”.
culator for freight transport” della Commissione Europea per il trasporto marittimo6. Nel documento i costi esterni prodotti dalle diverse modalità di trasporto vengono articolati nelle seguenti categorie: inquinamento atmosferico (composti dello zolfo, azoto, particolati), cambiamento climatico (GHG -CO2, N2O e CH4), rumore, congestione ed incidentalità. Concentrandoci sui valori differenziali tra trasporto stradale di veicoli pesanti e trasporto marittimo, si ottengono i valori riportati nella tabella 3, in cui risulta evidente, già a vista d’occhio, la considerevole differenza in tutte le voci considerate dei costi generati dal trasporto stradale rispetto al trasporto marittimo di Autostrade del Mare. Calando tali dati sulla realtà italiana, confrontando quindi le esternalità negative emesse dai veicoli pesanti che ad oggi usufruiscono delle Autostrade del Mare rispetto all’ipotetica situazione che gli stessi veicoli viaggiassero tutto-strada, convertendo dapprima i veicoli/km sopra citati sulla base di un peso medio per veicolo pesante di 17,1 tonnellate e stimando le percorrenze medie stradali per il traffico di veicoli pesanti oggi imbarcato su tratte di cabotaggio mentre per le 6 Valori considerati Italia, Short Sea Shipping, Ro-Ro, 17-20 nodi velocità media di navigazione.
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tratte internazionali la percorrenza media è stimata dal porto di origine o destinazione al punto di con ne più prossimo, si riscontra che il combinato mare-strada garantisce un risparmio di esternalità negative di oltre 624 milioni di euro l’anno di cui oltre il 31% sono generati da risparmi per così dire “direttamente ambientali” (differenziale dei costi di inquinamento atmosferico ed emissioni di GHG), come riportato in tabella 4. Un risultato impressionante che non lascia dubbi all’efficacia del programma nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità pre ssati.
Stima delle esternalità negative risparmiate con le Autostrade del Mare in Italia L’attuale livello di sostenibilità ambientale garantito dalle Autostrade del Mare, in particolar modo nei confronti del trasporto tutto strada, deve essere tuttavia mantenuto e migliorato nei prossimi anni in considerazione del contributo che il settore dei trasporti nel suo complesso è tenuto a dare per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti in sede di COP 21 e degli obiettivi di decarbonizzazione lanciati dall’Unione Europea. In tale ottica, la traiettoria dinamica della sostenibilità delle Autostrade del Mare ap-
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pare dipendere da un lato da fattori sostanzialmente esogeni quali l’entrata in vigore di normative e regolamentazioni ambientali per il comparto marittimo e, d’altro canto, vi è un discorso di competizione di sostenibilità inter-modale, per cui le Autostrade del Mare sono tenute a tenere il passo dei progressi environmental friendly che le altre modalità di trasporto implementeranno. L’accorpamento delle due tematiche sembra potersi tradurre nella risposta che le Autostrade del Mare sapranno dare, già nel breve periodo, alla tematica della decarbonizzazione del trasporto marittimo che ormai da qualche anno è oggetto di sempre più stringenti regolamentazioni sia a livello internazionale (IMO) che europeo. Più speci catamente, dal primo gennaio 2020 la normativa IMO impone l’utilizzo di combustibili per le navi con limite allo 0,5% di m/m alle emissioni di zolfo, obiettivo ottenibile oggi con i catalizzatori (scrubber) oppure usando carburante a basso contenuto di zolfo (MGO) o con motori alimentati a GNL oppure con sistemi innovativi ad emissioni zero (batterie al litio, metanolo, idrogeno, celle a combustibile); in aggiunta a ciò, ad aprile 2018 è stato raggiunto un accordo in sede IMO sulla strategia iniziale per la riduzione nello shipping delle emissioni di gas serra (GHG) di almeno il 50% entro il 2050 rispetto ai livelli del
2008, e di riduzione della CO2 prodotta dalla navigazione marittima del 40% entro il 2030 e del 70% entro il 2050, con l’obiettivo di continuare a lavorare sulla completa neutralità, con l’ipotetica entrata in vigore delle disposizioni citate nel 2023 ne caso in cui l’accordo venga recepito celermente. Se da un lato quindi la compliance alle normative sopracitate condurrà a performance ambientali ancora migliori da parte del settore, tali vincoli normativi impongono dei consistenti programmi di investimento delle compagnie armatoriali nalizzati all’acquisto di nuovo naviglio ovvero al rinnovo o al retro tting di quello esistente, con conseguenze potenzialmente rinvenibili in situazioni di pesante indebitamento e quindi di perdita di competitività sul mercato degli operatori, ovvero di trasferimento di quote del costo d’investimento sul cliente nale rendendo meno convenienti dal punto di vista economico le Autostrade del Mare rispetto al trasporto stradale. Sebbene dalle esperienze avute nel Mar Baltico a seguito dell’entrata in vigore della SECA non sembrano essere emerse situazioni di modal back shift ed i prezzi dei noli sono rimasti sostanzialmente stabili sul comparto Ro-Ro, è indubbio come sia necessaria una concreta azione di policy tesa a scongiurare tali potenziali effettivi negativi sulle Autostrade del Mare.
7 - Figura 3 - Sintesi del meccanismo di calcolo ed erogazione degli incentivi per le ADM progettato in Med Atlantic Ecobonus. Fonte: elaborazione RAM.
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8 e 9 - In questa pagina e nella pagina seguente: traghetti ormeggiati al porto di Ancona, scalo di riferimento per le linee Ro-Ro e Ro-Pax verso Grecia, Croazia, e Albania.
In tale ottica, si ritiene che debba essere valorizzata la peculiarità italiana nell’essere pioniere ed apripista da oltre un decennio, nel contesto europeo, nella progettazione ed implementazione di misure di incentivazione del trasporto intermodale, in particolare del trasporto via Autostrade del Mare, esplicitato dapprima con uno strumento nalizzato a sviluppare lo start-up dell’intero comparto (Ecobonus 2007-2010) e, successivamente, con uno strumento teso ad invertire i trend post-crisi economica che hanno avuto pesanti effetti sul trasporto intermodale, accompagnando la ripresa ed il rilancio del settore soprattutto nelle more del completamento dei programmi pluriennali di upgrade infrastrutturale delle reti (Marebonus 2017-2018/2019). Dove l’Ecobonus infatti rispondeva al fabbisogno di lanciare un nuovo programma di trasporto intermodale incentrato sul trasferimento modale, il Marebonus, nonostante includa anch’esso nalità di modal shift, presuppone la presentazione di progetti da parte degli armatori, inclusi progetti di miglioramento e di upgrading in un’ottica green delle otte e dei servizi. Lo scope dello schema è quindi in gran parte incentrato sull’efficientamento ambientale dei servizi. Ancora più targetizzato nel premiare l’efficientamento energetico sia in un’ottica intra-modale (tra diverse alternative di servizi di Autostrade del Mare) che inter-modale (confrontando alternative di percorso ADM e stradali), è lo schema di incentivi delineato e proposto nel corso del progetto co -
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nanziato nel programma CEF-T 2014-2020, Med Atlantic Ecobonus, che ha visto la collaborazione dei Ministeri dei Trasporti di Spagna, Italia, Francia e Portogallo, nalizzato a promuovere un sistema di incentivi coordinato a sostegno dello sviluppo delle Autostrade del Mare, valido sia per i mercati dell’Atlantico che per il Mediterraneo ed estendibile a livello europeo. Il progetto, che attualmente è stato portato all’attenzione della Commissione Europea DG Move al ne di identi care la possibilità di ottenere uno spazio di co nanziamento di matrice europea nella nuova programmazione 2021-2027 del programma CEF Transport 2, oltre ad aver elaborato un calcolatore comparativo di esternalità negative Autostrade del Mare e tutto-strada per singola coppia origine/destinazione, ha altresì proposto un’innovativa architettura di incentivo che coinvolge sia l’offerta che la domanda di Autostrade del Mare, attraverso un sistema di doppia call for proposal. Il primo bando è infatti rivolto agli armatori che candideranno le tratte su cui operano servizi di Autostrade del Mare; verrà in seguito stilato un ranking sulla base delle performance ambientali e delle esternalità negative risparmiate da ciascuna rotta candidata attraverso lo strumento Ecobonus Calculator con una conseguente prima allocazione di risorse sulla base delle migliori performance ambientali garantite; successivamente verrà aperta una call per gli autotrasportatori che dovranno dimostrare di aver effettuato un numero minimo di viaggi sulle rotte in-
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centivabili e che saranno i bene ciari diretti dell’incentivo. Tale meccanismo sarà ripetuto per ogni anno per il quale il sistema di incentivi sarà in vigore. Il meccanismo così strutturato, e schematicamente riportato in gura 3, permette permette da un lato di incentivare direttamente la domanda di Autostrade del Mare attraverso il riconoscimento del bene cio economico agli utenti nali, agendo sulla leva del modal shift. Dall’altro lato, incentiva indirettamente le imprese armatoriali che avranno effettuato investimenti di greening delle otte, sostenendo i ricavi delle compagnie, in quanto rotte più attraenti per gli autotrasportatori perché potenzialmente soggetti a ricevere incentivi economici più elevati grazie alle più efficienti performance ambientali garantite dal servizio marittimo prescelto. © Riproduzione riservata
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Intermodalità marittima e abbattimento delle emissioni inquinanti nel settore trasporti, l’impegno di ALIS di Antonio Errigo
Il comparto del trasporto e della logistica rappresenta uno dei pilastri fondamentali su cui si fonda l’economia nazionale ed internazionale. Attualmente gli operatori di settore agiscono in un contesto mutevole caratterizzato da oscillazioni del sistema economicoproduttivo e dalla volatilità dei mercati nanziari. Negli ultimi anni, infatti, trasporto e logistica si sono trovati a dover fronteggiare notevoli criticità dettate da diversi fattori di cambiamento sia ambientali che legislativi che ne hanno limitato fortemente lo sviluppo ed il consolidamento, anche se occorre dare atto degli oggettivi bene ci che le varie iniziative in tema di intermodalità e sostenibilità hanno contribuito ad apportare. Gli effetti positivi connessi al trasporto intermodale in generale, e alle c.d. Autostrade del Mare in particolare, vanno analizzati in termini di contributo alla crescita economica ed occupazionale, benessere della società, sicurezza per la circolazione e conseguentemente per la salute delle persone, tutela dell’ambiente e del territorio, minore usura delle infrastrutture stradali. Si può dunque affermare che oggi vi è molta attenzione alla c.d. mobilità sostenibile e alla conversione modale che rappresenta uno degli strumenti più efficaci per bilanciare le esigenze di movimentazione delle merci e delle persone con quelle di conservazione e salvaguardia dell’ambiente. È in questa cornice che si muove ALIS, l’Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile che può essere considerata a pieno titolo una primaria realtà associativa italiana nel settore del trasporto. La forza della associazione risiede nella capacità – unica in Italia e in Europa – di riunire insieme armatori, società di autotrasporto, compagnie ferroviarie, terminalisti, spedizionieri, interporti, ITS, porti e università (come partner istituzionali onorari), centri di ricerca ed enti di formazione. La crescita dell’associazione viene confermata anche dai numeri. Ad oggi ALIS conta infatti su un fatturato aggregato di circa
Maritime intermodality and the reduction of polluting emissions in the transport sector: ALIS makes a commitment by Antonio Errigo In recent years, transport and logistics have had to deal with considerable critical issues, dictated by various environmental and legislative factors of change that have severely limited their development and consolidation, though there have been objective bene ts to which various initiatives in the areas of intermodality and sustainability have contributed. Much attention has been paid to sustainable mobility and modal conversion, which is one of the most effective tools for balancing the demand to move goods and people and the need for environmental conservation and protection. This is the context for the action of ALIS, the Logistics Association of Sustainable Intermodality, which may absolutely be considered a primary Italian association in the transport sector. The strength of the association lies in its ability - unique in Italy and in Europe - to bring together shipowners, trucking companies, railway companies, terminal operators, freight forwarders, freight villages, ITS, ports and universities (as honorary institutional partners), research centres and educational institutions. Through innovative solutions that encourage companies to adopt sustainable, virtuous and responsible behaviour, the association is engaging assiduously both in the green and in the blue economies, encouraging continuous private investments and concrete measures that push towards a transition to the circular economy, as well as environmental education projects, initiatives that will affect the well-being and quality of life of future
Nella pagina a anco, dall’alto in basso, da sinistra a destra: investire in veicoli di ultima generazione signi ca investire in sostenibilità; intermodalità marittima e zero emissioni in porto, il futuro ed il presente del trasporto; catalizzatore per la depurazione dei gas di scarico usato nel trasporto marittimo; occorre sostenere la conversione modale strada-mare e strada-ferrovia.
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23,5 miliardi di euro, oltre 1.500 imprese associate, un parco veicolare di 110.000 mezzi, 125 linee di Autostrade del mare e cabotaggio insulare, 140.500 collegamenti marittimi annuali, oltre 120 linee ferroviarie, 60.500 collegamenti ferroviari annuali, 7 interporti e 36 porti (onorari). Ma soprattutto ALIS rappresenta oltre 165.000 unità di forza-lavoro, uomini e donne impegnati direttamente e indirettamente nel settore del trasporto e della logistica. Questi dati sottolineano, da una parte, la capacità di ALIS di poter offrire un proprio contributo nel dialogo interistituzionale al ne di poter incidere nei processi decisionali per far crescere il Paese, dall’altra, una coesione tra associati che ha permesso di sottrarre dalle strade 2.700.000 camion all’anno pari a 70 milioni di tonnellate di merci in meno trasportate, abbattendo le emissioni di CO2 di oltre 2.200.000 tonnellate. Attraverso soluzioni innovative per invogliare le aziende ad assumere comportamenti sostenibili, virtuosi e responsabili, l’associazione si sta impegnando assiduamente tanto nella green economy quanto nella blue economy, incoraggiando continui investimenti privati e concrete misure in favore di una transizione verso l’economia circolare, così come progetti di educazione ambientale, momenti di confronto pubblico per sensibilizzare e informare, iniziative per incidere sul benessere e sulla qualità della vita anche delle generazioni future. Analizzando nel dettaglio le posizioni di ALIS su questioni tecniche attuali, ALIS ritiene che l’obiettivo principale del trasporto intermodale sia quello di un sistema logistico sostenibile e competitivo non solo dal punto di vista ambientale e sociale, ma anche occupazionale – con un impatto considerevole in termini di occupati diretti ed indiretti – ed economico, in termini di notevole riduzione dei costi del trasporto. ALIS è fermamente convinta che il ricorso a soluzioni intermodali consenta di utilizzare, per concorrere ad una sempre più virtuosa catena logistica, modalità a ridotto impatto socio-ambientale, come il trasporto marittimo e ferroviario, che comportino una maggiore efficienza dei trasporti, favoriscano una forte e quali cata crescita professionale dei mestieri della logistica, incoraggino un elevato livello di digitalizzazione ed innovazione tecnologica. L’associazione ha analizzato le principali e più attuali questioni d’interesse per il settore intermodale marittimo indicando possibili soluzioni e strategie. L’azione di ALIS è sempre più orientata verso lo sviluppo sostenibile come chiave per migliorare la
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produttività e la competitività delle aziende, attraverso navi efficienti sotto il pro lo della sicurezza e della sostenibilità ambientale. Secondo l’European Environment Agency, il trasporto marittimo può arrivare a produrre no a 15 grammi di Co2 per tonn/km contro gli oltre 120 grammi derivanti dal trasporto stradale. Invece un autorevole rapporto del RINA riferisce che sulla tratta marittima Genova-Palermo, solo per citare un esempio, si ottiene in media un risparmio no al 70% nelle emissioni di Co2 rispetto al tutto strada. Inoltre, come noto, è entrato in vigore in tutto il mondo il limite massimo dello 0,5% di zolfo per le navi: dal 1º gennaio 2020 il tenore massimo di zolfo dei combustibili per uso marittimo scende dal 3,5% allo 0,5% a livello globale: in questo modo si riduce l’inquinamento atmosferico a tutela della salute e dell’ambiente. Molti esponenti della comunità scienti ca sostengono che le emissioni di ossido di zolfo (SOx) prodotte dai motori a combustione delle navi causano le piogge acide e generano polveri sottili che possono portare a malattie respiratorie e cardiovascolari ed a una riduzione dell’aspettativa di vita. Adina Vălean, Commissaria per i Trasporti, ha dichiarato: “Il settore dei trasporti marittimi ha una portata globale e per ridurre le emissioni servono soluzioni globali. L’entrata in vigore del limite massimo di zolfo a livello mondiale rappresenta una tappa importante per tutto il settore marittimo e contribuirà ad un’ulteriore riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici nocivi, con beneci diretti per molte città e comunità in tutto il mondo, comprese alcune importanti realtà delle nostre coste dell’Europa meridionale. Dimostra inoltre come lo sforzo concertato dell’UE e dell’IMO, insieme al forte impegno del settore, possa portare bene ci importanti per l’ambiente e per la salute dei nostri cittadini.”
La strategia dell’UE per un basso tenore di zolfo è d’esempio a livello internazionale. L’UE agisce per la riduzione del tenore di zolfo dei combustibili per uso marittimo sin dal 2012 attraverso la direttiva sul tenore di zolfo. Nel 2016 l’Organizzazione marittima internazionale (IMO) ha mantenuto il 2020 come data per l’entrata in vigore del limite massimo dello 0,5% di zolfo a livello globale. Inoltre, in alcuni ecosistemi molto fragili come ad esempio il Mar Baltico e il Mare del Nord, de niti zone di controllo delle emissioni di ossidi di zolfo (SECA), il tenore massimo di zolfo consentito è stato ridotto allo 0,10% già nel 2015. Grazie a questi limiti più rigorosi, la concentrazione di biossido di zolfo in prossimità delle SECA si è più che dimezzata,
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a bene cio della salute delle persone nelle regioni costiere e nei porti e con un minimo impatto economico complessivo sul settore. Prossime tappe per la sostenibilità del settore dei trasporti marittimi: vista la positiva attuazione dei limiti ECA (zone di controllo delle emissioni), si attendono risultati analoghi dall’introduzione del limite massimo per il tenore di zolfo a livello globale. L’UE è inoltre attiva nel contesto della convenzione di Barcellona per quanto riguarda la possibile futura designazione da parte dell’IMO di ECA in altre acque dell’Unione, ad esempio nel Mar Mediterraneo. L’UE si è adoperata per svolgere un ruolo attivo nella lotta contro le emissioni marittime in linea più generale, sia entro i propri con ni che su scala mondiale. Nel 2018 l’IMO ha concordato di ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal trasporto marittimo di almeno il 50% entro il 2050. L’UE e i suoi Stati membri hanno svolto un ruolo di mediazione determinante per la conclusione di un accordo in questo settore che, attualmente, è responsabile del 2-3% delle emissioni globali di Co2 In sede di IMO sono già in corso discussioni per tradurre l’accordo in misure concrete. L’UE sta inoltre collaborando con l’IMO per affrontare le questioni relative alle acque di scarico dei sistemi di post-trattamento utilizzati dalle navi. L’obiettivo è garantire la piena sostenibilità di tali sistemi, eventualmente ssando norme più rigorose e uniformi. Il Green Deal europeo, presentato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen nel dicembre 2019, de nisce inoltre ulteriori azioni volte ad accrescere la sostenibilità dei trasporti marittimi, ad esempio l’estensione del sistema per lo scambio di quote di emissioni dell’UE al settore marittimo. La questione della riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti è destinata ad assumere una rilevanza prioritaria nel contesto della presentazione da parte della Commissione europea, entro il mese di marzo 2020, delle sue proposte politiche e legislative per il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi dell’European Green Deal. Sul punto, le aziende associate ad ALIS operanti nel settore marittimo hanno effettuato ingenti e lungimiranti investimenti in tecnologie alternative con l’obiettivo di ridurre le emissioni grazie, ad esempio, all’installazione di mega batterie a litio della capacità di oltre 5 Megawattora, che corrispondono alle batterie di 90 auto Tesla, per alimentare le navi durante le soste nei porti nonché all’installazione di scrubbers, grandi catalizzatori per la depurazione dei gas di scarico che
permettono di rispettare i limiti imposti dalla direttiva internazionale (IMO 2020 “Sulphur Cap”) al ne di abbattere le emissioni di zolfo portandole al di sotto dello 0,1% e di ridurre il particolato (polveri sottili del combustibile) dell’80%. Oggi, peraltro, c’è una preoccupazione infondata per l’utilizzo degli scrubbers in quanto lo zolfo prodotto, in combinazione con l’alcalinità e il sale dell’acqua marina, forma solfato (simile al gesso) che è un costituente naturale dell’acqua di mare (oltre ad essere totalmente innocuo). L’aumento del solfato dal lavaggio dei gas di scarico sarà insigni cante se confrontato con la quantità già presente negli oceani. Infatti, se tutto il combustibile delle riserve petrolifere conosciute ad oggi fosse stato depurato, la quantità di solfato prodotta sarebbe inferiore di 1 milione di volte rispetto alla quantità di zolfo già presente negli oceani. Inoltre, a partire da maggio 2020, i nostri associati impegnati nello shipping a livello globale impiegheranno 12 gigantesche navi ibride Ro-Ro alimentate a litio in grado di garantire zero emissioni in porto grazie alla modalità “eco”, le cui stive saranno in grado di imbarcare 520 camion, ovvero circa il doppio della capacità delle attuali navi ibride impiegate oggi nel Mediterraneo. ALIS ritiene pertanto che nel settore marittimo sarebbe opportuno attuare una appropriata e commisurata riduzione delle tasse portuali per supportare tutte quelle imprese che utilizzano navi di ultima generazione che contribuiscono a limitare la presenza di mezzi pesante sulla rete viaria nazionale, europea ed internazionale. Ad ogni modo, al ne di rispondere alla complessa s da di riconciliare le esigenze di mobilità delle merci e delle persone con l’abbattimento delle emissioni inquinanti, la protezione della salute e dell’ambiente, ALIS ha più volte rappresentato l’esigenza di stanziare misure incentivanti e risorse destinate al comparto trasporto e logistica, a supporto di tali obiettivi. Se, infatti, da un lato ALIS ritiene necessario che i soggetti pubblici e privati continuino ad investire in ricerca e digitalizzazione per implementare lo sviluppo dell’economia green e, parallelamente, promuovere la conversione modale in alternativa al tutto-strada, dall’altro è parimenti persuasa della necessità che lo Stato introduca misure incentivanti (come il Ferrobonus e il Marebonus) di carattere strutturale in favore dell’intermodalità e non singoli bonus con nati in un arco temporale limitato. L’adozione degli incentivi Ferrobonus e Marebonus – stanziati con la Legge di Stabilità 2016 ed il cui prolungamento è stato di recente
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annunciato dal Ministro Paola De Micheli – è stata signi cativa per sostenere il settore del trasporto combinato strada-rotaia e per sviluppare la modalità di trasporto strada-mare attraverso la creazione di nuovi servizi marittimi e il miglioramento di quelli esistenti. ALIS ritiene che tali misure rappresentino un buon punto di partenza e che, previa opportuna valutazione ed eventuale adeguamento della disciplina comunitaria degli aiuti di Stato, debba essere valutata concretamente la possibilità di renderle stabili inserendole all’interno di fondi strutturali. In riferimento poi alle modalità di erogazione di tali incentivi, l’associazione propone che gli stessi contributi debbano essere destinati direttamente alle aziende di autotrasporto utenti dei servizi marittimi o ferroviari. Ad oggi, infatti, tali incentivi sono erogati, per quanto riguarda il Marebonus, alle imprese armatrici e, per quanto riguarda il Ferrobonus, alle imprese utenti di servizi di trasporto ferroviario intermodale e/o trasbordato e agli operatori del trasporto combinato (MTO); in entrambi i casi, lo strumento incentivante si completa poi con il ribaltamento di una quota del contributo ricevuto in favore delle imprese di autotrasporto che abbiano usufruito dei servizi marittimi o ferroviari. Sempre in ottica propositiva di supporto alla mobilità sostenibile, ALIS propone che venga implementato un sistema di valutazione del livello di efficienza energetica delle imprese, monitorando gli sviluppi tecnologici e prevedendo un sistema incentivante nell’ambito di un piano complessivo che misuri la performance nazionale rispetto ai target imposti dall’Unione Europea ai singoli Stati Membri. Per far ciò, nel settore del trasporto stradale sarebbe utile prevedere ulteriori sussidi, anche in termini di credito di imposta, indipendentemente dalla tecnologia di alimentazione del veicolo, a vantaggio delle aziende che, previa rottamazione dei mezzi desueti, rinnovino il parco veicolare circolante con motorizzazioni meno inquinanti. Gli associati di ALIS segnalano che le aziende più virtuose, quelle cioè che investono in veicoli di ultima generazione e tecnologicamente avanzati, sono soggette a condizioni scali non paritarie rispetto a quelle aziende che continuano ad operare con un parco veicolare desueto. Occorre inoltre rendere certi i tempi di erogazione delle misure incentivanti per l’acquisto di nuovi veicoli a basso impatto ambientale: sarebbe opportuno offrire anche al settore dell’autotrasporto la possibilità di usufruire di tali incentivi attraverso una compensazione sotto forma di credito d’imposta tramite modello
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F24, come avviene ad esempio per gli interventi previsti dalla misura Ecobonus in termini di riquali cazione energetica. I soci ALIS propongono anche una detrazione scale per la realizzazione di impianti elettrici destinati alla ricarica dei veicoli elettrici e/o destinati all’alimentazione dei motori delle celle frigo dei semirimorchi. Inoltre, al ne di contribuire ad accelerare la diffusione dei veicoli ad alimentazione alternativa, con riferimento alle tariffe dei pedaggi autostradali, ALIS ritiene utile valutare la possibilità di replicare in Italia le misure incentivanti tedesche a vantaggio dei veicoli elettrici e di quelli alimentati a gas naturale compresso (CNG) e liquefatto (GNL), che in Germania godono infatti di consistenti riduzioni dei pedaggi. Altri interventi incentivanti a vantaggio della sostenibilità ambientale nel comparto trasporto e logistica possono essere attuati per ciò che concerne le tasse di possesso degli autoveicoli pesanti con alimentazione a metano liquefatto GNL, intervenendo al ne di garantire omogeneità di tassazione, ad oggi non uniforme in tutte le Regioni. A livello nazionale per i veicoli ad alimentazione esclusiva a metano – tanto quello compresso quanto quello liquido – è previsto un regime di riduzione del 75% del bollo. Fermo restando che la determinazione del tributo in questione è di competenza regionale, l’obiettivo, auspicato anche da ALIS, è l’esenzione totale in tutte le Regioni della tassa di possesso per veicoli GNL. Il rimborso degli aumenti dell’accisa sul gasolio è un sussidio al settore volto alla riduzione del gap di costo rispetto al prezzo del carburante usato per autotrazione negli altri Paesi. ALIS sottolinea che eventuali tagli lineari indiscriminati a tali risorse potrebbero avere ricadute penalizzanti anche per quelle imprese virtuose che, come detto, investono nel ricambio del parco mezzi circolante in favore di veicoli a motorizzazione alternativa o di nuova generazione che, in quanto tali, producono minori emissioni, come gli Euro 5 o gli Euro 6. Pertanto, secondo l’Associazione, la restrizione dell’ambito di applicazione del bene cio ai veicoli con motorizzazioni più recenti, e quindi meno dannosi sotto il pro lo ambientale, costituisce la soluzione ad oggi più equilibrata in grado di scongiurare diseconomie, soprattutto in un momento storico in cui i carburanti più eco-compatibili non rappresentano ancora in assoluto l’alternativa economicamente più competitiva. ALIS guarda con grande interesse alle dinamiche comunitarie, e lavora affinché gli Stati membri possano avere regole coerenti ed
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uniformi in materia di massa e dimensioni, nel senso di: - ribadire l’esenzione per il combinato dalle norme sul cabotaggio; - chiarire l’ambito di applicazione delle norme sul distacco dei conducenti; - sempli care i documenti amministrativi ed utilizzare i documenti elettronici; - dettare criteri certi e implementare sistemi omogenei di veri ca e di valutazione delle prove necessarie a dimostrare la natura combinata del trasporto; - cooperare in materia di investimenti nelle infrastrutture terminalistiche; - monitorare in via sistematica, mediante scambio di informazioni tra Stati Membri, gli sviluppi ed i risultati dello shift modale realizzato rispetto a quello atteso. Per sostenere il traffico ferroviario ed il passaggio modale, ALIS ritiene inoltre opportuno prevedere agevolazioni tariffarie per i pedaggi ferroviari, incentivi per l’acquisto o l’ammodernamento di equipment e di unità di carico intermodali, nonché ulteriori misure di lungo termine a sostegno dello sviluppo dei traffici ferroviari sul territorio nazionale ed europeo. In particolare, sarebbe auspicabile la riduzione del costo di accesso all’utilizzo delle tracce da parte delle imprese ferroviarie, con l’obiettivo di favorire il trasferimento delle merci dalla gomma al ferro e, quindi, di rendere più competitiva tale modalità di trasporto attraverso una sostanziale riduzione delle barriere all’ingresso ed una maggiore apertura del mercato. La scelta di ridurre i costi di accesso alla rete ferroviaria nazionale comporterebbe una maggiore efficienza nella gestione dei traffici, minori oneri tecnici ed amministrativi per le imprese ferroviarie, minori costi di accesso al mercato per i nuovi operatori e una maggiore attrattività della co-modalità ferroviaria. Anche nel settore del trasporto marittimo sono stati compiuti numerosi passi in avanti non solo mediante l’adozione di disposizioni normative italiane ed europee volte alla riduzione dell’impatto ambientale, ma anche e soprattutto attraverso concreti investimenti pubblici e privati in innovazione, nuovi carburanti e nuove tecnologie. In tema poi di digitalizzazione, sempli cazione e sburocratizzazione dell’intero settore, ALIS considera fondamentale lo strumento del CMR Elettronico. I maggiori ostacoli alla digitalizzazione dei documenti di trasporto e dei mezzi circolanti, così come delle informazioni legate al trasporto delle merci, risiedono nel fatto che i diversi Stati membri dell’UE non hanno una piattaforma comune
di scambio e di decodi ca dei documenti e delle informazioni elettroniche. L’adesione al Protocollo Addizionale da parte dell’Italia – anch’essa Paese aderente alla Convenzione CMR – potrebbe essere un primo concreto passo in avanti per l’introduzione immediata dell’e-CMR nei traffici tra i Paesi rmatari e/o aderenti al Protocollo. In ne, ALIS ritiene che l’armonizzazione legislativa del settore del trasporto sia un’urgenza non più differibile. Essa, secondo ALIS, dovrebbe procedere attraverso l’individuazione di tutte le disposizioni legislative statali e regionali vigenti con riferimento al settore e la contestuale veri ca della perdurante attualità di quelle più datate; la sempli cazione ed il riassetto normativo in Testi Unici o Codici delle disposizioni legislative; la tipizzazione del contratto di logistica integrata. In de nitiva, lo sviluppo dell’economia dei trasporti può stimolare un effetto positivo anche in termini di crescita economica complessiva e, nello speci co, di crescita occupazionale. Ciò è possibile attraverso una serie di misure ed interventi che ALIS sintetizza in: minor costo del lavoro e riduzione della pressione scale. È necessario prevedere altre forme incentivanti stabili, in termini di decontribuzioni per i lavoratori dipendenti o agevolazioni scali a vantaggio delle aziende che assumono i giovani entro i 30 anni, ovvero investono in progetti di alternanza scuola-lavoro e in percorsi professionalizzanti. Lo sviluppo occupazionale, in particolare giovanile, può inoltre essere determinante per recuperare le vocazioni territoriali proprie di alcune aree geogra che e per ridurre il gap esistente tra Sud e Nord del nostro Paese, altra priorità programmatica che l’Associazione persegue. ALIS è convinta che tale ambito lavorativo, nel quale un grande ruolo è svolto dalle tecnologie volte a garantire sostenibilità ambientale e sicurezza, possa offrire nuove opportunità di lavoro per giovani tecnici formati e quali cati, che siano adeguatamente preparati e pronti ad interagire con i più moderni sistemi richiesti per i mezzi di trasporto merci. Non solo quindi un abbassamento del costo del lavoro per imprese e dipendenti, ma anche un abbassamento del costo di accesso alle professioni legate alla logistica e all’intermodalità, così da avvicinare sempre più giovani a questo settore grazie a misure incentivanti – come contributi per la formazione di nuove gure quali cate attraverso corsi teorici e pratici – e nuove opportunità occupazionali. © Riproduzione riservata
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Le nuove rotte della sostenibilità nel trasporto aereo di Davide Tassi
Fino a poco tempo fa, volare era considerato uno status symbol e le foto scattate sulla scaletta dell’aereo venivano ostentate sui social network come simbolo di libertà e spensieratezza. Poi d’improvviso è accaduto qualcosa: è arrivata la “vergogna di volare”. Il fenomeno è nato in Svezia, dove l’attenzione per le questioni ambientali è tradizione decennale, ma sta divenendo sempre più attivo anche in Germania, Olanda, Lussemburgo e Belgio, dove coloro che viaggiano in aereo vengono additati sui social media alla pubblica riprovazione. Sebbene non tutti seguano l’esempio virtuoso di Greta Thunberg nel suo viaggio a New York, o quello dell’attivista che a Londra City si è arrampicato sulla fusoliera di un aereo, è innegabile che l’opinione pubblica stia diventando sempre più attenta all’impatto derivante dal volare in aereo. Questa nuova forma di vergogna sta divenendo un fenomeno culturale ambientalista simile al veganismo o al plastic free ed esercita una grande attrazione sui giovanissimi, come la ventunenne danese Kira Peter-Hansen, l’europarlamentare più giovane nella storia dell’istituzione, che ha giurato di non salire mai su un aereo. Con lei ben 15 mila persone hanno rmato nel 2019 l’ultimissima crociata contro l’uso degli aerei, Flightfree, ovvero “liberi dal volo”. Il fenomeno ha già avuto alcune conseguenze: il traffico aereo in Svezia, patria di Greta e del movimento, è sceso del 4% nel 2019, e un sondaggio della banca svizzera UBS ha certi cato che un viaggiatore su cinque ha rinunciato lo scorso anno ad almeno un volo per sensibilità ambientale e che il numero di quelli che hanno intenzione di farlo in futuro è salito dal 20% dello scorso anno al 27% di gennaio 2020. Citigroup1 ha scritto, in un rapporto uscito a ne gennaio 2020, che è 1 Citigroup: multinazionale americana di banche di investimento e società di servizi nanziari con sede a New York City.
The new routes for sustainability in air transport by Davide Tassi The phenomenon of ight shame, which emerged in 2019 thanks to Greta Thunberg and other activists, grew signi cantly and began to produce concrete effects not only in Sweden (where the number of passengers fell by 4%), but on the entire air traffic system. Airlines all around the world understood that, while there was not much they could currently do to reduce their fuel consumption and the consequent CO2 emissions (which amount to circa 3% of the total CO2 emissions), they would have to respond to the request for greater attention to their impact on the environment, for example by participating in environmental compensations programmes and buying carbon credits. The new mission of the airlines could rely in Italy on a great ally: ENAV, the entity responsible for air traffic control. Not only has it undertaken a virtuous process towards sustainability, but it has been committed for many years to the Flight Efficiency Plan (FEP). This is an application of the concept of ight efficiency, understood as the creation of an air space structure that can satisfy the airlines’ requirements to plan shorter routes with a pro le of vertical lift-off and continuous descent that can bring down fuel consumption. With the Free Route project, ENAV generated a reduction of CO2 emissions in the atmosphere.
Nella pagina a anco, in alto: interno dell’Hangar Enav Radiomisure presso l’aeroporto di Ciampino; in basso: Roma ACC, Controllori al lavoro.
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1 - Vergogna di volare? Il numero di passeggeri degli aeroporti di Swedavia ultimamente è in calo.
2 - Atterraggio presso l’Aeroporto di Roma Fiumicino.
3 - Nella pagina a anco, in alto: vista airside della Torre di Controllo di Roma Fiumicino 4 - Nella pagina a anco, al centro: Controllori al lavoro nella Torre di Controllo di Roma Fiumicino. 5 - Nella pagina a anco, in basso: Torre Radar, aeroporto di Fiumicino.
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quasi inevitabile una revisione al ribasso delle previsioni di crescita del trasporto aereo per tenere conto di questo fenomeno. Contestualmente, in Francia si avanzano proposte che mirano addirittura ad abolire i voli a corto raggio mentre in Germania si annunciano tagli alle tasse sui viaggi in treno e aumenti su quelli in aereo. Le compagnie aeree, allarmate dalle conseguenze che il ight shame potrebbe provocare, hanno intrapreso la strada della compensazione ambientale. Easy Jet è stata la prima compagnia ad annunciare di viaggiare ad
impatto zero, sostanzialmente acquistando crediti verdi da progetti che contribuiscono in egual misura a ridurre il carbonio emesso dai loro velivoli: piani di riforestazione in Sud America, energia solare in India e progetti comunitari in Uganda. Air France ha lanciato a inizio gennaio 2020 un piano di compensazione del 100% delle emissioni dei voli nazionali e si è associata alla ONG EcoAct2 per 2 EcoAct: Associazione che supporta aziende e regioni nello sviluppo dei programmi di azioni sostenibili a basse emissioni di carbonio.
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trasformare l’equivalente del CO2 prodotto da questi viaggi in progetti di rimboschimento, protezione delle foreste e biodiversità in paesi come Brasile, Kenya, India e Cambogia. JetBlue e British Airways fanno sostanzialmente lo stesso sui loro voli domestici mentre Lufthansa, Ryanair e molte altre, affidano per ora ai passeggeri il compito di compensare, se lo desiderano, il costo ecologico del loro viaggio pagando una cifra aggiuntiva al momento dell’acquisto del biglietto. Il costo non è elevato: per dare un ordine di grandezza, compensare le emissioni di un volo di andata e ritorno da 2.500 chilometri (per esempio Milano-Londra) costa intorno ai cinque euro, ma i prezzi variano a seconda della compagnia. Ad oggi, la somma spesa dai passeggeri per compensare le loro emissioni, ammonta a circa 1 miliardo di euro. La nuova mission delle compagnie aeree ha però, almeno in Italia, un grande alleato: ENAV. La società che si occupa del controllo del traffico aereo, oltre ad aver intrapreso, ormai da alcuni anni, un percorso virtuoso nell’ambito della sostenibilità, che l’ha portata tra l’altro a vincere, a dicembre 2019, il premio dell’Università di Pavia per il miglior Bilancio di Sostenibilità nella categoria medio-grandi imprese, è da diversi anni impegnata nel Flight Efficiency Plan (FEP), il cui nome deriva dall’applicazione del concetto di efficienza del volo, intesa come creazione di una struttura di spazio aereo orientata al soddisfacimento delle esigenze delle compagnie aeree di piani care rotte sempre più brevi e con un pro lo verticale di salita e discesa continuo che garantisca l’abbattimento dei consumi. Il FEP è un piano che riassume gli interventi pluriennali mirati all’ottimizzazione della struttura del network aeroviario, proprio per consentire la riduzione dei tempi di volo, del consumo di carburante e delle emissioni di anidride carbonica da parte degli aeromobili. Nell’ambito degli obiettivi del FEP, ENAV è stata la prima in Europa, a dicembre 2016, ad aver lanciato un progetto rivoluzionario: il Free Route. Il progetto ha reso possibile, per tutti i velivoli in sorvolo ad una quota superiore ai 9.000 metri, di attraversare i cieli italiani con un percorso diretto senza far più riferimento al network di rotte. Il Gruppo ENAV è ad oggi l’unico, fra i 5 maggiori service provider europei, ad aver implementato il Free Route e con esso ha completato il piano di riorganizzazione dello spazio aereo italiano, che garantisce di raggiungere la massima efcienza del volo, generando bene ci sia per le compagnie aeree sia per l’ambiente.
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6 - Effetti del Free Route Airspace Italy (FRAIT) in termini di risparmio di CO2 dal 2016 al 2019.
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Il Free Route rappresenta un progetto rivoluzionario per il trasporto aereo nazionale ed europeo dal momento che consente alle compagnie aeree di piani care la traiettoria più breve possibile, volando direttamente da un punto d’ingresso ad un punto di uscita dallo spazio aereo italiano, risparmiando carburante, emissioni nocive e conseguentemente costi pur mantenendo inalterati, i livelli di safety, in linea con le prerogative de nite dal Gruppo ENAV nella propria mission. In termini di risultati, le analisi comparative effettuate hanno evidenziato che da dicembre 2016 a dicembre 2019 il programma ha garantito una riduzione delle emissioni di CO2. in atmosfera pari a circa 410 milioni di kg. Un altro interessante progetto sviluppato da ENAV, questa volta in collaborazione con le società di gestione aeroportuale, è l’Airport Collaborative Decision Making (A-CDM) in cui tutte le fasi di un volo, dal piano di volo alle operazioni di scalo, dal decollo alla rotta di volo no al successivo atterraggio, con relativo turn-round, vengono considerate un “processo unico” che collega il volo in partenza con quello in arrivo, permettendo di ottimizzare la gestione del traffico aereo e tutte le operazioni di assistenza, attraverso lo scambio costante di informazioni, aggiornate in tempo reale, tra gli operatori coinvolti. Il progetto è stato già sviluppato sugli aeroporti di Milano Linate, Milano Malpensa, Venezia Tessera, Napoli Capodichino e Roma Fiumicino. Solo su quest’ultimo, la procedura consente ogni giorno una riduzione no a 800 minuti di rullaggio, che equivale a circa
10.000 kg di carburante consumati in meno, con una conseguente diminuzione delle emissioni di CO2 di 30.000 kg al giorno. L’impegno dunque di ENAV così come quello delle compagnie aeree e anche delle società di gestione aeroportuale, è fortemente indirizzato verso la riduzione delle emissioni di CO2 e con l’avvio del nuovo anno sembra che tutti gli attori del traffico aereo stiano ponendo sempre maggiore attenzione ai temi legati all’ambiente, come è giusto che sia. Al netto di ciò, una domanda però pare doverosa: ma è davvero così allarmante il volume delle emissioni di CO2 generate dal trafco aereo? A guardare i numeri sembrerebbe di no. In base alle statistiche Eurostat, nel 2017, rispetto alle 4.480 milioni di tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera dei 28 paesi dell’UE, il traffico aereo, ovvero i voli nazionali e internazionali che hanno solcato i nostri cieli, ne è stato responsabile per circa il 3%. Non è forse un po’ eccessivo parlare di “vergogna” rispetto ad un 3% del totale delle emissioni? Non sarebbe meglio protestare contro la produzione di energia e riscaldamento – 22% delle emissioni – o l’agricoltura che, non includendo il metano proveniente dagli allevamenti, è responsabile per il 10%, o l’industria del fashion, che produce l’8% delle emissioni? Forse sì, o forse a preoccupare maggiormente non sono i dati reali, ma i trend di crescita del trasporto aereo che, negli ultimi 30 anni, è passato da 83 milioni tonnellate a 174, un aumento quindi del 110% che è avvenuto soprattutto dal 2000 ad oggi. Anche questi dati però vanno interpretati: per prima cosa, bisogna notare che l’aumento delle emissioni non è proporzionale all’aumento dei passeggeri. Dal 2009 al 2017, periodo per cui esistono dati certi, i gas serra emessi dagli aerei in Europa sono aumentati del 17%, mente i passeggeri sono cresciuti ben di più: quasi il 40%. Il segreto di questa performance è da trovarsi nella spinta spasmodica verso livelli sempre maggiori di efficienza. Volare, infatti, signi ca bruciare carburante e carburante signi ca non solo emissioni di CO2 ma anche costi: stando all’organismo di settore IATA, per 100 dollari spesi dalle compagnie aeree nel 2018, quasi 24 vanno in kerosene. La benzina avio è una delle voci di spesa più importanti nella contabilità di un vettore e una delle poche non controllabili, dato che il prezzo è stabilito dal mercato mondiale. Nel recente passato, quindi, tutte le compagnie aeree interessate a rimanere sul mercato sono state particolarmente attente a ridurre il consumo di
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7 - Interno simulatore di torre.
carburante, in una spinta per l’efficienza che è anche il miglior alleato verso una riduzione delle emissioni di gas serra. Alla luce dei dati e delle iniziative sviluppate dai diversi attori del traffico aereo - e posto che si può sicuramente fare di più e meglio sia attraverso lo sviluppo di biocombustibili che attraverso un più efficiente uso dell’aereo nelle brevi o brevissime tratte - non sembra che ci siano i presupposti per un accanimento di tale portata verso un settore che, pur con le proprie criticità e aree di miglioramento, rappresenta uno degli attori fondamentali dello sviluppo (solo in Italia vale il 4% del PIL, senza contare l’effetto di moltiplicatore del reddito) e del processo di globalizzazione. © Riproduzione riservata
NOTA - Quando ho scritto questo articolo ignoravo il Covid -19 e gli effetti che avrebbe provocato sulle nostre vite e sulla possibilità di volare. In meno di due mesi dall’inizio della pandemia, il traffico aereo ha subito un tracollo di oltre il 95% e tutti gli attori del settore, a cominciare dalle Compagnie aeree, faticano a capire come e quando si tornerà a volare. Tuttavia, anche se il contesto di riferimento è cambiato, presto o tardi torneremo alla “normalità” e sarà nostra responsabilità non dimenticare che tutto ciò che stiamo vivendo in questo folle periodo, ha un legame molto stretto con la rottura dell’equilibrio ambientale. Com’è stato evidenziato da diverse fonti scienti che, infatti, lo spillover, ovvero il salto di specie del virus tra animale e uomo, è quasi sempre causato dalla distruzione
degli ecosistemi, in particolare quelli forestali, i più complessi e ricchi di biodiversità. L’errore più grande che potremo commettere a prescindere dal mercato in cui ciascuno di noi opera, sarà dunque quello di pensare di recuperare tempo e denaro persi a danno dell’ambiente preferendo soluzioni già pronte e sperimentate che garantiscano il pro tto economico nel breve termine piuttosto che la creazione di valore economico e al contempo ambientale nel medio termine. Stiamo già pagando le conseguenze di questa miopia e il tempo a nostra disposizione per porre rimedio agli errori commessi, è sempre meno. Ciascuno di noi sarà dunque chiamato a dare il massimo per la ripresa, ma dovremo farlo in modo responsabile e sostenibile. Il traffico aereo, al di là dei legittimi movimenti come il ight shame che lo stimolano a fare meglio, ha già fatto molto in questi anni, ma è indubbio che per garantire la crescita e insieme la tutela ambientale, per giunta in un tempo piuttosto ristretto, sarà necessario un impegno congiunto da parte delle Istituzioni, delle grandi Corporation di qualsiasi settore e di ogni cittadino
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Strategie e azioni per una navigazione sempre più green di Mario Mattioli
Prima di affrontare il tema delle azioni strategiche dello shipping per un trasporto marittimo sempre più green, credo sia importante illustrare il contesto globale in cui ci muoviamo e soprattutto chiarire la posizione dell’armamento italiano.
L’armamento italiano nello scenario internazionale Innanzitutto è bene ricordare che la Confederazione Italiana Armatori, che ho l’onore di guidare, da ben 118 anni rappresenta l’industria armatoriale italiana ed è riconosciuta come primario interlocutore in tutte le sedi istituzionali in cui si parla di shipping e si delinea la politica dei trasporti. Con tarma partecipa attivamente anche ai lavori delle associazioni europee e mondiali degli armatori, quali ECSA (European Community Shipowners’ Associations), ICS (International Chamber of Shipping) e BIMCO (Baltic and International Maritime Council), nonché delle associazioni di categoria del settore cisterniero (INTERTANKO) e del trasporto di rinfuse solide (INTERCARGO). Inoltre Con tarma supporta l’azione dell’Amministrazione italiana nell’ambito delle agenzie delle Nazioni Unite, quali l’IMO (International Maritime Organization) e l’ILO (International Labour Organization). Un ruolo, quello di Con tarma e dei suoi associati, costante negli anni, attivo e prezioso, che si è tradotto nella presidenza dell’ECSA e, più di recente, nella vicepresidenza dell’ICS e nella presidenza di INTERTANKO a livello mondiale, nonché nella guida di gruppi di lavoro e comitati strategici. Il mare è alla base del processo di integrazione dell’economia globale. Basti considerare che, dagli anni ’60 ad oggi, la domanda mondiale di servizi di trasporto marittimo, cioè la quantità di merci trasportate moltiplicata per le miglia percorse, è praticamente decuplicata, aumentando del 38% solo nell’ultimo decennio, nonostante la crisi.
Strategies and action for greener navigation by Mario Mattioli Shipping activities directly affect the entire national agricultural and industrial production system. The Italian maritime cluster plays an important role in the Italian economy to support our international trade: 34 billion Euros of goods and services produced, employing nearly 530 thousand people. Particularly signi cant is the contribution of maritime transport as a whole to the value of cluster production (12,271 million euros in 2017) and to employment (47,330 direct and 48,720 indirect employees). International maritime transport carries around 90 percent of global trade and is currently responsible for approximately 2 percent of the world’s anthropogenic CO2 emissions. To achieve the Paris Agreement’s climate change goals, rapid decarbonisation is vital – for international shipping as well. Shipping’s global regulator, the UN International Maritime Organization (IMO), is responsible for regulating the reduction of CO2 emissions by international shipping. The ambitious IMO targets include cutting the sector’s total greenhouse gas emissions by at least 50 percent by 2050, regardless of trade growth, with full decarbonisation shortly thereafter. The 2050 target will require carbon-efficiency improvement of up to 90 percent, which is incompatible with a continued longterm use of fossil fuels by commercial shipping. In the decade 2008-2018, the sector reduced CO2 emissions by almost 20%. As of January 1, 2020, the sulphur content in fuel is reduced from 3.5 to 0.5%, accelerating the reduction in emissions.
Nella pagina a anco, in alto: unità car carrier “Grande Torino”, battezzata nel 2019, altamente tecnologica, dotata di motore a controllo elettronico e di sistemi all’avanguardia in grado di abbattere le emissioni inquinanti. Al centro a sinistra: nave da crociera “AidaNova” del Gruppo Costa Crociere, che dal 2018 ha avviato una nuova era delle crociere a bassissimo impatto ambientale per il Mediterraneo: si tratta infatti della prima nave passeggeri al mondo alimentata anche in navigazione a GNL. Al centro a destra: unità roro pax “Cruise Roma” del gruppo Grimaldi, tornata operativa nel luglio 2019 dopo essere stata sottoposta a lavori di restyling, è prima nave del Gruppo Grimaldi ad operare nel Mediterraneo con emissioni zero in porto. In basso: nave “Elio” della società Caronte & Tourist, il primo traghetto alimentato a gas naturale liquefatto (LNG) ad operare nel Mediterraneo.
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Ciò signi ca non solo che via mare viene trasportata più merce, ma anche che il trasporto marittimo è più capillare e connette ormai tutti i mercati del mondo. Tale domanda di trasporto marittimo si confronta con un’offerta di stiva della otta mondiale ancora in forte crescita, che s ora i 2 miliardi di tonnellate di portata, con un incremento negli ultimi dieci anni di oltre il 54%: due grandezze tra le quali si gioca la partita concorrenziale dei mercati marittimi. L’Europa è il principale attore del commercio mondiale e, al suo interno, l’Italia gode di una posizione geogra ca privilegiata per intercettare i traffici che attraversano il Mediterraneo. Ma, per cogliere questa opportunità, il nostro sistema marittimo deve essere messo in condizione di essere più competitivo, soprattutto rispetto agli altri Paesi nord europei, ma anche a quelli affacciati sul Mediterraneo. In questo contesto, il sistema produttivo italiano - fortemente caratterizzato come industria di trasformazione che importa materie prime e semilavorati ed esporta prodotti niti – trova nel trasporto marittimo una delle leve della crescita e del sostegno alla competitività. A questo riguardo giova ricordare che, secondo i dati Eurostat, nel 2018 ha viaggiato via mare il 79,3% delle merci italiane esportate nel mondo e che questa percentuale sale no al 95,9% se si considerano esclusivamente i Paesi extra-UE. Situazione non dissimile si veri ca per l’import, con percentuali rispettivamente del 84% e del 99,4%. Inoltre, il VI Rapporto sull’Economia del Mare, realizzato per conto della Federazione del Mare dal Censis – Centro studi investimenti sociali, Cogea – Consulenti per la gestione aziendale e SRM Studi e ricerche per il Mezzogiorno (Gruppo Intesa Sanpaolo) e presentato il 12 dicembre a Roma presso il CNEL, rileva che il valore della produzione del cluster marittimo italiano è in crescita del 5,3% nel 2017 rispetto al 2015, così come sono in aumento gli investimenti (+9,4%) e soprattutto le esportazioni (+38,2%) che passano da poco meno di 7 miliardi nel 2015 a oltre 9 nel 2017, grazie soprattutto alle performance dei settori navalmeccanici e della nautica da diporto. Rimane invece sostanzialmente stabile negli ultimi anni – a conferma di due macro-aggregati che tendono a muoversi in parallelo - il contributo del cluster marittimo al Pil del Paese, pari al 2% del totale dei settori economici italiani (pubblici e privati). Il settore marittimo è fortemente regolato, sia a livello internazionale, sia europeo e na-
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zionale e, non a caso, un deciso processo di ammodernamento normativo ne ha assicurato la competitività e favorito lo sviluppo, con le riforme del sistema portuale nel 1994 e nel 1998 della navigazione mercantile internazionale. Tali riforme hanno liberato risorse e portato ingenti investimenti, con ricadute positive per tutto il cluster marittimo. Basti dire che l’Italia ha la 5^ otta di bandiera tra le maggiori economie riunite nel G20, la 1^ nel mondo di navi RoRo, per lo più impiegate nel cabotaggio marittimo e sulle “autostrade del mare”, la 5^ di navi-cisterna speciali per prodotti petroliferi. Il sistema portuale italiano è stato a lungo il 1° in Europa per volumi di merce trasportata (oggi è il 3°), e resta il 1° in Europa per movimento di navi da crociera e di croceristi; abbiamo la leadership mondiale nella costruzione di navi da crociera e mega-yacht. La nostra otta da pesca è la 2^ del Mediterraneo ed è in grande sviluppo l’acquacoltura. È in crescita la formazione marittima, specie per i quadri ufficiali, e l’occupazione. Aumentano anche nel settore marittimo gli investimenti nella tutela dell’ambiente. L’impatto delle attività legate al mare va ben oltre gli aspetti più strettamente legati alla loro dimensione logistica e tocca direttamente l’intero apparato produttivo nazionale, agricolo e industriale tanto che al cluster marittimo vengono attribuiti beni e servizi per un valore pari al 2% del PIL complessivo e al 3,5% della sua componente non statale, con acquisti di beni e servizi nel resto dell’economia italiana che s ora annualmente i due terzi del valore prodotto dalle stesse attività marittime. Il cluster marittimo italiano quindi gioca un ruolo di rilievo nell’alimentare l’economia italiana e sostenere il nostro commercio internazionale: 34 miliardi di euro di beni e servizi prodotti dando lavoro a quasi 530 mila persone. Particolarmente rilevante è il contributo dei trasporti marittimi nel loro complesso al valore della produzione del cluster (12.271 milioni di euro nel 2017) ed all’occupazione (47.330 addetti diretti e 48.720 indiretti). Il settore del turismo italiano può contare anche sulla più grande otta di traghetti al mondo e su una vasta e articolata rete di collegamenti, le Autostrade del Mare, i cui effetti bene ci per l’economia, l’ambiente e la sicurezza dei trasporti sono ben noti. Non solo: la nostra otta dedicata ai traffici internazionali compete sui mercati mondiali ed esporta servizi di navigazione, contribuendo in modo signi cativo al riequilibrio
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della bilancia dei pagamenti dei trasporti. Dalla ne degli anni ‘80, in attuazione degli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato ai trasporti marittimi, gli Stati dell’Unione Europea offrono alle proprie otte agevolazioni di natura operativa, contributiva e scale. Ciò al ne di renderle competitive rispetto a quelle dei Paesi a bassa o zero scalità, con cui ogni giorno competono per assicurarsi impiego. Lo scopo dichiarato è quello di incoraggiare le compagnie di navigazione a registrare le proprie navi in Europa, aderendo così anche alle più rigorose normative in materia di sicurezza sociale e ambientale. In Italia questa strategia è stata attuata con il Registro Internazionale, istituito con la legge n. 30 del 1998. Da allora, non solo si è fermata l’emorragia delle nostre navi verso altri registri ma le stesse sono rientrate sotto bandiera italiana, dando luogo ad un progressivo incremento in termini di otta e occupazione. In vent’anni, la nostra otta si è rinnovata qualitativamente ed è di fatto raddoppiata: da circa 8,5 milioni di tonnellate di stazza siamo passati a ne 2019 a 15,3 milioni di tonnellate, nonostante il periodo difficile vissuto negli ultimi dieci anni. Dopo il picco nel 2012 di circa 19,2 milioni di tonnellate, abbiamo infatti assistito ad una contrazione del tasso di crescita della nostra otta ed a situazioni di particolare sofferenza di alcune compagnie di navigazione, specialmente quelle che operano nel settore dei trasporti di carichi alla rinfusa secchi e liquidi. Attualmente va sottolineato che gli armatori hanno investito ingenti capitali (oltre 30 miliardi di euro) nel rinnovo del naviglio, con evidenti effetti positivi sia sull’occupazione marittima che sulle prestazioni ambientali.
Azioni per un trasporto marittimo sempre più green Se è vero che il 90% degli oggetti che ci circondano ha viaggiato via mare, è evidente che il trasporto marittimo genera un inevitabile impatto ambientale. Impatto che, da tempo, lo shipping mondiale è impegnato ad abbattere. Nel decennio 2008-2018, il settore ha ridotto di quasi il 20% le emissioni di CO2, progettando e realizzando navi più efficienti dal punto di vista energetico e attuando la politica dello slow steaming, cioè giri del motore più bassi e meno emissioni in atmosfera. A partire dal 1° gennaio 2020, il contenuto di
zolfo nel carburante sarà ridotto di ben sette volte in ambito globale (dal 3,5 allo 0,5%), accelerando la riduzione di emissioni. Lo shipping è la modalità di trasporto più sostenibile e rappresenta uno strumento potente di contrasto al cambiamento climatico. Basti pensare alle Autostrade del mare che riducono sensibilmente i costi esterni prodotti dal “tutto strada”. Stiamo parlando di oltre un milione e mezzo di veicoli pesanti e circa 40 milioni di tonnellate di merci. Vuol dire oltre 1,2 milioni di tonnellate di CO2 non emesse in atmosfera grazie all’intermodalità. L’IMO prevede, entro il 2050, la riduzione del 50% delle emissioni di gas serra (GHG - Green House Gas) rispetto al 2008. Considerate le previsioni di crescita dei volumi di merci movimentati via mare, e quindi della otta, si tratta di una riduzione di circa il 75% per ogni nave. È un obiettivo ambizioso al quale vogliamo certamente concorrere ma serve un’azione condivisa a livello internazionale poiché singoli interventi nazionali danneggerebbero il trasporto marittimo e, quindi, l’economia del mondo. Il nostro è un settore considerato hard to abate poiché molte soluzioni non sono possibili né tecnicamente né sicamente e quindi, pur lavorando intensamente nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni carbon free, abbiamo bisogno di una forte governance e di obiettivi, risorse e tempi di realizzazione adeguati, in un quadro giuridico che accompagni la transizione. Le risorse nanziarie private non sono sufficienti a sostenere, da sole, ricerca e innovazione per lo shipping. Il ricorso a nanziamenti europei, come quelli del programma Horizon Europe 2021-2027, potrà aiutare lo sviluppo di progetti per un futuro carbon neutral. Anche gli attori nanziari si orientano ormai verso scelte di nanziamento di investimenti valutati in base al rischio ambientale. Banche e player nanziari disporranno sempre più di capitali destinati a progetti ecosostenibili. Dal dialogo che da tempo Contarma porta avanti con la nanza sulle speci cità di un settore come il nostro - naturalmente ciclico - emerge l’esigenza di una nuova fase di sviluppo delle aziende, che riporti a sette, dieci o più anni l’orizzonte temporale dell’investimento per tornare ad una partnership virtuosa tra industria e credito. Ma non basta. Ecco perché è necessario un tavolo di confronto col Governo per la creazione di un intervento di natura pubblica, che eviti la delocalizzazione o, peggio, la scomparsa di aziende storiche. I comparti del carico secco e petrolifero sono i più colpiti con molte aziende localizzate anche nel
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1 - Nave da crociera “Costa Smeralda” del Gruppo Costa Crociere, che con la propulsione a LNG garantisce un basso impatto ambientale.
nostro Mezzogiorno, territorio che già sconta importanti difficoltà. La otta italiana, in prima la nel percorso che tende alla decarbonizzazione di tutte le attività industriali, ha già realizzato ingenti investimenti per tecnologie innovative e impiego di combustibili meno dannosi per l’ambiente. Cito solo l’alimentazione a batteria (quindi zero emissioni) durante le soste della nave in porto, l’utilizzo del GNL come combustibile alternativo e l’installazione di scrubber. Gli armatori italiani sentono l’obbligo, anche morale, di dare risposte alle nuove generazioni. Per questo, intendiamo rafforzare il dialogo con il Governo in materia ambientale mettendo a disposizione le nostre conoscenze. A nostro avviso, oltre al continuo investimento in ricerca e sviluppo, occorre anche: - assicurare alle nostre navi alimentate a GNL la possibilità di rifornirsi anche nei porti italiani (oggi non è ancora possibile per la mancanza delle relative regolamentazioni); - accelerare la rati ca della Convenzione per il controllo della gestione delle acque di zavorra e dei sedimenti (Ballast Water Management), come già avvenuto in molti altri Paesi marittimi, prevedendo i necessari provvedimenti di esenzione locale; inoltre, per quanto riguarda i relativi certi cati, evitiamo di operare in ma-
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niera difforme dal resto del mondo; - rati care al più presto la Convenzione di Hong Kong (di cui siamo uno dei Paesi rmatari) per dare un chiaro segnale in tema di demolizione delle navi, green recycling e monitoraggio degli standard dei cantieri asiatici. Inoltre, vorrei ricordare l’efficace impegno del Ministero dell’Ambiente nella prevenzione dell’inquinamento marino da idrocarburi, attraverso l’utilizzo di unità speciali, auspicando che la prevenzione possa presto allargarsi anche alle micro e nano plastiche. In tema di grandi navi a Venezia, posso affermare che la volontà delle principali compagnie crocieristiche mondiali è di collaborare con il Governo per individuare una soluzione praticabile che tuteli una città unica e meravigliosa che il mondo ci invidia e non crei ostacoli al settore del turismo crocieristico. Un settore che, solo in Europa, genera un contributo economico pari a 48 miliardi di euro e 400 mila posti di lavoro e vede l’Italia quale Paese trainante per numero di crociere e passeggeri. Nell’ottica di una drastica riduzione delle emissioni, il 18 dicembre 2019 Con tarma ha sostenuto la mossa senza precedenti attuata dall’industria marittima mondiale che, dopo la COP 25 di Barcellona, si è attivata concretamente sul tema ambientale annunciando la creazione del primo fondo di R&S sui combustibili alternativi al ne di eliminare le
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emissioni di CO2 dello shipping internazionale. La proposta per eliminare le emissioni di CO2 è stata presentata congiuntamente da BIMCO, CLIA, Interferry, International Chamber of Shipping (ICS), Intercargo, Intertanko, International Parcel Tankers’ Association, World Shipping Council. Queste associazioni mondiali insieme rappresentano oltre il 90% della otta mercantile mondiale. L’iniziativa conferma quindi che tutta la comunità dello shipping mondiale è unita e intende continuare ad impegnarsi nella riduzione delle emissioni di CO2 no alla loro totale eliminazione. A tal ne, le compagnie di navigazione di tutto il mondo contribuiranno per circa 5 miliardi di dollari in un periodo di 10 anni. Esben Poulsson, presidente dell’ICS (International Chamber of Shipping), ha affermato che la coalizione delle associazioni di settore che sostiene questa proposta sta dimostrando una vera leadership ed un grande senso di responsabilità ed Emanuele Grimaldi, vicepresidente dell’ICS, rappresentante italiano in seno all’organizzazione mondiale degli armatori, nonché past-president di Con tarma, ha ribadito che fa molto onore alla categoria la decisione di autotassarsi per raggiungere il nobile ne di tutelare il nostro pianeta. L’industria marittima deve ridurre le proprie emissioni di CO2 per far fronte all’ambiziosa s da che l’IMO-Organizzazione marittima internazionale ha ssato. L’innovazione è quindi fondamentale se vogliamo sviluppare le tecnologie che alimentano la quarta rivoluzione della propulsione marittima. Questa proposta è semplice, responsabile e realizzabile e speriamo che i governi sostengano questa mossa coraggiosa. Il fondo sarà nanziato da compagnie di navigazione di tutto il mondo attraverso un contributo di R&S obbligatorio pari a 2 dollari USA per tonnellata di acquisto di carburante marino. Al momento, l’iniziativa per il progetto R&S e il suo nanziamento riguarda le principali associazioni internazionali degli armatori, ma la possibile partecipazione di altre parti interessate è vista con favore. Anche in Italia si guarda a questo progetto come ad un passo molto importante verso la totale decarbonizzazione dello shipping. Parlando a nome degli armatori italiani, posso dire che la nostra otta è in prima la nel percorso che tende alla decarbonizzazione di tutte le attività industriali ed ha già fatto ingenti investimenti per tecnologie innovative e impiego di combustibili meno dannosi per l’ambiente. Basti citare l’alimentazione
a batteria (quindi zero emissioni) durante le soste della nave in porto, l’utilizzo del GNL come combustibile alternativo e l’installazione di scrubber. Non si tratta di meri progetti: gli armatori italiani negli ultimi anni hanno dimostrato il loro impegno per ridurre le emissioni di CO2 delle loro navi. Auspichiamo che nel corso del tempo questo fondo possa avere una dotazione importante e paragonabile agli investimenti dell’automotive nella ricerca per combustibili alternativi. Comunque già oggi in Italia vantiamo eccellenze di primo piano e sono orgoglioso di annoverare tra le la di Con tarma i Gruppi armatoriali “Caronte & Tourist”, “Costa Crociere” e “Grimaldi” di Napoli. Per essere concreti ricordo che dal novembre 2018 è operativa la nave “Elio” della società Caronte & Tourist, il primo traghetto alimentato a gas naturale liquefatto (LNG) ad operare nel Mediterraneo Inoltre, il Gruppo Costa Crociere agli inizi del 2018, con l’unità “AidaNova” ha avviato una nuova era delle crociere a bassissimo impatto ambientale per il Mediterraneo: si tratta infatti della prima nave passeggeri al mondo alimentata anche in navigazione a GNL, seguita dalla “Costa Smeralda” in consegna in questi giorni che garantirà con la propulsione a LNG un basso impatto ambientale. A luglio 2019, è tornata operativa la “Cruise Roma” che, dopo essere stata sottoposta a lavori di restyling, è prima nave del Gruppo Grimaldi ad operare nel Mediterraneo con emissioni zero in porto. A novembre, è stata battezzata la “Grande Torino”, un’unità car carrier altamente tecnologica, dotata di motore a controllo elettronico e di sistemi all’avanguardia in grado di abbattere le emissioni inquinanti prima di sette unità gemelle altamente efficienti in quanto dotate motore Man Energy Solutions a controllo elettronico. È importante ribadire che il 90% del commercio mondiale utilizza la via marittima e che quello marittimo è certamente il mezzo di trasporto più efficiente ed efficace, dato che la sostenibilità ambientale va valutata in base alla quantità di merci trasportate ed alle distanze percorse. Ciò premesso, gli armatori italiani, come tutta la comunità marittima internazionale, ritengono che, per raggiungere gli obiettivi di cambiamento climatico dell’accordo di Parigi, la rapida decarbonizzazione sia fondamentale. © Riproduzione riservata
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Next-stop Asia: il futuro green della mobilità di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti
I sempre più evidenti effetti del cambiamento climatico indotti dalle attività dell’uomo – come le emissioni di gas serra – unitamente al riconoscimento internazionale della necessità di uno sviluppo sostenibile, stanno spingendo i governi a riconsiderare il ruolo dell’infrastruttura per la promozione di politiche “green”.
Indirizzi green per le infrastrutture contemporanee Nello scorso giugno i leader del G20 hanno promosso sei principi guida per la qualità degli investimenti infrastrutturali (Principles for quality infrastructure investment), considerati una priorità soprattutto dai giapponesi. In particolare, il primo principio “Maximizing the positive impact of infrastructure to achieve sustainable growth and development” ha messo in evidenza l’importanza di «ottimizzare l’impatto positivo nell’ambito economico, ambientale e sociale dell’infrastruttura e creare un circolo virtuoso di attività nanziarie»1. «Gli impianti e i servizi legati alle infrastrutture dovrebbero possedere, n dal principio, uno sviluppo sostenibile ed essere ampiamente accessibili, inclusivi e fruibili per tutti»2. Vengono quindi riconosciuti, anche dalla normativa, una serie di aspetti legati ai temi della mobilità, sostenibilità e accessibilità, nora rimasti a livello di suggestioni nell’ambito della tecnologia applicata alle infrastrutture. Il sostegno – non scontato – della Cina a questi principi ha sancito la volontà di affrontare le critiche mosse alla sua 1 Si rimanda al punto 1.1 del primo principio “Maximizing the positive impact of infrastructure to achieve sustainable growth and development” dei Principles for quality infrastructure investment elaborati nell’ultimo G20. 2 Si rimanda al punto 1.2 del primo principio citato nella nota 1.
Next-stop Asia, the green future of mobility by Giusi Ciotoli and Marco Falsetti Last June the G20 leaders promoted the six guiding “Principles for quality infrastructure investment”, considered a priority mainly by the Japanese. China’s support for these principles has sanctioned the will to address the criticisms made to its Belt and Road Initiative, in terms of environmental sustainability. China and Japan, hitherto rivals in the production of high-speed trains, seem open to collaborate on projects that meet high sustainability standards, as Motoko Aizawa, President of the Observatory on Sustainable Infrastructure has argued. In Asia, the HSR (High-speed rail) and the systems connected to it (such as the Chuo Shinkansen and the more limited Shanghai Transrapid) are now considered a priority investment to connect people and territories, while promoting prosperity and smart urban growth. Japan in particular has always been very sensitive towards sustainable infrastructure design: from the network of metropolitan parks which, according to the Tokyo Regional Disaster Prevention Measures, is an integral part of a mass evacuation plan following earthquakes, to the attention that the government and private companies have paid to ght the environmental impact and noise pollution of railway lines, such as the Shinkansen Super-express.
Nella pagina a anco, in alto: immagine dello Shanghai Transrapid nei pressi dell’aeroporto della citta (fonte: wikipedia). In basso: il Solar Tunnel a Schoten in Belgio. Fonte: https://www.projects. mcrit.com.
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1 - Diagramma delle linee ad alta velocità in Cina e in Giappone. Fonte: UIC Union Internationale des Chemins de fer.
Belt and Road Initiative in tema di sostenibilità ambientale. Cina e Giappone, no ad oggi rivali nella produzione di treni ad alta velocità, sembrano aperti a collaborare a progetti che soddis no elevati standard qualitativi, come ha peraltro sostenuto Motoko Aizawa, Coordinatore dell’Osservatorio sull’Infrastruttura sostenibile3. Una rapida disamina dei più recenti sviluppi in tema di green technology può favorire 3 Si rimanda al seguente link: http://pubdocs. worldbank.org/en/679991548256824155/18AMCSPF-09-00-JAKARTAB-101018.pdf
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la formulazione di una casistica degli sforzi che, negli ultimi anni, sono stati prodotti nelle realtà asiatiche. Rispetto ai sistemi concorrenti, i vantaggi dell’HSR (High speed rail) in termini di consumi energetici ed emissioni di gas serra rappresentano uno tra i fattori considerati necessari per ridurre l’impronta di carbonio nel settore dei trasporti. Uno studio dell’UIC (Union Internationale des Chemins de Fer) sull’HSR in Francia e in Cina ha concluso come questa possa risultare no a 14 volte meno inquinante rispetto ai viaggi in auto e no a 15 volte rispetto a quelli aerei, an-
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che qualora venga misurata durante l’intero ciclo di vita dei mezzi. Ne consegue che ad un aumento del traffico su rotaia a scapito di quello aereo potrebbe corrispondere una consistente riduzione delle emissioni di CO2, come dimostrano diversi studi e test operativi. In Europa, il Libro Bianco dei Trasporti stabilisce, tra gli obbiettivi da raggiungere entro il 2050, che la maggior parte del traffico passeggeri a media distanza sia effettuato tramite ferrovia. I sistemi HSR, concepiti originariamente in Giappone negli anni ’60, operano attualmente in 14 paesi4, con una rete ferroviaria che è passata dai poco più di 1.000 km del 1980, ai 15.000 del 2014. Tra i protagonisti della rivoluzione infrastrutturale spicca inoltre la Repubblica Popolare Cinese, che, a sua volta, sta costruendo altri 10.000 km di rete HSR.
L’apporto cinese nello sviluppo dell’HSR La straordinaria corsa dei cinesi nello sviluppo dell’alta velocità è stata spesso considerata come un esempio emblematico dell’efficienza di un governo determinato a perseguire i propri obbiettivi. Oggi i treni cinesi effettuano il viaggio da Pechino a Shanghai – all’incirca la stessa distanza che separa New York e Chicago –, in poco meno di cinque ore, mentre le oltre 6.000 miglia di binari collegano il resto del paese. La Cina vanta inoltre la più lunga tratta ad alta velocità del mondo: la Pechino-Guangzhou e prevede di collegare, entro i prossimi 15 anni, la maggior parte delle proprie città con oltre mezzo milione di abitanti. La creazione dell’HSR cinese ha avuto origine da un’operazione di reverse-engineering di treni completi acquistati da produttori come Alstom, Siemens e Kawasaki, dai quali è stata mutuata la tecnologia per i sistemi di frenatura, i convertitori di trazione e le reti di controllo. Questo processo, che il governo chiama eufemisticamente di “assorbimento e innovazione”5, dimostra la capacità cinese nell’implementare la tecnologia straniera, un’abilità un tempo prerogativa dei giapponesi, e ha posto le basi per un’industria nazionale che in poco tempo è stata in grado di 4 Giappone, Italia, Francia, Germania, Spagna, Svizzera, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Cina, Regno Unito, Corea, Taiwan e Turchia. 5 Si rimanda al seguente link: https://www.andrewleunginternationalconsultants.com/ les/foreignpolicy---high-speed-empire.pdf
esportare componenti proprie. Per un paese che, alla ne degli anni ’90, ancora utilizzava (e produceva) treni a carbone, il rapido sviluppo dell’alta velocità ha rappresentato un notevole progresso culminato, negli anni 2000, con lo sviluppo della tecnologia Maglev. Quest’ultima utilizza la levitazione magnetica per la locomozione e la propulsione dei veicoli (diversamente dai sistemi elettro-meccanici utilizzati nei sistemi ferroviari convenzionali e nell’HSR). Il primo Maglev iniziò ad operare nel porto internazionale di Birmingham nel 1984, ad una velocità di 40 km all’ora, ma fu chiuso 11 anni dopo a causa degli alti costi e della complessa manutenzione. Recentemente, sono stati commissionati, in Cina e Giappone, due nuovi sistemi sperimentali che operano a velocità elevate: il primo (aperto nel 2004) sviluppa no a 400 km all’ora (ed è progettato per 500) ed opera su una lineanavetta di 30,5 km tra la Longyang Road, capolinea della linea Metropolitana di Shanghai, e l’aeroporto di Pudong. La linea Transrapid (o SMT Shanghai Maglev Train), introdotta in Cina per la prima volta
2 - Un bacino solare galleggiante a Singapore. (fonte: https://www.renewablesnow.com). 3 - Impianto solare galleggiante in Giappone (fonte: https://www.cielet-terre.net).
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4 - Sviluppo dell’alta velocità in Giappone, 19642020 (fonte: UIC Union Internationale des Chemins de fer).
nel 2002, costituisce l’unica applicazione commerciale del Maglev sviluppata nora: dato l’alto costo del progetto – e l’incompatibilità del Maglev con la linea ferroviaria preesistente – la Repubblica Popolare Cinese ha deciso di continuare l’espansione della sua infrastruttura ferroviaria attraverso la “vecchia” tecnologia dell’HSR. È importante sottolineare come la Cina abbia impegnato moltissime risorse economiche per “affrancarsi” nell’utilizzo della tecnologia HSR, raggiungendo, nel giro di una decina di anni, il primato del Giappone. La data di svolta è sicuramente il 2008 quando, in occasione dei Giochi Olimpici, fu inaugurata la prima linea di alta velocità Pechino-Tianjin6. Quest’ultima, aperta nell’agosto del 2008, raggiungeva una velocità massima di 350 km/h e una media di circa 240 km/h. Questa linea, realizzata con «binari completamente dedicati, principalmente su viadotto, e con unità multiple elettriche (EMU) si afferma rapidamente come una forma di trasporto competitiva, mobilitando oltre 16 milioni di passeggeri nel suo primo anno di attività»7. 6 Lawrence M., Bullock R., Liu Z, China’s High-Speed Rail Development, The World Bank Group, Washington 2019, p. 1. 7 Ivi, p. 11.
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Successivamente sono state completate più linee ad alta percorrenza così da realizzare un tto sistema di reti ferrate che connette le maggiori città cinesi: nel 2009 fu inaugurata la linea tra Guangzhou e Wuhan via Changsha; nel 2012 la Pechino-Shanghai e la Pechino-Guangzhou8. Queste 4 linee di percorrenza sono state fondamentali per rafforzare gli scambi interni nel Paese, così da favorire anche una certa permeabilità tra i maggiori poli commerciali della Cina. Pertanto è interessante quanto viene sottolineato nel già citato rapporto del World Bank Group secondo cui, durante il 2016 sono state aggiunte altre linee fortemente strutturanti le tratte commerciali, a partire dalla costa verso ovest. Il potenziamento infrastrutturale delle linee HSR ha dato vita ad una tta rete di percorsi commerciali e turistici, tanto che l’attuale sistema di trasporti su ferro – e nello speci co le linee ad alta velocità – è modulato da «otto corridoi verticali con altrettanti orizzontali (…) integrati con i collegamenti regionali delle ferrovie interurbane9». Il momento strategico per lo sviluppo di un 8 Ivi, p. 12. 9 Ibidem.
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tale sistema interregionale di trasporti si è veri cato a seguito dell’approvazione nel 2004 del cosiddetto MLTRP (Medium and Long Term Railway Plan)10 che piani cava l’espansione dell’HSR in gran parte del territorio cinese. Il piano è stato poi rivisto in due momenti successivi e prolungato (nei traguardi da raggiungere) sino al 2030. Il processo di potenziamento, cominciato nel 2016, si è posto interessanti obbiettivi per il decennio a venire, tanto che nel 2020 «è prevista una rete ferroviaria che raggiunge i 150.000 km di estensione, di cui 30.000 km di HSR che raggiungono oltre l’80% delle città (grandi e medie) cinesi. Entro il 2025 la rete dovrebbe raggiungere i 175.000 km, inclusi 38.000 km di HSR»11. Quello dell’alta velocità è pertanto un settore in forte crescita all’interno della Cina, in grado di cambiare la percezione – sociale e culturale, oltre che architettonica – di fenomeni globali tuttora in corso.
L’infrastruttura giapponese tra sperimentazione sostenibile e protezione dalle calamità Il Paese del Sol Levante è, ad oggi, l’unica nazione ad aver raggiunto un alto grado di integrazione intermodale, nella quale la rete dell’alta velocità (Shinkansen) è alla base di un «Rinascimento ferroviario»12 e dove le città di Tokyo, Osaka e Nagoya (centri principali, rispettivamente, delle aree produttive del Kanto, Kansai e Chubu) sono interconnesse attraverso linee ferroviarie ad alta velocità che le collegano agli hub internazionali13. La HSR e i sistemi ad essa collegati (come il Chuo Shinkansen, e il più limitato Shanghai Transrapid vengono ormai considerati, in Asia, come un investimento prioritario per connettere persone e territori, promuovendo al contempo uno sviluppo urbano intelligente. Il Giappone – in particolare – è da sempre molto sensibile nei confronti della progettazione infrastrutturale sostenibile. 10 Ibidem. 11 Ibidem. 12 Il termine si è diffuso in tutto il mondo anglosassone a partire dagli anni Sessanta in riferimento a fasi di sviluppo ed espansione delle linee ferroviarie spesso in coincidenza con politiche di privatizzazione. Si rimanda al seguente testo: Wolmar C., Sangue ferro e oro: Come le ferrovie hanno cambiato il mondo, EDT, Torino 2011. 13 Black J., “National Railway System”, in Loo B.P.Y., Comtois C. (eds), Sustainable Railway Futures: issues and challenges, Routledge, Abingdon-New York 2018, p. 46.
Infatti, sebbene la sperimentazione sull’alta velocità sia stata introdotta in Europa sin dagli anni Cinquanta, è in Giappone che essa ha avuto, per prima, uno sviluppo commerciale diffuso, allorché, nell’ottobre del 1964, le linee ferroviarie giapponesi presentarono la Tokaido Shinkansen dal centro di Tokyo alla Shin-Osaka. Quest’ultima mirava a fornire al sistema di trasporto una capacità commisurata alla crescita incredibilmente rapida dell’economia giapponese. Con la Tokaido Shinkansen, le Japanese National Railways14 (JNR) hanno promosso l’idea, non solo di una nuova linea, ma di un nuovo sistema di trasporto, che è stato successivamente esteso al resto del paese ed è diventato la spina dorsale del trasporto passeggeri per i decenni successivi. Il Nationwide Shinkansen Railway Development Act, promulgato nel 1970 rappresenta lo strumento normativo e operativo che disciplina i progetti e gli investimenti nazionali dell’alta velocità. Divenuto il tratto identitario della rinascita economica e culturale del Paese dopo il Secondo con itto mondiale, il network ferroviario nipponico ha dato origine, nel tempo, ad interessanti fenomeni urbani: secondo John Calimente, infatti, è possibile identi care una sorta di sistema urbano e sociale capillare, che ha il proprio fulcro architettonico nelle stazioni ferroviarie. Questa rete, de nita RIC (ovvero Rail integrated community)15 è concettualmente diversa dai sistemi urbani interconnessi del NordAmerica, impostati su una rete ferroviaria a usso “orientato” e mono-direzionale. Il Chuo Shinkansen rappresenta l’ultimo, in ordine di tempo, tra i progetti infrastrutturali del Giappone, e si pone come alternativa a lungo termine all’alta velocità tradizionale. La tecnologia Maglev intorno alla quale è impostato il progetto, collegherà Tokyo e Osaka in soli 60 minuti, costituendosi come ricetta necessaria all’adozione di «misure drastiche per rispondere all’invecchiamento futuro e alle catastro su vasta scala in base al fatto che ci vuole tempo per costruire una nuova linea ferroviaria. Sulla scia del grande terremoto del Giappone orientale, la necessità di una nuova linea che consenta percorsi multipli nella nostra principale arteria di trasporto è diventata ancora più importan14 La società, attiva nel territorio nazionale dal 1949 al 1987, corrisponde all’attuale JRG, Japanese Railways Group. 15 Calimente J., Rail integrated communities in Tokyo, in “Journal of Transport and Land Use”, vol. 5, n. 1, 2012, p. 19.
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5 - Un treno maglev della serie L0 in fase di test per la linea Chuo Shinkansen (fonte: wikipedia).
te per prepararci al rischio di catastro naturali. Questo è il motivo per cui abbiamo deciso di completare il Chuo Shinkansen il più rapidamente possibile, in quanto può essere utilizzato in alternativa al ruolo del Tokaido Shinkansen utilizzando il sistema Maglev superconduttivo»16. Rispetto a quanto avvenuto in Giappone in tema di mobilità sostenibile vi sono state, negli ultimi anni, ulteriori declinazioni, che hanno dato vita ad un modello integrato in cui alle misure attive per il rispetto ambientale si affiancano sistemi passivi che sfruttano il network eco-infrastrutturale come risposta alle calamità. In tal senso si è diffuso, all’interno di vari settori della governance, un nuovo concetto, quello di infrastruttura verde, la cui sfera d’azione comprende ambiti quali la prevenzione e mitigazione delle catastro , la valorizzazione delle funzioni urbane e la promozione dello sviluppo rurale. Diversi think-thank giapponesi ritengono infatti che la politica delle green infrastructure sia strettamente connessa alla salvaguardia ambientale e alla gestione dell’emergenza sulla scorta di quanto ha insegnato il recente e disastroso terremoto del Tohoku del 2011. In tale direzione, tra le più recenti realizzazioni in tema, si segnala il Tokyo Rinkai Disaster Prevention, un parco speciale ideato per sovrintendere al sistema di parchi metropolitani normato dal Tokyo Regional Disaster Prevention Measures (che organizza le aree 16 Da una intervista di Shin Kaneko riportata all’interno dell’Annual Report 2019 del Central Japan Railway Company, p. 8.
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verdi all’interno di un piano di emergenza in funzione anti-disastro). Il Tokyo Rinkai Disaster Prevention Park è alla base di un programma di contromisure del governo centrale da eseguire in caso di un terremoto su vasta scala nell’area urbana della capitale. L’intero parco ha funzione di comando su un’ampia porzione di territorio sulla quale sovrintende sfruttando il network infrastrutturale ferroviario. L’esperienza del Tokyo Rinkai Disaster Prevention Park è di particolare interesse in quanto, sebbene il parco non sia – a rigor di termine – un’infrastruttura, si comporta come cerniera tra il sistema verde e quello della mobilità, fungendo da polo di coordinamento per la risposta emergenziale. Tale condizione lo pone all’interno di una dimensione resiliente che risparmia la costruzione di edi ci appositi favorendo lo sviluppo di un approccio a consumo zero. Il Tokyo Regional Disaster Prevention Measures rappresenta dunque un piano ad ampio spettro per la prevenzione di catastro , dove i parchi metropolitani diventano basi per attività di soccorso su larga scala o aree di atterraggio per elicotteri. Accanto ai sistemi di difesa passiva e riduzione delle emissioni, sono state realizzate, negli ultimi anni, infrastrutture capaci di generare energia elettrica autonomamente, alimentando il network ferroviario di cui fanno parte. È il caso, ad esempio, del Solar Tunnel in Belgio, una galleria ferroviaria nei pressi di Schoten progettata originariamente per la protezione della fauna selvatica e la riduzione dell’inquinamento acustico. La società ideatrice (Infrabel) ha installato 16.000 pannelli solari sul tetto della struttura, che
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6 - Accesso del Tokyo Rinkai Disaster Prevention Park (fonte: https://www. in sp iro ck .c o m/ ja pan/ ariake/the-tokyo-rinkaidisaster-prevention-parka4102147079).
coprono una lunghezza totale di quasi 3,4 km erogando una potenza di 3,3 GWh di elettricità ogni anno. L’elettricità prodotta dai pannelli solari alimenta circa 4.000 treni all’anno, l’equivalente di un’intera giornata del traffico ferroviario belga, che è in grado pertanto di funzionare interamente tramite l’energia solare generata dall’apparecchiatura. Al contrario del Belgio, il Giappone non si è ancora dotato di uno strumento normativo capace di identi care nelle opere ingegneristiche degli strumenti “attivi” per promuovere e produrre strategie green. Tuttavia, accanto ai succitati esempi dei treni Maglev e HSR, diversi nuovi programmi stanno denendo il futuro energetico del paese del Sol Levante; molti degli sforzi giapponesi si stanno infatti concentrando sui bacini solari galleggianti, il primo tra i quali è stato costruito nella prefettura di Aichi, nell’Honshu. I numerosi laghi e bacini idrici interni del paese ospitano oggi 73 dei 100 più grandi impianti solari galleggianti del mondo17. In particolare, il più grande tra questi, si trova presso la diga di Yamakura, a Ichihara, e si estende su 18 ettari, alimentando quasi 5.000 case (la qual cosa consente di risparmiare oltre 8.000 tonnellate di CO2 all’anno). La tecnologia dei bacini galleggianti (o oating solar plants) risulta particolarmente adatta al contesto asiatico, specialmente al Giappone, per via della morfologia del paese e per la presenza pregressa di svariate di-
ghe idroelettriche. Sulla scorta dell’esempio nipponico, la vicina Cina ha appena messo in funzione il più grande impianto solare galleggiante del mondo, ad Anhui, che genererà 78.000 MW, una potenza in grado di alimentare 21.000 case. Anche il record di Anhui sembra tuttavia destinato ad essere superato a breve: l’anno prossimo, la Corea del Sud dovrebbe infatti completare un nuovo impianto da 102,5 MW (l’energia necessaria per 35.000 case). Singapore sta inoltre costruendo una centrale solare galleggiante offshore nello Stretto di Johor mentre la Thailandia ha in programma 16 impianti solari galleggianti su nove bacini idrici. © Riproduzione riservata Nota - I capitoli “Indirizzi green per le infrastrutture contemporanee” e “L’apporto cinese nello sviluppo dell’HSR” sono di Giusi Ciotoli; il capitolo “L’infrastruttura giapponese tra sperimentazione sostenibile e protezione dalle calamità” è di Marco Falsetti.
17 Si rimanda al seguente link: https://www.weforum.org/agenda/2019/03/japan-is-the-world-leaderin- oating-solar-power/
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Sicurezza della circolazione ferroviaria e tutela dell’ambiente, due obiettivi da perseguire in sinergia di Giovanni Caruso e Christian Lusi
Densi fumi che impregnano l’aria, amme che avvolgono il circondario, sostanze trasportate che si riversano su terreni e corsi d’acqua intorno al binario: le immagini di un incidente ferroviario rendono n troppo evidente l’impatto che carenze di sicurezza della circolazione possono avere sull’ambiente. La stessa normativa in materia di sicurezza della circolazione ferroviaria de nisce per l’appunto come “grave” qualunque incidente che provochi, tra l’altro, “seri danni all’ambiente”. Senza tuttavia arrivare alle tragiche conseguenze sopra descritte, anche il normale esercizio ferroviario può avere, come ogni altra attività umana, un impatto sull’ambiente legato ad esempio alle emissioni acustiche, elettromagnetiche o di prodotti di combustione di cui tener conto nella progettazione, realizzazione ed utilizzo dei sistemi utilizzati. Nel presente articolo verranno presentate le attività che, nell’ambito del proprio mandato istituzionale di garantire “il generale mantenimento e, ove ragionevolmente praticabile, il costante miglioramento della sicurezza ferroviaria”, l’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie svolge sia al ne di ridurre il livello di incidentalità ferroviaria e quindi le relative conseguenze anche sull’ambiente, sia al ne di veri care il rispetto dei requisiti che, ai sensi del vigente quadro normativo, i sottosistemi utilizzati nell’esercizio ferroviario devono rispettare in particolare in materia di impatto ambientale. Peraltro la sensibilità ai temi ambientali è ben presente nel campo ferroviario: si veda ad esempio quanto esplicitato dal Gruppo FS nel Rapporto di sostenibilità 2018: “Nel 2018 è stata rinnovata la politica ambientale di FS Italiane, attraverso la quale si vuole prestare ancora più attenzione alla realizzazione di un business attento agli impatti sul capitale naturale, che realizzi processi efficienti in un’ottica di economia circolare in stretta collaborazione con tutta la catena del valore. Un esempio in tal senso può
Safety of railway travel and environmental protection, two goals to pursue in synergy by Giovanni Caruso
and Christian Lusi
At rst glance the connections between the system of rail transport and environmental protection might seem obvious: everyone knows that the train is a means of transportation that has reduced the emission of polluting substances and is remarkably energy-efficient thanks to, among other things, the extremely low friction between the wheel and the track or the use of braking systems that recover energy. Furthermore, there are research and development initiatives underway nalized towards increasing its already signi cant efficiency: there are startups, for example, that are developing ties which use piezo-electric materials to recover electric energy when the train runs across them. Railway transport contributes to environmental protection thanks to another speci c quality: the consistent safety record that distinguishes it, indicating a reduced rate of accidents for all circulating railway vehicles. This article will attempt to explore the less evident bond between the protection of the environment and the safety of railway travel, highlighting on the one hand the responsibilities of the National Agency for Railway Safety and the work they do in this regard, and on the other the consequences, in terms of environmental protection, of the European regulations in the matter of interoperability and railway safety, with particular attention to the Technical Speci cations of Interoperability.
Nella pagina a anco: particolare della linea aerea; al centro: carrozze passeggeri utilizzate nel servizio regionale (a sinistra) e infrastruttura ferroviaria (a destra); in basso: carro porta-container.
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TRASPORTI & CULTURA N.56 essere visto nella nalizzazione della Linea Guida per l’applicazione del Life Cycle Assessment ai progetti di infrastrutture ferroviarie che consente di disporre di uno strumento oggettivo per tracciare una visione di lungo periodo che contempli tutte le fasi della vita utile dell’infrastruttura”.
L’attività dell’Agenzia Nazionale per la sicurezza delle ferrovie L’Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie è stata istituita dall’articolo 4 del D.lgs.162/2007 di recepimento della direttiva 2004/49/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 (direttiva relativa alla sicurezza delle ferrovie comunitarie), successivamente abrogato e sostanzialmente sostituito dal D.lgs. 50/2019 che recepisce la nuova direttiva sicurezza (UE) 2016/798, ed è operativa dal 16 giugno 2008. L’Agenzia è dotata di personalità giuridica di diritto pubblico e, ai sensi del D.lgs.n. 300/1999, di autonomia regolamentare, amministrativa, patrimoniale, contabile e nanziaria ed opera sotto la vigilanza del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti al quale competono, in particolare, l’emanazione di direttive, con gli obiettivi da raggiungere, nonché l’approvazione dei programmi, dei bilanci di previsione e dei rendiconti dell’ANSF. La missione dell’ANSF è descritta all’articolo 4 del citato D.lgs. 50/2019, che assegna all’Agenzia il compito di garantire “il generale mantenimento e, ove ragionevolmente praticabile, il costante miglioramento della sicurezza ferroviaria, tenendo conto dell’evoluzione del diritto dell’Unione europea e delle norme internazionali, del progresso tecnico e scienti co e dando la priorità alla prevenzione degli incidenti”. In tale ambito, l’Agenzia svolge i compiti e le funzioni previste dalla citata direttiva (UE) 2016/798 con poteri di regolamentazione tecnica di settore e detta - in conformità alle disposizioni comunitarie e a quelle assunte dall’Agenzia dell’Unione Europea per le Ferrovie (ERA) di cui al Regolamento (UE) 2016/796 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 - i principi ed i criteri necessari per la sicurezza della circolazione ferroviaria. L’Agenzia ha competenza sull’intero sistema ferroviario nazionale, incluse le reti regionali interconnesse con l’infrastruttura ferroviaria nazionale e le ferrovie isolate, queste ultime transitate sotto la responsabilità di ANSF a decorrere dal 1 luglio 2019. Vediamo brevemente nel dettaglio le attività attribuite ad ANSF.
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L’attività normativa - In tale ambito, i compiti dell’ANSF sono volti alla de nizione e al riordino del quadro normativo in materia di sicurezza ferroviaria e all’emissione di norme di esercizio e di standard tecnici della circolazione ferroviaria e di norme e standard riguardanti la formazione e la qualicazione del personale dei gestori dell’infrastruttura e delle imprese ferroviarie che svolgono attività di sicurezza, nonché alla regolamentazione e al controllo sull’emissione delle regole interne e di interfaccia delle imprese ferroviarie e dei gestori dell’Infrastruttura. L’attività autorizzativa - L’ANSF provvede altresì, in cooperazione con l’Agenzia dell’Unione Europea per le Ferrovie ove previsto, al rilascio, al rinnovo, all’aggiornamento e alla revoca delle autorizzazioni riguardanti la messa in servizio dei veicoli e dei certi cati di sicurezza delle imprese di trasporto ferroviario, dell’autorizzazione di sicurezza dei gestori dell’Infrastruttura, nonché alla quali cazione degli organismi il cui riconoscimento sia necessario per lo svolgimento del ruolo ad essi assegnato. Provvede, inoltre, al rinnovo, all’aggiornamento e alla revoca delle autorizzazioni alla messa in servizio dei sottosistemi strutturali infrastruttura, energia, comando, controllo e segnalamento e di applicazioni generiche, nonché all’autorizzazione all’utilizzo di prodotti generici e di componenti, all’istituzione e alla tenuta del registro di immatricolazione nazionale del materiale rotabile. L’attività di supervisione - L’Agenzia esercita il controllo dei requisiti per il mantenimento di certi cati di sicurezza e dell’autorizzazione di sicurezza, la vigilanza sull’applicazione di norme tecniche e standard di sicurezza, nonché la veri ca sull’applicazione delle disposizioni tecniche relativamente al funzionamento e alla manutenzione. ANSF veri ca altresì che i componenti siano conformi ai pertinenti requisiti essenziali, che i veicoli siano debitamente immatricolati e che le informazioni in materia di sicurezza contenute nei registri dell’infrastruttura e dei veicoli siano precise ed aggiornate. L’attività ispettiva si esplica attraverso l’esecuzione di ispezioni e indagini ritenute necessarie per l’assolvimento dei propri compiti.
Le altre attività - L’ANSF svolge, inoltre, compiti di studio e di approfondimento sulla sicurezza ferroviaria e di consultazione a favore di enti e istituzioni, formulando propo-
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ste e osservazioni per il miglioramento della sicurezza ferroviaria; emana nei confronti dei gestori dell’infrastruttura e delle imprese ferroviarie direttive e raccomandazioni in materia di sicurezza. L’Agenzia, al ne di tutelare la sicurezza della circolazione, in caso di inosservanza da parte dei gestori dell’infrastruttura e delle imprese ferroviarie di quanto disposto dal quadro normativo o dalle raccomandazioni emesse dall’Agenzia stessa, può, inoltre, adottare provvedimenti restrittivi dell’esercizio, limitazioni dell’autorizzazione o del certi cato o comminare sanzioni amministrative.
Le principali battaglie per incrementare la sicurezza della circolazione e ridurre l’incidentalità ferroviaria Fin dalla prima operatività, l’Agenzia si è attivata per incrementare la sicurezza della circolazione ferroviaria, ed ai ni della riduzione dell’incidentalità attraverso: - l’obbligatorietà del sistema automatico di protezione della marcia dei treni; - l’obbligo della certi cazione dei soggetti responsabili della manutenzione estesa anche ai veicoli passeggeri; - la protezione dei passaggi a livello in consegna agli utenti. I sistemi automatici di protezione della marcia dei treni - La sicurezza della circolazione ferroviaria è basata sul rispetto di dettagliate procedure da parte del personale dell’esercizio, sia di terra (regolatori della circolazione), sia di bordo (macchinisti e capitreno). Però l’errore umano è sempre in agguato, anche in presenza di personale esperto e adeguatamente formato. L’evoluzione delle tecnologie ha consentito sia di proteggere la circolazione dagli errori del personale di terra (ad esempio contemporaneo inoltro di due treni sullo stesso tratto di linea) sia dagli errori dei macchinisti, come ad esempio il mancato rispetto di un segnale a via impedita. Tali tecnologie prevedono l’installazione di dispositivi a terra e dei corrispondenti dispositivi a bordo. Quando l’Agenzia ha iniziato la propria attività nel giugno 2008, l’attrezzaggio completo dell’infrastruttura ferroviaria nazionale (circa 16.000 km), iniziato nel 2002, era sostanzialmente concluso; l’attrezzaggio della parte di bordo da parte delle Imprese ferroviarie era invece molto indietro e vanicava l’ingente sforzo compiuto dal Gestore dell’infrastruttura, sostenuto dalla nanza
pubblica. L’imposizione da parte dell’Agenzia di restrizioni via via crescenti alla circolazione di treni non attrezzati con dispositivi di protezione della marcia del treno coerenti con i dispositivi di terra installati sulle linee da percorrere ha certamente contribuito alla velocizzazione dell’attrezzaggio dei treni; nalmente nel 2012 si è potuto imporre il divieto di circolazione ai treni non attrezzati. Con il passaggio sotto la sua giurisdizione delle ferrovie regionali interconnesse (il 5 agosto 2016) e delle ferrovie regionali isolate (il 1° luglio 2019), l’ANSF ha iniziato un percorso impositivo al ne di rendere omogenei i livelli di sicurezza con analogo pressing su di esse, imponendo l’adozione di programmi di attrezzaggio sia di terra che di bordo e di drastiche misure mitigative no al loro completamento. La certi cazione dei soggetti responsabili della manutenzione dei veicoli passeggeri - Nell’attuale assetto del sistema ferroviario europeo, nel quale le vecchie aziende nazionali monolitiche sono state sostituite da più operatori, ciascuno con le proprie speci che responsabilità, il titolare dell’immatricolazione di ciascun veicolo deve indicare il soggetto responsabile della manutenzione del veicolo stesso, riportato anche nel Registro di Immatricolazione Nazionale. Per i veicoli merci l’Europa ha da subito imposto che tali soggetti siano certi cati da appositi Organismi riconosciuti dagli Stati nazionali. Per i veicoli passeggeri quest’obbligo non era stato previsto. L’ANSF ha affrontato un serrato confronto con le istituzioni europee affinché tale disparità fosse eliminata; nalmente con i provvedimenti del cosiddetto IV pacchetto, e in particolare con il Regolamento (UE) 2019/779 in vigore dal 16 giugno 2020, anche i soggetti responsabili della manutenzione dei veicoli passeggeri saranno soggetti a certi cazione. La protezione dei passaggi a livello in consegna agli utenti - I passaggi a livello rappresentano uno degli elementi di maggiore criticità del sistema ferroviario e, negli ultimi anni, i loro ambiti hanno visto il maggior numero di incidenti mortali: essi non rappresentano solamente l’elemento sico che separa due ussi di traffico che si sviluppano secondo modi di trasporto differenti, ma rappresentano il punto di congiunzione fra due impostazioni della mobilità delle persone e delle cose. Le impostazioni della modalità stradale e della modalità ferroviaria interessano sia aspetti infrastrutturali e normativi che umani, e nelle
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aree dei passaggi a livello interagiscono ussi che per loro natura presentano caratteristiche estremamente differenziate, in quanto sono costituiti da veicoli con caratteristiche di risposta differenti e con conducenti sottoposti a norme comportamentali differenziate. Come noto i passaggi a livello si possono classi care in due grandi categorie: quelli su strade pubbliche, utilizzabili da tutti gli utenti stradali, e quelli su strade private, affidati ad un utente privato che è l’unico autorizzato all’attraversamento. I passaggi a livello pubblici sono generalmente protetti lato ferrovia da un segnale la cui disposizione al verde è subordinata all’avvenuta chiusura delle barriere o all’accensione delle luci rosse lato strada. I passaggi a livello in consegna agli utenti invece sono protetti da ogni lato da una catena o da una sbarra bloccata in posizione di chiusura da un lucchetto la cui chiave è posseduta dall’utente privato. La sicurezza dell’attraversamento di tali passaggi a livello è storicamente completamente affidata all’utente che, prima di attraversare i binari deve accertarsi visivamente che non stia sopraggiungendo nessun treno da entrambe le direzioni. Tale modalità di attraversamento risulta non più adeguata agli attuali standard di sicurezza della circolazione ferroviaria, tenuto conto anche dell’incremento generalizzato del traffico ferroviario e del traffico stradale, I Gestori della Infrastruttura stanno mettendo in atto piani di soppressione e di sviluppo di dispositivi che subordinino l’apertura delle protezioni allo scambio di richieste e consensi e, soprattutto, alla disposizione al rosso del segnale ferroviario più vicino e ad adottare nel frattempo in maniera generalizzata il regime di apertura previa conferma da parte del regolatore della circolazione di assenza di circolazione
1 - Componenti del sistema di comando-controllo e segnalamento “ERTMS Livello 2”.
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Normative europee per l’interoperabilità ferroviaria, aspetti rilevanti per la tutela dell’ambiente. Nell’ambito delle proprie attività autorizzative, ANSF veri ca che i veicoli ferroviari da mettere in servizio e i sottosistemi di terra con cui attrezzare l’infrastruttura ferroviaria siano in particolare conformi alle cosiddette Speci che Tecniche d’Interoperabilità (nel seguito STI). Tali speci che, de nite in ambito europeo, stabiliscono sostanzialmente i requisiti che i veicoli ed i sottosistemi di terra devono rispettare affinché ne sia garantita la reciproca compatibilità e sia così possibile la circolazione dei convogli su tutto il sistema ferroviario dell’Unione Europea. Tra i suddetti requisiti essenziali gurano anche i requisiti relativi alla protezione dell’ambiente, tra cui in particolare quelli dei materiali che possono emanare fumi o gas nocivi e pericolosi in caso di incendio e quelli riguardanti i livelli di vibrazioni che l’esercizio ferroviario può provocare nelle vicinanze dell’infrastruttura. Tali requisiti vengono declinati in requisiti tecnici speci ci all’interno di ciascuna STI, come descritto nel seguito. STI “energia” - Riguardo al requisito della protezione dell’ambiente, la STI energia, costituita dal Regolamento (UE) N. 1301/2014 disciplinante i requisiti del sistema di elettricazione inclusa la linea aerea, prevede che vengano utilizzati sistemi di frenatura dei veicoli a recupero che consentano di limitare il dispendio di energia elettrica utilizzata per la trazione dei veicoli.
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STI “locomotive e materiale rotabile per il trasporto di passeggeri” - Il regolamento (UE) N. 1302/2014, che disciplina le caratteristiche delle locomotive e delle carrozze utilizzate per il trasporto dei passeggeri, impone diversi requisiti in materia di protezione dell’ambiente, riguardanti in particolare le caratteristiche dei servizi igienici di bordo e le misure per la prevenzione degli incendi. Riguardo in particolare ai servizi igienici, la STI in questione disciplina la natura del sistema di trattamento dell’acqua rilasciata e le norme a fronte delle quali deve esserne valutata la conformità. Riguardo invece alle misure di prevenzione degli incendi, la STI in esame disciplina molteplici requisiti, tra cui quelli relativi ai materiali utilizzati, alle misure speci che da adottare per i liquidi in ammabili, agli estintori portatili, ai sistemi di rilevazione e contenimento degli incendi. STI “carri merci” - Il regolamento (UE) N. 321/2013, disciplinante i requisiti dei veicoli ferroviari utilizzati per il trasporto di merci, riguardo alla sicurezza antincendio prevede in particolare di: - identi care tutte le potenziali sorgenti di incendio signi cative per il veicolo; - installare barriere tagliafuoco tra le potenziali fonti di incendio identi cate e il carico trasportato; - utilizzare sul veicolo materiali permanenti, cavi inclusi, con in ammabilità e caratteristiche di propagazione della amma limitate; - dotare il veicolo di dispositivi per la prevenzione dell’innesco e della propagazione di incendi in seguito alla perdita di liquidi o gas in ammabili. STI “materiale rotabile - rumore” - Il regolamento (UE) N. 1304/2014 stabilisce i limiti di emissione sonora, sia verso l’ambiente circostante sia verso l’interno del veicolo, per le differenti condizioni di esercizio (stazionamento, avviamento, transito) e le relative procedure di misurazione. STI “sicurezza nelle gallerie ferroviarie” - Il regolamento (UE) N. 1303/2014, che disciplina le misure da adottare per garantire la sicurezza dell’esercizio ferroviario svolto all’interno dei tunnel ricadenti nel sistema ferroviario dell’Unione, ssa in particolare i requisiti in materia di reazione al fuoco dei materiali da costruzione e dei cavi elettrici utilizzati nelle gallerie.
STI “controllo-comando e segnalamento” - Il regolamento (UE) 2016/919, che ssa i requisiti dei dispositivi tecnologici nalizzati alla gestione in sicurezza del traffico ferroviario, pone anch’esso precisi requisiti che tali dispositivi devono soddisfare in materia di impatto ambientale, in particolare in materia di emissione di fumi o gas nocivi per l’ambiente in caso di incendio, di interferenze elettromagnetiche e di inquinamento acustico.
Conclusioni Nei paragra precedenti sono state delineate le attività che svolge ANSF, sia in ambito normativo sia autorizzativo, che hanno dei risvolti in termini di tutela dell’ambiente, benché tale campo non rientri tra quelli che sono stati istituzionalmente posti sotto le sue competenze. Sono tuttavia molteplici, anche rimanendo all’ambito del trasporto ferroviario, i soggetti che stanno attualmente operando avendo ben presente l’obiettivo della tutela ambientale. È infatti sempre più evidente che il trasporto pubblico, e in particolare quello ferroviario, da un lato può costituire una potente leva di sviluppo sostenibile e dall’altro presenta ancora molti margini di miglioramento in termini di riduzione del relativo impatto ambientale. Basti pensare ad esempio al cosiddetto Global Compact, lanciato dalle Nazioni Unite nel 2004 al ne di individuare una road map per il perseguimento, da parte di tutti gli stakeholder, di dieci principi nelle aree dei diritti umani, del lavoro, della sostenibilità ambientale e dell’anticorruzione. Tali dieci principi sono stati declinati, per l’ambito ferroviario, nella celebre dichiarazione UIC in materia di trasporti e mobilità sostenibili, emanata nel 2010 e sottoscritta da numerosi operatori di trasporto ferroviario. Malgrado tale presa di coscienza da parte del settore sull’importanza del trasporto ferroviario in materia di tutela ambientale, restano però ancora moltissime s de davanti, che verranno affrontate da ANSF, per la parte che le compete, con la piena consapevolezza che l’ambiente è uno dei soggetti che un esercizio ferroviario effettuato in sicurezza deve tutelare. © Riproduzione riservata
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Comunicazione e comportamenti sostenibili nel settore dei trasporti di Federica Bosello
Siamo nel 2020, anno simbolico per la sostenibilità sia nei fatti e sia nella relazione tra sostenibilità e comunicazione. Come spesso accade nell’ambito di quest’ultima, per dare enfasi ad una data, renderla più notiziabile e sensazionale, si evidenziano ricorrenze e anniversari per attirare l’attenzione su quanto è stato fatto e quanto resti ancora da fare rispetto a determinati impegni. Ciò vale tanto più nel contesto della sostenibilità dove il tempo è una variabile assolutamente cruciale non solo della forma del racconto, ma anche della sostanza della storia, la storia nostra e del nostro Pianeta. Dunque, sta di fatto che il 2020 segnerà il primo lustro dalla sottoscrizione dell’Agenda 2030 dell’ONU da parte di 193 Paesi delle Nazioni Unite (settembre 2015), dall’adozione dell’Accordo di Parigi sulla lotta al cambiamento climatico (dicembre 2015), dalla Conferenza di Addis Abeba sul nanziamento allo sviluppo (luglio 2015) e dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco (maggio 2015), punto di riferimento mondiale per un’etica dello sviluppo umano e la salvaguardia del nostro Pianeta; rappresenterà anche l’inizio del “decennio di azione per il conseguimento degli SDGs” lanciato nel corso dell’Assemblea Generale dell’Onu del settembre 2019. A ciò va aggiunto che il 2020 arriva dopo il 2019: un anno che sotto il pro lo della relazione tra comunicazione e sostenibilità è stato davvero straordinario. Il 2019 è l’anno in cui si è assistito ad un’accelerazione della sensibilità dell’opinione pubblica e dei media di tutto il mondo verso i temi dello sviluppo sostenibile e quello in cui alcuni avvenimenti politici hanno segnato un cambio di rotta verso l’emergenza climatica, sebbene alcuni in positivo ed altri in negativo. Penso ad esempio ai risultati raggiunti dal movimento Friday for future, al Climate action summit voluto dal Segretario Generale dell’Onu António Guterres, alla presa di posizione del nuovo Parlamento europeo e
Communication and sustainable behaviour in the transport sector by Federica Bosello To address the challenge of a new development model and guarantee the future, everyone must pitch in and Communication can certainly do its part, by helping to disseminate the idea of a different way of life and providing objective data about the ongoing crisis, the risk of inaction and the opportunities for change. In the transport sector, communication about sustainability can play an even more strategic role, given that transport represents a signi cant source of pressure on the environment. Though the dynamics of logistics are still unfamiliar to the consumer or the nal user, the growing awareness and attention to environmental themes lead both professionals in the eld and the companies that rely on their services to invest in both sustainability and communication strategies that present these virtuous practices as one of the components that increase the quality and the value of the product/service offered. The brands and certi cations by third parties, the references to veri able data, the application of standard parameters are among the fundamental elements to effectively communicate the commitment to reduce the impact. This has become essential, not only to comply with the increasingly restrictive standards in this matter and guarantee funding by potential investors, but also to maintain a good reputation and market position.
Nella pagina a anco, da sinistra a destra, dall’alto in basso: una manifestazione di Fridays for Future (fonte: Pixabay, foto Jasmin Sessler); immagine rappresentativa delle neuroscienze cui si fa riferimento oggi per studiare ed in uenzare il comportamento degli stakeholder; sostenibilità economica e sostenibilità ambientale non sono un trade-off: immagine simbolica; diversi marchi “Sustainable logistics” fonte https://www.soslogistica.org/protocollosos-log/; treno ad alta velocità in corsa.
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al Green New Deal della nuova commissione guidata da Ursula Von Der Leyen. D’altra parte è anche l’anno in cui disastri naturali e sociali si sono manifestati con una forza devastante affliggendo estensioni del Pianeta davvero rilevanti (Amazzonia, Australia, Indonesia, ecc.). Dato che pare che sul piano dei fatti siamo vicini al punto di non ritorno, è l’anno in cui bisogna “voltare pagina”, come indicavano oltre 40 anni fa gli autori del primo rapporto del Club di Roma1. Per affrontare la s da del cambiamento del modello di sviluppo per garantirci un futuro c’è bisogno di tutto e di tutti. E la Comunicazione può di certo fare la sua parte. In questo mio contributo cerco di mettere in evidenza, prima, come la Comunicazione possa in uire sul cambiamento di modello di sviluppo, poi come possa incidere - o come stia già incidendo – sotto questo pro lo, nel campo dei trasporti e della logistica, citando alcuni esempi.
Comunicazione e comportamenti sostenibili Secondo Enrico Giovannini, portavoce di ASviS2, per realizzare uno sviluppo pienamente sostenibile c’è bisogno di tre ingredienti: tecnologia, governance, cambiamento di mentalità e del modo di vivere3. Tutti e tre questi elementi richiedono tempo mentre quest’ultimo è quasi scaduto: ebbene, la Comunicazione sui temi della sostenibilità è una leva che può farcelo guadagnare. Tale attività, infatti, è volta, da un lato, a favorire lo sviluppo di un nuovo modo di vivere, operando sul lungo periodo e, dall’altro, all’informazione attraverso dati oggettivi sulle crisi in atto, sui rischi dell’inazione, sulle opportunità del cambiamento, facendo pressione per ingaggiare tutti (Balzaretti, 2009)4. 1 Nel 1972, il libro I limiti dello sviluppo ha calcolato per la prima volta i limiti della crescita umana sul pianeta Terra, mettendo in guardia verso ipotetici scenari futuri: uno di questi delineava come, procedendo anno dopo anno con gli stessi ritmi di crescita di sempre, l’umanità sarebbe giunta al collasso nel corso del Ventunesimo Secolo. 2 L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS), nata il 3 febbraio del 2016, su iniziativa di Fondazione Unipolis e Università di Roma “Tor Vergata”, intende sensibilizzare circa l’importanza dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e stimolare iniziative per realizzare i suoi obiettivi. 3 AA.VV (2018), Le rotte della sostenibilità, Egea, Milano. 4 Balzaretti E., Gargiulo F. (2009), La comunicazione
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Sotto il primo pro lo, diffondere un nuovo stile di vita, signi ca impegnarsi in un’operazione culturale con un orizzonte temporale lungo, contribuendo a costruire un nuovo sistema di valori condiviso tra tutti gli attori della società e tra tutte le società. I target della comunicazione saranno quindi coinvolti nella costruzione di una “nuova era” attraverso le loro scelte. Si tratta di stimolare un processo culturale che vada modi cando i modelli di consumo, inducendo a vivere con meno e con servizi/ prodotti meno impattanti sull’ambiente e più equi e solidali - e riducendo al minimo i danni di ciò che facciamo oggi, utilizzando ancora le attuali tecnologie, in attesa di arrivare a soluzioni innovative più sostenibili, applicabili un domani su vasta scala. L’importanza di incidere sul modo di vivere è evidenziata in modo molto chiaro nell’ultimo report del Club di Roma, Transformation is feasible pubblicato nell’ottobre 2018 in occasione dei 50 anni della sua fondazione. Infatti, ben due delle cinque azioni da mettere in campo per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile entro i limiti planetari5 riguardano i comportamenti. L’azione numero quattro dice: “È necessaria una trasformazione comportamentale, in particolare nelle aree ricche del mondo [...]. Al 2030 mancano solo 12 anni ed è urgente che sia i paesi leader e sia i cittadini non solo siano informati […], ma riconoscano anche le implicazioni dei propri comportamenti e quindi vi mettano mano”. L’azione numero cinque indica una via comportamentale: “L’umanità può evitare il collasso planetario posticipando la crescita dei consumi di un anno”. Sotto il secondo pro lo, quello dell’informazione sui rischi di protrarre questo modello di sviluppo, sull’urgenza di un cambiamento, su quanto si possa fare, ecc., superata la difficoltà di tradurre, ovvero rendere fruibili e comprensibili, concetti e contenuti molto complessi a target disomogenei e non specialistici (F. Rossi, 2017)6, tale attività stimoambientale: buone pratiche per una comunicazione efficace, FrancoAngeli, Milano. 5 Il concetto di “limite planetario,” introdotto da Johan Rockstörm in uno studio pubblicato nel 2009 su Nature, è de nito come l’insieme di 9 soglie di altrettanti processi chiave per il sistema Terra, che l’essere umano può manipolare. 6 Rossi F. (2017), “Marketing e Comunicazione della sostenibilità L’azienda sostenibile. Trend, strumenti e case study”, in Fasan M., Bianchi S. (a cura di), L’azienda sostenibile. Trend, strumenti e case study, I libri di Ca’ Foscari, Venezia.
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1 - Un nodo di percorsi stradali e rotatorie, quasi immagine-simbolo dell’invasiva presenza delle infrastrutture stradali nel paesaggio e dello sbilanciamento, fra le modalità di trasporto, a favore degli autoveicoli.
la la società civile a fare pressione su chi ha la governance dei processi (politici sociali ed economici) orientandoli al lungo periodo piuttosto che al breve. Infatti, chi ha la governance (vertici aziendali, ma anche di Pubbliche Amministrazioni, politici) spesso è mosso dalla necessità di ottenere risultati nel breve periodo (rielezione, conferma in un ruolo istituzionale, pro tto immediato) e stenta a mettere in atto politiche che comportino costi nel breve termine. Fondamentale allora informare su quanto cruciale sia scegliere una direzione di vita piuttosto che un’altra. Chi deve fare comunicazione sulla sostenibilità? Oltre agli scienziati, ai tecnici e agli esperti, oltre alle Istituzioni Pubbliche, per de nizione vocate al perseguimento del benessere collettivo, nonché ai media, sono chiamate in causa le imprese. Dal 2015 a oggi le imprese hanno sviluppato un’attività di marketing social value oriented e nella prossima decade, per durare nel tempo ovvero essere sostenibili, si orienteranno al “bene comune” (P. Kotler, 2019)7 Emerge così come l’urgenza di cambiare modello di sviluppo sia diventata una priorità chiaramente espressa anche dal mercato, dalla 7 Kotler Ph (2019), Advancing the Common Good: Strategies for Businesses, Governments and Nonpro ts, Praeger.
domanda, per cui alle aziende è richiesto un ripensamento radicale del termine “valore” che deve corrispondere al loro contributo alla creazione di “bene comune”. Infatti, la domanda fa pressione sull’offerta chiedendo informazioni e azioni per la riduzione degli impatti di prodotti e servizi e condizionando la reputazione delle organizzazioni alle risposte più o meno convincenti in merito. Secondo una recente ricerca di Forbes, dall’analisi delle caratteristiche della generazione Y (1980-1994) emerge che il 92% si da di più di aziende che supportano cause sociali/ambientali, il 73% dichiara di essere disposto a pagare di più per prodotti/servizi che apportano un bene cio alla collettività e riguardo alla generazione Z (1995-2015) una ricerca di Bloomberg & McKinsey rivela che il 61% si dichiara disposto a pagare di più per beni prodotti in modo etico e il 71% è attento al tema della diversity nella pubblicità. Il business deve allora incorporare il social thinking: la visione che si deve affermare da oggi in poi è quella del marketing come disciplina che guida il contributo dell’azienda ad una crescita responsabile sotto tutti i pro li, allargando lo sguardo dalle ricadute più dirette del suo operato a quelle indirette, arrivando a creare un impatto positivo sulla realtà considerata su scala potenzialmente globale, anche compensando le lacune del sistema pubblico nell’occuparsi del bene col-
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lettivo. Addirittura si è arrivati alla de nizione di socialpreneurship (Sadia Kibria, 2019)8 sostenendo che diventare “imprenditori sociali” è l’unico modo di sopravvivere come imprenditori. Partendo dalla sensibilità dei propri stakeholder (consumatori, buyers, investitori) verso i temi della sostenibilità, si teorizza che l’imprenditore debba attuare un percorso che lo porti a poter proporre in modo reale e credibile il proprio bene/servizio come “soluzione ai problemi del mondo”. Ma che pubblici abbiamo di fronte? Se riguardo all’azione di informazione il terreno è fertile in quanto la sensibilità dei pubblici è alta, per il cambiamento dei modelli di consumo, e in ne del modo di vivere, la s da si fa più ardua. Per esempio, una ricerca di IPSOS di giugno 2018 rileva che il 20% degli italiani dichiara di avere una buona conoscenza dei temi relativi alla sostenibilità9. Tuttavia, lo scarto tra sensibilità e cambiamento nel modo di agire è molto elevato. La stessa ricerca evidenzia che solo il 10-15% di chi ha una forte consapevolezza sull’importanza della sostenibilità adotta dei comportamenti sostenibili (i cd. “sostenitori”) e il 50% di chi è mediamente informato è solo “predisposto” a comportarsi in modo sostenibile (i cd. “aperti”); poi vi sono gli “scettici” (16-20%) che, sebbene ben informati, sono poco propensi a comportamenti sostenibili e in ne gli “indifferenti” a cui la sostenibilità non interessa e quindi nemmeno cambiare stile di vita. Da un’altra indagine condotta nel secondo semestre del 2018 da SosLog-Associazione per la Logistica Sostenibile10, insieme al Dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano Bicocca, e con la collaborazione di Federconsumatori11, emerge che seppure il 46% degli intervistati ritenga che tutte e tre le dimensioni della sostenibilità (economica, sociale e ambientale) siano importanti e il 34% ritenga che l’aspetto ambientale sia il più rilevante, solo il 23% è fermamente convinto che i comportamenti e le 8 Conferenza di Sadia Kibria, CEO di Kotler Impact inc al World Marketing Summit, 2019. 9 Le rotte della sostenibilità, Op. Cit. 10 L’Associazione per la Logistica Sostenibile, nasce nel 2005 ad opera di esperti di logistica, informatici, docenti universitari, tecnici dell’innovazione e dell’ambiente, imprenditori ed operai del settore logistico, manufatturiero e ICT. 11 Indagine su acquisti abituali e attenzione alla sostenibilità per gli aspetti legati alla logistica del prodotto, come il trasporto degli stessi effettuato in modo rispettoso dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori.
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scelte di ciascuno possano fare la differenza, delegando la questione alle istituzioni nazionali per il 53%12. Dunque risulta esserci uno scarto tra informazione/conoscenza e azione/modi ca del proprio comportamento. Inoltre, diverse risultanze scienti che (R. H. Thaler, 2008)13, ci dicono che non tutte le nostre scelte sono dettate dalla razionalità, che i meccanismi della nostra mente alla base dei processi decisionali sfuggono in parte al nostro controllo e sono determinati invece da vincoli facenti parte di un contesto che esula da noi e sul quale altri hanno il potere di intervenire. Promuovere un cambiamento nelle scelte di consumo (e di conseguenza di produzione, trasporto, ecc.) è quindi attività complessa che implica anche la conoscenza di tali meccanismi e la volontà di investire sugli stessi. D’altra parte, proprio grazie a studiosi e scienziati, sono oramai note le tecniche che è possibile mettere in atto per in uenzare le decisioni dei cittadini/consumatori orientando le loro scelte verso comportamenti che favoriscono la diffusione di modelli di sostenibilità: se le aziende possono utilizzare le neuroscienze per in uire sui comportamenti di consumo (neuromarketing) possono anche contribuire a promuovere quelli orientati al bene comune (Moran Cerf, 2017)14. Quali sono le leve sulle quali agire? Secondo la ricerca IPSOS già citata, la spinta all’azione ovvero alla modi ca dei comportamenti di fronte alla scelta di prodotti/servizi più o meno sostenibili è guidata da etica, paura, ricerca della qualità. L’etica è una leva importante, ma vale solo per un numero limitato di soggetti con livello di consapevolezza e conoscenza dei temi della sostenibilità molto elevati. La paura viceversa muove un numero consistente di persone spaventate dalle informazioni circa di disastri ambientali, ma ha una forza limitata nel tempo e risulta quindi poco efficace in processi di lungo termine. È la ricerca della qualità del prodotto o del servizio a rappresentare la leva più duratura e convincente: sostenibilità e qualità del prodotto e del servizio stanno via via diventando sinonimi, ossia il prodotto/servizio di maggiore qualità è quello più sostenibile in 12 Speciale Logistica sostenibile, a cura di Cecilia Biondi in collaborazione con SOS-Logistica Ottobre, 2019, contributo di Luca Vecchio, Dip. Di Psicologia Uni Milano-Bicocca, “Meno consumatori e più consum-attori”. 13 Thaler R. H., Sustein C.R. /2008), Nudge: Improving Decisions about Health, Wealth, and Happiness, Yale University Press, New Haven & London. 14 Cerf M., e Garcia-garcia M. (2017) (a cura di), Consumer Neuroscience, MIT Press, Cambridge, USA.
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senso ampio, quello che meglio persegue il bene comune15: è qui dunque che va puntata l’attenzione dei consumatori/utenti per raggiungere contemporaneamente la loro soddisfazione, il successo dell’azienda, la tutela dell’ambiente e dei diritti della collettività.
Comunicazione e comportamenti sostenibili nel settore del trasporti La comunicazione della sostenibilità nel campo dei trasporti gioca un ruolo strategico sotto diversi pro li. In linea generale, in quanto i trasporti svolgono indubbiamente un ruolo fondamentale nella società e nell’economia, condizionando pesantemente la vita e il benessere dei Paesi, delle comunità, dei singoli. Allo stesso tempo i trasporti rappresentano una delle principali fonti di pressione ambientale contribuendo ai cambiamenti climatici (consumando energia fossile), all’inquinamento atmosferico, alla produzione di rumore, al consumo di suolo e alla frammentazione degli ambienti naturali per effetto delle reti infrastrutturali su cui poggiano. Dunque, attivare una comunicazione che favorisca la sostenibilità del comparto può portare bene ci particolarmente rilevanti per la collettività. Se poi all’interno del settore consideriamo il trasporto delle merci, tenuto conto che la domanda dello stesso si stima triplicherà nei prossimi trent’anni, l’urgenza di intervenire per ridurne l’impronta di carbonio, anche attraverso attività di informazione e comunicazione che modi chino i comportamenti di offerta e domanda, è ancor più marcata. Tra le varie soluzioni adottabili per la “decarbonizzazione della logistica” (Mc Kinnon, 2018)16, ve ne sono almeno due che prevedono un ruolo rilevante per la comunicazione: la riduzione della domanda e l’ottimizzazione delle modalità utilizzate. Ebbene: entrambe possono essere perseguite, da un lato, sensibilizzando le aziende nella misurazione della propria impronta ambientale e indirizzandole verso comportamenti più 15 Riguardo al legame sempre più stretto tra “qualità” e “sostenibilità” di prodotti e servizi si pensi al marchio “Made Green in Italy” che, nato a seguito dell’entrata in vigore in giugno 2018 del Regolamento per l’attuazione dello schema nazionale volontario per la valutazione e la comunicazione dell’impronta ambientale dei prodotti, adottato dal Ministro dell’Ambiente, lega l’eccellenza e la qualità italiana all’impronta ambientale. 16 McKinnon A. (2018), Decarbonizing logistics, Kogan Page, London (UK).
virtuosi e, dall’altro, rendendo evidenti tali comportamenti ai consumatori in modo da offrire loro la possibilità di premiarli. Tuttavia, la realtà del trasporto delle merci e della logistica, più in generale, è poco nota al pubblico e la consapevolezza dei suoi impatti sull’ambiente è altrettanto scarsa. Si pensi all’esempio limite dell’e-commerce. Un’inchiesta del quotidiano The Guardian, pubblicata nel dicembre 2019, sottolineava come la comunicazione di Amazon17 (e d’altra parte anche quella di altre aziende leader dell’e-commerce) sia stata incentrata per molti anni sulla riduzione dei tempi di consegna (arrivata a due giorni con la creazione di Amazon Prime nel 2005), per rendere la spedizione del tutto irrilevante nell’esperienza di acquisto: per miracolo il desiderio del cliente prende forma “quasi istantaneamente” dall’ordine sul web al pacco che si materializza nel luogo di consegna. In realtà, i clienti che aspettano no a cinque giorni per la consegna a domicilio potrebbero aiutare a ridurre le emissioni di anidride carbonica di circa il 30% nell’ultimo miglio di una consegna (J. Velazquez-Martinez, 2019)18. Se l’e-commerce tenta proprio di distrarre l’attenzione del consumatore dalla logistica, in generale i processi logistici sembrano restare “nascosti” al pubblico. Premesso questo, e che quindi c’è del lavoro da fare sotto il prolo di informazione/comunicazione, meglio focalizzarsi subito su interventi che favoriscano il successo delle azioni da intraprendere. Rispetto ai consumatori, in merito all’impegno in ambito ambientale, va segnalato che questi preferiscono affidarsi a dati quanto più oggettivi possibile e all’attestazione imparziale di un soggetto terzo che dia conto dell’effettiva impronta ambientale, per cui rispetto alla sostenibilità della logistica di un’azienda si andrà ricercando certi cazioni ad hoc o avalli analoghi; tali segni saranno riconosciuti come elementi che vanno ad aumentare la qualità del bene/servizio e ne rendono più alto il valore. 17 Va dato atto, d’altra parte, che nel 2019 Amazon si è impegnato a rendere il 50% delle sue consegne “carbonio zero netto” entro il 2030 ed è stata la prima azienda a rmare il Climate Pledge, un impegno che invita i partecipanti a raggiungere zero emissioni nette di carbonio tra le loro attività entro il 2040. Inoltre, nel 2021, inizierà a effettuare alcune consegne con una otta di veicoli. In ne, nel febbraio di quest’anno, ha lanciato il fondo Bezos Earth Fund che erogherà sovvenzioni a chi cerca soluzioni contro la crisi climatica, stanziando 10 miliardi di dollari. 18 Siegel R., Green J (2019) “Amazon CEO Jeff Bezos announces new ‘Climate Pledge’ ahead of employee protests”, The washington Post, 19 settembre.
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Le aziende dunque, per assicurarsi una maggiore efficacia delle proprie azioni di green marketing applicate all’utilizzo dei trasporti da parte loro, non solo devono adottare strumenti oggettivi e il più possibile standardizzati, ma anche conseguire certi cazioni da poter esibire al consumatore. In merito agli strumenti che consentono di misurare l’impatto ambientale della supply chain delle aziende è interessante ricordare che, a titolo di esempio, GS1 Italy19 in collaborazione con Green Router20 ha sviluppato diverse soluzioni per fornire all’impresa i dati circa l’impatto climatico della propria logistica e consentirle di intervenire per ridurlo. È il caso di Ecologistico2, uno strumento che ricostruisce i ussi di materiale trasportato (cosa viene trasportato, da dove a dove, con quali mezzi/modalità), e interviene per ridurre la domanda di trasporto ovvero renderla più efficiente sotto il pro lo dell’emissione di Co2 e del particolato (PMx). La possibile applicazione di questo strumento da parte di una vasta comunità di imprese è fattore rilevante sotto il pro lo della comunicazione, in quanto diventa tratto distintivo e riconoscibile dell’impegno nel contenimento degli impatti dei ussi di trasporto. Sotto il pro lo dei loghi o delle certi cazioni in merito alla sostenibilità ambientale nel comparto di cui si tratta, ma anche a quella economica e sociale, va citata l’iniziativa di SosLog-Associazione per la Logistica Sostenibile, insieme con l’organismo di certi cazione Lloyd’s Register, che nel 2017 ha proposto un Protocollo volto ad oggettivare e rendere riconoscibile, attraverso il marchio “Sustainable logistics”, l’impegno delle imprese per un minor impatto dei processi logistici e di supply chain. Per poter ottenere tale marchio, le aziende devono superare le prove imposte dall’organismo di certi cazione: a seconda del 19 GS1 Italy, che raccoglie 35 mila imprese attive nel settore dei beni di largo consumo è una delle 114 organizzazioni non pro t che operano in tutto il mondo per promuovere l’utilizzo degli standard GS1, ossia il linguaggio comune per identi care, catturare e condividere le informazioni lungo la supply chain e assicurare che le informazioni importanti siano accessibili, corrette e facilmente comprensibili. Il più conosciuto è il codice a barre, usato da oltre un milione di imprese nel mondo. 20 GreenRouter, nata nel 2016 per iniziativa di Andrea Fossa, consulente strategico e Direttore Scienti co dell’Osservatorio Contract Logistics del Politecnico di Milano, insieme ad alcuni collaboratori si pone l’obiettivo di rendere la misurazione dell’impatto climatico delle liere logistiche una prassi consolidata per le imprese.
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punteggio raggiunto, l’azienda ottiene un marchio green, blue, silver o gold, di validità annuale da poter esibire sui propri prodotti/ servizi e in generale da poter utilizzare nella comunicazione corporate rivolta a tutti i propri interlocutori. L’obiettivo è proprio aiutare il consumatore nale a sviluppare una maggiore consapevolezza nell’acquisto di prodotti trasportati/ immagazzinati e movimentati/distribuiti con processi sostenibili al ne di orientare le sue scelte premiando questi ultimi: in tal modo si innesca un circolo virtuoso alimentato dalla comunicazione focalizzata su questi aspetti. Caso analogo è quello del marchio “Lean & Green” rilasciato ai trasportatori che realizzano un piano quinquennale di riduzione del 20% nelle emissioni di gas serra. Tale marchio consente di premiare gli operatori del trasporto virtuosi, privilegiati da committenti a loro volta impegnati sotto il pro lo della riduzione dell’impronta ecologica della propria attività. Interessante notare come il programma Lean & Green sia nato nel 2007 come iniziativa di sensibilizzazione sulla sostenibilità ambientale a cura del Ministero dei Trasporti olandese, diventando poi una leva reputazionale sfruttata non solo da trasportatori e operatori logistici impegnati per la tutela ambientale, ma anche dai produttori che se ne avvalgono e diffondendosi in tutta Europa.. D’altra parte, va rilevato che se verso il Consumatore l’informazione in merito agli impatti ambientali della logistica di un prodotto o servizio risulta una pratica ancora “pro-attiva”, dato che questo, come detto sopra, risulta ancora poco attento a questi aspetti, tale attività sta diventando sempre più necessaria come riscontro dovuto sia verso gli investitori21 e sia rispetto ad indicazioni normative22 nel quadro delle comuni21 Larry Fink, il numero uno del fondo americano BlackRock, all’inizio dell’anno, ha inviato ai CEO delle aziende una lettera in cui dichiara che “Saremo sempre più propensi a votare contro i dirigenti e i consiglieri di amministrazione quando le società non svolgeranno progressi sufficienti in materia di informativa sulla sostenibilità e non predisporranno linee guida e piani aziendali ad essa connessi”. E ancora, Fink sottolinea che “i capitali si sposteranno in base alla trasparenza in materia di sostenibilità”. 22 Sotto il pro lo delle prescrizioni, per esempio, la Direttiva Europea 2014/95/UE ha richiesto agli stati membri dell’Unione di introdurre un nuovo obbligo in tema di dichiarazioni di informazioni di carattere non nanziario e di informazioni sulla diversità. In Italia la direttiva sopracitata è stata recepita con l’approvazione del D.Lgs.n. 254/2016 che introduce per imprese e gruppi di grandi dimensioni l’obbligo di presentare la dichiarazione non nanziaria relativa a temi ambienta-
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cazioni sul fronte della sostenibilità a trecentosessanta gradi. Venendo al caso delle aziende il cui core business è imperniato sul trasporto (armatori, vettori aerei, vettori ferroviari, autotrasportatori, ma anche la Grande Distribuzione e i nodi logistici come i porti, gli interporti e gli aeroporti), la comunicazione sul loro impegno per la riduzione degli impatti ambientali, sia attraverso il contenimento dei trasporti e sia attraverso l’ottimizzazione delle modalità e/o l’investimento in nuove soluzioni che riducano l’impronta di ciascuna delle stesse, è particolarmente cruciale in quanto le pressioni sono molto più forti e dirette da parte dei tre fattori succitati: le normative, gli investitori, i fruitori e l’opinione pubblica più in generale. Sotto il pro lo normativo, a livello internazionale, europeo e nazionale sono stati ssati in modo speci co obiettivi e standard da rispettare per ogni modalità e di conseguenza si è sviluppata una comunicazione a tal proposito attivata da parte sia di ciascuna categoria e sia di diversi operatori del comparto (vedi i contributi del presente volume) al ne di rendere conto sull’ottemperanza, se non sul superamento, dei nuovi standard. Sotto il pro lo dell’interesse degli investitori, se consideriamo che nel comparto dei trasporti gli investimenti sono particolarmente ingenti e la piani cazione è necessariamente di lungo periodo, risulta evidente come si tratti di un settore in cui dare riscontro agli investitori attraverso dichiarazioni e informative in merito al rispetto di molteplici indici e standard ambientali sia assolutamente essenziale e anzi vada dimostrato anche un rapporto costante e positivo con gli stakeholder, a garanzia della minimizzazione dei rischi reputazionali sul fronte della sostenibilità e della tutela ambientale in particolare. In ne, sotto il pro lo della relazione con i clienti/utenti/fruitori, comunicare in modo convincente sul proprio impegno ai ni ambientali non è più un plus che arricchisce la qualità del servizio, bensì è diventato un fatto di sopravvivenza per chi opera nel comparto di cui si tratta. Rispetto all’attenzione della domanda, infatti, vi è un effettivo rischio reputazionale sempre presente in quanto, non solo l’impatto ambientale del trasporto è tutt’altro che un aspetto invisibile, ma anzi proprio in quanto la sua incidenza sulle emissioni climalteranti è fatto notorio, li, oltre che sociali, attinenti al personale, ai diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva.
le aziende e le organizzazioni che operano nel comparto sono da tempo nell’occhio del ciclone delle campagne dei gruppi e delle associazioni ambientaliste, o comunque paladine della sostenibilità, e quindi il rischio di perdere la ducia degli stakeholder è sempre molto alto.
2 - Un aereo in volo. 3 - Un messaggio video della compagnia aerea KLM sul tema del y responsibly (fonte: https:// flyresponsibly.klm.com/ gb_en#home).
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Trasporto aereo - Nel comparto aereo, per esempio, tra i più criticati per impatto ambientale, è interessante notare che già nel 2011 l’Ong tedesca Atmosfair23 aveva proposto un indice che stabiliva il grado d’impatto ambientale delle compagnie aeree, al ne di sensibilizzare l’opinione pubblica e penalizzare le compagnie meno performanti da questo punto di vista; tuttavia, all’epoca, questo tipo di comunicazione, come altre analoghe su altri temi da parte di vari gruppi di pressione legati al mondo ambientalista, non fece breccia sull’opinione pubblica più ampia. Anche l’iniziativa “No Fly Climate Sci”, avviata nel 2017 da parte di ricercatori, docenti e scienziati che – per citarli - “non volano o volano il meno possibile” come “simbolo di tutte quelle abitudini che dovremmo abbandonare nella nostra transizione verso uno stile di vita meno inquinante e più sostenibile” resta piuttosto circoscritta al mondo accademico. Tuttavia è grazie a Greta Thunberg24 e al movimento che da lei ha avuto origine e si è diffuso in tutto il mondo che, solo un anno dopo, la mobilitazione contro il volo viene messa in atto dai consumatori stessi che si “vergognano” di volare – il cd. ightshaming (la “vergogna di volare”) – con il risultato di far registrare un terzo dei 700 milioni di passeggeri trasportati in Europa da parte di EasyJet e Ryanair nel 2018 e di ridurre del 4 % i passeggeri negli aeroporti svedesi nel 2019, ma anche di far registrare un milione e mezzo in più di biglietti del treno venduti dalle ferrovie svedesi nel 2018 rispetto all’anno prima (pari al 15% degli abitanti del Paese). La prima compagnia aerea a reagire sotto il pro lo del green marketing è KLM Royal Dutch Airlines, che a metà 2019 lancia “Fly Responsibly”, una campagna di comunicazione volta a condividere con il consumatore la responsabilità della riduzione dell’impatto del volo sull’ambiente, anche attraverso l’utilizzo di mezzi di trasporto alternativi sulle brevi distanze. 23 Atmosfair è un’organizzazione tedesca senza scopo di lucro impegnata attivamente per la mitigazione della CO₂ promuovendo, sviluppando e nanziando energie rinnovabili in oltre 15 Paesi in tutto il mondo. Con l’obiettivo di decarbonizzare l’economia mondiale, ha progettato software e servizi di consulenza per assistere le aziende nell’attivazione delle loro politiche climatiche, con particolare attenzione ai viaggi d’affari. 24 Greta Thunberg è una giovane studentessa svedese, nata nel 2003, diventata la portabandiera della lotta al cambiamento climatico; ha fatto sentire la propria voce ai potenti del pianeta e scendere in piazza decine di migliaia di giovani per i ‘Fridays for Future’, lo sciopero salva pianeta di cui è l’arte ce.
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Ciò rende più credibili le dichiarazioni della compagnia circa l’investimento nel rinnovamento della otta, nell’utilizzo di un combustibile “più ‘pulito”, nell’apertura di un nuovo impianto per la produzione di carburante sostenibile nei Paesi Bassi: tutte iniziative volte al contenimento degli impatti dei voli sulle lunghe distanze. Oltre a ciò, la compagnia invita i passeggeri a compensare le proprie emissioni con il servizio CO2ZERO che nanzia un’iniziativa di riforestazione a Panama. Altra reazione interessante quella di Skyscanner: è nel 2019 che arrivano le etichette “Opzione Ecosostenibile” per favorire la scelta di voli a basse emissioni di CO2 da parte dei viaggiatori. La società, rispetto alla richiesta di una tratta da parte di un utente, propone tutte le opzioni possibili evidenziando la corrispondenza alle proprie esigenze e a quelle del Pianeta. La campagna di comunicazione recita: “Vogliamo che il mondo impari a viaggiare in modo più moderno e sostenibile: questa è la nostra nuova missione” e ancora: “Viaggiare è uno dei più grandi piaceri della vita e vogliamo che sia così anche per le prossime generazioni”. Dato che la compagnia comunica con circa 100 milioni di viaggiatori al mese e che questa proposta ha già fatto sì che 10 milioni di essi scegliessero opzioni più sostenibili, possiamo dire di nuovo che si sia raggiunto un risultato per l’azienda, per i gli utenti che chiedono di ridurre l’impatto dei loro viaggi e contemporaneamente per l’ambiente.
Trasporti marittimi e porti - Anche i nodi logistici, come le grandi infrastrutture portuali, da sempre bersagliate per le esternalità negative che generano (cd. Sindrome di Nimby25) e d’altra parte gestite per lo più da soggetti pubblici, riconoscono sia l’importanza della comunicazione circa il proprio impegno per ridurre l’impronta dei ussi di trasporto in entrata e in uscita e sia quella di orientare l’utenza sull’ottimizzazione delle modalità e delle rotte. 25 Nimby, acronimo anglosassone della frase Not In My BackYard, ovvero “non nel mio cortile”, utilizzata per de nire l’atteggiamento paradossale di chi nel riconoscere come necessari, o comunque possibili, gli oggetti del contendere che consistono nella realizzazione di opere per la collettività - come ad esempio grandi infrastrutture, sviluppi industriali, termovalorizzatori, discariche, depositi di sostanze pericolose, ecc. - contemporaneamente, le dichiara indesiderabili nel proprio territorio di riferimento in considerazione degli effetti negativi sull’ambiente locale e sulla salute delle persone.
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4 - Il porto di Barcellona investe da molti anni sulla sostenibilità sia adottando misure di tutela ambientale e sia dialogando costantemente con il territorio per condividere le strategie di sviluppo portuale. Fig .4 Una veduta notturna del terminal container nell’area del porto commerciale.
5 - Gli ormeggi dedicati al diporto in una delle zone più popolari di Barcellona, vicino al centro della città.
Interessante a tale proposito il caso del porto di Barcellona che già nel settembre 2013 mette a disposizione dei suoi utenti eCocalculator, uno strumento per calcolare le emissioni di CO2 generate trasportando un container tra l’Europa e il resto del mondo attraverso la propria infrastruttura. Lo strumento mette a disposizione informazioni circa l’impronta della rotta marittima e terrestre tra il porto di partenza, quello di
Barcellona e la destinazione europea, indicando distanze totali ed emissioni di CO2 per ciascuna modalità di trasporto. Questi risultati possono essere confrontati con rotte alternative attraverso altri porti europei, con ciò “dimostrando” di anteporre l’interesse collettivo della tutela ambientale alla mera “vendita” dei propri servizi. Tale porto de nisce, infatti, questo strumento come la materializzazione - ossia la prova concreta -
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e pertanto sono chiamate a dare riscontri sul loro impegno per la riduzione e l’ottimizzazione del trasporto, sono gli operatori della Grande Distribuzione. Tra questi degna di nota è la campagna di comunicazione di COOP “Fatti non parole”. che dedica un focus sui trasporti e riporta in modo dettagliato dati e informazioni veicolati con un linguaggio accessibile su tutto quanto posto in essere su questo fronte: a partire dall’utilizzo della modalità ferroviaria piuttosto che quella stradale per oltre due terzi dei trasporti di merce tra le centrali di distribuzione nazionali e regionali; all’utilizzo dell’intermodalità o dell’aereo solo se indispensabile per non compromettere la qualità dei prodotti; al rifornimento di mezzi no al 20 % con biodiesel prodotto da ri uti organici, no a citare la “chicca” dell’autocarro a idrogeno, che emette da 70 a 80 tonnellate di CO2 in meno all‘anno rispetto ad uno tradizionale e la gestione della prima stazione pubblica di rifornimento a idrogeno in Svizzera. ‘
6 -Un modulo EcotransIT World, proposto da UIC per calcolare consumi energetici ed emissioni inquinanti in relazione alla modalità di trasporto usata per il trasporto merci (fonte: https://www. ecotransit.org/calculation.en.html). 7 - Una comunicazione di Trenord riguardante il bene cio per l’ambiente derivato dall’uso del treno (fonte: http://www. trenord.it/it/green-train).
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del suo “impegno contro il cambiamento climatico” (“its commitment to climate change”): il guadagno in termini reputazionali e di attendibilità è certo, ma anche la sensibilizzazione circa la rotta e le modalità di trasporto più sostenibili. Non è un caso poi che la scelta del Mediterraneo risulti vincente nel traffico tra Europa e Asia rispetto a quella dei Porti del Nord Europa, laddove EcoCalculator dimostra “incidentalmente” - come si leggeva nelle notizie diffuse alla stampa all’epoca - che scegliere un porto del Sud Europa nella rotta AsiaUE consentiva di risparmiare una media del 15% in CO2 rispetto ai porti del Nord, oltre che risparmi in termini di consumi di carburanti, tempi di consegna e in ne di guadagni in termini di competitività. Altre realtà più complesse, che sono ritenute generatori di ussi di traffico delle merci
Ferrovie - Anche gli operatori ferroviari, pur trattandosi dei “virtuosi del settore” sotto il pro lo delle emissioni climalteranti, hanno investito molto nella sensibilizzazione e nell’orientamento del consumatore. In questo caso potremmo dire che hanno proprio cavalcato l’onda del buon posizionamento relativo, rispetto ad altre modalità, proponendo strumenti che consentissero all’utente di “vedere con i suoi occhi” le conseguenze delle sue scelte quotidiane in merito al trasporto, scelte che in linea generale depongono a favore dell’uso del mezzo ferroviario. È il caso dell’Union Internationale des Chemins de fer (UIC) che propone EcoTransIT World (ETW) per misurare la sostenibilità del trasporto merci. L’applicazione consente il calcolo dei consumi energetici e delle emissioni inquinanti in atmosfera, a seconda delle diverse modalità di trasporto merci e passeggeri (aereo, treno, nave, auto). Sotto il pro lo della Comunicazione, si dà conto dell’impegno nella produzione di dati oggettivi, veri cabili, credibili rendendo noto il coinvolgimento nel progetto di Istituti e Centri di Ricerca superpartes e autorevoli come il German Institute for Environment, i migliori provider di software in Europa e l’approvazione dell’European Environment Agency. Si segnala poi che nel caso di ETW si ribadisce in tutti i modi e in tutti gli strumenti di comunicazione che la metodologia è “scienti ca e
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neutrale”, citando certi cazioni e accreditamenti nel rispetto di Protocolli internazionali sulle emissioni climalteranti26. Ma ciò che è più interessante ancora è che, accanto a queste informazioni, si dichiara espressamente che “i risultati di ETW sono utilizzati per determinare l’impronta di CO2 ai ni di comunicazione corporate interna ed esterna”. Di nuovo, quindi, promozione dei propri servizi e comunicazione sulla sostenibilità vanno a braccetto: l’UIC dichiara di far propria la preoccupazione circa l’incremento delle emissioni mondiali di gas a effetto serra e di voler fare la sua parte attraverso questi strumenti che forniscono dati oggettivi direttamente all’utente sul web in modo semplice, mettendolo quindi in condizione di poter scegliere la soluzione migliore per il Pianeta. Per citare un caso analogo nel nostro Paese, sempre nel settore ferroviario, ma più mirato allo shift tra auto e treno, degno di menzione è quello di Trenord – società che gestisce il servizio ferroviario della Lombardia, che già sei anni fa puntava sul suo impegno per la sostenibilità come tratto distintivo: l’”obiettivo dell’azienda è quello di fornire un servizio eccellente che incentivi sempre più l’uso del treno, contribuendo così a ridurre indirettamente l’impatto ambientale”. Per rendere effettivo e veri cabile il suo impegno elabora “Green Train”, ossia uno strumento - sviluppato grazie alla collaborazione con LifeGate - advisor e network impegnato da oltre 10 anni nella sostenibilità – che consente al viaggiatore di quanti care, tramite una semplice comparazione auto-treno, il risparmio di gas serra generato dal proprio tragitto utilizzando il ferro piuttosto che la gomma. Ma non solo: il sistema rileva anche il risparmio economico rispetto all’uso dell’auto privata, che implicherebbe parcheggi, multe, usura pneumatici, assicurazione, ecc.; in ne, è possibile fare un salto di qualità e andare a scoprire anche l’impatto sull’ambiente del proprio stile di vita quotidiano: di nuovo promozione del servizio ed educazione ambientale dell’utenza e dei cittadini più in generale vanno di pari passo.
Conclusioni La globalizzazione e la frenesia del nostro tempo non solo hanno offerto a molti la possibilità di raggiungere qualsiasi Paese e poter godere di ogni bene desiderabile, ma anche di farlo in tempi strettissimi. Il prezzo da pagare in termini di disuguaglianze all’interno dei Paesi e tra Paesi e in termini di squilibri e danni ambientali si è rivelato molto rilevante. Per invertire la rotta e cambiare modello di sviluppo è necessario che tutti - cittadini, istituzioni, imprese –cambino il proprio modo di vivere, consumare, produrre. Il mondo del trasporto è a supporto della realizzazione dei nostri desideri, per cui il suo operato si posiziona tendenzialmente più nell’ambito delle conseguenze delle nostre scelte che non nell’ambito delle cause. Attraverso i casi citati si rileva che la comunicazione sull’investimento nella sostenibilità da parte di operatori virtuosi del settore trasporti e logistica, soprattutto utilizzando elementi che facciano leva sulla qualità e il più alto valore del servizio, riesce a raggiungere contemporaneamente due obiettivi: da un lato, quello di migliorare la reputazione dell’operatore che investe sulla sostenibilità, facendolo premiare dalla domanda e dunque incoraggiandolo a proseguire; dall’altro, quello di rendere via via più consapevole il fruitore dei servizi circa le conseguenze delle sue scelte, orientandole verso soluzioni più sostenibili. Ne deriva un circolo virtuoso nel quale si concorre tutti verso il medesimo obiettivo: il bene comune. © Riproduzione riservata
26 Il software è accreditato dallo Smart Freight Centre (SFC), nato nel 2013 come organizzazione globale senza scopo di lucro che si pone l’obiettivo del trasporto sostenibile, o meglio “Smart” delle merci, nel senso di una logistica efficiente e a emissioni zero, che contribuisce agli obiettivi dell’Accordo sul clima di Parigi e agli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’ONU, facendo sì che 100 multinazionali riducano almeno il 30% delle emissioni logistiche entro il 2030 rispetto al 2015 e raggiungano emissioni nette zero entro il 2050.
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Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, azioni integrate per un nuovo modello di sviluppo Intervista ad Enrico Giovannini a cura di Federica Bosello
Visione sistemica e azione collettiva sono leve fondamentali per realizzare l’Agenda 2030 dell’ONU per lo sviluppo sostenibile, che dedica a “trasporti e le infrastrutture” due dei suoi diciassette obiettivi. Sono questi i temi dell’intervista a Enrico Giovannini, già Presidente dell’ISTAT e Ministro del lavoro e delle politiche sociali, oggi docente presso l’Università di Roma Tor Vergata e portavoce di ASviS, Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, impegnata per sensibilizzare imprese, cittadini e Istituzioni sull’urgenza di cambiare modello di sviluppo. Trasporti & Cultura - Dr. Giovannini, qual è la mission di ASviS e quali sono i risultati che ha già raggiunto? Giovannini - L’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (ASviS) è nata, sotto l’impulso della Fondazione Unipolis e dell’Università di Roma Tor Vergata, per diffondere la cultura legata allo sviluppo sostenibile nella società civile, nel mondo delle imprese e nelle istituzioni, attraverso la promozione dell’Agenda 2030 dell’Onu, rmata da 193 Paesi, compreso il nostro. Dalla creazione, sono passati ormai quattro anni, l’ASviS di risultati signi cativi ne ha raggiunti diversi, ne cito qualcuno. Iniziativa importante è la pubblicazione del nostro Rapporto annuale sulla situazione italiana in merito al raggiungimento dei 17 Sustainable Development Goals - SDGs, ma l’Alleanza si muove su più fronti. Come quello della comunicazione dove, insieme all’Agenzia Ansa, abbiamo lanciato il portale Ansa 2030 per aumentare la sensibilità su questi temi nell’opinione pubblica. Senza dimenticare il Festival dello Sviluppo Sostenibile, una manifestazione che vede protagonista la società civile e che lo scorso anno ha potuto contare su più di mille eventi in tutta Italia, e i Saturdays for Future per il consumo e la produzione responsabili. Inoltre, l’ASviS svolge attività per la formazione nelle scuole di ogni ordine e
Italian Alliance for Sustainable Development, integrated actions for a new model of development An interview with Enrico Giovannini by Federica Bosello Systemic vision and collective action are fundamental levers to achieve the United Nation’s Agenda 2030 for sustainable development, which dedicates two of its seventeen goals to “transport and infrastructure”. These are the themes of the interview with Enrico Giovannini, a professor at the Università di Roma Tor Vergata and spokesperson for ASviS, the Italian Alliance for Sustainable Development, committed to making businesses, citizens and Institutions aware of the urgent need to change our development model. Mr. Giovannini explained the mission and the results achieved by ASviS, illustrating how it is possible to in uence the behaviour of companies and citizens to encourage a more sustainable model of development. To make the transport and infrastructure sector more sustainable in Italy, Giovannini believes it is urgent to launch a plan to monitor existing conditions, important to reinforce railway service for goods and people, and appropriate to enhance intermodality for urban mobility, in order to make cities more liveable and resilient.
Nella pagina a anco, in alto: Milano sotto una cappa grigia: ogni anno in Italia 80mila persone perdono la vita a causa dell’inquinamento atmosferico; in basso: bike sharing: gli incentivi ad una mobilità green insieme ai comportamenti virtuosi dei cittadini possono incidere concretamente sulla qualità della vita nelle nostre città.
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1 - Obiettivo 9 dell’Agenda 2030 dell’ONU (imprese, innovazioni e infrastrutture): rispetto al 2010 l’Italia ha registrato dei progressi per esempio nella diffusione della banda larga.
grado, nelle università e negli istituti di alta formazione e aggiornamento professionale per manager, amministratori pubblici, giornalisti. Possiamo affermare che l’ASviS è un punto di riferimento istituzionale sui temi della sostenibilità e un’autorevole fonte di informazione. L’ottima reputazione dell’ASviS si estende anche a livello internazionale, tanto è vero che è diventata, tra l’altro, partner scienti co del Padiglione Italia per Expo Dubai 2020. T&C - Tra i diciassette SDG si possono individuare delle priorità? Quali sono secondo l’opinione pubblica e secondo voi? Giovannini - L’Agenda 2030 rappresenta un piano strategico globale di portata storica basato sull’azione collettiva, la consapevolezza dell’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo e la visione integrata dei vari temi. Proprio per questo motivo non è possibile individuare una priorità: la visione sistemica data dall’Agenda 2030 ci dice che ogni SDGs è indispensabile, e ognuno contribuisce al raggiungimento dell’altro. Tuttavia, se vogliamo riferirci al contesto attuale, è evidente che le priorità riguardano gli obiettivi legati alla sanità, alla povertà e alle disuguaglianze, all’occupazione e alla crescita economica. Ma, come ho detto, l’Agenda 2030 ci insegna - e questa crisi epidemica ci ha confermato - che le dimensioni economiche, sociali, ambientali e istituzionali sono strettamente interconnesse.
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Trasporti & Cultura - Come si può incidere sui comportamenti delle aziende e dei cittadini a favore di un modello più sostenibile di sviluppo? Quali gli strumenti in mano ai Governi a tal ne? Giovannini - Anche in questo caso potremmo dire che le cose sono collegate. Basti pensare a come i comportamenti virtuosi, che molti cittadini hanno deciso di mettere in atto, abbiano inciso sul cambio di determinate strategie aziendali. In campo alimentare, per esempio, ma anche nel settore dei trasporti. È indubbio che il settore si stia orientando sempre di più verso l’elettrico anche per via della maggiore sensibilità dei consumatori. In questa trasformazione il governo gioca un ruolo cruciale, attraverso la leva scale e lo stanziamento di risorse per la transizione economica può per esempio tracciare la strada da far seguire al comparto industriale. Voglio ricordare, però, che la sostenibilità offre già bene ci per le aziende. Secondo una recente ricerca dell’Istat, a parità di condizioni, investire in sostenibilità porta a un aumento di produttività pari a una quota del 15% per le aziende di grandi dimensioni, del 10% per quelle con più di 95 dipendenti e del 5% per quelle con più di 75 dipendenti.
T&C - Il comparto dei trasporti e delle infrastrutture in quali degli SDGs è citato? Gioca un ruolo rilevante per la realizzazione dell’Agenda 2030?
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Giovannini - I due settori vengono trattati dal Goal 9 “Imprese, innovazione e infrastrutture” e dal Goal 11 “Città e comunità sostenibili” dell’Agenda 2030 e sono importanti anche per il raggiungimento degli altri SDGs. Basti pensare a quello sulla salute, il Goal 3. Ogni anno nel nostro Paese, primo in Europa in questa triste classi ca, 80 mila persone perdono la vita prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico prodotto in gran parte da edi ci, che necessitano di riquali cazione e innovazione, e dal traffico urbano. L’Agenda 2030 ci offre la possibilità di ragionare in modo sistemico, risolvere un problema ci aiuterà a mitigare gli altri. L’obiettivo è quello di trasformare le nostre città, per far sì che siano a misura d’uomo. Sempre per contestualizzare l’argomento alla situazione di grande vulnerabilità attuale, le città sono chiamate a svolgere un ruolo fondamentale per la protezione degli abitanti e devono prepararsi a possibili shock futuri, prevedendo e preparandosi per affrontare le crisi e non rincorrere le emergenze. T&C - All’interno di ASviS, il contributo del settore dei trasporti e delle infrastrutture rispetto all’Agenda 2030 è oggetto di ricerca da parte di uno o più Gruppi di Studio? Giovannini - Ogni Goal dell’Agenda 2030 ha il proprio gruppo di lavoro nell’ASviS. Pensi che abbiamo più di 600 esperti che si occupano di formulare analisi e proposte, indirizzate alla classe dirigente e ai decisori politici, per mettere l’Italia su un sentiero di sviluppo sostenibile. Oltre alle diverse informazioni presenti nel Rapporto ASviS “l’Italia e gli Obiettivi di sviluppo sostenibile”, segnalo il documento redatto dal gruppo di lavoro sul Goal 11 dal titolo “l’Agenda urbana per lo sviluppo sostenibile”, che fornisce diverse linee guida su come rendere le nostre comunità maggiormente sostenibili.
con problemi strutturali o problemi di umidità. Rispetto al 2006 si registra anche un calo nella concentrazione di inquinanti atmosferici nelle aree urbane. Resta però il grave problema dell’abusivismo edilizio, cresciuto dell’8% nel periodo 2010-2017. Segnali di incoraggiamento arrivano dal Goal 9 (imprese, innovazioni e infrastrutture), dove si registra un netto miglioramento in tutte le regioni italiane, nonostante permanga il divario tra esse. In particolare, rispetto al 2010, è cresciuta la quota di merci trasportata su ferrovia, mentre continua la diffusione della banda larga nel Paese. In generale, resta ancora molto da fare per rendere il Paese sostenibile su questi aspetti. T&C - Ci sono raccomandazioni che vorreste indirizzare a persone, imprese, istituzioni e politici per rendere il comparto dei trasporti e delle infrastrutture più sostenibile in Italia? Giovannini - Come abbiamo proposto in diverse occasioni, per le infrastrutture urge l’avvio di un piano di monitoraggio, che ci faccia comprendere lo stato dell’arte di quelle esistenti. Bisogna poi spingere sul potenziamento ferroviario per merci e persone, in modo da ridurre anche le emissioni gas serra prodotte. La mobilità urbana dovrà puntare sempre di più sull’intermodalità, quel processo che ci consente di spostarci per le nostre città nel modo più sostenibile possibile. L’Italia non deve perdere l’occasione di rendere le proprie città più vivibili e resilienti, un processo già avviato da altri Paesi europei. Su questo il governo dovrebbe varare un Piano nazionale per la mobilità sostenibile, come proposto nel Rapporto ASviS. Serve dunque un cambiamento radicale guidato dall’azione politica, che dovrà coinvolgere non solo il settore economico, ma anche quello ambientale e sociale. © Riproduzione riservata
T&C - Nel vostro ultimo rapporto, vi sono evidenze su progressi o meno del nostro Paese rispetto ad obiettivi che coinvolgano il comparto dei trasporti e delle infrastrutture? Giovannini - Il nostro rapporto evidenzia come sul Goal 11 (comunità e città sostenibili) le cose nel 2017 siano peggiorate rispetto al 2010; in particolare emerge un netto divario tra Nord e Sud del Paese. Va segnalato, però, che negli ultimi tre anni le cose sembrano migliorare, soprattutto per una migliore raccolta differenziata, per un numero minore di persone che vivono in abitazioni
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Dalle infrastrutture del territorio alle infrastrutture come paesaggio. Appunti sulla natura e sull’evoluzione dei sistemi stradali di Franco Purini
Se retrocedessimo di molti millenni no al periodo dei cacciatori e raccoglitori potremmo vedere con gli occhi della mente un sistema di percorsi in pianura o su rilievi nonché attraversamenti di corsi d’acqua, del tutto aderente alla conformazione del territorio. Come nel rapporto tra la mano e il guanto tale sistema era un’espressione diretta del suolo, seguito nel suo andamento orogra co con un mimetismo pressoché assoluto. I segni del tracciato erano una conseguenza della morfologia terrestre, sulla quale si tracciavano sentieri derivanti dalla modellazione del suolo, che nello stesso tempo descrivevano, includendo in esso torrenti e umi. Ostacoli da superare in punti particolarmente adatti, come il letto ristretto, la presenza in esso di pietre sulle quali camminare o, ad esempio a Roma con l’Isola Tiberina di due rami i quali, dividendo il ume, rendevano più comodo passare da una riva all’altra. Percorsi di crinale, di fondovalle e di mezzacosta, uniti da collegamenti trasversali formavano una griglia di collegamenti che misurava il territorio individuando in alcuni punti di intersezione di queste direzioni incroci strategici che diventavano nel corso del tempo altrettanti insediamenti, i primi villaggi che a loro volta, in molti casi, si trasformano in città. Più avanti, prima dell’Etruria e poi nei domini romani, la natura dei tracciati viari cambia radicalmente. Si cerca di rendere i percorsi più agevoli, veloci, sicuri e diretti, preferibilmente secondo tratti rettilinei. Gli Etruschi incidevano colline tufacee in modo che le strade fossero in grado di superare in modo meno impegnativo le differenze di quota, soluzione adottata poi dai romani, così come per valicare i corsi d’acqua si cominciò a costruire i ponti, prima in legno poi in pietra o in mattoni. Parallelamente il suolo veniva regolato da un reticolo a maglie quadrate di 710 metri di lato, la centuriatio, un’eredità che il mondo etrusco lascerà a quello romano, destinata a diffondersi non solo in Italia ma anche nei territori via via conquistati. Inoltre si
From the infrastructure on the territory to infrastructure as landscape. Notes on the nature and evolution of road systems by Franco Purini The author outlines a history of infrastructure, starting with the roads that, thousands of years ago, followed the con guration of the territory, then moving on to the accomplishments of the Romans, who built a network of roads and overcame many obstacles to construct works of remarkable architectural value. Those roads were used for centuries; some of them ran across Europe. Many roads follow those same routes to this day. Great change came with the industrial revolution, as iron was introduced into architecture and construction and railways were rst invented. The infrastructure system was steadily separated from its natural support, creating an arti cial geography, with the construction of iron bridges and increasingly daring works: from the embankments to the roadbeds of the railways, to the great viaducts. Great designers asserted their personalities, increasingly using new materials such as reinforced concrete, which distinguished the second half of the twentieth century. Over the past three decades, the formal austerity that inspired the infrastructure of the past has largely been forgotten, often in pursuit of spectacular effect. And in megalopolises today, we need to reconsider the relationship between the increasingly invasive infrastructure, and urban space.
Nella pagina a anco, in alto: Giovanni Battista Piranesi, veduta ideale della Via Appia, da Antichità Romane, Roma 1756. In basso: Carta delle strade dell’Impero Romano.
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1 - Giovanni Battista Piranesi, Pavimentazione della Via Appia, da Antichità Romane, Roma 1756.
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inizia a governare le acque per l’irrigazione da campi con canalizzazioni e soprattutto ad alimentare le città con un poderoso apparato di acquedotti, che rappresentano un secondo ambito infrastrutturale. In questo periodo le strade avevano così cominciato a con gurarsi non più come semplici tracciati che ricalcavano l’orogra a ma come opere dotate anche di un notevole valore architettonico. Non più semplici piste disegnate dal calpestio di chi le percorreva ma costruzioni fatte di materiali sovrapposti - da cui la parola strada, che ricorda la strati cazione di più livelli di materiali – per consolidarle nel terreno, pavimentarle, dotarle quando occorreva di muri di contenimento disponendo cunette per lo smaltimento dell’acqua piovana. Per quanto riguarda gli acquedotti essi erano caratterizzati da una dimensione geogra ca Pirro Ligorio, nella sua famosa ricostruzione di Roma antica, li mostra come
monumentali e intricate architetture che sovrastano l’accumulo pre piranesiano del tessuto introducendo un elemento spaziale che collega visivamente elementi lontani in una nuova unità dallo scenario paesaggistico. Lungo queste strade, come la via Appia, la Regina Viarum, si trovavano le stazioni di posta con locande dove mangiare, provvedere a nutrire e cambiare i cavalli e a riparare eventuali danni ai carri e dormire. A anco di questi percorsi si ergevano sepolcri, alcuni dei quali monumentali. Giovanni Battista Piranesi ha restituito con il suo spirito visionario un’immagine di queste architetture funerarie lungo l’Appia. Nel loro complesso le antiche infrastrutture stradali debbono essere pensate come strutture architettoniche unitarie lunghe centinaia o migliaia di chilometri, scandite dalle colonne miliari, da tombe e dall’equivalente antico delle attuali stazioni di servizio con gli autogrill, i parcheggi e gli alberghi. Nel Medioevo questa concezione delle strade non cambia, anche perché molte di loro erano quelle costruite dai romani, molte delle quali riconfermate nel loro tracciato no ad oggi. Soprattutto il loro carattere di architetture territoriali permane. Molti percorsi attraversano l’Europa sia per collegare santuari, meta di una moltitudine di pellegrini che li raggiungono a piedi da luoghi anche lontanissimi, sia per unire le città al ne di permettere e incrementare scambi culturali, produttivi e commerciali. Il Camino di Santiago de Compostela o la Via Francigena si con gurano come autostrade religiose lungo le quali vari saperi e abitudini diverse si confrontavano e si fondevano. Questa condizione dura per secoli senza subire cambiamenti signi cativi. Molto cambia invece con gli inizi della rivoluzione industriale con l’introduzione del ferro nell’architettura nelle costruzioni e con l’invenzione delle ferrovie. A cominciare dell’Inghilterra, ponti e viadotti sono realizzati in travature metalliche, a volte gigantesche, come nel ponte del 1890, che scavalca il Firth of Forth. Le strade non sono più un prodotto esclusivo del mondo murario, ma di una combinazione di modalità costruttive antiche in laterizio, pietra e calce e di tecniche nuove come quelle, appena ricordate, del ferro. Tale cambiamento rimane in vigore no all’introduzione del cemento armato, che all’inizio propone quasi sempre la monomatericità delle infrastrutture viarie nelle quali i muri di contenimento, i prospetti, gli svincoli, i ponti e i viadotti possono essere costruiti con la stessa tecnica, generando una nuova esteticità unitaria.
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È in questo periodo che il processo di separazione dei percorsi dalla conformazione orogra ca, del suolo, iniziato con gli Etruschi e continuato dai Romani, si accentua rendendosi de nitivo. Strade, ferrovie, autostrade, ponti, viadotti e svincoli non segnano più le ondulazioni del terreno ma, per così dire, lo sorvolano affermando una propria autonomia. Il ponte di Gustavo Eiffel a Porto scongge l’accidentalità vertiginosa delle sponde del Douro è una straordinaria espressione del contrasto tra natura e arti cio, un contrasto che crea, però, una nuova armonia paesaggistica. Altri simboli di questo distacco sono i terrapieni che sostengono le autostrade, le massicciate ferroviarie o viadotti come quello di Millau, in Francia, di Norman Foster, forse l’opera limite che segna il grado massimo della separazione tra suolo e infrastruttura. Personalità come Robert Maillart, Rino Tami, gli italiani Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Silvano Zorzi, Sergio Musmeci, sono gli autori di architetture infrastrutturali di grande qualità, nelle quali l’uso del cemento armato ha consentito di affermare una nuova estetica architettonica nella quale il valore plastico, ovvero l’effetto gurativo-spaziale della luce sugli elementi architettonici si fa elemento essenziale. Negli Stati Uniti invece è l’acciaio, che è prevalso. I ponti sospesi sono la regola, così come un uso soprattutto tecnico del cemento armato in costruzioni, soprattutto i grattacieli, ricoperte da involucri ai quali si chiede di esprimere totalmente il senso architettonico dell’opera. L’architettura nordamericana, tranne poche eccezioni, come ad esempio le architetture di Paul Rudolph, ha preferito strutture più leggere lasciando ai blocchi centrali in cemento armato delle scale, delle canalizzazioni e degli ascensori, il ruolo di invisibili piloni interni. Sintetizzando quanto detto nora il sistema infrastrutturale, che per lungo tempo si era modellato secondo l’orogra a dei luoghi diventa autonomo rispetto a questi, dando vita a una vera e propria geogra a arti ciale, all’inizio dell’industrializzazione a oggi strati cata in varie età. Si è anche chiarito che in particolare nella seconda metà del Novecento tale geogra a arti ciale è stata de nita dal cemento armato in modo unitario. Questa unitarietà è stata successivamente attenuata sia dal costruire in acciaio, che ha portato a interventi infrastrutturali ibridi, sia dal fatto che nelle costruzioni in cemento armato è stata introdotta la prefabbricazione. Travi precompresse sono state appoggiate su piloni gettati in opera con il risultato di un montaggio di parti che impedisce di per-
venire a un risultato architettonico organico e totalmente coerente. Ciò che si produce è infatti un insieme di elementi autonomi accostati in una relazione dall’evidente tonalità meccanicista, in quanto non prevede connessioni continue ma semplici accostamenti delle componenti. Mancando di giunzioni siche ma consistendo di parti distanziate di pochi centimetri queste costruzioni sono soggette per di più agli agenti atmosferici o alle sollecitazioni sismiche rispetto a una struttura unitarie. Negli ultimi tre decenni la severità formale che aveva ispirato le infrastrutture per inciso non è stato possibile in queste note parlare degli edi ci conclusivi o speciali legati a esse, come le stazioni ferroviarie o gli aeroporti è stata in gran parte dimenticata. Ad esempio i ponti di Santiago Calatrava e dello Studio Zaha Hadid e Patrick Shumacher si presentano come audaci prove performative le quali, alla ricerca di una singolarità
2 - La centuriazione romana vicino a Cesena, Tavola dell’ IGM di ne Ottocento.
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3 - Galleria del San Gottardo, Rino Tami, Svizzera, 1963-1980 (fonte Mendrisio, Archivio del Moderno, Fondo Rino Tami, da Rino Tami L’autostrada come problema artistico, di Andrea Volpe in Firenze Architettura (1, 2017), pp. 28-37.
4 - Viadotto Aglio, Barberino di Mugello, Guido Oberti, 1957-1960.
spettacolare, sembrano negare la semplicità diagrammatica che deve ispirare simili manufatti. Opere nelle quali tettonica e architettura devono trovare una sintesi costruttiva e formale sincera e convincente. Una sintesi, basata sull’essenzialità delle soluzioni, che non è possibile ritrovare nelle formulazione tecnico-compositive di Santiago Calatrava, nelle quali il tema del ponte strallato viene espresso con un’intenzionalità plastica inconsueta prevalente nella sua opera plastica e forse non del tutto appropriata in questo tipo di architetture in quanto fa del senso dell’architettura come rapporto tra carichi e sostegni secondo una de nizione di architettura di Arthur Schopenauer, un elemento non tanto da mostrare, come sarebbe giusto, nella sua essenza, quanto da esaltare tramite un’eccessiva ampli cazione espressiva. Lo stesso rilievo si può muovere ai ponti dello studio di Zaha Hadid e Patrick Schumacher, proget-
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tati secondo categorie concettuali che trascendono largamente la sostanza autentica di queste opere, nelle quali l’esigenza di una corrispondenza immediatamente leggibile tra funzione e forma è, per così dire, doverosa. Una corrispondenza peraltro intrinseca non solo alla progettazione e alla realizzazione dei ponti, ma che deve permeare ogni opera di architettura come conseguenza dell’idea di necessità degli elementi e della loro relazione, da intendere in ogni suo aspetto. Concludendo queste note occorre constatare che per problemi concernenti questioni di morfologia urbana nelle città, soprattutto nelle megalopoli, quelle precedenti la globalizzazione e quelle nate a seguito di questo nuovo assetto planetario, le infrastrutture hanno conquistato lo spazio urbano restringendo, nell’immagine e nel suo uso, il ruolo pubblico che tale spazio ha sempre avuto. Gli svincoli di Los Angeles o di Shanghai sono gi-
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5 - Forth Railway Bridge, John Fowler e Benjamin Baker, Edimburgo, Scozia, 1883-1890.
6 - Viadotto autostradale di Millau, Aveyron, Francia, Michel Virlogeux, Foster + Partners, 2001-2004
ganteschi manufatti nei quali si sovrappongono molte corsie la cui presenza si oppone alla città negando il valore del tracciato urbano di super cie. Come è accaduto qualche anno fa a Seoul, a Caracas, e in modo meno efficace a Napoli, per mitigare questa invasione vera e propria alcuni percorsi di carattere autostradale sono stati sostituiti da interventi urbani non contrastanti la vita della comunità ma anzi capaci di renderla più ricca di occasioni di incontro. Nei casi citati l’invadenza delle architetture del traffico è stata attenuata o del tutto eliminata, con il risultato di riconnettere parti della città prima divise da superstrade urbane poi declassate o sostituite da percorsi pedonali nel verde. A Roma in più quartieri, scali ferroviari o fasci di binari che percorrono lunghe fenditure nel tessuto edilizio isolano ancora più zone periferiche della città mentre Torino è riuscita, realizzando un progetto impegnativo proposto dal Piano Regolatore re-
datto da Vittorio Gregotti e Augusto Cagnardi, a riaffermare la condizione unitaria di un impianto insediativo che sembrava de nitivamente perduta. Queste riforme segnalano la necessità che la relazione tra le infrastrutture e gli insediamenti urbani sia completamente riformulata. In effetti dalle infrastrutture viarie organiche al territorio si è passati a strade e viadotti sempre più separati dal supporto naturale per approdare in ne a un paesaggio infrastrutturale che nella sua progressiva ampiezza è diventato il vero elemento identi cativo delle megalopoli. Alla luce del concetto di rigenerazione, una parola che a chi scrive sembra troppo mediatica, è sempre urgente ricondurre gli insediamenti di ogni estensione e di qualsiasi matrice morfologica a un equilibrio operante tra le sue componenti. © Riproduzione riservata
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Le ferrovie nella seconda metà del XX secolo, collegamenti di territori e modi di viaggio di Anthony Gouthez
Alla ne della seconda guerra mondiale le ferrovie si avviarono verso una nuova rinascita dato che la rete ferroviaria era stata duramente danneggiata dal con itto. L’apparato infrastrutturale risaliva alla ne del XIX secolo, quando le ferrovie avevano il monopolio degli spostamenti. Già durante i due con itti mondiali, però, iniziarono a comparire nuovi mezzi di trasporto, due dei quali hanno avuto grande successo: l’aereo e l’automobile. Apparve assai presto chiaro alle compagnie ferroviarie che avrebbero dovuto fare degli sforzi supplementari per continuare ad attirare passeggeri. In un primo tempo, i diversi stati europei fecero della ricostruzione ferroviaria una priorità. Se le compagnie ferroviarie che gestivano le diverse reti avevano l’obbligo di farlo in modo veloce per consentire una rapida ricostruzione del Vecchio Continente, gli ingegneri cominciavano già a cercare delle innovazioni per permettere alle ferrovie di migliorarsi. Questi miglioramenti si faranno vedere pian piano a partire dell’inizio degli anni Cinquanta. La seconda metà del XX secolo fu caratterizzata da un bisogno di mobilità sempre più grande, che è aumentato no ai nostri giorni. I motivi sono diversi. In più paesi le ferie divennero pagate, come in Francia, già a partire del 1936. In Italia, la Costituzione nel 1948 istituì il concetto di “vacanza obbligatoria”: essa fece sì che le persone e soprattutto le famiglie avessero delle opportunità in più per viaggiare rispetto alla generazione precedente. Dall’altro lato, la costruzione europea si fece sempre più nel concreto, in particolare dopo il 1957 con la rma del Trattato di Roma. I motivi di viaggio nei paesi europei si accrebbero e la domanda di mobilità si fece sempre più ampia, soprattutto riguardo ai viaggi d’affari. Si fece una vera concorrenza tra diversi mezzi di trasporto, come l’automobile e l’aereo, che a loro volta facevano concorrenza al treno. Questi due nuovi mezzi di trasporto portavano con sè una sorta di modernità che era ben percepita dai con-
Railways in the second half of the XXth century, connecting territories and travel modes by Anthony Gouthez This article proposes to examine rail transport in the second half of the 20th century. During this time, rail transport competed with automobile and air transport. The former gives a sense of freedom of movement, whereas air transport is unbeatable in terms of rapid travel. Rail transport suffered from its image as a slow and antiquated form of transport, and as such was forced to reinvent itself. The railways took the opportunity to design new, more modern, comfortable and faster rolling stock. European integration has also played a vital role in establishing international links. As a result, the new legislation created the Trans Europ Express group, which provides fast and convenient rail service between the major economic, political and tourist centres of Western Europe. Rail transport also cultivated a style of travelling, especially across long distances, such as night trains, which experienced a real golden age during those years. Environmental issues began to be addressed in the early 1970s, following the oil shock, and some politicians began to mention air pollution in their speeches, highlighting the need to boost railway transport and to foster coordination between the various modes of transport.
Nella pagina a anco, in alto a sinistra: partenza da Roma Termini dell’ETR300 “Settebello” diretto a Milano Centrale (1965). In alto a destra: partenza da Torino Porta Nuova del “Treno del Sole” diretto in Sicilia (fonte: fondazionefs.it/content/dam/ fondazione/documenti/2017.pdf ). In basso: il TEE “Cisalpino” Milano-Parigi, prolungato nel periodo estivo no a Venezia, transita in prossimità della stazione di Brescia , trainato da una locomotiva di tipo E444, allora la più potente locomotiva italiana. (fonte: Trainzitalia.it).
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I treni Trans Europ Express
1 - Treno TEE “Adriatico“ Milano Centrale-Bari Centrale in transito nei pressi della stazione di Riccione (1986). Foto di Giancarlo Mondonico, ripresa nel sito Trenomania. 2 - Vagone “bottega” sul treno TEE “Mistral” ParigiNizza, l’unico ad offrire ai viaggiatori questo tipo di servizio (1969). Fonte: Archivi delle Ferrovie francesi SNCF.
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temporanei. Dall’altra parte, il treno appariva come un mezzo di trasporto antiquato. Il vantaggio delle ferrovie rimaneva, tuttavia, la presenza della sua rete ferroviaria molto rami cata in Europa, mentre i dirigenti degli stati si chiedevano dove fosse preferibile fare atterrare gli aerei e come si potessero collegare al meglio gli aeroporti con le città. Per il trasporto automobilistico, le spese pubbliche andavano prevalentemente a nanziare nuove infrastrutture per favorire il trasporto su gomma, come la costruzione di autostrade o di trafori, in particolare sotto le Alpi. Rispetto al trasporto aereo, quello ferroviario ha il grande vantaggio di poter collegare le città medie-piccole che si situano sul suo percorso. Mentre l’aereo riesce solo a collegare le grandi città, il treno ha la possibilità di fare delle fermate intermedie, offrendo così un collegamento diretto per le città dalle quali sarebbe stato troppo difficile raggiungere un aeroporto. L’accesa concorrenza tra il trasporto aereo e il treno ha fatto sì che nel 1957 venisse creato un nuovo tipo di collegamento, denominato Trans Europ Express (TEE).
I treni Trans Europ Express (nati due mesi dopo la rma del Trattato di Roma) avevano come obiettivo di collegare in un modo veloce e confortevole i grandi centri economici, politici e turistici dell’Europa occidentale1. Questi treni appro ttavano dell’istituzione della Comunità Economica Europea, la quale poneva come obiettivo l’eliminazione progressiva delle barriere doganali tra i diversi stati membri2. Il raggruppamento TEE appro ttò di questa innovazione per proporre delle prestazioni di alto livello, le quali dovevano avvicinarsi a quelle proposti sugli aerei. Tutte le compagnie avevano l’obbligo di fornire ai treni del marchio TEE i loro migliori materiali, che dovevano essere dotati del massimo confort ed essere costituiti da sole carrozze di prima classe3. Si doveva utilizzare un’automotrice diesel, che aveva il vantaggio di poter circolare su tutte le reti europee a prescindere della differenza di corrente, che avrebbe imposto il cambio di locomotive nelle stazioni di conne, nel caso in cui il treno fosse nella composizione tradizionale4. Questa situazione ha fatto sì che molte compagnie ferroviarie si lanciassero nella fabbricazione di un nuovo modello di automotrice, come le Aln 442 italiane, costruite dalla Breda, e le Rae TEEII svizzere, che poi diventeranno le prime automotrice elettriche policorrente. Si trattava di un servizio ferroviario totalmente innovativo che si rivolgeva particolarmente a chi si doveva spostare per ragioni di lavoro. Questi treni proponevano una serie di innovazioni che li rendevano moderni alla pari degli aerei quale, per esempio, il tempo dedicato alla ristorazione, che diventa un rito obbligatorio, parte integrante dell’esperienza di viaggio.5 All’apice del servizio Trans Europ Express (i treni che hanno segnato maggiormente la loro epoca), tutte le grandi compagnie ferroviarie dei vari paesi membri avevano chiesto l’inserimento dei loro treni più prestigiosi6, 1 I primi treni Trans Europ Express sono circolati a partire dal 2 giugno 1957. 2 Conférence européenne des transports, 11 janvier 1958 à Paris, Carton numéro 2004/015-044, Archives fédérales des chemins de fer suisses (CFF), Windish. 3 Jean Pierre Malaspina, «La légende des Trans Europ Express», La Vie du Rail, Paris 1986, p. 25. 4 Ibid. p. 27. 5 Cfr. immagine 5. 6 Nel 1965, il raggruppamento TEE decise, sotto la pressione tedesca, di autorizzare l’inserimento anche dei treni a carattere soltanto nazionale mentre all’ini-
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come per esempio il “Rheingold” tedesco, il “Mistral” francese e “L’Ambrosiano” italiano7. Possiamo dividere i treni TEE in due categorie. Nella prima categoria ci sono i treni che hanno l’obiettivo di fare concorrenza agli aerei e di collegare il più rapidamente possibile i due capolinea. Questi treni fanno poche o nessuna fermata intermedia. In questa categoria, possiamo collocare per esempio, tutti i treni della relazione Parigi-Bruxelles con prolungamenti su Amsterdam che furono al loro tempo la vera spina dorsale di tutta la rete TEE, sia per numero di passeggeri sia per numero di relazioni. Questo fatto si può spiegare con la relativa vicinanza delle due città, che rende poco utile l’istituzione di collegamenti aerei fra queste due importanti capitali europee. Altri treni che possono entrare a fare parte di questa categoria sono i treni Zurigo-Milano, in particolare il “Gottardo”. Le autorità svizzere hanno per no deciso, per un certo periodo, di non farlo più fermare nella stazione di con ne di Chiasso8: il treno faceva fermata solo a Como e Lugano prima di entrare nella galleria del San Gottardo9. Sono i due soli treni che avevano il permesso di superare un con ne senza procedere a una fermata per motivi doganali. Più volte le autorità svizzere hanno chiesto alle autorità italiane lo stesso regime per il TEE “Lemano” (Ginevra-Milano) con l’obiettivo di eliminare la fermata di Domodossola, argomentando che era possibile che i controlli doganali si facessero durante il transito del treno nella galleria del Sempione. Nonostante molte riunioni, non è stato possibile arrivare ad un accordo10 11. L’altra categoria di Trans Europ Express, è composta di treni che non hanno come obiettivo di far concorrenza agli aerei perché il loro tempo di percorso non glielo permetteva. Mi riferisco ai treni TEE “Ligure” della tratta Marsiglia-Milano, al TEE “Mediolanum” zio questi treni dovevano avere obbligatoriamente un percorso internazionale. 7 Si consideri, tra l’altro, che il famoso treno ‘Treno Azzuro’ (Milano-Napoli) uno dei mitici di questo periodo ,non ha mai fatto parte del brand TEE. 8 Le autorità svizzere avevano preso all’epoca una decisione che purtroppo non è riuscita a mantenersi a lungo. Attualmente gli stessi treni che effettuano la stessa tratta fanno fermate sia a Chiasso che a Como San Giovanni. 9 Geographie économique et ferroviare des pays du Marché Commun et de la Suisse, tome 2, Edition géographie, Paris 1970, p. 163. 10 Ibid. 11 Nota interna delle Ferrovie Federali Svizzere in data del 21 maggio 1971, Dossier E8300 199/300, Archives Fédérales des chemins de fer suisses (CFF), Windish.
Milano-Monaco di Baviera e in ne al TEE “Catalan Talgo” della tratta Barcelona-Ginevra (unico treno spagnolo facente parte del brand TEE). Questi treni hanno dei percorsi molto lunghi e non si distinguono per la loro rapidità12. È su questi treni che troviamo la percentuale più elevata di turisti, in paragone ai treni della prima categoria dove troviamo principalmente delle persone che viaggiano per motivo d’affari. Su questi treni si coltiva una vera esperienza del viaggio. Il servizio ristorante è stato molto curato perché i passeggeri, avendo più tempo, dedicano più tempo al pasto; si offrono numerosi servizi di tutti generi (parrucchiere, negozi di vari tipi, sala da giochi, segreteria etc.). Questi treni fanno generalmente più fermate intermedie e riescono ad essere economicamente sostenibili solo perché c’è un traffico viaggiatori importante tra le diverse città della linea13. Per queste ultime città, il servizio ferroviario (non solo quello dei treni TEE ma anche quelli dei treni ordinari) è importantissimo, perché molto spesso rappresentava l’unico modo di essere collegate con le grandi città e quindi di avere come bene cio delle ricadute importante sul tessuto economico e sociale. Qualche volta abbiamo anche avuto delle “gare” tra diverse città che speravano che il treno più prestigioso potesse effettuare una fermata a loro dedicata. Si ricordi che in quel periodo del secondo dopoguerra, il trasporto automobilistico non era del tutto sviluppato. Per esempio abbiamo ritrovato
3 - Copertina della rivista “Quattroruote” all’indomani della s da tra il treno “Settebello” e la macchina Alfa Romeo Giulietta sul percorso Milano-Roma, vinto dall’automobile nell’aprile 1961. Fonte: https://www.formulapassion.it/worldnews/cult/ milano-roma-la-giuliettasenesi-batte-settebello-336160.html
12 Questa mancanza di rapidità è anche dovuto al fatto che questi treni circolano su delle linee tortuose seguendo per esempio il littorale o di montagna che rende difficile un aumento della velocità. 13 Maurice Mertens, Jean Pierre Malaspina, «La légende des Trans Europ Express», La presse, Paris, 2007, p. 6.
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questa situazione sulla sponda del lago Maggiore, dove si discusse a lungo per decidere quale stazione, fra Stresa e Arona, avrebbe ricevuto la fermata del “Lemano”.14 In Francia, altre città hanno provato a chiedere la fermata dei treni TEE di prima categoria: è il caso della città di Saint Quentin, situata a metà distanza tra Parigi e Bruxelles sul percorso ferroviario. Dopo qualche anno e una lunga trattativa, sappiamo che riuscirono ad ottenere la fermata di uno dei treni TEE. Ma presto le amministrazioni resero conto che la fermata non era del tutto utile, che faceva perdere addirittura dei passeggeri, perché coloro che dovevano recarsi direttamente a Parigi da Bruxelles o viceversa sceglievano un altro treno più veloce.15 Un altro aspetto della ferrovia di quel tempo era che molte volte le compagnie ferroviarie facevano in modo che il viaggio cominciasse già all’arrivo in stazione: questo per accrescere la voglia dei passeggeri di arrivare a destinazione. Si cominciava, qualche volta, dal nome stesso della stazione che dava indicazione delle regioni collegate: ad esempio la Gare de Lyon a Parigi o la Gare de Bruxelles Midi in Belgio. Alla Gare de Lyon si trova il famoso ristorante “Le train Bleu” che riprende il nome del più famoso treno delle ferrovie francesi diretto alla Costa d’Azzurra. Questo ristorante è molto noto perché ha, sulle pareti, delle rappresentazioni delle città collegate con i treni che partono da quella stazione, e questo è un invito al viaggio. Anche il nome dei treni può dare un’idea della regione di destinazione: si pensi ai TEE “Ligure”, “Lemano”, “Gottardo”, “Adriatico”. E poi ci sono i treni che lasciano pensare a una città di destinazione, come i treni “Capitole” tra Parigi e Tolosa, che prende il nome della più famosa piazza della città rosa, o il famoso “Mistral”, il cui nome è ispirato al celebre e temuto vento del sud del Francia. In Italia è il caso dei treni TEE “Vesuvio” o “Ambrosiano”: anche in questo caso, dai nomi si evince la destinazione. I passeggeri erano accolti, ogni tanto, da hostess vestite con un abbigliamento tipico della città di destinazione. Per i treni internazionali, queste hostess dovevano saper parlare più lingue. In ne, si consideri che nelle carrozze erano spesso esposte foto delle città 14 Convegno « Le Alpi e l’Europa », Milano dal 4 al 9 ottobre 1973, dossier 2004/015-238-0, Archives fédérales des chemins de fer suisses (CFF), Windish. 15 Maurice Vauclin, Annales historiques compiegnoises, Société d’Histoire moderne et contemporaine, Paris, 1983.
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collegate dal treno, e che su molti treni prestigiosi si distribuivano volantini per fornire qualche indicazioni ai passeggeri. Una regione, in particolare, è nota come meta leggendaria del trasporto in treno durante il XX secolo: si tratta della Costa Azzurra, tra Cannes e Sanremo (anche se ufficialmente la Costa Azzurra si ferma a Mentone, Sanremo è riuscita ad avere un proprio ruolo, essendo una città attrattiva sia per la presenza del casinò e delle ere che per la bellezza del suo paesaggio naturale). Essendo una regione nota e famosa in tutto il mondo ma di accesso assai difficile a causa del pro lo scosceso del territorio, il treno era il mezzo più adatto per i collegamenti con le grandi città europee. La Costa Azzurra presenta un carattere turistico, principalmente durante l’estate per le sue spiagge e il suo clima, ma anche durante tutto l’anno, considerando per esempio l’attrattività del casinò di Monte Carlo e l’attrattività commerciale di una grande città come Nizza. Essendo, questa regione, anche situata fuori dalle grandi direttrici, il collegamento richiedeva un tempo elevato per poterci arrivare. Le ferrovie hanno impiegato su questa relazione i loro migliori treni: si pensa in particolarmente ai treni francesi “Le Train Bleu” - treno notte che collegava tutti i giorni Parigi a Nizza, verosimilmente il treno notte più famoso delle ferrovie francesi – e il “Mistral”, che è entrato a far parte del brand TEE nel 1965, quando fu concesso alle ferrovie di fare entrare il loro treno più prestigioso a percorso esclusivamente nazionale, nel brand tanto famoso. Su questo treno, le ferrovie francesi testarono molte innovazioni tenendo conto della lunghezza del viaggio, poco meno di 9 ore per collegare Parigi a Nizza: tra queste innovazioni c’erano diversi negozi di abbigliamento, un salone di parrucchiere, un barbiere, un tabaccaio e ancora un servizio di segreteria nonché il servizio di ristorazione, quest’ultimo essendo obbligatorio su tutte le linee TEE. Nel caso italiano, le FS si impegnarono a mettere in servizio uno dei loro migliori materiali, le recentissime Aln 442/448. Il percorso tra Milano e Nizza si effettuava in poco più di cinque ore, ed era un’ottima performance. Molti lm sono stati girati su dei treni con destinazione Costa Azzurra.
I treni notturni In ne, è importante fare qualche cenno sui treni notturni che hanno cominciato a far parte della cultura del viaggio all’inizio del
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XX secolo, e in particolare sui treni Orient Express che collegavano Londra e Parigi a Istanbul e Venezia, nei casi più famosi. La seconda parte del XX secolo vede crescere nuovamente questa soluzione di trasporto. Il treno notte ha contribuito molto alla mitizzazione del trasporto ferroviario, con quei convogli internazionali molto lunghi e con quei colori speciali che li rendevano subito riconoscibili mentre facevano il loro ingresso in stazione. Pensiamo a certi nomi di treni che sono rimasti famosi, ben presenti nella memoria di migliaia di persone, come ad esempio il treno “Puerta del Sol” tra Parigi e Madrid, l’“Holland Italian Express” tra Amsterdam e Roma, il “Palatino” e il suo corrispettivo “Roma Express” tra Parigi e Roma o ancora “Le Train Bleu” tra Parigi e Nizza. Questi treni hanno contribuito ad avvicinare diverse regioni europee molto lontane tra loro. In generale il viaggio dei treni notte si divide in tre parti. La prima è quella della salita nella stazione capolinea e nelle diverse città che seguono lungo il percorso. Dopo mezzanotte circa inizia la seconda parte del viaggio, nella quale il treno non effettua più fermate passeggeri no all’alba. La terza ed ultima parte è generalmente considerata come la più bella, nella quale si vede sorgere l’alba dal nestrino dello scompartimento o davanti a un caffè nel vagone ristorante. Il treno ricomincia a fare delle fermate prima di giungere alla sua stazione di destinazione, in un’atmosfera speciale fatta di attesa e impazienza di arrivare. Fino agli anni 1960, quando la rete autostradale non era ancora compiuta, il treno notte rappresentava per la collettività il modo migliore per viaggiare16: era un modo economico e conveniente di muoversi portando con sé la famiglia. Dopo gli anni 1960, i treni notte si sono diversi cati, intensi cando i percorsi sulle lunghe distanze, per le quali l’uso della macchina era considerato faticoso. Si pensi, in Italia, ai treni notte che hanno lasciato un ricordo a generazioni di italiani: in particolare la “Freccia del Sud” tra Milano e Agrigento, la “Freccia della Laguna” tra Venezia e Palermo-Siracusa, la “Freccia del Sole” Torino-Palermo-Siracusa o la “Freccia del Levante” tra Milano e Lecce. Inoltre, i treni notte si sono intensi cati sulle destinazioni di vacanze, lasciando ai treni diurni e agli aerei i collegamenti tra le città d’affari. Oltre ai treni sopra citati, sono infatti sorti parecchi treni stagionali, particolarmente durante il perio-
do estivo o nel periodo invernale verso le destinazioni di montagna17. Un altro elemento importante è entrato in gioco nel successo dei treni notturni: le carrozze dirette. Questa modalità non esiste quasi più, oggi, in Europa, ma durante tanti anni è stata ampiamente utilizzata dalle diverse compagnie ferroviarie e ha contribuito altamente al successo dei treni notturni. Questa pratica consisteva nel creare un convoglio ferroviario con carrozze che avevano destinazioni diverse tra di loro; in una stazione intermedia le carrozze venivano staccate dal treno di partenza e riagganciate ad un altro, per raggiungere la loro destinazione nale. In questo modo, per tanti anni, è stato possibile collegare città medio-piccole con le grandi capitali europee. Per esempio è grazie a questa procedura che, per un paio di anni, la città di Pesaro è stata collegata a Parigi mediante un treno notte, con una vettura
16 Stefano Maggi, Le Ferrovie, op. cit., p. 169.
17 Ibid., pp. 168-169.
4 - Partenza del TEE “Gottardo” Milano-Zurigo con l’accoglienza della hostess di bordo (1992). Fonte:: Archivi delle Ferrovie Federali Svizzere (FFS). 5 - Vagone ristorante del treno TEE “Mistral” durante un servizio (1969). Fonte: Archivi delle Ferrovie francesi (SNCF).
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diretta che veniva sganciata e riagganciata a Torino alla coda del treno “Palatino” proveniente da Roma. Per questa stessa procedura si possono fare degli esempi di relazioni dirette da Amsterdam no a Bari o da Monaco di Baviera no a Sanremo. Questo metodo era molto apprezzato dai passeggeri, che non dovevano più preoccuparsi di una eventuale coincidenza per raggiungere la loro destinazione, ed è stato anche molto apprezzato dai comuni più piccoli, che hanno trovato il modo per essere collegati in modo rapido ed efficiente alle grandi città. Questo concetto è stato anche trasposto nel servizio “auto al seguito”, che permetteva di viaggiare in treno portando con sé la propria automobile, caricata su vagoni speciali. Anche questo metodo era molto apprezzato ed era in linea con un’epoca in cui si pensava di non poter fare nessun viaggio senza avere la macchina a portata di mano.
L’alta velocità, il ruolo nuovo delle ferrovie In conclusione possiamo dire che, nel nostro continente, il trasporto ferroviario è riuscito a sopravvivere alla concorrenza dell’aereo e dell’automobile, a differenza di ciò che è accaduto nell’America del Nord, dove il treno ha molto sofferto di fronte a quella stessa concorrenza, no ad avere oggi un ruolo quasi residuo nei viaggi di media e lunga percorrenza. In Europa, il treno è riuscito a mantenere la propria posizione di mezzo di trasporto apprezzato reinventatosi nel segmento dell’alta velocità. I treni ad alta velocità hanno totalmente ricontestualizzato il viaggio in treno. La loro storia prende avvio dalle prime iniziative all’inizio degli anni 1970 per arrivare al primo treno ad alta velocità, che è circolato in Francia nel 1983 tra Parigi e Lione su una linea totalmente dedicata e che era considerato per l’epoca una vera follia. Questo successo si è fatto anche sentire in Germania con le prime esperienze dei treni ICE e in Italia, prima con i Pendolini ETR401 sulla linea Roma-Ancona e poi soprattutto con gli ETR450 sulla dorsale Milano-Roma. Questo successo, considerato da tanti studiosi dei trasporti come la salvezza delle ferrovie, ha portato anche all’ammodernamento delle altre linee, dette “classiche” a confronto con le nuove linee costruite e dedicate quasi esclusivamente ai treni ad alta velocità. Questo si può spiegare col fatto che i treni ad alta velocità hanno bisogno di coincidenze in diverse stazioni del
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loro percorso, in modo da collegare il maggior numero possibile di città tramite l’interconnessione con le altre linee. L’alta velocità sta attualmente scrivendo la propria pagina nella lunga storia della ferrovia. Possiamo dire che il trasporto ferroviario è riuscito a mantenersi come un modo di trasporto tra i più importanti. È riuscito a farlo mentre la concorrenza degli altri mezzi di trasporto si faceva sempre più aggressiva. Per giungere a questo obiettivo, le ferrovie hanno dovuto totalmente ripensare l’impostazione del trasporto ferroviario. I primi anni di ricostruzione dell’infrastruttura dopo il secondo con itto mondiale vedono le ferrovie tentare diverse sperimentazioni per cercare di ammodernare il servizio: in quest’ottica avviene l’abbandono progressivo del treno a vapore e la sostituzione con treni diesel ed elettrici. I treni diesel sono stati largamente utilizzati dagli anni 1940 in poi, mentre la rete ferroviaria in Europa era ancora lontana dall’essere completamente elettri cata. Avevano, inoltre, il vantaggio di poter circolare su tutti i binari a prescindere del cambio di corrente per le linee che disponevano già dell’elettri cazione. Tuttavia, le diverse ferrovie in Europa si accorsero ben presto che la trazione elettrica dava più potenza al treno, il quale poteva andare più veloce e trainare una massa sempre più pesante. In più, il treno a trazione elettrica richiamava un’immagine moderna che era apprezzata dall’utenza. Nonostante il rapido sviluppo della trazione elettrica in Europa e la volontà tenace dei dirigenti delle compagnie ferroviarie europee per migliorare notevolmente il comfort, gli altri mezzi di trasporto - l’automobile e l’aereo – sono riusciti sempre più a sottrarre passeggeri al treno. Si è allora sentito il bisogno di scrivere un’altra pagina, ancora più radicale, quella appunto dell’alta velocità, che ha avuto il grande successo che conosciamo ed è ancora in via di sviluppo. Essa ha reso necessaria la costruzione di una grande rete di binari specialmente dedicati all’alta velocità, e la circolazione di treni che si susseguono con brevi intervalli, sugli assi più frequentati. In ne si deve fare almeno un breve cenno sull’aspetto ecologico, che non è stato molto considerato almeno no agli anni Settanta. Tuttavia, si è cominciato a parlare dell’aspetto ecologico già nel 1973, anno della crisi petrolifera, quando il prezzo del greggio aumentò di più di quattro volte. Si prese allora coscienza della dipendenza della società rispetto al petrolio. In tal senso è illuminante il discorso pronunciato dal Presidente svizzero
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Roger Bonvin all’inaugurazione del Salone internazionale dell’automobile di Ginevra del 1973, discorso che poneva l’accento sull’inquinamento dell’aria. Raramente un Presidente della Repubblica aveva osato parlare della lotta per la protezione dell’ambiente come di un obiettivo principale da raggiungere18. Lo stesso presidente Bonvin, in una precedente conferenza tenuta all’Università di Losanna19 aveva sottolineato l’importanza di favorire una migliore competizione tra i diversi modi di trasporto e ricordando che i tre quarti degli spostamenti si facevano con le automobili. In quella sede, egli propose degli investimenti per favorire il trasporto ferroviario in Svizzera e per far sì che i mezzi di trasporto fossero sempre più coordinati gli uni con gli altri20. In un articolo apparso sul giornale interno alla compagnia aerea Air France del maggio 1972 si prendeva la difesa degli aerei, sottolineando il fatto che l’industria aeronautica aveva fatto grandi progressi per costruire nuovi aerei meno inquinanti. In quella sede, tuttavia, si ribadiva il concetto che l’inquinamento provocato dal trasporto aereo era molto inferiore a quello prodotto dalle automobili: il livello di emissioni di un aereo era nettamente inferiore a quello prodotto dalle fabbriche, dal riscaldamento nelle aree urbane e dalle automobili21. Si può pertanto notare che i dibattiti che si sviluppano oggi sui mezzi di trasporto che determinano un crescente inquinamento nel nostro pianeta erano già stati avviati cinquant’anni fa. Il treno è oggi considerato un mezzo di trasporto ecologico, e questo è sicuramente il più forte argomento a tutela del futuro del trasporto ferroviario. E questo argomento è molto più importante di temi come la modernità e la velocità, che erano dominanti per tutta la seconda metà del ‘900. © Riproduzione riservata
18 Discours de l’allocution de Monsieur le président de la Confédération Suisse, Monsieur Roger Bonvin, à l’occasion de l’ouverture du salon international de l’automobile de Genève, le 15 mars 1973, dossier 2004/015-155, Archives fédérale des chemins de fer suisses (CFF), Windish. 19 La conferenza venne tenuta il 5 maggio 1972. 20 Discours de Monsieur le Président de la Confédération Suisse, Monsieur Roger Bonvin, lors de l’ouverture de la Conférence du département des transports et des communications à l’Université de Lausanne le 5 mai 1972, dossier 2004/015-155, Archives fédérales des chemins de fer suisses (CFF), Windish. 21 Articolo, De l’Air pur à tout prix, Pubblicato nella rivista France Aviation, Maggio 1972, Parigi.
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Nella pagina seguente: immagini di aerei, treni e navi (foto di Matilde Gallo).
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Autori Francesco Bosello – Prof. Associato, Dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali Università di Milano Ricercatore Senior Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici Marco Pasetto – Prof. Ordinario di Strade, Ferrovie e Aeroporti, Dipartimento Ingegneria Civile, Edile, Ambientale, Università di Padova Giovanni Giacomello – Ingegnere PhD, Dipartimento Ingegneria Civile, Edile, Ambientale, Università di Padova Veronica Aneris, Responsabile Nazionale per l’Italia Transport & Environment Carlos Calvo Ambel, Direttore Trends and Analysis Transport & Environment Mariano Bella - Direttore Ufficio Studi Confcommercio Lorenzo Radice - Responsabile Sostenibilità del Gruppo FS Italiane Valerio Birindelli - Specialista Sostenibilità del Gruppo FS Italiane Ennio Cascetta - Prof. Ordinario di Piani cazione di sistemi di trasporti, Dipartimento Ingegneria Civile, Edile, Ambientale, Università di Napoli Federico II – Amm.re Unico RAM Logistica Infrastrutture e Trasporti S.p.A. Matteo Arena – Responsabile settore Porti e Logistica RAM Logistica Infrastrutture e Trasporti S.p.A. Antonio Errigo – Vicedirettore Generale ALIS, Associazione Logistica dell’Intermodalità Sostenibile Davide Tassi – Responsabile Corporate Social Responsibility Gruppo ENAV Mario Mattioli - Presidente Confederazione Italiana Armatori, Con tarma Giusi Ciotoli – PdD, Dipartimento di Architettura e Progetto, Università La Sapienza, Roma Marco Falsetti – PdD, Ricercatore postdoc, Dipartimento di Architettura e Progetto, Università La Sapienza, Roma Giovanni Caruso – Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie Christian Lusi – Agenzia Nazionale per la Sicurezza delle Ferrovie Federica Bosello – Responsabile Promozione, Comunicazione, Relazioni Istituzionali, Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale - Socio Professionista FERPI Franco Purini – Già Prof. Ordinario di Progettazione architettonica e urbana, Università La Sapienza, Roma Anthony Gouthez – Dottorando in Storia dell’Europa, Università La Sapienza, Roma Questo numero della rivista è stato curato da Federica Bosello e Francesco Bosello
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