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RETI E STAZIONI DELLA METROPOLITANA TRA FUNZIONALITÀ E ARCHITETTURA 1
Comitato d’Onore Paolo Costa già Presidente Commissione Trasporti Parlamento Europeo Giuseppe Goisis Filosofo Politico, Venezia Franco Purini Università La Sapienza, Roma Enzo Siviero Università telematica E-Campus, Novedrate Maria Cristina Treu Architetto Urbanista, Milano
Comitato Scienti co: Oliviero Baccelli CERTeT, Università Bocconi, Milano Alberto Ferlenga Università Iuav, Venezia Massimo Guarascio Università La Sapienza, Roma Stefano Maggi Università di Siena Giuseppe Mazzeo Consiglio Nazionale delle Ricerche, Napoli Cristiana Mazzoni ENSA Paris-Belleville, UMR AUSser Marco Pasetto Università di Padova Michelangelo Savino Università di Padova Luca Tamini Politecnico di Milano Zeila Tesoriere Università di Palermo - LIAT ENSAP-Malaquais
In copertina: interno della stazione Sarriko della metropolitana d Bilbao. Foto di Laura Facchinelli.
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93 ARCHEOSTAZIONE DI SAN GIOVANNI, LINEA C DI ROMA, O DELL’ARCHEOLOGIA PUBBLICA
Rivista quadrimestrale maggio-agosto 2020 anno XX, numero 57 Direttore responsabile Laura Facchinelli Direzione e redazione Cannaregio 1980 – 30121 Venezia e-mail: laura.facchinelli@trasportiecultura.net laura.facchinelli@alice.it
101 ARCHEOLOGIA, PAESAGGIO E CIT TÀ: UN’OPPORTUNITÀ RECIPROCA
7 ARCHITETTURE DELLE RETI E DELLE STAZIONI
107 LA SCOMMESSA DEL GRAND PARIS EXPRESS
9 LA STAZIONE DELLA METROPOLI TANA, UN NUOVO SPAZIO PUBBLICO DI QUARTIERE
115 UN NUOVO SPAZIO PUBBLICO: LA STAZIONE DI CLICHYMONT FERMEUIL A PARIGI
di Laura Facchinelli
di Alessandra Criconia e Anne-Grillet Aubert
di Giovanna Bianchi e Alessandra Criconia
17 TOKYO SUBWAYS: A PUBLIC PRIVATE TOOL TO RENOVATE THE 21 CENTURY METROPOLIS CONGESTED SPACES by Corinne Tiry-Ono
131 ALTA TECNOLOGIA E PROGETTO URBANO: LA PROBLEMATICA DELLA CITTÀ INTELLIGENTE ESPOSTA ALLA FUTIAN RAILWAY STATION DI SHENZHEN
par Josette Bouvard
2020 © Laura Facchinelli Norme per il copyright: v. ultima pagina Editore: Laura Facchinelli C.F. FCC LRA 50P66 L736S Pubblicato a Venezia nel mese di agosto 2020 Autorizzazione del Tribunale di Verona n. 1443 del 11/5/2001 ISSN 2280-3998 / ISSN 1971-6524
di Federica Morgia
33 STATIONS DE METRO, ESPACES PUBLICS ET DEVELOPPEMENT DE NOUVEAUX CENTRES A SHANGHAI. LES CAS DE XUJIAHUI ET WUJIAOCHANG 41 LE METRO DE MOSCOU, UNE CONSTRUCTION SOVIETIQUE 19311954
La rivista è pubblicata on-line nel sito www.trasportiecultura.net
di Anne Grillet-Aubert
123 L’ESTHETIQUE DU METRO PARISIEN: EXPLORATION D’UNE QUESTION HISTORIQUE
par Yang Liu et Colas Bazaud
Traduzioni in lingua inglese di Olga Barmine
di Paolo Desideri
25 LE METRO DE SHANGHAI. HISTOIRE, ENJEUX ET PERSPECTIVES par Colas Bazaud
La rivista è sottoposta a double-blind peer review
di Andrea Grimaldi
5 RETI E STAZIONI DELLA METROPO LITANA TRA FUNZIONALITÀ E ARCHITETTURA
51 LA METROPOLITANA DI MOSCA: CENTO ANNI DI PROGETTI URBANI STICI 19352035
par Arnaud Passalacqua
di Cristiana Mazzoni e Flavia Magliacani
139 A LA RECHERCHE DE L’INTERCON NEXION TRAINMÉTRO: REGARDS CROISÉS DANS LES METROPOLES DE LILLE, RENNES ET TOULOUSE par Philippe Menerault et Cyprien Richer
di Elisabeth Essaïan
147 LA STATION DE METRO, UN CONDENSATEUR ENERGETIQUE?
di Marco Spada e Carla Molinari
155 NUOVI PRIGIONIERI URBANI: PONTILI PER COLLEGARE TERRITORI SCONNESSI
61 LONDRA NELLA RETE: INFRASTRUT TURE INTERMODALI E SPAZI URBANI DELLA CITTÀSTAZIONE 69 LA PIAZZA DELLA STAZIONE NEL 21° SECOLO: TRASFORMAZIONE URBA NA E METROPOLITANA. QUATTRO ENCLAVES DI BARCELLONA di Maria Rubert de Ventos
75 IL METRÒ DI MILANO. STRUTTURA E PROGETTI FUTURI di Paolo Beria
83 BINARI A ROMA. VIAGGIARE NELLA STORIA, TRA UTOPIA E CONSERVAZIONE di Filippo Lambertucci
par André Pény
di Lucina Caravaggi
163 UTOPIE E ETEROTOPIE DELL’ACCESSIBILITÀ
Cristina Imbroglini intervista Walter Tocci
171 IL MONDO IN UNA STANZA: RIFLESSIONI SUI TRASPORTI AL TEMPO DEL COVID di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti
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Subway networks and stations between functionality and architecture by Laura Facchinelli
The subway, the backbone of the public transportation system in metropolitan cities, is a theme that is ever more open to disciplines and considerations. The creation of a subway is a matter of structural engineering, vehicle design and scheduling of timetables throughout the day. But in this case we turn our attention not to the subway as a transport infrastructure, but rather to the stations: places conceived to handle masses of rapid transport travellers which become complex, formidable machines constantly evolving their conguration of spaces and services. The stations are architectural works excavated into the underground, which stimulate the creativity of architects to create luminous, dynamic and stimulating spatial experiences, and to lead travellers intuitively and pleasantly towards their destinations. There are signi cant historical examples of subways, as well as successful more recent inventions, in which the project translates into a search for collective cultural meaning and identity-building. The very existence of the stations makes them poles of attraction that concentrate a multiplicity of interests and which, if they are part of an intelligent and forward-looking urban plan, are in a position to stimulate the regeneration of the areas around them. It seems super uous to highlight the fundamental role of a subway network in reducing traffic and pollution, both air and acoustic, in the road network. Naturally the “underground” transport service must be coordinated with the public transport services on the surface, planning functional, convenient and safe points of interchange. A subway, with its stations disseminated across the territory, is fundamental for the future of the city’s environment; the presence of a subway brings the suburbs closer to the centre of the city, facilitating the integration between its citizens, and bringing greater balance to the entire city. By vocation, our magazine likes to look beyond our national borders. We are thus enthusiastic about working with the two editors of this issue in a collaboration between the Architecture and Planning Department of the Università La Sapienza di Roma and the École Nationale Supérieure d’Architecture in Paris-Belleville. The result is a collection of articles from professors working in different academic contexts, both of which are open to vast geographic horizons. In the following pages, we publish research studies, analyses, narratives developed from multiple points of view. We review the history and outline the future of the Milan subway; we take a close look at the integration of the underground infrastructure in the city of Rome, where the earth produces signi cant archaeological discoveries. The experts from France describe the projects underway and the future plans for the Grand Paris metrò, and elsewhere in France, the infrastructure of Lille and Toulouse; they rightly examine the rich, ambitious and magni cent Moscow subway, with its long history of urban planning. There are also focuses on projects for London (intermodality and urban spaces) and Barcelona (the station as an engine of transformation). In Asia, we have explored the spaces surrounding the Tokyo subway (which has stimulated projects in the areas of access to it, both public and private) and the role of the subway in Shanghai (with its future plans for increasing efficiency in the public transport system). Technology, aesthetics, urban planning: a subway must relate to the identity of a place and the need for renewal. Both these requirements, yesterday and today, depend on the quality of the project.
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Reti e stazioni della metropolitana tra funzionalità e architettura di Laura Facchinelli
La metropolitana, spina dorsale del sistema di trasporto pubblico nelle metropoli, è un tema più che mai aperto a discipline e suggestioni. La creazione di una metropolitana riguarda l’ingegneria strutturale, la progettazione dei veicoli e la programmazione delle corse nell’arco della giornata. Ma non è tanto la metropolitana come infrastruttura di trasporto che ci interessa, in questa sede, la nostra attenzione è rivolta soprattutto alle stazioni: luoghi destinati ad accogliere folle di viaggiatori in rapido transito e quindi macchine formidabili, complesse, in costante evoluzione nell’articolazione degli spazi e dei servizi. Le stazioni sono architetture scavate nel sottosuolo, che stimolano la creatività degli architetti per creare spazialità luminose, dinamiche, stimolanti e per condurre in modo intuitivo e piacevole i viaggiatori lungo i percorsi. Di metropolitane ci sono esempi storici importanti, ma anche felici invenzioni recenti, in cui il progetto si traduce in ricerca di signi cati culturali e identitari per la collettività. Le stazioni, con la loro stessa esistenza, sono poli di attrazione che concentrano molteplicità di interessi e – se inserite in un intelligente e lungimirante progetto urbano – sono capaci di stimolare la rigenerazione delle aree circostanti. È super uo evidenziare il ruolo fondamentale di una rete di metropolitana per ridurre la congestione e l’inquinamento, anche acustico, delle arterie stradali. Naturalmente il servizio di trasporto “underground” dev’essere coordinato con i servizi del trasporto pubblico di super cie, predisponendo punti di interscambio funzionali, comodi e sicuri. Una metropolitana, con le sue stazioni diffuse nel territorio, è fondamentale per il futuro ambientale della città; la presenza di una metropolitana avvicina le periferie al centro città, facilitando l’integrazione dei suoi abitanti, e quindi rendendo l’intera città più equilibrata. Per vocazione, nella nostra rivista ci piace lanciare lo sguardo oltre i con ni nazionali. Pertanto abbiamo accolto con entusiasmo la proposta, da parte delle due curatrici, di realizzare questo numero sulla base di una collaborazione fra il Dipartimento di Architettura e Progetto dell’Università La Sapienza di Roma e l’École Nationale Supérieure d’Architecture di Paris-Belleville. Il risultato è l’affiancamento di contributi di docenti operanti in contesti accademici differenti, entrambi aperti a vasti orizzonti geogra ci. Nelle pagine che seguono, pubblichiamo ricerche, analisi, narrazioni condotte da molteplici punti di vista. Ripercorriamo la storia e delineiamo il futuro della metropolitana di Milano; guardiamo con attenzione all’inserimento dell’infrastruttura sotterranea nella città di Roma, dove il terreno è generatore di importanti scoperte archeologiche. Gli esperti d’oltralpe ci raccontano gli interventi in corso e i progetti futuri per il metrò del Grand Paris e, sempre in terra di Francia, per le infrastrutture di Lille e Tolosa; doverosamente si soffermano sulla metropolitana di Mosca, ricca, ambiziosa, magni ca, legata a una lunga storia di progetti urbanistici. Poi ci sono approfondimenti sui progetti per Londra (intermodalità e spazi urbani) e Barcellona (la stazione come motore di trasformazione). Del continente asiatico abbiamo esplorato gli spazi riferiti alla metropolitana di Tokyo (stimolatrice di interventi nelle aree di accesso, anche da parte di privati) e il ruolo svolto da quella di Shanghai (che attende interventi di piani cazione e di efficientamento del servizio di trasporto pubblico). Tecnologia, estetica, progetto urbano: una metropolitana si rapporta con l’identità di un luogo e con l’esigenza di rinnovamento. A conciliare queste due esigenze, ieri come oggi, la qualità del progetto.
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Architetture delle reti e delle stazioni di Alessandra Criconia e Anne Grillet-Aubert
Questo numero di Trasporti & Cultura dedicato alle metropolitane si misura con l’espansione delle reti e con il ruolo che le stazioni di media e piccola dimensione (rispetto a quelle ferroviarie) possono ricoprire come propulsore di urbanità diffusa in contesti, densi e meno densi. L’incidenza delle reti della metropolitana nelle dinamiche di sviluppo e funzionamento delle città è paragonabile a quello che hanno avuto le ferrovie nel XIX secolo: il viaggio urbano in metropolitana non solo sembra essere diventato più funzionale alla domanda di mobilità “interna”, ma è anche un antidoto all’inquinamento e all’effetto serra, che sono tra le maggiori cause della grave crisi ambientale che stiamo vivendo. La centralità delle metropolitane tra i sistemi del trasporto pubblico urbano è, dunque, una delle ragioni che ci ha spinte a occuparcene nuovamente. Esse rappresentano una possibile leva della rigenerazione e una delle condizioni necessarie (anche se non sufficienti) per incrementare l’accessibilità ai servizi e alle risorse urbane di qualità. La stazione della metropolitana è, infatti, nodo, crocevia, porta di accesso, luogo d’interscambio; polo energetico avanzato; piazza metropolitana. E ancora: nella città contemporanea la stazione della metropolitana è un’architettura che, da piccola che era, sta via via ingrandendosi, continuando a rivestire un ruolo rappresentativo dell’identità urbana, particolarmente signi cativo. Attraverso una selezione di casi tra i più noti al mondo, la monogra a tratta alcune tra le questioni più sensibili oggi sul tavolo degli urbanisti e degli architetti: l’ibridazione dei programmi funzionali; l’uso di tecnologie digitali; il risparmio energetico; la con gurazione di nuove forme di spazio pubblico; la riformulazione estetica e comunicativa della stazione diffusa.
A partire da questa articolazione tematica, il numero è stato ordinato secondo un criterio “geogra co”, per mostrare e confrontare modelli diversi: Tokyo, Shanghai, Mosca, Londra, Milano sono i casi presentati che con gurano un ventaglio di scenari dello sviluppo della metropolitana tra Europa e Asia, cioè tra il continente “storico” e quello del futuro. Completano questa panoramica due focus su Parigi e Roma emblematici, ciascuno per ragioni differenti, dei processi attualmente in corso: Parigi in quanto progetto faraonico di estensione e creazione delle nuove linee del Grand Paris Express; Roma, perché alle prese con la costruzione della linea C di attraversamento del centro città che, oltre a colmare un gap infrastrutturale, è una s da estetico-culturale per la riemersione della città archeologica. Il multilinguismo dei contributi scritti da ricercatori italiani, francesi, spagnoli, cinesi arricchisce il tema con una pluralità di punti di vista e approcci. Se gli autori italiani hanno affrontato la questione da un’angolazione più centrata sulle relazioni architettura e città in termini di capacità della metropolitana di collegare i luoghi e di creare nuovi spazi pubblici e culturali, gli autori d’oltralpe ed extraeuropei hanno orientato le loro analisi al rapporto tra forma della rete e forma urbana nei casi in cui la rete copre grandi territori urbanizzati e all’articolazione tra servizio e funzioni del nodo stazione, aprendo a prospettive innovative come quella del generatore di energia per la città. © Riproduzione riservata
Nella pagina a anco, in alto: render del museo all’interno della stazione Amba Aradam della linea C di Roma, in corso di costruzione (© ABDR Architetti Associati); in basso: veduta della stazione Saint-Denis Pleyel (© Kengo Kuma & Associati).
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La stazione della metropolitana, un nuovo spazio pubblico di quartiere di Giovanna Bianchi e Alessandra Criconia
L’urgenza della questione ambientale e la necessità di intervenire sulla città per ritrovare una qualità urbana attenta al cittadino sono temi che riguardano anche la mobilità integrata vista come una delle principali leve della riquali cazione sostenibile. La smart city e, con essa, il trasporto pubblico basato sull’uso misto dei mezzi di trasporto e sul cambio tra veicolo pubblico e veicolo privato o semi privato – car sharing e car pooling –, si con gurano, infatti, tra gli strumenti più signi cativi mediante cui disincentivare il primato dell’automobile. Ecco perché la mobilità integrata, laddove essa esista o sia stata progettata, ha messo in evidenza il salto di qualità verso una concezione spaziale delle infrastrutture non più strettamente settoriale, bensì multifunzionale in un’ottica di urbanità diffusa. Ciò ha comportato un cambiamento di misura della stazione della metropolitana che da luogo concentrato e piccolo, sta andando verso un accorpamento di funzioni al suo interno e nel contesto circostante, confermandosi un’importante architettura della città.
La stazione come diffusore di urbanità Partendo da questi presupposti, la stazione della metropolitana assume un ruolo strategico della connessione tra rete e nodo che contribuisce a dotare il contesto di riferimento, il quartiere, di servizi e spazi pubblici ad essa agganciati e la cui forma dipende dalle condizioni urbano al contorno. La stazione della metropolitana acquista cioè il signi cato di luogo cardine della mobilità urbana, consentendo di ragionare sugli spazi intermedi della città e di riformulare la tradizionale tipologia dello spazio pubblico in termini di “campi” di movimento e di strati cazione di attività alla maniera di un “millefoglie”. Questa tesi porta a considerare la stazione non più solamente come nodo di connessio-
The subway station, a new public neighbourhood space for urban regeneration by Giovanna Bianchi and Alessandra Criconia
To get around the city, the underground is one of the most widely used means of transport, the characteristics of which (it does not consume fossil fuels, it is distributed extensively across the territory, it interacts with the other thin networks of sustainable mobility, including pedestrian and bicycle paths), make it a strategic element of urban regeneration. The interactions that are established between network and node, make it possible to rethink the traditional typology of public space and to de ne a series of intermediate spaces that serve to bring new interconnected urban functions and services into the neighbourhood, the shape of which depends on the conditions surrounding the contexts and the places where the inhabitants meet. Based on these premises, the underground station acquires meaning as a driver of widespread urbanity: a gateway and place where the ows of everyday life intersect, it becomes a city square and a multifunctional public space able that can contribute to the creation of a more liveable city, with a richer array of services, more friendly to the inhabitants.
Nella pagina a anco, in alto: Napoli, esterno della stazione Garibaldi (foto di Andrea Nemiz); in basso: Atene, interni della stazione Syntagma (foto di Alessandro Lanzetta).
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1 - Napoli, stazione Garibaldi, scala mobile (foto di Andrea Nemiz).
ne e smistamento dei ussi, ma come porta di accesso distribuita “orizzontalmente”, in maniera omogenea e facilmente raggiungibile, che non genera depauperamenti e deserti cazioni dei contesti urbani grazie alla ricchezza e varietà di funzioni in essa contenute o generate all’intorno. In tale prospettiva le stazioni della metropolitana non sono più dei semplici luoghi del transito dove si sale e si scende da un treno, ma degli spazi articolati che affiancano ai servizi speci ci delle biglietterie e delle informazioni, delle sale d’attesa, dei caffé e dei ristoranti, gli sportelli postali e bancari insieme agli spazi per il commercio (supermercati e mercati artigianali, equosolidali a km zero), per la cultura (musei e centri espositivi), per il lavoro (wi , co-working points), nanche ambulatori e asili nido. Per far sì che questo tipo di stazione diventi un’opportunità e una risorsa, è necessario che il manufatto, nella sua dimensione architettonica, tenga conto del sistema di relazioni morfologiche e funzionali in cui si inserisce e dei suoi processi trasformativi (Bianchi, Criconia 2018).
Accessibilità e microcentalità di quartiere La stazione come un propulsore urbano diffuso incrocia tre temi. Il primo tema consiste nel declinare laquestione della mobilità soprattutto in termini di 10
accessibilità non tanto dal punto di vista settoriale e funzionale, quanto dal punto di vista dell’accessibilità a condizioni di urbanità, cioè al come si può vivere, abitare la città ed essere cittadino. È questo del diritto alla città un tema ormai consolidato con il quale gli urbanisti si confrontano da tempo (Lefebvre 1970) ma che è tornato prepotentemente all’attenzione di fronte alle crescenti disuguaglianze e alla fatica del vivere in molte delle nostre città. Il punto di vista che su cui si basa il ragionamento è il seguente: ri ettere sulle disuguaglianze non in termini sociali generali ma assumendosi la responsabilità tecnica di quelle determinate, e dunque potenzialmente risolvibili (o almeno affrontabili con le competenze disciplinari che ci sono proprie), dal progetto di città. Come ci ricorda Bernardo Secchi nel suo ultimo libro, inevitabilmente produciamo – con norme, regole, azioni o interventi – capitale spaziale, processi di inclusione o di esclusione se non vere e proprie “topogra e sociali”, anche quando non sono il frutto di strategie esplicite: “Nominare, ubicare, de nire, speci care e delimitare, separare e allontanare, legare e congiungere, aprire o recingere, dare concrete dimensioni a ogni insieme di manufatti oppure a ogni singolo materiale urbano, […] sono i caratteri dei principali dispositivi del progetto della città e del territorio e al contempo i principali dispositivi di controllo della compatibilità o incompatibilità tra le sue diverse destinazioni d’uso, […]. Oppure speci care il suo [ndr di
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2 - Madrid, interno della stazione di Atocha (foto di Chiara Tofani).
una parte di città] livello di infrastrutturazione e attrezzatura: quanti spazi verdi, quanti parcheggi, quanti asili, scuole e presidi sanitari; separarla o congiungerla al centro città, alla città esistente o ad altre parti simili; dotarla o meno di facili e rapidi collegamenti attraverso il trasporto pubblico; […]” (Secchi 2013:24). Dunque, anche il collegamento tramite trasporto pubblico è, almeno concettualmente, una dotazione che nulla ci impedirebbe di caratterizzare, sotto il pro lo normativo, come standard. Se infatti il concetto di standard risponde a un bisogno, a una questione sociale e se la risposta può e deve essere non solo di natura quantitativa ma anche di natura qualitativa e prestazionale, non v’è dubbio che anche la mobilità sostenibile (nella sua declinazione di reti e di nodi) si possa con gurare come nuovo standard (Viviani 2015). In questo senso ci riallacciamo a una concezione della mobilità come una componente rilevante dei diritti di cittadinanza (Secchi 2010) e del capitale spaziale determinato dall’insieme delle prestazioni della parte di città dove si vive (vale a dire delle condizioni concrete del welfare urbano) che possediamo o meno come cittadini in funzione delle dotazioni cui abbiamo accesso e della libertà di movimento di cui godiamo per accedervi. Che la questione dell’accessibilità sia dirimente sotto il pro lo funzionale e della qualità della vita è tanto più vero per la città contemporanea caratterizzata spazialmente come eterogenea, frammentata, estesa, di-
spersa, discontinua (spazi costruiti, semicostruiti, aperti o vuoti urbani di varia natura, ecc.) e oggetto di pratiche spesso fortemente individualizzate (Secchi 2010; Oliva 2014). Caratteri che richiedono politiche e piani che favoriscano la porosità (Secchi, Viganò 2011) dei tessuti urbani, accrescano la permeabilità e dunque, nuovamente, le condizioni dell’accessibilità. Il secondo tema consiste nel riconoscere la necessità di confrontarsi realisticamente con i caratteri spaziali attuali, anche praticando una concezione rinnovata di densi cazione spazio-temporale, per la quale si può agire nello spazio e nel tempo per ricompattare la città contemporanea. Nello spazio in quanto i nodi sono densi di funzioni di prossimità e di signi cati a scala locale; nel tempo in quanto la rete consente l’accesso a funzioni e signi cati a scala urbana. Nella città, infatti, non conta solo la distanza sica da una dotazione, quanto il tempo e la modalità con cui si può raggiungere. D’altra parte, già molti anni fa Giorgio Ruffolo sosteneva che il ruolo della piani cazione era quello di “[…] inventare nuovi modelli spazio-temporali, che producano spazio (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo distrugge), che producano tempo (là dove la civiltà quantitativa della congestione lo dissipa) […]” (Ruffolo 1986). Il terzo tema (Bianchi 2008, 2010, 2014), consiste nel fatto che, nella generale insoddisfazione delle pratiche di trasformazione della città contemporanea, ci sia una particolare 11
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noncuranza per la città di tutti i giorni che, al contrario, richiederebbe il perseguimento di una qualità diffusa e sostenibile delle trasformazioni ad uno sguardo ravvicinato. Il che non vuol dire occuparsi, in modo riduttivo, solo delle “piccole cose” ma, al contrario, ripensare lo spazio del quotidiano quale occasione di rigenerazione della città contemporanea, rispondendo alla domanda di “buon abitare” in un’ottica multiscalare. In un duplice senso: lavorare per parti di città su fattori di prossimità spaziale e su relazioni locali che agiscono nell’ambiente di vita quotidiana, valutandone anche gli aspetti cumulativi alla scala urbana ovvero su fattori di natura urbana, dei quali comprendere il ruolo a scala urbana, ma valutati e regolati nelle loro implicazioni locali. Lavorare sulle prestazioni di prossimità del singolo episodio insediativo e, contemporaneamente, lavorare sulle relazioni funzionali e ambientali tra i singoli episodi. In tal senso, la qualità urbana potrebbe scaturire anche dal mettere al centro le relazioni con il contesto, lavorando sugli spazi di prossimità, sul rapporto tra spazio domestico (relazione individuale con la città) e spazio pubblico (relazione collettiva con la città), tra residenza e servizi e, in generale, su spazi pubblici di rilevanza locale (Di Giovanni 2010). /ferrovia urbana interseca questi tre temi di sfondo – accessibilità alle condizioni di urbanità, densi cazione spazio-temporale, qualità diffusa e sostenibile dello spazio del quotidiano – per più di un motivo. Da qui l’ipotesi che si debba ragionare sulla stazione non solo come nodo funzionale del sistema delle infrastrutture urbane ma anche come “occasione” per creare / valorizzare / riquali care uno spazio urbano, anzi uno spazio comune quale componente essenziale dell’urbanità. Dunque, la stazione della metropolitana come propulsore e diffusore di urbanità – che sia cioè polo di attrazione ma che non depauperi il contesto urbano all’intorno – e potenziale luogo di relazioni sociali ed economiche alla scala del quartiere. In questa prospettiva, come sarebbe possibile progettare la stazione nell’indifferenza ai caratteri e alle pratiche di uso del “suo” quartiere? E, allora, quale potrebbe essere un approccio progettuale ragionevole? Di quali elementi tener conto per l’innesto (nuovo/ ristrutturazione) di una stazione di terza generazione? Proveremo a proporre alcuni requisiti. Il primo carattere generale, costitutivo di ogni ragionamento di progettazione urbanistica, consiste nel valutare la capacità di inte12
grazione tra progetto e città: grazie al nuovo progetto la città dovrebbe acquisire dotazioni (manufatti, valori, ecc.); grazie alla città il progetto si dovrebbe rafforzare poiché da solo non è in grado di esaurire l’urbanità necessaria. Un progetto estroverso VS un progetto introverso. Il secondo si muove nella prospettiva di un’infrastruttura mixed use che, come più volte detto, non assolva solo ai compiti settoriali ma che possa rispondere – per funzioni presenti, per condizioni e tempi d’uso, per aspetti estetici e simbolici – a pubblici diversi ed essere nello stesso tempo un segno di riconoscibilità e di identi cazione per il quartiere. Insomma, una sorta di porta urbana di quartiere. Il terzo – forse il primo per importanza? – consiste nella convinzione di dover progettare non un manufatto, non un nodo della rete su ferro ma un luogo urbano (Fantin 2015) e dunque pubblico, da abitare, che tenga insieme lo spazio costruito e lo spazio aperto, il dentro e il fuori, il concentrato e la prossimità, lo stare e il transitare. E ancora, la capacità di rispondere alla domanda: “quanta” città incorpora la stazione che sto progettando? Vale a dire, quale contesto urbano – nei suoi caratteri, nei suoi valori, nelle sue criticità – è attraversato e reso accessibile al contesto locale da “questa” linea metropolitana? (il nodo come “urbanità diffusa”). Insomma, la stazione come una sorta di scambiatore tra città e quartiere, da progettare dunque come nodo urbano ma dotato di speci cità locali. Il quarto in ne, prova a rispondere a uno dei problemi della mobilità sostenibile che consiste, com’è noto, nell’assumere un’ottica urbana e nel lavorare per migliorare l’adduzione alla rete su ferro. Nel ragionamento qui proposto, si tratterebbe di lavorare non solo sull’allaccio alla rete (ferro, gomma, reti sottili) ma anche sul fattore di attrattività, facendo della stazione e degli spazi ad essa prossimi una sorta di microcentralità di quartiere.
Palinsesti infrastrutturali e mobilità integrata Parlare di microcentralità di quartiere signica riscoprire le relazioni locali. Apparentemente si tratta di un controsenso alla luce delle dimensioni smisurate raggiunte dalla città dove i principali luoghi della vita urbana, casa-lavoro-acquisti-svago, possono essere distanti tra loro decine di chilometri, ma la condizione contemporanea implica la coesistenza delle scale, da quella vasta del
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territorio a quella intermedia del quartiere, no a quella piccola della piazza, in una sorta di gioco a scatole cinesi. A differenza della città moderna in cui erano state le strade carrabili a tessere il telaio da cui era stata fatta discendere l’intera organizzazione dello spazio pubblico – si pensi alla teoria lecorbuseriana delle 7 V(oies) –, nella città contemporanea l’armatura urbana è costituita da una tta rete di linee infrastrutturali che consentono, tra le altre cose, la creazione di una mobilità integrata. In teoria, si tratta di qualcosa di semplice, l’ampliamento dell’offerta dei mezzi del trasporto pubblico e privato in affitto e in condivisione, nei fatti è una riforma radicale del modo di muoversi in città fondato sulla moltiplicazione dei punti di scambio e sull’informazione in tempo reale, per consentire all’utente di scegliere la modalità migliore per raggiungere le sue mete. In questo quadro, le stazioni della metropolitana hanno acquisito il valore di piccoli hub urbani arricchiti con i nuovi servizi della mobilità – bike- e car-sharing, stazioni dei taxi e dei pullman, parcheggi di scambio park and ride – e con gli spazi commerciali e del tempo libero, alla maniera delle stazioni ferroviarie che l’alta velocità ha trasformato in luoghi di ritrovo e piazze pubbliche. Non sempre però un programma funzionale così signi cativo può essere concentrato all’interno di una stazione della metropolitana che, tranne quando è di scambio, è di piccole dimensioni. Dunque, per far sì che la stazione della metropolitana diventi microcentralità di un sistema di servizi e spazi pubblici a scala di quartiere, è importante che non concentri solamente le funzioni, ma le diffonda, valorizzando le risorse esistenti e contribuendo all’innalzamento della qualità urbana con la realizzazione di spazi e luoghi per la collettività.
La stazione abitata Sebbene se ne parli poco, la stazione della metropolitana non è un tema nuovo alla disciplina architettonica. Fin dai primi anni del Novecento, la necessità di spostare un gran numero di persone a prezzi popolari, fece del treno urbano un mezzo di spostamento preferenziale e della stazione, un luogo nevralgico della città. Frequentata quotidianamente dai viaggiatori che lì trovavano l’accesso alla città sotterranea dei corridoi e dei binari, ciò che caratterizza l’architettura delle stazioni della metropolitana è una ricerca di “normalità” degli spazi ipogei, piacevoli da frequentare quanto quelli in super cie. Fin
dai primi esempi, la cura riservata al progetto degli ingressi e delle biglietterie rivela un’attenzione alla domesticità di questi spazi della circolazione urbana. Le stazioni della metropolitana devono essere luoghi per tutti, accessibili e godibili a chiunque, al di fuori delle appartenenze e delle condizioni sociali e l’attenzione al decoro e alla luminosità degli interni ha il compito di rimuovere l’identicazione del sottosuolo con il mondo degli inferi. Le stazioni delle prime reti della metropolitana – Parigi, Londra, Vienna, Mosca, New York, … – pur tra loro molto diverse, sono la cartina di tornasole dello spirito illuminista che contraddistingue la città moderna: le edicole art nouveau del metrò parigino di Hector Guimard, i padiglioni in stile liberty di Otto Wagner a Vienna, la sontuosità delle sale della metropolitana di Mosca, il funzionalismo delle stazioni di Londra e di New York, curate nei minimi dettagli a partire dalle lampade sferiche all’esterno degli ingressi per nire al mobilio in legno delle biglietterie e delle sale di attesa, sono solo alcuni degli esempi più noti, che rivelano la cura riservata al progetto di questi nuovi luoghi della città. Ma la stazione della metropolitana è stata anche laboratorio di interessanti sperimentazioni come quella di Franco Albini e Franca Helg per la linea 1 della metropolitana di Milano realizzata con materiali industriali sapientemente selezionati e orchestrati – il pavimento gommato nero, i corrimani e le sedute rosse – e completata con la segnaletica di Bob Noorda, autore delle scritte bianche su fondo rosso dei pannelli che informano l’utente di dove si trova, evitandogli il rischio di perdersi nel labirinto dei corridoi sotterranei. La qualità spaziale ed estetica è dunque uno dei criteri basilari dell’architettura delle stazioni della metropolitana che devono essere “attraenti” per spingere le persone a recarvisi aldilà dell’esigenza di prendere un treno. L’arte è uno dei fattori di richiamo come mostra il caso del “museo obbligatorio” delle stazioni delle linee 1 e 6 della metropolitana di Napoli che sono state trasformate in gallerie espositive con opere degli artisti della Transavanguardia e dell’Arte povera o come, prima ancora, le discenderie scavate nella roccia della metropolitana di Stoccolma, affrescate con pitture artistiche grazie all’iniziativa di Vera Nilsson e Siri Derkert. Anche l’archeologia è diventata un materiale di progetto come si vede ad Atene dove, nelle stazioni dell’area centrale, i viaggiatori della metropolitana accedono ai binari passando attraverso gli scavi della città antica, o
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3 - Atene, interno della stazione Syntagma (foto di Alessandro Lanzetta).
a Parigi che ha dedicato la stazione LouvreRivoli all’esposizione di copie di statue e reperti archeologici visibili in originale nelle sale del museo o a Roma dove le stazioni della linea C sono anche degli spazi di esposizione dei reperti rinvenuti durante i lavori di scavo e di immersione nella stratigra a della città antica. Ma l’architettura della stazione della metropolitana non si limita a so sticati allestimenti dello spazio interno. La stazione è anche un importante dispositivo tecnologico e nei tempi più recenti il suo spazio si è arricchito di aspetti più propriamente ambientali: nonostante esse siano sempre più simili alle stazioni ferroviarie dell’alta velocità, il modello strutturale tende a sempli carsi per limitare la discesa in profondità e incrementare la luminosità e il comfort. Lì dove è possibile, la stazione è ridotta a due livelli ipogei principali, quello della biglietteria e quello delle piattaforme dei binari, per portare la luce naturale in profondità e scon ggere il senso claustrofobico dello spazio buio. La riduzione dei livelli ipogei comporta un maggiore inserimento della stazione nell’ambiente urbano di riferimento e la diffusione delle funzioni invece di una loro concentrazione all’interno. Progettare le stazioni non signi ca infatti semplicemente pensare a come spostare degli utenti da un punto A a un punto B, ma sviluppare una visione più ampia che ponga al
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centro le relazioni con il contesto per creare un ambiente più ricco di contenuti, più accogliente e in cui chi vi accede, possa riconoscersi. Solo mettendo in relazione lo spazio interno con lo spazio esterno, è possibile ricucire pezzi di città separati e superare le barriere siche delle ferrovie e delle autostrade urbane che costringono gli utenti a fare percorsi tortuosi e pericolosi per strade e sottopassi in cattive condizioni, non sempre sufficientemente illuminati e sicuri. Bisogna dunque intervenire per collegare, tanto sicamente quanto visivamente, la stazione al suo contesto realizzando una rete di percorsi veloci, sicuri e facilmente identi cabili, un sistema di segnaletica leggibile che faciliti l’interscambio, minimizzando gli spostamenti tra le diverse modalità di trasporto e orientando le persone. La stazione deve fungere da porta di accesso al quartiere e da distributore dei ussi verso le diverse destinazioni che possono essere la casa, il parco, la piazza ma anche i servizi pubblici: ospedali, scuole, uffici, centri commerciali. Ecco perché la stazione della metropolitana torna a essere un tema urbano e architettonico da progettare con cura che accompagna le persone nel loro movimento, crea connessioni e relazioni. Tenerne conto è un aspetto fondamentale di un buon progetto di riquali cazione che deve consentire anche di favorire i processi di riconoscimento e di identi cazione degli abitanti con la loro città: basti pensare a quanto le edicole
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4 - Interno della stazione di Madrid Atocha (foto di C. Tofani).
art nouveau di Guimard siano diventate elementi del paesaggio urbano di Parigi e quanto la loro architettura sia ormai connaturata con l’immagine della città. © Riproduzione riservata
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Tokyo subways: a public-private tool to renovate the 21st century metropolis congested spaces by Corinne Tiry-Ono
When travelling in very large Japanese cities, such as Tokyo, Yokohama or Osaka, it is not always easy to differentiate the subway network and service from the urban railway ones. In Tokyo especially, as subway cars are sometimes running over ground and railway cars underground on the same tracks on the one hand, as a single pass is valid on both types of networks on the other, confusion can rapidly arise for unfamiliar users. In such hybrid and dense context, signage and architecture design are useful clues for the latter as well as strong identity tools whether— or because—the transportation company is public or private, owning and managing one network or another. For a few decades and various reasons, those transportation companies are investing to improve the quality and attractiveness levels of the collective space they have generated originally to make the users’ massive ows always smoother. Some of them are also taking advantage of some important metropolitan mutations and policies, which emerged at the end of the 20th century, at different scales. Tokyo Metropolitan Government (TMG, 2018) reports that “A daily total of some 30 million people use public transportation in Tokyo’s 23 special-ward areas.”1 (p. 36)—although less than the half is living there. This contrast shows how the mass-transit urban network, largely run by private companies, plays a major and crucial role in the metropolitan everyday life and the economy of the capital city of the country. Looking at the metropolitan scale, this dense infrastructure network covers a radius of 50 kilometres from the Tokyo Central station. But today, it is only at the city scale of the 23 wards that the rail mode—here including subways— remains dominant among users. If Tokyo’s demography is still dynamic (Scoccimarro, 2018), the golden age of rapid growth is gone. Since the beginning of the 1990s, the 1 Here “public” means mass-transit.
Metropolitana di Tokyo: uno strumento pubblicoprivato per rinnovare gli spazi congestionati della metropoli del XXI secolo di Corinne Tiry-Ono
L’articolo è focalizzato sullo spazio congestionato delle metropolitane di Tokyo per il trasporto di massa, in particolare sul suo livello sotterraneo, che noi consideriamo come un innovativo generatore di spazialità. Tradizionalmente sbilanciati dal punto di vista economico, o comunque a rischio, i quartieri orientali e quelli occidentali della capitale del Giappone sono diseguali anche in termini di servizio di trasporto. Guardare ai programmi più recenti delle inee pubbliche e private – la linea Ōedo e la linea Fukutoshin, attivate rispettivamente nel 2000 e nel 2008 – offre la possibilità di ricordare la storia del tardo sviluppo delle metropolitane di Tokyo e le nuove opportunità per gli stakeholders pubblici e privati all’inizio del 21° secolo. Entrambe le nuove stazioni sono state progettate e concepite per rispondere a molteplici funzioni. Il dinamismo della rigenerazione urbana, l’aumento dell’attrattività, le contromisure studiate per i disastri naturali, l’accessibilità, per esempio, sono combinate con la condizione problematica insita nelle infrastrutture sotterranee. In modo inusuale, sono stati chiamati architetti indipendenti per risolvere quei problemi complessi con soluzioni spaziali semplici o spettacolari, ma adeguate alle esigenze. Se le caratteristiche architettoniche speci che di ogni nuova linea stanno rafforzando la storica disparità fra est e ovest, ognuna, comunque, rafforza la singolare identità urbana che sta servendo.
On the previous page, from left to right, top to bottom: Tokyo Subway Route Map in 2018 (© Bureau of Transportation, Tokyo Metropolitan Government, Tokyo Metro Co., Ltd. ). Iidabashi subway station entrance near Koishikawa kōraku garden, designed by Watanabe Makoto Sei and opened in 2000 (© Google, 2019.04, from https:// www.makoto-architect. com/iidabashi.html (last view: 2020.03.03). The Hongō-sanchōme subway entrance on Kasuga Avenue, designed by APLdw and opened in 2000 (© Google, 2019.06). A shared roof as a signal to access Marunouchi and Ōedo lines from the Hongō-sanchōme dense urban fabric
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lenges, or simply responding to the official modernisation and attractiveness policy to make Tokyo more competitive in the context of fast-growing large Asian cities. Since the post-World War Two reconstruction, among their various jointly applied strategies (TiryOno, 2015), using the spatial potentials of the “privately owned public” or “POP” space (Dimmer, 2013) seems like an efficient and qualitative operational tool. This article is focusing on the case of the Tokyo mass-transit subway infrastructures congested space, and on its underground layer in particular we would like to suggest as an innovative space generator.
Tokyo subways: planning development history and 21st century new opportunities
Table 1 - tram and subway network length and passenger traffic in Tokyo, from 1911 to 2019. Source: adapted from Aoki, 2002, p.45, and completed by the author from various documents. Table 2a - Tokyo subway network data after the opening of the Ōedo line in 2000. Source: adapted from Omega Centre, 2010. Table 2b - Tokyo subway network main data after the opening of the Ōedo and Fukutoshin lines. Source: Tokyo Metro, 2019, p.12 and Tokyo Metropolitan Government, 2018, p.1.
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urban transportation sector has entered a less lustrous phase in which an innovative strategy must be found to address the relative decline in customers. Among various internal factors, the economic slowdown, the aging of the population and a low birth rate are having a serious impact and no signi cant changes are expected for the next few decades.2 Working closely with the urban agenda of the TMG is undeniably an attitude that private transportation companies— and the groups they belong to—have integrated, through a “win-win” collaboration to meet speci c environmental or risk chal2 With the COVID-19 pandemic crisis, another factor must be added to this list: in April 2020, the Japanese households budget for transportation has dropped sharply (air: -95%; rail: -90%) (Agence France Trésor, service économique régional de Tokyo, 2020).
Although the City of Tokyo planned the construction of seven subway lines in 1920, it faced a signi cantly delayed development, due in part to the burden of the Great Kantō Earthquake in 1923, followed by the dramatic episode of World War Two. Indeed, in 1927, the capital city of Japan had only one operational subway line (the Ginza line between Asakusa and Shibuya), which was only partially completed. The construction of the second line (the Marunouchi line linking Ikebukuro and Shinjuku) was launched much later, and it opened—although partially again—in 1954, at the end of the post-war reconstruction period. Both lines are C-shaped, linking the eastern and western parts of Tokyo and avoiding the Imperial Palace sacred space. The 1957 Capital Region Plan de ned a 5-subway line scheme, including both existing lines, whose pace of construction became real and accelerated after 1960 thanks to the dynamics of the economic recovery and the perspective of the 1964 Olympic Games (Tiry-Ono, 2018). But the capacity of the planned subway network soon appeared underestimated compared to the growing urban population and the country’s industrial boom, with Tokyo and Osaka in the front line. Twenty years later, the length of the Tokyo subway network almost equalled the length of the tram network, the infrastructure of which was progressively dismantled from 1967 to 1972 due to growing automobile traffic congestion.3 Most of the new subway lines were built in3 Tokyo is not an exception and most of the large cities of the Honshū Island, like Osaka or Kyoto for instance, faced the same process (Tiry, 2008).
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side the boundary of the Yamanote railway loop line, and connected to the largest (private) suburban railway terminal stations. Since 1938, the Land Transport Regulation law (rikujō kōtsū jigyō chōsei hō) protects the public transportation system from harsh business competition by private operators: this law forbids the private suburban railway companies from extending their tracks into the perimeter of the Yamanote line. Starting in the 1960s, progressively, agreements between public and private companies were signed to allow through services—unless major technical obstacles blocked. The network geographies differ depending on the transportation modes: tram and bus systems give shape to a dense grid of meshed lines, whereas railway and subway modes draw a star-like gure of intersecting lines, with the exception of the Yamanote loop line. Urban and metropolitan scales each have their own dedicated transit systems, techniques and speeds. Today, the 13-line subway network is managed by two different companies, with speci c historical backgrounds. The oldest one, originally called the Tokyo Underground Railway Company and then named Tokyo Metro following its privatisation in 2004, built the rst subway line in the capital city (Ginza line, 1927). Compared to large cities in other industrialised countries, it appeared rather late. Today, Tokyo Metro is running 9 lines (Ginza, Marunouchi, Hibiya, Tōzai, Chiyoda, Yurakuchō, Hanzomon, Namboku, Fukutoshin) with the latest, the Fukutoshin line, completed in 2008 as an important piece of a vast and ambitious urban renewal strategy for the western part of Tokyo. The second company, called Toei or Teito Rapid Transit Authority (TRTA) was established as a public company in 1941 but its own subway lines starting in the 1960s: Asakusa, Mita, Shinjuku, and lately Ōedo in 2000, partly operated by TMG. The Ōedo loop line, a TMG project, brought a major shift in the way subway infrastructure, station design, and their interaction with the local city are conceived in Japan today.
city (shitamachi) in the east faced an unprecedented opportunity to rebalance the metropolitan situation. The consequences of the privatisation of the Japan National Railway (JNR) company in 1987 brought a new context for the renewal of this part of the capital city. The simultaneous abandonment of freight-transport activity in the centres of Japanese metropolitan areas by the newly created JR private companies, saw land potentials from the decommissioned sites used for stocking goods, and attracted the appetites of private developers. In the centre of Tokyo, 169 hectares were involved out of the 400 hectares at the metropolitan region scale. These vacant lands, which were rather extensive and located close to railway nodes inside the dense urban fabric, were supposed to be rapidly transformed in mixeduse urban developments—although with a dominant portion of office space as a revitalisation tool. But the burst of the economic bubble in 1991, followed by the slowdown of the Japanese economy, temporarily halted the urban development projects, which were only able to nally emerge in the early 2000s. Meanwhile, the Tokyo Prefecture succeeded in the development of a vast urban transportation project in the high density area of Tokyo, overcoming the burden of high land cost value by investing in the deep underground—i.e. beyond the “vertical” land property limits. Opened in 2000, the new Ōedo subway line4 draws a second loop line with multiple purposes: reducing the congestion of central mass-transit transportation on the one hand, and providing better accessibility to the eastern part of the capital city while meshing the existing radial railway and subway lines, on the other. If the eastern half-circle indeed contributed to the urban regeneration of some old industrial sites5, including the Tokyo Bay area, the western half-circle today still looks like just another tube absorbing the network’s (over) ows. Although some are now losing customers due to demographic changes (especially the
The Ōedo line: a soft urban regeneration tool with a unique architectural identity
4 41 kilometers long with 38 new stations, the Ōedo line has a West-East lying “6” shape. It operates only three interconnections with the North-South Yamanote railway loop line, but more than 25 with other lines. The name Ōedo (Big or Great Edo) is a tribute to the ancient feudal capital Edo as well as a commercial sign for the expanding mass tourism policy of the TMG starting at the same time in the early 2000s. 5 The Shiodome Station is the most signi cant example: Shiodome is a typical large urban redevelopment area that has been developed on a vacant freight yard (Dimmer, 2013).
Historically, the western and eastern parts of Tokyo have been developed and served by mass-transit transportation systems in an unequal manner. But, at the end of the 20th century, the declining industrial low
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1 - Model of the Shibuya station area completed project (© Corinne TiryOno, 2017). 2 - Sketch view of the Shibuya station area completed project (© Urban Renaissance Agency).
declining birth rate in suburban areas and an increase in the aging population),6 the major goals of all mass-transit transportation companies include reducing congestion for better security and comfort, as well as offering adapted traveling conditions.7 While the Ōedo line was under construction, the TMG target was moved from 180% to 150% congestion8. However, several characteristics of 6 Some prospective scenarios have been studied to grasp the problem in a comprehensive way and at the metropolitan scale. Among them, Professor Ohno Hidetoshi’s radical proposal consisted of increasing the urban density along the railway lines and the number of stations while transforming the lateral land into green non built-up areas (Ohno, 2004). 7 On the Mita subway line for example, some non air-conditioned cars are available in order to contribute to the less energy consumption effort or simply for the users who wish to escape from temperature shocks during the very hot and humid season. “Only for women cars” available during the rush hours are also popular. 8 In the Japanese mass-transit survey system, 100% congestion means that about three passengers can stand in comfortable conditions on a surface of one square meter; with 200% congestion, the passengers
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this new line constitute severe handicaps, and explain why success was slow to come: rstly, high fare pricing compared to the existing lines (the TRTA company being a public entity, and its nancial investment huge—although partly helped by the private sector); secondly, the smaller tunnel section that gave passengers a potential feeling of anxiety;9 and thirdly, an extension of transfer time due to the very deep location of the stations.10 To minimize the latter, the architecture of the pedestrian sequences in their entirety was studied and designed in a precise and original manner, calling upon the skills of famous architects through a public proposal system in 1990 and public art works commissions. It is worth noting that such an open process is quite uncommon in Japan: most of the private mass-transit transportation companies belong to large business groups which have their own architectural staff working within an integrated design and engineering Department.11 The inclusion of underground facilities such as bicycle parking lots and disaster provision warehouses, although in a limited number, has also been possible due to unusual available space. Most of the architecture in Tokyo’s pre-existing subway stations is generic, robust and functional. Major investments on the existing subway stations are concentrated on passenger security and accessibility, using “universal design” devices and modernised equipment: escalators, elevators as well as ropes on the one hand, automatic platform doors on the other. In the case of the Ōedo line, the strategy is quite different and has been upgraded with unique space and light designs for each station, from the street level entrances to the underground platforms, including the interconnection areas with other lines (Kido, 2006). Implementing new number rises to seven. 9 4.3 meters compared to 6.2 meters for conventional subway tunnels in Tokyo (Hiraide, 2005, p.33). 10 From 20 to 40 meters underground, but “nothing” compared to some of the Grand Paris Express stations that will reach a depth of 50 meters below ground, or the newly planned subway line in Montreal at 70 meters! On the Ōedo line, traffic in 2000 was only 219,358 passengers per day. It grew to 781,487 pass./day in 2007 (Omega Centre, 2010, p.7), but the passenger traffic as a whole on the Tokyo mass-transit transportation network started to slow down from the late 1990s. 11 The Yokohama Minato Mirai subway line opened in 2004 is another example where independent architects were commissioned to design the stations, with the purpose of working on the identity and bringing a higher quality and attractiveness to a regenerated urban area (Minato Mirai is the name of the harbour regeneration project).
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subway access within a dense urban fabric presents at least two challenges: nding available space, within an existing node or not, on the one hand, and offering enough convenience and visibility to the users on the other. This situation led to some interesting spatial solutions and a new typology far different from the generic type, especially for isolated access. A few exemplary types or examples are worth noting in the northern part of the line: one of the numerous Iidabashi station12 entrances is located inside an office building and its design is conceived as a strong signal that relies on an emerging sculptural piece to visually link the building, the street space and the park in front); the design of two distant Hongō-sanchōme station entrances address their own sites: one could bene t the disposal of a small lot, whereas the other one takes advantage of the Marunouchi line access under a shared roof. Most of their architectural designs were conceived as local urban landmarks, and are now part of the neighbourhood urbanscape.
Fukutoshin line: a uid new corridor highlighted by the Shibuya station area mega-project The western part of Tokyo has concentrated the highest traffic and congestion levels since almost a century now. Less damaged by the Great Kantō Earthquake in 1923, the safer Musashino plateau absorbed a massive relocation of residents, and its rapid suburban growth has lasted for several decades. The boom of suburban travel and especially of commuting between the west and the city centre, as one of the consequences, led to the development of the biggest railway stations on the western part of the Yamanote railway loop line, namely the Shinjuku, Shibuya and Ikebukuro stations and their multiple interconnections with tram, bus and then subway lines. The 1957 Capital Region Plan de ned a strategy to reduce the congestion of central business activities primarily through the idea of creating from scratch a second business district in the western part of Tokyo: the Shinjuku sub-centre (fukutoshin).13 This strategy rapidly evolved to transform the mono-cen12 Iidabashi station gives access to four subway lines and one elevated railway line (Yamanote). 13 Thanks to the opportunity of a huge vacant public land in Yodobashi, located only 300 meters away from the Shinjuku railway station.
tred urban structure of the capital city into a metropolitan polycentric one, based on a collection of new sub-centres (Sorensen, 2001). From the early 1980s, remote urban sub-centres were developed as well. In fact, two types of fukutoshin must be distinguished: “relay centres” which are major intermodal transportation nodes offering mixed urban activities and playing an important socio-economic as well as cultural role at the metropolitan scale, and “complementary centres” that are simple local suburban centres. Linking the three major western nodes (Shinjuku, Shibuya and Ikebukuro) which concentrate the highest passenger ows of the city, and ensuring smooth pedestrian transfers, all in safe conditions, became permanent challenges for the many operators in partnership with TMG. Needless to say that the overconcentration of passenger ows also meant huge pro ts for their railway and subway companies, all of which are private except TRTA&TMG, running various business activities on site (retail stores, department stores, office space leasing, hotel businesses, various urban services including new mobility services, etc.). Indeed, these three major nodes are constantly transformed, adapted, extended underground or over ground with additional new vertical volumes—often tending, from the beginning of the 21st century, towards a skyscraper morphology. The Fukutoshin line, fully opened in 2008, answers all those purposes. Its implementation doubles the old Yamanote line western corridor, offering a fast new link between Shibuya and Ikebukuro while expanding the Shinjuku sub-centre connections area. Its terminal station, located in Shibuya, is part of a major local and metropolitan redevelopment project for the entire transportation node, which started in the late 1990s and was accelerated in view of the 2020 Olympic Games. The whole Shibuya redevelopment project is also an example of the typical joint-venture method used in Japan for the modernisation of complex trans-
3 - Section of the Shibuya Tōkyū station atrium designed by Andō Tadao and opened in 2008 (© https://www.designbuild-network.com/ projects/shibuya-station/ (last view: 2020.03.03).
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portation nodes, where various stakeholders—public and private—coexist with shared needs, different economic power levels but also speci c goals. Today’s redevelopment of the Shibuya area is based on the designation of the site as a “Priority Development Area for Urban Renaissance”: an urban plan accepted by TMG in 2013. Launched in the early 2000s by the national Government, the Urban Renaissance policy marked a radical shift in the approach by authorities to urban congestion as Saito and Thornley (2003) analysed: « The fears of overconcentration have been replaced by a positive attitude towards agglomeration » (p.667). Guided by the compact city model and its more effective land use agenda, the strategy consists basically in encouraging urban development/improvement by the private sector. For instance, it stimulates private landowners to overdevelop their building stock or capacity thanks to deregulated rules negotiation—such as allowing higher oor-area ratios—under certain conditions. Among the targeted sites that are considered as a priority type, the Basic Policies for Urban Renaissance (Prime Minister of Japan and his Cabinet, 2004) pointed “Districts which have traffic junctions, such as stations, or the surroundings areas thereof, and which are expected to form a base of livelihood and exchange, etc.” Historically, Shibuya is “the” place for shopping, leisure and nightlife amusement. It is above all the Tōkyū Corporation “empire”, with its two suburban railway lines—the Tōkyū Tōyoko line and the Tōkyū Den’en Toshi line— terminating there, and its multiple department and retail stores inside and outside the labyrinthine Tōkyū Shibuya station (Tamura, 2013)—the whole being closely connected with the JR Yamanote loop line, subway lines, buses and taxi services. Tōkyū is therefore the dominant landowner and stakeholder in the Shibuya area redevelopment plan,14 for which the group has recently completed two mixed-use skyscrapers—Hikarie in 2012 and Shibuya Scramble Square (or East Wing) in 2019—while heavily recon guring its multi-layered complex transportation node. Here, the geography is a main constraint: the whole site has a natural valley shape, and attracts huge crowds night and day... Firstly, the topography explains why Tōyoko line trains 14 The others are: the Ministry of Land, Infrastructure, Transport and Tourism, TMG, Shibuya Ward Office, East JR Company, and Tokyo Metro Company. The Urban Renaissance Agency acts as a coordinator.
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used to enter the Shibuya station on the upper level, forcing the passengers to move down three storeys to reach the subway platforms. The Tōyoko line tracks have been relocated underground,15 and they now allow through services and shorter transfer times. If the three busiest stations in the western part of Tokyo bene t from this new route, it also impacts a larger scale, with faster access to remote attractive destinations such as Yokohama in the south or the Tokorozawa resort in the north-west of Tokyo for instance16. A brand new atrium has been created to channel the different passenger ows. For the rst time, the spatial device of the station—a project entrusted by Tōkyū Corporation to the 1995 Pritzker Prize-winning architect Andō Tadao—integrates ecological concerns into the architectural design, such as natural ventilation for the 3-storey underground volume. An 80 meter-long ellipse-shaped void space, located in the middle of the concourse, links the three levels (Hikarie building entrance, Tōkyū Tōyoko line, Fukutoshin line) while an egg-shaped volume helps the natural air movement to circulate. Secondly, its topography carries a high risk of ooding during the heavy rain season, and as a consequence, serious threats to the underground users and infrastructures. Impressive engineering works have also been completed to include a huge rainwater storage reservoir underground, which is invisible to the public, and the partial canalisation of the Shibuya river. The new Tōyoko line Shibuya Station was built jointly by the Tōkyū Corporation and Tokyo Metro, whereas the reservoir was a joint effort by Tōkyū and TMG.
Public versus private regeneration means: a question of scale? From the 1950s, underground space development in very large Japanese cities became a common approach to address the issue of passenger congestion in the transportation system, and to interlink a dense and hetero15 Unfortunately, the elegant multi-curved roof of the old elevated Tōyoko line platform, designed in the 1950s by the great modern architect Sakakura Junzō, was not protected by the heritage law although it was a powerful landmark in the post-war urbanscape of the Shibuya area. 16 According to Tōkyū Corporation, this interconnection improvement with the Fukutoshin line quickly boosted the number of passengers and company revenue (Tokyu Corporation, 2014).
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geneous network. In Tokyo too, during the post-war subway line construction boom, underground commercial galleries (chikagai) ourished to create tentacular pedestrian labyrinths that were arti cially air-conditioned and lit: functionality and efficiency were the key words for such an underground “public” space considered as a modern and safe environment. The recent projects in Tokyo display a completely revised vision by the urban transportation authorities, whether public or private, towards the de nition of the underground interconnection space and its relation to the surface area. If they have integrated local users’ expectations for better-quality spatial environments—users here are passengers but also shoppers, from the metropolitan area and abroad, domestic as well as business tourists—, they have above all understood the new potential of transportation facilities to change and reboot the image of the city. Some critical points are nonetheless worth to observe, like the risk for public urban authorities to rely exclusively on the private sector to improve the quality of collective large urban spaces. More generally speaking, according to Dimmer (2013): “Whereas only design excellence of POPS entitled to exceptional planning bene ts, later POPS degenerated into a useful tool for generating more, valuable area.” (p.41). However, the case of Shibuya shows a hybrid strategy, offering “stararchitecture” quality and uniqueness as a strong signature and identity for the hub on the one hand, and corporate architecture making pro t as much as possible from the deregulation system on the other. When the private transportation sector can afford a vertical rise and transform the Tokyo “metropolitanscape”, nowadays the public one has no other possibility to develop its capacity elsewhere than underground. It nonetheless contributes to regenerate the local urbanscape, in a meaningful and innovative way as well. Finally, if each new line’s speci c architecture characteristics are reinforcing the historical east-west disparity of Tokyo, each one is nonetheless tting and reinforcing the particular urban identity they serve. © Riproduzione riservata
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Le métro de Shanghai. Histoire, enjeux et perspectives par Colas Bazaud
Devenu l’un des plus importants du monde en quelques années, le métro de Shanghai connaît des problèmes de saturation malgré une part modale relativement modeste. Proposant dans un premier temps une chronologie de la constitution de ce réseau, cet article s’appuie ensuite sur différents travaux pour dresser un état des lieux des enjeux auxquels il se trouve aujourd’hui confronté. Passant par une limitation de la place de l’automobile dans l’espace viaire, l’intégration du métro au sein d’un système de mobilité intermodale implique notamment les politiques relatives à l’usage des sols et à l’agencement urbain.
Des débuts balbutiants S’inscrivant dans un contexte de forte croissance économique et de remise en cause du maoïsme, le Schéma directeur de Shanghai de 1986 visait à réaffirmer la plus grande ville de Chine comme métropole de rang mondial en favorisant le développement du secteur tertiaire et la constitution d’un cadre attractif pour les investisseurs étrangers. Le développement des infrastructures de transports constituait ainsi une priorité du schéma directeur, qui prévoyait notamment l’extension de l’aéroport existant, des infrastructures autoroutières et la création de deux lignes de métro. L’une de ces deux lignes était programmée pour desservir un ensemble de pôles appelés à constituer un axe de développement traversant la ville d’est en ouest, depuis l’aéroport de Hongqiao jusqu’à Pudong, la rive est du Huangpu, qui était alors peu urbanisée et où était notamment plani é un nouveau quartier d’affaires devant faire face au centre traditionnel. En dehors de ce grand axe structurant étaient identi és deux autres lieux appelés à recevoir de nouveaux logements et des fonctions tertiaires : la gare de Shanghai alors en construction au nord de la ville et le quartier de Xujiahui, au sud-ouest. Ap-
History, issues and prospects of the Shanghai metro by Colas Bazaud
The commissioning of the rst lines of the Shanghai metro from the mid-1990s to the mid-2000s took place in a context marked by a clear priority given to the creation of a network of urban motorways. Following the decision of the central government to develop urban rail transit in major Chinese cities and in anticipation of the 2010 Shanghai World Expo, the Shanghai metro was expanded at a much faster pace from the second half of the 2000s. It thus became one of the largest metro systems in the world in just a few years. However, despite a relatively modest modal share, the Shanghai metro is currently experiencing saturation problems, notably due to its excessive use for short journeys for which it is not intended. This situation can partly be explained by the place given to car traffic to the detriment of buses, bicycles and pedestrians, but it also raises city planning and land use issues. Sur la page à côté, en haut: édi é en 2014 et jouxtant la station Jinshajiang (lignes 3,4 et 13), le complexe Huanqiu Gang est constitué de deux tours de bureaux surplombant un important centre commercial (photo Jie Gao, avril 2020). En bas: vue satellite du complexe Huanqiu Gang, caractéristique d’une tendance à la concentration des activités aux abords immédiats des stations de métro (source Google Earth).
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1 - Plan du métro de Shanghai en 2019 (TravelChinaGuide.com). 2 - Sur la page suivante, en haut: edi é en 2006 au niveau de la station Zhongshan Park (lignes 3,4 et 2), le centre commercial Long zhi meng est un autre exemple de concentration ponctuelle des activités (photo Colas Bazaud, mars 2014). 3 - Sur la page suivante, ci-dessous: la rue Zhaojiabang au niveau de Xujiahui (photos Colas Bazaud, février 2014).
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pelée à relier ces deux lieux, l’autre ligne de métro programmée par le schéma directeur devait également desservir le centre-ville au niveau de la place du Peuple (Renmín guang chang), où était prévue une correspondance entre les deux lignes. Après l’ouverture de son premier tronçon en 1993, ce qui est aujourd’hui la ligne 1 du métro de Shanghai relia la gare de Shanghai et Xujiahui à partir de 1995. L’année suivante, elle fut à nouveau étendue vers le sud jusqu’à Xinzhuang, atteignant une longueur de 20.5 km et exprimant une volonté de connecter des secteurs éloignés du centre. Bien que desservant l’axe de développement majeur du Schéma Directeur de 1986, l’actuelle ligne 2 ne verra pour sa part son premier tronçon
de 16.3 km mis en service qu’en 1999. Reliant Zhongshan gong yuan à l’ouest à Longyang lu à l’est et comportant douze stations dont une correspondance avec la ligne 1 sous la place du Peuple, ce premier tronçon de la ligne 2 avait en particulier vocation à desservir le nouveau quartier d’affaires de Lujiazui, situé à Pudong et dont le développement ne commença réellement qu’à la n de la décennie. Du fait de son tracé, la ligne 1 put en revanche desservir dès les années 1990 plusieurs pôles importants : les secteurs de la gare centrale et de Xujiahui, mais aussi des secteurs centraux traditionnels comme celui de Nanjing dong lu et de la place du Peuple ou celui de Huaihai zhong lu, qui étaient alors déjà attractifs auprès des investisseurs.
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Ouverte en 2000, la ligne 3 fut quant à elle principalement construite en viaduc en utilisant notamment l’emprise d’une ancienne voie ferrée. Contournant le centre par l’ouest, son premier tronçon de 25 km permit de relier le secteur de l’actuelle gare sud de Shanghai à Jiangwan zhen, au nord de la ville, via la gare de Shanghai. Disposant en 2000 d’une ligne nord-sud, d’une ligne est ouest, et d’une amorce de rocade, le métro de Shanghai avait déjà connu un développement considérable. Toutefois, celui-ci n’apparaissait pas particulièrement spectaculaire dans un contexte de transformation urbaine sans équivalent, marqué par la tertiarisation du centre-ville où se multipliaient les gratte-ciel, et par une extension rapide de la zone urbanisée, passée de 832.46 km² en 1990 à 1529.43 km² en 2000 (Liao et al., 2011). Donnant lieu à un accroissement des distances entre résidences et lieux de travail, le processus s’accompagnait également d’un développement des déplacements d’achat et de loisirs, occasionnant de nouveaux besoins en matière de transports. Bien que concernant encore environ 70% des déplacements quotidiens en 2004, la marche, le vélo et le bus voyaient leur part modale diminuer au pro t du taxi et des deux-roues motorisés (Haeringer, 2002). Apparus suite à l’interdiction des scooters en 2002 les deux-roues électriques étaient déjà utilisés pour 10.6 % des déplacements quotidiens en 2004. Pour sa part, l’utilisation du métro restait marginale, avec 2.5% de part modale, contre 5.2% pour le taxi et 11.3% pour la voiture particulière (Li et al., 2010). Le développement du métro apparaissait en outre relativement modeste par rapport aux efforts déployés pour la constitution d’un réseau de voies rapides généralement surélevées, avec notamment l’ouverture en 1994 du périphérique intérieur long de 48 km, celles des grandes voies radiales nordsud et est-ouest de 1995 à 1999, et celles de différents tronçons du périphérique extérieur long de 100 km de 1998 à 2003. S’y ajoutait la constitution d’un réseau de rues se voulant adaptées à l’automobile, tant dans les nouvelles zones urbanisées que dans la ville préexistante, où les élargissements de voies accompagnèrent le renouvellement du cadre bâti. La mise en place d’un marché automobile intérieur était alors en effet considérée comme une condition de l’affirmation de la puissance industrielle chinoise par le pouvoir central.
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Malgré des taux de motorisation encore très faibles, l’adaptation préalable des villes à ce mode constituait ainsi un objectif prioritaire des autorités dans les années 1990 (Allaire, 2007). Si le schéma directeur de 1999 et le livre blanc des transports de 2002 envisageaient un important réseau de métro, la mise en œuvre de ce programme resta relativement limitée au cours de la première moitié des années 2000. En 2003 ouvrit un premier tronçon de la ligne 5, long de 17.2 km et reliant l’extrémité sud de la ligne 1 à la ville nouvelle de Minhang, au sud-ouest du territoire municipal. Pour sa part, la ligne 1 fut prolongée de 12.4 km vers le nord en 2004.
L’affirmation de l’un des plus importants réseaux du monde Le réseau connut en revanche un développement effréné à partir de 2005. Cette évolution notable faisait d’une part suite à la priorité donnée aux transports collectifs par le pouvoir central dans les villes chinoises à partir de 2004, et s’inscrivait d’autre part dans la perspective de l’Exposition Universelle prévue à Shanghai en 2010. En décembre 2005 fut d’abord ouverte la plus grande partie de la ligne 4, appelée à suivre un tracé circulaire et partageant les voies de la ligne 3 dans sa partie ouest. Un an plus tard, la ligne 3 fut prolongée de 15 km vers le nord et la ligne 2 de 6.15 km vers l’ouest. L’année 2007 vit à la fois une nouvelle extension de la ligne 1 vers le nord, l’achèvement de la ligne 4 circulaire (33.7 km) et la mise en service des lignes 6, 8 et 9. Passant toutes deux par le centre, les lignes 8 et 9 sont respectivement orientées nord-sud et est-ouest. Adoptant un tracé longeant la rive ouest du Huangpu, la ligne 6 est quant à elle entièrement située à Pudong. Le 5 décembre 2009 fut mise en service la ligne 7 (34.4 km), reliant le centre-ville au sud et à l’ouest de l’agglomération. A la n du même mois ouvrit le premier tronçon de la ligne 11, suivant un tracé nord-sud passant à l’ouest du centre-ville. Aujourd’hui longue de 82.4 km, cette dernière est actuellement la plus longue du réseau. En mars et avril 2010, alors que l’Exposition Universelle s’apprêtait à ouvrir, deux nouveaux tronçons de la ligne 2 furent mis en service, permettant au réseau de desservir l’aéroport de Hongqiao à l’ouest et l’aéroport de Pudong au sud-est. A la même période ouvrit la ligne 10, reliant le centre-ville aux parties nord et ouest de l’agglomération. Le métro de Shanghai était
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alors devenu le plus long réseau de métro uni é du monde. Les extensions et ouvertures de lignes se poursuivirent durant les années 2010. En 2013 ouvrirent la section est de la ligne 12 (qui traverse aujourd’hui la ville du sud-ouest au nord-est) et la ligne 16, reliant le sudest de l’agglomération centrale de Shanghai à la ville nouvelle de Mingang. Entrée en service en 2017, la ligne 17 connecte la gare de Hongqiao aux franges ouest du territoire municipal, tandis que la ligne de Pujiang, ouverte en 2018 et prolongeant la ligne 8 vers le sud, est la première ligne automatique sur pneu mise en service à Shanghai. Remontant à décembre 2018, les extensions les plus récentes du réseau concernèrent des prolongements des lignes 5 et 13. Plus de 120 km de lignes sont en outre en construction en 2019 et le réseau devrait comporter 25 lignes pour une longueur totale de 1000 km en 2025. En 2019, le métro de Shanghai est constitué de 16 lignes pour une longueur totale de 676 km, en faisant le second plus long réseau de ce type dans le monde après celui de Beijing. Comptant 338 stations dont 54 permettent au moins une correspondance, il a été utilisé pour 10,16 millions de déplacements par jour de semaine en 2018. Mais si le métro de Shanghai gure donc désormais parmi les plus fréquentés du monde, sa part modale n’est pas particulièrement élevée. En 2014, la marche, le vélo et le vélo électrique assuraient en effet 50% des déplacements du territoire municipal, contre 20% pour la voiture et 5% pour le taxi. Ayant des parts modales équivalentes, les réseaux de bus et de métro ne concernaient ainsi à eux deux qu’un quart des déplacements (Pan, 2014). Néanmoins, le métro donne lieu à un nouveau bouleversement des pratiques de mobilité et exerce par conséquent une in uence notable sur l’organisation urbaine. À une échelle métropolitaine, il renforce en particulier le centre de l’agglomération, vers lequel la plupart des lignes convergent, et qui était déjà initialement caractérisé par une forte concentration d’activités (Papon, 2008). Circulaire, la ligne 4 permet au moins une correspondance avec onze autres lignes et détermine une aire au sein de laquelle se localisent 34 des 54 interconnexions du réseau. Si la station Shiji da dao est la seule à être desservie par quatre lignes, les stations en comportant deux ou trois sont en revanche majoritaires dans cette partie centrale du réseau. Permettant des correspondances entre trois lignes, la station Place du Peuple est le plus important pôle d’échange de Shang-
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hai en matière de fréquentation avec 900 000 voyageurs quotidiens en 2012 (Zhang, 2012). À une échelle plus ne, le métro participe à une nouvelle distribution de la population et des activités. Généralement espacées d’un à deux kilomètres, les stations introduisent des différences d’accessibilité dans l’espace urbain et tendent à concentrer les activités à leurs abords immédiats. Le nancement de la construction et de la maintenance du métro est en effet principalement assuré par la commercialisation des baux emphytéotiques pour les terrains situés à proximité des stations et par les recettes scales qui en découlent à plus long terme. Or les fonctions commerciales sont de ce point de vue plus rentables que les ensembles résidentiels. Ainsi, tandis que les premières tendent à se trouver concentrées aux abords immédiats des stations où elles se concentrent généralement au sein de centres commerciaux surmontés d’immeubles de bureaux, les seconds en sont souvent relativement éloignés (Musil, 2017), tendant à engendrer une polarisation ponctuelle des activités en certains lieux de l’espace urbain, et une moindre mixité fonctionnelle en dehors de ces derniers.
Enjeux et perspectives pour une mobilité intermodale La part modale relativement modeste du métro n’empêche pas les tronçons desservant les 660 km² les plus denses de l’agglomération d’être de plus en plus souvent saturés aux heures de pointe. Et alors que cette situation tient en partie à son utilisation excessive pour des trajets courts auxquels le métro n’est pas destiné (Glover et al., 2013), les choix directionnels permis par ce mode sont trop limités pour qu’il constitue à lui seul une alternative à l’automobile qui supposerait des pratiques de mobilité intermodales impliquant également le bus et les modes non motorisés (Ruet et al., 2010). Or la congestion du réseau viaire fait que les bus voient diminuer la proportion des déplacements qu’ils servent, faute de disposer de la surface de voirie que nécessiterait l’augmentation de leur nombre (Jing et al., 2010). Une part importante de la population n’ayant pas la capacité nancière de se passer d’eux, le bus, le vélo électrique et les modes non motorisés conservent quant à eux un rôle fondamental dans les pratiques de mobilité, mais perdent en efficacité du fait des dynamiques de localisation
à l’œuvre et voient leurs conditions de circulation détériorées par le tra c automobile (Peng, 2011). Malgré une volonté de la municipalité de Shanghai de limiter le nombre de voitures particulières, celui-ci a en effet connu une augmentation remarquable à partir des années 2000, passant de 81 084 unités à la n de l’année 2001 (Papon, 2008) à 842 062 en 2008 et à 2 760 000 en 2012 (Choi et al., 2013). Par ailleurs, Shanghai se caractérise à la fois par une densité de population plus élevée que dans la plupart des grandes villes du monde et par une faible densité viaire. Par conséquent, la longueur totale de voirie disponible pour la circulation automobile est restreinte. Et Shanghai connaît d’ores et déjà des problèmes de congestion plus importants que la plupart des villes occidentales, où la part de ce mode est pourtant bien supérieure (Glover et al., 2013). Devenue la principale source de pollution de l’air au sein du territoire ceinturé par le troisième périphérique (Lu et al., 2010), la congestion automobile s’avère donc de plus très préjudiciable pour les autres modes de déplacement, alors que ceux-ci sont utilisés par une grande majorité des citadins et qu’ils requièrent dans l’absolu beaucoup moins d’espace que la voiture à nombre de déplacements équivalents. S’étant doté en quelques années de l’un des réseaux de métro les plus importants du monde, Shanghai voit en outre une part considérable de ses déplacements assurés par les modes non motorisés. Néanmoins, la ville connaît de sévères problèmes de congestion de son réseau viaire, de pollution et d’équité dans l’accès aux aménités urbaines du fait d’une place d’ores et déjà trop importante accordée à la voiture, compte tenu de sa densité et de ses caractéristiques morphologiques. Supposant une complémentarité avec le bus, le vélo électrique et les modes non motorisés, le métro pâtit indirectement du manque de considération accordée à ces derniers au cours des dernières décennies. Mais il tend par ailleurs dans une certaine mesure à participer à cette situation. Ainsi, il a pu être remarqué que le mode de nancement du réseau tendait à occasionner une répartition ponctuelle des activités dans l’espace urbain. Or une telle logique de localisation des fonctions urbaines s’avère peu favorable aux modes non motorisés, dont l’efficacité requerrait au contraire de hauts niveaux de mixité fonctionnelle à échelle ne (Ruet et al., 2010).
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4 - La rue Zhaojiabang au niveau de Xujiahui (photos Colas Bazaud, avril 2014)
Susceptible de limiter le recours au métro pour les trajets courts, la mise en site propre intégrale et l’augmentation du nombre de véhicules du très important réseau de bus existant pourraient également aller dans le sens d’une répartition plus continue des polarités dans l’espace urbain, favorable aux modes non motorisés dont ne peut se passer une grande partie de la population. Une telle démarche supposerait évidemment un fort volontarisme des autorités. Impliquant bien sûr une réduction conséquente des surfaces actuellement allouées aux voitures, et donc des déplacements aujourd’hui assurés par ces dernières, elle nécessiterait en outre une coordination rigoureuse avec les politiques régissant l’utilisation des sols. Les intentions du schéma directeur 2017-2030 de Shanghai semblent aller dans ce sens. Prônant une ville compacte, le document vise en effet d’une part à permettre l’accès à la plupart des aménités urbaines en moins d’un quart d’heure de marche pour l’ensemble de la population. A ce renforcement de la mixité fonctionnelle viendrait se compléter une amélioration des conditions de déambulation, passant notamment par une densi cation du réseau viaire. Entendant rendre le système de transport collectif plus efficace, le schéma directeur prévoit d’autre part no-
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tamment la création à l’échelle municipale de 1 000 km de lignes « locales », appelées à venir se compléter aux lignes « urbaines » existantes. © Riproduzione riservata
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Stations de métro, espaces publics et développement de nouveaux centres à Shanghai. Les cas de Xujiahui et Wujiaochang par Yang Liu et Colas Bazaud
Relevant respectivement des champs des transports et de l’urbanisme, l’accessibilité par les transports collectifs et la qualité des espaces publics sont deux paramètres généralement considérés comme fondamentaux dans le cadre de stratégies visant à affirmer des espaces centraux existants ou à en créer de nouveaux au sein d’une métropole. Dans la perspective de pratiques de mobilités alternatives à l’automobile, il est en outre considéré que ces deux dimensions de l’aménagement sont appelées à faire l’objet d’une approche intégrée. Cet article propose d’explorer la question de la relation entre espaces publics et réseau de transports collectifs lourds au sein des espaces centraux des métropoles en s’appuyant sur les cas Xujiahui et Wujiaochang à Shanghai. Ayant en commun d’avoir été développés au cours des dernières décennies et présentant l’avantage d’avoir fait l’objet de différents travaux, ces deux secteurs différents toutefois par leur localisation au sein de la zone agglomérée, leur niveau de desserte par le métro et les approches adoptées concernant l’aménagement de leurs espaces publics.
Origines et affirmation de Xujiahui et Wujiaochang Situé à 5 km de la Place du Peuple, Xujiahui vit son urbanisation amorcée dans les années 1840 suite à l’implantation d’une mission jésuite. Jouxtant l’extrémité sudouest de la concession française durant l’ère coloniale, le secteur fut pleinement intégré à l’agglomération au cours des phases de construction de logements ayant marqué la périphérie shanghaïenne durant l’ère maoïste (Liu, 2014). L’urbanisation de Wujiaochang trouve pour sa part son origine dans le projet de « Grand Shanghai », lancé en 1932 par le Guomindang. Celui-ci consistait notamment en la
Subway stations, public spaces and development of new centers in Shanghai. The cases of Xujiahui and Wujiaochang by Yang Liu et Colas Bazaud
Belonging respectively to the elds of transportation and urban design, the issues of the accessibility to transit stations and of the public spaces quality are both generally considered fundamental in the context of planing strategies aiming to assert existing centers inside a metropolis or to create new ones. In order to provide alternatives to automotive mobility, it is also considered that these two elds of planing policies should be as integrated as possible. This article aims to explore the question of the relationship between public spaces and urban rail transit stations within the central districts of metropolises by drawing on the cases of Xujiahui and Wujiaochang in Shanghai. Both developed over the past decades, these two areas are differentiated by their location within the urban area, by their level of connection to the metro network and by the design of their public spaces.
Sur la page à côté, en haut: Situation de Xujiahui et de Wujiaochang dans l’agglomération centrale de Shanghai (carte créée par Yang Liu à partir du site Baidu Maps). En bas: Xujiahui et ses lignes de métro (carte créée par Yang Liu à partir du site Baidu Maps).
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1 - Vue 3D de Xujiahui en 2019 (Source : Google Earth).
2 - Photo du passage souterrain de la station Xujiahui (photo par Jie Gao, avril 2020).
création d’un nouveau centre urbain à 8,5 km au nord-est de l’actuelle Place du Peuple, en dehors de la zone agglomérée d’alors. La mise en œuvre de ce projet se limitera aux tracés de nouvelles voies, par la suite intégrées au réseau viaire shanghaïen, et convergeant au niveau du vaste carrefour dont le secteur actuel tire son nom. Concerné par un projet de développement 34
depuis la n de la Révolution Culturelle, Xujiahui vit sa vocation à acquérir un caractère central con rmée par le schéma directeur de Shanghai de 1986. Alors que sa situation à la convergence de plusieurs voies importantes y permettait la programmation d’immeubles de grande hauteur recevant logements, commerces, hôtels et autres activités tertiaires, le secteur devait en outre être
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relié au centre-ville et à la gare de Shanghai par l’une des deux lignes de métro prévues dans le document (Ged, 1997). La mise en service de cette première ligne du métro de Shanghai au milieu des années 1990 participera grandement à l’affirmation de Xujiahui comme centre secondaire (Zhang, 2014). Occupant une position plus périphérique au sein de l’agglomération d’alors, Wujiaochang ne donna pas lieu à de telles ambitions dans les années 1980. Néanmoins, la forte densité résidentielle de ses alentours, ainsi que sa proximité avec les universités de Fudan et de Tongji y permirent dès 1996 l’implantation de deux grands magasins aujourd’hui détruits, dont les surfaces cumulées atteignaient 10 000 m² (Xue, 2013). Elaboré à la n des années 1990, dans un contexte de croissance économique très soutenue, de forte extension de la zone agglomérée et de profond renouvellement des secteurs anciennement urbanisés, le Schéma Directeur de Shanghai 1999-2020 destine la ville-centre à adopter une structure polycentrique hiérarchisée. Tandis que le Bund et Lujiazui y voient con rmer leur vocation de CBD et que les rues du Sichuan, de Nankin et de Huaihai doivent continuer à s’affirmer comme « centres commerciaux de rayonnement municipal », quatre secteurs y sont appelés à devenir des centres secondaires : Xujiahui au sud-ouest, Jiangwan-Wujiaochang au nord-est, Zhenru au nord-ouest et Huamu à l’est. S’étendant chacun sur 2 à 2,5 km², ceux-ci sont tous situés à proximité de la rocade autoroutière intérieure ou de la rocade intermédiaire de Shanghai et doivent respectivement rayonner sur une partie de la ville. D’ores et déjà caractérisé par la présence de grands complexes commerciaux créés dans les années 1990 suite à l’ouverture de la ligne 1 du métro, Xujiahui doit désormais également s’affirmer au travers de ses infrastructures sportives, de programmes de bureaux, ainsi que d’un patrimoine bâti hérité de l’ancienne implantation jésuite. Pour sa part, Jiangwan-Wujiaochang doit constituer un ensemble de commerces et de bureaux en privilégiant l’économie de la connaissance et de l’innovation s’appuyant sur la présence des universités voisines. Orientation majeure du Schéma Directeur 1999-2020, la création de plusieurs centaines de kilomètres de lignes de métro concerne notamment les centres secondaires à développer, tous desservis par des stations existantes ou programmées. Toutefois, il est
notable que ces dernières ne soient pas toutes appelées à constituer des interconnexions majeures. Comme l’explique Haixiao Pan, le principe du développement des centres secondaires tient en effet à l’importance des revenus scaux générés par l’immobilier tertiaire et vise à mieux répartir ces derniers entre les différents arrondissements. Ainsi, la desserte de ces lieux par le métro ne découle pas d’une démarche de type Transit Oriented Development, mais vise simplement à favoriser leur affirmation (Pan, 2014). Par l’acquisition d’un statut de centre secondaire et sa desserte par le métro, Xujiahui a vu son cadre bâti et ses espaces publics évoluer de façon très signi cative au cours des dernières décennies. Essentiellement constitué de tours de bureaux et d’habitation, le secteur concentre plus de 82 000 emplois sur 1,3 km² (Zhou et al., 2016) et s’organise autour d’un vaste carrefour où débouchent cinq grandes artères connaissant un tra c automobile intense. Desservi par de nombreuses lignes de bus, il est également marqué par la présence en son tréfonds du pôle d’échange de Xujiahui, seconde station du métro shanghaïen par sa fréquentation (Zhang, 2014), où convergent les lignes 1, 9 et 11. Outre les personnes travaillant dans ses immeubles de bureaux, Xujiahui doit une large part de sa fréquentation à la présence de cinq grands centres commerciaux, principalement construits au cours des cinq années ayant suivi l’ouverture de la ligne 1 en 1993. D’une surface totale de 300 000m², ceux-ci se localisent aux abords immédiats du carrefour et sont directement reliés à la station de métro. L’attractivité du secteur est renforcée par la présence au nord du complexe universitaire de Jiatong et au sud de quelques édi ces hérités de l’implantation jésuite de l’ère coloniale, parmi lesquels la cathédrale de Shanghai, édi ée en 1910. Attirant quotidiennement des actifs et consommateurs résidant dans l’ensemble de la zone urbanisée, la concentration d’emplois tertiaires et de commerces de Xujiahui rayonne aujourd’hui à l’échelle de la ville. Permis par une localisation privilégiée au sein de l’agglomération et de ses réseaux de transports, ce niveau de rayonnement rapproche davantage le secteur des quartiers centraux traditionnels de Shanghai que des autres centres secondaires programmés dans le schéma directeur 1999-2020 (Zhou et al., 2016). Selon les auteurs d’un ouvrage présentant les ré exions menées dans le cadre de l’élaboration du schéma directeur 2017-2035, Xujiahui correspond ainsi à l’un
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3 - Le secteur de Wujiaochang et les deux stations de métro ligne 10 le desservant (carte créée par Yang Liu à partir du site Baidu Maps).
des six principaux CBD de la métropole, statut concernant également le quartier d’affaires traditionnel du Bund et son extension à Lujiazui, la Place du Peuple, le tronçon central de la rue Huaihai, le tronçon occidental de la rue de Nankin, ainsi que la zone jouxtant l’aéroport de Hongqiao.
4 - Sur la page suivante, en haut: vue 3D de Wujiaochang en 2019 (Google Earth). 5 - Sur la page suivante, au centre: le patio à Wujiaochang et le périphérique intermédiaire (photo par Jie Gao, avril 2020). 6 - Sur la page suivante, ci-dessous: la galerie sous la rue Songhu (photo par Jie Gao, avril 2020).
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Par les caractéristiques des emplois qui s’y localisent et des déplacements qu’il suscite, le secteur de Wujiaochang présente un caractère bien plus local que celui de Xujiahui. Et bien qu’il rassemble déjà 47 800 emplois sur 1.8 km² en 2016 (Zhou et al., 2016), il n’est d’ailleurs à ce jour desservi que par deux stations de la ligne 10 du métro, entrée en service en 2010. L’importante population de l’arrondissement de Yangpu où il se situe, sa position à la convergence de cinq grandes artères favorisant son accessibilité par le bus, ainsi que sa desserte par la rocade routière intermédiaire de Shanghai à partir de 2005 y permirent en effet la constitution d’une concentration signi cative de bureaux et de commerces bien avant cette connexion au réseau de transports collectifs lourds. Alors que deux grands magasins avaient été implantés aux abords du carrefour en 1996, l’arrondissement de Yangpu s’attacha à partir de 2003 à renforcer la centralité de Wujiaochang, suivant ainsi les orientations du Schéma Directeur de Shanghai 19992020 prônant l’affirmation de centres secon-
daires. En découlèrent au cours des années suivantes les implantations de grands magasins ou centres commerciaux surmontés de tours accueillant hôtels ou bureaux. Les cinq îlots bordant le carrefour sont aujourd’hui occupés par de tels ensembles. Au sud, le grand magasin Dongfang fut ouvert en 2005 et ses locaux commerciaux réaffectés à la vente de produits discount en janvier 2020. Au nord-ouest, Wanda Plaza (330 000m²) est constitué de deux tours de bureaux et d’un vaste centre commercial ouvert en décembre 2006. Ouvert le mois suivant et situé au nord-est du carrefour, Bailian (126 000m²) est un autre grand centre commercial. Au sud-ouest, le grand magasin d’électroménagers Suning (35 000m²) ouvrit pour sa part en 2010. Achevé en 2016 et occupant l’îlot sud-est, le Shanghai Hesheng International Center (360 000m²) comprend un hôtel 5 étoiles, un centre commercial haut de gamme et des bureaux. Wanda Plaza et Bailian sont les plus importants ensembles du secteur en termes de surfaces commerciales. Visant les jeunes ménages de la classe moyenne, les étudiants des universités de Fudan et Tongji, ainsi que les personnes travaillant aux alentours, ils proposent tous deux une offre commerciale étendue (habillement, restauration, loisirs…). Desservis par la station Wujiaochang, ces différents complexes conditionnent la plus grande partie de la fréquentation du secteur,
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dont la centralité est renforcée au nord par le Stade de Jiangwan et un quartier dédié à l’innovation technologique, eux-mêmes desservis par la ligne 10 au niveau de la station Jiangwan Tiyuchang.
Stations de métro et espaces publics Si le secteur de Xujiahui béné cie d’une forte accessibilité métropolitaine, les liaisons pédestres entre ses fonctions constitutives pâtissent en revanche d’un traitement de l’espace viaire destiné à favoriser la circulation automobile et limitant la capacité des piétons à y traverser les voies. A proximité du carrefour et de ses abords immédiats, seuls les rues Hongqiao (à l’ouest) et Huashan (au nord) disposent de passages piétons à niveau. Pour sa part, la traversée de la rue Zhaojiabang (à l’est) suppose d’emprunter un pont surélevé dont l’implantation à environ 150 mètres de l’intersection implique un détour substantiel pour qui souhaite simplement relier le nord et le sud de cette dernière. Occupé par une trémie d’accès à un tunnel routier créé sous le carrefour, le tronçon septentrional de la rue Caoxi (au nord-est) peut être franchi à pied par un petit pont légèrement surélevé. Plus large, le tronçon méridional de la même rue (au sud-ouest) voit le tunnel aboutir à une autre trémie de part et d’autre de laquelle se trouvent des espaces de voirie à niveau. En l’absence de franchissement aux environs du carrefour et sur plusieurs centaines de mètres au-delà de ce dernier, cette section de la rue Caoxi ne peut être traversée qu’en empruntant les espaces souterrains menant à la station de métro. Par ailleurs, les trois lignes de métro desservant Xujiahui ayant été créées à plusieurs années d’intervalle les unes des autres, l’implantation des infrastructures correspondantes sur le site fut déterminée sans plan d’ensemble, en exploitant des volumes souterrains disponibles limités du fait de la présence du tunnel (Zhang, 2014). Tandis que les quais de la ligne 1 (ouverte en 1993) furent aménagés sous la rue Caoxi, au sud du carrefour, ceux des lignes 9 et 11 (respectivement ouvertes en 2009 et 2013) sont pour leur part implantés autour des espaces souterrains du complexe Grand Gateway 66 (ouvert en 1999) bordant le carrefour au nord-ouest. De cette con guration résulte notamment l’existence de 19 accès au métro à travers le secteur, situation sans équivalent à Shanghai. Mais il en découle surtout des
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7 - La passerelle de Xujiahui (photo par Jie Gao, avril 2020). 8 - La zone centrale d’activité et le réseau de centres secondaires de Shanghai (Gouvernement de Shanghai, Shanghai Master Plan 2017-2035. Striving for the Excellent Global City).
cheminements longs et complexes au sein de la station. Ainsi, se rendre des quais de la ligne 1 à ceux des lignes 9 et 11 ou de ces derniers aux centres commerciaux du sud du site implique de couvrir une distance d’environ 500 mètres à vol d’oiseau et prend généralement plus d’un quart d’heure. Toutefois, compte tenu de la difficulté à traverser le carrefour en surface, et bien qu’ils n’aient donc pas été conçus dans cet objectif, les couloirs du pôle d’échange sont largement utilisés pour relier entre eux les différents côtés du carrefour, les centres commerciaux béné ciant en effet de connexions directes au métro. Sensiblement plus importants dans la station que dans l’espace viaire et consistant dans une large mesure à relier des bâtiments aux con gurations centripètes, les ux piétons du secteur tendent ainsi à se concentrer au sein d’entités closes. A l’instar de celui de Xujiahui, le traitement de l’espace viaire de Wujiaochang entend favoriser la circulation automobile. Tandis que le carrefour est aménagé en rond-point, ses abords ne comportent pas de passage piéton à niveau dans un rayon de plus de 300 mètres. Séparant le nord et le sud du carrefour, l’axe est-ouest formé par les rues Handan et Xiangyin est en outre surplombé par le viaduc de la rocade autoroutière intermédiaire de Shanghai. Implantée sous la rue Siping, au sud-ouest du carrefour, la station de métro Wujiaochang est connectée aux différents angles de ce dernier par un ensemble de passages souterrains s’articulant autour d’un patio creusé au centre du rond point, et en partie couvert par la rocade autoroutière. Etant donc situé en dessous du
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niveau du réseau viaire, cet espace extérieur est surplombé par une structure ovoïdale métallique entourant le viaduc, destinée à exprimer sa présence et dont la visibilité est renforcée de nuit par un éclairage coloré. Achevé en 2006, le patio fut construit en même temps que les complexes Wanda Plaza et Balian, et en anticipation de la desserte du secteur par la ligne 10, dont les travaux débutaient alors. La part modale des transports collectifs pour rejoindre les commerces de Wujiaochang ayant toujours été élevée, les groupes procédant à l’édi cation des deux centres commerciaux accordèrent une importance notable à leurs liaisons avec la future station (Xue, 2013). Bordant le carrefour, leurs façades sud adoptent d’une part des formes courbées optimisant la largeur des trottoirs au niveau des accès au patio qui y sont aménagés. Permettant d’autre part des liaisons directes avec le patio, les niveaux souterrains des deux complexes sont également reliés à la ligne 10 du métro par la station Jiangwan Tiyuchang, qu’ils jouxtent trois cent mètres plus au nord. Tandis qu’un système de signalisation LED vint faciliter l’orientation du public vers les différents complexes au niveau du patio en 2016, le dispositif piétonnier reliant les deux stations de métro en traversant Wanda Plaza et Balian fut complété en 2017 par une vaste galerie souterraine créée entre les deux
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complexes. Permettant de relier les centres commerciaux de ces derniers, cette galerie bordée de commerces comporte par ailleurs plusieurs accès à la rue Songhu, voie nordsud la surplombant et où se situent la plupart des arrêts de bus du secteur.
de ces secteurs, de telles solutions ne sauraient constituer des réponses aux enjeux que soulève plus globalement la place de l’automobile au sein de l’espace viaire shanghaien, vis-à-vis desquels elles font gure de palliatifs locaux.
Avec sa desserte par la première ligne du métro en 1993, Xujiahui s’est affirmé précocement comme un important centre secondaire. Progressivement agrandi avec les créations successives des espaces dévolus aux deux autres lignes, son pôle d’échanges souterrain implique aujourd’hui de longs cheminements pour les correspondances. Mais du fait de l’inconfort de la déambulation piétonne au niveau du réseau viaire, celui-ci est largement utilisé pour traverser le secteur. Prise en compte par les autorités, cette relative difficulté à mettre en relation les fonctions constitutives de Xujiahui donne aujourd’hui lieu à un projet de passerelle, conçu par Ferrier Marchetti Studio et destiné à faciliter la traversée du carrefour. Toutefois, il est notable que le secteur soit devenu l’un des principaux centres de Shanghai malgré les problèmes posés par l’aménagement de ses espaces publics. A l’instar d’espaces centraux traditionnels comme le Bund, la Place du Peuple ou la rue de Nanjing, Xujiahui est d’ailleurs dé ni dans le schéma directeur 2017-2035 comme appartenant à la « zone centrale d’activité » de 75 km² concentrant une large part des fonctions participant au rayonnement international de la métropole. Conservant pour sa part son statut de centre secondaire, Wujiaochang a à l’inverse pu faire l’objet d’une conception globale destinée à y favoriser la déambulation piétonne. Allant de la station Wujiaochang à la station Jiangwan Tiyuchang à travers les centres commerciaux Wanda Plaza et Balian, ce réseau piéton souterrain contribue vraisemblablement à l’attractivité du secteur, et ce faisant à l’affirmation de son statut de centre.
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Au-delà de leurs différences, Xujiahui et Wujiaochang peuvent par ailleurs être considérés comme deux illustrations des difficultés aujourd’hui posées à Shanghai par la cohabitation de l’automobile avec les autres modes de déplacement. Alors que la conception d’ensemble dont a fait l’objet Wujiaochang permet des conditions de déambulation satisfaisantes, le projet de passerelle envisagé à Xujiahui sera peutêtre à même d’améliorer les conditions de traversée du carrefour. Mais aussi pertinentes qu’elles puissent apparaître à l’échelle
Bibliographie Bazaud C., Entretiens réalisés en avril 2014 avec Zhang F. Liu G. et Pan H., professeurs à l’université de Tongji. Ged F. (1997), Shanghai, habitat et structure urbaine, 1842-1995, Thèse de doctorat, EHESS. Gouvernement de Shanghai (1998), Shanghai Comprehensive Plan 1999-2020. Gouvernement de Shanghai (2017), Shanghai Master Plan 2017- 2035. Striving for the Excellent Global City. Liu Y. (2018), Jinshan. Une ville nouvelle dans la métropole de Shanghai, Presses Universitaires de Rennes (PUR). Shanghai Urban Planning and Design Research Institute (2007), “Evocation et Innovation. L’évolution de la plani cation de Shanghai”, Tongji University Press. Shanghai Planning and Land Resource Administration Bureau (2012), Shanghai Urban Planning and Design Research Institute, Shanghai in Transformation. Urban Planning Strategy, Tongji University Press. Xue L. (2013), “Etudes de cas de centres commerciaux surplombant des stations de métro”, Mémoire de Master en architecture, Xi’an University of Architecture and Technology. Zhou X., Chen X., Zhang T. (2016), “Impact of Megacity Jobs-Housing Spatial Mismatch on Commuting Behaviors: A Case Study on Central Districts of Shanghai, China”, Sustainability, 8 (2).
Sites Internet Shanghai Metro : www.shmetro.com/ Journal du matin de Shanghai : www.shanghaizb.com Journal Xinhua : 138341363.htm
sh.xinhuanet.com/2019-08/27/c_
Gouvernement de Shanghai : www.shanghai.gov.cn/ nw2/nw2314/nw2315/nw4411/u21aw151126.html Ferrier Marchetti Studio : https://ferriermarchetti.studio/ Baidu Map : https://map.baidu.com/
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Le métro de Moscou, une construction soviétique 1931-1954 par Josette Bouvard
La conception du réseau métropolitain et sa construction s’inscrivent dans le contexte urbain des années trente et plus généralement, dans l’histoire de la période stalinienne. La croissance urbaine retrouve en 1926 le niveau d’avant-guerre et passe de 3,8 millions en 1937 à 4,1 millions en 1939. Pendant la construction de la première ligne (1931-1935), la collectivisation forcée des campagnes provoque des mouvements migratoires de grande ampleur. Cette mobilité sociale de nouveaux arrivants à Moscou aggrave les problèmes des transports publics défaillants pour les moscovites et qui se résument aux lignes de tramways surchargés. «Œuvre d›art totale», le métro est un objet unique d›ingénierie technique et politique qui a métamorphosé un moyen de transport en «Palais souterrain» et profondément modi é la perception de la ville. Comment s’est effectuée cette transformation ? Quelles sont les grandes décisions et les choix fondamentaux et pour certains dénitifs qui ont déterminé la mise en place du réseau et l’architecture des stations? Quels sont les acteurs institutionnels du monde de la politique de la culture et de l’architecture qui y ont participé ?
Un projet Politique : le Comité du parti de Moscou et le Politburo La spéci cité du métro de Moscou réside dans l’in uence décisive des acteurs politiques, le Politburo du PC (B) -Parti Communiste (Bolchévique)- et de la ville, le Comité du Parti de Moscou -MK- et le Mossoviet (mairie) de Moscou dans le projet de métro. Lazare Kaganovitch, maître d’œuvre du métro, dirigeant du MK et second de Staline au Politburo coordonne le projet et s’appuie sur son adjoint Nikita Khroutchev, chargé de l’exécution des décisions sur le terrain
The Moscow Subway, a Soviet construction 1931-1954 by Josette Bouvard
The historic Moscow Metro of 1931 to 1954 was elaborated as a coherent project in terms of ideology and the politics of a total art, both in its architecture and decoration. The Politburo and the Moscow authorities, under the direction of Lazar Kaganovitch, chose to use luxurious materials such as marble, both as they designed it in June 1931 and then pursued it over the years. The Metrostroï, responsible for the project, faced technical challenges but required the architects to t out the ‘Underground Palaces’ so that each station was unique. ‘The best metro in the world’ was intended to show the capacity of Soviet power to ‘overtake and outclass’ the European metros. And certain of its aesthetic choices, such as lighting that re ected off the ceiling, have marked the history of the interior design of metros across the world. Sur la page à côté, en haut: photo du Metroproekt au travail 1933; en bas: schéma lignes du Métro de Moscou du nom de Kaganovitch. Les deux premières lignes: en noir, la première ligne, 1935; en rouge la seconde tranche de travaux, 19371938; en lignes pointillés la troisième tranche de travaux 1943-1944, prolongation vers le sud et l’est. Sur cette page: l’affichette métro, 1940 avec le Projet de Palais des Soviets en arrière Plan, placée en exergue
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1 - Salle souterraine de la station Komsomolskaja.
avec l’aide de Nicolaï Boulganine, Président du Mossoviet. Pour ces instances politiques, il devient impératif, au début des années trente de moderniser la ville devenue capitale depuis mars 1918, et de la doter d’infrastructures de transport et d’édi ces administratifs lui conférant le statut de métropole de l’URSS. La réalisation du métro de Moscou, «le meilleur au monde» doit «surpasser et dépasser» les métros «capitalistes» par la rupture avec l’uniformité des aménagements intérieurs, tout en prenant en compte les acquis des meilleurs métros du monde. Les projets de Métro ne constituent pas une nouveauté pour Moscou et depuis la n du 19e siècle de nombreux projets se sont succédés à la Douma municipale, et en 1914 l’un d’entre eux était sur le point d’être réalisé1. 1 Garf, Fond 7952, inventaire 7, dossier 98, p 29-68 Exposé de Balinski devant les représentants de la Douma 1902. D 114 , p 11-111 de Journal de la Commission
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Dans les années 1920, le MGJD2 reprend l’idée de métro, contestée par les responsables du Gosplan partisans du développement d’un réseau de surface3. La question est tranchée au printemps 1931 par la décision, prise au plus haut niveau du Politburo4 qui valide le Rapport sur « L’économie urbaine »5 que Kaganovitch présente devant le Comité Central du PC(B) le 15 juin 1931 connu pour la résolution sur le Métropolitain: «la solution dé nitive de cette situation difficile (des transports urbains) résidera dans la construction du métropolitain, combinée avec la pénétration profonde des chemins de fer électri és desservant les environs de Moscou. (...) Les avantages du métropolitain résident, avant tout, dans le fait qu’il se meut plus rapidement que n’importe quel moyen de transport de surface ; en second lieu, le métro aspire une certaine partie de la circulation de surface et la décongestionne». La formule du métro conçu comme « transport rapide et bon marché des voyageurs » dénote le pragmatisme des nouvelles mesures. L’annonce d’un futur plan de Moscou, élaboré à partir de la structure urbaine existante, accompagne la décision de construire le métro. A la différence du métro parisien, construit longtemps après le plan d’Haussmann, le métro de Moscou en 1931 doit anticiper sur le plan d’urbanisme de 1935. La construction du réseau métropolitain intervient comme un enjeu urbanistique et idéologique et met un terme aux stratégies alternatives de développement urbain et aux théories des désurbanistes. Le réseau contribue à la mise en place de la structure radioconcentrique de la ville historique, désormais au cœur des futurs aménagements.
Une entreprise d’état, le Metrostroï et l’élaboration du réseau Le chantier est con é en septembre 1931, à une entreprise chargée de la réalisation, le Interministérielle sur la Construction d’un réseau métropolitain hors de l’emprise des rues ans la ville de Moscou, mars 1914. 2 Direction des Chemins de fer de Moscou. 3 L. Pouzis et V. Obravtsov sont persuadés qu’il faut développer le réseau de surface et non construire un métro souterrain trop couteux. Interview de L. Pouzis dans les annexes du livre d’Anatole Kopp, L’architecture Stalinienne 1985, p 395-396. 4 Rgaspi, F 17, In 3, D 827 le protocole du Politburo du 25 mai sur la Construction du métro. 5 L’Urbanisme Soviétique, Bureau d’édition, Paris 1932.
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Metrostroï6. Le bureau d’étude technique, créé le 28 septembre 1931 (devenu le Metroproiekt en 1933) doit élaborer les lignes prioritaires. Reprenant ces projets antérieurs en petite profondeur, le Metrostroï établit le tracé de la première ligne, une radiale Est/ Ouest, a n de désengorger les rues étroites du centre, rue Miasnitskaïa, rue de l’Arbat, et de relier le centre-ville via la place Kalantchevskaïa, lieu des trois gares, de Léningrad, Iaroslav et Kazan -, aux parcs, Sokolniki au nord et Gorki au sud, avec un embranchement vers la Place de Smolenk. La nouvelle ligne comprend 13 stations sur 11,6 km de lignes. Approuvée par le Politburo, la première ligne doit être achevée à la n de 1933. Petite ou grande profondeur ? Une décision politique - Ce projet est bouleversé en 1932 par l’adoption de la grande profondeur, décidée par Lazare Kaganovitch, avec l’accord de Staline.7 Il est évident que cette option plus longue à réaliser, nécessite des cadres et des travailleurs quali és et une haute technologie, des boucliers, des segments métalliques - que l’industrie lourde soviétique ne peut fournir. Le Politburo décide donc de faire appel aux expertises étrangères, -anglaise, allemande et française-, qui de mai à août 1932, rendent leurs conclusions. Les experts russes décident que les stations du centre-ville à partir d’Okhotny Riad, seront construites en grande profondeur : Dzerjinskaïa, (-30,8 m) Kirovskaïa, (-35,2 m) Krasnie Vorota (-32,8 m), et pratiquement en surface vers l’extérieur de la ville de Komsomolskaja à Sokolniki. Ces choix dé nissent les partis constructifs des futures lignes : en grande profondeur dans le centre-ville et en petite profondeur ou en tranchée ouverte en périphérie sur le modèle du RER parisien.) Se projetant dans l’avenir, le Metrostroï propose 5 lignes diamétrales et une ligne supplémentaire « Timiriaevsko-Kaloujskaïa » longue de 16 km, ainsi qu’une ligne de ceinture et précise qu’il faudra prévoir l’extension des lignes dans un rayon de 15 km à partir du centre. D’emblée, le réseau métropolitain est conçu avec ses extensions vers la banlieue.8 6 Garf F. 7952, In 7, D 150, p18. 7 Staline se félicite de l’adoption de la grande profondeur dans une lettre adressée à Vorochilov, Kaganovitch et Molotov du 7 août 1932. Correspondance Staline-Kaganovitch, Rosspen, Moscou, 2001, p 169. 8 RGASPI, Fonds 81 Kaganovitch, op 3, d 198 : Rapport de Pavel Rotert (Directeur du Metrostroï) daté du 1er décembre 1932 “Sur les différents aspects du projets du métro de Moscou en relation avec les travaux des
L’investissement total dépassera les 800 millions de roubles à la n de la construction. Près de 70 000 travailleurs seront mobilisés dans la phase nale de la construction. Le choix d’investissements considérables impliqués par l’option de grande profondeur, s’explique aussi par le caractère militaire et civil que peut jouer le réseau en cas de con it. C’est le MK qui dé nit les types de stations9 qui «doivent être projetées avec un quai central et une couverture commune. Pour les 4 stations profondes du centre-ville décider d’un quai central à 3 voutes avec obligation que les colonnes de la voute centrale ne prennent pas l’aspect d’un mur gênant la circulation entre elles». Le choix du quai central s’imposera ainsi que celui de deux tunnels à une seule voie, assurant une circulation plus sécurisée des trains. Toutes les futures stations souterraines seront construites à quai central. Les quais latéraux préférés pour certaines stations peu profondes d’Aleksandrovki Park à la Place de Smolenk deviendront la règle des lignes construites sur le réseau ferré existant. L’écartement des rails et la hauteur des tunnels sont ceux des chemins de fer, ce qui a permis à la différence du métro de Paris, l’extension du métro vers la grande banlieue de Moscou mais on crée des rames et des motrices spéci ques. On adopte dé nitivement le modèle anglais de wagon disposant de banquettes longitudinales, réputées plus confortables
2 - Projet de station Smolenskaja, 1934, architectes Movčan et Tarassenko (Kabinettarxitektury).
commissions étrangères et soviétiques” 9 Rgaspi F 81 fond Kaganovich Inventaire 3, dossier 201, sténogramme de réunion du 26 décembre 1933 Résolution Sur les stations du Métro.
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et spacieuses. Et pour différencier le Métro de Moscou des métro parisiens et newyorkais, réputés malodorants, on accorde une grande importance à la ventilation des stations et des rames. L’ouverture publique de la première ligne est effective le matin du 15 mai 1935 et précédée le 14 mai 1935 par une cérémonie d’inauguration dans la salle à Colonnes des Syndicats, en présence de tous les membres du gouvernement sous la présidence de Staline. Le métro devient le symbole de la construction du Socialisme selon le titre du discours de Kaganovitch : « La Victoire du métropolitain est la victoire du Socialisme». L’architecture des stations, «les palais souterrains», le modernisme que représentent les distributeurs de journaux, les bars, les escalators, la fermeture automatique des portes, émerveillent les passagers. Malgré le progrès considérable pour l’époque que représente la mise en service de la première ligne, le transport assuré par le métro reste insuffisant : 177 000 passagers par jour, 15 couples de trains circulent aux heures de pointe. Cependant, limité à la desserte du centre-ville, le métro ne représente encore que 2 % du tra c total de la ville.
3 - Sur la page suivante, en haut: station Elektrozavodskaïa 1944. 4 - Sur la page suivante, au centre: station Krasnye Vorota 1935. 5 - Sur la page suivante, ci-dessous: station Krasnye Vorota 1935.
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La réalisation des deuxiéme troisième et quatrième tranches10 - La deuxième tranche de travaux consiste en une radiale Nord /sud, la ligne Gorkovski de 5,8 km qui relie la ville verte de Sokol au centre-ville, achevée en septembre 1938. La ligne Arbatski est prolongée à l’ouest par la station Kievski Vokzal (1937) et la station Kurski Vokzal à l’est (mars 1938). Une station centrale est creusée à proximité de la Place Rouge (Plochad Revoliutsii) inaugurée en 1938. En 1939, après l’ouverture de la totalité de la 2e tranche, le réseau comprend 26,5 km de lignes, 3 lignes radiales, il transporte un million de passagers par jour. Pendant la seconde Guerre mondiale, les décisions et la construction se poursuivent. La troisième tranche, décidée le 14 décembre 1938 comprend une prolongation des lignes existantes vers le sud et l’est qui ne sera achevée qu’en 1943-1944 et les travaux seront effectués par un personnel très jeune et féminisé. Le 1er janvier 1943, en pleine bataille de Stalingrad est ouverte la station - ZIS- au sud (Usine Automobile Staline renommée Avtozavodskaïa) et l’effet de propagande qu’elle engendre est immense et le 18 janvier 1944 10 Une tranche de travaux comprend plusieurs lignes ou prolongation de lignes existantes.
est mis en service le tronçon Kurski Vokzal Izmaïlovski Park. C’est également pendant la guerre, en novembre 1941 qu’est prise la Résolution du Politburo de construire la 4e tranche, la ligne de ceinture ou Koltsevaïa, qui s’étend sur 20 km et comporte 12 stations dans son projet dé nitif. Elle est élargie du boulevard circulaire «Sadovoe Koltso» (ceinture des jardins) de façon à relier toutes les gares. Mais ce n’est qu’à partir de 1945, qu’est repris le projet réalisé de 1949 à 1954. Avec la réalisation de la Koltsevaïa, les 6 principales gares de Moscou sont directement reliées par une seule ligne, contrairement au métro Parisien. On décide également en 1941 de construire une ligne en grande profondeur depuis Plochad Revoliutsii, station Arbatskaïa à Kievskaïa, parallèle à la ligne existante en petite profondeur, qui est fermée, puis remise en service dans les années 1960 pour desservir la banlieue Ouest de Fili- ligne Filiovskaïa.
L’architecture du métro de Moscou des premières lignes «L’aménagement intérieur des stations doit être original pour chaque station et les distinguer architecturalement les unes des autres». Le rôle imparti aux architectes est spéci que de la construction des édi ces souterrains. Tous les projets architecturaux des stations : aménagement intérieur, éclairage, plan, entrées et sortie, utilisation du marbre, pavillon d’entrée doivent être soumis au jugement et à la con rmation de la Commission Architecturale et de Plani cation de la ville de Moscou, du Mossoviet et du MK du PC(b) - Arplan 11- qui comprend des architectes néo classiques tel qu’Ivan Joltovski et que L. Kaganovitch dirigera pendant une décennie. Cette instance examine chaque projet et décide de leur réalisation nale. La décision fondamentale d’utilisation du marbre dans le métro de Moscou a été prise à l’Arplan. L’architecture du métro dont chaque station doit être originale s’élabore dans une relation spatiale -parcs, stade ou bâtiments desservis- qui dé nissent les critères artistiques d’aménagement intérieur et des pavillons d’entrée. Certaines stations sont 11 L’ Arplan, acronyme de Commission d’ARchitecture et de PLANi catin, est créé en septembre 1933 et réunit les dirigeants politiques de la Ville, les représentants des ateliers d’Architecture et les auteurs du Plan de 1935 pour Moscou.
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ainsi conçues comme «l’avant salle» des monuments : la station Dvorets Sovetov (Kropotkinskaïa) avec le futur Palais des Soviets ou la station Plochad Sverdlova-Teatralnaïa avec le théâtre Bolchoï. Après l’adoption de la grande profondeur, un certain nombre de principes guident la recherche architecturale, la négation du sentiment de claustrophobie, la nécessité d’alléger les structures constructives des stations et de rompre la monotonie des couloirs et des accès, la prise en compte de l’importance de l’éclairage arti ciel comme élément fondamental de l’architecture souterraine. C’est là une des incontestables réussites du métropolitain, et l’éclairage indirect des stations est présent dès la première ligne : l’architecte Nicolas Kolli l’utilise pour la station Kirovskaïa dissimulant les sources lumineuses dans la corniche à la base de la voute, créant « une vaporisation de la voute ». Alexeï Duchkin obtient le même effet par l’éclairage intégré dans les chapiteaux en forme d’étoile à cinq branches de la station Kropotkinskaïa, qui crée « un effet de voute » dans une station peu profonde à plafond plat. Il dissimule l’éclairage à l’intérieur des coupoles de la station Maïakovskaïa. Ces partis d’aménagement lumineux d’éclairage ré échi, insérés dans les corniches ou les coupoles deviendront la norme du design du métro de Moscou Dans la station Electrozavodskaïa (1944) de Chtchuko, Guelfrekh et Rojin l’éclairage de la voute de la salle souterraine est constitué de multiples caissons ronds abritant chacun une ampoule, procédé justi é par la proximité de l’Usine électrique. L’évolution des luminaires est symbolique de l’évolution de l’architecture de la période stalinienne. A l’utilisation des globes d’opaline comme à la station Bibliothèque Lénine (1ère Ligne 1935) et des néons géométriques succèdent dans les « palais souterrains » des années quarante et cinquante, les lustres chargés aux lourdes montures de bronze décoré et les appliques torchères de la Victoire. Les éclairages du métro de Moscou, pour certains novateurs anticipent sur les recherches modernes des métros européens. Une équipe d’architectes d’intérieur du 12e atelier d’architecture du Mossoviet12 dirigé par Borov exercera sa créativité dans le do12 Les 12 ateliers d’architecture et de plani cation du Mossoviet, la mairie de Moscou sont créés sur décision du MK le 23 septembre 1933. Ils entrent en concurrence pour présenter les projets du métro avec le bureau d’architecture du Metroproiekt dirigé par Serge Kravets à la tête d’une équipe de jeunes architectes.
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6 - Station Krasnye Vorota 1935. 7 - Même Station. Plafond “Femme à l’enfant”
maine du mobilier urbain, bancs, guichets, kiosques, luminaires dans un style « années trente » proche des réalisations en Europe, à la même époque. Le graphisme de la lettre emblématique M du métro revient à l’architecte Igor Taranov. La participation des modernes et des néoclassiques à l’élaboration de la première ligne - Dans cette période charnière des années 19201930, les architectes modernes ont conservé un rôle important dans la réalisation des stations de la première ligne : la station Krasnoselskaïa reviendra à des architectes constructivistes, Vilenski, Erchov, Snarjinski
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et Romas, anciens membres de l’OCA.13 Le rationaliste Ladovski réalise la station Dzerjinskaïa, aujourd’hui Loubianka, dont l’architecture originale sera détruite. Il souligne la voute des voies de larges anneaux blancs sur fonds noir à intervalles réguliers, mettant en évidence « l’aspect tunnel » créant une dynamique interne. L’entrée formée par deux arcs symétriques est aussi l’œuvre de constructivistes, Fridman et Loveïko. Ladovski conçoit l’entrée de la station Krasnye Vorota, qui évoque un tunnel du métro en perspective. Pour cette station, les contradictions que traverse l’architecture soviétique apparaissent clairement : une entrée moderne conduit à la salle souterraine néo classique de Fomin. La plus imposante des stations, desservant la place des trois gares est la station Komsomolskaïa de Dmitri Tchetchulin, architecte éclectique: la vaste salle souterraine est soutenue par un double rang de piliers aux chapiteaux composites ornés du sigle de L’Internationale Communiste de la Jeunesse, KIM. L’architecte le plus le plus original du métro est sans conteste Alexeï Duchkine14. La station Dvorets Sovetov, (Kropotkinskaïa)15 qu’il réalise pour la première ligne, en collaboration avec Lichtenberg, est inspirée des motifs de l’architecture souterraine égyptienne. La station, qui appartient au type des stations peu profondes, à plafond plat, aligne la perspective de ses deux rangées de piliers aux chapiteaux, évasés en forme de lotus en étoile à cinq branches où sont dissimulés les éclairages Avec cette station, Duchkin entame une période de 20 ans de création architecturale pour le métro. Maiakovskaïa 1938, Avtozabodskaïa 1943 Novoslobodskaïa 1950. Cette période de transition est riche d’inspirations diverses. Hormis les stations modernistes de Ladovski et de Kolli, le retour à l’ordre classique peut se lire dans l’architecture des stations de la première ligne sous une forme épurée de Fomin ou plus éclectique de Tchetchulin. Le langage architectural 13 Union des Architectes Modernes créée en 1925 par M. Ginzburg et les frères Vesnine. 14 Aleksei Nikolaievitch Duchkin 1904-1977, membre du 3ème Atelier d’architecture et de Plani cation du Mossoviet dirigé par Fomin, membre de l’Académie d’architecture, il dirigea le Metroproiekt de 1940 à 1944, puis il fut le chef du Metroguiprogans de 1951 à 1955. Après le discours de Khroutchev, il est démis de toutes ses fonctions et en 1956, exclu de l’Académie d’Architecture. 15 Avec La maquette de cette station, présentée dans le pavillon soviétique de l’Exposition Internationale de Paris 1937, Duchkin reçoit le diplôme d’honneur.
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néo classique utilisé dans stations pouvait s’appuyer sur les solutions techniques : la présence de piliers pour les stations à couverture plate ou d’arcs pour les stations de grande profondeur favorisait les emprunts au système des ordres classiques dans le contexte architectural d’une réévaluation de l’héritage du passé. Ce style des palais s’épanouira surtout dans le style triomphal des stations de l’aprèsguerre, de la Koltsevaïa, où l’architecture souterraine se ressourcera à l’héritage national russe (Chtchussev) ci-dessous comme au style empire russe du XIXe siècle (Poliakov). L’architecture des stations de la Koltsevaïa et du tronçon de grande profondeur de la première ligne marque véritablement une rupture esthétique par leur approche monumentale et ornementale. Ces lignes de l’après-guerre se distinguent par des emprunts plus diversi és au répertoire architectural russe du passé. Cette esthétique décorative et dispendieuse est remise en cause par Nikita Khrouchtchev. La résolution du CC du PCUS du 4 novembre 1955, « Sur l’élimination des excès dans les projets et la construction », critique les vingt ans d’architecture passée. Elle écarte les architectes les plus éminents de l’urbanisme souterrain, Duchkin et Poliakov. Les restrictions économiques n’ont pas d’effet immédiat sur les stations, construites dans la première moitié des années cinquante. Il faut attendre la n des années cinquante, le début des années soixante pour voir apparaitre les stations-types « standard » purement fonctionnelles, Les quatre premières lignes du métro de Moscou sont exemplaires d’une politique culturelle et d’une pratique architecturale hétérogène. Les stations des années trente et quarante du métro de Moscou révèlent une diversité d’approches architecturales, marquée par une assimilation croissante de l’héritage et de la décoration du passé. La synthèse des Arts dans le métro de Moscou - Dans l’esthétique des palais souterrains, la synthèse des arts se voit assigner une fonction majeure, la valorisation artistique, différenciée des stations. La synthèse implique une collaboration artistique interdisciplinaire des architectes, artistes, peintres et sculpteurs. Dans les stations de la première ligne, on trouve peu d’exemples de synthèse, à l’exception de la fresque les « Constructeurs du Métro » de E Lanceray dans l’avant salle de la station Komsomolskaïa de Tchetchulin. A partir de la seconde ligne en 1938, des
moyens importants sont affectés à la décoration des stations de métro. Le Metrostroï disposait d’un atelier de menuiserie, d’un bureau des éclairages, d’une usine de marbre. L’art du vitrail intervient dans la décoration de la station Novoslodskaïa, 1950 -architecte Alekseï Duchkin- exemple unique d’une telle performance dans le métro de Moscou. Cet ensemble représente 32 vitraux, adaptés aux conditions souterraines par la présence d’éclairage dissimulé derrière les plaques de vitrail, éclairage qui met en valeur les motifs oraux, exécutés par des artistes lettons, d’après les esquisses de Pavel Korin. Progressivement, la synthèse des arts est mise au service du «réalisme socialiste» en architecture; elle est marqué par une nouvelle narrativité expressive et «parlante» et par une thématique qui devient le « re et» de l’histoire officielle du pays. Les stations de la Koltsevaïa, par exemple, doivent « exprimer » le « pathos de la guerre » (Komsomolskaïa, Kurskaïa, (1946-1954), la paix ou « le travail paci que et le repos des Soviétiques » (Prospekt Mira, Park Kultury), ou encore « L’union indéfectible des peuples de l’URSS » dans les stations « folkloriques » Bielorusskaïa, Kievskaïa. La « synthèse des arts » remplit une fonction idéologique d’embellissement de l’univers souterrain : mosaïques, marbre, pierres sculptées, dorures. Elle contribue à l’image des «palais souterrains» mais se réduit nale-
8 - Panneau décoratif de majolique “les constructeurs du métro” de E Lanceray 1935.
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doit s’adapter aux partis de l’architecte, à la forme elliptique des doubles coupoles, qui ne permettent pas une vue d’ensemble des plafonds. Les mosaïques de Deïneka sont autant de variations sur le thème du ciel dont les phases diurnes et nocturnes ponctuent un récit lyrique, de saut en parachute, d’avions ouvrant les fenêtres illusoires sur le ciel bleu de l’avenir.
9 - Panneau de mosaïque Kalinine et Ordjonikidze inaugurant le Dneproguès en Ukraine. Station Kievskaïa-Koltsevaïa 1950 .
ment à une décoration classique des surfaces, murs, plafonds et sols qui conduit à un essor des arts décoratifs et au retour de la notion bannie, dans les années 1920, d’ornement.
Maiakovskaïa ou le ciel en sous-sol - Les stations de l’architecte A. N. Duchkin sont exemplaires de l’évolution de l’utilisation de la synthèse dans les stations de métro de la n des années trente années trente aux années cinquante et de la collaboration parfois difficile entre artistes de différentes disciplines. La station Maïakovskaïa qui dessert la place Triumphalnaïa, rebaptisée Maïakovskaïa en l’honneur du poète est l’une des plus monumentales : 155 m de long, 14 de large, 34,5 m de profondeur. L’impression d’espace est renforcée par la mise à nu de la carcasse constructive. Le thème industriel inspire l’architecte Duchkin dans l’utilisation d’acier trempé pour le revêtement des pylônes. A. Deïneka, auteur des 34 mosaïques de smalt illustre « 24 heures au pays des Soviets» et
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Plochad Revoliutsii : une galerie de sculptures La station Plochad Revoliutsii consacrée au 20e anniversaire de la Révolution d’Octobre est située à proximité de la place Rouge, et constitue un enjeu idéologique important. La voute nervurée initiale du projet n’était pas prévue pour un dispositif de sculptures monumentales, réalisées par la brigade du sculpteur Manizer. Ces sculptures sont imposées contre l’avis de Duchkin qui doit remanier son projet. Pour illustrer la période historique de 1917 à 1937, Manizer et son équipe réalisent une série de 80 sculptures de bronze, soit 20 modèles répliqués quatre fois. Les sculptures sont postées par groupe de quatre, sur un socle, de chaque côté des arcs d’accès aux quais. Ces gures symboliques ordonnées en couples, inscrivent un dispositif narratif qui oriente l’espace du chœur aux escalators selon l’axe du passé au présent, de la guerre à la paix. La Révolution est illustrée par les gures archétypales du garde Rouge et du soldat révolutionnaire, du partisan, et du matelot, le thème de la défense de la Patrie par le garde-frontière et le parachutiste. A ces gures guerrières, succèdent les incarnations du travail et de l’éducation, les constructeurs du socialisme, le couple de kolkhoziens, le constructeur du métro et l’inventeur au centre de la salle. Vers la sortie, se dressent trois gures de la nouvelle société, le savant et la jeune lle au livre, le couple de sportifs, la mère et le père à l’enfant, les écolières et les pionniers aéromodélistes. La « Synthèse de tous les arts de l’espace » se présente comme le manifeste d’un gigantesque art décoratif à visée éducative et idéologique.
Conclusion Le projet indissociablement politique, architectural et artistique a crée ces stations différenciées, spéci ques du métro de Moscou, classées au patrimoine historique. Les circulations dans l’espace souterrain consti-
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tuent autant de lectures historiques et artistiques de la période stalinienne, dans sa modernité et dans ses conservatismes. Le métro de Moscou, est ce lieu paradoxal, à la fois un Musée souterrain et un moyen de transport, surchargé aux heures de pointe comme dans toutes les grandes métropoles. Son maillage lâche, de type RER, implique la complémentarité des moyens de transports publics, autobus, trolleybus, minibus ou «marchrout» qui en absence de site propre, dépendent du ux toujours plus invasif de voitures individuelles. La Koltsevaïa, ligne circulaire reste incontournable pour tout voyageur qui veut accéder aux gares de la capitale. Le développement du centre-ville et l’accentuation de la structure urbaine radioconcentrique de Moscou décidée par le Plan de 1935 attire toujours les foules vers le centre-ville, la rue Tverskaïa, la Place Rouge et les zones piétonnes, reproduisant les schémas d’aménagement des grandes capitales. Le métro de Moscou historique, 19351954 appartient aux circuits touristiques des visiteurs étrangers, mais pour les moscovites, sans égard pour les œuvres d’art, le métro est le moyen d’effectuer un parcours d’un point à un autre, de gagner du temps et de se situer dans l’espace urbain. © Riproduzione riservata
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10 - Salle souterraine de Plochad Revoliutsii 1938, architecte A. Duchkin, scupltures de la brigade de M. Manizer.
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La metropolitana di Mosca: cento anni di progetti urbanistici (1935-2035) di Élisabeth Essaïan
Evocare la metropolitana di Mosca mette subito in evidenza le rappresentazioni, veicolate attraverso i mezzi di comunicazione, dei “palazzi sotterranei” ovvero le stazioni riccamente decorate costruite durante il periodo stalinista. Dall’apertura della prima linea nel 1935, oltre all’uso quotidiano e funzionale, la metropolitana di Mosca è diventata una vetrina e un oggetto di curiosità turistica e, dalla caduta del regime sovietico, le sue stazioni storiche sono state gradualmente protette come patrimonio di importanza regionale, bene ciando quindi della protezione dello Stato. Questa pagina di storia, ormai ben informata attraverso lm e documentari, dati pubblicati su siti governativi e associazioni varie, era stata oggetto di una ricerca pionieristica da parte di Josette Bouvard, nella sua tesi di dottorato trasformata poi in un libro, che ripercorre le scelte politiche, gli arbitrati tecnici e architettonici, nonché la vita quotidiana e la narrazione di questo “eroico” cantiere. Sulla base del nostro personale lavoro di ricerca, nonché sulle pubblicazioni dei siti governativi e delle organizzazioni di piani cazione urbana, ci concentreremo in questo articolo sul rapporto tra la scelta delle linee della metropolitana e i tre principali piani urbanistici di Mosca: il piano generale del 1935 per la ricostruzione di Mosca, il piano del 1971, e il piano del 2010, rivisto nel 2017, che guida l’attuale sviluppo della città no al 2035. Prima di tutto, guardiamo la metropolitana di Mosca attraverso alcune cifre.
La metropolitana di Mosca in numeri - La prima linea della metropolitana di Mosca è stata inaugurata il 15 maggio 1935; ad oggi è composta da 14 linee, è lunga 408 km e dispone di 238 stazioni. A titolo di confronto, la metropolitana di Parigi, senza contare la rete di treni RER, ha 16 linee, è lunga 220 km e dispone di 302 stazioni. Prima della sua espansione nel 2012, la super cie di Mosca era di 1070 km2 per 12 milioni di abitanti : ov-
The Moscow underground: one hundred years of urban planning projects (1935-2035) by Élisabeth Essaïan
This article examines the relationship between the routes chosen for the Moscow subway and the three major urban plans that guided the city’s reconstruction for one hundred years: the 1935 plan; the 1971 plan; and the 2010 plan, revised in 2017, which will guide Moscow’s current development through the year 2035. To what extent do the choices for the underground city re ect those for the city on the surface? Based on archival documents and publications from government sites and project organisations, we will highlight the continuities and discrepancies between the affirmation of the radiocentric structure of the 1935 plan, the economic orientation and standardisation of the Khrushchev era, the attempts to break the monocentrism of the 1971 plan and the integrative will of the Greater Moscow plan for 2010-2017. We will look in particular at the issues of the complementarity of the networks, the relationship between streets, pedestrians and traffic; and the impact of the return to ownership of land and buildings.
Nella pagina a anco: Piano regolatore di Mosca, Arxitektura SSSR, n° 10-11, 1935. © Élisabeth Essaïan.
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1 - Il diagramma schematico della metropolitana di Mosca nel 2010 che mostra le diverse profondità delle linee e delle stazioni (da quelle più scure a quelle più chiare: dalle profondità alla super cie). © Alexey Goncharov. pikabu.ru
vero una volta e mezzo la super cie di Parigi e della sua periferia interna e dieci volte la super cie del comune di Parigi (intramuros). Sembra quindi che la rete della metropolitana di Mosca sia molto meno tta di quella parigina, la cui trama è particolarmente tta. Ciò è dovuto in gran parte alle differenze di distanza tra le stazioni: 1.800 m in media per Mosca, contro i 570 m di Parigi. A questa rete metropolitana si aggiunge la recente rete elettrica di super cie: con 54 km e 31 stazioni dell’Anello Centrale di Mosca (MCK), 132 km e 58 stazioni delle due linee diametrali già costruite su quella prevista su cinque diametri centrali (MCD), nonché 4 km e 6 stazioni della monorotaia. Se si sommano 52
tutte queste diverse reti, il totale per il 2020 è di 598 km e 333 stazioni. Dal 2012, la super cie di Mosca è stata moltiplicata per 2,4 per l’annessione di un ex territorio dell’oblast (regione), situato nel sudovest, aumentando a 2511 km2. Entro il 2023 è prevista la costruzione di 67 km di trasporti pubblici e 27 stazioni aggiuntive. Oltre alle nuove linee di super cie della monorotaia, MCK e MCD, la maggior parte delle stazioni della rete metropolitana di Mosca sono sotterranee. Delle 238 stazioni, solo 16 sono in super cie, di cui 14 all’aperto. La profondità media delle stazioni sotterranee è di 24 m, con 70 stazioni a grande profondità (sotto i 25 mt) e 88 a bassa profondità
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2 - “Tutta Mosca sta costruendo la metropolitana”. Manifesto di Gustave Kloutsis (Gustav Klucis) 1934. Si vede L. Kaganovitch in tenuta di cantiere.
g. 1). La maggior parte delle stazioni profonde sono concentrate nel centro storico e costruite a tre volte, mentre le stazioni medie e quelle basse sono costruite con un’unica volta. La maggior parte delle linee sono situate in posizione centrale, con una lunghezza media di 155 m, con treni composti da 8 vagoni. Il ritmo di costruzione della rete è rimasto abbastanza costante no alla caduta del regime sovietico nel 1991, con una media di circa 30 stazioni ogni dieci anni a partire dagli anni ‘50, ma le distanze sono aumentate con l’aumentare della distanza dal centro. Il decennio successivo alla ne del regime sovietico è stato il decennio con la seconda guerra mondiale, quando c’è stata la minore
costruzione, mentre dall’adozione dell’ultimo piano nel 2010, c’è stata un’esplosione di km e stazioni costruite, con 200 km circa e un centinaio di nuove stazioni negli ultimi dieci anni. Quali sono i principali orientamenti urbani per la scelta delle linee della metropolitana? Il piano del 1935 : affermazione della struttura radiocentrica - Il 10 luglio 1935, il Comitato centrale del Partito e il Commissariato del Popolo dell’URSS, attraverso i rispettivi leader, Joseph Stalin e Vyacheslav Molotov, adottarono il Piano generale per la ricostruzione di Mosca del 1935 ( g. 2). Lazarus Kaganovich, presidente dell’organizzazione del Partito di Mosca e segretario del Comitato
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3 - Il diagramma delle prime tre linee della metropolitana, che attraversano il Cremlino. Pubblicato in Moskva rekonstuirouetsja (Moscou en reconstruction), Moscou, Éditions Izostat, 1938.
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centrale, ne darà seguito nei primi anni di attuazione. Diresse anche la costruzione della metropolitana, che prese anche il suo nome no al 1957 ( g. 3). In questo piano urbanistico, la nuova area urbana dovrebbe raddoppiare le sue dimensioni da 285 km2 a 600 km2 per ospitare una popolazione di cinque milioni di abitanti entro gli anni Cinquanta. Il territorio situato nel sud-ovest, considerato il più salubre, sarà favorito per l’insediamento delle nuove aree residenziali. Le industrie e le attività inquinanti sono progettate o spostate fuori dalla città; le istituzioni, le amministrazioni e gli spazi culturali sono conservati e rafforzati nel suo centro. Se la super cie raddoppia integrando le ex aree suburbane, Mosca viene de nita come un’unità indipendente protetta dagli agglomerati circostanti con la creazione di una cintura verde larga 3 km, accoppiata ad una zona di controllo forestale non edi cabile di 50 km. La ricostruzione è quindi incentrata sulla città esistente e sullo sviluppo dei nuovi territori. Mosca, città radiocentrica, con le sue forti cazioni circolari sostituite da viali, aveva cessato di svilupparsi secondo questo schema n dall’inizio del XVIII secolo, estendendosi oltre il suo ultimo viale alberato, l’Anello dei Giardini. Nel 1903, però, un altro anello, non più di viali, ma una linea ferroviaria circolare,
circondava tutta la città. Questo con ne sico, che diventerà il suo limite amministrativo nel 1917, è presentato come un ventaglio decentrato verso il nord. Il piano del 1935 vuole ripristinare la leggibilità della struttura radiocentrica ereditata, non tanto per la sua conservazione, quanto per la sua presunta efficacia nella risoluzione di futuri problemi di traffico. La “ricostruzione” di Mosca comporta quindi l’evidenziazione e l’ampliamento di questo piano attraverso il conseguente allargamento e la creazione di nuovi radiali e anelli. Una nuova divisione urbana, il kvartal (isolato) di 9-15 ettari, costruita attorno ad una grande piazza, de nisce i nuovi spessori e sempli ca drasticamente il layout della rete stradale. Questi kvartaly di abitazioni sono situati lungo le principali arterie radiali e circolari e lungo le rive dei umi Moskova e Yauza, le nuove arterie principali della città. Tuttavia, la struttura radiocentrica, resa visibile in super cie, non fu immediatamente trascritta nel sottosuolo, poiché la metropolitana si sviluppò, no al 1954, solo per mezzo di binari radiali che si intersecavano al centro (Fig. 4). La disposizione delle linee sottolinea i luoghi simbolici essenziali della nuova Mosca. La prima radiale segue l’asse Sud-Ovest/Nord-Est. A sud-ovest termina al Gorky Culture and Rest Park (PKiO); a nordest attraversa il con ne dell’Anello dei Giardini per servire il nuovo quartiere di Sokolniki e il suo Culture and Rest Park. Anche la seconda linea, Nord-Ovest/Sud-Ovest, rompe l’anello nel Nord-Ovest seguendo la storica direzione della strada che da San Pietroburgo (Leningrado in epoca sovietica) porta al primo aeroporto, Vnukovo. Questa linea attraversa, nel sud-est, il ume Moskova per raggiungere la stazione di Paveletskiï. Più tardi, la terza linea segue il percorso Est/ Nord-Est/Sud-Ovest e rompe l’anello su entrambi i lati, a Sud-Ovest, attraversando il ume Yauza per raggiungere l’Università di Lomonosov, e ad Est per raggiungere lo stadio e la fabbrica della Dinamo. Ci vorrà no al 1954 per completare la prima linea circolare. A sud e a est, segue il percorso storico dell’Anello dei Giardini, ma si stacca da esso a ovest e a nord per includere le stazioni ferroviarie di Mosca. La parentesi di Krusciov: economia e standardizzazione - Esteso nelle sue linee principali dal piano del 1949, il piano del 1935 rimarrà attivo almeno no al 1958. Solo nei primi anni del regime di Krusciov, nel 1954-58, si sviluppò il territorio sudoccidentale.
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Sotto Krusciov, la città si estese poi ai territori delle ex dachy (seconde case) e ai villaggi, sviluppati secondo il principio dei mikroraiony (microquartieri) di 30-60 ettari, costruiti con edi ci standardizzati a cinque piani, impiantati liberamente. Nel 1960 è stato aperto il primo tratto dell’anello autostradale (MKAD), in costruzione dal 1956. Fino al 1984, è diventato il limite amministrativo della città, aumentando la super cie di Mosca a 875 km2. Per servire le nuove aree residenziali suburbane, si stanno proseguendo le linee radiali della metropolitana esistenti e si stanno creando nuove linee radiali che si collegano all’anello circolare, senza attraversare la città. Si tratta di linee economiche, sia basse sia super ciali, con padiglioni e stazioni progettate secondo progetti speci ci, lontane dall’unicità e dagli “eccessi architettonici” del periodo stalinista. I marmi e i graniti delle stazioni sono sostituiti da semplici rivestimenti e gli imponenti padiglioni d’ingresso da pensiline vetrate, o addirittura in assenza per alcuni casi di padiglioni. Il piano del 1971: rompere il monocentrismo Nel 1971, sotto Breznev, fu adottato un nuovo piano generale per Mosca ( g. 5). Come il piano del 1935, ha limitato la crescita del territorio e della popolazione di Mosca a 8 milioni di abitanti e ha adottato il sistema della cintura verde delle foreste, raccomandando la limitazione delle industrie nel raggio di 50-60 km. D’altra parte, la città non era più concepita come un’unità autonoma, protetta dal territorio circostante, ma come parte integrante di un territorio più ampio con forti legami economici, sociali e culturali con il centro. Nel raggio di 120 km è quindi previsto lo sviluppo di città satellite e di industrie. Per la prima volta, questo piano mette in discussione il modello monocentrico e le prestazioni dello schema radiocentrico. All’interno del con ne di Mosca, il territorio è suddiviso in otto aree insediative con una popolazione di 600.0001 milione di persone, con un centro culturale e commerciale, luoghi di lavoro e di svago. Ognuna di queste zone è composta da 3-4 raïony (distretti) di 250-400.000 abitanti, a loro volta suddivisi in zone residenziali di 3070 abitanti, tra cui produzione, servizi, centri locali e parchi. Le otto zone sono separate l’una dall’altra da radiali con vegetazione e dalla cintura verde del parco. La zona centrale corrisponde al centro storico di Mosca, così come si forma all’interno dell’Anello dei Giardini. Per risolvere il problema del traffico e decon-
gestionare le arterie centrali, il piano prevede di sovrapporre alla struttura radiocentrica una rete di quattro superstrade che attraversano ad angolo retto e permettono di attraversare la città senza dover passare per il suo centro. Prevede inoltre di creare, tra il MKAD e l’Anello dei Giardini, altri due anelli di trasporto. Di tutto questo piano, solo i nuovi grandi complessi saranno costruiti al posto dei vecchi villaggi. Per quanto riguarda il tracciato della metropolitana, le linee radiali vengono estese ai nuovi quartieri periferici, trasformando allo stesso tempo le linee radiali non collegate in linee diametrali. Senza mettere in discussione la standardizzazione e la prefabbricazione, le stazioni si adornano tuttavia ancora una volta di pietra, cercando di far rivivere lo splendore del periodo stalinista.
4 - Piano regolatore di Mosca del 1971. Istituto Genplan di Mosca.
Il piano 2010, completato nel 2017: verso la Grande Mosca - Dopo la ne del regime sovietico, i problemi urbani da risolvere riguardano soprattutto i disordini provocati dal 55
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milioni di m2 di negozi nei nuovi territori e di creare una nuova rete di trasporti che colleghi il centro città con i nuovi territori della Grande Mosca. Molto prima dell’adozione di questo piano, le linee della metropolitana avevano già attraversato il con ne dell’autostrada circolare, la MKAD. Dal 2001 è stato elaborato un progetto per la creazione del secondo anello metropolitano sul sito della vecchia linea ferroviaria del 1903. Questo anello della rete di super cie, l’MCK, denominato secondo anello della metropolitana, sarà costruito tra il 2011 e il 2016. Collegherà, tra l’altro, la metropolitana con le linee ferroviarie suburbane ( g. 7). In ne, nell’ambito della Grande Mosca, sono in fase di sviluppo sia il terzo anello (Great Circular Ring) che i cinque diametri centrali di Mosca, MCD, le cui prime due linee sono state inaugurate il 21 novembre 2019. Ogni diametro ha un tempo di percorrenza di circa 1 ora, con tempi di attesa tra due treni di circa 6 minuti. Il futuro terzo anello, sfalsato verso sud forma un “8” con il secondo anello, ricordando, tra l’altro, il percorso del futuro Grand Paris Express ( g. 8).
5 - I con ni dei territori, dei distretti amministrativi e dei quartieri di Mosca. Fonte: Materialy po obosnovaniju proekta vnesenija izmenenij v general’nyj plan goroda Moskvy (Matériaux concernant le projet de changements apportés dans le plan général de Moscou), kniga 1, Moscou, 2017, p. 79.
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ritorno della proprietà privata di terreni e immobili. Nel 1994 è stato introdotto un nuovo catasto. Solo nel 2010 è stato elaborato un nuovo masterplan per la città che, sotto diversi aspetti, ha ripreso le proposte di decentramento del piano del 1971 (Fig. 6). Tale piano, con un orizzonte temporale del 2025, si completa nel 2017 con un piano con orizzonte temporale del 2035, che tiene conto dell’annessione dei nuovi territori del SudOvest avvenuta il 1° luglio 2012. 250.000 ex abitanti di questa parte dell’oblast di Mosca diventano moscoviti. Questo piano, per il quale sarà lanciato un concorso internazionale per l’estensione della Grande Mosca nel 2011, ispirato alla consultazione per il Grand Paris, ha diverse componenti. Oltre alla volontà di de nire zone di protezione ecologica a livello regionale e federale, prevede il trasferimento delle amministrazioni pubbliche e il decongestionamento del centro di Mosca, sia in termini di densità edilizia sia di traffico. Si prevede di costruire 60 milioni di m2 di abitazioni e 45
Complementarietà della rete - Il piano del 1935 tendeva a sempli care eccessivamente e a canalizzare all’estremo le modalità di spostamento urbano, dando priorità all’auto in super cie e alla metropolitana nel sottosuolo ( g. 9). Mentre il primo mezzo di trasporto urbano, il tram, aveva funzionato no agli anni ‘30, è stato completamente smantellato nel centro della città, nonostante la difesa di alcuni attori della vita urbana, in particolare i medici, che ne sostenevano la dimensione economica ed ecologica. In sostituzione del tram, a partire dal 1933 verrà creata una rete di lobus, mentre l’autobus sarà riservato ai quartieri periferici e suburbani. In assenza di anelli della metropolitana, solo gli autobus hanno fornito collegamenti tra le linee radiali di questi quartieri periferici, la cui rete si è sviluppata dalla ne degli anni ‘50 in poi. Nel centro urbano, i collegamenti a breve distanza erano garantiti dai marchroutki (taxi a percorso sso) che apparvero negli anni ‘30 del secolo scorso. Si trattava inizialmente di automobili che circolavano tra le principali piazze della città, stazioni ferroviarie, parchi o che fornivano percorsi eccezionali per eventi speciali (grandi mostre, come la Grande Esposizione Agricola del 1939, partite, ecc.) Le tariffe applicate erano le stesse del trasporto urbano. Durante gli anni ‘60,
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6 - Schema delle nuove linee: i due nuovi anelli e i cinque diametri (MCD). Fonte: Sito ufficiale del Comune di Mosca https://www.mos.ru/city/ projects/diametry/
le auto sono state sostituite da minibus. Nel 1964 erano previste 18 rotte giornaliere e 10 notturne. Dopo la ne dell’URSS la struttura statale della marchroutki è quasi scomparsa, sostituita, a partire dal 1994, da aziende private e le sue tariffe sono state notevolmente aumentate. Nell’ambito dell’attuazione del nuovo piano di trasporto per Mosca per il 2015-2016, tutti i marchrutki di proprietà privata saranno aboliti e sostituiti da autobus urbani. Lo stesso vale per i lobus, la cui rete è stata smantellata nel 2015. Così l’autobus, da tempo riservato alle periferie urbane e che compensa la mancanza di collegamenti metropolitani, sta diventando il secondo più importante mezzo di trasporto urbano dopo la metropolitana. La strada, il pedone e il traffico - Nel piano del 1935, la rete stradale è stata progettata soprattutto in termini di efficienza del traffico, sia attraverso il rafforzamento dello schema radiocentrico, sia attraverso la de nizione
del nuovo scartamento. Questi sono calibrati per ricevere soprattutto il traffico automobilistico e per ospitare parate, eventi militari o commemorativi. Le strade sono ampliate da una media già molto confortevole di 18 m a 50-120 mt, mentre la struttura dell’edi cio è aumentata da 2-3 piani a 6-7 e oltre (Fig. 10). Nonostante gli ampi marciapiedi, le strade cessano di essere luoghi di traffico pedonale e di passeggiate. Le funzioni ricreative sono spostate sui parksystem e sugli spazi interni dei kvartaly, che sono disposti a quadrato. Inoltre, l’abolizione della proprietà privata del terreno rafforza la porosità del tessuto ereditato dal periodo zarista, favorendo il traffico pedonale attraverso i cortili, anche se la serie di recinzioni che delimitano le vecchie proprietà sarà distrutta solo sotto Krusciov. Le discussioni sulla nuova dimensione del kvartal mostrano che la sua lunghezza è de nita in base al traffico. Secondo uno dei principali progettisti del nuovo kvartal, l’ar-
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7 - “Il problema del trasporto urbano può essere risolto attraverso l’uso di diversi livelli di intersezione del traffico; in primo luogo, deve essere utilizzato lo spazio sotterraneo. L’incrocio sotterraneo di Pushkinskaya-Okhontyi riad sarebbe così a livello del suolo e sottoterra.” Pubblicato in Moskva rekonstouirouetsia (Moscou en reconstruction), Moscou, Éditions Izostat, 1938.
chitetto Petr Goldenberg, la sua lunghezza ideale sarebbe di 500 m, in quanto permette all’auto di sviluppare una velocità sufficiente senza diventare pericolosa quando si ferma al semaforo. Inoltre, un residente del kvartal avrebbe solo un massimo di 8 minuti per guidare no agli angoli del kvartal, dove si troverebbero le fermate del trasporto, senza che sia speci cato di quale trasporto si tratta. La dimensione di 500 m sarebbe più simile a quella del trasporto di super cie. Le stazioni della metropolitana saranno spesso lunghe il doppio, con una distanza media di 1 km nel centro della città, entro i limiti dell’anello dei giardini. Per andare da una stazione della metropolitana all’altra occorrono in media 8-10 minuti a piedi. Con lo sviluppo massivo degli edi ci perimetrali dei Mikroraiony costruita alla ne degli anni ‘50 nella periferia di Mosca, la tradizionale opposizione strada/cantiere è scomparsa. Man mano che il terreno diventava continuo e gli edi ci si frammentavano, la strada 58
perdeva ulteriormente la sua funzione di via pedonale, nonostante la larghezza dei marciapiedi. Le distanze tra le fermate delle stazioni non sono più correlate alle dimensioni dei kvartaly. E, in questi quartieri periferici, le distanze tra le stazioni della metropolitana aumentano in media di 2 km, ovvero 12-15 minuti a piedi. Con il ritorno della proprietà fondiaria privata dal 1992, questo rapporto strada/cantiere è cambiato di nuovo. Nel centro della città allargata ai suoi limiti nel piano del 1935, i blocchi storici e i kvartaly costruiti durante il periodo stalinista sono chiusi da griglie, rendendo il tessuto meno poroso e deviando il traffico pedonale verso i vicoli e le strade. Questo fenomeno è visibile anche nei quartieri periferici, nonostante la difficoltà di affidarsi all’ambiente costruito per alzare le recinzioni. Inoltre, i piani terra urbani (rez-de-ville), per riprendere il concetto sviluppato da David
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Mangin, stanno diventando più complessi con l’arrivo di nuovi negozi e attività al piano terra e al piano interrato, con una facciata ridotta e lineare, creando tempi di inattività più frequenti. Questo porta alla questione delle distanze, della sicurezza e della facilità di passaggio da un lato all’altro della strada. Mentre durante gli anni Trenta si discuteva molto sulla sicurezza degli attraversamenti stradali e sulla valutazione di vari modelli occidentali, tra cui la progettazione zebrata degli attraversamenti chiodati e l’installazione di isole di sicurezza in mezzo alle strade, il basso livello di produzione automobilistica ha reso questo tema secondario per molto tempo. Si è fermata all’inizio degli anni Sessanta con l’intensi carsi del traffico. Fino al 1959, i sottopassaggi erano direttamente collegati alla metropolitana, con uscite differenziate per le stazioni. All’inizio degli anni Sessanta sono stati costruiti passaggi sotterranei non collegati alle stazioni della metropolitana esistenti. Tra il 1959 e il 1980 sono stati costruiti 180 sottopassaggi sulle principali vie e piazze. A partire dagli anni Ottanta, questo sistema si è diffuso, portando a 150 il numero di passaggi effettuati tra il 1981 e il 2001. Il cambiamento è avvenuto all’inizio degli anni 2000, con la costruzione dei passaggi del boom, che sono meno costosi. Tutte queste scelte mostrano la priorità permanente data all’auto a scapito del comfort dei pedoni. Dai palazzi sotterranei ai templi del commercio - Se la metropolitana di Mosca, così come concepita sotto Stalin, era, come ha dimostrato Josette Bouvard, uno spazio sacro e museale con la sua illuminazione celeste, i pannelli a mosaico e i gruppi scultorei, l’aumento dei tunnel di passaggio sotterranei ne ha fatto, già nel 1961, un luogo di commercio e di servizi. Le prime gallerie commerciali sotterranee sono state allestite al posto di tre stazioni ferroviarie. Ma fu solo alla ne del regime sovietico che il sottosuolo fu veramente commercializzato. Ciò si è ri esso nella divisione dello spazio dei cunicoli sotterranei, la cui larghezza ha permesso di restringerli, la costruzione di spazi commerciali in affitto, così come l’arrivo di cartelloni pubblicitari nei vestiboli, nei corridoi di scambio e nelle pareti delle scale mobili. Questi fondi di bilancio privati sono destinati a compensare la diminuzione degli stanziamenti statali. Questa pratica commerciale ha rapidamente designato un valore del suolo sotterraneo che rispecchia il valo-
re della super cie emersa, con i negozi del centro che affittano a prezzi molto più alti di quelli della periferia, con prezzi che vanno dai 30 ai 90.000 rubli al m2 (367-1.103 euro). Nell’ambito dell’attuale programma di trasporto si prevede di porre ne alle speculazioni derivanti principalmente dal subaffitto. Il controllo introdotto, compreso il controllo sanitario, è volto ad abbassare l’affitto a 1518.000 rubli per m2 (183-220 euro). D’altra parte, l’offerta aumenterebbe con aree differenziate da 10 a 49 m2 per negozi chiusi e chioschi accessibili da 4 a 9 m2 con vendita in vetrina. Dall’affermazione alla ne del monocentrismo, dalla prevalenza del modello radiocentrico alla sovrapposizione di reti complesse; dalla difesa dei limiti urbani all’integrazione della scala regionale e federale; dalla grande profondità alla rete di super cie; dai palazzi ai templi del commercio, la metropolitana di Mosca ha ritrascritto, nel sottosuolo, il viaggio di ritorno dalla “Mosca mercantile alla Mosca socialista”.
8 - Allargamento dei binari. Si vede il cambiamento del modello e della natura del trasporto dopo la ricostruzione del 1937. Pubblicato in Moskva rekonstouirouetsja (Moscou en reconstruction), Moscou, Éditions Izostat, 1938.
© Riproduzione riservata
Traduzione a cura di Alessandro Panzeri
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Londra nella rete: infrastrutture intermodali e spazi urbani della città-stazione di Marco Spada e Carla Molinari
“London Underground is not a political movement”. A Fish Called Wanda, 1988.
Londra 1940, Winston Churchill è sulla metropolitana. La scena è al culmine della tensione: il vagone è stracolmo, ma silenzioso, le facce sono preoccupate e serie. L’intero corpo di spedizione inglese in Francia sta per essere annientato dai nazisti sulle spiagge di Dunkerque. Churchill, primo ministro del Regno Unito da appena due settimane, si rivolge all’anonima folla di pendolari, anticipando il discorso radiofonico alla Nazione. Il lm è Darkest Hour (in italiano L’ora più buia), uno psicodramma storico diretto da Joe Wright e incentrato sul primo mese di governo di Churchill. La scena non è mai avvenuta, ma è signi cativo che la nazione inglese, conservatrice, religiosa e campagnola, sia metaforicamente rappresentata da una decorosa massa di pendolari nella metropolitana di Londra, claustrofobica e sovraffollata; non si tratta però di una scena corale, tutt’altro. La scena è domestica come solo l’Inghilterra sa essere domestica: la metropolitana è l’estensione simbolica della casa nella città. Il rapporto di Londra con la sua metropolitana – la famosa The Tube – è tutto descritto in questa scena: una città che si identi ca quasi compulsivamente con la sua principale infrastruttura. Prima città al mondo e unica città del Regno Unito a dotarsi di una metropolitana (la prima linea venne inaugurata nel 1863), Londra ha saputo osservare criticamente il cambio delle modalità di trasporto, soprattutto dalla ne della seconda guerra mondiale. Allo stesso tempo, però, Londra è un corpo anomalo dell’Inghilterra. Non solo di quell’Inghilterra rurale delle Costwolds e dell’Anglia, ma anche delle grandi conurbazioni urbane delle Midlands e del Nord. Londra è un organismo sapro ta che attira un’ingentissima quantità di pendolari al mattino e ne reimmette la stessa quantità alla sera, dalle sue stazioni ferroviarie e dalle sue strade congestionate.
London in the network: intermodal infrastructure and urban spaces of the station-city
by Marco Spada and Carla Molinari
The city of London has historically been one of the world’s largest urban hubs. In London, the excellence of mobility, transmodality and sustainable solutions have made it possible to achieve cuttingedge levels that are difficult to observe in other similar urban realities. The highly nancialised and fragmented transport industry itself has created a complex and multi-layered situation. In fact, we can see on the one hand a continuous proposal for new infrastructures that are growing faster and more expensive, and on the other hand the progressive and inexorable abandonment of stations and sections of metro lines no longer considered economically advantageous. In this article, we will analyse not only the networks, the stations and the general mobility of the city, but also its uniqueness, its intimate relationship with the manifestation of absolute power and in uence compared to other English cities. London’s extreme efficiency has led to a profound reconsideration of the economic, social and architectural role of the transport infrastructure: the station itself is no longer just a single, recognisable building, but becomes the place where the speed of transfer from one line to another (or from one transport system to another) is maximised. Among the costs and bene ts, primarily in economic terms, but also in terms of the identity of the station-building and public policy management, London presents itself as the European benchmark to be analysed in order to understand the present state and future directions of regional mobility.
Nella pagina a anco, in alto: stazione di London Bridge, interno, da Grimshaw Architects, 2018 (photography: Paul Raftery). In basso: Trevor Paglen, An English Landscape (American Surveillance Base near Harrogate, Yorkshire), Gloucester Road Underground station, 2014–2016, da art. t .gov.uk (photography: Ollie Hemmick).
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1 - La copertina della guida Metro-Land pubblicata nel 1921, brochure pubblicitaria, Public Domain.
In questo articolo proveremo a raccontare l’architettura e la geogra a dei trasporti della Londra contemporanea, la sua tentacolare forza pervasiva e, tuttavia, il suo essere un organismo in evoluzione, un’infrastruttura mobile in un elemento mobile com’è la città di Londra, una sorta di “motore a improbabilità in nita”, volendo parafrasare Douglas Adams, che permette a questo super orologio che chiamiamo Londra di muoversi, incepparsi, riprendere la sua corsa.
Metro-Land: l’invenzione e le promesse dell’infrastruttura multimodale La metropolitana di Londra, più che in altri casi simili nel resto d’Europa, ha sempre avu62
to un impatto enorme non solo sulla città in sé, ma sull’intero paese: un impatto che ha modi cato profondamente l’idea stessa di città-nazione tanto da creare un’immagine di Londra in aperto con itto con il resto dell’Inghilterra. Una città di quasi 9 milioni di abitanti su una super cie di oltre 1.500 kmq, con circa 2 milioni di passeggeri solo nella Underground, Londra è l’unica delle città inglesi ad avere una linea metropolitana interrata, ed è la prima, nel 1915, ad aver sviluppato un’urbanistica, che oggi de niremmo sprawl gentri cato, legata alla linea della metropolitana: la Metro-Land. Ancora, nel tentativo costante da parte dell’establishment inglese di “inventare una tradizione” (Hobsbawm and Ranger, 1983), la metropolitana ha assunto il ruolo non più di mera infrastruttura di trasporto o di dispositivo nanziario per edi care le campagne dell’Essex e del Middlesex, ma è trascesa no a diventare un concentrato narrativo dei pregi britannici, metafora della nazione (Ashford, 2013). Ecco quindi la narrazione complessa: ecco l’invenzione della tradizione di Churchill che chiede aiuto al popolo della metropolitana, ma non solo, ecco le narrative edi canti, usando il termine derivato dai trauma studies di Jeffrey Alexander (Alexander, 2004), tra cui quella della voce “Mind the Gap” nella stazione di Embankment, piccole storie che umanizzano la complessità e i con itti sopiti del sistema dei trasporti londinese. La storia della metropolitana di Londra si fa risalire per convenzione al 1863, con la prima linea di ferrovie sotterranee tra Farringdon e Paddington: più che una metropolitana vera e propria, un’estensione delle linee ferroviarie suburbane all’interno della città. Solo nel 1884 la Circle Line, riconoscibile ancora oggi, viene aperta, seguita nel 1900 dalla Central Line. Tra il 1900 e il 1915 quella che era una città diventa una metropoli: lasciate all’iniziativa privata, le linee della metropolitana, alcune anche di ridottissime dimensioni, si moltiplicano e, in costante competizione, si ammodernano. La prima linea completamente elettrica è del 1905, mentre la presenza della città medioevale sotto la città contemporanea, da un lato ridisegna la mappa dei trasporti (molte curve inattese sotto la City sono dovute proprio all’utilizzo dei vicoli medievali), dall’altro spinge in basso la rete stessa: nel 1911 le scale mobili appaiono per la prima volta nella stazione di Earl’s Court, a Kensington (Horne, 2007). Nel 1915 nasce Metro-Land (“suona meglio di Eastwick, più strano di Middlesex; più un
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2 - Scena dal Film Darkest Hour, Joe Wright, Working Title Films, UK, 2017.
3 - Stazione di King’s Cross, Western Concourse, CC BY-SA 3.0 Wikimedia Commons User: Colin.
concetto mentale che un luogo dove fai le compere” sostiene il protagonista dell’omonimo romanzo di Julian Barnes), una città lineare costruita dalla Metropolitan Railway intorno alla linea della metropolitana. Una linea, apparentemente sottilissima, che da Londra si insinua nel cuore del Middlesex e da cui, invece, nasce non una città, ma una vera e propria loso a di vita: il sobborgo londinese. Nei pamphlet di vendita delle case, riecco la narrazione edi cante, l’invenzione della tradizione: “Metro-Land is a country with elastic borders which each visitor can draw for himself, as Stevenson drew his map of Treasure Island” (Ashford, 2013). E poi la guerra, il grande shock collettivo delle bombe V1 e V2 sulla City, il cuore antico della città, corrispondente grosso modo alla Londinium romana e l’uso dei tunnel della metropolitana come rifugio antiaereo, la distruzione sistematica delle aree residenziali, gli oltre 40.000 morti e la speranza rappresentata dalla Basilica di St. Paul, inaspettatamente illesa, immortalata nella celebre foto di Herbert Mason “St. Paul’s Survives”.
Proprio in questo periodo comincia la grande diaspora nel suburbio. Fino a questo momento Londra è ancora una città “classica”: la nanza è nella City, la stampa a Fleet Street e la politica a Westminster. In L’arcobaleno della Gravità, Thomas Pynchon (Pynchon, 2014) racconta dell’arco dei missili V2 su Londra e di come ogni bomba spinga verso l’esterno della città una massa anonima di persone: è il racconto dei grandi fenomeni urbani di Londra, la gentri cazione delle campagne, lo sprawl, la distruzione dei centri storici e, naturalmente, l’intermodalità contemporanea. Negli anni della ricostruzione la metropolitana di Londra diventa perfettamente integrata al sistema ferroviario di super cie: ad oggi, solo il 45% della rete è interrato, e l’enorme estensione (oltre 400 chilometri di linee ferrate) serve in maniera sufficientemente capillare sia il centro che il suburbio. Pur possedendo una rete ferroviaria ad alta velocità estremamente limitata (la HighSpeed 1 Line è lunga poco più di 100 chilometri e collega Londra e l’imbocco del canale Eurotunnel), Londra riesce comunque ad
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attrarre in tempi relativamente limitati treni da tutte le maggiori città di Inghilterra: nelle ore di punta della mattina, la capitale è collegata a Birmingham (1h e 22’), Manchester (2h e 05’), Newcastle (2h e 35’), Sheffield (2h e 02’), Liverpool (2h e 13’) e Leeds (1h e 59’). Londra ha i più alti livelli di utilizzo della ferrovia in Gran Bretagna: secondo le stime del Department for Transport nel 2017/18, i residenti di Londra hanno effettuato in media 59 viaggi ferroviari per persona all’anno, mentre la media inglese era di 22. Inoltre, nello stesso periodo, quasi i due terzi dei viaggi in treno (63%) iniziavano o terminavano a Londra (Department for Transport, 2018).
Progetti per la città-stazione. Architetture della transizione Nel 2019 il RIBA Stirling Prize, massimo riconoscimento britannico per un progetto di architettura, è stato assegnato al complesso di social housing “Goldsmith Street” di Mikhail Riches e Cathy Hawley, a Norwich, cittadina del Norfolk, regione rurale dell’Anglia. Tra i nalisti, il progetto più riconoscibile era la stazione di London Bridge, progettata da Nicholas Grimshaw, ai piedi dello Shard, l’iconico grattacielo di Renzo Piano. È interessante notare come il progetto vincitore riguardava un’architettura della piccola scala, un esempio quasi modesto di ottima qualità non solo dell’edi cio nale, ma del processo. La stazione di Grimshaw, sul sito della più antica stazione ferroviaria ancora in uso nel mondo, rappresenta forse l’esempio di quelle psicopatologie urbane discusse in precedenza. Una stazione di fatto senza volto (al punto tale che il primo ministro inglese, Boris Johnson ha chiesto a Mark Middleton, partner di Grimshaw, di aggiungere “una la di gargoyles” (Block, 2019) per abbellire la facciata, altrimenti giudicata “noiosa”), invisibile o quasi dal livello strada ma evidentissima dall’alto, da Google Maps, con le curve sinuose delle pensiline a lambire l’austera geometricità dello Shard. L’interno della stazione è invece assolutamente innovativo. Estremamente elegante nell’impostazione e nei materiali, lo spazio dell’interconnessione tra treno, metropolitana e bus risulta uno spazio neutro, segnato da un soffitto in listelli di legno, pilastri colossali in calcestruzzo ed eleganti pilastri ad Y in acciaio, curvi e rastremati verso l’alto a de nire uno spazio post-vittoriano. Lo spazio, incredibilmente, è solo in parte lasciato
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al commercio e – coraggiosamente – non si concede a nostalgie di recuperi forzati di facciate e murature antiche. Il grande merito delle stazioni ferroviarie contemporanee di Londra è forse proprio nell’aver limitato l’uso a scopo commerciale degli spazi, esploso negli anni ’90 a seguito della privatizzazione delle ferrovie. Le stazioni di interscambio sono probabilmente il migliore esempio per capire anche la storia economico- nanziaria di Inghilterra. Fino al 1945 le ferrovie sono state un servizio orgogliosamente privato, nazionalizzato in seguito alla pesante crisi economica del dopoguerra. Negli anni ’90, in seguito all’applicazione dogmatica del più pericoloso thatcherismo, le ferrovie sono state riprivatizzate, con la speranza di una rapida e semi-indolore messa in equilibrio, con prezzi competitivi e servizi migliori. Il fallimento di questa utopia neoliberista si è visto non solo nella non competitività dei prezzi, ma anche nell’obsolescenza di materiale rotabile, linee e investimenti, dovuti in gran parte a una gestione ottocentesca degli asset ferroviari. Questa situazione di stallo ha portato all’ingresso nel mercato inglese di investitori europei e asiatici, tra essi Abellio (Olanda), Mitsui (Giappone), Trenitalia (Italia), SNCF (Francia) e Deutsche Bahn (Germania), più avanzati dal punto di vista tecnico, che hanno fatto aumentare sensibilmente la qualità dei servizi sia in treno che in stazione. Prima di questo periodo il contrasto nel passaggio tra stazione ferroviaria, rigidamente privata e stazione della metropolitana, organismo semipubblico, era brutale, da un lato le stazioni ferroviarie, completamente trasformate in centri commerciali, dall’altro le stazioni della metropolitana, poco più che ingressi alle banchine, spesso in posizioni seminascoste e praticamente prive di servizi (Hatherley, 2016). Il nuovo approccio all’intermodalità ha ribaltato questo paradigma: lo spazio di scambio tra linee e mezzi è forse oggi uno dei pochi spazi pubblici che si possono trovare a Londra, un esempio in questo senso, anche se di grandi dimensioni, è l’area intermodale di King’s Cross. L’area, tra le più complesse di Londra, è un grande triangolo rovesciato, le stazioni di King’s Cross e St. Pancras quasi si toccano, separate solo da una strada, per entrambe le stazioni, una sola fermata della metropolitana. Il progetto per il nuovo atrio della stazione, sul lato che guarda il anco di St. Pancras, vinto da John McAslan nel 2012, è un grande spazio semicircolare, con una drammatica cupola high-tech, dotato di ne-
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gozi e food court. Una vera architettura neovittoriana, citazione delle grandi strutture in ferro ad arco e un omaggio all’architettura di Thomas Cubitt, ma anche uno stacco netto rispetto al precedente ingresso, colloquialmente chiamato “The Bungalow”, una tozza pensilina del 1972 sulla piazza antistante la stazione che copriva i due grandi arconi di facciata. Lo scopo è stato quindi duplice, da un lato liberare la piazza dalla superfetazione, ricreando uno spazio pubblico aperto, disegnato da Stanton Williams Architects, dall’altro la creazione di una quinta spettacolare e commercialmente attrezzata a servizio del nuovo sviluppo immobiliare retrostante le stazioni, un innovativo masterplan, creato da Allies and Morrison, intorno a St. Pancras Square, piccolo ma delizioso intervento di paesaggio urbano di Townshend Landscape Architects. Queste le grandi architetture ferroviarie, ma anche nel salto di scala, nella limitata dimensione delle stazioni della metropolitana, il rapporto con la città e il trasporto pubblico sia su ferro che su gomma sta diventando più accurato. Non solo dal punto di vista tecnologico ma soprattutto sul riconoscimento della fermata della metropolitana come punto di ancoraggio di quella “invenzione della tradizione” cui si è accennato all’inizio. Non solo la rete sotterranea, quindi, assurge a metafora dell’Inghilterra nascosta e laboriosa, ma le esplosioni in super cie, le stazioni, passano dall’essere parte del paesaggio urbano (spesso le entrate delle stazioni sono incluse in facciate di edi ci per uffici esistenti) a raccontare l’unicità e la creatività di Londra. Queste stazioni sono state anche parte integrante del più ampio progetto strategico di decongestione della città, un progetto bipartisan, partito con il sindaco laburista Ken Livingstone, con l’introduzione della Congestion Charge, e proseguita con Boris Johnson cui si deve la creazione della capillare rete di biciclette (sponsorizzate da Barclay’s e Santander) che, insieme al car sharing e al ridesharing privato (app come Uber), hanno di fatto consentito un migliore utilizzo delle infrastrutture urbane. Il collettivo di architetti Assemble, vincitore del Turner Prize 2015, ha recentemente rinnovato, insieme all’artista Matthew Raw, l’ingresso alla stazione di Seven Sisters, ricoprendo la struttura con migliaia di piastrelle decorate a mano. Il processo, un omaggio agli interni delle stazioni londinesi con le loro piastrelle dipinte, si è svolto prima con la costruzione di un forno per ceramica sul sito della stazione e quindi con una serie di wor-
kshop, dedicati agli abitanti del sobborgo, per imparare a decorare e cuocere delle piastrelle contemporanee. Il progetto si pone all’interno della più ampia cornice di “Art on the Underground”, un’iniziativa di Transport for London per trasformare le stazioni in gallerie d’arte temporanee. In alcuni casi, come a Gloucester Square, una banchina non più utilizzata, caratterizzata da una concatenazione di archi a tutto sesto in mattoni, ha permesso di realizzare installazioni in 2D e 3D di grandi dimensioni. Tra esse, An English Landscape (American Surveillance Base near Harrogate, Yorkshire), un’immagine di grande formato realizzata dallo statunitense Trevor Paglen, analisi della distopia della sorveglianza globale all’interno di paesaggi che rimandano a Constable o Gainsborough, e My name is lettie eggsyrub, della britannica Heather Phillipson, una colossale scultura di sculture sul tema delle uova, con colori pop e un approccio da cartoon, una critica – forse – al trasporto di massa che trasforma i viaggiatori in polli da batteria. Approccio simile nella stazione di Brixton, il sobborgo-ghetto degli immigrati giamaicani della Windrush Empire, dei Riots del 1981 e del 1985, degli assalti neonazisti del 1999 che oggi è forse il sobborgo più gentri cato di Londra (Williams, 2015), (Hill, 2015). Nel suo nodo inter-
4 - Stazione di Seven Sisters, di Assemble Architects, 2017.
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modale, che serve il Sud Est d’Inghilterra, è esposto Brixton Blue, opera di Denzil Forrester, derivato Three Wicked Men, grande opera di denuncia delle tensioni razziali di Londra negli anni ’80. Così alcune tra le piccole e medie stazioni si trasformano in vetrine culturali, tentando di svolgere tramite arte e architettura un difficile, e probabilmente troppo impegnativo, ruolo sociale. Parallelamente, altre stazioni rispondono ad altre richieste, dimostrando l’intelligenza londinese di sviluppare le stazioni di trasporto in quanto luoghi de niti dal carattere del quartiere, ma anche dimostrando una varietà urbana di spazi e funzioni troppo spesso generatrice di segregazione. La visione semidistopica di una “City 2”, coltivata da Margaret Thatcher per la Isle of Dogs oggi si può leggere molto bene in una mappa della TFL. Camminando, tra le vicinissime stazioni di Heron Quay (quartier generale di J.P. Morgan a Londra) e Canary Warf (quartier generale di Barclay’s) si impiegano circa due minuti, lo stesso tempo che ci mette la DLR, una delle linee più recenti. Eppure lo spazio della rappresentazione del potere, in questo caso della nanza, separa nettamente le due stazioni. Si tratta di stazioni non enormi, ma create appositamente come dispositivo visuale per esibire lo spazio bidimensionale del grattacielo, del curtain wall. Sono stazioni quasi vuote, poiché l’area commerciale è sotterranea, densissima, vissuta all’inverosimile: una macchina da commercio il cui cuore è una semplice linea di un centinaio di metri.
L’economia delle trasformazioni multimodali Le criticità di Londra, in particolare in relazione alla rete infrastrutturale, sono molteplici: dal grande dramma semi collettivo della mancanza di residenze accessibili all’altissimo costo dei servizi rispetto al resto dell’Inghilterra. Questo aumento spropositato dei costi ha trasformato Londra in una città in cui l’accesso alle infrastrutture veloci è di fatto garantito ad una fascia di popolazione mediamente benestante. Il sistema della metropolitana non fa eccezione. Basti pensare che dei 32 sobborghi di Londra (i Boroughs), solo 7 non sono serviti da almeno una linea di metropolitana, di questi, 6 sono a sud del ume Tamigi, nelle aree storicamente più povere. Non si tratta di un fenomeno localizzato alla sola Inghilterra, le proteste scoppiate in Cile alla ne del 2019 sono
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state scatenate proprio dall’aumento del costo dei biglietti del trasporto metropolitano e un importante libro, The Promise of Infrastructure (Anand, Gupta and Appel, 2018), punta proprio la questione sul ribaltamento delle logiche di uso delle infrastrutture, passate dall’essere il servizio per tutti per eccellenza (basti pensare, in Italia, alla retorica unitaria postbellica dell’Autostrada del Sole) all’essere un servizio destinato ai ricchi. Non solo quindi l’accesso all’infrastruttura diventa un fenomeno esclusivo, ma anche il suo uso: lo spazio del trasporto diventa, a Londra come altrove, uno dei pochi spazi “pubblici” a servizio della città e, come spesso accade con i servizi pubblici nella città contemporanea, sottoposto a pagamento. Come osservato da Beatriz Colomina, le tecnologie che de niscono lo spazio della città moderna – ferrovia, giornali, fotogra a, elettricità, pubblicità, cemento armato, vetro, telefono, lm e radio – devono essere intese come meccanismi che sconvolgono i vecchi con ni tra dentro e fuori, pubblico e privato, notte e giorno, profondità e super cie, qua e là, strada e interno e così via (Colomina, 2001). L’accesso alla città è esso stesso un fattore di con itto. In una città che dipende quasi vitalmente dal pendolarismo ferroviario il primo luogo di scontro è ancora prima dell’ingresso in città: David L. Pike ha sottolineato, ad esempio, come il passaggio, in un treno, dalla Standard alla First Class, rappresenti in qualche modo il punto di transizione tra il luogo comunitario (la Standard Class) e lo spazio privato (la First Class), in quella relazione stridente e costante tra pubblico e privato che è la vera essenza del modernismo (Pike, 2005). Lo stesso con itto viene in qualche modo pareggiato nella metropolitana, per poi riesplodere, fortissimo, in super cie. Il ricco dipendente di nanza sarà sicamente esposto nello spazio pubblico della metropolitana insieme allo studente immigrato, per poi rincorrere il suo spazio privato nell’anonimato protettivo dei grattacieli della City. La stazione ferroviaria è lo spazio di mediazione. Uno spazio che annulla gradualmente le differenze del treno per immettere, depurata dai con itti, questa massa disomogenea nelle viscere della divinità ctonia rappresentata dalla London Tube. Abbiamo cominciato questo articolo con l’immagine di Churchill nella metropolitana; proprio al primo ministro è attribuita una celebre frase sul rapporto tra architettura e individui: “… noi conformiamo i nostri edi ci, dopodiché essi conformano noi”. Questo
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rapporto di intima relazione tra edi cio e autorappresentazione della comunità di “londinesi” (includiamo quindi in questa generica etichetta i pendolari, i turisti e gli abitanti) è evidente non solo nelle stazioni, ma anche nella transizione tra esse. Le stazioni di Bank e Monument sono, in teoria, una sola stazione, che serve 5 linee, ciononostante, per raggiungere Monument da Bank o per raggiungere la vicinissima stazione di Cannon Street, il miglior metodo è la strada in super cie. Il grande spazio di interscambio è proprio la città, non solo per la facilità di accesso (una sola strada, dritta, invece dei cunicoli sotterranei insalubri), ma anche per il potere autorappresentativo della strada che – ancora – è il principale spazio sociale e pubblico, ancorché gratuito, della città stessa. L’architettura sembra quindi esclusa da questo gioco di equilibri tra potere privato e rappresentazione pubblica, eppure è un socio occulto dell’intero espediente narrativo: un’architettura complicata, più formata da diaframmi da oltrepassare che da veri e propri spazi architettonici, una serie di quinte che immettono, forse inconsapevolmente, in esperienze urbane diverse e mutevoli, che creano, minuto dopo minuto, fermata dopo fermata, mezzo dopo mezzo, la piena consapevolezza di essere a Londra.
bile su: https://www.dezeen.com/2016/12/08/owenhatherley-opinion-culture-war-ignore-why-transport-architecture-britain-grim/ accesso il 10.01.2020. Hill, D. (2015). “Brixton’s anti-gentri cation protest: identifying the problems is one thing, xing them is another”. [online] The Guardian. Disponibile su: https:// www.theguardian.com/cities/davehillblog/2015/ apr/28/brixton-anti-gentrification-protest-reclaimfoxtons-estate-agent accesso il 10.01.2020. Hobsbawm, E. and Ranger, T. (1983). The Invention of tradition. 1st ed. Cambridge University Press, Cambridge (UK). Horne, M. (2007). The Piccadilly Tube: The First Hundred Years. Capital Transport Publishing, London (UK). Pike, D. (2005). Subterranean Cities. Cornell University Press, Ithaca (NY). Pynchon, T. (2014). Gravity’s rainbow. The Penguin Press, New York (NY). Williams, Z. (2015). “The gentri cation of Brixton unites an eclectic group of protesters”. [online] The Guardian. Disponibile su: https://www.theguardian.com/cities/2015/apr/24/the-gentri cation-of-brixton-unitesan-eclectic-group-of-protesters accesso il 10.01.2020.
© Riproduzione riservata Nota: Marco Spada è corrisponding author
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La piazza della stazione del XXI secolo: trasformazione urbana e metropolitana. Quattro enclaves di Barcellona di Maria Rubert de Ventos
Se il XX secolo ha introdotto l’automobile nelle città, nel XXI secolo è tornata in auge la metropolitana che, come la ferrovia nel XIX secolo, collega le aree, avvicina situazioni urbane disperse e favorisce lo sviluppo di una città più equilibrata. Il sistema e la con gurazione infrastrutturale che ogni città adotta per rispondere alla domanda di mobilità urbana è dunque uno dei temi più rilevanti della piani cazione contemporanea. Man mano che la città cresce e distribuisce attività e spazi produttivi in maniera sempre più casuale, aumentano in modo esponenziale la domanda di spostamento tra i quartieri e la necessità di collegamenti interurbani alla scala metropolitana. Il progressivo aumento del prezzo delle abitazioni nei centri delle città espelle ampi settori di popolazione alla periferia e fa crescere la distanza tra la residenza e il luogo di lavoro, il tempo libero e i servizi. Mentre la piani cazione cerca di ridurre gli spostamenti obbligatori casa-lavoro e di immaginare una città accessibile a piedi o in bicicletta, i prezzi dei terreni, in particolare quelli delle abitazioni, e la difficoltà di avere posti di lavoro stabili costringono ad aumentere gli spostamenti obbligatori. È possibile promuovere il commercio locale e insistere su una distribuzione più omogenea e meno centralizzata di attrezzature e servizi. Tuttavia, è molto complesso piani care la localizzazione degli spazi produttivi e delle opportunità di lavoro, con dando nella riduzione degli spostamenti. La costruzione di reti e tangenziali può fornire una risposta a una domanda che continua a crescere e che dovrà assorbire molti dei viaggi attualmente effettuati da veicoli privati.
Un universo di stazioni Se salire in alto, come ha suggerito Camillo Sitte, è una buona strategia per capire la forma di una città, la sua forma geogra ca e la geometria dell’insieme, entrare nelle viscere e nelle reti della metropolitana è
The station square in the century. Urban and underground transformation. Four enclaves of Barcelona
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by Maria Rubert de Ventos
The modern subways that are extending their network have an impact on the boundaries of metropolitan regions similar to that of the railways in the 19th century: they transform territorial connections. The architecture of the new stations offers a range of brilliant and innovative solutions for one of the most complex and intense spaces in the city. The new metros include areas that are eccentric to the network of central spaces and promote nodes of activity and hyper-connectivity in the hinterland of the metropolis, generating reference spaces in enclaves without cohesion, especially in peripheral contexts. The impact of stations in the cities of the metropolis of Barcelona such as Santa Coloma, the Hospitalet or Badalona are exemplary, con guring new central spaces which also gather health and commercial facilities and other services. They are new and vibrant places of reference that expand the panorama of metropolitan spaces. The orientation and layout of future extensions and the opportunities to multiply new connections are issues that must be correctly stated and studied, because they are crucial for the cohesion and multiplication of opportunities for fast and efficient transport in the metropolis, which is fundamental for the well-being of its inhabitants and for multiplying opportunities for access to work, services and leisure.
Nella pagina a anco, in alto: La linea 9. Fondo Santa Coloma de Gramenet (foto Max Rubert). Al centro: vista dall’alto degli elementi costruiti che vengono inseriti nello spazio urbano della stessa piazza. In basso: stazione L’Hospitalet de Llobregat, Linea 9 della metropolitana di Barcellona (fonte: https:// tec- cuatro.es/portfolio/ parc-logistic-station-firastation-and-mercabarnastation-spain/
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un’immersione nella sua vita reale e nel suo metabolismo. L’universo delle stazioni, come i mercati alimentari, ci dà un’idea di come funziona. Nel XXI secolo molte città smetterebbero di funzionare se la metropolitana si fermasse: in sostanza non c’è metropoli senza metropolitana. La mobilità è un sistema complesso. Quello che circola attraverso il telaio delle strade e dei viali delle città può essere assimilato ai ussi, con leggi e comportamenti simili alla sica dei uidi. Tuttavia, la mobilità organizzata (o piani cata o consigliata) si comporta come i ussi del sistema nervoso, dove i nodi, i luoghi di connessione e di scambio, le stazioni, sono più decisivi dei canali. Le stazioni di scambio centrali e quelle alle estremità delle linee, dove avviene lo scambio con altre modalità di trasporto (ferrovia, autobus, bicicletta, moto o altri mezzi), sono i luoghi di maggiore intensità nelle periferie delle città. Se il concetto di “non-luogo” di Marc Augé (1993) rimanda agli spazi della mobilità globale della surmodernità, nelle città in espansione, le stazioni trasformano gli spazi vuoti in spazi carichi di intensità, siano essi delle spianate di terra o dei comodi spazi coperti. Queste piazze iperconnesse hanno favorito l’inserimento di nuove destinazioni d’uso in periferia (centri universitari, biblioteche, persino alberghi, ecc.), senza (ancora) provocare duri processi di gentri cazione come sottolineava Jane Jacobs nel 1961. A Medellin la progettazione di nuove strutture all’ombra delle stazioni della metropolitana e dei cavi della metropolitana è stato uno dei fattori scatenanti dell’importante rinnovamento urbano. La stazione e l’attività che essa comporta trasformano un terrain vague in una nuova piazza.
L’architettura delle stazioni Mettere in rapporto e collegare la stazione metropolitana sotterranea o aerea con la quota del marciapiede e della strada è un tema complesso al quale hanno dedicato ingegno e conoscenza tecnica i progetti delle metropolitane n dagli inizi e per oltre un secolo. La s da è stata principalmente quella di far arrivare la luce all’interno attraverso i lucernari e di garantire comfort, spaziosità e sicurezza. Le scale mobili diventano i grandi viali di queste viscere sotterranee. Si trovano soluzioni sorprendenti nelle metropolitane sovietiche del XX secolo – di Mosca (1935), Kiev (1960) o San Pietroburgo (1955) – ma anche in quella di Bilbao (1995) o in progetti recenti
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come le stazioni della Second Avenue di New York (2017). Le ampie banchine e i tunnel della Jubilee Line di Londra, il complesso delle stazioni Magenta e Haussmann Saint-Lazare di Parigi, ha fatto sì che alla ne del XX secolo gli spazi dei viaggiatori, le sale e gli accessi siano stati ampliati. L’esplorazione delle capacità plastiche di questi luoghi si può trovare nelle eleganti stazioni rivestite di ceramica di Maria Kiel a Lisbona (1957-71), nelle gallerie delle stazioni scavate a Stoccolma che dal 1957 sono state progettate come gallerie d’arte, nello spazio leggero di stazioni come la Westfriedhof della U-Bahn a Monaco (1998), nella stazione Nydalen a Oslo, nelle eleganti stazioni della linea B a Praga, o in quelle più recenti a Porto. Negli Stati Uniti l’austerità e il classicismo della metropolitana di Washington (1974), che sembra tradurre all’interno della metropolitana le premesse neoclassiche del piano dell’Enfant, contrastano con le nuove stazioni sovradimensionate della metropolitana di Los Angeles (1990). Negli ultimi decenni, i grandi scambi storici si sono trasformati in nuovi manufatti. È il caso della stazione Rer Chatelet-les Halles (750.000 passeggeri/giorno), la grande porta che collega Parigi Centrale alla periferia, o la stazione di Fulton street, rinnovata nel 2014, il nodo in cui coincidono tutte le linee verticali del centro di Manhattan (300.000 passeggeri/giorno). D’altra parte, anche i grandi terminal ferroviari del XIX secolo sono stati adattati attraverso nuovi collegamenti con la metropolitana e l’alta velocità. È il caso della Gare du Nord, di St. Pancras o King’s Cross a Londra, Rossio a Lisbona, Hauptbanhof a Berlino, stazione Termini a Milano o Atocha a Madrid, ecc. Vediamo anche come, nei diversi contesti, le stazioni siano dei luoghi sicuri e ben curati, così come dei nuovi centri di attività e di commercio. A Teheran, Il Cairo, Città del Messico o Medellin, l’intermodalità viene prodotta intorno alle stazioni e in particolare nei terminal con una grande varietà di autobus, veicoli pubblici e privati, formali e informali per servire le loro ampie periferie. Così le stazioni terminali diventano spazi di mercato e potenti nodi intermodali del trasporto veicolare. Esistono due soluzioni tipologiche, in condizioni molto diverse, che sembrano dei riferimenti per progetti futuri: la stazione come atrio e la stazione come grande crocevia. L’ampio atrio sotterraneo del complesso di uffici e centro commerciale del Rockefeller Center (1929)1 è un modello che si moltipli1 C.H. Krinsky, Rockfeller Center, Oxford University.
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ca per tutto il XX secolo negli spazi urbani centrali. Anche la piazza depressa Sergels Tor (1965-1974) di Stoccolma2, che organizza l’accesso al trasporto ferroviario e costituisce il collegamento con la città vecchia e un nodo nella trasformazione generale del nuovo centro moderno di Stoccolma, offre una soluzione esemplare, dove si inseriscono i molteplici ussi che danno centralità a questo luogo.
Metropolitana e trasformazione urbana a Barcellona La metropolitana di Barcellona è stata inaugurata nel 19243 e attuando due strategie che sono fondamentali in qualsiasi momento storico in una città esistente : da un lato, servire e fornire un servizio ai centri consolidati e, dall’altro, accompagnare lo sviluppo delle aree del futuro. La metropolitana inaugurata nel 1924 (il Gran metro) serve la città lungo la spina dorsale del Passeig de Gràcia (L3), l’asse verticale dell’Eixample che coincide con la direzione del cardo romano parallelo alle Ramblas. La linea trasversale della metropolitana (metro Transversal) Catalunya-Plaza de España, inaugurata nel 1926 (L1), corre tangente al centro storico sotto la Gran Via, la spina dorsale dell’Ensanche di Cerdà, ed è stata progettata per essere collegata alle opere dell’Esposizione Universale del 1929. Tutte le linee s’incrociano in Plaza Catalunya, uno spazio incerto, dove, no ad oggi, convergono il treno di Sarria e più avanti l’autobus, il taxi, il pullman e ogni tipo di autovetture. La linea trasversale è stata prolungata negli anni ‘50 e sono stati costruiti nuovi rami. Tra il 1968 e il 1974 la rete viene ampliata e viene progettata una nuova linea aerea trasversale (L5) che collega due nuove stazioni, Sagrera e Sants, con l’intento di creare la spina dorsale dei nuovi quartieri di alloggi sociali e di future estensioni in un momento di forte sviluppo. Negli anni ‘80 e ‘90 i consigli comunali hanno stabilito obiettivi di ricostruzione urbana focalizzati su altre questioni. La costruzione di strutture, l’urbanizzazione di strade Press, 1978. 2 La piazza Sergels Torg di Stoccolma trasforma radicalmente il centro della città con cinque nuovi edi ci alti e una grande area di scambio. Si veda l’opera di Sven Markelius. 3 Si veda capitolo Barcellona in J. Parcerisa e M. Rubert de Ventós, 2002, Metro, Galassie Metropolitane, Galassie Metropolitane, Galàxies Metropolitanes, UPC ed., Barcellona.
e piazze e il miglioramento delle abitazioni hanno concentrato gli sforzi e trasformato la Barcellona dei quartieri in una città coesa. Un andamento cha approda all’apertura della città al mare e alla trasformazione del tessuto industriale del Poble nou. I Giochi Olimpici del 1992 sono stati il motore di questa enorme trasformazione4. Nessuno di questi sforzi ha incluso la metropolitana come elemento strutturante. La ferrovia costiera di Barcellona nel quartiere della Barceloneta è stata smantellata nel 1988, passo preliminare per la costruzione di una nuova rotonda per le auto e di un nuovo quartiere costiero, il Villaggio Olimpico. Dal 2000 in poi, l’attenzione porta sul prolungamento delle linee e sulla costruzione di nuove stazioni. La linea 12 e altre linee sono state prolungate no ai quartieri e alle città della prima periferia, come Ciudad Meridiana, Nou Barris, el Carmelo, Bellvitge, Santa Coloma e Badalona (2010). Contemporaneamente, le stazioni ferroviarie hanno richiesto la costruzione di parcheggi e il miglioramento degli svincoli, come il Centro Cornellà. Nel 2004, il tram è stato reintrodotto in un momento di domanda di trasporto pubblico in forte crescita nel centro della città. Il tram Baix e il tram Besos, sul modello francese, contribuiscono alla trasformazione dei viali periferici. La linea del tram di 29 km, migliora la mobilità e facilita l’accessibilità ai quartieri del Baix Llobregat e viene sempre più usato. L’AVE, un treno ad alta velocità, arriva a Barcellona nel 2008. La metropolitana di Barcellona ha ancora problemi strutturali: la copertura del territorio è ancora insufficiente: ci sono grandi lacune nel centro, poche stazioni di scambio, il collegamento con i servizi suburbani che ricalcano i tracciati delle vecchie linee ferroviarie è scadente, non sono state costruite nuove stazioni di scambio e non viene neanche data una risposta efficace alla domanda di spostamenti tangenziali. Ci sono due obiettivi chiave: da un lato, il collegamento con le popolazioni dell’area metropolitana, e la risposta alla domanda di trasporti legata all’offerta di nuove abitazioni a prezzi accessibili e di buoni servizi, in concomitanza con la gentri cazione del centro storico, l’Ensanche e i quartieri più centrali investiti dal turismo; dall’altro, la reintegrazione nel sistema della mobilità delle stazioni disattivate, la creazione di nuovi nodi di scambio centrali, che alleggeriranno i ussi nei corridoi centrali. 4 Cfr. Bohigas 1986. Il libro è un emozionante resoconto della trasformazione della città a partire dal 1975.
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Grandi stazioni in sospeso a Barcellona - Il piano di collegamento ferroviario del 1969 cancellò il programma delle stazioni terminali e staccò dal sistema la stazione principale di Barcellona, la splendida Estació de França. Una situazione che coincide con gli anni in cui le stazioni come la Penn Station di New York o la nuova stazione Montparnasse di Parigi sono state smantellate. A Barcellona erano previste due nuove stazioni: Sants aperta negli anni ‘70 e Sagrera che è ancora in sospeso. È interessante notare che Sants è stato il terminal e la stazione centrale per tutti questi anni, in un edi cio di Pirro con un albergo e un parcheggio in cima. È anche paradossale che uno degli spazi pubblici più acclamati degli anni ‹905, che offriva alla stazione un astratto ed elegante sagrato, risolto con una pavimentazione continua e i pergolati metallici, sia uno spazio non collegato alla stazione ne ai marciapiedi perimetrali e che non permette di articolare la circolazione degli autobus e taxi lungo il perimetro. La stazione Sagrera aspetta. Negli anni precedenti la crisi del 2008 sembrava che la soluzione fosse quella di interrare il più possibile le infrastrutture, ridurre lo spazio ferroviario e costruire delle case per nanziare le stazioni. La stazione Sagrera aspetta. Negli anni precedenti la crisi del 2008 sembrava che la soluzione fosse quella di seppellire tutto il possibile, ridurre lo spazio ferroviario e costruire case per nanziare la stazione. Un processo che ha portato ai giorni nostri con alcune trasformazioni perimetrali, le aspettative delle società immobiliari in corso e la stazione in attesa. Le stazioni Francia e Morrot - Due stazioni ottocentesche, Francia ed El Morrot sulla costa, sono praticamente chiuse, e la spiaggia de l’Hospitalet, che ha una posizione chiave come zona ferroviaria, è praticamente in disuso. La stazione di Francia è vuota, ma per fortuna è lì, in attesa di treni e attività. Fino a poco tempo fa veniva affittata per feste e congres5 La piazza Sants (1981-1983) costruita dagli architetti Helio Piñón e Albert Viaplana con Enric Miralles, con una composizione astratta e una presentazione fuori dall’ambiente, ha avuto un forte impatto sulla pratica del design urbano a Barcellona e ha signi cato l’inizio di un approccio lontano da soluzioni più accademiche. Non ha mai funzionato bene come piazza di servizio della stazione, ma i pergolati, le panchine e la qualità della pavimentazione sono serviti da modello per diversi progetti successivi. (vedi rivista Arquietctura 1985 n 253.) Il Team RCR arquitectos Aranda, Pijem, Vilalta sta scrivendo nel 2020 l’adattamento dello spazio.
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si, ma in futuro dovrebbe essere considerata uno dei poli di trasporto più importanti di Barcellona. Una stazione in attesa di collegamento con l’autostazione di El Morrot, che serve il porto situato a soli 2,5 km di distanza e anch’essa vuota. Il collegamento delle due stazioni e il ripristino del corridoio ferroviario costiero migliorerà in maniera signi cativa la mobilità di Barcellona: servirà a evitare la saturazione nel tratto del tunnel centrale e la saturazione delle stazioni attuali. Il ripristino del tracciato ferroviario, incomprensibilmente sostituito da una circonvallazione per il traffico su gomma dopo la rimozione dei binari negli anni ‘80, e la reintegrazione delle stazioni del XIX secolo nella rete sono due priorità che riguardano non solo il centro di Barcellona ma anche l’hinterland metropolitano. La creazione di nuovi collegamenti attraverso il porto ridurrà i tempi degli spostamenti e allo stesso tempo faciliterà il trasporto delle merci nella metropoli.
Nuove piazze metropolitane I cambiamenti urbani che la realizzazione delle nuove stazioni e la riattivazione di quelle vecchie in disuso è una delle questioni chiave che le città metropolitane, e in particolare Barcellona, devono affrontare. Senza dubbio, il più grande investimento degli ultimi anni è stata la costruzione di una linea ferroviaria a semicerchio, le 9, che collega tutte le linee esistenti ed è stata progettata con un discutibile sistema di binari sovrapposti. I lavori, iniziati nel 2003, con un ingente budget, sono coincisi con un momento di crisi che ha costretto all’arresto della sezione centrale, (ancora sospesa), e a drastici tagli alla stazione. L’impatto delle nuove stazioni sul settore settentrionale e meridionale è molto diverso. Il 13 dicembre 2009 è stata aperta la linea L9 Nord che collega le città di Badalona e Santa Coloma con cinque stazioni, da Can Zam a Can Peixauet, e nel 2011 si collegherà con La Sagrera, dove le linee L1, L5, R3, R4 e R12 coincidono. Le nuove stazioni, (prolungamento della Linea 1 e della nuova Linea 9), danno a Santa Coloma un’accessibilità privilegiata che ha portato dei miglioramenti nei diversi quartieri, organizzato nuove piazze nei dintorni e avviato una radicale trasformazione del ume Besós, il ume più antropizzato d’Europa, nel miglior corridoio verde della metropoli, ora accessibile con la metropolitana6. Il 12 febbraio 2016 è 6 L’inizio del recupero del ume Besos da Montcada negli anni ‘90 ha trasformato quello che era il ume più
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stato inaugurato il tratto L9 Sud tra l’aeroporto e la zona universitaria, che serve un insieme di strutture e servizi che offrono al contempo una nuova centralità alla città de l’Hospitalet7 e ai suoi nuovi settori terziari, vicini a ospedali e università, collegati dalla nuova estensione della Gran Via, con tre stazioni come Fira, Prc Logistic o Mercabarna di grande qualità scenica. La realizzazione della nuova linea o l’estensione di quelle esistenti ha favorito rilevanti trasformazioni della metropoli. Le nuove stazioni hanno costruito luoghi pubblici di riferimento caratterizzati dalla coesistenza della stazione con nuove attività, servizi pubblici e spazi per il parcheggio, autobus, taxi, tram, biciclette, ecc. Possiamo citare quattro esempi notevoli : Plaza de la Mediterránea a Santa Coloma de Gramanet, Plaza Jaume Balmes a Gavà, Plaza Catalunya a El Prat de Llobregat, o Plaza Pompeu Fabra a Badalona. Nuovi nodi metropolitani, piazze eccentriche rispetto al cuore dei quartieri, ma accompagnate da strutture di nuova generazione. Le attività che espongono e la trasformazione dell’ambiente circostante, dove sono emersi nuovi progetti residenziali e il commercio è cresciuto, mostrano il potere agglutinante di questi spazi che combinano anche edi ci amministrativi, campi sportivi e spesso grandi spazi piantumati. Sono dei luoghi centrali, più imprecisi e con perimetri non chiari, nuovi centri di riferimento, nuove piazze delle città metropolitana.
(Aldo Van Eyck, 1961), o l’importanza dell’attività (Gordon Cullen, 1961), che sono fondamentali per interpretare e trasformare gli spazi pubblici della città. Sebbene l’adattamento delle strade all’automobile e l’introduzione di nuove strade a partire dagli anni ‘60 abbia trasformato e alterato il carattere e l’interesse di molte città, le piazze legate alla mobilità possono contenere decisioni chiave per il miglioramento delle città del XXI secolo. Siamo in una fase di cambiamento. I luoghi del XXI secolo non possono essere assimilati ai nodi, agli scambi, ai centri nevralgici. Questi non-luoghi possono e devono essere convertiti in piazze. La nuova vicinanza offerta dallo spazio virtuale incoraggia paradossalmente il desiderio e la moltiplicazione degli spazi di comunicazione sica. L’uso intensivo e crescente di nuovi scenari di ritrovo e di interazioni dovrebbero essere la controparte dei crescenti sistemi di comunicazione non presenziale (come Saskia Sassen e i lavori del sociologo William Whyte) La moltiplicazione di nuove stazioni apre un nuovo capitolo sul rapporto delle città con la ferrovia, il tram, l’autobus e i nuovi modi di trasporto. Come nell’Ottocento, stanno emergendo spazi che si con gurano come luoghi centrali di passaggio e di attraversamento: nuove piazze che concentrano attività e commerci, spazi di identità e di intensità urbana, così come le migliori piazze e spazi pubblici della città compatta.
Conclusioni: piazze e mobilità
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Le vecchie piazze hanno continuato a essere la forza trainante della migliore trasformazione delle città, ma è necessario incorporare un nuovo vocabolario. Parlare di piazze contemporanee signi ca parlare di una somma variegata di spazi diversi e mutevoli. Per questo sarà necessario rivedere i concetti del XX secolo come gli spazi di relazione e di transizione (Bakema, 1958), gli spazi intermedi inquinato d’Europa in uno spazio pubblico molto interessante e attraente. Javier Pérez Andújar descrive il suo rapporto con la città dei blocchi e il ume a Paseos con mi madre (2011). 7 La linea 9 della metropolitana di Barcellona è una linea automatica che attualmente conta 24 stazioni: 9 sulla tratta nord, 11,1 km in una diramazione a Santa Coloma de Gramenet e a nord di Barcellona; e 15 sulla tratta sud, che attraversa i quartieri di Barcellona e Hospitalet de Llobregat e El Prat de Llobregat. Le linee L9 e L10 sono destinate a collegare Barcellona con cinque comuni della sua area metropolitana, oltre a collegare la città con punti strategici della città come l’aeroporto di Barcellona, la Zona Franca, la Fiera, l’espansione del Porto, la Città della Giustizia o il Camp Nou, tra gli altri.
Bibliogra a Augé M. (1993, I ed.), Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano. Augé M. (1992, I ed.), Un etnologo nel metrò, Elèuthera, Milano. Bohigas O. (1986), Reconstrucció de Barcelona, Barcelona : Edicions. Jacobs J. (1961), Vita e morte delle grandi città, Comunità, Torino. Parcerisa, J., Rubert de Ventós, M. (2002), Metro, Galassie Metropolitane, Galassie Metropolitane, Galàxies Metropolitanes, Ed UPC, Barcellona. Rubert de Ventós, M. (2011), Trasformazione urbana (in America Latina) attraverso il transito di massa, in “Harvard Design Magazine” N° 34. Rubert de Ventós M., Giménez A. (2019), Escenaris de futur. Litoral de Barcelona, Nova ZMT, Zona marittima-terrestre.
Sitte C., (1981), L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici, Jaca Book (tradotto dal tedesco da Renato Della Torre), prima edizione 1886.
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Il metró di Milano. Struttura e progetti futuri di Paolo Beria
La prima tratta del metró1 di Milano è stata aperta nel 1964, dopo soli 7 anni di lavori (per una storia dei trasporti milanesi si vedano: Ogliari, 1974; Mantegazza e Pavese, 1993; Kluzer, 2005; Ogliari e Muscolino, 2009; Mantegazza, 2013). Cinque anni dopo aprivano le prime stazioni della linea 22. Da quel momento l’espansione della rete è andata avanti quasi senza soluzione di continuità, se si esclude l’ultimo decennio del XX secolo. Oggi la rete è composta da quattro linee mentre la quinta (chiamata però M4, essendo stata progettata prima) è in fase di completamento e dovrebbe nalmente aprire tra il 2021 e il 2023 (Fig. 1).
La rete metropolitana di Milano: evoluzione e struttura Dal punto di vista spaziale, si tratta di una rete piuttosto densa (Fig. pag. 79, in alto), a servizio prevalentemente della città compatta (vi è una sola tratta extraurbana in aree a media densità). Le fermate distano in media circa 500 metri – una distanza molto piccola che garantisce da una parte ottima capillarità ma dall’altra riduce le velocità commerciali – e i numerosi interscambi sono generalmente ben posizionati in modo da minimizzare i percorsi. Le prime due linee, che si interse1 Una nota poco seria, relativa ai nomi – più precisamente i generi – con cui i milanesi indicano le componenti del sistema di trasporto pubblico. “Il 14”, maschile, sarà certamente un tram. “La 60”, femminile, sarà sicuramente un autobus (forse sottintendendo “la linea 60”?). La versione colloquiale della metropolitana è, tradizionalmente, maschile e pronunciata alla francese: il metró, con l’accento chiuso. Ma, purtroppo, quest’ultima usanza si sta perdendo in favore di una più internazionale mètro. In questo articolo, tuttavia, si utilizzerà esclusivamente la dizione tradizionale! 2 Le due linee, oltre ad acquistare rapidamente un ruolo nella vita della città, costituiscono anche uno straordinario capolavoro dell’architettura razionalista, del design e della comunicazione (Monica, 2019; Kutkan-Öztürk, 2019).
The Milan metró. Structure and future projects by Paolo Beria
The Milan subway network, together with regional rail and surface transport, is the backbone of mobility in the urban area. Though it is not perfect, the public transport system in Milan is a rather effective system, thanks to its extension and integration, proven by its growing ridership. The paper aims at quantitatively and geographically describing Milan’s metró system, starting with an analysis of the data on urban mobility. The paper also includes a discussion of the major ongoing projects, most of which extend beyond the (small) municipal borders in an attempt to break through one of the historical limits of the system, its Milanocentrism.
Nella pagina a anco, in alto: la rete metropolitana e ferroviaria milanesi. Fonti: nostre elaborazioni (rete), CORINE land cover (uso del suolo). In basso: indice di accessibilità (PTAL). Fonte: elaborazioni da Yao and Beria (2019).
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1 - Estensione della rete metropolitana milanese, suddivisa per linea. Dal 2020 vengono indicate solo le estensioni in costruzione o per cui esiste già un nanziamento integrale.
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cano in due punti a formare la caratteristica gura a rombo che è tratto distintivo anche del logo del gestore storico ATM, sono poi attraversate da nord a sud dalla M3. M5 è stata la prima linea a non passare dal centro, ma interseca nel suo percorso da nord a ovest la stazione di Porta Garibaldi e importanti centralità urbane, in particolare le due di recente realizzazione di Porta Nuova e Tre Torri, che garantiscono buoni carichi nonostante l’eccentricità. M4, purtroppo, non avrà un percorso altrettanto felice dal punto di vista dell’effetto-rete (in particolare non interseca M5 e non avrà un interscambio diretto con M3), ma attraversa quartieri molto popolosi e connette il centro con l’aeroporto di Linate, ormai destinato a restare attivo dopo le ipotesi di ridimensionamento degli anni 2000 mai davvero portate a compimento. Una caratteristica importante della rete milanese, che ne costituisce il principale limite e la differenzia da altre realtà europee, è che essa sia stata concepita come un’infrastruttura essenzialmente “comunale”. Oltre alla già citata estensione extraurbana verso Cologno e Gessate, in funzione da decenni e frutto della lungimirante conversione a metropolitana di un’antica linea tranviaria extraurbana, le uniche fermate fuori dagli (stretti) con ni comunali sono: due a Sesto San Giovanni, due a Rho/Pero e due ad Assago, queste ultime quattro recentissime (2005 e 2011). Per superare questo limite, a partire dal PUMS del 2015, le estensioni previste sono quasi esclusivamente esterne, anche se questo avrà come effetto naturale un minore bacino di utenza a causa delle inferiori densità abitative (in particolare M5 a Monza, tra i prolungamenti certi). Dal punto di vista costruttivo, la storia del
metró milanese è anche parte della storia dell’ingegneria italiana, avendo sviluppato negli anni tecniche costruttive all’avanguardia – soprattutto relative allo scavo in terreni sabbiosi e con acqua – oggi utilizzate in tutto il mondo (Botti, 1976; Fairweather, 1987; Lunardi e Pizzarotti, 1990; Lunardi, 1991; Gattinoni e Scesi, 2017). Le tecnologie utilizzate nella metropolitana di Milano sono oggi due: le tre linee storiche sono “metropolitane pesanti”, con banchine e treni da 107 metri e guida semi-automatica (M2 è in corso di adeguamento in tal senso). M5 e M4 sono invece metró “leggere”3 ad automazione integrale (senza guidatore), con banchine e treni da 50 metri e di larghezza leggermente inferiore (2,65 m rispetto a 2,85 m). I treni di M1, M2 ed M3 hanno un portata di circa 1.000 persone, mentre M4 ed M5 di circa 500. Il Comune di Milano, che conta circa 1,4 milioni di abitanti, è il centro di un’area metropolitana molto più ampia sia territorialmente che socio-demogra camente. Mentre a nord l’urbanizzato raggiunge quasi senza soluzione di continuità la fascia pedemontana (da Varese a Lecco e Bergamo), a sud la pianura agricola de nisce più nettamente i con ni della città. Complessivamente, l’area metropolitana (che non comprende solo la Città Metropolitana amministrativa) conta dai 4,3 ai 5,1 milioni di abitanti a seconda del criterio di de nizione della stessa (functional urban area o regione metropolitana. Si vedano in proposito Eurostat, 2019; OECD, 2012), su circa 10 milioni dell’intera regione. Ma la forza della metropoli è dal punto di vista economico e strutturale, nonostante la struttura spiccatamente policentrica del territorio e della sua mobilità (Pucci, 2016; Pucci, 2017). È sufficiente guardare alla sua area di in uenza, cioè alla quota di spostamenti in uscita da ogni comune e diretti a Milano (Fig. 2). Per percepire correttamente il fenomeno si noti che da quasi tutti i capoluoghi regionali, cioè da città ben fornite di servizi, funzioni e posti di lavoro e posizionate anche a 70 km di distanza, si registra una quota di spostamenti diretti a Milano compresa tra il 2 e il 5% del totale. E non si tratta solo di spostamenti per lavoro o studio, ma anche di spostamenti occasionali e personali, come shopping o visite mediche (Figura 3). Le percentuali di dipendenza raggiungono anche 3 Nel caso milanese, il termine “leggero” è da riferirsi solo al veicolo, dato che per l’infrastruttura – lunghezza delle banchine a parte – è del tutto paragonabile alle tre linee maggiori.
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il 30% nelle prime fasce di comuni periferici. Tutto ciò si traduce in ussi di mobilità notevoli, che mettono a dura prova tutte le reti infrastrutturali. Secondo il PUMS (Comune di Milano, 2018), il Comune di Milano era interessato nel 2013 da 5,2 milioni di spostamenti, di cui il 43% attraverso il con ne e gli altri interni (Figura 5, sinistra). Per un confronto, il PUMS di Roma (2019), nello stesso anno, stimava in 6 milioni circa gli spostamenti nella capitale (che ha oltre il doppio della popolazione ed è sette volte più grande per supercie), di cui solo il 22% provenienti dall’esterno. Fortunatamente, e non potrebbe esser altrimenti dati i vincoli sici della città, una quota importante di questi spostamenti (Fig. 5, destra) non avviene in auto (38% contro il 49% della capitale), ma con trasporto pubblico (44%) o in bici e a piedi (13%). Anche il tasso di motorizzazione, che resta altissimo rispetto alla media europea, è inferiore a quello italiano e soprattutto in calo costante almeno dal 1996, raggiungendo un valore di circa 1 auto ogni 2 abitanti (la media italiana è circa 1,4 ogni 2 abitanti). È abbastanza evidente attribuire una parte importante della differenza tra quote modali milanesi e romane, oltre che alle politiche di disincentivo dell’auto (regolazione parcheggi, AreaC4, AreaB) e di regolazione degli spazi (aree pedonali, zone 30), alla maggiore efcacia del sistema di trasporto pubblico. E, all’interno del trasporto pubblico, molto è reso possibile dall’ottima e ormai molto estesa rete della metropolitana che è l’ossatura portante della mobilità sia interna alla città (insieme al TPL di super cie) che in ingresso (insieme al sistema ferroviario regionale, di cui si parlerà oltre). Purtroppo non sono disponibili molti dati storici e disaggregati per linea che permettano di raccontare compiutamente il ruolo del metró all’interno del complessivo sistema di TPL milanese (Fig. 5). Quello che è noto (31/12/2018, fonte Sito ATM) è che sui 775 milioni di passeggeri trasportati complessivamente da ATM a Milano e nei dintorni, circa 365 utilizzano la metropolitana. In altre parole, circa 1 passeggero su 2 effettua almeno parte dello spostamento con il metró, il che è abbastanza normale dato l’estremo livello di gerarchia della rete milanese. Rapportando i passeggeri all’estensione della rete si ottiene un valore di “densità di utilizzo” di circa 4 milioni 4 Per una rassegna dell’esperienza di Area C si veda Beria et al., 2018
di passeggeri all’anno per ogni km. Si tratta di un valore in linea con le altre grandi città europee, ma certamente inferiore ai casi asiatici o dei paesi in via di sviluppo (Pedestrian Observations, 2015). Questo valore è abbastanza costante nel tempo e signi ca che l’estensione della rete verso aree via via meno dense ed importanti (ad esempio lontane dal centro, storicamente destinazione largamente dominante della mobilità cittadina) è stata bilanciata dall’effetto rete e non ha quindi complessivamente ridotto la densità di utilizzo del sistema.
L’integrazione Come si è poc’anzi detto, la metropolitana di Milano è solo una delle componenti del sistema di trasporto urbano. Oltre ad un’estesa rete di bus e tre linee loviarie, a Milano sono in esercizio anche 19 linee di tram (su 180 km di rete) e 12 linee ferroviarie suburbane cadenzate alla mezz’ora. Di queste ultime, sei percorrono il “Passante Ferroviario”, andando a costituire una sorta di “quinta linea” urbana ad alta frequenza. La rete milanese è caratterizzata, più di altre in Italia, da un livello molto spinto di gerarchizzazione tra modi. Se si escludono gli spostamenti interquartiere, sono pochissimi i viaggi che avvengono interamente attraverso una sola linea. E l’interscambio, quando avviene, non è tra diverse linee di bus, ma tra bus e sistemi di massa, cioè tram e metropolitana e – più recentemente – anche trasporto ferroviario. In un sistema così organizzato, tre sono gli elementi necessari: - qualità sica degli interscambi (brevi distanze, protezione, segnaletica, informazione all’utenza, etc.); - frequenza di passaggio; - integrazione tariffaria. Nonostante sia considerato un’eccellenza, il TPL milanese non è certamente perfetto secondo questi tre criteri. Mentre l’ultimo è stato recentemente risolto in maniera convincente, i primi due meritano qualche attenzione. In termini di qualità degli interscambi, il metró milanese è sempre stato piuttosto felice. Rispetto alle grandi capitali europee, passare da una linea ad un’altra comporta pochi passi e poche rampe di scale. Questo non sarà purtroppo del tutto vero per M45, ma le prime 5 Gli interscambi tra M4 e le altre linee non saranno brevi e lineari come quelli storici. Addirittura, tra M3 e M4, nonostante le linee si intersechino, non è previsto un collegamento diretto sotterraneo.
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2 - Area di in uenza di Milano, frazione spostamenti verso il capoluogo da tutta la regione, per tutti i motivi di spostamento (nostre elaborazioni su OD Regione Lombardia 2014).
quattro linee non hanno problemi particolari. Gli interscambi di super cie, e soprattutto quelli con il sistema ferroviario ormai sempre più importante ed integrato, presentano invece spesso una qualità architettonica e spaziale insufficiente. Vi sono naturalmente casi virtuosi per prossimità e interconnessioni6 (ad esempio Romolo, Rogoredo o Garibaldi), ma anche casi davvero malriusciti. Ad esempio lo scambio tra Lodi TIBB7 M3 e la stazione di Porta Romana, o l’infelice accesso alla Stazione Centrale, o la lunga distanza tra RhoFiera e l’omonima stazione. Per non parlare del Passante, capolavoro dell’ingegneria degli anni ’90 che, nei fatti, comporta lunghe e stranianti passeggiate sotterranee, tali da inibire il passeggero occasionale (non il pendolare, che non ha alternativa). Anche in termini di frequenza il quadro è variegato. Mentre tutta la rete metropolitana lavora su frequenze ormai prossime al limite sico (2 minuti per M1 e presto anche per M2 e M5) per riuscire a gestire decine di migliaia di passeggeri/ora, vi è stato negli anni un forte impoverimento della rete di super cie, che ora viaggia, anche sulle linee tranviarie di forza, sui 5-8 minuti nella sola ora di punta e 7-10 nel resto della giornata lavorativa. Mentre da una parte questo è ritenu6 Ma raramente per la qualità architettonica, in realtà. 7 Il nome della stazione richiama la “Tecnomasio Italiano Brown Boveri”, storica fabbrica milanese di materiale rotabile che in Piazzale Lodi era localizzata.
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to sostenibile grazie alla sempre maggiore estensione della rete sotterranea, dall’altra impoverisce l’assunto di base di un sistema gerarchico, cioè che il costo di interscambio deve essere minimizzato. Dunque oggi, nella percezione degli utenti, c’è un sistema di adduzione al metró che è ad un livello inferiore di servizio e dunque da evitarsi, se possibile, per l’ultimo miglio. In ne, dopo molti anni di soluzioni parziali, anche il problema dell’integrazione tariffaria ha trovato soluzione nel 2019, sebbene solo per l’area corrispondente alla città metropolitana. L’integrazione tariffaria a Milano esiste dal 1989, sotto il nome di SITAM (“Sistema Tariffario Integrato Area Milanese”). Si trattava di un sistema a spicchi e fasce concentriche, molto Milano-centrico (così come la rete stessa, del resto) e limitato al solo trasporto urbano e provinciale su gomma. Dal sistema era esclusa la ferrovia. Con l’apertura del Passante e l’attivazione delle linee suburbane (dette “Linee S”, con una cercata assonanza con le S-bahn tedesche) anche le tratte ferroviarie urbane erano entrate nel biglietto urbano SITAM. Ma effettuare uno spostamento da, poniamo, Monza a Milano richiedeva di scegliere tra due opzioni e due sistemi tariffari: la tariffa ferroviaria (e rispettivo abbonamento) o quella SITAM, che però non permetteva l’accesso al treno. In un sistema sempre più integrato, queste scelte portano a distorsioni evidenti. Oltre a quella della duplicazione dei titoli di viaggio, la più sentita dall’utenza era quella dei limiti dalla tariffa urbana. In pratica, le diramazioni della metropolitana extraurbane risultavano sottoutilizzate per la preferenza degli utenti all’uso dei parcheggi di interscambio e del biglietto urbano. Conseguenza era anche lo scarso interesse degli utenti per i bus extraurbani di adduzione al ferro, che necessitavano di un secondo abbonamento. Solo nel 2011 venne introdotto un nuovo sistema, sovrapposto al SITAM, chiamato “Io viaggio” e di origine regionale. Questo sistema è ferro-centrico e sostanzialmente permette di abbinare ad un abbonamento ferroviario anche quello urbano di un capoluogo (o dell’intera regione). Un limite di questo sistema, peraltro apprezzato dall’utenza pendolare, è il fatto che è limitato agli abbonamenti ma non è disponibile per le corse singole8. Nel 2019 il SITAM è stato nalmente superato con un nuovo sistema, detto STIBM (“Sistema 8 Quindi un viaggiatore occasionale da Mantova a Milano continua a dover acquistare un biglietto ferroviario e l’urbano di Milano.
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Tariffario Integrato del Bacino di Mobilità”), organizzato a fasce (ma non a spicchi) entro le quali è possibile utilizzare ogni sistema di trasporto e ogni compagnia, in maniera libera. Oltre che per gli abbonamenti, è ora disponibile anche per i titoli singoli. L’urbano di Milano ora comprende anche la prima fascia di comuni e permette quindi di utilizzare le stazioni extraurbane con il biglietto urbano. Non sono ancora disponibili dati sul nuovo sistema, ma è lecito aspettarsi un aumento dei passeggeri dai capolinea esterni, ma anche sul sistema di bus di adduzione.
Una misura dell’accessibilità del sistema (PTAL) È arduo misurare l’efficacia complessiva di un sistema di trasporto al di là della percezione individuale. Il modo naturale è quello di utilizzare misure di accessibilità, siano esse monodimensionali (es. isocrone di accessibilità) o multidimensionali (es. misure di accessibilità potenziale). Tra le molte de nizioni esistenti di accessibilità, una delle più interessanti per il trasporto pubblico è quella cosiddetta del PTAL (Public Transport Accessibility Level). È una misura utilizzata soprattutto nel Regno Unito (TfL, 2015) dove nasce come misura di supporto a scelte insediative. È tuttavia utilizzata anche come misura di accessibilità con TPL (Shah and Adhvaryu, 2016) o per misurar l’efficacia di politiche (Wu and Hine, 2003). Non è certamente la più completa, ma è per contro relativamente semplice da quanti care perché non necessita di un modello di trasporto e di una matrice OD dei costi generalizzati. La misura è relativa ad un luogo speci co (o ad un punto di una griglia) e parte dalla misura del tempo a piedi necessario per raggiungere i punti di accesso dei diversi servizi di trasporto pubblico (es. una fermata). La seconda componente è quella della frequen-
za di passaggio di ciascuno di essi, che si traduce in un tempo di attesa. Poiché l’indice è la somma degli indici di ciascun modo/linea di trasporto, un valore alto di PTAL può essere dovuto a: - vicinanza delle fermate/stazioni; - alta frequenza di passaggio; - varietà di servizi presso le fermate/stazioni. Gli elementi non considerati, e presenti solo in più complesse misure di accessibilità, sono invece: - la velocità commerciale dei servizi; - cosa è raggiungibile con tali servizi; - qualità (es. affollamento); - costi di interscambio. Pur nella sua parzialità, dunque, la misura è capace di dirci quanto un luogo è centrale nella rete TPL e quanto essa è efficace in quel punto. Utilizzando i medesimi criteri e la medesima scala cromatica del documento originale per la città di Londra, è stato calcolato e mappato il PTAL di tutta la rete TPL milanese e della prima fascia di comuni (vedi Fig. pag. 79, in basso). Come si vede, nessun punto di Milano raggiunge il livello 6b (quello del centro di Londra), ma comunque vi sono zone ad altissima accessibilità. In particolare le zone a nord del centro (Zara, Garibaldi, Centrale, Loreto) e il centro vero e proprio (Duomo, Cadorna). Tuttavia, anche il resto della città compatta ha indici alti (oltre 10) e molto omogenei (cioè non vi sono zone mal collegate). In periferia l’indice cala (soprattutto per la minore densità della rete) e iniziano ad evidenziarsi differenze tra i quartieri con la metropolitana o il servizio ferroviario e quartieri serviti solo da bus9. Le zone “bianche” potrebbero non avere servizi TPL o essere serviti da linee extraurbane non ATM. 9 Sono evidenti alcuni punti non centrali con PTAL 6a. Si tratta sempre di capilinea o di stazioni importanti dove convergono molti bus extraurbani, alzando l’indice.
3 - Motivo degli spostamenti entro e verso Milano, 2013. Fonte: nostre elaborazioni su dati PUMS (Comune di Milano, 2018).
4 - A sinistra: totale e suddivisione interni/esterni degli spostamenti a Milano e Roma. A destra: suddivisione per motivo degli spostamenti a Milano. Fonte: nostre elaborazioni su dati PUMS.
5 - Nella pagina seguente, in alto: stima degli ingressi per stazione dall’esterno (tornellati), giorno feriale tipo 2017. M5 presenta valori limitati rispetto a quelli attuali, essendo stata aperta interamente solo due anni prima e non essendo ancora completi in quel momento alcuni grandi interventi urbanistici. 6 - Nella pagina a seguente, in basso: schema delle estensioni della rete della metropolitana nel PUMS. Fonte: Comune di Milano, 2018.
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Nel complesso si può dire che, pur essendovi differenze visibili, non è la metropolitana a fare la differenza in termini di PTAL (in termini di qualità del servizio ovviamente sì) per i quartieri, grazie alla tradizione di alta capillarità del sistema milanese anche in quartieri periferici.
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I progetti futuri: analisi multiscenario, modelli e valutazioni Nel panorama italiano la rete milanese gode certamente di una posizione invidiabile. Ma i problemi della mobilità dell’area (oltre che di inquinamento) hanno sempre posto il tema del trasporto pubblico sempre in alto nella scala degli indirizzi politici. L’ultimo PUMS, e i progetti che da esso sono gemmati, non è certo un’eccezione. Accanto a misure di tipo regolamentare (zone 30, pedonalizzazioni, Area C, Area B, tariffazione integrata, etc.) e di miglioramento della rete di super cie (velocizzazione, estensioni varie) il Piano prevede anche importanti investimenti sulla rete di forza, quasi tutti esterni al Comune (Fig. 6). Rispetto allo stato di fatto, sono in via di apertura due importanti infrastrutture: M4 (tra il 2021 e il 2023) e l’estensione di M1 no al con ne di Monza con la creazione di un nuovo parcheggio di interscambio. Successivamente al Piano sono andati avanti nella progettazione e hanno già ottenuto il nanziamento due ulteriori interventi. Il primo è l’estensione di M5 no a Monza, per una lunghezza di circa 12 km (e quindi pari ad un raddoppio della linea stessa), e l’altro di estensione di M1 a ovest no al popoloso quartiere di Baggio.
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Altri tre progetti, non ancora nanziati, sono in corso di elaborazione e sono ancora più interessanti proprio per le modalità con cui sono stati concepiti. Sia per l’estensione di M2 a Vimercate che di M3 a Paullo – entrambe aree a minore densità abitativa rispetto alla rete storica – sono in corso studi multi-scenario, cioè studi comparativi in cui l’estensione del metró è solo una delle opzioni insieme a tecnologie alternative di minore costo (bus rapid transit, tranvia, monorotaia). In tutti i casi il progetto comprende un’Analisi Costi Bene ci per la misura dell’efficienza della spesa. È presumibile che da questi studi risultino come più interessanti soluzioni intermedie per costo e performance, ma comunque capaci di offrire velocità e frequenza comparabili a quelle di un sistema pesante. In ne, il progetto più interessante a parere di chi scrive è quello dell’estensione di M4 da Linate a Segrate. Non è solo un prolungamento, ma comprende anche la creazione di un interscambio TPL/aeroporto/treni REG e AV, tale da generare un effetto-rete e bene ci almeno no al Veneto. In conclusione, gli ultimi progetti mostrano un evidente cambio di passo rispetto all’impostazione storica del metrò milanese, sia perché chiaramente proiettati oltre i con ni cittadini, sia perché progettati con una logica di efficienza della spesa e di massimizzazione dell’effetto-rete.
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Binari a Roma. Viaggiare nella storia, tra utopia e conservazione di Filippo Lambertucci
Ci sono due nozioni contemporanee di centralità che a Roma non riescono a sovrapporsi e formare sistema: la prima è un’idea di policentrismo della struttura urbana che ha animato il dibattito urbanistico e che ha cercato in qualche modo di depositarsi nella struttura dell’ultimo piano regolatore; la seconda invece è una proprietà che viene riconosciuta ai nodi di mobilità quali propulsori di attività e relazioni propri di quegli spazi pubblici che la città contemporanea non è stata in grado di rielaborare in modo soddisfacente. La sovrapposizione dei due fattori in area romana evidenzia una distonia generalizzata: le centralità locali e/o alternative hanno conosciuto un’attuazione ben modesta mentre, da parte loro, le linee su ferro, sia sotterranee che di super cie, non hanno saputo offrire né un contributo qualitativo nei punti di contatto con il tessuto urbano, cioè le stazioni, né una compiuta efficienza del sistema, che non è ancora riuscito a diventare una vera rete per insufficienza di nodi. Di questi, solo i maggiori hanno intrapreso una via contemporanea, non senza problemi. La stazione Termini ha riscattato molti dei suoi spazi di servizio ipogei aprendoli al pubblico, ma la colonizzazione sempre più aggressiva degli spazi commerciali ha portato come risultato più tangibile il travisamento delle pur notevoli qualità spaziali dei suoi ambienti e la ancor più grave obliterazione del rapporto che la pensilina di testa ricercava con i resti superstiti dell’aggere serviano. Oggi l’affastellarsi di installazioni commerciali parassite rende illeggibile non solo un’architettura che nessuno si è sentito in dovere di tutelare ma anche l’unico tentativo di instaurare un rapporto con il contesto storico e archeologico nella storia di Termini, caratterizzata da aggressioni rovinose n dagli esordi, mentre sul piano urbano rimane irrisolto il rapporto con il contesto, sbilanciato e insoddisfacente non solo a causa della barriera generata dal fascio di binari, ma anche per la natura dis-
Train tracks in Rome. Travelling through history, between utopia and conservation by Filippo Lambertucci
There are two contemporary notions of centrality which in Rome fail to overlap in a system; the rst is the idea of a polycentric urban structure which animated the urban debate and which attempted in some way to be acknowledged in the structure of the last general master plan; the second, on the other hand, is the recognition that nodes of mobility are the driving force behind activities and relationships typical of the public spaces that the contemporary city has been unable to rethink satisfactorily. The overlap of the two factors in Rome highlights a generalized dissonance. Local centralities have experienced a very modest implementation while, for their part, the underground and surface railway lines have been unable to rely on the stations to offer a qualitative contribution, nor a completely efficient system, still lacking in multimodal hubs. It is therefore necessary to turn to the city’s cultural and urban heritage and transform episodic occasions into systemic actions, which tend to see the continuity of the city through its history and its physical strati cation, so that the city’s enhancement must be based rst and foremost on the recognition and equal involvement of historical spaces in the circuits of contemporary life.
Nella pagina a anco, in alto: linea C, Roma; scavi per la nuova stazione Fori Imperiali ai piedi della Basilica di Massenzio. In basso: il sistema dei luoghi connettibili con la stazione di Piazza Venezia: la stazione, gli Auditoria di Adriano, la Colonna Traiana, l’ Altare della Patria, la domus sotto il Palazzo delle Assicurazioni Generali e il Museo delle domus di Palazzo Valentini.
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1 - .Società Privilegiata Pio-Latina per la Strada Ferrata Roma - Frascati 1856, schema di proposta per la nuova stazione avanzata accanto al Colosseo. Si nota anche un accenno di prolungamento che, aggirando il tempio di Venere e Roma, si incunea nel Foro Romano. ASR, Collezioni dei disegni e mappe, cart. 89, n. 650.
2 - Società Generale delle Strade Ferrate Romane 1857, Schema di proposta per la nuova stazione centrale: in azzurro l’ipotesi a Prati di Castello con raccordi ferroviari sul quadrante Ovest e testata in corrispondenza del porto di Ripetta; in rosso ipotesi di stazione passante, a ridosso della basilica di S. Clemente. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 31, fasc. 364.
urbana del vasto piazzale dei Cinquecento, stazione di autobus con vista sulle Terme di Diocleziano. Analogamente la più recente stazione Tiburtina resta in attesa di attivarsi come piazza di collegamento tra due sponde indifferenti al grande oggetto che le sovrasta e impantanata in un disordine urbanistico e un degrado urbano indifferenti all’architettura della stazione. Se i due nodi maggiori di Roma sono arenati come macchine celibi nei rispettivi quadranti, le stazioni ferroviarie minori e quelle metropolitane, oltre ad essere prive
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di altri servizi e per lo più modeste sul piano formale, non arrivano ad attivare convincenti interazioni con i contesti urbani su cui insistono, perché collocate ai margini, inefficaci quindi nel farsi parte di un sistema in assenza di una visione che vada oltre la loro capacità come eventuale contenitore commerciale. Allo stesso modo le stazioni di metropolitana hanno sistematicamente visto attribuirsi un ruolo strettamente funzionale benché spesso inserite in luoghi che ne avrebbero potuto bene ciare in modo più signi cativo sul piano urbano, sia in centro storico che in
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quartieri più esterni. L’inattuata rete del trasporto romano su ferro, dove per rete si assume la condizione isotropa di un adeguato numero di nodi che assicurino la raggiungibilità del più alto numero di luoghi in tempi omogenei, non solo non ha fornito la condizione primaria di un effettivo policentrismo ma, al contrario, ha rafforzato gure ed asset urbani in piena contraddizione. Se si esclude infatti la stagione iniziale dell’infrastrutturazione di una capitale tutta da inventare sul nire del XIX secolo, dove saranno le prime localizzazioni di linee e stazioni a mettere una seria ipoteca sulla direzione della crescita urbana, le linee di metropolitana, più che indirizzare o disciplinare, nasceranno all’inseguimento di fatti urbani ormai consolidati, andando semmai a rinforzare gure urbane diverse, com’è il sistema lineare lungo l’Appio-Tuscolano, o promuovere nuove geograe di rendita immobiliare, in particolare con i prolungamenti abbondantemente tardivi delle linee esistenti in quartieri da tempo in attesa dei necessari collegamenti. Non è il caso di parlare di centralità per quei pochi nodi di scambio con gurati per una intermodalità elementare atta a drenare pendolari in grandi recettori dal valore spaziale urbano minimo. I terminali sudorientali delle linee A e B, cioè Anagnina e Laurentina sembrano respingere il rapporto con il contesto urbano rinchiusi come sono nel viluppo di viabilità che li circonda, mentre il nodo di Ponte Mammolo neppure riesce a entrare in contatto con lo straordinario brano di paesaggio uviale che l’Aniene offre lì accanto. Anche le stazioni più piccole stentano ad assumere un ruolo più signi cativo negli ambiti in cui insistono; sono prevalentemente tangenziali agli insediamenti, se non distanti: tra tutte la stazione di Ostia Antica dovrebbe essere tra le priorità di una visione che riempia la vuota espressione di valorizzazione del patrimonio con la concretezza di una compiuta e qualicata accessibilità al vicino parco archeologico.
Treni in ritardo Eppure l’infrastrutturazione su ferro ha avuto più di qualche opportunità per indirizzare lo sviluppo urbanistico della città, ma è forse più lungo l’elenco delle occasioni perse per dare un volto moderno ad una capitale gravata da una pesante eredità storico-artistica ed un mancato sviluppo industriale. Si può assumere il 1856 come anno zero per la storia del trasporto su ferro a Roma: in quell’anno infatti viene aperta la strada ferra-
ta Pio-Latina con l’intenzione di raggiungere il con ne del Regno di Napoli a Ceprano, arrivando però solo alle pendici di Frascati. In quell’anno la differenza di progresso urbano tra Roma e le due maggiori capitali europee, Parigi e Londra, appare incolmabile: a Londra la prima ferrovia è attiva già da vent’anni, e sono aperte almeno cinque importanti stazioni, in attesa di aprire nel 1863 la prima linea di metropolitana. A Parigi la metropolitana arriverà solo a ne secolo, ma nel frattempo sono attive già diverse linee ferroviarie e almeno tre grandi stazioni, ma soprattutto è già ben presente un’idea di rete, grazie al raccordo circolare delle linee attuato con la Petite Ceinture, allora in corso di realizzazione. In quel momento Roma non è nemmeno propriamente una città, con soli 150.000 abitanti in un abitato stretto ben al di dentro delle mura Aureliane, le quali delimitano un territorio costituito per circa due terzi da vigne e giardini, ville e ruderi, mentre all’esterno la cittadina si perde nel deserto demogra co e urbanistico dell’Agro Romano. La resistenza di Gregorio XVI verso le demoniache manifestazioni della modernità ha lasciato all’impulso innovatore del suo successore, Pio IX, l’onere di scrivere le prime pagine della timida infrastrutturazione romana. Nel momento in cui si apre la strada ferrata Pio-Latina dunque, il territorio urbano e periurbano è un foglio bianco e la ferrovia scrive due ipoteche importanti per
3 - Società Generale delle Strade Ferrate Romane 1857, Schema di proposta per la nuova stazione centrale: nei riquadri le stazioni esistenti per Frascati, a dx e per Civitavecchia, a sx., la cosiddetta stazione di Porta Portese. In alto, con la lettera A il primo germe per la collocazione a Termini della stazione centrale. ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 31, fasc. 364.
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4 - Dettaglio del Piano regolatore e di ampliamento della città di Roma approvato dal Consiglio Comunale 26 giugno 1882. Si nota la Stazione Trastevere dentro le mura Leonine a ridosso di piazza S. Cosimato e l’enfasi attribuita allo scalo di Testaccio e in genere al quadrante Sud.
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il futuro: la collocazione della stazione fuori Porta Maggiore con l’orientamento della linea verso Sud-Est e l’atteggiamento verso il patrimonio storico e archeologico.
Infrastrutture e sviluppo urbano La direzione verso Frascati traccia, senza saperlo, quello che sarà uno degli assi di sviluppo più densi della città e del suo hinterland, orientando una direttrice che non sarà mai smentita, ma anzi confermata, dall’apertura, prima, di nuove linee di tram verso i Castelli Romani e, più tardi, anche dalla metropolitana. La stazione viene invece attestata direttamente a ridosso di Porta Maggiore, da poco risistemata da Gregorio XVI, dimostrando una totale assenza di preoccupazione per l’impatto con il contesto monumentale. All’apertura della Roma-Frascati segue un periodo disordinato e convulso di tentativi di sviluppo infrastrutturale caratterizzato
soprattutto dall’assenza di una visione sistematica e dalla spregiudicatezza delle proposte. L’iniziativa è spesso in mano ad imprese a capitale straniero: inglesi, francesi ma soprattutto belghe, in caccia di concessioni vantaggiose in cambio delle quali propongono a proprie spese la realizzazione delle opere (Angeleri 1982, Ascarelli 1984)1. In questo contesto nasce nel 1859 la seconda linea ferroviaria, la Roma-Civitavecchia, che si attesta sulla riva destra del Tevere, molto lontano dalla cinta muraria, all’altezza di quello che diventerà il nuovo porto uviale al con ne meridionale di Testaccio. Con questa si apre un secondo fronte urbano a conferma dell’orientamento della città verso i quadranti meridionali. Ma le due stazioni appartengono a due concessionari diversi, sono al di fuori della cinta daziaria e, soprattutto, non sono neanche collegate tra loro, generando ulteriore confusione e inefcienza nei servizi, a cui manca un coordinamento centrale. In queste condizioni si comincia ad avvertire la necessità di una stazione unica dove raccogliere le linee, ormai diventate tre con la Roma-Orte-Ancona; nel 1857 la Società Generale delle Strade Ferrate Romane presenta uno studio con due alternative: la prima individua i Prati di Castello, allora ancora completamente liberi, suggerendo un potenziale ribaltamento verso Nord della città; la seconda invece indica una fascia compresa tra la basilica di San Clemente e Porta Maggiore, in un’area che, solo agli occhi degli ingegneri del tempo poteva non offrire problematiche di inserimento, denunciando quindi scarsissima preoccupazione per la preesistenza storica2. Si preferisce invece la collocazione nelle vaste proprietà del principe Massimo in prossimità delle Terme di Diocleziano, due km più a Nord di Porta Maggiore e all’interno delle mura Aureliane3. 1 Roma, ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 63. È un fenomeno che Rosario Romeo ben descrive: “sono specialmente i servizi pubblici di trasporti ferroviari e tranviari che hanno attirato i capitali stranieri, che sono appunto le forme di investimento preferite, come è noto, nei paesi sottosviluppati” cosicché “gli investimenti privati stranieri nivano per affiancarsi alla politica di opere pubbliche dello Stato”[Romeo 1970]. 2 Roma, ASR, Commissariato generale delle ferrovie, b. 31, fasc. 364. 3 Sorvolando su certe corrispondenze di nazionalità tra società di infrastrutture a capitale belga e il cardinale De Merode, pro-ministro delle Armi di Pio IX e proprietario di molte aree lungo l’asse della futura via Nazionale, alla decisione non saranno estranee anche valutazioni di ordine igienico-sanitario, a causa del
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La stazione centrale si attesta quindi nella zona immediatamente a Sud-Est delle Terme, provocando la progressiva distruzione non solo della ricca e vasta Villa Peretti Montalto ma anche di vestigia archeologiche importantissime (Angeleri 1983). Con l’Unità d’Italia e il trasferimento della capitale si innescano processi di trasformazione più dinamici e ha nalmente inizio la programmazione della crescita della città. Nei piani regolatori del 1873 e del 1883 emerge con chiarezza la de nizione delle tre maggiori direzioni di sviluppo che gravitano intorno ai poli ferroviari e infrastrutturali che si sono andati n lì de nendo4: ad Est la zona di Termini, che si estende da Castro Pretorio no al Colosseo attraverso la nuova piazza Vittorio Emanuele; a Sud il quartiere industriale di Testaccio legato alla direttrice di Civitavecchia, con l’avvicinamento della stazione a ridosso di Porta Portese5; a Nord invece l’urbanizzazione dei Prati di Castello soppianta l’ipotesi fatta per la stazione centrale in quella zona, che diventa comunque la porta urbana di un collegamento minore mediante tramway con Civita Castellana e il nord di Roma, che era rimasto nora al margine delle traiettorie di sviluppo della città anche a causa di una conformazione orogra ca meno favorevole al trasporto ferroviario. Sul nire dell’800 sono ormai chiare le direttrici di collegamento con l’esterno, e comincia invece a porsi la questione dell’infrastrutturazione di scala urbana e periurbana, affidata no a quel momento solo a linee di tram e omnibus. Nel 1885 l’ingegner Allievi pubblica una proposta di ferrovia metropolitana che cinge ad anello il nucleo urbano allora esistente, dando prova di una certa lungimiranza nell’avvertire l’importanza di intervenire tempestivamente nelle aree di espansione prima che fossero del tutto compromesse dalle costruzioni, anche se il suo appello rimarrà inascoltato e la sua prudenza nell’intervenire sull’esistente è dettata principalmente da valutazioni di ordine economico e non di rispetto del patrimonio. malsano clima malarico che invece risparmia l’altopiano delle terme di Diocleziano in virtù della sua altitudine. Vedi: Roma, ASC, Tom. 784 - 6, pianta della salubrità dei quartieri di Roma, 1877. 4 Roma, ASC, Capitolino 18234, e Cart XIII, 119. 5 La stazione, in origine molto lontana dalle mura viene avvicinata pensandola in un primo momento addirittura nell’attuale piazza S. Cosimato, dirimpetto all’omonimo convento: “Piano regolatore e di ampliamento della città di Roma approvato dal Consiglio Comunale 26 giugno 1882”.
Proposte analoghe vengono da molti altri6, tra cui l’ingegnere Francesco degli Abbati, che ritorna più volte sull’argomento tra il 1876 e il 1886 con la proposta di una ferrovia metropolitana di circonvallazione, parte in super cie e parte in sotterraneo, a formare un anello di collegamento delle stazioni e delle linee esistenti, dal carattere multimodale pensato per accogliere il materiale rotabile ferroviario pesante, ma anche la circolazione di mezzi più leggeri in grado di immettersi sulle linee tranviarie urbane e su quelle in uscita dalla città, in particolare verso Est, ai Castelli Romani e verso Sud, al mare7. Cresce dunque una consapevolezza urbana, alimentata da un fervore progressista capace di progetti di spiazzante disinvoltura: tra questi spicca quello degli ingegneri Mazzanti e Frontini del 1888 che tratteggia un’ulteriore ipotesi di anello ferroviario e propone la soppressione di Termini con una nuova col-
5 - “Sistemazione ferroviaria della città di Roma - Collegamento delle varie stazioni con più breve percorso ferroviario - Linea di circonvallazione pel servizio dei quartieri industriali”. Progetto Mazzanti - Frontini, 1888. Inquadramento generale del riordino delle linee.
6 Tra gli altri l’ing. F. Gabelli, 1885, l’ing. Linotte, 1887, il prof. Favero, 1894, l’ing. Botta nel 1911. 7 “per tal modo, a chi desiderasse andare a diporto ai Castelli Romani ed ai bagni, oltre la Metropolitana propriamente detta con le sue stazioni a contatto dell’abitato, si offrirebbero ai passeggeri altre stazioni in tutti gli imbocchi dei ponti sul Tevere, dalle quali senza trasbordi di sorta, verrebbero condotti sino ai luoghi di destinazione “[degli Abbati 1886].
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6 - “Sistemazione ferroviaria della città di Roma - Collegamento delle varie stazioni con più breve percorso ferroviario - Linea di circonvallazione pel servizio dei quartieri industriali”. Progetto Mazzanti - Frontini, 1888. Particolare settore meridionale; si noti la stazione ai Mercati di Traiano.
locazione della stazione principale appena fuori Porta San Giovanni8. Le aree su cui insiste sono ancora libere ma ribadiscono il destino del futuro quartiere Appio-Latino e non manca in ne una certa dose di ottimismo e preveggenza: a Sud della stazione prevista e di tutto il margine meridionale della città è previsto un “sobborgo industriale” che Roma non riuscirà tuttavia ad avere in quelle dimensioni, ma che ribadisce ancora una direttrice urbana che sarà attuata più disordinatamente in futuro, e una porzione del mai compiuto anello ferroviario il cui prodotto in questo quadrante è oggi soprattutto il vallo ferroviario che taglia in due un intero settore urbano. La proposta però mette a sistema anche la cosiddetta Ferrovia Laurentina (Carocci 1888), di cui si discuteva in quegli anni per dare vita al borgo climatico di Laurento a Castel Fusano, e costituisce un altro atto di preveggenza nei confronti di una direttrice verso il mare che si attuerà soltanto 35 anni più tardi con la ferrovia Roma-Lido (1923), che si attesterà proprio nello stesso punto a Porta S. Paolo e su cui andrà a insistere la prima linea di metropolitana, l’attuale Linea B pensata negli anni ‘30, ma aperta solo nel 1955, per collegare Termini (ancora) con la testa di quella “terza Roma” poi divenuta il quartiere dell’EUR. 8 Roma, ASC, Capitolino, 21492.
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Infrastrutture e patrimonio La storia delle prime due linee moderne di metropolitana traccia una parabola di ritardo infrastrutturale, ma soprattutto dà la misura delle occasioni perse dal ritardo culturale con cui l’ammodernamento tecnico della città si è confrontato con il suo irripetibile patrimonio. Paradossalmente, la stazione a Porta Maggiore del 1856 potrebbe essere considerata la prima stazione-museo, per la sistemazione con gusto pittoresco di un lungo muro di terrapieno con frammenti architettonici e archeologici. Ma non si tratta di una manifestazione di sensibilità: l’archeologia non ha ancora una dimensione scienti ca e si esprime più come gusto antiquario, mentre il rispetto per i monumenti in questo caso è strumentale a non generare falle nella cinta daziaria, coincidente con le Mura Aureliane. È una sorta di falsa partenza quindi, e gli episodi successivi lo confermano. Nello stesso anno l’ingegnere inglese John Oliver York, già progettista della Roma-Frascati, studia una penetrazione all’interno delle mura per raggiungere la città, ancora distante da Porta Maggiore, attestandosi proprio di anco al Colosseo9, allora al margine dell’abitato, da raggiungere addirittura 9 Roma, ASR, Collezioni dei disegni e mappe, cart. 82, n. 369.
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7 - Ing. Romeo Cametti, “Progetto di tramvia sotterranea per Roma: per la viabilità”, Roma, 1926. Dettaglio della stazione di scambio sotto piazza Venezia.
attraverso il Foro Romano con l’apertura di un “Corso” no a Piazza Venezia, antesignano della più tarda via dell’Impero10. Anche se di modesta entità socio-economica la modernità avrà un impatto durissimo sul patrimonio storico e ambientale della città. L’arrivo della stazione a Termini intorno al 1860 comporterà lo smantellamento di un lungo tratto dell’agger serviano, sopravvissuto no ad allora nel parco di Villa Peretti, avendo ragione anche di luoghi simbolicamente e toponomasticamente rilevanti, come il monte detto “della Giustizia”, dominato dalla statua della dea Roma e luogo più elevato della città. L’accrescimento del nodo e dei suoi fabbricati insieme all’arrivo della metropolitana aperta nel 1955 continueranno la distruzione cancellando un intero quartiere di età imperiale (Paris 1996). L’entusiasmo modernista non manca certo di visionarietà, ma non vede il patrimonio come un ostacolo o, tantomeno, come una potenziale risorsa; nel 1881 la proposta dell’ing. Degli Abbati azzarda stazioni sotterranee per esempio sotto Piazza di Spagna, mentre Allievi colloca stazioni al Pincio o al Circo Massimo senza alcuna soggezione (Allievi 1885). 10 Roma, ASR, Collezioni dei disegni e mappe, cart. 32, n. l62 e Collezioni dei disegni e mappe, cart. 89, n. 650.
Nel progetto di Mazzanti e Frontini (1888) la soppressione di Termini offre spazio a un nuovo quartiere mentre il centro città - praticamente piazza Venezia - dovrebbe essere servito da una stupefacente stazione che viene inserita nell’Esedra dei Mercati di Traiano, da cui si diparte un ramo sotterraneo di ferrovia navetta per la nuova stazione a San Giovanni, dando prova di una ducia nel progresso che non riesce culturalmente a fare i conti con l’antico ma è tuttavia carica di una capacità di visione che a Roma non riuscirà normalmente ad essere attuata. Nel 1926 invece, l’ing. Romeo Cametti propone un doppio anello di tramvia sotterranea che prevede una grande stazione di snodo sotto piazza Venezia; anche in questo caso la preoccupazione per l’impatto con gli strati archeologici assume una dimensione generica e comunque subordinata alla priorità della realizzazione tecnica.11 La realizzazione della Linea B, aperta nel 1955, è una storia di distruzione e incuria che, seppure ha salvato qualche reperto, non ha lasciato scampo ai contesti che ha attraversato; la Linea A, aperta solo nel 1980, affrontava invece il problema in modo elusivo cercando cioè un tracciato più profondo per la linea, ad un livello che si riteneva inter11 ASR, MS 534: Romeo Cametti, Progetto di tramvia sotterranea per Roma: per la viabilità.
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cettasse il meno possibile gli strati storicoarcheologici della città. La storia della loro realizzazione è nota ma vale la pena di sottolineare ancora la difficoltosa maturazione di una cultura archeologica e la sterilità della contrapposizione tra le esigenze dell’aggiornamento funzionale e quelle della tutela intesa come stretta conservazione. Con la nuova Linea C si apre una nuova stagione in cui passi importanti sono stati fatti nel passare da un’archeologia d’emergenza a un’archeologia preventiva e quindi alla progettazione; tuttavia rimane indietro un coerente coinvolgimento non solo dei rinvenimenti ma anche delle acquisizioni scientiche nella progettazione delle stazioni. L’apertura della stazione San Giovanni, nel 2018, segna un risultato importante e apprezzato come prima archeo-stazione di Roma, ma non è stata messa in condizione di cogliere no in fondo l’opportunità di coinvolgere sul piano urbano il trafficato nodo del piazzale Appio, al quale si sarebbe potuto offrire una vasta piazza ipogea in grado di riattivare la stessa Porta Asinaria, ora negletta e rinchiusa in uno sterile ambito di “protezione”.12 (Farris et al. 2019)
Per un’armatura culturale di sviluppo La mancata chiusura dell’anello ferroviario e la decadenza della stazione di Trastevere sono lo specchio di un’idea produttiva che la città non ha mai attuato. È necessario allora rivolgersi al suo patrimonio culturale e urbano e volgere le occasioni episodiche in azioni di sistema, che tendano a vedere la continuità della città attraverso la sua storia e la sua strati cazione sica, perché la valorizzazione di cui molto si parla passi prima di tutto per il riconoscimento e il coinvolgimento alla pari degli spazi storici nei circuiti della vita contemporanea. Una progettazione mirata all’integrazione potrebbe far “attraversare” la città, in senso tridimensionale, coinvolgendo con naturalezza i livelli nascosti e gli spazi negletti, sia nel centro sia nelle periferie. La metropolitana offre l’irripetibile opportunità di essere presente in forma capillare nel territorio urbano e al tempo stesso di concentrare un grande numero di utenti; con questo presupposto non è da considerare solo come mez12 A. Farris, F. Lambertucci, A. Grimaldi (a cura di), Archeologia per chi va in metro, Quodlibet, Macerata, 2019.
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zo di trasporto ma anche come veicolo di in/ formazione e conoscenza della città stessa. Ogni stazione offre l’occasione per integrarsi alla zona circostante sia con una con gurazione spaziale mirata al coinvolgimento del contesto, sia con un allestimento in grado di far conoscere agli utenti quel brano di città attraverso l’immagine della sua storia e attualità urbana. In questo modo non solo le aree centrali, ma anche quelle più periferiche possono concorrere a ricomporre l’immagine complessa e variegata di un’identità urbana che spesso sfugge ai suoi stessi abitanti: ogni stazione può diventare un capitolo di una storia di civiltà urbana. Conoscere la propria città, a partire dal proprio quartiere, anche periferico, da cui si prende la metro per raggiungere il centro, diventa il primo strumento di rispetto e quali cazione. L’attraversamento stratigra co dei suoli e dei segni della storia in essi contenuti deve concretamente tradursi in spazialità capaci di parlare agli utenti raccontando la storia dei luoghi che si stanno per raggiungere o lasciare. Per i visitatori un sistema di metropolitana allestito per far comprendere la città che si attraversa può essere non solo di grande utilità in termini di servizio, ma anche di potenziale forte attrattività, grazie all’enorme patrimonio disponibile, di cui i poli urbani, monumentali e artistici coinvolti, rivisti nei loro statuti, costituirebbero dei veri e propri hub turistico-culturali13: la rete di trasporto deve dunque farsi rete di conoscenza come vettore di valorizzazione. Ora che la tratta urbana della Linea C sta nalmente entrando in centro storico le occasioni da cogliere si fanno più urgenti e importanti: le prossime stazioni di Fori Imperiali e Venezia dovrebbero divenire teatro di una performance all’altezza dell’eccezionalità dei luoghi. Quella di piazza Venezia ad esempio, sarebbe l’epicentro di un irripetibile concentrazione di fatti urbani di eccezionale qualità e importanza, se la rete ttissima di luoghi che giacciono tutti alla stessa quota di 4 o 5 metri sotto il piano stradale attuale venisse attiva13 È un fatto, d’altra parte, che la bellezza delle stazioni di metropolitana possa essere stimato come apporto positivo al quadro economico della realizzazione, come dimostrato da recenti studi condotti sull’esperienza della metropolitana di Napoli. Vedi: Cascetta E., Cartenì, A., Henke I. (2014), “Stations quality, aesthetics and attractiveness of rail transport: empirical evidence and mathematical models” (“Qualità delle stazioni, estetica e attrattività del trasporto ferroviario: evidenze empiriche e modelli matematici”) in Ingegneria Ferroviaria (pp. 307-32).
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ta in una spettacolare piastra di percorrenza continua sotto il caos della piazza14, e anche la copertura a protezione degli Auditoria, portati alla luce proprio grazie alla stazione, potesse uscire dai limiti del dispositivo tecnico e dell’ipocrisia del “minimo impatto”, per proporre invece una presenza coerente con un’idea di città in grado di continuare a riscrivere se stessa. “La penetrazione sotterranea sino a piazza Venezia, segna il principio di una linea che risolve tutte le gravi questioni della circolazione e del traffico, dei monumenti, dell’estetica, del commercio, delle tradizioni e della Roma d’oggi”: sono parole della giunta Nathan, luglio 191115. © Riproduzione riservata
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Archeo-stazione San Giovanni, linea C di Roma, o dell’archeologia pubblica di Andrea Grimaldi
Negli ultimi anni lo spazio pubblico sembra subire una sorta di cambio del proprio statuto e questo perché sono gli stessi abitanti delle città con le loro nuove abitudini a modi carne il senso e il modo di viverlo. La stessa idea di spazio pubblico sta perdendo il connotato di luogo rappresentativo delle comunità che ha rivestito per anni, insidiato sempre più dalle piazze virtuali che si sostituiscono agli spazi sici dell’incontro e del confronto.
Sul concetto di spazio pubblico Se prendiamo come assunto di questo nostro ragionare l’affermazione di Aristotele che nella sua Politica de niva l’uomo un animale sociale, comprendiamo quanta importanza possa avere un cambio di paradigma come questo relativamente al concetto di spazio urbano, spazio pubblico per antonomasia, con conseguenze signi cative per il modo di abitare e dunque vivere le nostre città. Gli atti del condividere e comunicare sono sempre stati parte essenziale dell’abitare i luoghi pubblici. L’interazione tra le due azioni ha concorso sicamente a plasmare quella famiglia di spazi che de niamo urbani perché partecipi dell’organizzazione e struttura formale della città; tra questi il luogo espressione per antonomasia di questa comunanza e appartenenza ad una comunità è stata la piazza, struttura formale così importante per la storia e la cultura urbana del nostro paese. In tempi però in cui le piazze virtuali, come già accennato, sembrano assorbire tutte le nostre curiosità, bisogni di partecipazione condivisa e scambio di informazioni, esistono ancora luoghi sici della città contemporanea che riescono a svolgere il ruolo di catalizzatori di socialità producendo empatia umana? Luoghi dotati di una chiara identità, capaci di conquistarsi, nel panorama emotivo dei cittadini, una riconoscibilità e una attrattività quali luoghi di quella socialità animale di cui parlava Aristotele - che tradurrei
Archaeo-station San Giovanni, line C of Rome, or public archaeology by Andrea Grimaldi
In the contemporary city, is the subway station a public place or is it an atopic space with no relationship of identity to the city it serves? Is it a basic utility structure or can it aspire to be something else? For several years, international architectural culture has been questioning these issues by creating stations that seek to express site-speci c solutions. From this point of view, archaeology, which for years was considered an unfortunate setback every time it reappeared during the excavation of a building site, is now becoming a stimulus to the creation of speci c spaces. Archaeology as history concealed underground in Europe’s historic cities is painstakingly changing its meaning and value. Despite this change of paradigm, there have been few cases so far in which the archaeological question has become a real resource: an instrument capable of transforming the substantial atopic condition of metropolitan hypogea. The construction of the San Giovanni station on line C of the Rome underground was the rst case of restitution, through the arrangement of the internal spaces, of the archaeological data, conceived as the foundation for the identity of the entire station space. Getting off the train tracks or walking up to the city becomes a journey through the history of the place in time and space, displayed in a binary narrative of texts and material presented graphically with an exhibition of archaeological nds.
Nella pagina a anco, in alto: pianta dell’atrio della stazione; al centro: pianta del piano delle corrispondenze; in basso: l’atrio della stazione San Giovanni della linea C (foto di Nicolò Sardo).
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in socialità corporea e sensoriale - e che sembra essere l’unica modalità attraverso la quale generare un confronto pienamente umano tra le persone? Sono domande cui non è semplice rispondere. Di certo, con l’avvento di Internet e soprattutto dei dispositivi di comunicazione personali, sempre più ricchi di offerte per l’appunto social, si assiste oramai da diversi anni ad un signi cativo e rapido cambiamento delle dinamiche di fruizione degli spazi e di comunicazione tra individui. È un cambiamento di natura antropologica importante e da non sottovalutare che avrà, per le future generazioni, ricadute signi cative nel modo di vivere i rapporti interpersonali ma anche di vivere gli spazi pubblici delle nostre città. Sino a che punto questi cambiamenti trasformeranno le nostre società occidentali? Sino a che punto modi cheranno la nostra esigenza di contatto, di empatia tra le persone: il bisogno atavico di sentirsi e riconoscersi sicamente come animali sociali? Siamo talmente “dentro” questi cambiamenti che è difficile dare risposte che non siano tendenziose. Senza dubbio però possiamo già registrare alcune modi cazioni nei comportamenti della massa dei cittadini, specialmente di quelli più giovani, e non solo di essi: basta camminare per strada o osservare gli utenti dei trasporti pubblici di una qualsiasi nostra città per farne esperienza concreta. Non ci si parla più direttamente, percependo il complesso messaggio che il nostro corpo trasmette, sempre e comunque, attraverso i gesti, le reazioni, gli sguardi. Si comunica sempre di più solo e quasi esclusivamente tramite dispositivi e gli schermi di questi diventano le nestre attraverso le quali guardiamo il mondo e interagiamo con le persone che lo abitano, riduzione fenomenologicamente parlando di enorme portata, compensata in parte dalla potenza del dispositivo che ci consente di entrare in contatto con la globalità del mondo in rete.
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Per una nuova idea di metropolitana a Roma
condizione di maggiore rappresentatività pubblica? Esperienze molteplici in giro per il mondo sembrano rimettere in discussione quello che per molti anni è parso essere il modus operandi cui rifarsi per progettare e realizzare stazioni, specie quelle ipogee delle linee metropolitane: utilizzare cioè un approccio sostanzialmente funzionalista alla progettazione con il quale poco o nulla si lasciava allo sviluppo di possibili ragionamenti che affrontassero tematiche legate alla qualità e percezione degli spazi intesi come partecipi del sistema dei luoghi urbani. I corpi stazione delle prime due linee della metropolitana di Roma, la B inaugurata nel 1955 e la A nel 1980, con le loro discenderie e i mezzanini, sono proprio espressione di quel modo di pensare lo spazio. Esse rappresentano una modalità decisamente superata di guardare agli ambienti di stazione, interpretati in entrambi i casi come meri spazi di attraversamento senza una reale identità e un proprio carattere e dunque incapaci di essere riconosciuti e apprezzati da parte degli utenti come luoghi della città. Gli spazi di stazione delle linee B e A ci appaiono come rappresentanti di un tempo passato molto più lontano di quanto non dichiarino le loro anagra che. Sono, in entrambi i casi, frutto di stagioni in cui il sottosuolo, la dimensione ipogea dello spazio architettonico, veniva sentito come portatore di un carattere intrinsecamente negativo. Epoca in cui la storia millenaria di questa città e la sua ricchezza archeologica venivano viste sempre in contrapposizione con le esigenze di adeguamento tecnologico e infrastrutturale che il ruolo di capitale moderna richiedevano, impedimento ad un progresso che doveva procedere al passo con i tempi e con l’evolversi del resto del mondo. La storia della realizzazione della linea A in questo senso è rappresentativa dell’approccio assolutamente impreparato e privo di qualsiasi strategia che si ebbe nella conduzione dei lavori1 rispetto al patrimonio archeologico ipogeo. Il sentimento della società civile fu signi cativamente rappresentato dalle scene che Federico Fellini dedicò nel suo lm Roma (1972)2 a questi lavori. Fu una
Ma venendo al focus di questo contributo, qual è il ruolo che giocano le infrastrutture della mobilità e in particolare i nodi stazione ipogei nel disegno complessivo degli spazi pubblici contemporanei? Sono soltanto sistemi spaziali meramente funzionali al servizio del corretto uso della città di super cie o il loro statuto sta evolvendosi verso una
1 La cronologia del processo realizzativo è il dato più emblematico e signi cativo: aggiudicazione della gara d’appalto nel maggio del 1960; inizio lavori solo nel dicembre del 1963; inaugurazione della prima tratta nel febbraio del 1980. 2 L’avanzamento della talpa che scava i tunnel per il passaggio dei treni intercetta una magni ca stanza affrescata piena di reperti. Dopo pochi attimi di meraviglioso godimento, degli splendidi materiali non resta
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1 - Le prime discenderie (foto di Guglielmo Villa).
2 - Il piano delle corrispondenze (foto di Nicolò Sardo).
fantastica allegoria del modo con il quale si percepiva la realizzazione dell’infrastruttura di trasporto: un’ opera che oltre a trascinarsi nel tempo con lungaggini in nite, distruggeva il passato senza lasciarne più traccia né memoria. Fellini dava rappresentazione artistica all’apparentemente inconciliabile confronto tra le esigenze di tutela del nostro aulico passato e i bisogni contemporanei di adeguamento alle nuove esigenze del vivere contemporaneo. L’esito di quel periodo di scavi, vissuto dagli operatori con il fastidio di chi li percepisce come impedimento al regolare procedere dei lavori, non produsse nulla né in termini più nulla: il contatto con gli agenti atmosferici di super cie li ha polverizzati in pochi secondi.
di qualità degli spazi né di valorizzazione dei reperti ritrovati. Chi oggi si trovi a percorrere gli ambienti di una qualsiasi stazione tra quelle ubicate nella zona centrale di Roma delle linee A e B delle metropolitane, linee che in fase di realizzazione intercettarono aree di rilevante interesse archeologico, non troverà traccia di quella stagione di scavi né delle storie che i reperti avrebbero potuto narrare, con il risultato che gli ambienti appaiono quali luoghi atopici, senza né anima né carattere, frutto di mere elaborazioni, lo ribadiamo ancora una volta, solo apparentemente funzionali. Con la sensibilità odierna, prodotto di quella lunga stagione di confronti teorici tra paladini della conservazione e portatori delle istanze della contemporaneità, quelle stazioni appaiono come occa-
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3- Teca espositiva al piano delle corrispondenze (foto Metro C).
4 - Il piano delle corrispondenze (foto di Nicolò Sardo).
sioni perse per sperimentare in concreto le possibilità di una sintesi tra opposti che lo spazio architettonico, quando pensato, è in grado di esprimere. Troppo spesso gli spazi, specie se vocati ad una funzione pubblica di servizio e ad alta frequentazione, non sono pensati come “luoghi” della città. Sovente si immaginano come ambienti anche esteticamente interessanti, che mettono in scena il loro essere al servizio della città e delle sue esigenze di mobilità attraverso l’uso di una estetica efficientista con la quale però si perde la possibilità di esprimere il carattere topico dei luoghi, carattere che è dato proprio dalle speci cità del sito e con il quale è possibile costruire invece, una immagine capace di comunicare identità e conseguentemente generare, se riconosciuta, senso di appartenenza. Oggi per fortuna le cose appaiono sotto una luce diversa. La consapevolezza dell’ar96
cheologia come valore e non come rischio sembra nalmente aver fatto breccia sia nel comune sentire sia nei responsabili delle amministrazioni appaltanti: ed è proprio grazie a questo cambio di sensibilità che si sono poste le basi per avviare un nuovo e diverso protocollo di gestione degli scavi a partire dalla realizzazione della nuova linea C della metropolitana di Roma. La linea C parte dalla località Pantano come linea di super cie, scende in ipogeo a partire dalla stazione di Torre Maura e giunta a San Giovanni, primo nodo di scambio con la linea A, entra nella zona più antica della città fermandosi, per il momento, alla stazione Fori imperiali/Colosseo, fondamentale nodo di scambio con la linea B che chiude la triangolazione tra le tre linee. Il tracciato di progetto prevede di proseguire sino alla stazione Clodio/Mazzini dopo aver intercettato nuovamente la linea A ad Ottaviano, esser-
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si fermata nella stazione Risorgimento (nei pressi di Castel S. Angelo) e prima ancora in quella di piazza Venezia. In questa visione di ampio respiro strategico, la stazione di San Giovanni costituisce, utilizzando le parole dell’allora Soprintendente Francesco Prosperetti, la porta di accesso al centro storico di Roma e come tale è stata la prima stazione a vedere applicata in maniera estensiva la nuova metodologia di scavo basata sulla cosiddetta “archeologia preventiva”3 che prescrive, dopo un’ampia campagna di carotaggi, una successiva conduzione dei lavori dove squadre di edili sono quotidianamente affiancati da squadre di archeologi con l’obiettivo di eliminare le sfasature e i ritardi rispetto ai cronoprogrammi ipotizzati nella fase di progettazione iniziale, ritardi che nel passato sono sempre stati imputati ai ritrovamenti archeologici. La prima operazione che ha dato avvio ai lavori è stata la messa in opera di grandi paratie in cemento armato che hanno delimitato il sedime su cui insiste la stazione consentendone in fase successiva lo scavo in condizioni protette. Man mano che si è proceduto verso il basso si sono montati i solai con funzione di controventamento delle paratie in modo da mantenere la stabilità dell’intera area di cantiere. Lo scavo, condotto con metodo stratigra co, è proceduto con dispositivi meccanici quando le condizioni lo hanno consentito e a mano nelle fasi più delicate. La successione delle attività di lavoro ha previsto, dopo lo scavo, la documentazione, il rilievo, il restauro, la delocalizzazione delle strutture archeologiche con lo smontaggio controllato e la conservazione dei reperti mobili allocati in appositi magazzini. Questa nuova procedura, se dal punto di vista della conduzione del cantiere ha garantito una grande ottimizzazione dei costi e dei tempi di realizzazione prevedendo e normando, come abbiamo visto, tutte le operazioni di scavo, nulla ha mai indicato relativamente al tema del “come” tradurre in qualità spaziali la ricca storia che i reperti restituivano. Come rendere comprensibile questo passato in termini contemporanei dentro uno spazio che non poteva essere un museo e che doveva funzionare come stazione di una linea di trasporto? Era la questione che rimaneva in sospeso quando con alcuni colleghi della Sapienza 3 Il decreto legge 163/2006 norma le attività che vanno sotto il nome di archeologia preventiva e che devono essere condotte all’interno di un appalto pubblico.
abbiamo avviato una ricerca sul tema degli spazi ipogei all’interno dei sistemi infrastrutturali contemporanei4. Grazie alla collega Sonia Martone del MIBACT che ci ha presentati alla dott.sa Rossella Rea responsabile per la Soprintendenza degli scavi di tutta la tratta T3 della metropolitana, abbiamo avviato una collaborazione mirata ad indagare progettualmente i temi che gli scavi ponevano all’attenzione dei tecnici di Metro C. Con i buoni uffici della Soprintendenza si è avviata una collaborazione anche con loro e grazie a questa condizione di fattiva condivisione d’intenti si è potuta sviluppare una ipotesi progettuale dotata di una buona dose di veridicità. Abbiamo avuto accesso all’area di scavo e l’assistere al ritrovamento di alcuni dei trentamila reperti rinvenuti è stato motivo di grande emozione. Ma anche le nude paratie cementizie con i solai di controventamento aperti per permettere alle gru di cantiere di movimentare i materiali ci hanno profondamente colpito. Come restituire tutto questo mondo di suggestioni in uno spazio che, lo abbiamo già detto, non è un museo ma una stazione di una linea metropolitana, uno spazio cioè in cui gli aspetti funzionali hanno un peso preponderante nelle scelte che de niscono e organizzano gli ambienti? La soluzione ci è apparsa quasi subito piuttosto evidente: la chiave di volta è stata quella di lavorare sul concetto di invaso spaziale e sul tema della sua fodera quale super cie narrativa: piano di restituzione di un racconto incentrato sul tema della ricchezza stratigra ca del luogo, sulla sua storia che attraverso le epoche si è materializzata, strato dopo strato, dalla preistoria sino alla contemporaneità. Da un punto di vista urbano il nostro progetto di ricerca proponeva l’idea di recuperare al sistema degli spazi pubblici della città l’emergenza archeologica di Porta Asinaria, splendido esempio di quel sistema di accessi che punteggiavano il perimetro delle mura Aureliane e che oggi sarebbe potuta tornare a svolgere un ruolo attivo all’interno dei ussi vitali della città con il compito di cerniera tra gli spazi della città di super cie e quella che in uno scritto ho de nito la città omologa5, la città ipogea al di sotto della prima. La quota su cui insiste la porta è sostanzialmen4 La ricerca ha prodotto una pubblicazione curata da P.V. Dell’Aira, P. Guarini, A. Grimaldi, F. Lambertucci dal titolo Sottosuoli urbani. Il progetto della città che scende, Quodlibet, Macerata, 2015. 5 A. Grimaldi. Gli ipogei metropolitani o della città omologa. Ri essioni sui caratteri identitari degli ipogei urbani. In, Sottosuoli urbani, op. cit.
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5 - Il piano delle corrispondenze (foto di Nicolò Sardo).
6 - Le seconde discenderie.
te la stessa degli atri di stazione delle due linee metropolitane (la A e la C) e ne avrebbe potuto costituire il degno segnale a scala urbana. Uscire dagli ambienti circoscritti delle metro, trovarsi dinanzi alla maestosità della porta, attraversarla per poi risalire alla quota contemporanea scoprendosi di fronte alla basilica di San Giovanni avrebbe costituito, parafrasando Luigi Moretti, una “sequenza maestra” d’incredibile intensità emotiva. Attraverso la porta il sistema degli spazi ipogei avrebbe trovato un modo estremamente uido di relazionarsi con il contesto urbano. Alla estremità opposta, su largo Brindisi, l’altro ingresso principale al sistema degli spazi ipogei degli atri di stazione avrebbe riproposto l’idea di piazza ribassata, luogo di raccolta e indirizzamento dei ussi pedonali della città di super cie e spazio di mediazione tra i due livelli a valenza urbana. Ma come restituire, alla luce dei ragionamenti iniziali, un carattere identitario a questi spazi ipogei; come renderli gurativamente partecipi di quel mondo meraviglioso che la Roma in super cie esprimeva con tutta la sua 98
forza plastica? Il progetto che nel frattempo si andava realizzando in realtà non affrontava la questione. All’attenzione per l’archeologia quale patrimonio, in fase di scavo, non corrispondeva una stessa attenzione in termini di qualità dello spazio restituito alla fruizione degli utenti. Non vi era nessuna idea di valorizzazione e comunicazione. Gli ambienti di stazione stavano riproponendo la stessa immagine coordinata della linea con la sola eccezione di un locale ubicato alla quota dell’atrio con funzione di piccolo antiquarium. Non ci sembrava il modo giusto di affrontare il problema. Quel luogo esprimeva un fascino del tutto particolare che stava emergendo proprio dall’azione dello scavare, da quella operazione di sottrazione di materia che nel rivelare e de nire uno spazio delimitato restituiva lacerti di storie passate. Lo scavo stratigra co ricostruiva in maniera scienti ca le relazioni dimensionali, il peso e la consistenza del succedersi delle diverse fasi storiche, del loro strati carsi e sedimentarsi; ne riportava alla luce le tracce materiali prodotte dalle manifestazioni della natura
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e dalla vita degli uomini. Il carattere di quel luogo era tutto lì, in quel concetto di straticazione signi cativamente rappresentato da un elaborato delle archeologhe che restituiva il succedersi delle fasi dalla quota del piano banchine sino al piano dell’atrio. Il nostro progetto è partito da questo: dall’idea di restituire agli utenti distratti della metropolitana il senso della storia millenaria della città e di questo luogo in particolare. Dovevamo riuscire a comunicare, attraverso il lavoro sulla fodera dello spazio, il senso dell’essere “dentro la storia”, di farne parte anche nel momento in cui si fossero salite o scese le scale da o verso le banchine dei treni con in mano il nostro smartphone. Occorreva trovare il giusto equilibrio tra forme, gure e colori; occorreva trovare il modo di restituire un’idea di spazio, più che di sommatoria di super ci, atmosfericamente comunicativo. Uno spazio dotato di una chiara identità graca che parlasse di quello che esso era stato nel corso dei millenni. Uno spazio sico che restituisse un sistema di variabili descrittive coordinate tra loro in modo sufficientemente chiaro e comprensibile tali da venire a costituire una sorta di traduttore fenomenico percettivo della complessità storico stratigra ca del luogo. Questa è l’idea alla base del progetto che ha convinto il soprintendente Francesco Prosperetti e che siamo riusciti a realizzare6. I nostri ragionamenti sulle relazioni tra città di sopra e città di sotto non hanno invece fatto breccia nella complessa macchina che gestisce le decisioni e gli interventi sulle infrastrutture trasportistiche di Roma. Da un punto di vista operativo il progetto ha lavorato sulla messa a punto di una serie di registri gra co-narrativi immaginando che dovessero concorrere alla costruzione di un contesto spaziale identitario7. Lavoro sulla super cie come lavoro sul coordinamento gra co-comunicativo dello spazio. Il primo di questi registri ha dato luogo allo stratigrafo, barra di misurazione spaziotemporale che accompagna i viaggiatori 6 Il gruppo di progettazione è stato condotto dai proff. Andrea Grimaldi e Filippo Lambertucci responsabili della progettazione degli allestimenti e degli interni, con gli architetti Livio Carriero (dottorando), Amanzio Farris (PhD), Valerio Ottavino (PhD), Leo Viola (PhD) e Samuel Quagliotto (dottorando). Il progetto gra co della stazione ha avuto il contributo fondamentale del prof. Carlo Martino con le dott.sse Sara Palumbo e Delia Emulo. 7 Cfr. R. Bocchi, “Esercizi per la conquista dello spazio” (con G. Filindeu), in Sul mostrare, a cura di M. Borgherini e A. Mengoni, Mimesis, Milano 2016, p. 238.
all’interno degli ambienti di stazione e che, al momento della sua visione, consente di collocarli in relazione alla quota urbana. Lo stratigrafo assume una diversa colorazione in funzione della fase storica in cui ci si trova rendendo immediatamente percepibile il loro succedersi e strati carsi. Un secondo registro gra co-narrativo ha lavorato su di una selezione di immagini estrapolate tra le migliaia di reperti archeologici rinvenuti che, restituite con un processo di gra cizzazione fuori scala, hanno assunto il ruolo di gure iconiche rappresentative della loro epoca. Anche qui il colore è intervenuto a rendere maggiormente parlanti le immagini collegandole inoltre alle fasi storiche di pertinenza. Un terzo importante registro gra co-narrativo è stato quello dei testi che hanno concorso al rafforzamento della funzione di localizzatore spazio-temporale dello stratigrafo. I criteri con i quali si sono organizzati i contenuti testuali sono stati: da un lato quegli eventi che storicamente hanno segnato delle importanti tappe nella dotazione infrastrutturale della città di Roma o ne hanno caratterizzato alcuni passaggi signi cativi dal punto di vista storico e sociale; dall’altro, in maniera più puntuale, tutte le trasformazioni dell’area su cui ora insiste il corpo stazione con particolare riguardo al tema dell’acqua che per lunghissimo tempo vi è uita condizionandone il paesaggio. Un quarto, fondamentale e ultimo registro narrativo è stato quello dei reperti archeologici non più raccolti all’interno di un unico locale ma esposti diffusamente all’interno degli ambienti di stazione. La narrazione spaziale si sostanzia così del valore sico dei materiali archeologici, materiali ricollocati alle quote di ritrovamento e riproposti attraverso chiavi di lettura (il reperto riciclato; i frammenti raccontano; l’enigma del bollo; vivere con l’acqua; arrivano le pesche) che ne esplicitano e rafforzano la capacità signicante e soprattutto comunicativa. La stazione San Giovanni nel suo complesso si de nisce come un enorme dispositivo spazio-temporale in cui la dimensione dello spazio sico restituisce un ordine agli accadimenti della vita proponendosi come una nuova forma di spazio pubblico, spazio ibrido, capace come tale di adattarsi auspicabilmente al uire della vita dei futuri abitanti di questa nostra incredibile città. © Riproduzione riservata
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Archeologia, paesaggio e città, un’opportunità reciproca di Paolo Desideri
Il progetto della stazione Metro Amba Aradam-Ipponio prende spunto dal ritrovamento, durante i lavori di scavo, di rilevanti ritrovamenti archeologici avvenuti in due fasi principali di scavo che hanno riportato alla luce i resti degli accasermamenti della cosiddetta Legio Hadriani. Si tratta di strutture di ricovero per le legioni militari stanziali a Roma o in trasferimento tra le remote zone dell’Impero romano, del I e II secolo dopo Cristo: degli accasermamenti non speci camente destinati a una legione residente, ma disponibili alle movimentazioni delle molte legioni militari attive in quel periodo: la Victrix, costruttrice del Vallo in Britannia, e la Traiana che Adriano spostò in Egitto, e la Legio X che sedò la rivolta in Giudea, e la Legio VII Gemina, e la Legio IIII Flavia e le tante altre di cui disponeva la formidabile macchina militare dell’Impero romano. La struttura militare, parzialmente demolita dagli stessi Romani dopo la realizzazione delle Mura Aureliane (270-275 d. C.), è disposta su due livelli: la prima fase di scavo ha riportato alla luce la parte “superiore” del fabbricato rinvenuta 8 metri al di sotto dell’attuale quota urbana, costituita da un lungo corridoio di distribuzione e da un sistema di semplici stanze. La seconda fase degli scavi, a una profondità di circa 11,30 metri nel sottosuolo, ha consentito il ritrovamento delle strutture inferiori, di fattura decisamente più importante per la qualità delle niture e per la presenza di una sala triclinio, che verosimilmente doveva essere utilizzata come casa del comandante della legione. La struttura edilizia dunque era adagiata alla scarpata del terreno che in lieve pendenza decorreva verso le Mura Aureliane poste dinanzi alla breve distanza di circa 80 metri e che si dispiegavano con andamento parallelo alla struttura edilizia. Tra gli accasermamenti e le Mura, quasi al piede di queste ultime, sono state ritrovate tracce del basolato che doveva, dal basso, servire di accesso alla caserma.
Archaeology, landscape and city: a mutual opportunity by Paolo Desideri
The project for the Amba Aradam-Ipponio metro station, designed by ABDR (Arlotti, Beccu, Desideri, Raimondo) and soon to be added to the existing 22 stations, is an example of the innovative scope of Roman subway architecture on line C. This station also integrates two different functions, as archaeological museum and public transport, in the same project. The driving factor behind this hybrid project was the discovery of the military structure of the Legio Hadriani (the commander’s villa and soldiers’ barracks) on two levels about 8 and 11 metres below the current urban level, and not far from the Aurelian Walls, brought to light during the excavation work on the metro site. The discovery of these substantial archaeological remains has led to the study of spatial solutions that can reconcile these two functions. In particular, an articulated system of lowered public spaces creates a place where the different routes intersect and branch out that provides separate access to the underground and to the new museum area. The interior of the new station building thus features spaces intended for the metro user, the museum visitor or the simple resident, reclaiming public spaces in the city for public use, enhanced by the historical pre-existent remains and the traces of the past that are so signi cant in this area.. Nella pagina a anco, in alto: vista a volo d’uccello della nuova stazione Amba Aradam; al centro: vista della piazza ribassata; vista dell’ingresso al museo (© ABDR Architetti Associati).
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1 e 2 - Dettagli dei mosaici ritrovati, 2018.
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Il ritrovamento è avvenuto in circostanze impreviste e nonostante la campagna di scavo prescritta dalla Soprintendenza ed eseguita circa 10 anni or sono, prima dell’avvio della cantierizzazione della stazione della metro. Sul luogo è infatti prevista la realizzazione di una struttura essenziale all’intero tracciato di linea. Fino alla stazione Amba AradamIpponio infatti, la linea è stata scavata a cielo aperto, mentre dalla stazione e no all’intersezione con la linea A prevista a Lepanto, la
linea deve necessariamente avanzare con scavo in TBM cioè con la fresa meccanica a sezione costante Tunnel Boring Machine. Di qui, infatti, l’escavazione non può che procedere al di sotto dello strato archeologico senza però causare un’alterazione super ciale del suolo. La cosiddetta “talpa” diviene, pertanto, strumento essenziale per assicurare la realizzazione di una galleria in profondità, 20 metri al di sotto la quota dei Fori Imperiali, vale a dire 40 metri al di sotto la quota urbana di via Amba Aradam. Questa formidabile macchina di scavo, che com’è noto consente congiuntamente di scavare e di trasferire il materiale di scavo al campo base su via Amba Aradam, necessita di una stazione di avvio nella quale è necessario predisporre un grande pozzo di immissione. Le dimensioni del pozzo 110 x 50 ml, scavato a cielo aperto no alla profondità di 40 metri, hanno imposto la realizzazione preventiva di estesissime paratie di pali perimetrali all’interno delle quali effettuare lo scavo no, appunto, alla profondità di 40 metri, per poi di lì partire, con la grande fresa TBM, alla realizzazione del tunnel di tracciato. È stato appunto a valle della realizzazione delle paratie e all’avvio dello scavo che sono stati rinvenuti gli accasermamenti della legione adrianea. Il progetto, elaborato in occasione di un apposito concorso a inviti, opera una generale riorganizzazione della stazione al ne di garantire una separazione funzionale ma non visiva dei manufatti archeologici. Dal punto di vista distributivo e funzionale, il progetto ha perciò l’obiettivo di garantire una separazione spaziale, funzionale e gestionale dello spazio dedicato alla musealizzazione rispetto a quello dedicato alla stazione, assicurando tuttavia la completa continuità visiva grazie a un articolato sistema di vetrate interne che separano la stazione dallo spazio museale: una continuità visiva realizzata anche grazie alla rilevante presenza di spazi pubblici che hanno diretto contatto con l’area museale che in questo modo diventa parte integrante di alcune delle visuali dei nuovi spazi urbani. Dal punto di vista funzionale, tuttavia, il progetto individua percorsi ben distinti e riconoscibili che servono separatamente la metropolitana e la nuova area museale. Per quanto riguarda la valorizzazione dell’importante manufatto degli accasermamenti, il progetto mette in opera una complessa strategia di riorganizzazione, valorizzazione e “restauro” del paesaggio compreso tra le Mura Aureliane e i manufatti archeologici. Si tratta di un breve tratto di territorio rimasto
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inedi cato che nel corso dei diciotto secoli di storia trascorsa ha subito, come grandissima parte del territorio dell’area centrale di Roma, un rilevante innalzamento della quota di campagna che oggi si trova, appunto, a circa 8 metri al di sopra di quella originaria. Questo innalzamento del piano città si percepisce perfettamente a ridosso delle Mura Aureliane che, per un breve tratto e nel fronte interno, risultano ancora erigersi a partire dalla quota originaria a tutt’oggi visibile. Esternamente, al contrario, le Mura risultano, di fatto, il muro di contenimento di questo imponente innalzamento. Per il breve tratto della lunghezza della stazione metropolitana, circa 120 metri lineari, il progetto procede alla rimozione di questo imponente riporto di terreno riconnettendo anche visivamente le rovine degli accasermamenti con le Mura Aureliane. Una sorta di “restauro” del paesaggio originario a partire dal quale si sviluppa la riorganizzazione del nuovo museo e degli accessi pubblici alla stazione. Il progetto insiste su di una vasta porzione di spazio urbano nell’obiettivo di assicurare la necessaria e irrinunciabile funzionalità alle funzioni trasportiste della stazione e alle sue esigenze di cantierizzazione che in questo punto vedono l’inizio della tratta in scavo profondo con la talpa TBM, e allo stesso tempo di assicurare un’articolata riorganizzazione dello spazio pubblico nel quale trovano integrazione storia, ambiente, paesaggio e percorsi pedonali. Punto forte del progetto è il complesso e articolato sistema di spazi pubblici e di spazi
funzionali ribassati, e quindi già all’interno del manufatto della stazione, destinati alla fruizione di un’utenza molteplice e variegata. La stazione deve essere un servizio tanto del passeggero della metropolitana quanto del visitatore del museo o del residente. Il progetto ha infatti l’obiettivo di di restituire alla città degli spazi pubblici di qualità, valorizzati dalle preesistenze storiche e dalle tracce del passato, così importanti in questa zona urbana. Ma per avere un museo indipendente e al tempo stesso integrato con le funzioni speci che della stazione della metropolitana, il progetto ha dovuto studiare una soluzione distributiva tale da consentire di mettere a sistema la quota stradale con i livelli interrati del museo e della metropolitana. Grazie a un nuovo solaio posto alla quota 27.15/26.60, dallo spazio aperto del piazzale Ipponio si passa a un sistema di piazze urbane ribassate che danno accesso all’area museale da una parte e alla stazione metropolitana dall’altra, accompagnando l’utente della metropolitana verso la galleria dei binari alle quote più profonde con un lento avvicinamento. Il percorso passa per lo spazio “ibrido” del livello museale posto alla quota 27.15/26.60: questo livello costituisce il piano di smistamento tra la quota urbana ribassata (area museale) e le quote interrate della stazione. Seppure integrati, il progetto mantiene, come da normativa, una divisione netta tra la parte museale ed espositiva dei ritrovamenti archeologici e il sistema distributivo della stazione della metropolitana. Il museo, visibile dalle grandi vetrate prospi-
3 - Vista interna del museo e della passerella sospesa sui resti della villa imperiale (© ABDR Architetti Associati).
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cienti la piazza ipogea di smistamento dei ussi, è accessibile da un atrio dotato di biglietteria, caffetteria e servizi in cui si entra dalla piazza della metropolitana. Dal livello museale, si accede alla metropolitana attraverso i tornelli posti a una quota inferiore di 23.30 mt. 104
La combinazione di queste due funzioni, la metropolitana e il museo, ha comportato due fasi di realizzazione dovute, anche, alla necessità di integrare il sito archeologico e il nuovo museo con le Mura Aureliane, che ancora oggi sono quasi completamente interrate al di sotto della quota urbana della città.
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Un nuovo spazio pubblico per la ricomposizione del paesaggio anticocontemporaneo La stazione Amba Aradam, che presto si andrà ad aggiungere alle 22 già aperte, è un ulteriore esempio dell’innovazione che contrassegna le stazioni della metropolitana romana della linea C. L’impulso che la costruzione di questa nuova linea di attraversamento dà alla scoperta del patrimonio archeologico fa sì che il progetto delle stazioni si arrichisca di un importante valore aggiunto. La realizzazione di una metropolitana in una città così ricca di testimonianze archeologiche, in buona parte non ancora portate alla luce, non è soltanto una s da tecnologica, oggi consentita dall’utilizzo delle talpe TBM “modello Roma”, è anche l’occasione per inventare una nuova forma di spazio pubblico e per dare una diversa identità spaziale a quei luoghi che sono quotidianamente utilizzati dai viaggiatori urbani. In tal senso non c’è da meravigliarsi che una stazione situata tra San Giovanni e piazza Venezia, in un settore particolarmente ricco di resti archeologici, sia tra quelle maggiormente implicate in un discorso di invenzione tipologica e rinnovamento forma/funzione. D’altro canto era prevedibile che una linea della metropolitana che passa al di sotto della città antica dove scorreva l’antico ume dell’acqua Crabra, poi scomparso, avrebbe impattato con dei resti archeologici con la conseguenza di
dover fare delle modi che mano a mano che le indagini portavano alla luce i resti della città romana. Ma l’integrazione dell’archeologia nelle stazioni della metropolitana è quanto aggiunge valore al progetto della mobilità pubblica romana consentendo di dare qualità a questi luoghi dell’architettura della città, piccoli e diffusi. Progettare dunque un museo dei Castra Hadriani ha consentito di arricchire lo spazio della stazione con un’altra funzione, quella espositiva, e di trasformare lo spazio ribassato della piazza pubblica accessibile su tre lati, da via dei Laterani, via Frasalo e viale Ipponio, in una hall urbana a cielo aperto dove sostare e incontrarsi, prima di muoversi per andare al museo o alla metropolitana. Così, sullo sfondo delle Mura Aureliane e della basilica di San Giovanni, la stazione ricostruisce una fusione tra passato e presente, tra antico e contemporaneo con un’abile divisione degli spazi, senza creare fratture con il paesaggio circostante ma, al contrario, ricostruendone l’unitarietà spaziale interrotta.
4 - Nella pagina a anco, in alto: sezione trasversale della stazione (© ABDR Architetti Associati). 5 - Nella pagina a anco, al centro: pianta della piazza ribassata con gli accessi al museo e ai binari (© ABDR Architetti Associati). 6 - Veduta notturna della stazione Amba Aradam (© ABDR Architetti Associati).
© Riproduzione riservata
Stazione Amba Aradam-Ipponio, in corso di realizzazione. Appaltatore: Consorzio Metro C. Progetto preliminare, de nitivo ed esecutivo: ABDR Architetti Associati ( ML. Arlotti, M. Beccu, P. Desideri, F. Raimondo) con M. Merlo.
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La scommessa del Grand Paris Express di Anne Grillet-Aubert
Nel giugno 2008, Nicolas Sarkozy, allora presidente della Repubblica francese, ha aperto una consultazione internazionale dal titolo Le Grand Pari(s) de l’agglomération parisienne per il futuro della regione Ile-deFrance. L’omofonia tra pari (scommessa) e Paris preludeva a numerosi altri equivoci e ambiguità tra i progetti spaziali istituzionali e urbanistici. Dieci gruppi internazionali di architetti sono stati chiamati a dare risposta al difficile esercizio di immaginare la metropoli post-Kyoto e di dare una forma al territorio regionale. Il primo risultato dell’evento mediatico non è stato tanto un progetto urbano quanto un progetto infrastrutturale: il Grand Huit (il Grande Otto) che pre gura il Grand Paris Express (GPE), l’attuale progetto di metropolitana. Il Grand Paris Express prevede la creazione di 200 km di nuovi binari cioè il raddoppio della lunghezza dell’attuale rete metropolitana e 68 stazioni, i cui tre quarti saranno interconnessi con la rete ferroviaria esistente. La linea di metro 11 sarà prolungata no a Noisy-Champs e la linea 14, che ora attraversa Parigi in diagonale, no a Pleyel a nord e Orly a sud. Quattro nuove linee (la 15, la più vicina a Parigi comprende tre archi a nord, ovest e sud, e più lontane dal limite amministrativo di Parigi quattro linee (le 16, 17 e 18) serviranno la metropoli. Quest’ambizioso progetto, il più grande progetto infrastrutturale d’Europa, va di pari passo con numerose innovazioni tecniche e notevoli progetti architettonici di stazioni. In questa sede esamineremo i legami dell’infrastruttura ferroviaria con lo sviluppo urbano. Il GPE si inserisce in un contesto di riorientamento delle politiche dei trasporti verso una mobilità decarbonizzata e implica la riforma strutturale dell’organizzazione territoriale della “regione capitale” nel momento in cui si de nisce un nuovo piano territoriale regionale.
The challenge of the Grand Paris Express by Anne Grillet-Aubert
The Grand Paris Express, currently the largest infrastructure project in Europe, represents the lever for a new development project for the Ile-de-France region, based on the close association between the rail transport network and the regional organization. The Grand Paris Express is part of a context seeking to reorient transport policies and structurally reform the government of the capital region. The redistribution of powers between authorities and the institution of new players are shaking up planning frameworks and reasserts the primary role of the state in urban planning in the Paris Region. New institutional and operational tools promote the reconstruction of the city within the city, based on the principle of densi cation of what already exists; the changes under way are accompanied by new design approaches and the acceleration of current regional dynamics.
Nella pagina a anco, in alto: il Grand Paris Express: le linee della metro anulare in costruzione intorno a Parigi e i progetti correlati (@Société du Grand Paris). In basso: Arc Express: la proposta di metro anulare integrato al Piano regionale del 2008 (© Institut Paris Région).
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1 - Le grand Huit: il progetto di massima della nuova rete di trasporto della Regione di Parigi proposto dallo Stato nel 2009.
Visioni capitali dell’Ile-de-France
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Il principio di un’urbanizzazione associata alle infrastrutture ferroviarie è soggetto a interpretazioni diverse a seconda del contesto, della cultura e degli obiettivi. Il caso dell’Ilede-France è particolarmente interessante al riguardo, poiché attraversa la storia della piani cazione dell’Ile-de-France dall‘inizio del secolo e, in particolare riguarda il piano regolatore del 1965 (SDAURP) con la RER. L’elaborazione di un nuovo piano si svolge in un momento in cui gli obiettivi della piani cazione vengono riorientati, in concomitanza con le discussioni della conferenza nazionale sull’ambiente la cosiddetta Grenelle de l’environnemente1 in linea con l’affermazione dei principi della mobilità a basse emissioni di carbonio e dello sviluppo urbano sostenibile. Il riorientamento degli investimenti a favore del trasporto pubblico, della mobilità pedonale e ciclistica va di pari passo con l’affermazione di due principi: l’urbanizzazione prioritaria dei settori meglio serviti dal trasporto pubblico e la densi cazione della città esistente.
Arc Express e Grand Huit : due progetti in un contesto di riforma istituzionale. All’inizio del ventunesimo secolo, due progetti territoriali realizzati rispettivamente dalla Regione Ile-de-France e dallo Stato si confrontano e oppongono due concezioni della piani cazione e del futuro dello spazio regionale. Questi piani sono stati de niti in un contesto di riforma istituzionale in cui s’incrociano tre tipi di processi: - Il decentramento avviato in tre momenti, distanti tra loro dieci anni e segnati dalle relative leggi nazionali2: nell’Ile-deFrance il loro sviluppo è tardivo e non del tutto realizzato: infatti, lo Stato trasferisce alla Regione la responsabilità del piano territoriale solo nel 1995 e con l’obbligo di concertarlo. (Lebreton, 2008); - il contraddittorio interventismo statale volto a recuperare il controllo del processo di sviluppo dell’Ile-de-France; - la de nizione di un terzo livello di governo del territorio: la scala metropolitana, nora assente dal paesaggio amministrativo e dalla piani cazione. La Città di Parigi ha lanciato nel 2006 un pro-
1 Le Grenelle de l’environnement è una serie di incontri politici sull’ambiente organizzati nel 2007 che hanno portato alla redazione dell’omonima legge. Grenelle impone una riduzione del 20% delle emissioni di CO2 nel settore dei trasporti e raccomanda un trasferimento modale verso il trasporto pubblico.
2 I tre atti di decentramento corrispondono all’atto 1 nel 1982 sotto la presidenza di François Mitterand, all’atto 2 del 2003 sotto la presidenza di Jacques Chirac e in ne all’atto 3 sotto la presidenza di François Hollande. https://www.vie-publique.fr/dossier/38481-la-decentralisation-et-les-reformes-territoriales
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cesso politico con la Conférence métropolitaine, che riunisce Parigi e i comuni di periferia. Nello stesso tempo, il processo legislativo si svolge per impulso dello Stato con l’obiettivo di rafforzare la dimensione metropolitana che culmina nella legge MAPTAM promulgata nel 2014 e nella creazione della Métropole du Grand Paris nel 2016. La Métropole du Grand Paris, riunisce i comuni interessati e al loro posto esercita competenze nel campo della piani cazione del territorio metropolitano. Tuttavia, il dibattito sul piano territoriale regionale precede l’istituzione di questo quarto attore così scomodo per la città di Parigi, la Regione e lo Stato, cioè i principali attori del dibattito sulla metropoli. Un nuovo piano, lo SDRIF3, è convalidato dalla Regione nel 2008. Il documento prevede Arc express, una metropolitana sotterranea anulare che collega la rete RER intorno a Parigi in continuità con l’idea di una rete di trasporto su rotaia prevista n dagli anni ‘70, in particolare a partire dal piano SDAURIF4 del 1976 (Navarre, 2010). La linea Arc Express è abbastanza vicina a Parigi e rappresenta il supporto di un progetto di sviluppo legato alle esigenze della mobilità, dell’occupazione, della strutturazione del territorio e della rigenerazione urbana attraverso il miglioramento del servizio e la densi cazione delle aree urbanizzate della periferia interna di Parigi. Nello stesso anno, lo Stato affida a Christian Blanc l’incarico di Secrétaire d’Etat dello Svi3 Le schéma directeur de la Région Île-de-France (SDRIF) 4 Le schéma directeur d’Aménagement et d’urbanisme de la Région Île-de-France (SDAURIF)
luppo della Regione Capitale e la consultazione internazionale del Grand Paris è lanciata dal Ministero della Cultura. Allo stesso tempo vengono de niti gli obiettivi programmatici, i progetti di trasporto e gli impegni nanziari. Lo SDRIF viene così denito in concomitanza con due documenti, il contrat de plan Etat-Région 2007-20135, che regola gli impegni di entrambe le parti, e il piano dei trasporti da realizzare. Nel 2011 viene approvato dalla Regione e dallo Stato il Plan de mobilisation des transports. Il documento elenca progetti già programmati ed è destinato innanzitutto a migliorare e potenziare i servizi esistenti: l’estensione della RER E ad ovest di Parigi, l’ammodernamento delle linee RER e del Transilien, i collegamenti tranviari tangenziali sulla circonvallazione a 10-30 km da Parigi, i prolungamenti delle linee della metropolitana e in ne la costruzione di linee di tramway e autobus con corsia preferenziale. Il piano di mobilitazione è integrato all’attuale contrat de plan Etat-Région 2015-2020.
2 - Schema dei principio dei progetti connessi. Terreno acquisito dalla SGP per la costruzione dell’infrastruttura di trasporto (spazio dei binari e stazione, piazzale di stazione - committente SGP) + spazi sotteranei e stazioni (committente SGP) + operazioni di costruzione sul terreno della stazione. Il progetto correlato è concepito e realizzato simultaneamente (altri committenti) = polo della stazione.
Nel 2008 l’iter del piano regolatore SDRIF approvato dalla Regione è fermato dallo Stato, che promuove un altro progetto: il Grand Paris. Si tratta di un piano spaziale e di un progetto istituzionale, esito della riforma degli enti locali avviata nel 2007. L’obiettivo è 5 I contrats de plan Etat Région (CPER) sono stati creati nel 1982 dalla legge di riforma della piani cazione. Il CPER è lo strumento con il quale lo Stato e una regione si impegnano nel programma e nel nanziamento di grandi progetti di sviluppo come i trasporti. In pratica, i CPER determinano il contenuto dei piani di sviluppo.
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di rilanciare la crescita economica del paese attraverso l’affermazione della dimensione metropolitana delle grandi città. È quindi prevista una nuova entità metropolitana nel centro dell’agglomerato urbano. La consultazione internazionale richiesta da Nicolas Sarkozy, allora Presidente della Repubblica, s’inserisce quindi nei due dibattiti sul futuro della città metropolitana e sulla riforma dei poteri locali. Gli elaborati dei dieci architetti internazionali invitati sono presentati in una grande mostra alla Cité de l’Architecture e l’ampia copertura mediatica della consultazione contribuisce alla risonanza del Grand Paris. Al termine della consultazione, nel 2009, tuttavia, lo Stato propone un progetto di metropolitana diverso da Arc Express. La proposta di Grand Huit disegna un largo doppio anello che collega i principali centri di sviluppo economico della regione e attraversa Parigi in diagonale, in corrispondenza con la linea automatica 14, che sarà prolungata a nord e a sud di Parigi. Le stazioni del Grand Huit rappresentano i punti focali di dieci cluster tematici a vocazione internazionale, alcuni dei quali molto lontani dal centro, come la zona dell’aeroporto di Roissy o Paris-Saclay, il nuovo polo di sviluppo economico, centro scienti co e tecnologico lanciato nel 2006 nel sud della regione. Arc Express, invece, si sviluppa nella densa periferia e collega la rete metropolitana nei punti di interconnessione della futura linea con le linee esistenti. Viene aperta una consultazione pubblica che coinvolge lo Stato, la Regione e gli enti locali per confrontare i due progetti. Dopo un anno di trattative parlamentari e di dibattito pubblico, un compromesso viene stabilito con un tracciato dell’attuale GPE che serve sia le dense periferie che i nodi più esterni. Il GPE rappresenta la leva e il perno della legge sul Grand Paris, che struttura giuridicamente il nuovo interventismo dello Stato nello sviluppo della regione capitale. Così, nel 2010, sono state promulgate due leggi di riforma, volte a sempli care l’amministrazione territoriale e a rafforzare la dimensione metropolitana. La prima, la legge di riforma degli enti territoriali, mira a ridurre il cosiddetto millefeuille territorial6 e istituisce le metropoli in Francia. Invece per Parigi viene allora prevista la speci ca legge sul Grand Paris. La legge stabilisce i principi, gli obiettivi e le modalità di attuazione del progetto: 6 L’espressione di « millefeuille territorial » indica la sovrapposizione di poteri nella gestione territoriale francese.
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- Il Grand Paris è un progetto urbano, sociale ed economico di interesse nazionale che unisce i principali territori strategici della regione Ile-de-France. In primo luogo, Parigi è il cuore della conurbazione parigina, e promuove uno sviluppo economico sostenibile, solidale e creatore di posti di lavoro nella regione della capitale. L’obiettivo è quello di ridurre gli squilibri sociali, territoriali e scali a bene cio dell’intero territorio nazionale. Le autorità locali e i cittadini sono coinvolti nello sviluppo e nella realizzazione di questo progetto. - Il progetto si basa sulla creazione di una rete di trasporto pubblico di passeggeri le cui infrastrutture sono nanziate dallo Stato. - Questa rete si basa sui Contrats de développement territorial (contratti di sviluppo territoriale) de niti e realizzati congiuntamente dallo Stato, i comuni e i loro raggruppamenti. Questi contratti contribuiscono all’obiettivo di costruire ogni anno 70.000 unità abitative adattate geogra camente e socialmente nell’Ile-de-France e contribuiscono a controllare l’espansione urbana. - Il progetto del Grand Paris promuove anche la ricerca, l’innovazione e lo sviluppo industriale attraverso i cluster di competitività e il cluster scienti co e tecnologico di Saclay Plateau, di cui viene preservata l’area agricola. - Questo progetto integra un obiettivo di crescita economica per competere con le altre metropoli mondiali.7 Con la vittoria del candidato socialista François Hollande alle elezioni presidenziali del 2012 si cerca una migliore adeguatezza del GPE al Plan de mobilisation des transports come illustrato dal documento di sintesi il Nouveau Grand Paris des transports convalidato nel 2013.
Costruire la città sulla città intorno alle stazioni GPE. Il contrat de plan Etat-Région 2015-2020 assegna 5,3 miliardi su 7,4 miliardi ai trasporti il cui 90% è destinato al pubblico e alle modalità alternative al trasporto su strada (Préfecture de la Région Ile-de France, 2015)8. Il co7 Art. 1 della Loi n° 2010-597 du 3 juin 2010. 8 Préfecture de la Région Ile-de France, Conseil Régional d’Ile-de France, Contrat de Plan Etat-Région 20152020 Ile-de-France, 2015.
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sto del GPE è stato stimato in 22,6 miliardi di euro nel 2013 e in 38,5 miliardi di euro nel 2018, ovvero con un aumento del 51%. L’importanza degli investimenti rispecchia l’inversione radicale dell’orientamento delle politiche di trasporti, che va di pari passo con l’obiettivo operativo di associare strettamente l’urbanizzazione al GPE. A tal ne sono state de nite le modalità di attuazione del piano di sviluppo e istituiti nuovi strumenti operativi. Così, per il legislatore, la futura infrastruttura di trasporto rappresenta la leva di una nuova strutturazione metropolitana e una nuova equità territoriale il cui controllo è di competenza dello Stato. Per raccogliere la s da dello sviluppo, lo Stato ha istituito la Société du Grand Paris incaricata di realizzare il Grand Paris Express, inoltre ha creato una società di gestione regionale, Grand Paris Aménagement, e un ente fondiario con la fusione delle quattro società pubbliche preesistenti su scala regionale chiamato le Etablissement public foncier Île-de-France (EPFIF). La futura organizzazione territoriale si realizza attraverso la densi cazione delle aree urbanizzate attuata su due livelli. A livello regionale, i Contratti di sviluppo Territoriale (CDT) de niscono i progetti elaborati da Stato ed enti per rivitalizzare i territori del Grand Paris9. Così, come scrive C. Gallez (2015), “dare un quadro giuridico alla realizzazione del ‘progetto urbanistico’ va di pari passo con la ride nizione delle prerogative dello Stato”. I 21 CDT di circa 250.000 abitanti coprono da 3 a 5 comuni ognuno e aggiungendo altre aree d’eccezione come le operazioni di interesse nazionale (OIN), create per 9 https://www.cohesion-territoires.gouv.fr/contratsde-developpement-territorial-cdt
decreto, nelle quali l’urbanistica è posta sotto la diretta responsabilità dello Stato10. Nel 2018, solo 14 dei 21 CDT sviluppati erano stati rmati. I CDT devono contribuire al riequilibrio territoriale e alla migliore distribuzione delle attività lavorative, oggi localizzate principalmente ad ovest dell’agglomerato. Tuttavia, le previsioni programmatiche appaiono spesso frutto di un marketing territoriale, spesso incoerente con la realtà dei territori, e in contrasto con una valutazione obiettiva delle possibilità di sviluppo (IAURIF, 2014). Nel 2015, i CDT rmati rappresentano il 33% dell’obiettivo regionale di produzione di alloggi (DREAIF, 2016). L’attuazione appare più rapida al nord, vicino all’aeroporto di Roissy, o a sud della zona agglomerata, intorno a Saclay, il che conferma questi settori periferici come importanti centri di sviluppo economico. Così, il contenimento dello sviluppo concentrato nei dieci cluster del Grand Huit non si è concretizzato. In effetti, più poli di sviluppo sono indipendenti dai CDT (Créteil-MassyEvry) mentre due CDT (Con uences e Sénart) non sono serviti dal GPE. Lo studio dei primi contratti approvati mostra che gli attori locali, quando esiste una dinamica partecipativa, sembrano più desiderosi di destinare questi contratti alla de nizione di un progetto territoriale condiviso che non alla densi cazione dei quartieri delle stazioni. Di conseguenza, il rapporto tra la stazione e il progetto territoriale varia. Per alcuni, la stazione sta diventando un importante polo di attrazione, per
1 - Vista della futura stazione Saint-Denis Pleyel del Grand Paris Express e dell’attraversamento del fascio di binari. ©Sogelym Dixence- Snohetta - Baumsclager Eberle Architeketen Chaix & Morel et Associés-Ateliers 234Mars architectes-Maud Caubet Architectes-Moreau Kusunoki_image Luxigon.
10 Le prime OIN sono state create con decreto nel 2000, seguite nel 2005 dai settori dei tre aeroporti di Roissy, Orly e Le Bourget, poi, nel 2007 altre due: Mantois Seine-Aval e ORSA Orly Rungis Seine Amont e nel 2009 dall’ OIN di Paris-Saclay.
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altri solo un luogo dove i ussi si intensi cano. I CDT si sono allontanati sia dalla logica spaziale che dal principio di coerenza che presiedeva alla loro istituzione.
Riurbanizzare i quartieri delle stazioni Il quartiere della stazione è il secondo livello di articolazione tra la piani cazione urbana e il GPE. Lo SDRIF prevede un aumento della densità del 10% nei comuni senza stazione e del 15% negli altri comuni, con una o più stazioni. Il terreno mutevole disponibile in questi distretti permetterebbe di avviare la costruzione di 10.000-15.000 alloggi circa all’anno in un raggio di 800 metri intorno alle future stazioni. Tuttavia, la riurbanizzazione di questi quartieri pone la questione della gestione delle trasformazioni nelle aree urbanizzate, soprattutto nei settori in cui i terreni sono occupati e in un contesto di forte aumento dei prezzi immobiliari e fondiari (ORF, 2014). Mentre è possibile costruire la città sulla città offrendo programmi di uffici o alloggi di proprietà, sta diventando sempre più difcile bilanciare le operazioni che includono anche strade, alloggi sociali e strutture pubbliche. La difficoltà può essere aggirata in due modi, col controllo dei terreni da parte delle istituzioni fondiarie, oppure con il coinvolgimento di operatori privati in una fase molto precoce del progetto (Baltzer, 2018). L’EPFIF concentra oggi i suoi interventi sui distretti delle stazioni che rappresentano la metà dei suoi impegni. Il suo potenziamento ha generato un numero sempre crescente di alloggi attraverso la vendita di terreni (4.000 unità nel 2012, 6.000 nel 2015 e 7.300 nel 2019). Tuttavia, questa produzione rappresenta solo il 10% della produzione regionale di abitazioni e degli obiettivi ssati dallo SDRIF (EPFIF, 2019). Il secondo modo per aggirare l’ostacolo dei costi fondiari consiste nel guidare gli operatori del mercato. I bandi per progetti urbani innovativi (APUI) si sono moltiplicati dal 2015 su iniziativa della Città di Parigi, della MGP o della regione Ile-de-France, lanciati nell’ambito di concorsi pubblici hanno generano risposte condivise e coinvolto gli operatori immobiliari privati a monte del progetto. Ricordiamo ad esempio Réinventer Paris (Ville de Paris), Inventons la Métropole (MGP) che hanno investito molto nei quartieri delle stazioni. Un terzo dei siti del concorso Inventons la Métropole du Grand
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Paris, vale a dire più della metà della super cie totale considerata dal bando sono vicini a una futura stazione del GPE (Apur, 2019). Un nuovo attore sta ora giocando un ruolo importante nella densi cazione dei quartieri: lo Stato ha affidato la costruzione del GPE alla Société du Grand Paris (SGP) e ha esteso le sue prerogative dal campo dei trasporti a quello della piani cazione. La SGP ha il compito di assistere il Prefetto nella realizzazione dei CDT e nei quartieri delle stazioni, oltre alla costruzione della nuova linea della metropolitana e delle stazioni, delle operazioni correlate realizzate contemporaneamente. Gli edi ci sono generalmente sviluppati con vista sulle stazioni al di sopra del piano terra, che fornisce l’accesso alla metropolitana. Possono essere alti no a 50 metri e corrispondono a programmi di 10.000 mq. Sono in corso nove progetti correlati che rappresentano più di 1.900 alloggi e 32.000 mq assegnati agli operatori immobiliari. Sono stati individuati, inoltre, quasi 200 progetti urbani nei 35 quartieri delle stazioni che apriranno nel 2025 (Apur, 2019). È difficile sapere se i progetti siano stati determinati dal GPE o viceversa, e se da questo dipenda la scelta del sito per la stazione GPE, tuttavia innegabile è la densi cazione dei quartieri. La serie dei distretti di stazione non costituisce però un arcipelago di settori omogenei soggetti a dinamiche simili. Le differenze tra le aree dell’agglomerato sono riprodotte dai progetti in corso, con la concentrazione delle case popolari lungo le linee 16 e 17 e una parte signi cativa dell’offerta di uffici nella zona ovest dell’agglomerato in un contesto comunque incerto. La produzione di uffici ha raggiunto un livello record nel 2019, che solleva lo spettro della sovrapproduzione. Anche lo stato di avanzamento dei progetti ri ette le differenze con le operazioni nella parte occidentale dell’agglomerato urbano che si stanno completando molto più rapidamente. Non è possibile riportare in questa sede le centinaia di progetti in corso. Tuttavia, segnaliamo la stazione di Saint-Denis-Pleyel, che con una stima di 250.000 passeggeri al giorno sarà paragonabile alle stazioni di Chatelet-Les Halles e della Défense. Il progetto si trova al centro del CDT Culture et innovation in uno dei settori più dinamici della metropoli. La trasformazione è in corso da trent’anni dopo la deindustrializzazione, ma il quartiere di Pleyel, separato dalla Plaine di St-Denis dalle ferrovie, è rimasto a lungo ai margini.
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Oggi il progetto urbano prevede la ricostruzione dell’area e la riparazione dei tagli generati dalle grandi infrastrutture di trasporto. Notevole la costruzione di un incrocio progettato dall’architetto-ingegnere Marc Mimram in collaborazione con Thomas Richez.: un ponte che attraversa il fascio ferroviario verso est, collegando i due quartieri La Plaine e Pleyel. Durante i Giochi Olimpici del 2024, il ponte permetterà agli atleti di raggiungere il futuro villaggio olimpico lungo la Senna dallo Stade de France. Dopo i Giochi, il villaggio sarà convertito in abitazioni e ospiterà anche uffici, locali commerciali, negozi, strutture pubbliche e spazi verdi (compreso un parco di circa 3 ettari). Comprende anche la riquali cazione della torre Pleyel, un progetto degli anni ‘70 che ospiterà un grande albergo, un centro congressi e degli uffici. Il lancio del GPE ha dato un enorme impulso al progetto del ponte. L’architetto, Kengo Kuma, vincitore della consulenza per il progetto della stazione di St-Denis-Pleyel, ha progettato un vasto spazio pubblico. La trasformazione dell’area si basa su tutti i nuovi strumenti disponibili. La Société d’Economie Mixte Plaine Aménagement e l’EPFIF hanno creato nel 2014 una società immobiliare, la Foncière commune, al ne di evitare l’aumento del valore degli immobili attraverso la costituzione di una riserva di terreni a lungo termine. È stato lanciato l’APUI Imagine Pleyel per de nire il relativo progetto e il programma misto che prevede lo sviluppo dei 5.000 mq previsti sopra la stazione che occuperà un posto centrale nello spazio pubblico del futuro centro della zona nord della Grande Parigi.
Conclusione Alla luce della densi cazione, le strategie dello SDRIF hanno ottenuto un innegabile successo quantitativo. Tuttavia, il rispetto e il superamento delle prescrizioni del SDRIF sono stati confermati indipendentemente dagli obiettivi. Lungi dal contribuire all’inversione di tendenza e al previsto riequilibrio tra posti di lavoro e abitazioni, la densi cazione contribuisce ad ampliare le differenze e i divari di ricchezza in un contesto di accelerazione dei prezzi di terreni e immobili. Il lavoro in corso mostra anche i limiti di un approccio che rimane in gran parte ancorato a una visione dello sviluppo urbano fortemente dipendente dalle reti infrastrutturali e che ha escluso una vera e propria strategia su scala metropolitana.
Tuttavia, il dinamismo della situazione sta dando origine ad approcci innovativi, soprattutto per quanto riguarda l’approccio fondiario e indica altre forme di coerenza tra piani cazione urbana e trasporti. © Riproduzione riservata
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Un nuovo spazio pubblico: la stazione di Clichy-Montfermeil a Parigi di Federica Morgia
L’area metropolitana del Grand Paris si estende per oltre 814 chilometri quadrati e comprende il territorio di Parigi e 130 comuni limitro , abitati da 7.020.210 persone. La conurbazione, dalla struttura originaria fortemente radiocentrica, ha subito, nel tempo, un progressivo processo di deurbanizzazione e delocalizzazione. Tuttavia, l’attuale scenario territoriale, costituito da un esteso ed eterogeneo tessuto urbano, è attratto nuovamente e con maggiore intensità dal rinnovato centro di gravitazione costituito dalla Ville-Centre di Parigi. Questo cambiamento si può attribuire, prevalentemente, a due ragioni. La prima consiste nel fatto che il centro città, nel quale sono localizzate le principali aziende e centri occupazionali della regione metropolitana, corrisponde ancora oggi al cuore direzionale della città. La seconda è da ricercarsi in un’energia innovativa e propulsiva, in termini di sviluppo sociale ed economico, che è scaturita dall’incremento dello spazio aperto attrezzato e del trasporto pubblico. Da oltre trent’anni molte grandi capitali europee, da Barcellona a Copenhagen, hanno messo al centro delle politiche di trasformazione urbana lo spazio pubblico quale terreno di esercizio della democrazia. Esso è diventato il luogo in cui l’azione pubblica può esercitare una profonda modi cazione e in cui le scelte di governo del territorio possono realizzare i desideri di tutta la comunità. Lo spazio pubblico funziona come condensatore sociale, foriero di pari opportunità e costruttore di partecipazione alla vita collettiva. Gli spazi specializzati – il marciapiede per i pedoni, le piste ciclabili per i ciclisti, le piazze per i monumenti – lasciano il posto a luoghi dove tutto può e deve avvenire contemporaneamente e dove auto, tram, bus, pedoni, ciclisti e monopattini convivono. In questa compagine così variegata di mezzi e spazi, la metropolitana rappresenta l’invenzione urbana più straordinaria del XIX secolo. Essa costituisce il mezzo capace di tene-
New public space: the Clichy-Montfermeil station in Paris By Federica Morgia
The new station, designed by the EMBT studio, is located on the border between two suburban areas, Clichy-sous-Bois and Montfermeil, where however the public space has little structure and is devoid of designed functional elements. The community of inhabitants suffers from a condition of social and cultural marginality and consists mainly of rst-generation French citizens from North Africa, whose average age is signi cantly lower than the average in Paris. The EMBT office is working on a project that actively involves this community, embracing its requests and expectations. The project suggests the creation of a new identity for this place based on enhancing the cultural origins of its citizens, and becomes an opportunity for building a new public space. The square has an extension of approximately 5000 square meters, with an equal surface area of green spaces in the surrounding areas. The canopy supported by thin metal columns, reminiscent of the slender trunks of birch-trees, screens the entrance to the station to the northeast behind the volume of shops. To the west, it covers the service building and continues to extend over much of the square. The station is divided into three levels. The project for the new Clichy - Montfermeil station thus becomes one of the most signi cant elements to tie the suburbs of Paris together with a new ring that actively and consciously connects them because, Benedetta Tagliabue reminds us, freedom is involvement.
Nella pagina a anco, in alto: mappa delle linee ferroviarie metropolitane del Grand Paris Express, 2015; in basso: EMBT, Stazione di Clichy –Montfermeil a Parigi, Planimetria generale dell’intervento, 2019.
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trova a riemergere in super cie. Allo stesso tempo la segnalazione della sua presenza è affidata all’infogra ca e a pochi manufatti che emergono dal sottosuolo: una condizione che, in taluni casi, rende necessario un ripensamento del contesto circostante per rielaborare la scena urbana attraverso l’interpretazione accogliente e inclusiva di differenze e peculiarità1. Questa visione di spazio collettivo e condiviso viene declinata a Parigi a livelli differenti con la ride nizione dell’ambito pedonale delle cinque piazze centrali principali2 e con l’implementazione del trasporto pubblico. L’ambizioso progetto infrastrutturale automatizzato, chiamato Grand Paris Express, sarà costituito da 3 nuove linee, 68 nuove stazioni e si estenderà per 200 chilometri di binari. Il nuovo percorso anulare collegherà quartieri in via di sviluppo attraverso il prolungamento delle linee della metropolitana esistenti e li metterà in connessione con i tre aeroporti di Charles de Gaulle, Orly, Le Bourget, i distretti commerciali e i poli di ricerca; servirà 165.000 imprese e verrà utilizzato da 2 milioni di pendolari al giorno facilitando gli spostamenti tra le periferie oltre che quelli con il centro della città ottimizzando spostamenti e tempi di percorrenza. In questo scenario, le nuove stazioni della metropolitana esuleranno dall’essere meramente luoghi d’attraversamento per raggiungere il treno: per facilitare la loro concezione Grand Paris Express ha fornito agli studi incaricati le linee guida per garantire a tutta la rete coerenza in termini di progettazione, budget e servizi anche per quanto riguarda funzionalità e utilizzo degli spazi, accessibilità ed efficienza dei percorsi pedonali. Il progetto architettonico delle tre stazioni più rappresentative, tra le dieci fermate che costituiscono la linea 16 Saint-Denis PleyelNoisy-Champs, è stato oggetto di una pro-
1 - E. Miralles, Stazione di Takaoka, a Toyama, Giappone, 1993. 2 - EMBT, la Stazione del Centro Direzionale a Napoli, in corso di realizzazione.
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re insieme, collegando spazi urbani spesso slabbrati, privi di carattere e trascurati, parti di città eterogenee per composizione sociale, economie, cultura, conformazione, consuetudini e stili di vita. Nella metropolitana si vive un intervallo di sospensione, si perde l’orientamento, la città scompare e ricompare in fogge diverse nel momento in cui si
1 F. Toppetti, “Spazi urbani. Strategie e tattiche di ritessitura”, in Stili di vita e città del futuro, a cura di A. Capuano e F. Morgia, Quodlibet, Macerata 2020. 2 In Place de la Bastille verrà rimossa la rotatoria, sarà realizzata una pista ciclabile, saranno estese le aree pedonali e saranno riservati degli spazi da sfruttare per eventi artistici temporanei; Place de la République stata completamente pedonalizzata; in Place du Panthéon sono stati rimossi 117 posti auto e alcuni tratti sono diventati pedonali e in Place d’Italie saranno estese le aree pedonali. Inoltre in Place Gambetta verranno ampliati i marciapiedi e la vegetazione e Place des Fêtes sarà una delle isole pedonali a cui si aggiungerà anche l’area della Tour Eiffel. A. Barolini, “Parigi, come si riconquista lo spazio pubblico secondo la sindaca Anne Hidalgo”, in Lifegate 9 gennaio 2017, https://www.lifegate.it/parigi-traffico-bici-pedoni.
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cedura separata condotta attraverso un concorso che ne ha attribuito la progettazione a tre studi di architettura: Saint-Denis Pleyel a Kengo Kuma, Le Bourget RER a Elizabeth de Portzamparc e Clichy-Montfermeil a Benedetta Tagliabue. Quest’ultima stazione diventerà uno dei quattro nodi di scambio più importanti perché collegherà la nuova linea metropolitana con la linea 4 del tram Île-de-France. I lavori di scavo preparatori, iniziati nel dicembre 2016, sono stati completati nel febbraio 2018 dal consorzio Egis Rail/Tractebel, afdatario della realizzazione di tutta la rete, mentre la costruzione delle opere civili, che termineranno nel 2025, sarà costruita da Salini Impregilo. Benedetta Tagliabue sperimenta anche in questa occasione il metodo progettuale che ha affinato nel tempo, n dal 1993, insieme a Enric Miralles, e che si esprime attraverso la produzione di dispositivi iconogra ci eterogenei – schizzi, disegni, modelli, collage, immagini estrapolate da oggetti d’uso quotidiano – messi a reagire tra loro. Strumenti con cui cogliere i molteplici punti di vista delle cose per declinare il progetto rispetto a tutte le variabili che lo investono e che lo intersecano. Cambiare, affinare ed esplorare ogni possibilità rende le architetture prodotte dallo studio EMBT complesse e sfaccettate come caleidoscopi e stabilisce indissolubili relazioni tra progetti, luoghi e architetture realizzate. L’ambito in cui sorge la stazione si trova al con ne tra due aree periferiche, Clichysousbois e Montfermeil, ed è stato oggetto di una grande operazione di sviluppo territoriale i cui primi risultati si sono concretizzati con la realizzazione di complessi residenziali di grandi dimensioni sorti lungo le principali infrastrutture carrabili rispetto ai quali però lo spazio pubblico risulta destrutturato e privo di elementi funzionali progettati. La comunità dei residenti soffre di una condizione di marginalità sociale e culturale ed è costituita principalmente da francesi di prima generazione di provenienza nordafricana con un’età media assai giovane rispetto a quella parigina. Lo studio EMBT inizia dunque a lavorare a un progetto che coinvolge attivamente questa comunità accogliendone le richieste e le aspettative. A partire dalla lettura di una importante traccia che attraversa la piazza costituita dal corso dell’antico Aqueduct de la Dhuis, costruito tra il 1863 e il 1865 da Napoleone III, Benedetta Tagliabue stabilisce le linee guida del progetto che guidano la de nizione dell’esterno della stazione.
L’idea è immaginare un nuovo spazio pubblico che identi chi l’ingresso e costituisca il cuore pulsante del quartiere dove possano nalmente trovare posto luoghi attrezzati per l’aggregazione e le attività all’aria aperta. Nei vent’anni che sono trascorsi dalla prematura scomparsa di Enric Miralles, l’atelier di Passatge de la Pau a Barcellona, composto da più di 50 architetti, diretto con entusiasmo e precisione da Benedetta Tagliabue, adatta e affina coralmente, dalla concezione all’esecuzione oltre 40 progetti l’anno, conducendo con successo la delicata trasformazione dello studio da artigianale a cosmopolita anche attraverso la messa a sistema dell’eredità intellettuale di Miralles con la realizzazione, nel 2011, della Fondazione a lui de-
3 - EMBT, Weaving Architecture, Biennale di Architettura di Venezia, 2018.
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4 - EMBT, Stazione di Clichy–Montfermeil a Parigi, Collage concettuale di progetto, 2019.
dicata3, luogo di studi, archivio dei disegni, ma anche biblioteca, sede di workshop ed eventi culturali. Nell’atelier i progetti, come i componenti di una grande famiglia, si somigliano tra loro e i caratteri genetici dell’uno travasati nell’altro rivelano continuamente nuove parentele. Il progetto per la nuova stazione di ClichyMontfermeil trova in alcuni lavori precedenti il nutrimento concettuale ed esperienziale per il proprio sviluppo. Miralles realizza nel 1993, a Toyama in Giappone, la stazione di Takaoka e racconta: “actuando sobre la realidad modi cando los per les dados… es un trabajo que restablece un nuevo sistema de relaciones y de escalas dimensionales; la estación en la temporalidad del movimiento de los trenes; estos con la avenida; ésta con la plaza; la plaza con los peatones… la construcción es idéntica al deseo de confundirse y a la vez dimensionar el lugar4”. La pensilina stabilisce un nuovo rapporto dimensionale con la strada e l’ingresso stesso della stazione costituendosi come landmark segnalatore ed evocatore del movimento uido dei treni mentre la struttura alloggia il nuovo sistema d’illuminazione. La stazione della metropolitana Centro Direzionale a Napoli, concorso 3 http://www.fundacioenricmiralles.com/bienvenidos/ 4 Le parole di Miralles sono estrapolate dalla relazione di progetto e pubblicate in “El Croquis” n. 72, 1995, p. 66.
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vinto nel 2004 e in corso di realizzazione, insiste sull’impianto dalla geometria forte, parzialmente realizzato da Kenzo Tange negli anni Settanta e ne integra le caratteristiche mancanti rompendo la rigidità della maglia ortogonale e creando connessioni con la città storica tramite la strati cazione del tempo costituita dai ussi delle persone in transito, e dello spazio ossia delle trame della supercie, sotterranee e oniriche che si mettono a reagire insieme. La pensilina, realizzata con una so sticata struttura in legno lamellare, è composta da un sistema a doppia orditura di travi curve nel quale alloggiano i lucernari; una struttura al tempo stesso complessa e artigianale che ha lo scopo - spiega Benedetta Tagliabue - di far arrivare nella City attraverso i treni un frammento della Napoli autentica nella quale i cittadini possano riconoscersi superando le barriere siche e culturali tra centro storico e centro direzionale, tra passato e presente. Anche nel caso della nuova stazione parigina EMBT lavora sulla creazione di una nuova identità per questo luogo a partire dalla valorizzazione delle origini culturali dei suoi abitanti. “Vorremmo trasformare questo luogo grigio e abbandonato” spiega Benedetta Tagliabue “in una piazza vivace e colorata, che ispira gioia e ottimismo, per questo abbiamo elaborato i motivi della pavimentazione e le forme e i colori della copertura sui colori e
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sui motivi decorativi dei tessuti dell’Africa5”. In ragione di ciò lo studio intraprende un costante processo di dialogo con la comunità: gli abitanti inviano messaggi, cartoline e fotogra e attraverso i quali Benedetta Tagliabue costruisce pazientemente un composito apparato iconogra co che possa restituire un paesaggio variopinto tratteggiato dagli stessi protagonisti che abiteranno questo nuovo spazio urbano. Un’anteprima dei primi risultati viene presentata alla Biennale di Architettura di Venezia del 2018, con l’installazione Weaving Architecture6 nelle Corderie. Sotto un baldacchino costituito da una leggera struttura reticolare dal modulo triangolare, in quercia rossa americana e bra di vetro, sono disposte montagne di cuscini sulla cui super cie sono state stampate le immagini provenienti da Clichy. Viene proposto uno spazio accogliente e condiviso che la nuova stazione di Parigi vorrebbe contribuire a creare. L’installazione diviene al tempo stesso l’occasione per esporre il punto di 5 Intervista dell’autrice a Benedetta Tagliabue svoltasi nel febbraio 2020. 6 Progettista: Benedetta Tagliabue-Miralles Tagliabue EMBT, Capo progetto: E. Nedelcu, Architetti Locali: Bordas + Peiro, Paesaggista: Arbor et Sens, con: N. Busto Rodríguez, A. Otelea, A. Mc Clean, L. Lap, G. Mazzeo, V. Mingozzi, A. Grigoletto, L. Miralles, P. Buselli. http:// www.mirallestagliabue.com/project/clichy-montfermeil-metro-station/
partenza del lavoro sulla stazione ma anche motivo di ricerca linguistica e tecnica per la concezione della grande pensilina landmark della nuova piazza, i moduli triangolari che compongono la struttura vengono indagati nelle loro molteplici tipologie aggregative come pure i sistemi di schermatura vagliati, dalle bre vegetali alla lana di vetro. Progettare, per Benedetta Tagliabue, consiste nell’estrarre i caratteri latenti dei luoghi. La capacità di relazionarsi con il tempo nel sovrapporre gli eventi senza gerarchie, come nel caso dell’infrastruttura idraulica e quella meccanica che si strati cano nella piazza, mettendo in luce la capacità dell’architettura di essere letta a sua volta come palinsesto. La pianta, nel lavoro di EMBT, è il riferimento nel quale con uiscono le informazioni che documentano la storia e la geogra a del sito; è il documento dove sono condensati i processi temporali e le trasformazioni spaziali; costituisce, inoltre, elemento di coerenza nel ricercare la giusta dimensione delle cose e l’esatta proporzione tra parti e contesto. Il disegno della piazza scaturisce proprio dall’elaborazione di un’immagine fotogra ca che ritrae il volto di una giovane donna attorno al quale si dispongono gli oggetti che popolano la piazza emergendo dal sottosuolo. Tali volumi ospitano i locali tecnici, gli spazi commerciali de niti attraverso relazioni spaziali reciproche e l’accesso alla hall ribassata
5 - EMBT, Stazione di Clichy–Montfermeil a Parigi, la piazza, 2019.
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6 - EMBT, Stazione di Clichy –Montfermeil a Parigi, lo spazio interno, 2019.
7 - Nella pagina a anco, in alto: EMBT, Padiglione spagnolo alla Expo di Shanghai, 2010. 8 - EMBT, Stazione di Clichy–Montfermeil a Parigi, esploso assonometrico, 2019.
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che costituisce l’ingresso della stazione. Lo spazio della stazione è progettato con lo studio di architettura francese Bordas+Peiro, a partire dai ussi delle persone che percorrono la piazza e scendono verso i binari, poiché disegnare, sostiene Tagliabue, è selezionare linee, il disegno dei percorsi coincide con la forma dell’architettura. Distribuire i movimenti degli abitanti nello spazio, come suggerisce il concept progettuale, è un’operazione simile a quella di pettinarsi e vedere come i capelli si dispongono intorno al viso. I percorsi tracciati spontaneamente dalla gente, interpretati come tracce della topogra a aiutano a de nire il progetto, cancellandone i limiti e stabilendo nuove relazioni con l’intorno. La piazza si estende per circa 5.000 mq e per altrettanti la sistemazione a verde delle aree limitrofe. La pensilina sorretta da agili pilastri metallici, che richiamano il fusto snello di una betulla, scherma l’ingresso alla stazione a nord est alle spalle del volume dei negozi, mentre ad ovest copre il volume degli impianti e prosegue estendendosi su gran parte della piazza, de nita a sud dal parcheggio per le biciclette, proteggendo un’area dedicata al mercato rionale a nord ovest, che si svolgerà a scadenza bisettimanale e che sarà lo spazio più vissuto del quartiere. La tessitura dei pannelli che compongono la pensilina è risultato di una lunga e approfondita ricerca sul modello dei tessuti africani, essi simboleggiano i segni e le iconogra e dell’Africa in un mix di trame, intrecci, colori, luci e ombre. Per la loro realizzazione saranno impiegate bre non in ammabili
e durevoli nel tempo composte attraverso materiali evocativi e identi cativi: il nero del carbonio, il bianco del vetro, la lucentezza del basalto, l’arancione della bra sintetica aramidica di kevral colorato L’ingresso alla hall d’accesso ai binari costituisce il cuore della nuova stazione e avviene attraverso un lento pendio inclinato, organizzato con scale e rampe, che conduce i passeggeri alla quota su tre livelli. La stazione si sviluppa in tre livelli: il primo corrisponde alla reception, alla biglietteria e ai tornelli, a partire da questo la circolazione dei passeggeri procede in uno spazio piranesiano: in un grande vuoto centrale a doppia altezza, illuminato dal lucernario che consente alla luce di scendere n sotto il secondo livello, scale mobili e piattaforme si intrecciano senza incorniciarsi. La discesa nel sottosuolo avviene come in un gioco nel quale i passeggeri, attori principali di questa messa in scena, possono vedersi quasi s orarsi, senza mai toccarsi. Il carattere di questo spazio è dato dal rivestimento del vuoto cilindrico, auto portante costituito da pannelli colorati in bra di vetro, in continuità cromatica e materica con quelli della pensilina soprastante affinché i colori e la luce accompagnino i viaggiatori no al livello dei binari. Coerentemente con quanto già avvenuto per la realizzazione del padiglione spagnolo alla Expo di Shanghai7 del 2010 la progettazione architettonica e quella strutturale si sviluppano in sinergia per ottenere un risultato per il quale la forma libera coincide con la struttura. Come per il progetto cinese lo studio EMBT ha elaborato con Julio Martínez Calzón una so sticata struttura sdoppiando gli elementi tubolari interconnessi per sostenere il courtain wall della facciata, e per sorreggere i pannelli in vimini separatamente, allo stesso modo, per la stazione di Clichy–Montfermeil, gli architetti lavorano a stretto contatto con lo studio di ingegneria Egis per rispondere agli elevati livelli di standardizzazione e ai requisiti qualitativi richiesti La stazione alla quota ipogea assume la forma data dall’intersezione di due circonferenze che misurano 43,60 e 35,15 metri di circonferenza, nell’intersezione tra le due circonferenze è posizionata una trave di cemento armato per la stabilizzazione del sistema strutturale, tale con gurazione con7 Benedetta Tagliabue, Project Directors: Makoto Fukuda, Salvador Gilabert, Design team: Makoto Fukuda, Mattia Cappelletti, Vaiva Simoliunaite, Jack O’kelly, Qiwei Hu, Gabriele Rotelli, Guile Amadeu, 2010.
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sente di ottimizzare le operazioni di scavo sempli candole una volta realizzati i muri di contenimento perimetrali. La creazione di un ambito allargato, la super ce totale della stazione tra spazio pubblico e locali di servizio arriva ad essere di otre 8.000 m2, consente l’alloggiamento del sedime dei binari che, nel loro complesso, misurano 54 metri di larghezza e si trovano a 24 metri di profondità. Connessione, tessitura e intreccio sono le tre parole chiave attorno alle quali ruotano i progetti del padiglione spagnolo alla Expo di Shanghai il cui vuoto centrale allude all’idea d’accogliere popoli diversi in un unico spazio immaginato come un grande abbraccio materializzato utilizzando il vimini come materiale da costruzione e l’installazione Weaving Architecture attraverso la creazione di uno spazio condiviso e partecipato ma anche libero de nito dal grande baldacchino che uttua ed è appeso dall’alto, sotto cui ci si riposa, si parla e ci si sente protetti. Entrambi costituiscono il prodromo per la realizzazione della stazione di ClichyMontfermeil che diventa l’elemento signi cativo per legare insieme le periferie di Parigi attraverso un nuovo anello che le collega attivamente e consapevolmente perché, ci ricorda Benedetta Tagliabue, libertà è partecipazione8. © Riproduzione riservata
8 L’autrice ringrazia Benedetta Tagliabue, Elena Nedelcu e Arturo Mc Clean per averle messo a disposizione disegni, immagini e informazioni sul progetto di Clichy-Montfermeil e sui lavori ad esso correlati.
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L’esthétique du métro parisien : exploration d’une question historique par Arnaud Passalacqua
Les opérations dites de décarrossage de plusieurs stations du métro parisien au cours des années 2010 ont offert l’occasion à nombre de voyageurs de réaliser que les espaces quotidiennement parcourus pour les trajets les plus courants pouvaient réserver des surprises esthétiques. Le grand programme de rénovation que le métro a connu depuis le début du XXIe siècle a en effet fait le choix de démonter ces cadres métalliques installés dans les années 1950, pour couvrir l’état de délabrement des stations d’alors et offrir de nouveaux espaces aux publicités a n de générer des recettes en une période de disette1. La réapparition des murs ainsi gés pendant plus d’un demi-siècle a alors suscité un nouveau regard sur les espaces du métro : leur esthétique s’est avérée plus complexe que ne pouvaient le laisser penser les entourages Guimard et le carreau blanc biseauté, qui portent l’image du métro parisien depuis 1900 en France comme à l’étranger. L’esthétique s’est ainsi avérée être le fruit de choix successifs, producteurs d’un paysage souterrain, formé d’artefacts matériels comme des imaginaires qu’ils portent. Les relations entre métro et esthétique, comprise ici comme l’ensemble des éléments contribuant à une perception sensible du métro, méritent donc une analyse fondée sur le temps long. Ces éléments sont formés par l’architecture des ouvrages d’art, le design des stations, les ambiances lumineuses, la signalétique et la cartographie, sans oublier le design du matériel roulant, non abordé ici car spéci que. Des travaux se sont attachés à plusieurs de ces éléments, en particulier les plus patrimoniaux comme les édicules Guimard2, avec une vocation grand public. D’autres ont été réalisés avec une vocation opérationnelle, au sein de la RATP, comme 1 Margairaz M., Histoire de la RATP, Paris, Albin Michel, 1989. 2 Descouturelle F., Mignard A., Rodriguez M., Le Métropolitain d’Hector Guimard, Paris, Somogy, 2003.
The aesthetics of the Paris metro: exploring a historical question by Arnaud Passalacqua
The aesthetics of the Paris metro consist in highly identi ed elements, such as the Guimard metro entrance structures, but other elements as well, which are less speci c but also contribute nevertheless to de ning the sensory experience of metro travellers. This article proposes a long-term re ection on all these elements by questioning the successive and often overlaid forms of these aesthetic components, as well as the different actors who participate in shaping their appearance. It thus offers a possible vision of the tension experienced by the network between the systematic approach to its development and the necessary singularity of many of its nodes, rooted in their history.
Sur la page à côté, de gauche à droite, de haut en bas Carrossage de la station Falguière (1999, © RATP - Didier Dupuy); rotonde rénovée de la salle d’échange de la station Saint-Lazare (1987, © RATP - Charles Ardaillon); entourage Guimard de la station Square Victoria, offert par la RATP à la Ville de Montréal (2017, © RATP - Jean François Mauboussin); Quai de la station Mouton-Duvernet (1970, © RATP).
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sur les noms de station en carrelage3. Certains éléments, en n, semblent avoir moins retenu l’attention, comme la publicité. Cet article vise à souligner l’intérêt d’une approche systémique des enjeux esthétiques des espaces du métro, au-delà du regard patrimonial qui peut sélectionner telles ou telles composantes. Une telle analyse globale suppose une démarche historique qui suive les modalités de conception, de réalisation et de réception de cette esthétique, qui va bien au-delà de notre propos. Nous proposons ici de suivre simplement quelques idées pour montrer comment l’idée d’un réseau, fondée sur un fonctionnement suffisamment normalisé pour écouler les ux de voyageurs, se combine avec celle d’esthétique, qui suppose des formes d’uniformisation et d’identi cation autant que des formes de distinction. Puis nous suivrons le déploiement de ces tensions le long d’un parcours chronologique et de circulations entre réseaux et entre Paris et Londres.
Le poids de la logique de réseau La ville industrielle s’est traduite par l’essor de très nombreux réseaux qui ont modi é les modes de vie et trouvé leur place dans un espace urbain rénové, en particulier pour le Paris transformé par l’haussmannisation de la deuxième partie du XIXe siècle4. Dans ce contexte, le métro a émergé relativement tardivement, après l’omnibus5, les chemins de fer6 et le tramway7, du fait des très nombreuses tensions autour de son projet, qui ont duré plusieurs décennies8. Mais alors que l’omnibus et surtout le tramway ont été le plus souvent contraints de trouver leur place dans les espaces parisiens en y laissant le moins possible de marques, le métro a introduit une véritable rupture esthétique. Certes, à l’extérieur, ses entourages Guimard9, 3 Noms de station en carrelage, Inventaire Patrimoine bâti, RATP, 2006. 4 Caron F., Cebron De Lisle P., Derens J., Passion L. (dir.), Paris et ses réseaux, naissance d’un mode de vie urbain (XIXe-XXe siècles), Paris, Bibliothèque historique de la Ville de Paris, 1990. 5 Passalacqua A., L’Autobus et Paris. Histoire de mobilités, Paris, Economica, 2011. 6 Bowie K., Texier S. (dir), Paris et ses chemins de fer, Paris, Action artistique de la Ville de Paris, 2003. 7 Robert J., Les Tramways parisiens, Neuilly-sur-Seine, Jean Robert, 1992. 8 Larroque D., Margairaz M., Zembri P., Paris et ses transports, XIXe-XXe siècles. Deux siècles de décisions pour la ville et sa région, Paris, Éditions Recherche, 2002. 9 Descouturelle F., Mignard A., Rodriguez M., Guimard. L’art nouveau du métro, Paris, La Vie du rail, 2012.
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eux-mêmes pris dans la controverse, ont pu rentrer en écho avec le règlement d’urbanisme de 1902, qui accorde aux immeubles l’autorisation de se doter de lignes courbes et de décorations inspirées par la dynamique de l’Art nouveau. Mais à l’intérieur, il s’agit bien d’une esthétique à inventer pour des espaces d’une nature nouvelle. Après plus d’un siècle d’exploitation, il apparaît que plusieurs dynamiques se sont avérées à l’œuvre dans cette fabrication de l’esthétique du métro, dont la première est la logique de réseau. Elle a imposé une forme d’uniformisation qui a résisté à la différenciation entre stations qui peut prévaloir dans certains métros plus récents, comme celui de Stockholm qui s’est livré à des interventions artistiques quasi systématiques. Les raisons de cette homogénéisation sont d’abord celles qui imposent les choix des matériaux, notamment du carreau blanc biseauté : lumière ré échie, entretien facile et hygiénisme appliqué. Les choix nanciers de la CMP10 sont sûrement également à l’œuvre dans une économie d’échelle que rend justement possible le réseau. Si l’on excepte la distinction entre les stations de la CMP et celles du Nord-Sud, du fait de l’existence de deux compagnies différentes, puis les réaménagements uniformes déployés sur plusieurs stations, la première véritable exception parisienne sur le réseau remonte à celui de la station Louvre-Rivoli en 1968, lorsqu’elle accueille des copies d’œuvres du musée du Louvre, sous l’impulsion d’André Malraux. La différenciation se fonde sur les caractéristiques de l’espace extérieur, qui entre ainsi dans le réseau, la station se posant comme un lieu hybride entre le système de transport et le territoire desservi. Cette logique est globalement suivie par les aménagements qui transforment progressivement plusieurs stations, comme ceux réalisés à l’occasion du bicentenaire de la Révolution française : Bastille ligne 1 (1989), Concorde ligne 12 (1991), Arts et Métiers ligne 11 (1994)… Mais il est clair que l’effet de réseau demeure important dans le métro parisien et l’esthétique y est avant tout tenue par le déploiement systématique d’un vocabulaire assez étroit, formé de quelques générations successives de styles. Le réseau réserve donc peu de surprises, à l’image d’un paysage urbain parisien dominé en bien des endroits par une typologie bâtie assez peu variée, résultat de dynamiques puissantes de standardisation, 10 Compagnie du métropolitain de Paris.
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qui ont effacé les immeubles au pro t des îlots11, comme le métro pourrait effacer les stations au pro t du réseau. Cette logique se retrouve d’ailleurs dans l’opération massive Renouveau du métro, lancée en 1998 et qui a duré une vingtaine d’années. Elle a, par exemple, ramené au carreau blanc biseauté bien des stations (Commerce, Saint-Lazare ligne 12…), dans le cadre d’une approche fondée sur une démarche patrimoniale, l’esthétique originelle ayant intégré le socle des éléments constitutifs du patrimoine parisien.
Le Guimard, du réseau au patrimoine La logique de réseau est encore plus puissante lorsqu’il s’agit de considérer les accès au réseau sur l’espace public, peut-être en raison de leur nécessaire identi cation par les piétons qui souhaitent prendre le métro. La famille historique des Guimard a laissé la place à un vocabulaire essentiellement forgé dans l’entre-deux-guerres, autour des mâts Val d’Osne et Dervaux, avant que le M jaune devienne, dans les années 1960, un nouveau jalon du réseau, qui est parvenu à signi er le métro dans l’espace symbolique, au-delà de le signaler dans l’espace public. Mais, en dehors de ces grandes familles, complétées par les totems Météor de la ligne 14, peu d’accès ont employé un vocabulaire différent, si ce n’est les entrées sous-immeuble (Robespierre, Vaneau, Pernety…), les édicules spéci ques (Porte des Lilas, Place des fêtes...) ou le Kiosque des noctambules (Palais Royal). Mentionnons aussi les balustrades classiques, comme à Opéra, dans les quelques lieux jugés trop chargés de valeur symbolique pour pouvoir accueillir l’esthétique Guimard. Pourtant, après avoir fait l’objet de controverses, notamment liées aux tensions entre Hector Guimard et la CMP, puis d’un mouvement de démantèlement, qui a éliminé environ la moitié des 167 réalisations de l’architecte présentes sur le réseau, les Guimard sont devenus l’icône principale du patrimoine bâti du métro parisien. Le processus de protection au titre des monuments historiques, progressivement mis en œuvre (1965, 1978 et 2016) s’est toutefois opéré pour l’essentiel avant que l’exploitant prenne réellement conscience de la valeur de ce 11 Loyer F., Paris XIXe siècle. L’immeuble et la rue, Paris, Hazan, 1987.
capital, sur lequel la RATP12 communique maintenant depuis les années 1990, qui l’ont vue en installer une reproduction à l’entrée de son siège social. En tant que patrimoine en réseau et non patrimoine isolé, les ouvrages Guimard doivent être compris comme une expression collective d’une esthétique spéci que. Certains, pris isolément, étant plus complexes à saisir, comme celui d’Abbesses, issu de la station Hôtel de Ville de la CMP mais installé sur une ancienne station Nord-Sud, ou celui de Châtelet place SainteOpportune qui, malgré ses lignes magni quement Art nouveau, ne date que de 2000.
1 - Le Kiosque des Noctambules de Jean-Michel Othoniel à la station Palais-Royal-Musée du Louvre (2000, © RATP - Jean François Mauboussin) 2 - Fresque dans l’escalier hélicoïdal de la station Abbesses (1989, © RATP Joël Thibaut).
12 Régie autonome des transports parisiens.
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On touche là à l’idée que les villes sont aussi le lieu d’un vocabulaire symbolique et de métaphores. Le métro a rejoint les quelques rares artefacts susceptibles d’incarner Paris aux yeux du monde entier, aux côtés de la Tour Eiffel, devenue indétrônable, mais également de Notre-Dame ou du Sacré Cœur. Son esthétique particulière, résumée uniquement à certaines de ses composantes – essentiellement les entourages Guimard –, signi e Paris à travers le monde. Au-delà des multiples reproductions touristiques, ils se retrouvent d’ailleurs également implantés sous la forme de véritables entourages marquant l’entrée de plusieurs stations de métro dans le monde, comme celle de Square Victoria à Montréal, du fait du cadeau fait par la RATP pour commémorer le travail commun réalisé à l’occasion de la création de ce métro. Si les Guimard font aujourd’hui consensus, l’esthétique intérieure du métro fait bien plus gure de lieu de tensions du fait de la multiplicité des potentiels acteurs susceptibles d’in uencer les choix d’aménagement d’un espace pourtant réputé contrôlé par l’exploitant, unique depuis la fusion entre CMP et Nord-Sud en 1931.
Le métro et les enjeux esthétiques : quelques jalons historiques Nous ne détaillerons pas ici les partis pris successifs de l’aménagement des stations parisiennes mais nous en rappellerons simplement les grands jalons. Les premières évolutions esthétiques sont liées à la compétition à distance entre le Nord-Sud, aux choix plus travaillés en la matière, et la CMP, contrainte d’enrichir la décoration de certaines de ses stations par des motifs de faïence pour rester au niveau esthétique de sa concurrente. Mais c’est surtout lorsque les premières rénovations semblent indispensables que des choix esthétiques se font : le carrossage des années 1950 laisse la place à une évolution colorée du carrelage, le fameux style Mouton, inauguré en 1969 à Mouton-Duvernet et porteur du orange, couleur phare des années 1970. Cette approche entre en écho avec les recherches colorées qui animent le RER alors en cours de réalisation. Mais le manque de luminosité perçu dans ces stations est à l’origine d’une nouvelle vague, celle du style Andreu-Motte qui déploie ses lignes colorées (sièges, assises, bandeaux d’éclairage) dans une centaine de stations de
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1974 à 1984, dont les parois restent blanches. Les styles qui lui succèdent (Ouï-dire, BrunoGaudin puis Renouveau du métro) s’inscrivent dans cette logique d’épurement et de luminosité maximale, qui entre en cohérence avec les choix initiaux et alimente donc un discours patrimonial de plus en plus présent dans la communication de l’exploitant. Les stations d’aujourd’hui relèvent donc de ces différents styles, qu’ils soient originels ou reconstitués et ont présenté successivement différents visages. Le réseau présente ainsi simultanément une diversité temporelle des partis pris d’aménagement de ses stations. Des circulations dans le temps sont donc rendues possibles. L’exploitant est donc l’acteur jouissant de la plus grande marge d’intervention, qu’il utilise régulièrement, pour dessiner ou pour rénover les espaces de son réseau. Positionné comme maître d’ouvrage, il travaille dans le cadre de commandes passées auprès de maîtrises d’oeuvre dont l’histoire est encore à retracer13. Mais il n’est pas le seul à participer à la constitution d’une esthétique propre au métro.
Qui participe à l’esthétique du métro ? Puisque le métro est un lieu qui accueille massivement des voyageurs, il paraît pertinent d’interroger la place que le réseau leur réserve dans la dé nition de son esthétique. En fréquentant le réseau, les voyageurs contribuent à la perception visuelle de ses espaces, par leurs tenues vestimentaires notamment. Il s’agit-là d’une construction collective inconsciente, mais très évidente lorsque l’on consulte des images d’archives. En tant que public utilisateur, les voyageurs sont aussi une des conditions qui in uence l’esthétique des artefacts placés par l’exploitant dans les espaces du métro. Les enjeux d’ergonomie, par exemple pour les sièges, de signalétique et de communication produisent leurs effets sur l’esthétique qui prévaut sur le réseau. Mais force est de constater que la participation des voyageurs à l’esthétique n’est ainsi qu’indirecte. La seule trace de leur contribu13 Une telle histoire a été réalisée pour la station Auber du RER (Gallichio T., La gare d’Auber à Paris, un dé technique, une esthétique nouvelle de 1961 à nos jours, mémoire de master d’architecture sous la direction d’Anne Bondon et Laurence Bassières, École nationale d’architecture Paris La Villette, 2019).
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tion organisée au paysage du métro est celle, déjà ancienne, qui passe par la composition de poèmes que la RATP affiche dans ses rames et sur les murs de ses stations et qui participe ainsi d’une perception sensible de ce qu’est un voyage en métro. Une contribution plus directe mais moins massive et surtout en dehors du cadre légal a pris son essor au tournant des années 1980-1990, le grafti, qui a généré une réaction sous la forme d’une « esthétique propre14 » visant à réduire cette expression non institutionnelle. Au contraire, une esthétique massivement présente et contrôlée, puisque parfois interdite15, voire débattue16, est celle de la publicité qui contribue grandement à la perception visuelle des espaces du métro. Elle offre un territoire de construction partagée de l’esthétique du réseau, puisque l’opérateur, par le biais de Métrobus, structure extérieure créée par Havas et Publicis en 1949 a n de gérer les espaces publicitaires des réseaux, laisse ainsi les afficheurs in uencer directement l’expérience esthétique que les voyageurs vivent en se déplaçant. Celle-ci varie au l des couleurs, des modes et des expressions artistiques que la publicité connaît, comme tout domaine créatif. Il ressort de cette rapide analyse que l’esthétique est le résultat d’une construction collective, dont l’exploitant est certes le contributeur principal mais pas unique. Il est toutefois intéressant de rapporter l’importance des espaces visuels de la publicité à la proportion des recettes qu’elle génère. Si les chiffres ne sont pas aisément disponibles, il semble qu’ils tournent autour de la centaine de millions d’euros, pour un chiffre d’affaires du groupe RATP de plus de 4,3 milliards d’euros en 2018, ce qui représente donc entre 2 et 3 % des recettes. Cette construction collective qu’est l’esthétique du métro ne s’opère pas dans un monde isolé. Elle s’inscrit dans un milieu, où coexistent d’autres systèmes, comme les transports de surface, et, à distance, d’autres réseaux, dans d’autres villes, dont on pour14 Vaslin J., Esthétique propre. La mise en administration des graffitis à Paris de 1977 à 2017, thèse en science politique sous la direction de Gilles Pollet, Université Lyon 2 Lumière – Sciences po Lyon, 2017. 15 Comme en témoigne l’affaire du refus de la publicité proposée par le chanteur Damien Saez, fondée sur l’image d’une femme nue assise dans un chariot à roulettes en 2010. 16 Ainsi en a-t-il été de la gigantesque publicité déployée par une marque de bière sur les murs des stations République et Bastille en 2016, à l’occasion de l’Euro de football.
rait penser qu’ils sont à l’origine de circulations.
Des circulations esthétiques limitées, de réseau à réseau ou de ville à ville Même s’il s’est construit en déconnexion des autres réseaux existant en 1900, le métro a ni par se rapprocher des transports de surface, en particulier depuis la fusion opérée en 1942 puis institutionnalisée par la création de la RATP en 194917. Ce rapprochement n’a pas été aussi immédiat que le laisse penser l’instauration d’une structure unique pour exploiter ces différents réseaux, puisque les deux espaces culturels que représentaient le routier et le ferré, ont mis des décennies à instaurer une collaboration effective et présentent encore bien des singularités. Entre les deux mondes, les circulations esthétiques semblent assez faibles. Tout juste se cantonnent-elles, au démarrage, aux logos successifs de la RATP. Peu après, une tentative d’adoption de l’esthétique du métro sur le réseau d’autobus connaît un échec assez rapide : celle des bus bleus des années 1960, ces petits véhicules dont les couleurs (bleu et crème) et les lignes étaient plus proches de celles des rames du métro, que de celles des autres autobus de l’époque18. Leur fonctionnement était d’ailleurs aussi largement inspiré du métro, mais ils n’ont pas connu le succès escompté. Si bien que le vert et crème est demeuré la couleur dominante du réseau d’autobus des années 1920 à nos jours, avant qu’une révolution esthétique en cours bascule les lignées des véhicules vers les tons gris et bleus, imposés par l’autorité organisatrice des mobilités Île-de-France Mobilités. Le vert est en revanche devenu l’un des lieux communs de la collaboration entre les réseaux depuis l’adoption du vert jade, comme couleur unique de l’entreprise, dans le cadre de la rénovation que lui a dessinée Christian Blanc (1989-1992). Ce vert, plutôt issu du monde de l’autobus, mais qui est aussi proche de la couleur des entourages Guimard ou Dervaux, s’est donc imposé à l’ensemble des réseaux et peut être considéré 17 Roth R., « La première fusion CMP-STCRP en 1942 », Gérôme N., Margairaz M. (dir.), Métro, dépôts, réseaux. Territoires et personnels des transports parisiens au XXe siècle, Paris, Éditions de la Sorbonne, 2002, p. 105-114. 18 Passalacqua A., « Les petits autobus bleus de la RATP : l’éphémère expérience d’un BHNS avant la lettre », Transports urbains, n° 115, 2009, p. 25-28.
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comme une évolution esthétique du réseau de métro sous une dynamique extérieure. Paradoxalement, cette évolution peut être vue comme plus violente en surface si l’on se souvient des fameuses têtes de vache jaunes et rouges qui marquaient les potelets d’attente du réseau d’autobus jusqu’aux années 1990. De même qu’il est pris dans des circulations entre réseaux, même assez marginales, le métro parisien est aussi inscrit dans des circulations de ville à ville. Dans ce cadre le binôme qui importe le plus est celui formé par Paris et Londres, dont les échanges en matière de transport sont anciens19. Pourtant, force est de constater que les circulations entre les villes dans le domaine esthétique sont moins uides que celles qui ont touché d’autres domaines. Le XIXe siècle a vu par exemple les ux de capitaux aisément circuler entre réseaux de transport de villes différentes, tandis que des solutions techniques ont aussi fait l’objet de circulations importantes, comme le tramway à la n du XIXe siècle ou le couloir réservé aux autobus dans les années 1960. L’esthétique paraît moins sujette à ces circulations. S’agitil du poids de l’identité urbaine que porte chaque réseau et qui passe par ses formes esthétiques qui freine ces circulations ? Ou d’un ancrage dans des espaces culturels différents qui surdéterminent ce qui est jugé esthétiquement souhaitable et ce qui ne le serait pas ? Plusieurs exemples illustrent que ces circulations sont difficiles. Certes l’indication des noms des stations sur le réseau londonien s’est inspirée de celui déployé sur le réseau parisien, qui avait fait tôt le choix de noms très contrastés et très lisibles20. S’il a mis quelques années à traverser la Manche, il a attendu plus de 80 ans pour sortir en surface en région parisienne, d’abord en s’imposant sur les stations des nouveaux tramways, avant de se déployer sur le réseau d’autobus. Malgré cet échange initial, il semble que les deux réseaux de Paris et Londres se soient plutôt rendu compte de l’impossible circulation des signes entre les deux villes. Entre les années 1910 et 1930, Londres se dote d’un vocabulaire esthétique très travaillé qui constitue la source d’inspiration de l’ensemble des systèmes de transport collectif de la capitale britannique depuis 19 López Galvis C., Cities, Railways, Modernities: London, Paris, and the Nineteenth Century, Abingdon-onThames, Routledge, 2019. 20 Lawrence D., A Logo for London, Harrow Weald, Capital Transport, 2000.
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lors. Les trois principaux éléments en sont la police de caractères Johnston, le logo (roundel ou bullseye) et le plan dessiné par Harry Beck a n de rendre plus lisible la navigation sur le réseau21. Ce dernier exemple est bien l’un des plus révélateurs de la difficile circulation esthétique de Londres vers Paris. Alors que beaucoup de villes dans le monde ont adopté la logique dé nie par le designer pour leur propre plan de métro, Paris résista à la tentative de Harry Beck de dessiner un plan de son réseau selon l’idée d’une topologie lisible. La ville conserva longtemps des plans de métro d’abord fondés sur la topographie du territoire, aux dépens de la lisibilité du réseau et ne bascula à sa manière dans la voie ouverte par Londres qu’à partir des années 198022. Plus important, sans doute, l’exploitant parisien fut très long à suivre l’exemple de Londres qui mit en œuvre à partir des années 1930 une politique de communication cohérente, fondée sur une esthétique dont l’identité s’est progressivement imposée et qui a probablement eu des effets très forts du fait de l’attachement qu’elle a pu développer, notamment pendant les périodes de tension, des bombardements de la Deuxième Guerre mondiales aux Jeux olympiques de 2012, pendant lesquels les Londoniens ont su se réorganiser pour libérer le métro pendant les heures de pointe, sous l’effet d’une communication active. Au contraire, la RATP, côté parisien, n’a pas développé d’approche esthétique intégrée avant les années 1990, après une quinzaine d’années de ré exions en amont portant sur la place que l’entreprise et les transports tiennent dans le monde urbain.
Conclusion : le métro et ses renouvellements En guise de conclusion sur ces ré exions générales qui entendent ouvrir des pistes, nous proposons de suivre trois voies de dépassement esthétique qui se sont offertes ou s’offrent au métro parisien. La première est le RER, dont une partie de la logique formelle est héritée du métro, comme l’illustre la station Nation23, qui n’est autre qu’une 21 Taylor S. (dir.), The Moving Metropolis. A History of London’s Transport since 1800, Londres, Laurence King Publishing, 2001. 22 Gonzales-Aguilar A., Vaisman C., « Le plan du métro comme métaphore spatiale et cognitive dans la visualisation », Netcom, vol. 29, n° 3/4, 2015, p. 369-398. 23 Labrunye R., Lescure R., « La station Nation du
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station de métro aux proportions gigantesques et aux couleurs renouvelées. Mais une bonne partie de l’esthétique du RER est toute autre du fait de son héritage ferroviaire et de l’hétérogénéité de ses composantes. D’où peut-être le poids essentiel de la signalétique de Roger Tallon24, dans la perception de ce réseau. La deuxième est la ligne 14, ouverte à partir de 1998 et dont l’esthétique a su très habilement renouveler le style du métro parisien en l’adaptant aussi bien à une forme de modernité et de massi cation des ux qu’aux dispositifs liés à l’automatisation, à partir d’un cadrage architectural cohérent25. Le fait que cette esthétique paraisse encore aujourd’hui inscrite dans notre époque, bien plus que le RER 20 ans après son inauguration, témoigne de ce succès. La troisième n’est encore qu’en genèse, puisqu’il s’agit du projet du Grand Paris Express, qui entretient vis-à-vis du métro parisien une relation ambivalente. D’une part, il ne cesse de s’en différencier, notamment par les bâtiments imposants qui abriteront ses gares. Sa grande profondeur risque de marquer une coupure importante entre la surface et les quais. D’autre part, il a choisi de se présenter comme un métro et non un RER et le discours politique qui le porte est celui d’un raccordement de la banlieue au réseau métropolitain. Comment cette ambivalence va-t-elle se traduire esthétiquement ? Le concept de gare sensuelle de Jacques Ferrier, place au coeur du projet l’expérience des voyageurs. Du fait de sa nouveauté et de l’image circulaire que le designer chargé de la signalétique, Ruedi Baur, a choisi de mettre en avant, il va disposer d’une forte identité et il pourra donc jouer sur des éléments qui lui seront favorables de ce point de vue. Mais saura-t-il éviter d’alimenter une image dépassée du métro ancien ? Ou son esthétique nouvelle paraîtrat-elle trop différente ? Quoi qu’il en soit, l’existence d’un réseau à deux régimes esthétiques pourrait rappeler les débuts du métro, lorsque le Nord-Sud se différenciait de la CMP par la générosité et le décor de ses espaces. © Riproduzione riservata
RER A. Un patrimoine souterrain », Les Cahiers de la recherche architecturale urbaine et paysagère, 2020. 24 Roger Tallon. Le design en mouvement, Paris, Musée des Arts décoratifs, 2016. 25 Météor. Charte architecturale et stylistique, SaintMandé, Atelier d’architecture et d’urbanisme Bernard Kohn, 1990.
Bibliographie Bowie K., Texier S. (dir) (2003), Paris et ses chemins de fer, Paris, Action artistique de la Ville de Paris. Caron F., Cebron De Lisle P., Derens J., Passion L. (dir.) (1990), Paris et ses réseaux, naissance d’un mode de vie urbain (XIXe-XXe siècles), Paris, Bibliothèque historique de la Ville de Paris. Descouturelle F., Mignard A., Rodriguez M. (2012), Guimard. L’art nouveau du métro, Paris, La Vie du rail, 2012 Descouturelle F., Mignard A., Rodriguez M. (2003), Le Métropolitain d’Hector Guimard, Paris, Somogy. Gallichio T. (2019), La gare d’Auber à Paris, un dé technique, une esthétique nouvelle de 1961 à nos jours, mémoire de master d’architecture sous la direction d’Anne Bondon et Laurence Bassières, École nationale d’architecture Paris La Villette. Gonzales-Aguilar A., Vaisman C. (2015), « Le plan du métro comme métaphore spatiale et cognitive dans la visualisation », Netcom, vol. 29, n° 3/4, p. 369-398. Larroque D., Margairaz M., Zembri P. (2002), Paris et ses transports, XIXe-XXe siècles. Deux siècles de décisions pour la ville et sa région, Paris, Éditions Recherche. Lawrence D. (2000), A Logo for London, Harrow Weald, Capital Transport. López Galvis C. (2019), Cities, Railways, Modernities: London, Paris, and the Nineteenth Century, Abingdonon-Thames, Routledge. Loyer F. (1987), Paris XIXe siècle. L’immeuble et la rue, Paris, Hazan. Margairaz M. (1989), Histoire de la RATP, Paris, Albin Michel. AA. VV. (1990), Météor. Charte architecturale et stylistique, Saint-Mandé, Atelier d’architecture et d’urbanisme Bernard Kohn. Passalacqua A. (2009), « Les petits autobus bleus de la RATP : l’éphémère expérience d’un BHNS avant la lettre », Transports urbains, n° 115, p. 25-28. Passalacqua A. (2011), L’Autobus et Paris. Histoire de mobilités, Paris, Economica. Robert J. (1992), Les Tramways parisiens, Neuilly-surSeine, Jean Robert. AA.VV. (2016), Roger Tallon. Le design en mouvement , Paris, Musée des Arts décoratifs. Roth R. (2002), « La première fusion CMP-STCRP en 1942 », Gérôme N., Margairaz M. (dir.), Métro, dépôts, réseaux. Territoires et personnels des transports parisiens au XXe siècle, Paris, Éditions de la Sorbonne, p. 105-114. Taylor S. (dir.) (2001), The Moving Metropolis. A History of London’s Transport since 1800, Londres, Laurence King Publishing. Vaslin J. (2017), Esthétique propre. La mise en administration des graffitis à Paris de 1977 à 2017, thèse en science politique sous la direction de Gilles Pollet, Université Lyon 2 Lumière – Sciences po Lyon.
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Alta tecnologia e progetto urbano: la problematica della città intelligente esposta alla Futian Railway station di Shenzhen di Cristiana Mazzoni e Flavia Magliacani
“What happens when the city acquires eyes and develops the ability to ‘see’ what occurs within its boundaries? ‘The possibility of anonymity is one of the most important qualities that differentiate a city from a village. It is precisely these qualities that are being challenged by the digital revolution. To offer a way of life that offers as much as the old city did, the digital realm must retain enough of the fundamental values of ‘cityness’, and nd new ways to provide them”1.
Cosa succede se la città acquisisce la capacità di “vedere” ciò che accade all’interno dei suoi con ni, se gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie divengono gli “occhi” di un ambiente costruito, che non è più solo l’oggetto passivo dello sguardo umano? Rischiamo di perdere il decantato diritto all’anonimato, garanzia di una città collettiva e democratica? Da queste domande nasce il tema Eyes of the city, scelto dai curatori dell’Urban and Architecture Bi-City Biennale 2019 di Shenzhen e Hong Kong per indagare il ruolo delle nuove tecnologie nel dibattito architettonico e urbano contemporaneo. La mostra, inaugurata a Shenzhen nel novembre scorso, ha esplorato le implicazioni dell’utilizzo di alte tecnologie nello sviluppo di grandi progetti urbani con uno sguardo particolare rivolto all’area cinese di Great Bay: una dimensione interessante in cui approcci High-tech hanno permesso di non trascurare - ma anzi rimettere al primo posto - il contributo umano e Lowtech e il ripristino di alcune qualità essenziali del vivere in città. Tra le sezioni tematiche in cui è stato articolato il percorso della mostra, particolarmente interessante si è rivelata la sessione Mobility Landscapes, incentrata sul ruolo chiave che la mobilità della nuova era può assumere per il progetto territoriale. La stessa location scelta per la mostra - la stazione metropolita1 Con queste parole D. Sudjic risponde alla domanda lanciata dai curatori della mostra “Eyes of the City” ed interpreta la problematica alla base del progetto espositivo.
High technology and urban project: the problem of the smart city in exhibition at the Futian Railway station in Shenzhen
by Cristiana Mazzoni and Flavia
Magliacani
What happens when the city acquires “eyes” and develops the ability to “see” what is happening within its boundaries? What about the risk of “losing anonymity”, one of the “most important qualities that differentiates a city from a village”? These research questions were chosen and developed for the Urban and Architecture Bi-City Biennale 2019 (UABB 2019, over 60 exhibits) in Shenzhen to understand how urban technologies - from facial recognition to ubiquitous detection - emerge today in the urban debate. These questions also provided an opportunity to explore the implications of technology, particularly in the development of major projects in China’s Great Bay area, and to nd ways of using high-tech approaches to restore some of the essential qualities of the city, without forgetting the human and low-tech contribution. On the basis of the critical essays and curatorial statements of the UABB 2019 Biennale’s catalogue, we resume in this article it’s innovative approach. We also explore the above questions making a link to both research frameworks and topics: 1. The “Boundaries of the contemporary city model” explored by the research team of the China-Room at the Politecnico di Torino, and linked with the Tsinghua university in Beijing and the South China University of Technology in Guangzhou; 2. The “Metropolitan Architecture and Great Events” investigated by the UMR AUSser research team in Paris, jointly with the Shanghai Academy of Social Sciences, the CAUP-Tongji University in Shanghai and the Academy of Fine Arts of Guangzhou (MAGE Chair).
Nella pagina a anco, in alto: veduta della stazione Futian (© UABB); in basso: Curatorial Practices in an Urban Community. A Case of Zhongkang Road, Shenzen Center for Design (© UABB).
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na e ad alta velocità di Shenzhen - è stato il primo espediente per sperimentare un rapporto inedito tra infrastruttura e spazio urbano. La “stazione-museo”, luogo ideale per incontrare ussi di persone ed osservare la comunità dei visitatori, ha consentito infatti una inedita interpretazione del luogo espositivo contemporaneo: non più “una galleria di progetti curati” per un pubblico selezionato, ma un “forum aperto ad affrontare questioni di interesse generale e promuovere la ricerca sul campo” (Curatorial team UABB, 2019), un’occasione per sperimentare i vantaggi di un progetto espositivo Open-source. Per la prima volta infatti tutti i progetti esposti sono stati concepiti per una realizzazione completamente digitale e liberamente accessibile on-line. Sulla base dei saggi critici e delle dichiarazioni curatoriali cercheremo, nella prima parte dell’articolo, di ripercorrere e raccontare le tematiche emerse dal dibattito e l’approccio innovativo con cui cono state trattate; nella seconda parte, il racconto sarà incentrato sull’approfondimento di una delle otto sottosezioni della Biennale, Mobility Landscape. Lo sguardo d’analisi e i contenuti selezionati fanno eco alle ricerche condotte dal team della China Room del Politecnico di Torino e dal team del laboratorio UMR AUSser di Parigi2, guidate dalla stessa convinzione dei curatori della mostra del ruolo cruciale del progetto nel ride nire i con ni della città contemporanea, esplorare scenari futuri alternativi e ri ettere su di essi per affrontare le grandi s de del presente.
Eyes of the city: nuove strategie per la città intelligente. Un approccio open source La necessità di un approccio aperto ha guidato l’articolazione stessa del progetto espositivo: dopo aver de nito il tema generale, i curatori si sono resi conto della necessità di ampliare un dibattito così ricco di criticità ed implicazioni multidisciplinari attraverso l’in2 In particolare, due progetti di ricerca ne costituiscono l’orizzonte di riferimento: “Boundaries of the contemporary city model”, condotto dal team della China-Room del Politecnico di Torino in collaborazione con l’università Tsinghua di Pechino e la South China University of Technology di Guangzhoue e “Metropolitan Architecture and Great Events”, elaborato dal team di ricerca UMR AUSser di Parigi, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze Sociali di Shanghai, la CAUPTongji University di Shanghai e l’Accademia di Belle Arti di Guangzhou (Chair MAGE).
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tegrazione di visioni, competenze e punti di vista differenti. Architetti, designer, loso e scienziati sono stati dunque invitati a contribuire, attraverso saggi critici, ad una condivisione collettiva e circolare del tema generale, sulla base della quale è stata elaborata una Open call per selezionare i partecipanti: 69 team interdisciplinari, scelti tra 280 candidati provenienti da moltissimi paesi di quattro diversi continenti, dalla Cina agli Stati Uniti, dalla Russia alla Germania, dalla Colombia alla Corea del Sud. La stessa loso a ha guidato la traduzione delle idee in forma sica: un processo di Open production delle installazioni è stato attivato per fare della UABB 2019 la prima biennale di architettura al mondo ad essere prodotta (quasi) interamente in loco, a dimostrazione di come informazioni libere, generate e condivise in digitale possano agevolare una produzione materiale a livello locale. I progetti digitalizzati, consegnati al personale di Shenzhen addetto alla costruzione insieme alle istruzioni relative all’allestimento e al montaggio, sono stati inoltre pubblicati online all’indirizzo www.eyesofthecity.net. Scaricabili gratuitamente, sono quindi liberamente riproducibili in qualsiasi scuola, FabLab o museo del mondo. I curatori hanno inoltre sviluppato un partenariato con la Fab Foundation, la più grande rete di FabLabs a livello mondiale: una rete cosmopolita di laboratori - tra cui quelli di Hong Kong (Openground), Shenzhen (SZOIL), Seoul, San Francisco, Boston e Lima – che hanno potuto interagire con l’evento anche a distanza e sperimentarne idee e progetti, valorizzandone la modularità e reinterpretandoli in base al contesto locale. Lo stesso approccio Open source ha guidato la scelta del luogo espositivo. L’innesto di un simile evento in un nodo infrastrutturale nevralgico come la Futian Railway Station ha consentito il coinvolgimento di un pubblico estremamente eterogeneo, costituito da pendolari e viaggiatori non necessariamente consapevoli, in una ri essione di interesse generale: lo spazio allestitivo, allo stesso tempo sico e virtuale, è stato pensato come luogo di attraversamento aperto sugli ambienti principali della stazione, con un labirintico stile sottolineato da fasci di luci capaci di attrarre i passanti inizialmente distratti. Una modalità narrativa che evoca il fascino europeo della scoperta spaziale in sequenza e dei Passages raccontati da Walter Benjamin. L’evento si è rivelato dunque un’esperienza dai molteplici risvolti: un omaggio al ruolo di Shenzhen come “fabbrica del mondo”, un
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modo per oltrepassare i con ni dell’innovazione nel campo della produzione e della trasmissione del progetto, una soluzione che permette di toccare con mano le possibilità offerte dall’alta tecnologia per un approccio sostenibile alla produzione del mondo di domani.
Un nuovo capitolo sul rapporto tra città e sviluppo tecnologico La mostra assume come ipotesi di partenza lo scenario di un imminente futuro urbano, di uno spazio costruito prossimo all’acquisizione della piena capacità di “vedere” o, a seconda della sfumatura interpretativa del fenomeno, di “osservare”: il prodotto più estremo dello sviluppo evolutivo dell’Internet of Things. L’esito di questo processo potrebbe infatti essere una realtà in cui, grazie ai recenti progressi in Intelligenza Arti ciale, qualsiasi componente dello spazio urbano potrà autonomamente riconoscere la nostra presenza e interagire con essa, dagli snodi di trasporto ai negozi, dalle strade ai musei e gallerie d’arte; i media digitali delle immagini interattive e coinvolgenti domineranno il nostro ambiente, in uno strato mediatico che sembra permeare ogni aspetto della nostra vita mettendoci al centro di un paesaggio esperienziale in evoluzione. Quest’ipotesi apre inevitabilmente un nuovo capitolo sul rapporto tra città e sviluppo tecnologico, e richiede, a quasi mezzo secolo di distanza, una ri essione critica su alcuni principi alla base delle teorie elaborate dell’antropologa americana Jane Jacobs sui modelli di sviluppo urbano. Analizzando il fenomeno degli eyes on the street, la Jacobs ipotizza la presenza di uno sguardo collet-
tivo e costantemente vigile, costituito dagli occhi dei cittadini che, osservando le dinamiche dell’esperienza urbana di cui fanno parte, ne interpretano i meccanismi: la garanzia di un diritto democratico a sicurezza, libertà ed anonimato. Questa ipotesi diviene nella sua analisi uno strumento per analizzare una serie di concetti chiave per la comprensione delle dinamiche sociali e spaziali della dimensione abitativa in una città: la distinzione e la reciproca relazione tra spazio privato e pubblico, i con ni dell’anonimato urbano e il modo in cui sono espressi e costruiti, l’importanza della sicurezza e del senso di appartenenza. Tuttavia, accogliendo l’ipotesi della mostra, la città contemporanea si proietta in una dimensione totalmente differente. Gli “occhi della città” di domani, alimentati dalle scoperte dell’Intelligenza Arti ciale (dal riconoscimento facciale all’elaborazione del linguaggio naturale), ci costringono a rimettere in discussione questi concetti ed a considerare l’in uenza di nuovi fattori - come l’etica del lavoro tecnologico, il signi cato dell’osservazione e della progettazione urbana basata sul computer, il potere delle proprietà di dati e le modalità di riappropriazione da parte di individui e comunità del controllo sulla sfera tecnologica. Quali potrebbero essere dunque le conseguenze degli “Eyes of the city” sull’ambiente costruito e sul modo in cui le persone lo esperiscono? L’UABB affronta l’indagine concentrandosi su due relazioni parallele e complementari: quella tra spazio e fruitori e quella tra spazio prodotto e pratiche di un progetto in continua evoluzione sotto la pressione del progresso tecnologico. Dal nostro punto di vista, questa ri essione si iscrive nel dibattito sull’evoluzione del concetto di “città intelligente”. Recenti studi
1 - Resisting technologies (© UABB).
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mostrano l’esistenza di diversi percorsi di sviluppo di tale concetto, che rivelano principi di natura divergente e sottolineano la necessità che l’evoluzione della smart city debba superare le seguenti contraddizioni: strategie tecnologiche opposte a strategie olistiche o generaliste; modelli di collaborazione a due entità di attori (grandi industriali e operatori pubblici) opposte a modelli a quattro entità, che integrano l’università e la società civile; approcci top-down opposti ad approcci bottom-up; interventi mono-settoriali opposti a interventi integrati e a più scale (Mora et al., 2018). Uno studio di L. Mora analizza la qualità delle soluzioni adottate da quattro città modello in Europa: Amsterdam, Barcellona, Helsinki e Vienna. Per progettare e implementare le loro strategie di sviluppo della città intelligente, tali municipalità hanno scelto e adottato una linea d’azione che si concentra sui seguenti principi: la diffusione a grande scala dei progressi tecnologici per risolvere o mitigare i problemi urbani; lo sviluppo urbano all’interno di un quadro strategico condiviso da più entità di attori; una collaborazione aperta e inclusiva per consentire la progressiva diffusione delle tecnologie avanzate. Tali quattro città hanno quindi adottato un approccio olistico alla loro visione della città intelligente: non la vedono come un modello derivante dall’adozione massiccia di dispositivi e infrastrutture legate unicamente alle alte tecnologie, ma come territori in evoluzione che considerano le tecnologie avanzate come strumenti allineati a fattori umani, sociali, culturali, economici e ambientali. Gli studi del nostro laboratorio relativi alle città di Parigi e di Strasburgo hanno confermato che questo orientamento, condiviso con i curatori della mostra a Shenzhen, comincia a dare dei risultati interessanti in Europa, e soprattutto alla scala metropolitana e su territori di frontiera.
Mobility Landscape: infrastrutture, piani cazione territoriale e densità urbana Mentre lo scopo complessivo della mostra è il coinvolgimento dei visitatori in un’ampia conversazione sul futuro comune attraverso l’articolazione in sottosezioni tematiche, la sede espositiva stessa offre un’interessante prospettiva per analizzarne una: il ruolo di primaria importanza che le infrastrutture per la mobilità, in funzione del progresso tecnologico, possono assumere per la vita urbana. 134
Per molto tempo le stazioni ferroviarie sono state luoghi in cui vivere l’anonimato urbano nella sua forma più eclatante. Sorprendentemente, questa tipologia architettonica sembra essere oggi in prima linea nello sviluppo del fenomeno opposto: in Europa come in Cina, le stazioni ferroviarie e gli aeroporti si stanno trasformando nella quintessenza di un ambiente costruito in grado di interagire con la presenza umana in tempo reale. In questo senso, i padiglioni della Futian Station costituiscono lo sfondo ideale per stimolare nella cittadinanza reazioni critiche sulle conseguenze di un simile scenario, potendolo sperimentare sulla propria pelle. Dal dibattito condotto nell’ambito della sezione “Mobility Landscape”, è inoltre emerso come oggi l’etica del progetto si trovi di fronte a un bivio tra “utopia o oblio”, per dirlo con le parole di Richard Buckminster Fuller. Diverse innovazioni tecnologiche - la guida automatica, l’Intelligenza Arti ciale, l’acquisizione di dati in tempo reale, le nuove forme di micromobilità condivisa – stanno signi cativamente modi cando e diversi cando le modalità di spostamento nelle città. Man mano che i veicoli si trasformano, che migliaia di sensori incorporati raccolgono informazioni sulle preferenze degli utenti e sull’ambiente circostante, la mobilità ci offre nuovi strumenti per comprendere meglio le nostre città e plasmarle attraverso dati. Se dunque i vantaggi in termini pratici sembrano innegabili, la paura per gli effetti collaterali di una realtà in cui sia la macchina a controllare l’uomo sembra lecita. La frequente evocazione di imminenti scenari apocalittici dal sapore orwelliano in cui gli “occhi della città” si rivelano potenti mezzi di controllo autarchico, denuncia la morte di un’idea di città di matrice democratica, la città del diritto alla libertà di scelta e all’anonimato, in cui la sorveglianza decentrata e spontanea è garantita ed esercitata dalla stessa collettività. La questione che occorre affrontare con consapevolezza e serietà è dunque messa sul piatto del dibattito collettivo: arrendersi passivamente ad un processo apparentemente inarrestabile, o investire nello stesso le energie necessarie affinché si trasformi in utile mezzo per plasmare la realtà, per progettare e costruire il mondo in cui scegliamo di vivere? In quest’ottica, il progetto infrastrutturale, innervato del progresso tecnologico e trasformato con esso, può costituire uno strumento in grado di servire, addirittura guidare, il progetto urbano alle diverse scale: dalle dinamiche che animano la strada come spazio di relazione a quelle che caratterizza-
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no un vasto brano di città, no a quelle che guidano la piani cazione territoriale di un agglomerato metropolitano3.
Dentro la strada “novissima”4…? Una prospettiva interessante sulla questione è offerta dall’installazione The Autonomous Street: a Day in the Life of Future Shenzhen: una ri essione sul nuovo ruolo della strada nelle dinamiche urbane contemporanee, condotta riguardando al passato in un’ottica futura. L’esposizione di Kohn Pedersen Fox Associates (KPF) ricorda come, nel corso della storia, i progressi tecnologici abbiano innescato nuove visioni della città del futuro: negli anni Venti, Le Corbusier immaginava la “Ville Radieuse” (1925) come una “macchina per abitare”, con torri prodotte in serie poggiate su ampie distese verdi all’interno di una griglia cartesiana. Fritz Lang ritraeva Metropolis come una società industriale in evoluzione, con aeroplani e ponti tra i grattacieli, noncurante di un oscuro mondo sotterraneo di lavoratori sfruttati. Negli anni Sessanta, gli Archigram immaginavano una “Plug-In City” (1964) di gru e capsule abitative diversamente collocabili in enormi megastrutture, ispirandosi alle capsule spaziali della NASA. Allo stesso modo oggi, le tendenze del progresso tecnologico stanno aprendo il nostro mondo a nuove possibilità: tutto ciò che un tempo era sso può divenire oggi essibile, adattabile a diverse esigenze e continuamente modi cabile. Su questo presupposto, gli autori suggeriscono di ripensare il concetto di strada tradizionalmente inteso, troppo statico e rigido rispetto alle esigenze delle persone che cambiano continuamente, anche nel corso della stessa giornata. Per dimostrarlo, scelgono Shenzhen, città nota per il suo rapido ritmo di cambiamento e per la sua profonda competenza tecnologica, come luogo più appropriato per sperimentare una visione del futuro in cui Auto3 I tre sotto-capitoli che seguono rivelano diverse scale di analisi del rapporto tra infrastruttura, tecnologia e città affrontato nell’ambito della mostra, che abbiamo scelto di raccontare attraverso la selezione di tre progetti esposti. 4 La mostra “La Strada Novissima” è stata curata da Paolo Portoghesi ed aperta al pubblico il 27 luglio 1980, in occasione della Prima mostra internazionale di architettura della Biennale di Venezia dal titolo “La Presenza del Passato”. In quell’occasione, 20 architetti internazionali sono stati coinvolti nel realizzare 20 facciate a grandezza naturale per attivare una ri essione sul tema della strada e realizzare un’immagine concreta di un diverso modo di pensare l’architettura.
mation technology e sharing economy danno vita ad un’esperienza di strada radicalmente diversa. L’installazione consiste nella simulazione virtuale di una giornata qualsiasi nella Shenzhen del futuro: una tranquilla mattinata animata dal cinguettio degli uccelli e dai parchi in movimento, o una serata resa emozionante dall’esibizione di artisti su un palcoscenico mobile. La Autonomous Street in cui è ambientata l’esperienza immersiva cambia infatti essibilmente funzione e congurazione su richiesta, tramite l’utilizzo di un pulsante: una corsia di marcia in più evita il traffico nelle ore di punta, le panchine arrivano quando non ci sono abbastanza posti a sedere, e quando ci si vuole divertire lo spazio della quota urbana si trasforma in campo da basket o in un luogo per spettacoli.
2 - City ad a sky above, MVRDU + Airbus (© UABB). 3 - Curating the city (© Prospekt). 4 - Eyes of the city (© UABB).
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La dimostrazione che la domanda da porsi sia, in primo luogo, quale sia il ne da perseguire in questa corsa all’innovazione - da sempre asse trainante dell’evoluzione umana – e, in secondo luogo, come utilizzare i mezzi a disposizione per raggiungerlo.
Infrastruttura: connessione o frammentazione? Fortemente caratterizzante la realtà delle città asiatiche contemporanee, la nozione di “infrastruttura” incarna un altro dualismo: se da una parte le molteplici possibilità offerte dall’iper-mobilità sembrano essere garanti di una circolazione totalmente libera e una connessione globale, gli stessi elementi infrastrutturali possono rappresentare anche un taglio in un tessuto urbano dividendo spazio e persone che lo vivono quotidianamente. Ma cosa succede quando l’infrastruttura diventa l’elemento principale della progettazione urbana? È possibile combinare questo approccio tecnocratico ad un’esperienza più olistica dello spazio urbano contemporaneo? Da questa s da è nato il Masterplan “Connected Plaza” concepito per l’Area della Futian Station: un progetto infrastrutturale orientato alla connessione sica e sociale di persone e spazi nella città, che ha come obiettivo la possibilità di tornare a “guardare” la città, sperimentando in sequenza diverse “specie di spazi” (Perec, 1974). Il progetto di una passeggiata - elemento di ricucitura tra luoghi altrimenti frammentati - è l’idea guida da cui parte il progetto che vede riuniti i designer internazionali nel reinterpretare la nozione di “connessione”. Il “duro nucleo infrastrutturale” della Stazione diviene quindi il centro propulsore da cui si diramano nuovi strati di un più ampio progetto di ricon gurazione urbana, leggera ed inclusiva, dell’area circostante. Lungi dall’essere intesa solo come gesto tecnico uni cante, “l’infrastruttura diviene una leggera sequenza di elementi la cui funzione non nega - ma piuttosto valorizza - molteplici strati di connessione spaziale e sociale nell’iper-città contemporanea”(Carlo Ratti Associati et al., 2019).
Infrastrutture e sviluppo territoriale: dalla smart moblity ad una smart urban region Ampliando ulteriormente la scala di osservazione, l’esposizione ha esplorato diversi risvolti della relazione tra infrastrutture e svi136
luppo a scala territoriale. Una ri essione interessante sul tema è stata offerta dal visionario progetto di MVRDV e Airbus, “City and the sky above”. Partendo dalla costatazione che entro il 2030 il 60% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane, i progettisti si sono interrogati su come le soluzioni di trasporto debbano essere ripensate. Hanno quindi immaginato la “mobilità della nuova era” come un ampio sistema di soluzioni - veicoli aerei elettrici a guida autonoma e su richiesta, soluzioni di gestione del traffico non sorvegliato – integrate nelle città in maniera armonica e sostenibile. L’Urban Air Mobility punta al superamento della proprietà individuale del veicolo ipotizzando un innovativo sistema di trasporto multimodale porta a porta. Alla base del progetto, la convinzione che questi sistemi, raggiunto il loro massimo potenziale, possano migliorare signi cativamente la qualità della vita, a condizione di porsi le giuste domande: Come evolverà questa nuova era della mobilità urbana nel campo della piani cazione urbana? In che modo i collegamenti “punto a punto” in uiranno sulla ridistribuzione economica regionale? Come può il servizio pubblico di mobilità favorire l’accessibilità e contrastare disuguaglianze sociali? Siamo pronti? La domanda non è più se questa tecnologia arriverà; il processo è già in atto. Ma, insieme al grande potenziale che offre, comporta la responsabilità di implementarla in vista di un bene più grande, in una nuova frontiera tra la città e il cielo” (MVRDV, 2019).
L’evoluzione tecnologica e l’intelligenza articiale al servizio della mobilità possono dunque in uire direttamente su morfologia e dinamiche di un territorio urbanizzato, rivelando oggi più che mai inscindibile il legame con una forte idea di città o un particolare modello di trasformazione territoriale.5 Alcuni studi sulla realtà della grande agglomerazione parigina6 confermano come il perseguimento di un modello di “città intelligente” possa essere assecondato dalla previsione 5 Nel caso dell’agglomerazione metropolitana del Grand Paris, lo “SDRIF Horizon 2030” (Schéma Directeur de la Région Ile-de-France) assume come punto di partenza il sistema infrastrutturale - quello esistente e quello previsto dal progetto Grand Paris Express - per piani care l’urbanizzazione di speci ci poli strategici: un progetto orientato al superamento del sistema radiocentrico a favore di quello multipolare. L’obiettivo è il superamento di ineguaglianze e il rafforzamento della coesione territoriale e sociale dell’intero agglomerato. 6 Cfr. a tal proposito il progetto di ricerca ORMEMAGE, UMR AUSser, 2019-2020, Continuité des trames vertes et bleues et mobilité innovante : scénarios exploratoires pour Paris 2024 et l’Écorégion 2030.
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di un intelligente sistema infrastrutturale, e come esso stesso renda possibile la considerazione di forme insediative alternative. Numerose ricerche sul tema sostengono l’inefficienza economica e l’insostenibilità ambientale di uno sviluppo territoriale a densità bassa, fortemente condannato dall’opinione condivisa - e spesso semplicistica - della necessità di uno sviluppo sempre più denso e compatto dell’agglomerazione urbana che non scenda a compromessi. Tuttavia, il ripensamento del sistema di trasporto tradizionale può rivelarsi cruciale per un ribaltamento di prospettive. Ripensarne il sistema di gestione affinché sia in grado di regolare essibilmente l’offerta in funzione della domanda, potrebbe rivelarsi una misura signicativamente favorevole al superamento del tradizionale dualismo centro-periferia, implementando una modalità di spostamento collettiva e condivisa. Allo stesso modo, una mobilità innovativa nella sua capacità di relazionarsi efficientemente con differenti densità abitative ed intensità urbane7, potrebbe consentire una piani cazione più essibile ed una gestione integrata del territorio nella sua interezza ed eterogeneità: una realtà in cui modalità abitative diversi cate, mixité funzionale e morfologica possano coesistere in un giusto equilibrio tra pieni e vuoti, in una giusta densità urbana8.
Conclusioni Prendendo le distanze da questioni puramente tecniche, pur senza ignorare le problematiche poste dai critici della digitalizzazione, l’evento ha globalmente dimostrato le potenzialità di una nuova loso a di lavoro progettuale, dimostrando come un processo di innovazione tecnologica aperto, se correttamente indirizzato, possa rivelare molteplici possibilità per uno sviluppo più inclusivo e sostenibile dello spazio urbano. In questa direzione, rimane cruciale il ruolo del progetto della città intelligente e la nostra responsabilità nel ricercare soluzioni olistiche e centrate sull’umano, basate su una loso a di condivisione democratica 7 Il tema è oggetto di studio della tesi di Dottorato “La question de la densité dans la métropole contemporaine. Formes urbaines et habitat dans le Grand Paris” di Flavia Magliacani, nata dalla collaborazione tra l’ENSA Paris Belleville e l’Università di Roma “La Sapienza” sul rapporto tra tessuto urbano, densità abitativa e qualità dell’habitat nella metropoli parigina. 8 L’architetto e urbanista Ph. Panerai, sostiene a tal proposito che « La carte d’un Grand-Paris plus juste et plus solidaire sera le plan de ses transports en commun » (2008).
simultaneamente “top-down” e “bottom-up”, orientate ad una comprensione trasversale dello sviluppo territoriale contemporaneo, attraverso metodi integrati e a più scale, basate in ne su punti di vista sincronici - tanto storici quanto lungimiranti - e su visioni ecoresponsabili ed orientate ad una crescita sostenibile. È su questa etica che deve fondarsi il nostro lavoro di progettisti della città del futuro. © Riproduzione riservata
Bibliogra a Fuller, R. B. (1968), Utopia or Oblivion: The Prospects For Humanity, Bantam Books, New York. Mora, L., Deakin, M., Reid, A. (2018), “Smart city development paths: insights from the rst two decades of research”, Smart and Sustainable Planning for Cities and Regions: Results of SSPCR 2017, Bisello, A. (Ed.), Springer International Publishing, Heidelberg. Panerai, Ph. (2008), Paris métropole, formes et échelles du Grand-Paris, La Villette, Paris. Sudjic, D. (2019), “Is the Internet Bringing Us to the Middle Ages?”, Catalogo ufficiale della mostra “Eyes of the City“, Bi-City Biennale of Urbanism\Architecture (UABB) Shenzhen, Shenzhen. The curatorial team UABB (2019), “Introduction”, Catalogo ufficiale della mostra “Eyes of the City “, Bi-City Biennale of Urbanism\Architecture (UABB) Shenzhen, China. Volume o articolo da sito Internet: Carlo Ratti Associati, Politecnico di Torino (China Room), South China University of Technology (School of Architecture), Atelier Bow-Wow + Tokyo Tech Tsukamoto Lab, NODE, Guangzhou Architectural Engineering Design Institute (2019), Connected Plaza. A Masterplan for the Square of Futian Station for UABB 2019/2020, testo disponibile al sito: http://eyesofthecity.net/connected-plaza-a-masterplan-for-the-squareof-futian-station-for-uabb-2019-2020/ (ultimo accesso 15/06/2020). MVRDV, The Why Factory’s (2019), contributions to the UABB in Shenzen probe the potentials – and pitfalls – of the new urban technologies, , testo disponibile al sito: https://www.mvrdv.nl/news/2498/mvrdv-andthe-why-factorys-contributions-to-the-uabb-inshenzhen- (ultimo accesso 15/06/2020). Curatori della mostra: Politecnico di Torino e South China University of Technology Carlo Ratti, Professor, MIT Senseable City Lab Michele Bonino, Associate Professor, Politecnico di Torino SUN Yimin, Dean of School of Architecture, South China University of Technology
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A la recherche de l’interconnexion train-métro : regards croisés dans les métropoles de Lille, Rennes et Toulouse par Philippe Menerault et Cyprien Richer
Le retour des tramways en France a constitué un thème de recherche fécond en aménagement-urbanisme et en géographie à partir des années 1980. A l’inverse, le métro de type VAL1, soutenu, lui aussi, par d’importants programmes de recherche technologiques nationaux dans les années 1970-80, a eu moins de réussite. Sa diffusion bien plus modeste sur le territoire français et son implantation limitée à l’étranger2 en dépit des espoirs initiaux des pouvoirs publics en témoignent. Si l’on excepte les lignes spéci ques construites pour la desserte d’aéroports3, trois métropoles françaises seulement, Lille (1983), Toulouse (1993) puis Rennes (2002) ont opté, à 10 ans d’intervalle, pour la mise en service d’une première ligne de VAL, puis d’une 2ème. L’exploitation de cette dernière s’est échelonnée, à Lille, entre 1989 et 2000 ; à Toulouse, elle date de 2007 ; et, à Rennes, la 2ème ligne est en cours de construction4. Autour de ces lignes de VAL, les autorités organisatrices de la mobilité et leurs exploitants ont restructuré leurs réseaux urbains en favorisant le rabattement des autres modes de déplacements au sein de pôles d’échanges (Menerault, 2006). En revanche, le rapport du VAL aux gares ferroviaires exploitées par la SNCF est plus ambigu, comme nous voudrions le montrer dans cet article, en mettant l’accent sur le potentiel que l’interconnexion train-Val représente dans des territoires intercommunaux aux périmètres sans cesse élargis et aux compétences sur la mobilité renforcée. En effet, si dans la gare 1 L’acronyme VAL désignait initialement le projet de ligne « Villeneuve-d’Ascq-Lille » ; il signi e désormais « Véhicule Automatique Léger ». Nous utilisons indifféremment dans la suite de l’article « métro » ou « VAL » pour désigner ce type de métro léger. 2 Jacksonville en 1989 (retiré de l’exploitation en 1996), aéroport de Chicago en 1993, Taipei en 1996, Turin en 2006, Uijeongbu en 2012. 3 Orlyval à Orly et CDGVal à Roissy. 4 La mise en exploitation est prévue n 2020.
In search of the interconnection between train and métro: a comparative look at the Metropolises of Lille, Rennes and Toulouse by Philippe Menerault and
Cyprien Richer
Three French metropolises (Lille, Toulouse and Rennes) have opted to build a light metro of the “VAL” (Véhicule Automatique Léger) type. Since a rst and then a second line were commissioned, the VAL has become the backbone of the urban public transport network in these three conurbations, in an intermodal relationship with other transport modes. Special attention has been paid attention by the organising authority to certain locations, such as the central stations, or certain services, such as the urban bus or the car park and kiss-and-ride facilities, in order to ensure a complete link with the light rail system. Beyond that, the quality of the train-VAL interconnection is more con icted, as we will analyse in this article. To this end, we have produced a typology of the forms of spatial articulation between VAL and train in the peripheral stations in the metropolises of Lille, Toulouse and Rennes. Conceptually, our work aims to contribute to the debate on interconnection, and in particular on the “thickness” of the interconnection “through the nodes”, when two distinct networks are joined together in the same place. The results show that, despite the potential, the stakes of a hybrid network have been minimised from the outset of the creation of the VAL lines. Catch-up ambitions remain complex to implement, while metropolitan RER projects are currently underway around these three regional capitals.
Sur la page à côté, de gauche à droite, de haut en bas: le hall d’échanges de la station de métro Toulouse Arènes (Cyprien Richer, septembre 2017); panorama du pôle d’échanges de Toulouse Arènes (Cyprien Richer, septembre 2017); parc vélo et totem d’accès à la gare de Saint-Agne à Toulouse (Cyprien Richer, septembre 2017); pôle d’échanges de Pont de Bois dans la métropole lilloise. (Cyprien Richer, avril 2019); pôle d’échanges de la station de métro La Poterie à Rennes (Cyprien Richer, avril 2017).
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centrale l’articulation avec le métro apparaît comme une priorité des métropoles dans le cadre de projets de pôles d’échanges multimodaux complexes, accompagnés de vastes programmes d’aménagement urbain, il n’en va pas de même sur les sites périphériques qui retiendront notre attention dans cet article. L’interconnexion, objet de ce travail, consiste à connecter entre eux deux réseaux de nature hétérogène d’un point de vue technique, organisationnel et institutionnel (Margail, 1996). Dans le cas du train et du métro de type VAL, « l’interconnexion par les ux », c’est-à-dire une mise en continuité sans rupture de charge est impossible en raison de l’incompatibilité des infrastructures5. On parle alors d’une « interconnexion par les nœuds » lorsque deux réseaux distincts sont accolés en un même lieu, d’épaisseur variable, où l’usager change de mode de transport. C’est la nature et la caractérisation de ce lieu qui seront ici analysées. Cette ré exion prendra appui sur deux parties : l’une centrée sur les apports du champ de recherche auquel ce travail espère contribuer et l’autre sur la dé nition d’une typologie des formes d’articulations spatiales entre VAL et train rencontrées à Lille, Rennes et Toulouse.
Deux ou trois choses que les recherches sur les réseaux territoriaux nous ont appris Dans un article consacré aux stations nodales du métro parisien, G. Dupuy a caractérisé, sur le temps long, l’évolution de ce mode de transport dans sa relation à l’espace et conclu à « un asservissement du réseau de métro à des territoires plus vastes que Paris … surtout [à un] espace régional fortement organisé par le RER » (Dupuy, 1993). La méthode élaborée reposait sur une dé nition de la station nodale fondée sur une hiérarchie faisant intervenir d’abord l’importance du nombre de correspondances (présence d’au moins 3 lignes par nœud), puis l’intégration à des systèmes ferrés de niveau supérieur (RER et SNCF). Ce point de vue est d’autant plus intéressant qu’il met l’accent sur la conception des stations dans leur réseau mais aussi sur les conditions de liaisons entre les différents systèmes en présence. Il insiste 5 Le RER en Ile-de-France ou le tram-train, par exemple, constituent des interconnexions par les ux.
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ainsi sur une focale longtemps reléguée, celle de la partie immobile des réseaux au détriment de leurs composantes mobiles (véhicules, circulation …), ce qui a depuis été corrigé comme en témoigne la conception des stations du Grand Paris Express. Nous nous sommes inspirés de ces travaux pour chercher à appréhender la manière dont sont traitées, au sein des métropoles françaises disposant de VAL, les stations offrant une interface avec le réseau SNCF. La densi cation des espaces de banlieues, comme l’extension des zones urbanisées, incitent en effet à considérer que l’échelle de déploiement du VAL se trouve de plus en plus inadaptée à la mobilité métropolitaine si ce mode de transport est envisagé dans sa logique interne ou dans celle des entreprises de transports urbains qui y associent tramways et bus. Un article de N. Stathopoulos, A. Pény et G. Amar (1993) consacré à la forme et aux fonctions des points de réseaux présente, lui aussi, un substrat théorique très utile à notre perspective. Les auteurs y ont forgé et étudié ce concept en distinguant son double rôle : l’accès (associé au local) et la connexion (associée au translocal) ; celle-ci pouvant relever de la correspondance ou/et de l’interconnexion entre plusieurs systèmes de transport. Ces deux rôles ont une traduction en terme d’occupation de l’espace car ils nécessitent, ou non, une étendue et un volume intégrant du mobilier, des bâtiments, de l’information, du marquage, de la signalétique... Elles sont alors assumées dans un espace interne géré par l’exploitant et/ou externe, dans les situations où les voyageurs doivent sortir à la surface pour rejoindre un autre mode. Dans le cadre de notre ré exion sur les con gurations spatiales permettant d’articuler VAL et train, c’est donc essentiellement le rôle translocal assumé par le couple station/halte 6, dans sa double dimension interne et externe, qui a retenu notre attention. Parmi les recherches réalisées sur les réseaux territoriaux à la n des années 1990, la contribution de P. Pucci et G. Vacheret (1999) à la compréhension de l’interconnexion des réseaux introduit un cadre d’analyse convaincant en distinguant trois registres pour cette notion. La différenciation proposée par ces auteurs porte sur la conjonction entre le renforcement de la nodalité des gares et le tissu urbain voisin (interconnexion ponctuelle), sur l’inclusion du nœud de transport dans 6 Même si celle-ci joue également un rôle local en formant un « complexe d’échange ».
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l’élaboration d’une stratégie à grande échelle (interconnexion de projet au niveau régional), sur le passage d’une approche technicienne à une conception multipartenariale (interconnexion des acteurs institutionnels). La question des échelles est essentielle dans notre analyse car la focale portée sur l’articulation VAL/train en dehors des gares centrales vise à interpeller la capacité – ou non – des opérateurs à élaborer une stratégie territoriale conçue sur la combinaison des réseaux. Compte tenu du déploiement du VAL, notre approche n’envisage cependant pas une dimension périurbaine des territoires de la mobilité, au sens d’une construction de la ville autour des gares, comme de récentes recherches internationales ont pu s’y attacher, témoignant notamment de la vitalité des échanges franco-italiens en matière d’examen des liens entre infrastructures et aménagement (A. Grillet-Aubert et al. 2015). Par ailleurs, concernant les jeux d’acteurs, le format de cet article ne nous permet pas de l’aborder directement mais les con gurations que nous avons analysées doivent bien être interprétées comme leur produit. Il convient aussi de signaler d’autres recherches inspirantes qui ont traité du caractère fondamental de l’accessibilité cognitive : pour être utilisable, l’espace doit être lisible. Ainsi, Joseph (1999) considère que « […] l’univers du voyage, tel qu’il se donne à voir à l’usager dans une gare ou un complexe d’échanges, est un monde d’intelligence distribuée. Cette intelligence, inscrite dans la con guration des espaces et dans la signalétique, est médiatisée par des objets (bornes ou plans) qui permettent à l’usager de se délester de la charge cognitive qui va de pair avec son activité d’attente, d’orientation, de correspondance, etc. » (p. 13). Plus tard, des travaux menés sur les pôles d’échanges sont venues compléter ces apports et mettre l’accent sur leurs composantes spatiales, notamment au travers d’une grille d’analyse proposée par V. Stransky (2006) qui pose la question de savoir où commence et où nit le pôle d’échanges. Dans une démarche structurale, il a élaboré une matrice avec laquelle il examine nement l’espace selon quatre variables distinctes : l’aménagé, le perçu, le représenté et le vécu qu’il croise avec les composantes non formelles, dimensionnelles, géométriques et topologiques qui le dé nisse. Là encore une distinction est opérée entre l’intérieur et l’extérieur du pôle d’échanges qui montre leur complémentarité en mettant en relief la question de leur environnement (théma-
tiques du paysage ou du quartier). Récemment, un travail dirigé par D. Mangin et M. Girodo (2016) – dans le contexte particulier de la conception des gares du Grand Paris – s’est intéressé à un type d’espace particulier que ces auteurs ont dénommé la mangrove urbaine. Celle-ci rassemble dans un même système urbain complexe et connecté, les stations de métro et les gares, mais aussi les couloirs les reliant à des espaces commerciaux, de services, ludiques ou culturels. Ces dispositifs ont à voir avec la problématique d’un élargissement des pôles d’échanges qui nous intéresse à travers une ré exion sur l’étendue (le rhizome), sur les niveaux concernés (sous-sol, sol et sur-sol), sur la nature des transports en commun en présence et leurs modes de liaison. Ces différents travaux constituent le substrat de l’analyse des situations de connexions entre VAL et train dans les métropoles de Lille, Rennes et Toulouse que nous voulons caractériser.
Typologie des formes d’articulation nodale train-Val Sans chercher à détailler les caractéristiques territoriales des réseaux (cf. tableau ci-dessous), il faut toutefois indiquer que l’une des différences entre Lille, Rennes et Toulouse concerne le caractère intercommunal du métro lillois. La moitié seulement des 62 stations qu’il comporte sont situées dans la commune de Lille et 7 autres communes de la métropole disposent d’au moins une station de métro ; à l’inverse, toutes les stations de métro de Rennes sont actuellement dans le périmètre de la commune-centre ; tandis qu’à Toulouse, 2 stations seulement sur les 38 sont situées à l’extérieur. La démographie et la taille des communes-centre rendent compte de ces différences : si Rennes et Toulouse concentrent environ la moitié de la population de leur agglomération, Lille – dont la super cie communale est faible par rapport aux autres communes-centres – pèse seulement pour moins de 20% dans le poids démographique de sa métropole. Les trois métropoles étudiées sont au centre d’une étoile ferroviaire où convergent, dans une gare centrale7, les dessertes. De vastes 7 A Lille, deux gares centrales, Lille-Flandres et LilleEurope, distantes de 400 m seulement, dessinent un « espace nodal » (Ph. Ménerault & A. Barré, 2001) dont l’uni cation s’exprime aujourd’hui dans le projet Euraflandres.
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1 - Plan de réseaux de Lille, Rennes et Toulouse.
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pôles d’échanges, élaborés dans un cadre multipartenarial, y ont été créés ; l’interconnexion train/métro y revêt un caractère stratégique et se renforcera avec la 2ème ligne de métro rennaise (2020) et, ultérieurement, avec la 3ème ligne toulousaine (2025). En revanche, l’articulation du métro et du train dans les gares secondaires est bien plus discrète, en dépit des avantages qu’elle pourrait procurer dans 4 registres : d’abord, valoriser ce potentiel d’intermodalité peut améliorer la capacité globale du système de transports collectifs et permettre de mieux répartir les usagers, donc d’améliorer leur confort ; ensuite, en limitant une massi cation des ux de voyageurs sur les seules gares centrales, on réduit les risques de saturation sur ces lieux particulièrement problématiques à gérer dans des situations de crise, notamment sanitaire ; par ailleurs, plus globalement, l’augmentation de la connectivité, en créant des liaisons alternatives, permet de abiliser le fonctionnement du réseau en cas de perturbation ; en n, en fonction de l’organisation du réseau, l’articulation du métro et du train en périphérie peut procurer des gains de temps aux usagers sur certaines liaisons. On dénombre respectivement 34, 15 et 28
haltes ou gares dans le ressort territorial8 des transports urbains de Lille, Rennes et Toulouse, mais seulement 6 arrêts de trains à Lille, 2 à Rennes et 3 à Toulouse sont en « contact » avec une station de métro. Pour dé nir cette situation de contact, nous nous sommes basés sur deux critères : morphologique, lorsque la distance entre la gare ferroviaire et la station de VAL est inférieure à 750 m (10 minutes à pied), et/ou toponymique lorsque les deux éléments portent la même dénomination. Sur cette base, nous avons déterminé la qualité des relations train-métro par un classement en 4 niveaux : - La «fusion» exprime l’intégration la plus aboutie de l’interconnexion métro-train. Dans ce cas, la combinaison des deux réseaux relève d’un même espace interne (Stathopoulos, Pény, Amar, 1993) où l’information, la signalétique et les services contribuent à gommer les frontières d’exploitation ; - La situation de « synergie » correspond à l’existence d’opportunités exploitées de 8 La loi MAPTAM du 27 janvier 2014 a substitué la notion de ressort territorial à celle de périmètre de transport urbain antérieurement en vigueur.
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façon incomplète, soit en regard des congurations spatiales, de l’information ou de l’offre accessible aux usagers ; - La « cohabitation » indique une connaissance mutuelle marquée par une proximité physique ou informationnelle, mais sans démarche d’intégration métro-train ; - En n, la situation « d’indifférence » fait référence à des cas où les liens métro-train n’existent pas malgré une même toponymie ou la présence d’enjeux à plus long terme. Fusion : le cas de Toulouse-Arènes - Sur les 11 cas étudiés, un seul relève d’une situation de « fusion » : la station de métro Arènes à Toulouse avec la gare de Saint-Cyprien. Il s’agit en effet d’un même pôle d’échanges qui rassemble métro et train – reliés par un couloir souterrain –, mais aussi le tramway, un pôle bus et un parc-relais (Photos 1 et 2). Ce site béné cie d’une information intégrée avec une liaison TER (Ligne C) transformée en ligne forte du réseau de transport urbain. En effet, dès l’ouverture de la ligne A du métro en 1993, le service ferroviaire sur la liaison Saint-Cyprien–Colomiers est renforcé, intégré à la tari cation urbaine et au plan de transports urbains sous la dénomination « Ligne C » (Maulat, 2012). Toulouse Arènes est ainsi identi é comme un pôle de correspondance majeur du réseau Tisséo où les possibilités intermodales qui s‘offrent à l‘usager sont représentées de manière lisible (Stransky, 2006). L’intégration tarifaire est intégralement assurée et la fréquence permet des relations facilitées à partir du métro jusqu’à Colomiers. Si ce projet de transport de la ligne C résulte d’un arrangement inédit entre autorités or-
ganisatrices des transports (Barone, 2010), cette fusion métro/train demeure néanmoins partielle et fragile. - Partielle, car l’intégration avec le réseau ferroviaire régional concerne exclusivement la ligne C, alors que d’autres trains circulent sur cette voie Auch-Toulouse Matabiau : le TER relie notamment en 8 minutes la halte Saint-Agne connectée à la ligne B du métro. Pour les trains hors ligne C, un abonnement spécial plus couteux que l’abonnement Tisséo est nécessaire pour circuler conjointement sur le réseau de métro et TER à l’intérieur du ressort territorial de l’AOM. - Fragile, car la Région a hérité de cette situation négociée antérieurement et supporte intégralement la charge nancière de l’exploitation ferroviaire d’une desserte urbaine (Maulat, 2012). En effet, cette liaison est présentée dans le Plan de transport urbain de l’exploitant (Tisséo) comme la ligne C du métro tandis que, pour la Région, il ne s’agit que d’un segment de la ligne Toulouse-Auch. En dépit du succès commercial, ce projet reste un sujet d’insatisfaction entre les deux Autorités Organisatrices et renvoie à des divergences de position sur la fonction du transport ferroviaire (Maulat, 2012).
2 - Plan schématique des réseaux métro et train des métropoles de Lille, Rennes et Toulouse et cas d’études sélectionnés (auteurs).
Synergie : les cas de Toulouse St Agne, Rennes Pontchaillou, Lille CHU - Trois stations intermodales, une dans chaque territoire d’étude, sont dans une situation de « synergie » entre le métro et le train. A défaut d’une fusion, ces trois cas ouvrent des opportunités –partiellement saisies – d’une réelle complémentarité métro-train. Deux cas concernent des stations desservant d’importants centres 143
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hospitaliers : Pontchaillou à Rennes et CHU Oscar Lambret à Lille. A Pontchaillou, la halte ferroviaire éponyme est située entre deux stations de métro : l’une portant le même nom, l’autre dénommée Anatole France qui béné cie d’un cheminement plus direct (300 m soit moins de 5 minutes à pied). C’est pourquoi la halte SNCF Pontchaillou est généralement associée à la station de métro Anatole France, ce qui peut créer de la confusion pour les usagers. La gare de Lille CHU représente une opportunité de connexion au métro CHU-Centre O. Lambret très intéressante mais peu valorisée. Les deux arrêts sont proches (environ 200 m) et l’orientation à la sortie de la halte est facilitée par la visibilité du viaduc du métro. Pontchaillou et Lille CHR constituent ainsi des « portes d’entrée » stratégiques au sein de leur agglomération qui béné cient d’une bonne fréquence TER avec une intégration tarifaire. Pourtant, ces opportunités ne sont pas mises en valeur par l’information des différents exploitants. Dans ces deux cas la fonction d’accès à des pôles d’emplois importants prime sur le rôle de connexion (Stathopoulos, Pény, Amar, 1993) même si la rénovation récente de la halte Pontchaillou (2019) a permis d’améliorer le lien à la halte depuis et vers le métro par la rénovation de la passerelle et une signalétique appropriée. Dernière situation de « synergie », la halte de Saint-Agne à Toulouse. Dans un environnement plus résidentiel que les deux cas précédents, cette connexion métro-train est distante d’une centaine de mètres. Les correspondances se font sur un même trottoir tandis que la covisibilité est assurée par le totem Métro d’un côté et, de l’autre, par la station vélo et le totem SNCF (Photo 3). Les deux arrêts sont identi és comme un pôle d’échanges métro-train dans le plan du réseau et à travers les différents documents de communication de Tisséo. La halte est très bien desservie mais les liaisons desservant la gare de Saint-Agne ne béné cient pas de la même intégration que la ligne C dans le réseau urbain, que ce soit en termes d’identi cation dans le réseau urbain ou de tari cation. Pourtant, cette connexion du métro avec la ligne ferroviaire aurait pu relever d’une situation de « fusion » car elle présentait un intérêt stratégique identi é dès les ré exions sur la deuxième ligne de métro toulousain9. 9 En effet, la station Saint-Agne était prévue pour être implantée à quelques centaines de mètres au niveau
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Cohabitation : Les cas de Pont de Bois, Gare de Roubaix, Gare de Tourcoing - Trois cas situés dans la métropole européenne de Lille relève de la « cohabitation » entre métro et train. Pourtant, l’intégration tarifaire entre les réseaux TER et ilévia est parfaitement assurée dans la métropole lilloise, tandis que les nouvelles représentations graphiques du plan de transports urbains mettent en évidence les lignes TER comme de véritables liaisons structurantes. Localisée à Villeneuve d’Ascq, en contact avec un grand site universitaire, la station de métro Pont-de-Bois cohabite avec une halte TER sur la ligne Lille-Tournai. Les quais de trains sont à moins de 100 mètres de l’entrée de la station de métro et ces deux éléments sont reliés par un trottoir sans traversée. Sur le plan du pôle d’échanges ilévia, la présence de la halte TER est seulement suggérée par une direction alors qu’elle est toute proche. La desserte ferroviaire reste assez faible pour offrir une véritable complémentarité au métro. Ainsi, le réaménagement du site de Pont-de-Bois, achevé n 2018, a conforté la cohabitation en n’intégrant pas la halte TER au projet de pôle d’échanges. Les travaux se sont concentrés sur la création d’une gare routière pour améliorer les rabattements des bus urbains vers le métro (Photo 4). Les deux autres situations de cohabitation concernent les imposantes gares de Roubaix et de Tourcoing. Le métro est en contact direct avec la gare de Roubaix, contrairement à Tourcoing (où 350 m séparent le métro de la gare). Cependant, la desserte TER à Roubaix s’étant progressivement érodée, l’atout d’une connexion métro-train est très limité. Le quartier de la gare de Roubaix s’est transformé mais le projet urbain s’est fait dans l’indifférence vis-à-vis de la desserte ferroviaire. A Tourcoing, le cheminement entre le métro et la gare a été retravaillé mais reste peu pratique pour les voyageurs. Indifférence : Les cas de Toulouse La Vache, Rennes La Poterie, Lille Porte de Douai, Croix-Wasquehal - Les quatre derniers pôles relèvent de l’indifférence. Pour le cas de la station La Poterie à Rennes (Photo 5) ou celui de Portede-Douai à Lille, les liens avec le train se résument au fait que la station de métro porte le du quartier Niel. Les élus voulaient créer à l’époque, dans le cadre du projet de la ligne B du métro, une station multimodale, connectée à une gare SNCF qui aurait constitué un terminus partiel, en amont de Matabiau. La gare multimodale est restée en projet et la station de métro Niel n’a jamais été aménagée.
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même nom que la halte TER. Ni la distance (plus d’1 km pour La Poterie, 750 mètres pour Porte-de-Douai), ni la complémentarité des dessertes, ni les stratégies déployées par les acteurs ne permettent d’envisager une autre situation que l’indifférence. Dans la métropole lilloise, la station de métro Croix Centre et la gare Croix-Wasquehal sont distantes de 700 m (une dizaine de minutes à pied) à travers la rue de la Gare. Située entre Tourcoing et Lille, la ligne de métro et le train sont davantage concurrents que complémentaires et limitent l’intérêt de la connexion. Le contexte est différent pour le dernier cas. La halte TER Route-de-Launaguet n’est plus desservie depuis 2016 même si elle reste mentionnée dans le périmètre de l’intégration tarifaire. La halte est située sur une liaison TER importante (Toulouse-Montauban) que le parc-relais de la station de métro La Vache jouxte. Ainsi, ce site est fréquemment évoqué dans les projets de RER Nord Toulousain comme un site stratégique pour créer un pôle d’échanges métro-RER. La situation d’indifférence originelle pourrait donner lieu à de plus fortes synergies dans le futur incertain du projet de RER.
s’expriment dans les trois métropoles étudiées. Sans ambiguïté, aujourd’hui, l’interconnexion VAL-train n’est pas « la traduction d’un projet territorial à grande échelle (…) à travers des politiques capables de dialoguer avec le caractère différentiel du territoire et de dépasser les conditionnements administratifs qui dessinent périmètres et compétences » (Pucci, Vacheret, 1999).
Conclusion
Mangin D., Girodo M. (dir.) (2016) Mangroves urbaines : du métro à la ville (Paris, Montréal, Singapour), La Découverte (collection Dominique Carré).
Cet article s’est concentré sur les liens entre le VAL et le train dans les trois métropoles françaises ayant adopté ce système de métro léger : Lille, Rennes et Toulouse. Si les gares centrales ont fait l’objet d’importantes valorisations de l’interconnexion métro-train au sein « de stations nodales » (Dupuy 1993) de plus en plus complexes, les autres gares des métropoles de Lille, Rennes et Toulouse n’ont pas été au centre des attentions. La mise en projet de l’interconnexion est restée lacunaire voire inexistante. Notre analyse démontre un traitement différencié et au cas par cas de l’articulation VAL/train dans chaque collectivité. Seul le pôle d’échanges de Toulouse-Arènes relève d’une fusion des réseaux TER et métro à travers un arrangement original, mais le modèle apparait difcilement reproductible comme tel. Globalement les enjeux d’un réseau hybride ont été minimisés dès l’origine de la création des lignes de VAL et les ambitions de rattrapage restent complexes à mettre en œuvre. A l’heure des ré exions sur une mobilité multimodale plus intégrée dans les grandes métropoles, d’intégrations tarifaires abouties comme celle de la métropole lilloise, les occasions manquées pourraient nuire aux grands projets de RER métropolitains qui
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La station de métro, un condensateur énergétique? par André Pény
Les multiples disciplines qui constituent la recherche dans le domaine de la mobilité, que ce soit la géographie, la modélisation des ux, la sociologie, l’urbanisme, l’architecture ou l’économie des transports…, ont franchi au cours des récentes décennies plusieurs caps permettant d’approfondir et d’en élargir les champs. La question de l’efficacité énergétique des gares, plus récente date quant à elle d’une dizaine d’années.
Gares et stations, des hubs multiformes Il y a maintenant longtemps que la recherche s’intéressant aux systèmes de transport collectifs urbains et plus particulièrement aux gares et aux stations a dépassé l’analyse de la simple approche fonctionnelle en terme de ux pour la conception des espaces, le dimensionnement des espaces publics ou des parcs de rabattement, des espaces techniques ou de travail. Issue de l’ingénierie des transports, cette approche s’exprime par une image formelle liée à l’architecture des volumes et au design d’équipements spéci ques comme le mobilier urbain, la signalétique, les dispositifs d’information, de sécurité, de régulation, de ventilation ou encore de gestion des dénivelés dans les volumes réglés et architecturés par cette circulation des ux… Depuis, la recherche s’est élargie à la prise en compte de la notion de réseau de transport et de ses impacts sur le territoire desservi, notion regroupant des lignes et des modes de déplacement divers au sein desquels les stations se retrouvent au premier plan. Ce qui n’était au mieux qu’une correspondance entre deux lignes de métro devient un point d’échange monomodal dans un premier temps puis en intégrant la provenance et les modalités d’accès des utilisateurs du métro aux gares et stations, on découvre la notion de pôle d’échange multimodal ou hub multi-
The underground station, an energy condenser? by André Pény
This article deals with the late emergence of the energy issue in guided transport. The governmental initiative for the creation of the Institutes for Energy Transition (I.T.E.) and in particular the Efficacity initiative has made it possible to inaugurate a cycle of research on stations and metro stations, after demonstrating the considerable energy consumption that stations represent in the transport system: - The identi cation and measurement of the speci cities of station energy consumption and resources that might include, for example, the recovery of train kinetic energy or shallow geothermal energy for underground stations. - The expansion of energy exchanges between production and consumption to the station environment, i.e. to the built complexes (housing, offices, etc.) and to the various existing or future modes of electric road transport (buses, cars, twowheelers, etc.). - The implementation of a smart grid or intelligent network that allows resources and needs to be distributed and managed as efficiently as possible between the various elements, in real time or off-line, using storage systems. .
Sur la page à côté, en haut: une gare du futur Grand Paris : Saint Denis Pleyel; en bas : synergie électrique-exemple de l’énergie de freinage. L’énergie de freinage des trains est stockée et redistribuée aux équipements de la station (éclairage, ventilation, chauffage, escaliers mécaniques…) ou à des besoins externes (recharge de véhicules électriques par exemple) grâce à un pilotage en continu des besoins et ressources. @ Efficacity
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modal. Sa consistance fonctionnelle et servicielle s’en trouve enrichie ainsi que les liens avec l’organisation urbaine autour du pôle, que ce soit en terme de localisation des activités ou d’aménagement des espaces publics. (Amar, Pény et Stathopoulos, 1993) Ce passage sous forme de zoom du point au pôle et du mono au multimodal va s’accompagner de ré exions et de mises en œuvre de services de plus en plus précis liés aux typologies des usagers et des usages, aux temps et aux espaces dans lesquels s’effectuent ces échanges, pour tenter de démêler l’écheveau des complexités qui se donnent à voir. Autour des services de transport ou d’information, des commerces liés à la restauration, à l’alimentation ou à la personne, des services administratifs, culturels ou sociaux on parlera de hub de services : de multiples recherches s’en sont faites échos ou forces de propositions qui ont décliné les classements, les hiérarchies et les résultats en termes de succès ou d’échec, fonction des divers contextes rétistiques et urbains dans lesquels se trouvent les stations en question. (Joseph (dir.), 1995 et 1999) Sur les nœuds du réseau s’implantent donc des prestations servicielles de tout ordre mais les stations et gares sont aussi à part entière des lieux du quartier, de la ville, de l’agglomération au même titre que d’autres grands équipements, commerciaux, culturels ou récréatifs. Non pas des lieux traditionnels au sein desquels on réside, marqués par l’immobilité, l’appropriation et le caractère résidentiel mais des lieux marqués par le passage, l’échange éphémère et la relation partagée (Augé 1992). A ces diverses échelles, le choix de la localisation d’une station, de son implantation, de son accessibililé, ainsi que de ses impacts économiques, sociaux et spatiaux sur le territoire conforte la démonstration de son rôle de véritable hub urbain, équipement spéci que certes mais structurant pour la métropole (Cerema 2017). Si les notions de hub multimodal, de hub de services ou encore de hub urbain ont été anticipées, accompagnées et analysées par les diverses composantes de la recherche s’exerçant dans le domaine des transports et de la mobilité, une nouvelle notion est apparue récemment, celle de hub énergétique : angle mort de la recherche tant socio-économique que technique dans le domaine des transports guidés, nous allons maintenant apporter un éclairage sur son émergence récente ainsi que sur ses contours. Il ne conviendrait pas ici, au travers d’un 148
détour historique lointain, de vouloir piller ou détourner la richesse du concept de « condensateur social et urbain » élaboré par les constructivistes russes dans les années 20. Il s’agit de lui rendre plutôt un hommage car si le terme de condensateur comme équipement industriel a été élaboré à partir des techniques de distribution de l’électricité, il a servi de manière métaphorique pour désigner et magni er certains grands équipements collectifs destinés à faire émerger l’ « homme nouveau » après la révolution soviétique (Kopp A., 1967). Au travers de cette image de la « fée électricité » née il y a maintenant près d’un siècle Il est intéressant de noter l’actualité de cette thématique de l’énergie, non plus sous l’angle d’une puissance in nie destinée à transformer positivement le monde mais dans la recherche subtile d’un équilibre entre la maîtrise de sa consommation et de ses impacts d’une part et la préservation des valeurs de nos sociétés, dont la mobilité est une composante forte.
L’énergie, une préoccupation renouvelée C’est cette démarche que nous allons maintenant présenter, au travers de l’implication de l’institut de recherche Efficacity auprès des acteurs ferroviaires traditionnels. Il s’agit d’une démarche à la fois théorique et conceptuelle pour dé nir les articulations de la gare avec son environnement énergétique ou la caractérisation des ressources et des consommations de l’ouvrage, mais aussi opérationnelle par la mise en place d’outils de mesure, de modélisation pour in ne dénir des stratégies d’optimisation énergétique pour les gares et stations. Dans le cadre du PIA (Plan d’Investissement d’Avenir), l’Etat français a lancé une initiative sur les questions énergétiques : il s’agit d’un appel à manifestation d’intérêt visant à retenir et nancer un certain nombre d’ITE (Institut pour la Transition Energétique) dont l’originalité réside dans le regroupement de partenaires publics (centres de recherche) et privés (grands groupes). Leur mission est de développer des projets de recherche communs devant aboutir à des mises en œuvre opérationnelles dans différentes lières énergétiques industrielles (par exemple l’éolien marin, le solaire photovoltaïque, le transport de l’énergie, la biomasse et les nouveaux carburants, le véhicule du futur…). Parmi les propositions d’instituts retenues
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par l’Etat se trouve celle d’Efficacity qui a pour objet de promouvoir l’efficacité énergétique de la ville durable au travers d’un partenariat regroupant les laboratoires de recherche du pôle scienti que de Marne la Vallée (laboratoires de l’université, des écoles d’architecture et d’ingénieurs…) et les grands groupes industriels concernés (ENGIE, RATP, EDF, VEOLIA…) : différents projets de recherche-action ont ainsi vu le jour sur le thème de l’énergie dans la ville, portés par de multiples disciplines qui travaillent sur le sujet. C’est dans ce cadre que le programme de recherche sur les transports et notamment les stations a vu le jour, dont nous allons maintenant examiner le contexte. D’un point de vue global, l’ensemble des systèmes de transport représente au niveau national un tiers de la consommation énergétique de la France dont la très grande majorité provient de la consommation de pétrole des véhicules particuliers (VP), des bus et des poids lourds. Mais même si le voyageur d’un train ou d’un métro consomme en moyenne dix fois moins d’énergie au kilomètre parcouru que celui d’une voiture particulière, il n’en reste pas moins que le coût de la consommation électrique des systèmes de transport collectifs (TC) ferroviaires est considérable et en constante augmentation (+7,5% par an pour la RATP ces dernières années). La SNCF au niveau national comme la RATP au niveau de la région Ile de France sont les premières entreprises consommatrices d’énergie électrique, qui s’exprime en milliards de KWh : si la plus grande part de la consommation énergétique des systèmes ferroviaire lourds urbains, c’est-à-dire les métros, les tramways et les trains de banlieue, est due au fonctionnement des véhicules ou traction, la part des gares et stations de métro représente tout de même un tiers de cet ensemble soit donc la moitié de l’énergie de traction : pourcentage partagé par les grands opérateurs que sont la RATP et la SNCF ainsi que par la Société du Grand Paris (maître d’ouvrage des futures lignes du Grand Paris) dans ses prévisions. Pour donner quelques chiffres, une station de métro consomme, fonction de sa taille, l’équivalent de 45 à 270 logements (de 70 m2) et une grande gare de train 255 logements (Galai-Dol, Letrouvé, 2018) De plus on constate une tendance haussière du poids relatif des stations dans la consommation du système ferroviaire de la ligne : d’un côté l’efficacité énergétique de la motorisation des trains s’est améliorée et grâce aux automatismes de conduite la récupération de
l’énergie de freinage des rames et leur réutilisation optimale par les autres trains de la ligne s’est accrue ; d’un autre côté, les stations récentes ou réaménagées nécessitent plus d’espace, plus d’équipements et plus de confort dont le fonctionnement est couteux en énergie, faisant passer la part des stations dans la consommation de la ligne d’un quart lors des décennies précédentes à un tiers actuellement. Mais la consommation du matériel roulant a longtemps focalisé la recherche sur les véhicules, au détriment des gares et stations. Coté RATP la stratégie énergétique de l’entreprise est actuellement focalisée sur les bus propres et économes même si le remplacement de 250 000 points lumineux par des lampes Leds dans les stations de métro, validé par une diminution de 50% de ce poste de consommation, est un premier pas. Coté SNCF, plusieurs expérimentations, de mesures puis de mises en œuvre ont eu lieu ces dernières années dans différentes gares, Versailles, Pont-Leveque, Aix en Provence…, pour instrumenter des gares, mettre en œuvre des ressources renouvelables et en tester le pilotage (Gazeigne, Letrouvé, 2017). Arep, liale d’ingénierie et d’architecture de la SNCF, a repris la thématique de l’énergie au travers de ses projets de nouvelles gares à l’étranger, en se rapprochant de la certi cation internationale BREAM dans une approche énergétique de la gare considérée comme un bâtiment, par exemple celle de Quinghe en Chine (Arep, 2019).
La gare comme hub énergétique ? Ce sont les caractéristiques de ce contexte qui ont retenu l’attention de l’Institut pour la Transition Energétique (ITE) Efficacity, pour en faire un de ses champs de recherche privilégié (Efficacity, 2014) (Pény, 2016) L’efficacité énergétique promue dans l’Institut Efficacity s’est déclinée dans le programme « pôle gare » autour des deux objectifs suivants : - -des recherches sur la consommation et l’optimisation des échanges d’énergie internes et externes au pôle gare : la gare peut devenir un hub énergétique urbain par ses ressources spéci ques (énergie de freinage, énergie géothermique pour les stations neuves, chaleur issue des équipements) et ses liens et échanges potentiels avec les modes de transport urbains électriques (tramways, bus et véhicules
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1- Le modèle Node-Place ou Noeud et Lieu. Exemple de classement des gares en fonction des valeurs de transport (Nombre de trains et distance au CBD) et de leur urbanité (nombre d’emplois). @ Bertolini, Chorus, 2011. 2 - Sur la page suivante, en haut: synergie thermique. L’échange entre le milieu souterrain à température constante et la station se fait grâce à un liquide caloporteur qui va servir à refroidir des installations techniques, chauffer des locaux ou encore irriguer en besoins thermiques des opérations connexes à la station, bureaux, commerces ou habitat. @ Efficacity. 3 - Sur la page suivante, en bas: Schéma de principe de micro Smart Grid en gare.
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particuliers (VE) ou de livraison électriques, vélos et trottinettes électriques, … qui constituent l’écosystème de l’électromobilité), mais aussi les bâtiments, équipements et services du quartier environnant. Or les gares sont par construction et fonctionnement actuellement isolées énergétiquement de leur environnement comme du réseau d’alimentation des rames, ce qui empêche l’échange et la réutilisation de ces ressources. - un développement des services orientés vers l’efficacité énergétique : que ce soit au niveau de la gare elle-même ou bien du quartier environnant il s’agit de développer de nouveaux services de proximité moins énergivores. Cela s’entend dans leur fonctionnement mais aussi dans leur localisation et leur accessibilité, c’est-àdire en privilégiant le fait qu’un service près ou dans la gare est plus intéressant ici qu’ailleurs dans le territoire, non plus du seul point de vue marchand mais de celui de la transition énergétique. Le développement de services est entendu pour les voyageurs mais aussi pour les marchandises : gare et infrastructure mutualisée voyageurs et fret, station comme point de rupture de charge pour les marchandises, modes de transport dédiés pour le fret ou mixte fret et voyageur, colis à destination des usagers de la gare,… Le travail multi-échelle et multi –acteurs réalisé pour la SNCF et les collectivités locales du pays de Fontainebleau illustre bien cette thématique de l’élargissement et de l’ancrage des services dans le territoire (Cerema et al., 2017). Pour répondre à ces objectifs, la démarche
d’Efficacity à la fois pluridisciplinaire et multi-partenaires est plutôt originale au regard du type d’ouvrage que sont les stations de métro et des méthodes de programmation habituellement cloisonnées : les grilles d’analyse, les outils d’aide à la décision et les préconisations qui ont vu le jour ne sont pas limitées à une approche traditionnelle visant la sobriété énergétique pour chaque sous-système ou composant de la gare. La solution en cours de développement par Efficacity s’intègre dans un périmètre plus large et systémique. Plus large car au lieu de s’intéresser à la seule gare, par exemple en remplaçant les tubes uorescents de l’éclairage par des tubes Leds plus économes, elle va prendre en compte la gare dans son environnement énergétique c’est-à-dire en envisageant les besoins et ressources de la gare en connexion avec l’énergie ferroviaire et celle du quartier dont les besoins et rythmes de fonctionnement peuvent s’harmoniser et se compléter. Concernant l’énergie de freinage des trains, cette dernière qui représente environ 40% de l’énergie liée à la traction des rames, n’est que partiellement réutilisée au sein du carrousel de la ligne dans l’échange entre trains, quand un train qui freine coïncide avec un autre qui accélère au même moment. Cette ressource énergétique, actuellement dissipée en chaleur quand il n’y a pas coïncidence, peut être utilisée par la gare, renvoyée sur le réseau électrique ou encore stockée pour une utilisation ultérieure au meilleur moment. Pour réussir l’articulation de la gare avec le quartier les trois points clés à prendre en compte sont les suivants : la localisation de la gare, la synergie à trouver entre fonction urbaine et fonction transport et en n la question de l’accessibilité au hub. La localisation de la gare peut s’entendre à plusieurs échelles : d’une part au niveau métropolitain, l’optimisation du point de vue du réseau de transport permettra une meilleure zone de couverture du territoire et permettra des reports modaux entre la voiture et les TC; mais à cette grande échelle métropolitaine l’optimisation énergétique est affaire de conception de réseau régional et non de station dans son environnement. C’est au niveau du secteur, de la maille locale du tissu urbain ou du quartier, zone dense ou non, pourvue d’une mixité d’activités ou non, déjà centralité locale ou en devenir…, que les échanges entre la gare et le territoire seront les plus intéressants, y compris du point de vue énergétique. Des straté-
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gies pourront être élaborées en fonction du contexte géographique, du potentiel de développement et des partenariats possibles entre les acteurs du site. On peut quali er la gare ou la station du point de vue de la mobilité ou du point de vue de la ville. Pour le dire autrement elle est un point, un nœud du réseau mais c’est aussi un lieu de la ville. L’idée d’élargissement des aspects énergétiques à l’environnement de la gare trouve ici toute sa place : en améliorant les services et le confort aux usagers par la recherche d’un équilibre entre les fonctions nodales et les fonctions urbaines, on va, moyennant quelques conditions, améliorer le bilan énergétique du quartier. Envisagée de manière plus globale, la variété des activités, leurs caractéristiques et leurs modalités de fonctionnement dans le temps seront à priori plus pro tables à une meilleure répartition des consommations énergétiques. Par exemple, des capteurs sur les toits des bureaux utiles à l’immeuble en semaine, pourront alimenter d’autres activités le week-end; autre exemple, le surplus d’énergie de la station, stocké au l de la journée, alimentera en heure de pointe la recharge de véhicules électriques de particuliers, de livraisons ou de bus… Mais comme évoqué précédemment en comparant les consommations par mode (VP vs TC) le principal gain énergétique et environnemental est peut-être le simple report de la VP sur les TC ferroviaires dans la mesure où la consommation énergétique y est environ dix fois moindre. Il est aussi lié aux reports qui peuvent être faits par la promotion des modes actifs et de l’écomobilité dont toute une palette peut se déployer en fonction des besoins surtout lors des trajets courts qui constituent le champ de la micro-mobilité. N’oublions pas que dans les agglomérations françaises 40% des trajets réalisés en voiture sont inférieurs à 3 km ! Si la marche à pied requiert un minimum d’aménagements de confort et de sécurité, cela est dû à son coté basique et naturel, mais elle est vite limitée par la distance à parcourir (au-delà de 1 à 2 km…) et donc le temps d’accès. Face au danger et à la prédominance de l’automobile en voirie le recours au vélo nécessite lui des aménagements sur le trajet, et la prise en compte sérieuse de critères de sécurité, d’aisance de circulation, de lisibilité et d’ambiance devra être complétée par les conditions de stationnement des vélos dans ou à proximité de la gare, intégrant confort et sécurisation. En n le vélo à assistance électrique (VAE),
les trottinettes électriques ou encore les VE, chacun avec leur pertinence, utilisés en individuel ou en mode partagé constituent de récents entrants dans les déplacements urbains courts. Susceptibles de renforcer l’accessibilité et l’attractivité de la gare Ils nécessitent de bien en penser les équipements de stationnement et de recharge nécessaires à l’accueil sur le site. Par une approche systémique on s’aperçoit 151
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que les rythmes de fonctionnement des divers appareillages sont très variables (fonctionnement 24/24, lié à l’heure de pointe ou aléatoire…) et constituent autant de familles de pro ls de consommation que l’on peut alors optimiser par un pilotage global n. D’autant plus global que l’on sera capable d’intégrer les deux grandes dimensions de la consommation énergétique, l’électrique et le thermique : en effet, la ventilation par exemple ou le refroidissement des locaux techniques sont de gros consommateurs d’électricité, mus en grande partie par des impératifs thermiques, de confort et de qualité de l’air intérieur (QAI). Aussi la réponse que propose d’apporter Efficacity à cette question complexe est la mise en œuvre d’une architecture de smartgrid locale (ou micro-grid) dont les caractéristiques sont les suivantes : L’identi cation des ressources énergétiques nouvelles spéci ques aux gares : à côté de l’énergie de freinage déjà évoquée, la conception des stations de métro souterraines peut permettre de recourir à la géothermie faible profondeur (entre 10 et 40 m par opposition à la géothermie nécessitant des forages dans des couches du Dogger, à 15OO m de profondeur pour trouver de l’eau à 60 degrés. On parlera de fondations thermoactives assurant l’échange de chaleur par une boucle fermée. En effet des tubes en polypropylène remplis d’un liquide caloporteur sont coulés dans le béton des fondations de la station, parois moulées ou radiers et permettent de récupérer une eau à 8 ou 10° pour un refroidissement naturel des espaces (par exemple certains locaux techniques ou commerciaux qui nécessitent en milieu souterrain des climatisations couteuses et énergivores) ou via une pompe à chaleur pour une montée en température assurant un chauffage de locaux en station. Si la conception de la station est réalisée en synergie avec les bâtiments au-dessus et autour on peut élargir le champ de la diffusion de cette énergie thermique à leur chauffage ou refroidissement (Pény, 2017). On peut penser aussi à l’utilisation directe de l’énergie dite « fatale » des locaux techniques. Il s’agit du dégagement de chaleur résiduelle issue de l’activité de certains équipements comme les transformateurs d’alimentation électrique, qui peut être mise à pro t pour, via un échangeur, chauffer d’autres types de locaux. Pour intégrer la sobriété énergétique des équipements, les échanges dans l’espace et 152
dans le temps de ces ux d’énergie traditionnelle ou nouvelle ainsi que leur stockage, il est nécessaire de mettre au point différents outils : - un système d’instrumentation des consommations électriques et des principales données d’entrée QAI pour les gares (température, humidité, CO2 et pollution), assez n par type d’équipement et permettant des mesures en temps réel. Ainsi la station Olympiades du métro L14 et la gare de Val de Fontenay commune à la RATP et la SNCF ont récemment servi de test pour ces mesures nouvelles. - des modèles de différentes natures pour le dimensionnement, la simulation et les impacts permettant des stratégies d’exploitation variées intégrant la planication des consommations connues et l’ajustement en temps réel de besoins ponctuels. - l’identi cation du périmètre possible et souhaitable du micro grid à réaliser puis la connexion des différents équipements et dispositifs susceptibles d’être alternativement consommateur, stockeur ou producteur d’énergie, qui nécessite de résoudre des problèmes techniques et architecturaux mais aussi de gouvernance entre les multiples acteurs de ce périmètre. Efficacity a engagé un partenariat avec l’École d’architecture de la ville & des territoires Paris-Est sur un approfondissement des dispositifs architecturaux souterrains spéci ques aux gares du point de vue énergétique (Bureaud et al., 2017). - un système de pilotage favorisant l’adaptation des modes de fonctionnement des équipements aux justes besoins de l’exploitation, comme une gestion souple de la ventilation, un écrêtage des consommations en heure de pointe, une optimisation du stockage sur le court et long terme, une gestion de la recharge de véhicules électriques en surface… Un autre exemple en cours d’expérimentation porte sur les diverses formes de variation de l’éclairage en station, en fonction des jours, des heures, des espaces, sur le site de Val de Fontenay précédemment évoqué, en partenariat entre Efficacity, ABB et les opérateurs de transport… Pour que la station de métro devienne un hub énergétique dont l’impact, comme celui que l’on peut constater dans le domaine fonctionnel du transport, dépasse l’ouvrage de la station stricto sensu et se fasse sentir sur le territoire de desserte de la gare, il faut absolument prendre en compte cette maille
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locale élargie, dans toutes les dimensions évoquées précédemment ; Historiquement l’approche énergétique des opérateurs de transport est de type réseau d’alimentation fermé avec sa production propre, une transformation descendante de la haute vers la basse tension et une distribution vers les stations entendues comme des points de consommation isolés. Lui substituer des réseaux urbains de proximité ouverts et communicants au sein desquels les stations alternativement lieux de consommation et de production redonnent du sens à la notion de « condensateur » énergétique, représente un enjeu considérable sur plusieurs plans. En effet pour que ce changement de paradigme énergétique ne reste pas un fantasme d’innovateurs, il faut combiner la technique qui le rende possible et la conviction qui le rende crédible, car derrière le terme « soft » de transition énergétique c’est plutôt d’une révolution des techniques et plus encore des mentalités qu’il s’agit de mobiliser (Rifkin 2013). Ces changements sont actuellement en cours d’étude ou en cours d’expérimentation sur différents sites avec les partenaires de l’institut Efficacity. Le milieu ferroviaire est encore peu soumis aux grandes contraintes normatives touchant à la pollution ou à la consommation énergétique qui impactent fortement le secteur du bâtiment ou celui de l’automobile tels que les RT (Réglementation Themique ), normes Euro, labels HQE (Haute Qualité Environnementale)… Il est rentré de fait avec retard dans l’ère de l’optimisation énergétique mais au-delà des résultats spéci ques aux différents contextes des projets évoqués, un travail pratique de structuration des acteurs est en cours a n d’aboutir à un label énergétique ou équivalent pour les gares, tant au niveau français qu’à l’international.
Bertolini L., Chorus P., «An application of the node place model to explore the spatial development dynamics of station areas in Tokyo», The journal of Transport and Land use, VOL. 4 N°1, 2011, http://jtlu.org CEREMA ouvrage collectif (2017), Les pôles d’échanges au service de l’intermodalité et de la ville durable. Editions du CEREMA. Efficacity (2014), Programme book pôle gare. Joseph I. (dir) (1995), Gare du Nord mode d’emploi. Editions Recherches. Joseph I. (dir) (1999), Villes en gare. Editions de l’Aube. Galai-Dol L., Letrouvé T., La « Smart gare » un microgrid urbain. Texte disponible sur http://www.smartgridscre.fr/index.php?p=ferroviaire-smartgare (dernier accès mai 2020). Letrouvé T., Gazeigne G., La exibilité énergétique des transports guidés. Texte disponible sur http://www. smartgrids-cre.fr/index.php?p=ferroviaire-flexibilite-energetique (dernier accès mai 2020). Bureaud C., Coutellec C., Jestin A.C., Rozé J. et de La Taille A., (2017), Les gares et l’urbanisme souterrain. Approche architecturale et énergétique. Ed. Les Cahiers de PoCa, École d’architecture de la ville & des territoires. Kopp A. (1967), Ville et révolution. Architecture et urbanisme soviétiques des années vingt. Ed. Anthropos. Arep, Cerema, Efficacity (2017), Fontainebleau-Avon. Le relais des possibles, https://www.efficacity.com/realisation/divd-le-relais-des-possibles-la-gare-de-fontainebleau-avon-et-son-territoire-en-transition Arep, Gare de Quinghe, Texte disponible sur https:// www.arep.fr/actualites/294/qinghe_au_palmares_ du_grand_prix _afex_2020 (dernier accès mai 2020). Pény A. (2016), La gare hub énergétique. Ed. actes du symposium de la WCTR. Pény A. (2017), Gares et stations souterraines en France : un potentiel énergétique thermique et électrique à développer. Congrès AFTES communication 595. Rifkin J. (2013), La troisième révolution industrielle. Ed. Babel.
© Riproduzione riservata
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Nuovi prigionieri urbani: pontili per collegare territori sconnessi di Lucina Caravaggi
In questo articolo vengono presentati gli esiti di una ricerca recente, denominata “Progetto Pontili”1, che muove dalle condizioni di “immobilità” che caratterizzano gli spostamenti nell’area romana oltre il GRA, e soprattutto il Trasporto Pubblico Locale (TPL), pervenendo alla proposta di una rete di connessione “diretta” tra insediamenti e stazioni del ferro (Caravaggi, Carpenzano, 2019). La ricerca pone in primo piano il ruolo preziosissimo dei vasti spazi verdi dell’area romana al ne non solo di garantire collegamenti sicuri, ma anche di incentivare nuovi stili di vita connessi allo spostamento nelle aree urbanizzate contemporanee. Spostamenti che possono trasformarsi in motori di socialità, attivatori di qualità paesaggisticospaziale, di pratiche sportive salutari e anche di micro economie verdi, contribuendo in modo strutturale alla riduzione degli inquinanti in atmosfera e al miglioramento ecologico dell’ambiente urbanizzato. La proposta progettuale è connessa ad una profonda re-interpretazione dell’urbanizzazione che continua a crescere oltre il GRA e che molti sembrano non vedere, all’interno della quale si osservano nuove forme di esclusione, e vere e proprie condizioni di “prigionia” per larghe fasce di cittadini. Si delinea la necessità di superare il concetto di periferia tradizionale, anche attraverso la rilettura critica del sistema del trasporto pubblico locale di Roma. Il Progetto Pontili afferma la possibilità di un secondo ciclo di vita della Cura del ferro che comporta un’interpretazione completamente diversa dei rapporti tra stazioni e contesti urbanizzati: i temi “dell’ultimo miglio” sono messi cioè al primo posto. Nuovi prigionieri urbani - Uno dei riferimenti simbolici della ricerca è stata una mappa 1 I risulta
della ricerca sono pubblica in: Caravaggi L., Carpenzano O., Roma in movimento, Quodlibet, Macerata 2019.
New urban prisoners: “bridges” to connect disconnected territories by Lucina Caravaggi
Moving Rome. “Pontili” ¬– bridges – to unite disconnected territories is the title of a recent research study focused on the relationship between the conditions of urban con nement and the problematic mobility within Rome’s metropolitan area. A close observation of the urbanized space around and beyond the Grande Raccordo Anulare, the ring-road around Rome, and the different types of contemporary urbanization can be traced back to a new kind of settlement and to the entire set of ecological correlations and functional services that ensure their survival. The working hypothesis summarized in this text focuses on exible infrastructures developed as new “Landscape Infrastructures”, beginning with the features of Moving Sustainably, i.e. an engine for the potential reactivation of vast, valuable and marginal landscapes. The interpretative hypothesis investigates several categories of landscape projects connected to the movement to posit a new network of green spaces and connections serving as alternatives to cars, that could foster new forms of democratic access to the city and new ways of imagining urban quality. . Nella pagina a anco: Roma oltre GRA, quadrante Est, veduta aerea di viale della Sorbona, Tor Vergata (sopra) e veduta aerea dell’insediamento a bassa densità lungo il Fosso dell’Osa (in basso).
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1 - Pendolarismo nei subbacini di mobilità nell’area metropolitana romana. Flussi in entrata ed uscita da Roma (2015)
elaborata dall’Agenzia della mobilità che evidenzia, attraverso macchie di diversi colori, le zone corrispondenti ai tempi di percorrenza in auto all’interno della città metropolitana di Roma. Quando ci si allontana dalle zone centrali le macchie diventano più grandi e più scure, ad indicare inesorabilmente l’aumento dei tempi di percorrenza. Ce ne sono anche alcune nere, segnali estremi della condizione di “stallo” del traffico, in molte fasce orarie. A questa mappa ne segue un’altra, riferita ai tempi medi delle percorrenze dei mezzi pubblici su gomma, e ovviamente le due mappe tendono a coincidere. Le nuove forme di prigionia e di esclusione sono connesse a queste mappe, cioè all’aumento del traffico automobilistico nelle vaste urbanizzazioni a cavallo e oltre il Grande Raccordo Anulare. I nuovi prigionieri urbani sono soprattutto i soggetti più fragili e privi di un mezzo di trasporto proprio, esclusi dalle opportunità che la città può offrire, in particolare anziani, malati cronici, donne, bambini, e tutti coloro che non possono sostenere i costi di un’auto. L’ipotesi di progetto è che la possibilità di muoversi all’interno dello spazio urbanizzato, la possibilità di accedere senza tanta fatica ai luoghi dell’istruzione, della cura, del lavoro, della produzione culturale sia una
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pre-condizione di base per abbassare il tasso di alienazione, sviluppando una maggiore riessività nei confronti del proprio stile di vita e riattualizzando la questione del “diritto alla città” (Lefebvre, 1970; Harvey, 2012). Ripetere che le connessioni immateriali andranno a sostituirsi completamente a quelle siche, come da molti decenni a questa parte si torna ciclicamente ad affermare, e che le opportunità saranno legate esclusivamente alla circolazione di dati e informazioni, appare del tutto patetico rispetto allo stato di “costrizione” che osserviamo nella città contemporanea e alla sofferenza - assolutamente materiale - derivante, per esempio, dall’incremento spaventoso delle patologie connesse alla sedentarietà e all’isolamento, come l’obesità, il diabete e la depressione. Nessuna fuga dallo spazio appare possibile se non si vogliono abbandonare le persone che ogni giorno vi rimangono impigliate (Secchi, 2011). Si tratta forse di attraversare più frequentemente lo spazio (ancora troppo vasto) che separa la “mobilità” - elaborazioni tecniche legate a modelli astratti - dall’”accessibilità”, immagine plurale, composita, connessa a opportunità e informazione, che presuppone un forte rapporto con contesti e soggetti. Le nuove possibilità del progetto sono inscritte nella combinazione di programmi
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2 - Dinamiche della popolazione nell’area metropolitana (1992-2016).
istituzionali con progetti di architettura e di paesaggio capaci di immaginare nuove forme di accessibilità nella città contemporanea (Lister, 2010). Ma Roma è anche, in qualche modo, una città “in movimento”. La geogra a dell’associazionismo e delle attività collettive è piena di sorprese, popolata da esperienze originali, particolarmente signi cative nei momenti di crisi e di vuoto istituzionale. I disagi della città contemporanea alimentano molteplici pratiche collettive “dal basso” che obbligano a rinnovare la ri essione sul progetto dello spazio pubblico. Negli ultimi anni, dopo la crisi economica del 2008, c’è stata una forte ripresa di azioni auto-organizzate, anche molto diverse tra loro, rivolte soprattutto a spazi abbandonati, dai graffiti agli sport urbani estremi, dagli orti e giardini comuni alle molte forme di greening. Ma le iniziative dal basso non vengono raccolte in modo costruttivo e creativo. Se da una parte gli abitanti fanno “quello che possono” per minimizzare i problemi dall’altra i pochi e miseri interventi pubblici degli ultimi anni hanno ignorato la collaborazione progettuale con le comunità, o l’hanno ridotta a forma vuota e rituale di “partecipazione”. Nuovi modelli di spostamento per una città completamente diversa dal passato - Questa condizione è l’esito del forte scollamento tra evoluzione urbana e trasporto pubblico dal secondo dopoguerra a oggi, e in particolare dalla metà degli anni Novanta, quando i nuovi insediamenti hanno cominciato a popolare con sempre maggiore intensità i territori intorno e oltre il GRA e quelli dei comuni circostanti. Da qui il continuo aumento di spostamenti verso Roma, non solo per motivi di lavoro ma anche per accedere ai servizi che la capitale offre. Questa nuova città, de nita genericamente “metropolitana”, sfugge alle tradizionali forme di descrizione e narrazione, e forse non
ha più molto senso continuare ad evocarla con l’appellativo di “periferia”. Si evidenzia un signi cativo parallelismo tra la crescita della Roma oltre GRA e quella della Città metropolitana (coincidente con il perimetro della “dismessa” Provincia di Roma). Dal 1992 al 2016 l’area centrale ha perso il 5,27% dei suoi abitanti (dentro le mura aureliane), la restante città interna al GRA ha perso il 4,82%, mentre Roma oltre GRA è cresciuta del 63,6% soprattutto nei quadranti di Roma sud (+ 60%) e Roma est (+55%). Poche “specie di insediamenti” – i grandi quartieri di edilizia economica popolare, le palazzinopoli estensive, le villettopoli, i recinti commerciali e quelli produttivi – si ripetono all’in nito (Imbroglini, 2019). Questa profonda, rapida trasformazione sta determinando una modi cazione genetica del modo di abitare che rende poco utilizzabili le de nizioni tradizionali di città e di periferia (Soja, 2007). I nuovi insediamenti del territorio di Roma dipendono completamente dallo spostamento su gomma. L’inquinamento atmosferico, il costo economico, la perdita di tempo e di salute connessi a questi spostamenti stanno diventando insostenibili, alimentando pericolose tensioni sociali. Ma Roma è anche un territorio ancora stupefacente, che non ci si stanca mai di osservare e descrivere, un territorio protetto per oltre il 12% e per il 45% agricolo, con un indice di biodiversità straordinario riferito non soltanto alla dimensione ecologica ma anche a quella culturale e sociale. Differenze e resistenza ai processi di omologazione sono presenti anche nei territori dei comuni limitro , con quella irripetibile varietà connessa a reti d’acqua e immaginari letterari, archeologie ed ecologie, prodotti e mercati, conservati attraverso memorie non retoriche (come quelle “identitarie”), ma che chiedono di essere rinnovati all’interno di nuovi signi cati contemporanei. 157
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La rete potenziale che emerge dall’insieme di questi elementi (aree protette, sistema idrogra co, e aree con vincolo archeologico) è il grande serbatoio di possibilità per riorganizzare le grandi urbanizzazioni contemporanee, a cominciare da un sistema di collegamenti sostenibili, alternativi alle auto, che colleghi direttamente le abitazioni con le stazioni del ferro più vicine. Un secondo ciclo di vita per la Cura del ferro - La speci cità dell’urbanizzazione romana contemporanea, caratterizzata da vaste estensioni di insediamenti a bassa densità e da porzioni signi cative di campagna ancora coltivata, non permette di utilizzare con facilità modelli di trasporto pubblico che fanno riferimento a urbanizzazioni più compatte, e meno verdi. La densità, com’è noto, è una condizione imprescindibile per legittimare alcune famiglie di mezzi di trasporto pubblico (per esempio metropolitane tradizionali o tramvie), programmabili solo rispetto a certi bacini d’utenza. Anche i mezzi su gomma tradizionalmente intesi non possono connettere in modo capillare insediamenti dispersi, distanti e fortemente eterogenei dal punto di vista della densità abitativa e degli stili di vita. Ma anche quando il TPL faccia lo sforzo di raggiungere i territori più “complicati” il problema principale resta, almeno nell’area romana, quello della condivisione delle strade con le auto private, condizione che comporta inevitabilmente tempi di percorrenza incerti. La Cura del ferro attivata alla ne degli anni Novanta è l’ultimo tentativo di ricondurre la crescita urbana ad una politica di trasporto pubblico sostenibile (Tocci, Insolera, Morandi, 2008). I dati sul ritardo di Roma rispetto alle altre capitali europee sono imbarazzanti: con 3 linee metro e 73 stazioni per un’estensione complessiva di 59,7 km, l’infrastrutturazione romana non regge infatti il confronto con Londra (12 linee, 422 stazioni, 433 km complessivi); Parigi (16 linee, 302 stazioni, 219 km complessivi) e Berlino (25 linee, 306 stazioni, 402 km complessivi) e appare di gran lunga carente anche rispetto a città più piccole come Valencia (6 linee, 133 stazioni, 146 km complessivi) o Bucarest (4 linee, 48 stazioni, 71 km complessivi). Le fasi più recenti della crescita di Roma (in termini di popolazione e di aree urbanizzate) non sono state cioè accompagnate da politiche di sviluppo infrastrutturale adeguate alle esigenze di una capitale (Insolera, 2011). L’ipotesi sviluppata dal Progetto Pontili è
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quella di partire dalla riattivazione del patrimonio infrastrutturale esistente alla luce delle nuove prospettive della mobilità sostenibile, così come delineate dai più recenti indirizzi internazionali. Per favorire una nuova diffusione del trasporto su ferro sono necessari non solo interventi di adeguamento delle linee esistenti ma bisogna anche e soprattutto garantire l’accessibilità alla rete stessa, attraverso connessioni dirette e funzionali con le urbanizzazioni circostanti. Quando per raggiungere una stazione si è costretti a utilizzare l’auto privata i bene ci dello spostamento su ferro si riducono drasticamente. Più in generale lo scambio tra diverse modalità di spostamento dovrebbe quindi assumere la con gurazione di una rete diffusa, rami cata, capace di drenare gli insediamenti, evitando le grandi concentrazioni dei mega parcheggi, pericolosi e di grande impatto ambientale. In questo scenario le stazioni assumono un ruolo chiave, trasformandosi in attivatori e regolatori di un nuovo sistema di scambi essibile. Come sta accadendo in tante aree metropolitane europee le connessioni pedonali e ciclabili sono parte integrante di questa rete, insieme alle navette elettriche e altri sistemi di micro-trasporto collettivo modulabili. Immaginare nuove infrastrutture essibili - Il Progetto Pontili è nato quindi a partire da “movimenti negati” e da “movimenti nascosti”. I Pontili non sono un progetto di mobilità settoriale (Caravaggi, Imbroglini, Lei, 2019). Sappiamo infatti da molte esperienze nazionali e internazionali che non bastano le piste ciclabili per colmare il gap dei diritti di cittadinanza, anzi. I Pontili hanno acquistato una sionomia de nita attraverso molte sperimentazioni progettuali, dove il “Paesaggio” è stato progressivamente assunto quale nodo centrale dell’azione proiettiva. Con il Progetto Pontili si tenta di rilanciare la “Cura del ferro” avviandone un nuovo ciclo di vita, grazie al quale le ferrovie non sono solo linee che attraversano un territorio da un punto all’altro ma anche infrastrutture capaci di raccordarsi a una rete essibile di connessioni dirette tra insediamenti e stazioni. Nel momento in cui il dogma della città ipertro ca viene messo in discussione si aprono nuove possibilità per immaginare diverse forme di urbanizzazione. In accordo con Brennen (2016) potremmo dire che: “Diverse urbanizzazioni sono infatti possibili. [...] Possiamo immaginare per es. una forma di urbanizzazione nella quale vari sentieri delle soluzio-
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3 - Degrado e abbandono delle stazioni del ferro nell’area romana. Mancanza di interconnessione e intermodalità.
ni infrastrutturali sono coltivati all’interno di una cornice olistica di sviluppo territoriale, attraverso la gestione equilibrata delle risorse e l’attenzione alla dimensione ecologica? E possiamo pensare a una forma di urbanizzazione nella quale le famiglie e le comunità che scelgono di restare ancorate a zone meno densamente popolate o più remote godano dell’accesso a delle infrastrutture efficienti, a delle vite sostenibili e, in qualche misura, del controllo politico sulle condizioni essenziali che in uenzano le loro vite quotidiane?” (p. 171).
I Pontili sono interpretati come dispositivi in grado di dare alcune risposte (non tutte le risposte) ai problemi di connessione diretta tra linee del ferro e grandi insediamenti contemporanei. Ma non si tratta di un progetto di mobilità inteso settorialmente. Si tratta in primo luogo di una visione strategica: un sistema continuo di percorrenze pedonali e ciclabili intese come nuova infrastrutturazione primaria di Roma (non residuale e spezzettata) che, insieme al GRAB - Grande Raccordo Anulare delle Biciclette - potrebbe connettere vaste aree metropolitane grazie al potenziale straordinario di spazi verdi (in gran parte pubblici) di cui Roma dispone. A questo ne è necessario lanciare un programma di investimenti pubblici mirati alla costruzione di ponti e gallerie verdi, passerelle e funicolari che permettano di superare fratture e ostacoli che impediscono in alcuni punti le percorrenze continue. I pontili propongono un’immagine aperta e
molteplice delle connessioni verdi, lanciando una nuova forma di walkability, adeguata alla città contemporanea (Zuniga-Teran, 2016). Walkability romana - La strategia della walkability in versione romana muove da una visione unitaria degli spazi aperti della capitale consolidatasi nel corso di cento anni (Caravaggi, 1999). Alla formazione dell’immagine strategica collaborano tutte le categorie di spazi verdi per le quali è possibile prevedere l’uso pubblico (in forme e modalità differenti): - aree naturali protette e aziende agricole di proprietà pubblica, da considerare come unico grande bacino di biodiversità dell’intero territorio provinciale. Nell’area metropolitana di Roma infatti sono presenti 39 aree protette per un totale di 144.550 ettari, pari a quasi il 21% del totale delle aree naturali italiane. Tra queste le aree gestite da RomaNatura interne al territorio del Comune di Roma sono pari a circa 16.000 ettari; - aree di interesse archeologico, vincolo rafforzato dalla recente importante sentenza del Consiglio di Stato sui rapporti fra vincolo paesaggistico-ambientale e vincolo culturale-archeologico; - aree vincolate per il rispetto idrogeologico, vincoli resi particolarmente stringenti dall’emergere della componente “rischio”.
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4 - Interventi pubblici di prima infrastrutturazione: passerella ciclopedonale sull’Aniene.
A queste componenti va poi aggiunta la grandissima quantità di aree verdi agricole che costituiscono lo “sfondo” prezioso e unico di Roma rispetto alle altre grandi capitali europee. La campagna romana infatti presenta un’agricoltura ancora vitale e dinamica, che a suo modo resiste alle dinamiche di abbandono, come appare dai dati sorprendenti dei censimenti agricoli: per esempio, al 2011 il numero di aziende agricole presentava un incremento del 40% circa rispetto al decennio precedente. Superare gli ostacoli (interventi pubblici) e interagire con i soggetti locali (autonomia dei soggetti) - Per la realizzazione dei Pontili è necessario in primo luogo “superare gli ostacoli” attraverso la costruzione di alcune opere infrastrutturali classiche (tracciati, ponti, passerelle, gallerie verdi, ecc.) dedicate nalmente ai pedoni, alle bici, alle navette e non alle auto, per superare “sconnessioni” morfologiche, i tagli e le interruzioni provocati dalle infrastrutture viabilistiche, nel tentativo di eliminare anche qualche barriera sociale. Si tratta di lanciare un vero e proprio programma multisettoriale di infrastrutture pubbliche che dimostri concretamente come i temi della mobilità sostenibile siano al centro delle nuove agende pubbliche, senza il carattere di residualità che spesso hanno assunto nella programmazione passata. Dall’altra si tratta di favorire la “colonizzazione sociale” dello spazio aperto urbano, come fanno le specie pioniere, per assicurare condizioni di sicurezza stabile, nuove forme di
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urbanità contemporanea, percorsi formativi originali, inclusività e salute a partire dalle nuove traiettorie connesse ai “Pontili” (Krasny, Tidball, 2015). Attraverso il diritto allo spostamento si tende cioè a favorire la diffusione di nuove forme di cittadinanza attiva. La tesi di fondo è che il “dispositivo Pontile” sia in grado di attivare delle modi cazioni progressive espandendo la sua sfera d’in uenza in rapporto ai successi ottenuti (Orff, 2016). Il “Prototipo Pontili” si basa su due concetti chiave sperimentati in diverse occasioni di dialogo con i soggetti locali: condividere le conoscenze per “mettersi d’accordo sulla realtà che ci circonda”, compresa la consistenza di aree pubbliche spesso ignorate o sottoutilizzate; coinvolgere associazioni e comunità nel supporto a progetti speci ci di “riattivazione sociale” dello spazio aperto abbandonato (Caravaggi, Imbroglini, 2015). Le “passeggiate descrittive” sono uno strumento molto utile, e sorprendente, per comunicare la straordinaria ricchezza di iniziative sociali e culturali che popolano i paesaggi di Roma. I Pontili sono quindi progetti radicati nei diversissimi contesti locali di Roma, capaci di modellarsi in rapporto ai differenti paesaggi e domande sociali, immaginati come un lo rosso capace di ri-attivare le aree attraversate, dispositivi di rivitalizzazione ecologica e sociale di aree degradate e sottoutilizzate. Collegando direttamente le abitazioni con scuole, asili, centri commerciali e centri sporvi i Pontili costituiscono l’occasione per far nascere nuove forme di socialità connesse
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alla pratica sportiva, all’agricoltura urbana, e a nuove forme di turismo, diventando così matrici di possibili economie verdi, radicate e inclusive. Le prime sperimentazioni progettuali sono quindi l’esito di un dialogo creativo con le popolazioni coinvolte dalle proposte stesse, secondo un format che è stato messo a punto nel primo laboratorio svoltosi a Corviale, nel quale i temi di una conoscenza condivisa si incontrano con la collaborazione creativa (Lei, 2019).
Mai più interventi settoriali - Le proposte delineate con il Progetto Pontili sono legate ai nuovi scenari delineati dalla Comunità europea e altri organi internazionali (per esempio Un-Habitat, il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani) in un quadro di rinnovata - e ostinata - ducia nei confronti delle azioni nalizzate alla riduzione degli inquinanti in atmosfera. Le politiche per la cosiddetta mobilità sostenibile, anche a Roma in fase di attuazione, hanno infatti de nitivamente scardinato la settorialità autoreferenziale dei progetti rivolti ai trasporti, sia dal punto di vista amministrativo che tecnico (CE, 2013). Il tema degli spostamenti è parte integrante delle politiche volte a contrastare i cambiamenti climatici, guidare i profondi mutamenti delle urbanizzazioni contemporanee, a favorire i processi di inclusione sociale per evitare nuovi e violenti con itti sociali, risolvere i problemi della salute e del benessere collettivo (CE, 2016). La multidisciplinarietà e la con uenza di azioni diverse verso i medesimi obiettivi sono il nuovo orizzonte all’interno del quale sviluppare progetti di architettura e di paesaggio capaci di dare forma alle nuove domande di accessibilità e diritto di cittadinanza.
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Utopie ed eterotopie dell’accessibilità Intervista a Walter Tocci a cura di Cristina Imbroglini
Walter Tocci, in qualità di vicesindaco e assessore alla mobilità della Giunta Rutelli dal 1993 al 2001 ha impostato la strategia della “cura del ferro” che attraverso l’interconnessione tra passanti ferroviari, metropolitane urbane, nuove reti tranviarie e nodi di scambio gomma/ferro intendeva riorganizzare il sistema della mobilità a Roma proponendo un duplice ribaltamento di prospettiva. Da un lato infatti intendeva ridurre il traffico su strada a favore di quello su ferro e dall’altro si proponeva di guidare lo sviluppo urbano secondo una logica transit-oriented, utilizzata in molte città europee, in cui i nuovi insediamenti sono piani cati in rapporto all’offerta di trasporto pubblico urbano e non viceversa. Nonostante la cura del ferro sia stata portata avanti con grande determinazione attraverso l’intesa rmata tra Regione Lazio, Comune e Provincia di Roma, e Ferrovie dello Stato (1994), il PRG del 2003 e il più recente PGT del 2015, la rete ferro-tranviaria romana risulta ancora insoddisfacente rispetto alle esigenze di spostamento dela capitale, condannando molte persone a dipendere dal mezzo privato ed escludendo, di fatto, dalla vita urbana e dalle sue opportunità tutti coloro che non possono permettersi un’auto propria. Le ragioni di questa perdurante sofferenza sono state imputate al mancato completamento della rete ferroviaria prevista, all’aver delegato ai soli grandi parcheggi il ruolo di dispositivi di scambio tra insediamenti e trasporto su ferro. Nell’intervista a Walter Tocci, che fa seguito alla sua partecipazione al Convegno Roma in Movimento1 organizzato dal Dipartimen1 Roma in movimento, (24 ottobre 2019 Ex deposito Atac di San Paolo, presentazione del libro di Lucina Caravaggi e Orazio Carpenzano che contiene i risultati di una ricerca dedicata ai territori oltre il GRA evidenziando la necessità, e la possibilità, di un progetto condiviso di spostamenti sostenibili, denominato “progetto pontili”.
Utopias and heterotopias of urban accessibility Interview with Walter Tocci by Cristina Imbroglini
Walter Tocci, the deputy mayor and council member for mobility in Rome from 1993 to 2001, established his drastic “cura del ferro” strategy intended to reorganize the mobility system by enhancing urban railway and tramway systems to reduce road traffic and drive urban development based on a transit-oriented approach. Although the programme of drastic measures was carried out with great determination, the Roman rail and tramway network remains unsatisfactory. Many people in Rome, especially in the territories beyond the GRA, the Great Ring Road, are automobile-dependent. Walter Tocci reviews the history of urban expansion and mobility in Rome, highlighting with great clarity the cultural, technical, political and economic problems and difficulties that led to the current stall. Using the gures of utopia and heterotopia (Foucault), he more speci cally analyses the gap between urban imagery and urban infrastructural spaces that seem to refute any idea of the city. At the same time, he outlines the possibilities for intervention which, based on the complexity and multidimensionality of urban movement and the spaces connected to them, can guarantee new conditions of accessibility and the right to citizenship for all the city’s inhabitants. Nella pagina a anco: veduta del GRA con Roma Tor Vergata (n alto) e di Roma Corcolle (in basso). Le foto che accompagnano questo articolo sono di Alessandro Cimmino.
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to di Architettura e Progetto dell’Università Sapienza di Roma vengono messe a fuoco le condizioni di “prigionia urbana” in cui vivono molti abitanti di Roma e dell’area metropolitana a causa delle difficoltà connesse al traffico e alle carenze del trasporto pubblico. Walter Tocci ripercorre le vicende della mobilità a Roma evidenziando con grande chiarezza problemi e difficoltà culturali, tecniche, politiche ed economiche che hanno condotto all’attuale situazione di impasse. Al tempo stesso delinea le possibilità di intervento che muovendo dalla complessità e multidimensionalità degli spostamenti urbani e degli spazi ad essi connessi possano garantire nuove condizioni di accessibilità e diritto alla cittadinanza per tutti gli abitanti. Trasporti & Cultura - Nel recente convegno “Roma in movimento” lei ha evidenziato che già nel 2003 le proiezioni al 2040, che simulavano la piena attuazione del PRG e della cura del ferro, mostravano l’inefficacia delle misure previste nella città oltre GRA. La città a bassa densità non reagiva alla cura, non migliorava affatto… Avevamo cioè condannato i nuovi abitanti di Roma a vivere dove si viveva peggio (almeno in termini di accessibilità) e dove non c’erano possibilità di miglioramento? Tocci - L’automobile ha organizzato la fuga dalla città, secondo la lucida profezia di Henry Ford: “La città moderna è la cosa più articiale e sgradevole del pianeta. La soluzione nale è di abbandonarla. Risolveremo il problema urbano solo andandocene”2. Nella prima parte del secolo questa fuga si è espressa nell’utopia delle new towns. A ne secolo si è affermata, anche in Italia, come eterotopia dello sprawl. La perfezione solare delle città satelliti è esplosa nella galassia granulare della città in nita. La campagna si è fatta metropoli senza passare per la città. Gran parte delle città italiane sono dilagate nei rispettivi hinterland creando intorno alla parte consolidata un pulviscolo di insediamenti sparsi. Le chiamiamo ancora con i nomi storici – Roma, Milano, Torino, Bologna, Firenze, Napoli, Palermo – ma gli oggetti geogra ci sono molto diversi da quelli sedimentati in una storia millenaria. Si è perso il rapporto tra il nome e la cosa. L’Italia sembra voler importare il modello insediativo americano, in aperto contrasto con i caratteri peculiari della penisola e in con2 A. Flint, This Land: the Battle over Sprawl and the
Future of America, Johns Hopkins University Press, 2006.
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trotendenza rispetto agli altri paesi europei nei quali perlomeno si dibatte sui modi per contenere il fenomeno dello sprawl3. I cittadini vanno ad abitare sempre più lontano e hanno bisogno comunque di recarsi in città per lavorare, con l’evidente accentuazione di tutti i fenomeni di pendolarismo. Quando un cittadino abbandona la vecchia residenza e va a vivere nell’hinterland è molto probabile che debba lasciare il mezzo pubblico o rinunciare a muoversi a piedi e passare all’automobile4. Il sogno delle new towns mirava a conciliare il godimento della vita in campagna con le opportunità della vita urbana. Nello sprawl tutto assume un tono più prosaico, il cittadino viene espulso dal rincaro delle abitazioni ed è condannato a tornare in città per lavorare. L’utopia della fuga dalla città era pur sempre accompagnata da una nostalgia urbana. Solo nell’eterotopia tale nostalgia ritrova la radice etimologica di malattia del ritorno, come malessere del pendolare bloccato nell’ingorgo quotidiano. Nell’utopia delle città satelliti l’ordinamento spaziale era pensato per accrescere le libertà. Nell’eterotopia delle monadi metropolitane, invece, l’ordinamento spaziale accresce le costrizioni. Ciò prescinde da ogni giudizio di valore e si applica sia ai quartieri di lusso sia agli anonimi suburbi, proprio come le eterotopie foucaltiane trovano esempio sia nei villaggi vacanze sia nei manicomi. Dall’ingorgo della maglia stradale solitamente si fa discendere l’esigenza di costruire nuove autostrade, le quali rendono possibile la realizzazione di nuovi quartieri isolati e lontani, con l’effetto di aggravare ulteriormente il traffico. Tutto lo sviluppo territoriale italiano è intrappolato in questo circolo vizioso. Il suo esito nale è la saturazione di vaste aree a bassa densità, nel contempo troppo vuote e troppo piene. Vuote perché costituite da insediamenti poco densi con un alto consumo di suolo pro-capite. Piene perché ormai sprovviste di corridoi liberi dove realizzare le autostrade pur necessarie a quel modello 3 “Americanizzazione dello spazio, più che americanismo e fordismo (Gramsci), è oggi un soggetto di studio e di comprensione urgente” - P. Perulli, A. Pinchieri - “La crisi italiana e il Nord”, in (a cura degli stessi autori) La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino, 2010, p. 13. 4 Nello sprawl romano, per esempio, l’accessibilità su ferro delle zone esterne al Grande Raccordo Anulare è tre volte più bassa della media cittadina e sei volte più bassa della città consolidata. Cfr. W. Tocci, I. Insolera, D. Morandi, Avanti c’è posto, Donzelli, Roma, 2008, p. 112. Sul rapporto tra residenza e mobilità: V. Kaufmann, Mobilità urbane, in “Dialoghi Internazionali. Città nel mondo”, n. 7, 2008.
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insediativo disperso. Tutti, allora, si stracciano le vesti contro il campanilismo italico che non consente di attuare le opere pubbliche e i più so sticati denunciano la sindrome NIMBY per spiegare il fenomeno. Ma c’entra poco la psicologia sociale, è un problema strutturale determinato dalla forma territoriale diradata, la quale presenta il paradosso di strutturarsi sulle autostrade e allo stesso tempo di renderne alla lunga impossibile la realizzazione. C’era un modo alternativo per affrontare il problema: si potevano realizzare nelle aree regionali potenti assi ferroviari, come le S.Bahn tedesche o le RER parigina, che avrebbero funzionato come travi portanti per le altre modalità di trasporto urbano (metro, tram e bus), costituendo così moderne reti integrate di trasporto. Sarebbe stato anche più facile, perché si trattava di ristrutturare impianti esistenti invece di costruirne di nuovi. Sarebbe stata anche una scelta coerente con la realizzazione dell’Alta Velocità che libera molte tracce ferroviarie per il trasporto regionale. T&C - Queste nuove “specie” di insediamenti resistenti, per non dire refrattari, a ogni intervento a favore dell’accessibilità sono quelli che una vasta letteratura ha analizzato e descritto come “non luoghi” (Augé 1993, Foucault 1994) ovvero spazi in cui la citta si dissolve e il cittadino diventa utente, cliente, consumatore. Sono gli spazi di una nuova socialità metropolitana fortemente dipendente dalla viabilità territoriale e dal mezzo privato. Lei ha citato Foucault parlando di eterotopie connesse proprio alle traiettorie di spostamento, come se queste fossero spazi dotati di una propria realtà, diversa da quella dello spazio urbano, capaci di isolare, separare, piuttosto che unire e collegare. Tocci - L’uso dell’automobile in città oscilla continuamente tra l’elaborazione di un immaginario utopico e la realizzazione di eterotopie spaziali. Si deve a Michel Foucault l’analisi delle sottili relazioni tra questi paradigmi. L’utopia è un luogo perfetto in cui gli elementi si combinano in un’organica immaginazione. La sua continuità interna è pagata a prezzo di una costitutiva frattura esterna verso la realtà. L’eterotopia, al contrario, è il dominio dei luoghi assolutamente differenti “che si oppongono a tutti gli altri e sono destinati a cancellarli, a compensarli, a neutralizzarli o a puri carli”.5 In questo caso è pro5 M. Foucault, Utopie Eterotopie, Cronopio, Napoli, 2006, p. 12.
prio la continuità con il reale a imporre una radicale discontinuità tra gli elementi. Anche l’automobilista chiuso nell’abitacolo costituisce un’eterotopia che mostra la contrapposizione verso gli spazi pubblici, cancellati con l’appropriazione privatistica, compensati con il comfort solipsistico, neutralizzati con l’autoreferenzialità infrastrutturale e puri cati con l’eliminazione della promiscuità pedonale. La contrapposizione tra gli spazi viene trascesa nell’immaginazione di un luogo inesistente. L’utopia è un’eterotopia sublimata. Al contrario, l’eterotopia è un’utopia situata. Insieme, utopia ed eterotopia costituiscono la promessa e il fallimento dell’accessibilità. Questa dialettica senza soluzione rivela una crisi dei fondamenti antropologici del fenomeno urbano. La ricchezza della vita urbana discende proprio dal contenimento della potenza del nomadismo. Il trattenere un’aspirazione all’illimitato non è una mera limitazione, anzi determina un incremento delle forze, dice Georg Simmel nella prima analisi sociologica del nascente fenomeno metropolitano all’inizio del Novecento6. L’impossibilità di trattenere il prometeismo novecentesco ha reso necessaria la separazione degli spazi come estrema possibilità di contenimento. Quando cade il mito futurista si frantuma in mille piani. La decadenza dell’utopia si realizza in forma di eterotopia. Allora all’utopia del movimento non rimane altro da fare che rifugiarsi nell’immaginario della suadente pubblicità delle case automobilistiche. T&C - Gli interessi delle case automobilistiche sono da lei individuati, nel libro” Avanti c’è posto”7, come una delle principali cause della dismissione della rete tramviaria romana, realizzata tra la ne dell’800 e il primo dopoguerra. Una rete con quasi 400 km di esercizio che venne smantellata a partire dal 1925 ( con l’istituzione del Governatorato dell’Urbe) e proseguì anche dopo la caduta del fascismo, complice la diffusione dell’automobile e quella che lei ha de nito “l’euforia motoristica degli anni sessanta”.8 In questa scelta di “abbandonare il tram” lei riconosce una delle decisioni che hanno avuto effetti più duraturi sulle strutture urbane di Roma alimentando uno sviluppo del sistema insediativo e della mobilità incentrati sulle infrastrutture viarie. 6 G. Simmel, Lo spazio e gli ordinamenti spaziali della società, in Sociologia - Comunità, Torino 1998, p. 540. 7 W. Tocci, I, Insolera, D. Morandi, Avanti c’è posto, Storie e progetti del trasporto pubblico a Roma, Donzelli, Roma, 2008. 8 Ibidem, p. 4.
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Tocci - Le infrastrutture della gomma e del ferro hanno impatti diversi sull’organizzazione del territorio. L’autostrada consente lungo tutto il suo tracciato la creazione di rendite marginali tramite la realizzazione di nuovi quartieri che non hanno bisogno di altre infrastrutture per funzionare; quindi, per i percettori di rendita è un modo relativamente facile di organizzare il territorio, anche se piuttosto grossolano per la qualità degli insediamenti. A Roma, ad esempio, negli ultimi quindici anni quasi tutte le nuove edi cazioni sono state realizzate sul Grande Raccordo Anulare divenuto così l’asse portante della nuova periferia regionale9. Senza quella autostrada circolare non sarebbe stato possibile realizzare l’immensa disseminazione di nuclei edilizi nell’agro romano. La bassa densità di quel modello rendeva infatti impossibile l’uso del trasporto pubblico e poteva essere solo servita dall’automobile; d’altro canto, quel caos suburbano, frutto di un micidiale mix di abusivismo e destrutturazione urbanistica, aveva bisogno di un’unica e potente infrastruttura su cui poggiare tutte le relazioni. Questa, inoltre, presentava un’intrinseca coerenza con il modo di produzione della nuova rendita urbana perché rendeva possibile tutte le trasformazioni senza porre vincoli a nessuna. L’intima corrispondenza al perverso genius loci dell’urbanistica romana spiega come mai la realizzazione e l’adeguamento dell’opera abbia rispettato criteri ottimali di lungimiranza, coordinamento e sincronia come non è accaduto in nessun’altra decisione di assetto territoriale in tutto il secolo. La lungimiranza portò a disegnarla nel 1946 con un raggio molto ampio rispetto alla città allora esistente; il coordinamento si realizzò anticipando con l’infrastruttura la scala dell’espansione residenziale; in ne, la sincronia si veri cò negli anni ottanta con l’adeguamento della terza corsia proprio in contemporaneità con lo spill-over del terziario dal centro storico verso il suburbio. Quando si dice la capacità di programmare, ecco, questo è l’unico esempio riuscito, non a caso in contrasto con l’urbanistica ufficiale. Infatti, l’autostrada venne pensata fuori da qualsiasi piani cazione territoriale, fu mal tollerata dal piano del ‘62 e in generale è stata quasi sempre rimossa dalla cultura urbanistica10. Solo 9 W. Tocci, La lezione di Roma, in “L’Unità” del 18-52008. 10 Sui controversi rapporti tra l’urbanistica romana e il raccordo anulare si veda: P. O. Rossi, Roma 1946. Due modelli a confronto: le arterie di scorrimento e il GRA” in
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negli ultimi tempi si è cominciato a prendere consapevolezza che si tratta nel bene e nel male della struttura più importante della città metropolitana. E’ stata ed è la vera piattaforma dello sviluppo romano su scala regionale. Essa ha consentito nel secondo Novecento di realizzare in forma di eterotopia quel cambio di scala di Roma che nel primo Novecento era stato pensato come utopia, in almeno tre casi11. Primo, il sogno fallito dei giovani del Gur, i quali negli anni trenta, in linea con il dibattito europeo di allora, immaginarono una corona di new towns sui Castelli. Esse dovevano essere collegate a Roma tramite veloci linee ferroviarie, rimanendo separate dai grandi sistemi ambientali delle pendici dei colli. Quel disegno aveva una sua modernità ed ha lasciato nella retorica dell’urbanistica odierna il fascino di un ferro che unisce e di un verde che separa. Ma la realtà è andata in senso opposto: il consumo di territorio ha travolto le separazioni del verde ed ha affidato le connessioni all’asfalto invece che al ferro. Secondo, il misterioso piano della Cometa elaborato nel 1942, in un momento tanto inadatto a immaginare il futuro, in una capitale che ormai sotto i bombardamenti cominciava a scoprire la miseria della retorica imperiale. Non è mai stato tradotto in vincoli normativi, eppure quel piano ha diretto nei fatti lo sviluppo verso il mare no ai giorni nostri con una cogenza che non si ritrova in nessun altro strumento urbanistico formalmente approvato12. Terzo, il sogno di Piccinato che immaginava di svuotare il centro storico decentrando le funzioni direzionali sul famoso Asse Attrezzato. Lo Sdo non si è poi realizzato ma la disseminazione terziaria è avvenuta più esternamente sul GRA: senza l’ambizione del grande disegno che doveva cambiare il corso dello sviluppo, ma solo per prendere atto dei misfatti già compiuti; senza la presunzione di una nuova centralità direzionale, ma nella modestia di tante monadi lontane dal centro storico; senza il volontarismo del piano, ma più prosaicamente sulla base di non scelte e di abusivismi. Così l’utopia novecentesca si è frammentata nell’eterotopia postmoderna. Il sogno di una Annale del DiAR, Roma. Paesaggi metropolitani, Officina, Roma, 2009, pp. 60-69. 11 La distanza tra piani e fatti è analizzata da R. Secchi, Il paradosso del Grande Raccordo Anulare, in Annale del DiAR, op. cit., pp. 52-59. 12 W. Tocci, La cometa e le sue code, in “Capitolium”, n. 2, 2004.
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grande Roma aperta verso l’area regionale si è tramutato in una paccottiglia di insediamenti nella campagna. La stessa transizione è visibile nella funzione più propriamente viabilistica dell’infrastruttura. La sua forma circolare già rivela un’utopia della mobilità, cioè la pretesa di assicurare una connessione totale tramite una strada che stringe come in un abbraccio l’intero corpo urbano, l’illusione di andare dappertutto e alla massima velocità superando le mille fratture territoriali, la sublimazione del magma edilizio in una sorta di volo pindarico sopra la metropoli. Il GRA è realizzato tutto in rilevato, come la promessa di un mondo puro che guarda dall’alto la miseria del caos periferico. L’innalzamento e la forma circolare sono due elementi che denunciano la componente utopica dell’anello autostradale. Essi, infatti, coincidono con i caratteri iconogra ci della più potente utopia urbana, la città di Dio che si innalza nella sua perfezione circolare sopra l’imperfezione della città dell’uomo. Il GRA è la città di Dio per la religione dell’automobile. L’utopia consiste nell’immaginare che l’aspirazione all’illimitato si possa attuare in una sola opera. Ma ciò avviene a discapito di tutto il resto. E comporta una
pesante gerarchia della maglia viaria che non trova una forza equivalente in grado di compensarla; non emerge, quindi, il simmeliano incremento delle forze che caratterizza l’urbano, bensì la separazione totale delle relazioni tra i diversi insediamenti. I quartieri non comunicano direttamente tra loro e sono condannati a passare dal GRA per collegarsi con la città. Così, l’utopia della connessione illimitata si ribalta nell’eterotopia della separazione inconciliabile. Il GRA unisce la città in quanto è separato da essa. È un atto di potenza che s’impone alla conurbazione pur evitando il suo contatto, come se avesse paura del contagio. È “il pro lattico tra il guidatore e il paesaggio”, così lo scrittore Iain Sinclair ha de nito il caso simile del London Orbital, il lungo raccordo autostradale della capitale britannica13 . In ne, lo stesso ribaltamento si riscontra nella capacità narrativa. Il rapporto inverso tra
1 - Veduta aerea del GRA col quartiere Labaro.
13 I. Sinclair, London Orbital. A piedi attorno alla metropoli, Il Saggiatore, Milano, 2008, p. 25. L’idea di raccontare il raccordo passeggiando lungo il suo tracciato è stata ripresa a Roma dall’Osservatorio nomade: Gra. Geogra e dell’oltre città. In cammino per un’inversione di marcia, in www.osservatorionomade.net
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2 - Veduta aerea della stazione di Grotte Celoni.
immaginario del progettista e del cittadino, trova un esempio illuminante nella vicenda del GRA, il cui acronimo è stato mutuato dal cognome dell’ideatore, l’ingegner Gra, ai tempi direttore generale dell’Anas. In questo caso l’immaginario del progettista è andato al di là di ogni immaginazione, lasciando una traccia di sé nel nome che milioni di persone usano per identi care l’anello14. A questo vertice di autonarrazione, quasi un monologo alla Joyce del progettista, corrisponde però una totale assenza di narrazione per il cittadino. Per no la geometria è percepita in modo radicalmente diverso: per il progettista si tratta di un cerchio, mentre al cittadino appare come una strada dritta, senza ne e senza meta. Vengono a mancare le occasioni narrative poiché la funzione in uente è schiacciata sull’uso esclusivamente automobilistico e la funzione latente è deserti cata dall’ingegneria dell’infrastruttura. Di conseguenza, la narrazione può emergere solo per contrasto all’uso dominante, anzi come contestazione dell’ortodossia funzionale. 14 Sull’utopia dell’ingegner Gra si veda M. De Quarto, Grande Raccordo Anulare. Alla ricerca dei con ni di Roma, Avagliano, Roma, 2005, p. 58.
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T&C - Questa ortodossia funzionale è alla base della ducia incondizionata nell’ingegneria dei trasporti come campo a sè che risponde a logiche di efficienza interne, a normative speciche e settoriali e di fatto si è progressivamente allontanata dalla città, come lei ha spesso sottolineato, diventando una nuova eterotopia, uno “spazio” meramente funzionale che ha perso il carattere di spazio urbano e sociale. Tocci - Gli urbanisti e gli ingegneri del traffico si danno le spalle senza rivolgersi la parola, come accade ai parenti separati da vecchie ruggini. Una volta vivevano nella stessa casa ed era tutto più facile. Da quando però sono andati ad abitare in discipline diverse è cresciuta l’incomprensione. Gli urbanisti si occupano del ne degli spostamenti - la destinazione d’uso di un territorio – e considerano la mobilità come uno strumento di cui avvalersi, senza accorgersi che il mezzo condiziona il ne. Al contrario, gli esperti di mobilità, ignorando il ne, non riescono neppure a usare il mezzo di cui pure si sentono padroni. Le due professioni si sono dovute misurare con le incongruenze prodotte dalle speculari asimmetrie dei rispettivi metodi di lavoro,
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e ciò ha lasciato tracce per no nel linguaggio. Gli ingegneri del traffico si sono accorti ben presto che la denominazione metteva in evidenza più l’insuccesso che il successo del loro operato: sono passati così a de nirsi in rapporto alla mobilità, che è certamente un modo più ottimistico di concepire il compito disciplinare. Gli urbanisti, da quando hanno preso coscienza degli errori dello sviluppo, hanno sentito il bisogno di aggiungere l’aggettivo “sostenibile” alle trasformazioni, come a sottolineare la volontà di riportare a equilibrio i ni con i mezzi. Queste invenzioni linguistiche tradiscono un certo volontarismo, come se i saperi tecnici fossero insicuri del proprio operato e sentissero l’esigenza di farsi sostenere da imperativi esterni. Invece, una buona piani cazione territoriale è di per sé sostenibile e assicura la mobilità delle persone e delle cose, non come frutto di un dover essere, ma in virtù di un’archè interna al sapere tecnico. Se si mettessero a cercarla, urbanisti e ingegneri scoprirebbero di averne una in comune che è de nita da una parola sempre trascurata e spesso banalizzata come “accessibilità”. Essa è il regno di condivisione tra mezzi e ni degli spostamenti, è la qualità dello spazio dal
punto di vista del movimento, è il campo di forze che regola le relazioni spaziali. Quando è assicurata l’accessibilità le raccomandazioni sulla sostenibilità diventano semplici pedanterie e gli eccessi della mobilità trovano una misura appropriata.
3 - Veduta aerea di Tor de Cenci, via Pontina.
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Il mondo in una stanza: ri essioni sui trasporti al tempo del COVID di Giusi Ciotoli e Marco Falsetti
Nell’inedita cornice virtuale imposta dall’emergenza COVID-19, le due giornate di presentazione dei numeri 54-55 e 56 di Trasporti & Cultura, dedicati rispettivamente a “Porti e Catene logistiche globali” e “Trasporti e Sostenibilità ambientale”, hanno visto l’attiva partecipazione di accademici, studiosi ed esperti del mondo delle infrastrutture, che si sono ritrovati nella “stanza” multimediale di Zoom per approfondire e discutere le tematiche interne ai numeri. L’incontro del 16 giugno – con la presentazione del numero 54-55 curato da Paolo Costa (Università Ca’ Foscari di Venezia) e Giovanni Giacomello (DiCEA, Università di Padova) – ha rappresentato l’occasione per tracciare un bilancio della situazione delle principali realtà portuali italiane al netto delle criticità e delle s de che il comparto sta sperimentando in questi anni. Anche a livello di ricerca e di analisi, il complesso dei porti offre infatti numerose opportunità di indagine, legate principalmente al fatto che il sistema partecipa a due settori cardine dello sviluppo economico nazionale, quali la logistica e i servizi connessi alla cantieristica e alla manutenzione dei natanti. Come ha sottolineato Laura Facchinelli, alcune realtà portuali del Nord Europa (ad esempio Rotterdam e Anversa) rappresentano il fulcro di un sistema economico-strategico che fa dell’efficienza logistica l’elemento primo del suo successo. La realtà italiana è, al contrario contrassegnata da un certo campanilismo che, a dispetto di esempi virtuosi e grandi risorse – legate sia alla posizione del Paese che alla sua capacità tecnologica – talvolta non riesce a esprimere appieno le sue potenzialità, favorendo la concorrenza di scali meno importanti ma, in de nitiva, più appetibili per le compagnie (ad esempio gli scali croati), come ha rilevato Vittorio Alberto Torbianelli (Autorità di Sistema Portuale del Mare Adriatico Orientale) dibattendo le problematiche del porto franco internazionale di Trieste. L’intervento di Laura Ghio (Autorità di Siste-
The world in a room: re ections on transport at the time of COVID
by Ciusi Ciotoli and Marco Falsetti In the unprecedented virtual setting imposed by the COVID-19 emergency, the two days of presentation of the issues 5455 and 56 of Trasporti & Cultura, dedicated respectively to “Ports and global logistic chains” and “Transport and environmental sustainability”, saw the active participation of academics, scholars and experts in the world of infrastructures, who met in Zoom’s multimedia “room” to deepen and discuss the issues within the numbers. The meeting on June 16 – with the presentation of the 54-55 issue curated by Paolo Costa (Ca’ Foscari University of Venice) and Giovanni Giacomello (DiCEA, University of Padua) – represented the occasion to draw up a balance of the situation of the main Italian port realities net of the critical issues and challenges that the sector has been experiencing in recent years; while the number 56 “Transport and Environmental Sustainability” – edited by Francesco Bosello (University of Milan) and Federica Bosello (Communication Manager) and presented on July 3 – provided an opportunity to discuss the interrelationship between transport and the urban landscape. The speci c theme of the volume, dedicated to sustainability, highlighted the centrality of this area for the community and the disciplines related to planning
Nella pagina a anco: relatori e immagini dei due convegni online.
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ma Portuale del Mar Ligure Occidentale) ha invece focalizzato l’attenzione sui processi in corso nel SPMLO (che a seguito della riforma del 2016 riunisce gli scali di Genova, Savona e Vado Ligure), gli sviluppi del quale erano in parte previsti già nell’ambito dell’implementazione del corridoio 6 Genova-Rotterdam ma che hanno dovuto fronteggiare l’emergenza causata dal crollo del ponte Morandi. L’ambito tirrenico-occidentale ha costituito elemento comune anche al focus di Pietro Spirito (Presidente Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno centrale), che ha rintracciato nella logistica uno dei possibili vettori del cambiamento urbano. Le possibilità strategiche di Napoli sono state colte, ad oggi, solo in parte, sebbene i processi urbani innescati dai recenti interventi di riquali cazione dei terminal costituiscano già materia di dibattito sul rapporto tra città, porto commerciale e waterfront. A riguardo, Michelangelo Savino (DiCEA, Università di Padova) ha tracciato un quadro sintetico sul tema della relazione tra porto e città, che negli ultimi anni ha acquisito centralità anche alla luce dei fortunati interventi intrapresi nell’ultimo ventennio nel Nord Europa (come l’HafenCity di Amburgo), sottolineando – tuttavia – il carattere di occasionalità e di emergenzialità che ha contraddistinto l’esperienza nazionale oltre ai consistenti ritardi rispetto alle diverse necessità dei territori. Marco Pasetto (DiCEA, Università di Padova) ha invece illustrato lo stato delle infrastrutture ferroviarie nel porto di Venezia, evidenziando alcuni indirizzi contenuti nel Piano Operativo 2018-20 che prevede, tra le altre cose, la ride nizione dell’accessibilità nautica a porto Marghera, l’implemento del terminal “Autostrade del Mare” e lo sviluppo del terminal Montesyndial. Gli scenari futuri di Porto Marghera vedono infatti l’autorità portuale confrontarsi con s de complesse, come il delicato equilibrio tra porto commerciale e MOSE, e lo sviluppo di una piattaforma d’altura per intercettare anche il traffico delle navi con pescaggio superiore ai 16 metri. A completare il quadro sui porti nazionali, Oliviero Baccelli (Direttore centro CERTeT, Università Bocconi) ha posto in evidenza le politiche per il rilancio e lo sviluppo sostenibile dei principali hub meridionali, ovvero Taranto e Gioia Tauro, che hanno vissuto alterne fortune e che solo una visione trans-disciplinare può valorizzare riconoscendone il ruolo strutturale per lo sviluppo del Mezzogiorno. Un implemento futuro potrebbe venire, in tal senso, dalla trasformazione di uno dei porti in ZES (zone economiche speciali) così come illustrato da Alessandro Panaro (Responsabile Maritime &
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Energy, Studi e Ricerche per il Mezzogiorno). Difatti stando alla Legge 3 del 2017 soltanto le regioni meridionali possono presentare la proposta di ZES: il caso di Tangeri (Tanger MED) esaminato da Panaro ha dimostrato la fattibilità e le ricadute positive anche per i territori interni. L’incontro proposto dalla rivista ha dunque dimostrato, come premesso dai curatori del numero Paolo Costa e Giovanni Giacomello, la varietà dei temi e delle problematiche, ponendo in evidenza come il dibattito politicoeconomico sul destino dei porti italiani meriterebbe una ri essione critica più ampia della mera discussione tecnica che anima i forum specialistici o le cronache giornalistiche. Un dialogo che coinvolga trasversalmente tutti gli attori così da ricondurre l’ambito in questione ad un approccio più concreto, transcalare che favorisca una prospettiva multidisciplinare piuttosto che i soli dati economici e le proiezioni statistiche. Il numero 56 “Trasporti e Sostenibilità ambientale” – curato da Francesco Bosello (Università di Milano) e da Federica Bosello (Communication Manager) e presentato il 3 luglio – ha fornito l’occasione di discutere l’interrelazione tra trasporti e paesaggio urbano. Il volume, dedicato alla sostenibilità, ha evidenziato la centralità di tale ambito per la collettività e per le discipline legate alla piani cazione. Come sostenuto da Laura Facchinelli, l’obiettivo principale è stato quello di stimolare un confronto di idee tra rappresentanti di società operanti nel campo dei trasporti ed esponenti del mondo accademico, così da coniugare i due ambiti, spesso distanti, della logistica e della ricerca. Difatti far conoscere la ragione di indirizzi politici ed economici orientati verso la scelta di alcune forme di energia a scapito di altre, è fondamentale per educare cittadini consapevoli in grado di veicolare comportamenti “corretti”. È bene sottolineare che se le infrastrutture nel corso dei secoli hanno costruito una sorta di “geogra a arti ciale” (si rimanda al testo di Franco Purini all’interno del numero) è solo negli ultimi 200 anni che il cambiamento climatico è divenuto una costante nelle trasformazioni urbane dello spazio antropico. A riguardo, Francesco Bosello ha messo in guardia i partecipanti al convegno circa le ricadute negative dei processi industriali, che possono in uenzare innumerevoli attività umane, e che determinano gravi ricadute sul nostro benessere: basti pensare agli impatti sulla disponibilità idrica (sia in termini di quantità che di qualità) piuttosto che alla resa agricola e alla
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conseguente sicurezza alimentare, agli effetti sulla salute no alla produzione di energia e alla operatività economica. L’intervento di Mariano Bella (Direttore Ufficio studi Confcommercio) ha sottolineato le politiche strategiche sostenibili già attuate nel nostro passato recente. Con riferimento ad un range di dati dal 1990 al 2017, Bella ha riscontrato una diminuzione di emissioni in Unione Europea pari quasi al 25%. Anche il nostro Paese è stato in grado di diminuire le emissioni di CO2, soprattutto per quanto riguarda il trasporto su gomma. È dunque fondamentale, proprio per una migliore programmazione delle politiche future, considerare i buoni risultati già ottenuti negli ultimi 27 anni. L’intervento ha inoltre palesato come sia da evitare la demonizzazione tout court del trasporto su gomma basato su motore a combustione interna, in quanto possiamo rivolgerci anche ad altri sistemi a trazione (ad esempio elettrica). Giovanni Giacomello (DiCEA, Università di Padova) ha presentano uno studio comparativo tra i sistemi di trasporto (su gomma, su ferro, aereo, per via d’acqua interne) mettendo in luce i diversi gradi di inquinamento che essi determinano. Attraverso l’utilizzo di indicatori consolidati nella letteratura di settore (principalmente a livello europeo) con un confronto tra il 2008 e il 2016, sono stati analizzati i costi esterni principali per il campo dei trasporti, ovvero impatto sull’ecosistema, congestione, rumore, ricaduta sul clima, inquinamento atmosferico, emissioni dovute alla produzione di energia e incidentalità. Dal resoconto si desume che le esternalità negative relative al trasporto su gomma sono nettamente più elevate di quelle del trasporto su ferro. Proprio su tale tematica si è concentrato l’intervento di Lorenzo Radice (Responsabile Sostenibilità Gruppo FSI), il quale ha sostenuto la difficoltà, e al tempo stesso la necessità, di trovare un equilibrio tra politiche sociali, economiche e sostenibili per le aziende private e pubbliche. In tal caso va segnalato l’esempio positivo dell’Alta Velocità Italiana che ha consentito – negli ultimi dieci anni – la diminuzione di emissioni di CO2 oltre che una riduzione del numero di incidenti e di congestione stradale. L’attenzione per le tematiche della sostenibilità ambientale trova riscontro nel Gruppo Ferrovie dello Stato sin dal 2008, anno in cui è stato pubblicato un rapporto annuale di Sostenibilità nel quale venivano convogliate informazioni relative al sistema di controllo e rendicontazione. Tale report ha acquisito nel tempo il ruolo di strumento operativo per indirizzare le politiche di governance del gruppo stesso. Si pensi, in tal senso, alla istituzione nel
2016 del Comitato di Sostenibilità delle Ferrovie dello Stato, strumento consultivo adottato dai vertici dell’azienda; non è infatti un caso che siano stati de nitivi obiettivi sostenibili ad ampio raggio per il 2030 e il 2050 così da perseguire il carbon neutral, migliorando anche il tema della sicurezza e stimolando una serie di campagne per la mobilità sostenibile. A conclusione della giornata, Davide Tassi (Gruppo ENAV) ha proiettato il nale del lm “Contagion” di Steven Soderbergh, che profeticamente annunciava la comparsa e l’evoluzione di una devastante pandemia globale. Se infatti il movimento ambientalista del Flight Shame ha prodotto, nell’anno 2019, una diminuzione di passeggeri in Svezia di circa il 4%, il mondo post-COVID affronta, oggi, una contrazione negli spostamenti aerei di quasi il 95%. Il cambiamento avvenuto nei nostri cieli, imposto dal diffondersi del COVID, ha pertanto prodotto la forzata sospensione delle attività di volo con la conseguente caduta verticale delle emissioni di CO2. Come per James Stewart ne “La nestra sul cortile” di Alfred Hitchcock, la reclusione forzata all’interno delle mura casalinghe ci ha imposto di osservare diversamente i paesaggi domestici e quelli delle nostre città. Come ha sostenuto Marco Pasetto (DiCEA, Università di Padova), i due incontri – e i relativi numeri – si sono interrogati su alcuni temi chiave che ruotano attorno al progetto dell’infrastruttura, alla sua costruzione, alle ripercussioni sulla città, no al ruolo della sostenibilità inteso quale modus vivendi. Studiosi, architetti, costruttori e piani catori, hanno provato, in tal senso, a tornare a discutere a fronte dell’odierna fase di crisi, per immaginare possibili scenari per l’immediato futuro.. © Riproduzione riservata
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Autori
Alessandra Criconia - Architetta, PhD, Professore Associato di Progettazione urbana e architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, membro del Laboratorio di ricerca “Babele” del DiAP. Anne Grillet-Aubert - Architetta, PhD, Maître de conférences all’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris Belleville (ENSAPB), membro del Laboratorio di ricerca Architecture Urbanisme Société : Savoirs Enseignement Recherche (UMR AUSser). Giovanna Bianchi – Architetta urbanista, PhD, Professore Associato di Progettazione di urbanistica alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma. Corinne Tiry-Ono – Architetta, PhD, Professore di architettura nelle scuole nazionali francesi, ricercatore associato al Centro di ricerca sulle civiltà dell’Asia orientale (CRCAO) di Parigi. Colas Bazaud – Urbanista, PhD. Yang Liu – Architetta urbanista, PhD, membro associato del Laboratorio di ricerca Architecture Urbanisme Société: Savoirs Enseignement Recherche (UMR AUSser), referente ricerca presso lo studio Arte Charpentier Architectes. Josette Bouvard – PhD, membro associato del Laboratorio di ricerca Centre d’Etude des mondes Russe, Caucasien, et d’Europe Centrale (CERCEC). Elisabeth Essaïan – Architetta, PhD, Maître de conférences all’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris Belleville (ENSAPB), membro del Laboratorio di ricerca Architecture Urbanisme Société : Savoirs Enseignement Recherche (UMR AUSser). Marco Spada – Architetto urbanista, PhD, Lecturer in Architettura, School of EAST, University of Suffolk (Ipswich). Carla Molinari – Architetta, PhD, Senior Lecturer in Architettura, School of Architecture, Leeds Beckett University (Leeds). Paolo Beria – Architetto urbanista, PhD, Professore Associato di Economia dei Trasporti al Politecnico di Milano, direttore del laboratorio di ricerca TRASPOL di politica dei trasporti. Filippo Lambertucci – Architetto, PhD, Professore Associato di Progettazione urbana e architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, membro del Laboratorio di ricerca “ReLab” del DiAP. Andrea Grimaldi – Architetto, PhD, Professore Associato di Architettura degli Interni alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, responsabile scienti co del Laboratorio di ricerca “Re-Lab” del DiAP. Paolo Desideri – Architetto, Professore Ordinario di Progettazione urbana e architettonica all’Università di Roma Tre, co-fondatore dello studio di architettura ABDR Architetti Associati. Maria Rubert de Ventos – Architetta, PhD, Professore Ordinario di Urbanistica all’Escola Tècnica Superior d’Arquitectura de Barcelona (ETSAB) dell’università della Catalogna, membro del Laboratorio di Urbanistica di Barcellona (LUB). Vincitrice del Premio Nacional de Urbanismo nel 2004. Federica Morgia – Architetta, PhD, Professore Associato di Progettazione urbana e architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, membro del Laboratorio di ricerca “Babele” del DiAP.
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Arnaud Passalacqua – PhD, HDR, Professore in Piani cazione territoriale e urbanistica all’Università Paris-Est-Créteil (École d’Urbanisme di Parigi), membro del laboratorio Lab’URBA (EA 7374), membro associato del laboratorio LIED (UMR 8236). André Pény – Architetto, membro dell’Isitituto di ricerca per la transizione energetica EFFICACITY (Francia). Philippe Menerault – PhD, HDR, Professore di Urbanistica all’Università di Lille, membro del laboratorio Territoires, Villes, Environnement et Société (TVES) e dell’Association pour la Promotion de l’Enseignement et de la Recherche en Aménagement et Urbanisme (APERAU). Cyprien Richer – PhD, ricercatore in geogra a e urbanistica al Centre d’Étude et d’expertise sur les Risques, l’Environnement, la Mobilité et l’Aménagement (CEREMA) a Lille, membro del gruppo di ricerca Perturbation et Résilience des systèmes de mobilité (ESPRIM). Lucina Caravaggi – Architetta, PhD, Professore Ordinario di Architettura del Paesaggio alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, membro del Laboratorio di ricerca “ArCO” del DiAP. Cristina Imbroglini – Architetta, PhD, Professore ricercatore di Architettura del Paesaggio alla Facoltà di Architettura dell’Università Sapienza di Roma, membro del Laboratorio di ricerca “ArCO” del DiAP. Delegato regionale Ambiente e Paesaggio del FAI Fondo Ambiente Italiano. Cristiana Mazzoni – Architetta, PhD, HDR, Professore all’Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris Belleville (ENSAPB), direttrice del laboratorio di ricerca Architecture Urbanisme Société: Savoirs Enseignement Recherche (UMR AUSser). Flavia Magliacani – Architetta, Dottoranda del dottorato di ricerca “Architettura. Teorie e Progetto” dell’ Università Sapienza di Roma in cotutela con UMR AUSser. Giusi Ciotoli – Architetta, PhD, ricercatrice al DiAP, Università Sapienza di Roma. Marco Falsetti – Architetto, PhD, assegnista di ricerca postdoc al DiAP, Università Sapienza di Roma.
Questo numero della rivista è stato curato da Alessandra Criconia, DiAP, Università La Sapienza di Roma, e Anne Grillet-Aubert, Ecole Nationale Supérieure d’Architecture de Paris Belleville (ENSAPB).
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