Architettura e Archeologia

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ARCHITETTURA E ARCHEOLOGIA

Tesi di Laurea di Francesco Tricarico matr. n. 831037 Relatore prof.Valerio Tolve

POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di studio in Progettazione dell’Architettura A.A 2017-2018 sessione di febbraio 2018



ARCHITETTURA E ARCHEOLOGIA

Tesi di Laurea di Francesco Tricarico matr. n. 831037 Relatore prof.Valerio Tolve

POLITECNICO DI MILANO Scuola di Architettura Urbanistica Ingegneria delle Costruzioni Corso di studio in Progettazione dell’Architettura A.A 2017-2018 sessione di febbraio 2018


In copertina elaborazione propria: Messe Basel New Hall, Herzog & de Meuron, 2013 + Santo Stefano Rotondo, G. B. Piranesi, 1756


un sincero ringraziamento alla mia famiglia e a chi mi ha sempre sostenuto



Indice 0

Abstract

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1 L’architettura per l’archeologia 1.1 Archeologia e progetto: il contemporaneo per l’antico 1.2 Archeologia, pianificazione e cittadinanza: scenari futuri

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2 L’archeologia per l’architettura 2.1 Rovine, architettura e progetto: la sintassi dell’antico nell’architettura tra XV e XIX secolo 2.2 Rovine, architettura e potere: lo studio dell’antico per la creazione delle identità nazionali tra XIX e XX secolo

27 29 43

3 3.1 3.2 3.3 3.4

Casi studio Museo di Arte Romana a Merida Musealizzazione del Sito di Praça Nova a Lisbona Parco archeologico delle Torri Palatine a Torino Riqualificazione degli spazi urbani di Banyoles

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Regesto

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Bibliografia e sitografia

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0 Abstract Proteggere e salvaguardare un luogo antico con valenza storica, culturale e paesaggistica, non può e non deve sempre coincidere con la cristallizzazione all’interno di un recinto, di una teca invisibile, alla ricerca di un’immutata memoria di qualcosa che non è più, nella speranza di non perdere l’effetto emozionale provocato nell’osservatore. Infatti la salvaguardia dovrebbe avvenire attraverso la ricucitura tra antico e moderno all’interno di un paesaggio, grazie a una progettazione efficiente e consapevole, facendo così della stratificazione l’occasione utile per l’incremento della qualità urbana, per mezzo del riconoscimento al tessuto storico di un ruolo innovativo e centrale nella conservazione e trasmissione dei valori urbani. In un territorio fortemente stratificato come quello europeo e in particolare italiano c’è il bisogno di integrare strategie di progettazione, pianificazione urbana e conservazione affinchè il patrimonio storico-archeologico, che siamo tenuti a tramandare, non sia solo oggetto di politiche prettamente turistiche, ma sia soprattutto reinserito all’interno della vita quotidiana della città e dei suoi abitanti. Considerando queste riflessioni e l’interesse personale verso architettura e archeologia, ho indagato, in questa trattazione, i rapporti tra le due discipline che un tempo erano in stretta relazione ma che oggi sembrano spesso parlare linguaggi differenti; inoltre ho cercato di inquadrare questo rapporto prima dal punto di vista teorico e, successivamente, progettuale. Nel primo capitolo ho analizzato, attraverso le parole di professionisti in campo archeologico e architettonico, la situazione odierna caratterizzata da una “separazione fatale” tra le due discipline; ho poi cercato di dimostrare, anche attraverso la scelta di determinati casi studio presenti al termine della trattazione, come proprio il progetto architettonico in campo archeologico possa recuperare quei rapporti disciplinari ormai “degradati”, riuscendo a riportare i luoghi dell’archeologia all’interno della vita quotidiana degli abitanti. Nel secondo capitolo ho ripercorso la storia dei rapporti tra archeologia e architettura, dimostrando come in passato, a partire dal Rinascimento, prima ancora della nascita della disciplina archeologica, esistesse un profondo e prolifico scambio teorico che, accompagnando tutta la storia dell’architettura fino alla contemporaneità, ha posto le basi prima per il rinnovamento stilistico dell’Architettura e poi, fin dalla fine del 1800, per la creazione e determinazione delle identità nazionali.

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The act of protecting and safeguarding an ancient place with historical, cultural and landscape value, can not and must not always coincide with the crystallization within an enclosure, an invisible case, in search of an untouched memory of something that is not what it was anymore, in the hope of not losing the emotional effect provoked in the observer. In fact the preservation should take place through the rehabilitation between ancient and modern within the landscape, making good use of an efficient and conscious design, seeing the stratification as an opportunity to increase the urban quality, through giving to the historic city fabric an innovative and central role in the conservation and transmission of urban values. In a highly stratified territory such as the European one and in Italy particularly there is the need to integrate design, urban planning and conservation strategies so that the historical-archaeological heritage, which we are bound to pass on, is not only the object of purely tourist policies, but above all, reinserted within the daily life of the city and its inhabitants. Considering these reflections and personal interest in architecture and archeology, I have investigated, in this discussion, the relationships between these two disciplines that were once in close relationship but which today often seems to speak different languages; I have also tried to frame this relationship first from a theoretical point of view and, subsequently, as a project. In the first chapter I analyzed, through the words of professionals in the archaeological and architectural field, the current situation characterized by a “fatal separation” between the two disciplines; I then tried to demonstrate, also through the selection of some examples at the end of the discussion, how the architectural project in the archaeological field can recover those “degraded” disciplinary relationships, managing to bring the places of archeology into the citizens everyday life. In the second chapter I retraced the history of the relationship between archeology and architecture, demonstrating how in the past, starting from the Renaissance, even before the birth of the archaeological discipline, a profound and prolific theoretical exchange existed and accompanied the whole history of architecture up to our times, it has laid the foundations for the stylistic renovation of Architecture and then, since the end of the 1800, for the creation and definition of national identities.

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L’ARCHITETTURA PER L’ARCHEOLOGIA


1 - Allestimento della mostra “Gli Etruschi” a Palazzo Grassi, Venezia, F. Venezia, 2000. L’allestimento è progettato in modo da ricreare l’atmosfera di una camera sotterranea visitata da Venezia presso la necropoli etrusca di Cerveteri, caratterizzata dalla presenza di un fascio luminoso zenitale.

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1.1 Archeologia e progetto il contemporaneo per l’antico

Il rapporto tra il progetto architettonico e la disciplina archeologica è sempre stato al centro della storia umana e della produzione architettonica, assumendo declinazioni differenti a seconda del periodo storico e della mutevole concezione e uso della storia da parte della società. Nonostante questo rapporto sia durato secoli, all’indomani della seconda guerra mondiale qualcosa provocò la separazione di queste due discipline, un tempo “sorelle”, che oggi sembrano parlare linguaggi differenti(1). Questa spaccatura, provocata forse dall’incapacità dei diversi specialisti di collaborare mettendo da parte gli inutili campanilismi disciplinari, può oggi essere colmata instaurando un proficuo scambio tra i diversi attori in campo. Diventa quindi fondamentale l’apporto della disciplina architettonica che, operando sotto forma di progetto a disposizione dell’archeologia, si pone come mezzo per recuperare e valorizzare quei rapporti interdisciplinari ormai degradati. Infatti, architettura e archeologia, nonostante i diversi modi di intervento e di interesse verso il materiale storico, trovano in esso un ampio terreno di scambio e incontro, in cui la collaborazione tra specialisti, appartenenti anche a diverse branche del sapere, diventa basilare per la configurazione di nuove prospettive per la ricucitura tra tessuto storico e contemporaneo, all’interno della quale il bene archeologico dovrà configurarsi non solo come elemento di pregio turistico ma come vero e proprio luogo portatore di qualità urbana e appartenente a un contesto territoriale più ampio con cui dovrà relazionarsi. L’importanza data al progetto di architettura in contesto archeologico per la valorizzazione e rifunzionalizzazione di quest’ultimo è argomento di dibattito fin dalla fine del XX secolo, quando la componente conservativa dell’architettura ha notevolmente preso il sopravvento negli interventi e nelle politiche riguardanti i centri storici e le realtà stratificate delle nostre città. Francesco Venezia ci parla di una “separazione fatale” avvenuta tra le due discipline nel momento in cui l’archeologia è entrata all’interno di una “sfera protetta”, separata dai luoghi dell’architettura, in cui si rispecchia la separazione tra il mondo delle rovine e il mondo del costruire. Ciò ha reso l’archeologia, nell’immaginario collettivo, una nemica dell’architettura e della città moderna(2).

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2 - Rovine del Mercato a Braga, E. Souto de Moura, 1980. I ruderi dell’edificio furono trasformati dallo stesso architetto portoghese in una scuola di danza ben 15 anni dopo.

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Molti docenti e studiosi facenti parti di atenei di tutta Italia, negli ultimi decenni, si sono confrontati nuovamente sul tema della coesione tra archeologia e architettura, creando laboratori di progettazione tematici all’interno dei corsi magistrali, richiamando professionisti da tutto il mondo in sempre più frequenti Call internazionali che cercano di dibattere su questo difficile tema; in merito bisogna citare l’importanza di master e workshop organizzati da associazioni e da enti pubblici e privati che cercano di riportare il tema dell’archeologia all’interno della progettazione architettonica, primo fra tutti il Premio Piranesi, ormai divenuto un importante evento per la portata e l’interesse internazionale che ha assunto negli anni. Tuttavia, nonostante queste nuove esperienze portatrici di nuovi temi e risultati notevoli nell’ambito, non si è ancora giunti a una valida e univoca conclusione, sia per la mancanza o carenza di indicazioni legislative in campo archeologico, sia perché, come ci ricorda Pasquale Miano, professore di composizione architettonica e urbana presso l’Università Federico II di Napoli, “è sbagliato considerare un’architettura per l’archeologia come un approccio precostituito [...] con uno stile contemporaneo predeterminato [...], è utile invece impostare il ragionamento sul rapporto architettura-archeologia a partire dalla specificità di due discipline che si sono spesso intrecciare e per cui si determinato un terreno di dialogo e confronto continuo”(3). Archeologia e architettura hanno uno stretto legame, sono facce della stessa medaglia(4), hanno in comune molto più di quello che può apparire agli occhi di un osservatore esterno. La storia dell’architettura è permeata dall’archeologia e quest’ultima si è potuta definire come disciplina autonoma soprattutto grazie all’incessante attività degli architetti. In particolare Pier Federico Caliari, docente presso il Politecnico di Milano e curatore del Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana “Piranesi Prix de Rome”, con un semplice ragionamento ci fa notare come in realtà “l’archeologia, prima di essere tale, in un tempo definibile come originario, era architettura” e quindi di come il reperto, prima di divenire documento, sia stato parte di un contesto architettonico abitato(5). Questo concetto è stato ripreso anche da Alessandra Carlini, ricercatrice presso l’Università di Roma Tre, che evidenzia come sia “l’architettura, spoglia dell’uso originario, a diventare archeologia soggetta a nuovi usi, quindi potenziale della città contemporanea” (6). Queste considerazioni sono rese nulle dalla crescente convinzione, soprattutto popolare ma in alcuni casi appoggiata da soggetti politici, che vede nell’antico e nella città stratificata un ostacolo alla modernità e allo sviluppo urbano, ignorando in realtà come la rovina abbia

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3 - La città del futuro, A. Isozaki 1968. L’architetto giapponese rappresenta in questo fotomontaggio il ciclo ricorrente di vita e morte della città .

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da sempre rappresentato una risorsa utile non solo all’esercizio della memoria ma anche alla creazione e immaginazione del futuro. Luisa Ferro, docente presso il Politecnico di Milano, spiega come sia il progetto a mettere insieme i frammenti, costruendo relazioni tra le parti e generando nuove regole, riallacciando temi e principi lontani cronologicamente ma correlati tra loro, investendoli in un processo di trasformazione capace di assegnare nuovo ruolo ai siti archeologici nello sviluppo futuro della città; l’obiettivo è quello di dare quindi senso alla contemporaneità proprio grazie al dialogo con l’antico che l’architettura è in grado di instaurare tramite il progetto che tende a procedere per stratificazioni, simulando il procedimento di studio e analisi stratigrafico dell’archeologia(7). Quindi si tratta di un rapporto disciplinare che trova nello scavo un punto di incontro principale che si ripercuote e deve definirsi all’interno del progetto di architettura. Simile è il punto di vista di Angelo Torricelli, docente presso il Politecnico di Milano, che descrive come i motivi di interesse dell’architettura per l’archeologia non si debbano identificare solo con le specifiche occasioni di intervento ma, in senso più generale, come questo rapporto debba concretizzarsi nei riferimenti ideali che i valori dell’antico e della rovina evocano nella teoria della composizione(8), rintracciando ancora una volta delle similitudini tra lo scavo archeologico e il processo di progettazione, poiché “il progetto è un processo di destabilizzazione: estrae gli oggetti per strati, li decontestualizza per comprenderli e studiarli a fondo e, infine, li restituisce carichi di un nuovo significato”(9). Tuttavia il progetto non deve avere l’ambizione di imporsi sui luoghi dell’archeologia, ma deve riconoscerne i valori, acquisirne la memoria, farsi portatore di nuove funzioni per luoghi ormai scarsamente utilizzati o completamente dimenticati, non deve rappresentare il prevalere della contemporaneità sull’antico perché, come afferma Francesco Cellini, professore presso l’Università di Roma Tre, “non ha più senso impegnarsi in una battaglia ideologica per affermare il primato della contemporaneità, è invece la contemporaneità che prende senso proprio nel dialogo con l’antico, nel raccogliere le sue tracce, riordinale, conoscerle”(10). Questa presa di coscienza da parte del progetto, assieme a capacità e qualità del dialogo tra rovine e progetto, rappresenta il fulcro della discussione riguardo alla qualità del singolo progetto di architettura in contesto archeologico, poiché, vista l’enorme quantità di casi e contesti differenti, è impossibile descrivere delle regole fisse per la creazione di un unico modello di intervento.

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4 - Percorsi pedonali dei Mercati di Traiano, Roma, L. Franciosini, 2008. Il progetto vuole migliorare la fruibilitĂ del sito archeologico mediante interventi sul sistema della viabilitĂ , integrando le antiche pavimentazioni e le nuove soluzioni per il superamento delle barriere archeologiche.

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Giovanni Guzzo, archeologo ed ex-soprintendente dei beni archeologici di Napoli e Pompei, a proposito del dialogo tra antico e contemporaneo, descrive come questo incontro/ scontro, presente da sempre nella storia da quando “c’è registrazione e memoria di attività umana”, abbia prodotto una vasta gamma di risultati, “che vanno dall’interferenza, al rifiuto, alla distruzione al riadattamento”, e proprio la varietà dei prodotti ci consente di sintetizzare il tutto nella formula “caso per caso”, riconoscendo una specificità di intervento adatta a ogni singolo contesto. Il tema della specificità viene trattato anche dall’architetto Pippo Ciorra, docente presso l’Università di Camerino, che spiega come qualità e specificità di intervento siano prerogativa del “bravo architetto con una buona dose di cultura messo davanti ad un problema archeologico”, introducendo i temi della “sapienza” e “bellezza” come strumenti utili al progetto in contesto archeologico(11). Nonostante le premesse precedentemente descritte, è importante considerare la realtà legislativa e professionale che in molti casi, invece che utilizzare il progetto di architettura come strumento capace di mettere ordine, stabilire gerarchie e ricucire relazioni, fa sì che l’intervento dell’architetto in luoghi dell’archeologia, come racconta Alessandra Carlini, si riduca frequentemente a “interpretazione strettamente funzionale dell’accessibilità”(12) che, assieme alla mancanza di multidisciplinarietà e dialogo tra le figure professionali in gioco, ha prodotto in molti casi un processo di trasformazione ma senza un vero e proprio progetto futuro. La scarsa e sterile collaborazione tra i diversi specialisti, causata dalle differenti posizioni disciplinari in gioco, ha fatto sì che prevalessero inutili specialismi, evidenziando, come descritto dall’archeologa ed egittologa Sabina Malgora, il bisogno di “ampliare il dialogo a professionisti di altre discipline”(13). Infatti solo grazie alla multidisciplinarità si potranno perseguire al meglio gli obiettivi di riqualificazione, risignificazione e fruizione dei luoghi della memoria, in cui ricompare l’importanza fondamentale dell’attenta programmazione, ancor prima delle fasi di scavo e progettazione, che coinvolga professionisti dei vari campi del sapere (non solo architetti e archeologi, ma anche economisti, sociologi, antropologi ecc..) assieme a legislatori e cittadini, prefigurando così la possibilità di realizzare l’obiettivo della conservazione dei siti archeologici in continuità con il tessuto urbano contemporaneo coerentemente ai bisogni e usi della cittadinanza che in primis dovrà valorizzare e vivere quel determinato luogo, portatore di valori e memoria collettivi.

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5 - Cancellate attorno all’Arco di Costantino, Roma, 2015. Seppur rispondano a requisiti di sicurezza questi elementi tendono a creare una forte separazione, provocando in taluni casi situazioni di degrado e incuria.Visibile anche un altro paradosso, la presenza di panchine in realtà non utilizzabili.

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1.2 Archeologia, pianificazione, cittadinanza scenari futuri

“Sono le urgenze del presente che ci spingono a rileggere le vicende del passato non come mero accumulo di dati eruditi, non come polveroso archivio, ma come memoria vivente delle comunità umane. La consapevolezza del passato può e deve essere lievito per il presente, serbatoio di energie e di idee per costruire il futuro.” Salvatore Settis(14) Nel momento in cui del materiale archeologico viene riportato alla luce per essere studiato e compreso, esso deve allo stesso tempo confrontarsi con il suo contesto, con il suo uso pubblico, in quanto non è più solo materiale di studio ma diviene parte concreta della città contemporanea, tramutandosi in occasione per creare nuova socialità, rientrando a far parte di un sistema più ampio, tenuto insieme da relazioni e usi(15). Tuttavia dall’osservazione delle nostre città emerge un altro scenario, una situazione che manifesta di fatto il fallimento delle politiche legate al recupero, alla valorizzazione e alla fruizione dei luoghi dell’archeologia in contesto urbano e agricolo. Troppo spesso le nozioni di parco e sito archeologico hanno imposto la netta separazione tra tessuto antico e contemporaneo, paralizzando i luoghi della memoria dietro steccati e recinzioni che ne limitano e regolano la fruizione secondo regole imposte dalla geografia del turismo e dal business della cultura. Partendo da questi presupposti, diventa interessante riportare il pensiero di Giovanni Longobardi, docente di Composizione Architettonica preso l’Università di Roma Tre, che, riprendendo il concetto di “non-luoghi” definito da Marc Augé quando descrive alcune parti critiche delle città contemporanee(16), identifica con questo neologismo le aree archeologiche che, confinate all’interno di un recinto, vengono estrapolate dal contesto territoriale originale e vengono sospese in una dimensione atemporale provocata dall’imposizione di un confine necessario solo alle logiche economiche e conservative(17).

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6 - Parco lineare delle Mura Aureliane, Roma, P. Falini e A.Terranova, 2009. Il progetto sfrutta la preesistenza archeologica per innestarci una grande infrastruttura verde pubblica con funzione connettiva per il tessuto urbano circostante.

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Questo fenomeno provoca la nascita di un “ossimoro urbano” ponendo ciò che è storico per eccellenza al di fuori del continuum spazio temporale(18). Ciononostante, non è solo l’imposizione del limite a trasformare un’area archeologica in un non-luogo perché “quando le persone si incontrano e socializzano creano immediatamente dei luoghi. I non-luoghi accolgono invece soltanto individui [...], visitatori, nel caso della fruizione culturale”(19). Lo sfruttamento delle aree archeologiche provoca un duplice effetto a seconda del valore storico documentale del luogo; infatti, mentre alcune aree che non raggiungono soglie di interesse per il grande pubblico vengono indagate e studiate a fondo e successivamente abbandonate una volta esaurita la ricerca, i luoghi dell’archeologia più famosi e pubblicizzati sembrano abitati ogni giorno, ma in realtà hanno un legame più con la logica della geografia del turismo che con l’abitare quotidiano dei cittadini che vivono a pochi passi dagli stessi(20). C’è quindi il bisogno di trovare strumenti e modalità di intervento nuovi, capaci di riallacciare studio e fruizione delle aree archeologiche ai temi dell’abitare contemporaneo, creando inclusione e non separazione, incentivando un uso quotidiano dei luoghi. Le aree archeologiche si configurano quindi come dei grandi spazi monofunzionali, separati dal contesto di cui hanno la necessità di fare parte. Ciò provoca una separazione fisica e concettuale nella continuità della storia urbana, in cui la stratificazione e la persistenza del tessuto ricoprono una grande importanza per la creazione di un rapporto identitario tra cittadino e città, elemento fondamentale per la nascita di una forma di tutela attiva del bene e il suo eventuale uso quotidiano, attraverso la valorizzazione dell’integrazione dei beni antichi con le esigenze della città contemporanea(21). Antonio Terranova, ex-docente presso la facoltà di Architettura de La Sapienza di Roma, chiedendosi se sia possibile trovare un nuovo senso dell’abitare partendo dall’archeologia, spiega che non è facile ammettere che, contro la cattiva qualità dell’ambiente urbano determinato dalla modernità, si debba ricorrere ai luoghi della memoria in cui gelosamente sono custoditi ottimi esempi dell’abitare, infatti, questo dialogo quotidiano con il passato è reso difficoltoso dalla separazione del materiale storico dal proprio contesto, come se le istanze della conservazione attuassero una specie di zonizzazione di porzioni di città sottratte a un eventuale sviluppo futuro(22). Diventa quindi fondamentale, come afferma Daniele Manacorda archeologo e docente presso l’Università di Roma Tre, ridiscutere i bordi, giocare sul loro tema ambivalente di separare e

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6 - Progetto per la Darsena, A. Torricelli, Milano, 2004. Dalla planimetria si evince come il tessuto romano abbia segnato profondamente il successivo sviluppo della cittĂ , come le forme del passato permangano nel contemporaneo.

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unire, poichè la ricucitura permette a una comunità di conoscere, vivere e tutelare il proprio patrimonio storico(23). Angelo Torricelli, a proposito del progetto della Passeggiata Archeologica di Milano, afferma che “riallacciare il rapporto con l’archeologia urbana significa, per il progetto di architettura, non limitarsi a presentare se stesso, oppure a perseguire compiti come quelli della protezione e dell’ambientamento dei ruderi, ma, al contrario, farsi protagonista di una azione sovversiva”(24). Il progetto si fa sovversivo nel momento in cui, mettendo in discussione le gerarchie affermate della città, si configura come ricerca progettuale volta alla continuità in aree urbane irrisolte, caratterizzate da fratture morfologiche(25) tra tessuto contemporaneo e storico. Considerando i beni storici come materiali e luoghi pubblici, l’architetto e docente Luigi Franciosini propone come ci sia bisogno di una fruizione pubblica libera dei luoghi della memoria, “elevando l’esperienza della fruizione straordinaria ad una abituale”, sostituendo la “spettacolarizzazione del prodotto culturale” con “la meraviglia di ciò che più profondamente sentito come proprio”(26). Concorde è l’idea di Sabina Malgora che, definendo la differenza tra monumento, ciò che dialoga con la società, e documento, ciò che parla quasi unicamente agli specialisti, spiega come la tutela, affiancata dalla buona gestione, non debba essere “inibitoria o repressiva”, ma debba tener conto e coinvolgere sia i futuri fruitori sia i cittadini a diretto contatto con il bene(27). Inoltre, questa presa di possesso del patrimonio storico da parte dei cittadini, che rientra in ciò che Salvatore Settis chiama “diritto alla cultura”(28), vede nel progetto urbano il suo fulcro che, come le attività di tutela e fruizione, deve avere “una lungimiranza bifronte che sappia far tesoro del passato per vivere il presente costruendo il futuro”(29). Ciononostante, come già accennato, nelle nostre città sta venendo meno il rapporto tra la memoria e il presente, poiché il culto dell’antico è relegato all’interno di aree specifiche e non appartiene più alla quotidianità dei cittadini. I luoghi dell’archeologia, allora, oltre che essere materiale di studio o fondamento teorico del progetto, possono assumere un ruolo attivo all’interno della vita quotidiana grazie a progetti che tengano conto dell’importanza della continuità fisica degli spazi e ideologica della memoria stratificata, poiché una città senza memoria produce una cittadinanza senza identità e senso di appartenenza. L’antico non può essere solo sacralizzato come fosse un oggetto di venerazione, in nome di una tutela che manifesta spesso una forma di antagonismo

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8 - Metropolitana di Porto, E. Souto de Moura, 2005. Il progetto è esemplare di come un elemento altamente moderno come la metropolitana possa relazionarsi con l’antico favorendone salvaguardia e conservazione.

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verso la fruizione quotidiana, ma deve rientrare all’interno di linee programmatiche capaci di coniugare la crescita socio-culturale dei territori con le dinamiche di un turismo sostenibile, in cui il progetto, facendosi interprete della complessità e delicatezza del sito, ne tramanda il senso e la storia in egual misura a tutta la popolazione. Questa operazione, che valorizza la stratificazione e nega l’ormai diffusa idea che vede l’antico come opposizione alla modernità, ha come risultato un paesaggio, cioè un insieme di elementi appartenenti a diverse temporalità che istaurano tra loro nuove relazioni. Il metodo per raggiungere questo scopo è, secondo Alessandra Capuano, docente di progettazione architettonica e urbana presso La Sapienza di Roma, l’integrazione tra strategie di pianificazione e conservazione che mettano al centro la nozione di paesaggio, urbano o agricolo, che siano capaci di coniugare gli interventi di conservazione con le trasformazioni contemporanee di qualità e che quindi realizzino l’obiettivo di programmare che da un lato certamente sia indirizzato al turismo, ma che dall’altro assecondi l’uso quotidiano degli stessi spazi(30).

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Sorgenti immagini 1 ^ Sito internet: it.pinterest.com/pin/313211349066787603/ 2 ^ Esposito A., Leoni G., Eduardo Souto de Moura.Tutte le opere, Mondadori Electa, Milano, 2012, p.63 3 ^ Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Macerata, Quodlibet, 2014, p. 211. 4 ^ Marzo M.,Vanore M., Luoghi dell’archeologia e usi contemporanei, IUAV Venezia,Venezia, 2010, p.111 5 ^ Sito internet: roma.repubblica.it/cronaca/2015/12/16/news/il_piano_di_prosperetti_per_rimuoverle_dagli_archi_di_trionfo 6 ^ Sito internet: impresedilinews.it/inaugurato-il-parco-delle-mura-aureliane/ 7 ^ Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 61 8 ^ Fotografia di L. Ferreira Alves. Sito internet: divisare.com/projects/287589-eduardo-souto-de-moura-luis-ferreira-alves-metro-do-porto

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Note bibliografiche 1 ^ D’Amato Guerrieri C., Prefazione, in Culotta T., Progetto di architettura e archeologia, L’Epos, Palermo, 2009, p. 15 2 ^ Venezia F., La separazione fatale, in Venezia F., Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Mondadori Electa, Verona, 2013, pp, 16-17 3 ^ Miano P., Indagine archeologica e programma architettonica, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 254 4 ^ Rykwert J., Archeologia e architettura, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 311 5 ^ Caliari P. F., Il progetto per il patrimonio archeologico. Tra sapere di nicchia e aporia accademica, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, p. 24 6 ^ Carlini A., Archeologia e spazio Pubblico. Esperienze di architettura nel paesaggio antico, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p.150 7 ^ Ferro L., Archeologia e progetto di architettura, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 35-38 8 ^ Torricelli A., La ricerca progettuale come interrogazione del tempo, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 11-14 9 ^ Torricelli A., Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 57 10 ^ Miano P., op. cit., p. 253 11 ^ Ciorra P., Up-cycling.. Morte e vita dei corpi architettonici, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 279-280 12 ^ Carlini A., op. cit., p. 151 13 ^ Malgora S., Memorie fruibili, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 39-42 14 ^ Settis S., Architettura e Democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Einaudi, Trento, 2017, p. 15 15 ^ Carlini A., Archeologia e spazio Pubblico. Esperienze di architettura nel paesaggio antico, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p.150-151 16 ^ Augé M., Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2009 17 ^ Longobardi G., Aree archeologiche. Nonluoghi della città contemporanea, in Segarra Lagunes M. M., Archeologia urbana e Progetto di architettura. Seminario di studi, Roma 13-15 Giugno 2002, Gangemi, Roma, 2003, pp. 41-50 18 ^ Longobardi G., ibidem, p. 42 19 ^ Longobardi G., ibidem, p. 49 20 ^ Longobardi G., ibidem, p. 43 21 ^ Capuano A., Archeologia e nuovi immaginari, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 40-47 22 ^ Terranova A., Frammenti, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 22-25 23 ^ Manacorda D., Progetto archeologico e progetto architettonico in ambiente urbano, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 91 24 ^ Torricelli A., Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 57 25 ^ Torricelli A., Il Museo e la Passeggiata archeologica di Milano, in Ciotta G., Archeologia e architetture. Tutela e valorizzazione. Progetti in aree antiche e medievali, Firenze, Aiòn Edizioni, 2009, pp. 118-120 26 ^ Franciosini L., Il problema della consapevolezza, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p. 12 27 ^ Malgora S., Memorie fruibili, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Milano, Rotaract, 2010, pp. 39-42 28 ^ Settis S., op. cit., p. 11 29 ^ Settis S., op. cit., p. 15 30 ^ Capuano A., Introduzione, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 10-15

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1 - Capriccio romano, Giovanni Paolo Panini, XVIII secolo.

l celebre pittore riproduce le affioranti rovine imperiali cosÏ come probabilmente apparivano agli abitanti dell’Urbe intorno al 1700. 28


2.1 Rovine, architettura e cultura

la sintassi dell’antico nell’architettura tra XV e XIX secolo

La “separazione fatale” tra architettura e archeologia, precedentemente descritta, rappresenta una situazione venutasi a creare a partire dal XX secolo; infatti nei secoli precedenti erano numerosi gli architetti che decidevano di intraprendere viaggi di studio in loco nelle aree archeologiche mediterranee. Il continuo confronto con i resti delle antichità sarà alla base del continuo rinnovamento della storia dell’architettura fino alla fine del 1800. «[...] coloro che oggi conducono la loro vita tra le mura di Roma, trasformano turpemente, oscenamente, di giorno in giorno in bianca ed impalpabile cenere gli edifici marmorei, maestosi e elegantissimi sparsi ovunque per la città, le statue famose e le colonne, in modo vile, vergognoso e osceno, così che in breve tempo nessuna immagine e nessun ricordo di esse resterà ai posteri[...]» Ciriaco D’Ancona, Itinerarium, 1433 Con queste parole, Ciriaco D’Ancona nel 1433 descrisse all’Imperatore Sigismondo di Lussemburgo la sempre più frequente pratica degli abitanti di Roma nei confronti delle rovine, ormai spoglie degli ornamenti, derubate dei materiali lapidei e marmorei ed abbandonate come cumuli di macerie. Nato nel 1391 ad Ancona, in una famiglia di commercianti e navigatori, appena ventenne egli decise di intraprendere una serie di viaggi per tutto il Mediterraneo(1), mosso dalla voglia di riscoprire e salvare dall’oblio del tempo i più grandi monumenti dell’antichità. A questa figura si attribuisce la nascita dell’archeologia generale(2), vista la sua incessante attività di ricerca e restituzione di nozioni ricavate dallo studio in loco dei monumenti Greci, Latini ed Egiziani, occupazione che lo ha reso una delle personalità di spicco dell’Umanesimo con il merito di aver riportato in auge il tema della storia e l’attenzione verso le rovine. La situazione in cui versava Roma agli albori del 1400 era frequente nelle città europee, in cui la stratificazione storica era molto evidente e in cui la rovina era inglobata in edifici di

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2 - CittĂ ideale, autore sconosciuto, fine XV secolo circa.

Viene rappresentata una veduta della piazza di una cittĂ rinascimentale ideale in cui sono chiaramente visibili tre monumenti classici.

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epoca successiva o utilizzata come cava per materiali da costruzione. L’attività di Ciriaco e di altri contemporanei, specialmente in campo storiografico e filosofico, portò, a partire dal ‘400, alla rivalutazione del senso della storia e, in campo architettonico, alla trasformazione dell’osservazione dei resti architettonici che divenne un’importante fonte didattica “per la formazione e il controllo dei sistemi geometrici compositivi”(3) per gli architetti del periodo. Inoltre “il confronto con l’antico è considerato motivo di stimolo ed emulazione che travalica la matericità dell’architettura per riflettersi globalmente nell’emulazione delle altre virtù civili rappresentate dalla Roma Repubblicana, per presupporre un profondo cambiamento di carattere cosmico”(4). Lo studio dei monumenti antichi e, parallelamente, degli autori latini e greci così come condotto e rinnovato in questo momento storico porterà alla legittimazione del mondo classico come testimonianza di civiltà. Questa nuova concezione del periodo classico darà il via anche alla pratica del collezionismo di antiquaria nelle case e nei giardini delle famiglie più ricche, portando all’intensificazione ed al maggior supporto dello scavo e dello studio dei ruderi presenti nelle città italiane, provocando così la nascita di un fenomeno che, a partire dal Quattrocento, continuerà per molti secoli fino agli albori del Novecento. In tale periodo storico le relazioni tra paesaggio, architettura e archeologia si intensificheranno e produrranno esiti sempre più interessanti, con il riconoscimento del valore documentale delle rovine che, in taluni casi, verranno addirittura create ex novo e poste all’interno dei magnifici giardini europei del XIX secolo, con lo scopo di ricreare i sentimenti sublimi provati durante la contemplazione di quei paesaggi pittoreschi in cui natura e architettura trovavano una nuova coesione. Dunque la riscoperta dell’antico segnerà profondamente la storia dell’architettura a partire dal XV secolo; gli architetti inizieranno a studiare le rovine cercando di tradurne il linguaggio, modificandolo in chiave contemporanea per mezzo di adattamenti alle mutate esigenze rispetto al passato e traendo dai resti degli edifici i caratteri formali e spaziali utili alla creazione dei numerosi progetti che saranno realizzati durante tutto il Rinascimento. Sicuramente Filippo Brunelleschi durante il suo primo viaggio a Roma, nel 1402, accompagnato da Donatello, studiò intensamente i resti presenti nella città, ridisegnando una gran quantità di elementi architettonici classici poi riproposti nei suoi successivi progetti. Si recherà a Roma anche nel 1433, sempre per studiare le rovine e approfondire la tipologia della pianta

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3 - Navata centrale della basilica di Sant’Andrea, L. B. Alberti, Mantova, 1472. La navata centrale è chiaramente ispirata, nelle proporzioni e nella disposizione spaziale, ai grandi edifici romani.

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centrale, che adotterà nel progetto della Rotonda degli Angeli a Firenze, unico edificio a pianta centrale da lui realizzato, ma soprattutto per la realizzazione della Lanterna di Santa Maria del Fiore a Firenze. Leon Battista Alberti, durante la redazione del De Re Aedificatoria, verificò tutte le teorie tecniche e costruttive sul campo, confrontandosi e studiando approfonditamente i ruderi romani. Questo studio approfondito si manifestò anche nelle sue opere, come ad esempio nella Basilica di Sant’Andrea a Mantova, iniziata nel 1472, chiaramente ispirata nella progettazione dall’osservazione diretta delle rovine di epoca romana: la Basilica di Massenzio e le terme di Diocleziano ispirarono la disposizione spaziale della grande navata voltata a botte con lacunari, la facciata, invece, discende dall’arco di trionfo romano con un solo fornice, inserito e dominato da un timpano triangolare, ripresa formale del tempio classico(5); in quest’opera è chiaro l’uso che l’Alberti faceva della metrica classica, mirando alla ricchezza e alla molteplicità figurativa, rifiutando il valore normativo, aprendo la strada alla concezione manieristica dell’architettura(6). Il Bramante intorno al 1502 progettò il Tempietto di San Pietro in Montorio a Roma, ispirandosi sia al tempio circolare periptero romano, di cui poté studiare i resti presso Tivoli e Roma, sia alla thòlos greca(7), descritta da Vitruvio. Egli tradusse questi riferimenti nella sua opera, progettando una cupola che, nelle proporzioni unitamente alla pianta centrale, rivela un altro grande riferimento: il Phanteon. Anche Raffaello Sanzio rimase affascinato dal tema dell’antico e, contemporaneamente al Bramante, nel 1504, nella celebre opera “Lo Sposalizio della Vergine” dipinse al centro della composizione un tempio circolare, anch’esso ispirato probabilmente dai tempi circolari romani. Il pittore urbinate fu successivamente nominato dal Pontefice Leone X “Commissario delle antichità di Roma” e, coerentemente al suo nuovo incarico, svolse numerose ricognizioni tra i ruderi della Città Eterna, rimanendo coinvolto emotivamente e sinceramente affascinato dalla contemplazione dei resti del grande impero, che cercò di catalogare, ove possibile, secondo tipologie e loro composizione architettonica. Il lavoro sul campo fu affiancato dallo studio approfondito degli autori classici, utile a decifrare i resti, ma soprattutto dalla descrizione dei metodi adatti di rilievo e intervento sui ruderi. Egli ne ipotizzò in molti casi le tecniche costruttive, formulando proposte per il loro

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4 - Disegni di progetto della Villa Almerico Capra a Vicenza, A. Palladio, 1567 circa. Osservando i disegni preparatoti si evincono chiaramente i riferimenti classici utilizzati durante la progettazione dell’edificio.

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risanamento ma, soprattutto, polemizzando sulla già descritta pratica del riutilizzo del materiale storico per le nuove costruzioni(8). Lo studio condotto sulle rovine portò alla progettazione di Villa Madama presso Roma, ispirata chiaramente alle grandi ville di campagna dell’antichità, con le campate che emulano le proporzioni degli edifici termali romani(9). Le decorazioni della Villa, a opera di Giulio Romano, riprendono gli ornamenti murali romani detti Grottesche, riscoperti nella Domus Aurea. Notevole fu anche il rapporto tra Michelangelo e le rovine romane che, durante il suoi soggiorni nella città, ebbe l’occasione di ammirare e studiare fino alla realizzazione a Roma, nel 1562, della Basilica di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri. La basilica sorge all’interno del tepidarium delle Terme di Diocleziano, dimostrando un approccio innovativo per l’epoca: il progetto dialoga con la preesistenza termale senza alterarla e contemporaneamente essere svilito dalla maestosità dei resti; infatti l’intervento si compie nella chiusura con setti murari di tre campate contigue(10) e ciò porta ad ottenere uno spazio memore delle proporzioni dei grandi bagni termali. Nel 1570, con i “Quattro libri dell’architettura”, Andrea Palladio decise di affrontare il tema delle proporzioni architettoniche partendo dal testo Vitruviano, segnando profondamente la produzione architettonica occidentale fino al XX secolo. Oltre a riprendere e implementare le nozioni vitruviane, nelle sue opere, soprattutto ville, adottò un linguaggio formale e delle scelte spaziali chiaramente riprese dal mondo classico: per esempio in villa Capra, detta la Rotonda, riprese l’assetto distributivo della pianta centrale quadrata, inscrivibile in un cerchio (rappresentante la perfezione delle proporzioni), con quattro facciate con pronao sormontato da un timpano triangolare; per villa Pisani, invece, riprese il tema del basamento dai templi classici e le grandi aperture termali per permettere l’illuminazione della grande sala centrale a “T”. La concezione dei resti archeologici mutò nuovamente verso la fine del Cinquecento, quando la nuova estetica manierista, pur riprendendo l’utilizzo della sintassi classica nelle forme architettoniche, come nel caso di Palazzo del Tè a Mantova progettato da Giulio Romano, utilizzò le rovine all’interno del disegno dei grandi parchi, non più con valore documentale, bensì per manifestare il sentimento di permanente instabilità del reale, rappresentando due dei conflitti dialettici del periodo a cavallo tra Cinque e Seicento: Natura/Cultura e Vita/ Morte(11).

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5 - Palazzo Barberini, Roma, G. L. Bernini e F.Borromini, 1630 circa. La facciata scandita da tre ordini sovrapposti, risente chiaraente delle influenze del Colosseo e del Teatro Marcello.

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La sempre maggiore attrazione verso le rovine portò poi il Re di Francia Luigi XIV a istituire nel 1671 il Prix de Rome, finalizzato a formare i migliori giovani artisti francesi attraverso lo studio e il confronto con le antichità classiche. I partecipanti a questo Grand Tour, alloggiando per quattro anni presso le ville Romane, avevano la possibilità di accrescere la propria consapevolezza sull’arte classica antica in modo diretto. Questa esperienza innovativa per l’epoca portò ad una nuova sperimentazione teorica, soprattutto per gli architetti partecipanti, riguardo i temi dell’architettura per l’archeologia, inaugurando un filone di studi teorici che accompagnerà la storia dell’architettura per quasi tre secoli, fino alla definitiva chiusura del Grand Prix nel 1968 da parte del Ministero della Cultura francese(12). Tuttavia nel XVII secolo il forte clima antiriformistico, accompagnato da una reinterpretazione delle relazioni tra uomo, cosmo e storia, mutuò l’interesse e lo studio delle rovine, a favore di una nuova ricerca stilistica ed estetica, maggiormente adatta ai gusti contemporanei; Bruno Zevi scriverà a proposito del Barocco, “liberazione spaziale, liberazione mentale dalle regole dei trattatisti, dalle convenzioni, dalla geometria elementare e dalla staticità, è liberazione dalla simmetria e dall’antitesi tra spazio interno e spazio esterno”(13). Ciò nonostante, anche questo periodo non rimase completamente estraneo al fascino della rovina e allo studio dell’antico: infatti Papa Sisto V recuperò e riposizionò nella sua Roma obelischi antichi di epoca romana e egiziana come simbolo del potere della Chiesa. Borromini nel progetto di palazzo Barberini riprese in facciata la scansione in tre ordini del Colosseo e del Teatro Marcello, mentre il Colonnato di Piazza San Pietro del Bernini rappresenta un’eco dei portici curvi dei Fori Imperiali. Nel XVIII secolo il tema delle rovine e il loro studio subì un forte slancio grazie soprattutto alle numerose spedizioni archeologiche svolte da équipe Inglesi, Francesi e Tedesche che esplorarono le campagne italiane, spingendosi fino in Grecia e Asia minore. Risalgono a questo periodo gli studi e le pubblicazioni riguardanti l’Acropoli di Atene da parte di JulienDavid LeRoy, Nicholas Revett e James Stuart. Quest’ultimo fu capace di far confluire gli studi svolti in Grecia all’interno del progetto di Hagley Hall, che rappresenta il primo esempio di Neodorico(14) in Europa, influenzando profondamente il successivo periodo Neoclassico.Contemporaneamente JohannWinkelmann compiva i suoi viaggi a Roma, Ercolano e Paestum per studiare e riportare nei suoi scritti

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5 - Rovine di un edificio fuori Porta Maggiore, G. B. Piranesi, 1750 circa. Grazie alle nummerose incisioni fatte dal Piranesi, oggi possiamo immaginare l’aspetto delle rovine romane intorno al XVIII secolo.

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quei magnifici esempi dell’architettura antica appena tornati alla luce, alimentando con il suo pensiero e le sue pubblicazioni la corrente Neoclassica e diventando inconsapevolmente il padre dell’archeologia moderna. Dello stesso periodo è anche la notevole opera del veneziano Giovan Battista Piranesi, che fece delle rovine l’oggetto di studio durante tutta la sua produzione: le incisioni e le acqueforti realizzate sono importanti per l’approccio proto-scientifico con cui sono concepite, in cui la rovina diventa sia fonte di conoscenza tecnica ma, soprattutto, di analisi etica e celebrativa della civiltà romana; infatti, l’architetto considerava Roma non tanto come un luogo da cui attingere informazioni, bensì come un modello a cui il progettista deve tendere poiché, nel pensiero dell’autore, il progetto può realizzarsi appieno solo attraverso le suggestioni dei frammenti. Da questo momento la rovina iniziò a rappresentare un manuale di architettura da cui trarre più informazioni possibili, diventando spesso suggestione e fonte di innovazione per il progetto. La nascente cultura Illuminista, influenzata e affascinata dalle incisioni piranesiane che ne rispecchiano la faccia antistorica, fece dell’archeologia il metodo scientifico e pratico con cui indagare la storia e le architetture del passato, ma, mentre Winklemann ipotizzava che l’imitazione fosse la pratica con cui raggiungere la grandezza dei maestri del passato, altre personalità come Boullée e Ledoux, definendosi anti-vitruviani, ripresero l’antico non tanto come modello stilistico, quanto come modello morale, riprendendo soprattutto monumentalità, purezza e simmetria delle forme(15). Nello stesso periodo Giuseppe Valadier iniziò a sperimentare nuove teorie del restauro moderno e dell’intervento su rovine e edilizia storica disegnando la Promenade dei Fori Imperiali e restaurando Colosseo e Arco di Tito, concependo così l’idea che l’architettura nasca dalla suggestione del frammento, suggestione che è portata dal particolare al generale, all’intero monumento. Questa concezione anticipa le idee romantiche sulla rovina che, contrastando la scientificità e l’uso tecnico dell’archeologia, individuano nel frammento il cardine per far nascere un’emozione per la creazione di una nuova architettura, originata dalle rovine ma portatrice della voglia inconscia di ricrearne l’antica interezza(16). Ad inizio Ottocento il rapporto con la rovina mutò notevolmente. Le sempre più frequenti e accurate spedizioni archeologiche e l’intensificarsi dei Gran Tour effettuati dai giovani

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7 - Il sogno dell’architetto,T. Cole, 1840. Il pittore statunitense manifesta l’attrazione dei contemporanei vers i grandi monumenti delle civiltà del passato.

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esponenti delle famiglie eminenti europee, fecero sì che le rovine diventassero un fenomeno di massa e iniziassero a comparire all’interno dei giardini di tutta Europa, lontane dai luoghi originari e spesso create ex novo, con mera funzione estetica. Queste composizioni di natura e rovina hanno la funzione di suscitare nel visitatore una piacevole malinconia, spostando la riflessione sul paesaggio dalla dimensione spaziale a quella temporale, svelandone e, nel caso delle repliche, inventandone una profondità storica. Quest’uso puramente estetico influenzò profondamente la cultura ottocentesca e manifestandosi non solo nei giardini della borghesia ma anche in tutta la produzione pittorica del secolo, in cui paesaggio e rovina sono i protagonisti indiscussi(17). Interessante è capire come in quel periodo fosse in corso una diatriba sul prevalere di alcune età storiche piuttosto che di altre, manifestata proprio dalla scelta di abbellire i giardini con riproduzioni di sculture e ruderi Romani o Greci, anche in luoghi geograficamente lontani da queste civiltà, preferiti o no rispetto ai ruderi di origine Gotica o Romanica; così facendo si andava a differenziare i paesaggi in filosofici e pittoreschi, in base ai valori e alle memorie riportate in auge dalle rovine evocanti luoghi e culture lontani nel tempo e spesso nei luoghi. La rovina, da serbatoio di conoscenze tecniche ed etiche utili al progetto e alla creazione di nuovi stili, diventò, tra Ottocento e Novecento, l’elemento da cui ricavare una memoria collettiva e su cui le nascenti nazioni, prima, e i regimi autoritari, dopo, cercarono di fondare le radici e la legittimità del proprio potere, ponendosi in diretta continuità con quelle magnifiche civiltà di cui rimangono pochi segni.

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8 - Rovina romana nel giardino del castello di Schönbrunn, Vienna, J. F. H. von Hohenberg, 1778. L’opera è concepita come una scenografia romantica da giardino, fu progetta e costruita exnovo. Probabilmente è ispirata al modello romano dell’antico tempio di Vespasiano e Tito, i cui ruderi furono soggetto di un’incisione del Piranesi.

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2.2 Rovine, architettura e potere

lo studio dell’antico per la creazione delle identità nazionali tra XIX e XX secolo

Come già descritto nel precedente paragrafo, la graduale riscoperta dei resti dell’antichità classica e il loro sempre più approfondito studio, già nel XV secolo, provocarono la nascita delle prime collezioni private di antiquariae all’interno delle corti delle famiglie eminenti o dei possedimenti reali e papali. Questa forma di collezionismo, con il passare dei secoli, soprattutto con la nascita dei primi stati nazionali e il successivo proliferare di enti statali museali, si tramutò in uno spregiudicato “uso politico della storia”(18) e dei beni archeologici. Il rapporto tra potere politico e arte è sempre stato al centro della storia umana e spesso ha prodotto risultati magnifici che oggi studiamo in tutti i testi: letteratura, architettura, pittura, se non tutte le espressioni artistiche, sono state utilizzate come strumento di esaltazione e affermazione del potere politico esercitato sulla popolazione in determinati luoghi. Questo uso politico della storia, a partire dall’Ottocento, travolse la nascente disciplina archeologica che, da strumento di studio e conoscenza scientifica, diventò strumento politico per quelle nazioni alla costante ricerca di legami con le radici mitiche della cultura europea, individuate nelle civiltà greco-ellenistica e romana. Se già nei secoli precedenti rovine di epoca romana o greca comparivano nei giardini tedeschi e inglesi nonostante fossero luoghi lontani dal contesto d’origine, nell’Ottocento la decontestualizzazione dell’opera antica divenne operazione consueta e basilare per la creazione delle grandi collezioni statali contenute all’interno dei nascenti musei nazionali. «Se le nostre armate vittoriose penetrassero in Italia, l’asportazione dell’ Apollo del Belvedere e dell’ Ercole Farnese sarebbe la più brillante conquista. E’ la Grecia che ha decorato Roma: ma i capolavori delle repubbliche greche devono decorare il paese degli schiavi? La Repubblica Francese dovrebbe essere la loro sede definitiva.» Henri Grégoire, 1794

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9 - Parte anteriore dell’Altare di Zeus, originariamente a Pergamo, ora a Berlino, II secolo a.C. circa. La parte anteriore dell’altare fu portata a Berlino nel 1886 assieme ad altri reperti originari della Grecia e dell’Asia minore.

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Con queste parole, l’abate Henri Grégoire, in un discorso alla Convenzione Nazionale Francese, anticipò l’operazione che qualche anno dopo svolse Napoleone Bonaparte in Italia durante l’occupazione francese e che provocò il trafugamento di un numero vastissimo di opere d’arte nate nel bel paese ed esposte per decenni nel Louvre di Parigi. Seppur la maggior parte delle opere furono successivamente restituite, lo Stato Francese continuò ad appropriarsi di beni storici provenienti da tutti i territori occupati anche dopo la caduta di Napoleone. Tuttavia la Francia non fu l’unica nazione a compiere tali saccheggi; infatti Inghilterra e Germania non furono da meno e, durante tutto l’arco del XIX secolo, approfittando delle numerose campagne di scavo finanziate in Grecia, Asia Minore e Africa Settentrionale, sottrassero un ingente numero di beni ai territori originari, come nel caso dei Marmi del Partenone, esposti al British Museum ormai da due secoli, o dell’Altare di Pergamo interamente ricostruito a Berlino. I musei iniziarono quindi a selezionare i reperti esposti cercando di ricomporre una genealogia dello Stato radicata fino alle grandi civiltà del passato, ponendo il potere statale in diretta continuità con il passato, massimo esempio di civiltà: la Francia, Napoleonica prima e Repubblicana poi, si identificò nella Roma Imperiale, mentre Germania e Inghilterra cercarono di ispirarsi alla Grecia di Pericle e al successivo periodo Ellenistico(19). Ciononostante anche le popolazioni dominate utilizzarono l’archeologia come mezzo di ricerca delle proprie origini, come nel caso degli scavi effettuati sull’Acropoli di Atene che, nel momento in cui fu riscoperta, dopo la dominazione Ottomana, era molto differente da quella che vediamo oggi a causa della costruzione di numerose superfetazioni e corpi di fabbrica derivati dal dominio Turco che, nonostante fossero testimonianza di un passato comune, furono distrutte in nome della ricucitura tra popolo Greco, ormai libero dal dominio islamico, e Grecia antica(20). Anche l’Italia Post-unitaria, all’indomani della presa di Roma e dello Stato Pontificio, attraverso ingenti restauri e scavi all’interno del territorio dell’Urbe, cercò di recuperare quei monumenti dimenticati per testimoniare la voglia di divenire uno Stato moderno con una propria identità e proprie tradizioni, recuperate grazie alle numerose campagne archeologiche che sfociarono nella selezione di ciò che era più aderente all’ideologia statale e coerente con la ricercata memoria storica e nella distruzione di tutto ciò che era difforme

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10 - Platico del Piano per la Capitale Mondiale, A. Speer, 1935 circa. L’ambizioso progetto prevedeva la totale trasformazione di Berlino: oltre al viale di rappresentanza largo 120 m e lungo 5 km, sarebbero stati realizzati il nuovo edificio della Cancelleria, un monumentale arco di trionfo e la GroĂ&#x;e Halle. Il piano riprende ed esalta la monumentalitĂ delle costruzioni della ClassicitĂ per affermare il proprio potere sul resto del mondo.

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dall’obiettivo (21). Questa lettura delle rovine strumentalizzata e veicolata dalle grandi potenze europee, durante il XX secolo, si tramutò nel tentativo di far confluire il potenziale temporale dei resti archeologici nelle logiche di predominio dei nascenti regimi totalitari(22). La Germania Nazista di Hitler per quasi un decennio compì numerose spedizioni archeologiche in tutti i territori conquistati alla ricerca delle origini del popolo Ariano, cercando di avvalorare le idee di predominio razziale grazie a tesi pseudoscientifiche e abusando degli studi archeologici e antropologici. Albert Speer, architetto ufficiale del Reich, nella progettazione dei grandi edifici del regime sosteneva la teoria del valore delle rovine, secondo la quale i nuovi edifici sarebbero stati costruiti in modo tale da lasciare rovine grandiose, testimoniando così il potere e la grandezza del Terzo Reich alle generazioni future e cercando di simulare ciò che era avvenuto per l’Impero Romano o il mondo Ellenistico. Per questo motivo Speer proponeva la ripresa dei materiali della tradizione Imperiale Germanica e Classica come il granito e il mattone che, una volta nominato Ministro degli Armamenti dal Führer, decise di far estrarre da schiavi e dissidenti politici, costruendo vicino alle cave alcuni dei maggiori campi di concentramento(23). Ancor più di Hitler, Benito Mussolini, durante il regime Fascista, ebbe uno stretto rapporto con l’archeologia. Il legame genealogico con l’Impero Romano fu esaltato in due modi: il primo consisteva in una massiccia ripresa di motivi epigrafici e iconografici, mentre il secondo, di levatura più colta, era fondato sulla ricerca archeologica, in Italia e nei paesi conquistati, piegata alle esigenze propagandistiche(24). Mussolini era particolarmente interessato alla creazione di uno stile architettonico Fascista che fosse moderno ma memore della classicità che aveva fatto grande l’Italia nel passato. Il risultato non consistette in uno stile Neoclassico Italiano, ma in una nuova monumentalità erede della millenaria storia occidentale, nata con la cultura Greca, espressa e divulgata dall’Impero Romano e dal Cristianesimo e reinventata dal Rinascimento(25). Tuttavia, ancor prima della costruzione dei nuovi edifici, il regime si interessò alla riscoperta degli antichi tesori ancora sepolti.

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11 - B. Mussolini con piccone, 1932. Durante i primi lavori di liberazione del Teatro Marcello, lo stesso Mussolini, con fini propagandistici, si fece ritrarre nell’atto di demolire gli edifici medievali.

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Così Mussolini in un discorso del 31 Dicembre 1925: «[...]tra cinque anni Roma deve apparire meravigliosa a tutte le genti del mondo; vasta, ordinata, potente, come fu ai tempi del primo impero di Augusto. Voi [NdR: rivolgendosi agli architetti] continuerete a liberare il tronco della grande quercia da tutto ciò che ancora lo intralcia. Farete dei varchi intorno al teatro Marcello, al Campidoglio, al Pantheon; tutto ciò che vi crebbe attorno nei secoli della decadenza deve scomparire. Voi libererete anche dalle costruzioni parassitarie e profane i templi maestosi della Roma cristiana. I monumenti millenari della nostra storia debbono giganteggiare nella necessaria solitudine. Quindi la terza Roma si dilaterà sopra altri colli, lungo le rive del fiume sacro, sino alle spiagge del Tirreno[...]» Nelle parole qui riportate è evidente la cosiddetta “politica del piccone” che i nuovi architetti del regime dovettero adottare per la stesura e la realizzazione del Piano Regolatore per Roma del 1931. A partire da quell’anno la Capitale divenne luogo di profonde trasformazioni urbane, dirette da Antonio Munoz e finalizzate alla liberazione dell’Antica Roma da tutte le deturpazioni architettoniche medievali e barocche. Ciò avvenne per mezzo del tentativo di far emergere il più possibile i monumenti dell’antico attraverso un loro isolamento e la contemporanea realizzazione in loco dei grandi viali e spazi urbani per le grandi adunate. Nel nuovo assetto urbanistico dell’Urbe il rapporto tra modernità ed eredità romana si concretizzò dunque nei grandi viali che offrivano percorsi e punti di vista privilegiati su scavi e monumenti, in cui “l’immagine dell’antico non deve sovrastare il disegno del presente, ma deve semmai essere riconvertita per divenire strumento della grandezza dell’oggi”(26). Questi temi furono esplicitati anche durante la grande Exposition Coloniale di Parigi del 1931, in cui l’Italia fu rappresentata da tre padiglioni distinti: dalle ricostruzioni della Basilica di Settimio Severo della Leptis Magna a Tripoli, da quelle dell’Albergo degli Italiani e dell’Albergo dei Francesi a Rodi e, infine, da un edificio Razionalista con funzione di ristorazione(27). I tre padiglioni, a differenze di quelli dei grandi Imperi Coloniali, non si pongono come ricostruzione di ambienti coloniali ed esotici ma, in particolare la Basilica, come studio e ricostruzione

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12 - Vista aerea del Colosseo, Roma, 1930 circa. La foto ci restituisce lo stato dell’odierna zona dei Fori Imperiali prima della realizzazione di Via dell’Impero.

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filologica che mostra la continuità tra conquiste d’oltre mare Fasciste e le conquiste imperiali romane. All’Interno della Basilica, nella sala principale, erano posti numerosi reperti archeologici di epoca romana, tra cui la Venere di Cirene, opera di epoca romana rinvenuta in territorio libico, riportata in Italia poichè testimonianza della forza civilizzatrice della Roma Imperiale, ma allo stesso tempo prova dell’attività delle équipe di archeologi italiani nei territori colonizzati che, guidati dall’ideologico obiettivo di riportare a Roma ciò che era stato di Roma, trafugarono un’ingente quantità di reperti archeologici dai territori originari, continuando un operazione di depredazione già iniziata nel secolo precedente a opera dei grandi stati nazionali. L’uso politico della storia si manifesta quindi in questi tre padiglioni, che dimostravano come il Regime di Mussolini potesse affiancare elementi classici ed elementi della più assoluta avanguardia, tracciandone anche una genealogia e manifestandone la coerenza costruttiva, anticipando così ideologicamente quelle trasformazioni urbane che da lì a pochi mesi avrebbero riconfigurato l’area centrale di Roma per come la conosciamo noi oggi. La fine del secondo conflitto mondiale e la seguente crisi economica, assieme alle numerose tematiche della ricostruzione post bellica, spostarono, nella seconda metà del Novecento, il dibattito architettonico e urbanistico dai singoli episodi archeologici alle aree antiche delle città europee e, soprattutto in Italia, si accese il dibattito sui centri storici, sulla continuità dei tessuti urbani moderni e antichi e sulla pianificazione dello spazio pubblico. In questo momento venne meno lo stretto rapporto tra archeologia e architettura che, tranne in alcuni casi episodici, provocò la perdita di coesione tra aree archeologiche e tessuto urbano moderno. Oggi, così come a partire dal Cinquecento, l’archeologia è utilizzata dall’architettura per mutare e rinnovarsi nel tempo; al contrario, la pianificazione urbanistica e l’architettura stessa devono svolgere un ruolo importante per il recupero e l’inclusione delle aree archeologiche all’interno dei tessuti urbani contemporanei, eliminandone la separazione e rifunzionalizzandole, ove possibile, secondo usi moderni e compatibilmente con ciò che è stato.

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Sorgenti immagini 1 ^ Sito internet: www.pitturaomnia.com/pitturaomnia_00004a.htm 2 ^ Basso Peressut L. e Caliari P. F., Piranesi Prix de Rome. Progetti per la nuova via dei Fori Imperiali, Aion, Firenze, 2017, p.77 3 ^ Sito internet: www.geometriefluide.com/pagina.asp?cat=alberti&prod=s-andrea-mantova-alberti 4 ^ Palladio A., I quattro libri dell’architettura, Libro 2, p. 19 5 ^ Sito internet: it.wikipedia.org/wiki/Palazzo_Barberini 6 ^ Ficacci L., Piranesi. Catalogo completo delle acqueforti, Taschen, KÜln, 2000, p. 278 7 ^ Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 220 8 ^ Sito internet: www.schoenbrunn.at 9 ^ Sito internet: www.disegnostoriaarte.annibalepinotti.it/index.php/114-periodi-e-movimenti/18217-altare-di-pergamo 10 ^ Sito internet: www.reddit.com/r/MapPorn/comments/voy01/the_albert_speer_plan_hitlers_dream_of_a_postwar/ 11 ^ Sito internet: www.archivioluce.com 12 ^ Sito internet: http://www.iloveroma.it/photogallery/linvenzionedeiforimperiali/

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Note bibliografiche 1 ^ AaVv., Enciclopedia dantesca, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1970, voce Ciriaco d’Ancona 2 ^ AaVv., Enciclopedia dell’arte antica, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1958, voce Archeologia 3 ^ Culotta T., Progetto di architettura e archeologia, L’Epos, Palermo, 2009, p. 20 4 ^ Culotta T., op. cit., p. 23. 5 ^ Wittkower R., Principi architettonici nell’età dell’umanesimo, Einaudi, Torino, 2007, p. 55 6 ^ Culotta T., op. cit., p. 25 7 ^ Nuttgens P, Storia dell’architettura, Feltrinelli, Milano, 2002. 8 ^ Matteini T., Paesaggi del Tempo. Documenti archeologici e rovine artificiali nel disegno di giardini e paesaggi, Alinea editrice, Città di Castello, 2009, p.19 9 ^ Culotta T., op. cit., p. 25 10 ^ Karmon D., Michelangelo’s Minimalism in the Design of Santa Maria degli Angeli, in Annali si architettura, n. 19, 2008, pp.240-245 11 ^ Matteini T., op. cit., p. 25 12 ^ Basso Peressut L., Caliari P.F., Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014, pp. 79-80 13 ^ Zevi B., Saper Vedere l’Architettura, Einaudi, Torino, 2009, p.86 14 ^ Pevsner N., Fleming J., Honour H., Dizionario di Architettura, Einaudi, Torino, 1981, voce Neogreco 15 ^ Culotta T., op. cit., pp. 27-28 16 ^ Culotta T., op. cit., p 31 17 ^ Matteini T., op. cit., pp. 34-36 18 ^ Ricci A., Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli, Roma, 2006, p. 36 19 ^ Basso Peressut L., Caliari P.F., op. cit., p. 31 20 ^ Basso Peressut L., Caliari P.F., op. cit., pp. 37-38 21 ^ Barbanera M., Osservazioni marginali sul destino degli edifici antichi in rapporto alla modernità, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 124 22 ^ Matteini T., Paesaggi del Tempo. Documenti archeologici e rovine artificiali nel disegno di giardini e paesaggi, Alinea editrice, Città di Castello, 2009, p. 50 23 ^ Matteini T., op. cit., p. 51 24 ^ Parodo, C., Roma antica e l’archeologia dei simboli nell’Italia fascista, Medea, Pavia, 2016, p. 4 25 ^ Gravano V., La Romanità dell’Italia coloniale e Fascista. La partecipazione italiana alla Exposition Coloniale de Paris del 1931, in Roots§Routes, n. 23, settembre-dicembre 2016 26 ^ ibidem 27 ^ Carli M., Riprodurre l’Africa romana: i padiglioni italiani all’Exposition coloniale internazionale, in Memoria e Ricerca, Franco Angeli, Milano, 2004, p.212-214

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1 - Vista dello spazio espositivo principale.

2 - Confronto tra la pianta del nuovo edificio e le tracce della cittĂ romana.

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3.1 Museo di Arte Romana di Merida, Spagna Josè Rafael Moneo, 1980-1985

A partire dalla nascita nel 25 a.C. la città di Merida, di fondazione romana, ricoprì una notevole importanza per l’Impero tanto da diventare, pochi anni dopo la sua nascita, capitale della Lusitania, una delle tre provincie in cui era divisa la penisola Iberica. Questa importanza è attestata dalla grande quantità di monumenti di epoca romana rinvenuti all’interno dei suoi confini. A partire dagli anni ‘80 il già attivo Museo di Arte Romana presso la Chiesa di Santa Clara, vista l’ingente quantità di reperti rinvenuti durante l’opera di scavo, decise di organizzare un ampliamento dei propri spazi espositivi. La progettazione fu affidata a Rafael Moneo che decise di porre in continuità il proprio intervento con il preesistente sistema archeologico formato dal Teatro, l’Anfiteatro e i resti delle abitazioni romane, al fine di creare un unico percorso espositivo. Il progetto, sorgendo direttamente sulle preesistenze, si configura come musealizzazione in loco dei resti e si articola in due volumi, collegati da una passerella, che dimostrano la differente vocazione al loro esterno: infatti la forma del primo, destinato a funzioni di servizio, è articolata e irregolare, mentre quella del secondo, con funzione espositiva, è più solida e compatta, rimandando così alla monumentalità dell’architettura romana(1). Il percorso espositivo è organizzato su due livelli, di cui uno alla quota della città moderna che accoglie l’esposizione museale dei reperti rinvenuti; il secondo è invece un percorso ipogeo articolato tra i resti delle costruzioni romane e le fondazioni dei setti moderni. Interessante è l’approccio di Moneo che, senza cadere nella pura imitazione, scelse di reinterpretare alcuni elementi e caratteri dell’architettura romana: oltre alla già citata monumentalità, l’ala espositiva e i suoi percorsi sono gerarchizzati da una serie di setti equidistanti bucati da archi che creano una navata centrale, ripresa della tipologia basilicale, che configura uno spazio prospettico frontale, affiancato da due navate laterali, anch’esse scandite da setti, organizzate su tre livelli espositivi; anche i materiali scelti rappresentano una reinterpretazione delle tecniche costruttive romane, infatti il laterizio utilizzato somiglia al mattone bipedale romano, con il tradizionale giunto in malta sostituito da una linea d’ombra(2). Ruolo fondamentale è rivestito dall’uso della luce naturale che penetra all’interno dell’edificio sia attraverso ampi lucernari zenitali posti tra i setti della navata centrale, sia attraverso finestre poste in alto tra i setti delle navate laterali(3). CASI STUDIO

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3 - Vista del progetto dall’ingresso dell’area.

4 - Vista interna delle abitazioni musulmane.

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3.2 Musealizzazione del sito di Praça Nova a Lisbona, Portogallo João Luìs Carrilho da Graça e João Gomes da Silva 2008-2010

Il sito archeologico di Praça Nova corrisponde al primo insediamento umano del territorio di Lisbona; situato su un promontorio in prossimità del Castello di São Jorge, esso domina l’estuario del fiume Tago e la moderna capitale del Portogallo. Gli scavi archeologici, iniziati a partire dal 1996, hanno portato alla luce un’intensa stratificazione memore delle diverse epoche e dominazioni storiche del territorio lusitano, iniziata nell’età del ferro e poi prosguita con il dominio arabo e la riconquista cristiana(4). L’intervento di tutela e musealizzazione in loco dell’area è frutto della collaborazione di João Luìs Carrilho da Graça e João Gomes da Silva e affronta i temi della protezione, della rivelazione e della leggibilità dell’area(5). Questi ultimi sono risolti attraverso la sovrapposizione di elementi moderni al tessuto stratificato: la sequenza storica viene ricomposta e ordinata attraverso il disegno di un recinto in corten, che separa il nucleo più antico dell’area, mentre i percorsi e le sedute vengono disegnati ex novo cercando di dare maggiore leggibilità e gerarchia ai resti. La protezione dei resti di maggior interesse documentale avviene attraverso due modalità differenti che ne dichiarano apertamente la differente origine: l’insediamento dell’età del ferro è protetto attraverso un volume autonomo che si origina direttamente dalle pareti perimetrali con la parte interna della copertura rivestita da una superficie riflettente che permette di osservare le trame e i colori delle decorazioni pavimentali; alle abitazioni musulmane viene sovrapposta una struttura leggera in acciaio e cartongesso bianco con copertura in policarbonato che permette alla luce di filtrare e illuminare i resti e che poggia sulle rovine in soli sei punti. Questo volume offre ai visitatori la possibilità di osservare la disposizione spaziale originaria senza riproporre l’effettiva forma in alzato. L’intervento moderno fa del rapporto tra nuovo e antico il suo cardine, manifestando un dialogo tra materiali storici e contemporanei, in cui la memoria del luogo permane all’interno delle nuove forme costruite(6). Ma il dialogo tra i diversi periodi storici si manifesta soprattutto nell’interpretazione che i progettisti danno al tema del basamento, costituito dal terreno e dalle rovine, separato dal nuovo in quanto espressione di un distacco di due entità che, se pur differenti, sono allo stesso tempo partecipi di un unico contesto e luogo.

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5 - Vista esterna del Parco.

6 - Vista dei reperti archeologici dall’interno del Parco.

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3.3 Parco Archeologico della Porta Palatina a Torino, Italia Isolarchitetti 2006

L’area archeologica delle Porte Palatina rappresenta la principale testimonianza di epoca romana della città di Torino; infatti, oltre all’antico accesso alla città sul cardo maximus, comprende il teatro di epoca augustea e i resti dell’antico palazzo imperiale. Nonostante l’importanza documentale, l’area per lungo tempo ha rappresentato un nodo irrisolto all’interno delle dinamiche di sviluppo del capoluogo torinese fino al 2006 quando, in concomitanza con le Olimpiadi Invernali, è stata oggetto di una profonda riqualificazione. Lo studio Isolarchitetti a cui stato assegnato l’intervento ha posto come obiettivo la ridefinizione del carattere unitario tra tessuto moderno e antico, ridefinendo la centralità del materiale archeologico all’interno della città e recuperando il ruolo strategico storicamente posseduto dall’area. Il giardino archeologico viene concepito quindi come uno spazio capace di legare parti di città da tempo separate al fine di creare un piano di attraversamento unico che vada ad annullare il precedente dislivello di 4 m. La chiara delimitazione dell’area avviene attraverso l’utilizzo di una quinta scenografica naturale, composta da un filare continuo, e di una artificiale, costituita da un sistema colonnato con passo e altezza differenti; il tutto è racchiuso all’interno di una cancellata che segue l’andamento della cinta muraria di epoca barocca che, contrariamente a quanto potrebbe sembrare, ha il ruolo di segnalare, conservare e, soprattutto in questo caso, sottolineare l’appartenenza a valori ed eccellenze della storia urbana(7). Inoltre questa delimitazione fisica non impedisce l’intersezione con il tessuto urbano circostante poichè è accompagnato da uno studio dei flussi e della viabilità interna ed esterna all’area che prevede la pedonalizzazione di un asse importante della città, sottratto al traffico veicolare e configurato come percorso panoramico al di fuori dell’area archeologica. All’interno dell’area vengono introdotte funzioni diverse dalla musealizzazione: lo spazio archeologico diventa parco urbano pubblico e la ricostruzione dell’antico bastione offre la possibilità di ospitare le strutture mobili della vicina area mercatale. Questo progetto è esemplare della possibile integrazione tra archeologia e sistemi urbani non limitata ad usi turistici o specialistici; il parco trova nuovo senso e relazioni attraverso usi sociali diversi da quelli antichi che non e strumentalizzino i luoghi della storia, ma che li facciano vivere dai cittadini senza un codice d’uso prestabilito e repressivo. CASI STUDIO

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7 - Punto d’origine di uno dei nuovi canali.

8 - Vista dall’alto di una delle incisioni.

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3.4 Riqualificazione degli spazi urbani di Banyoles, Spagna Josep Miàs Architects 1998-2012

La città di Banyoles è un piccolo borgo medievale sorto vicino all’omonimo lago nella provincia di Girona. Intorno al IX secolo vi si stabilirono dei monaci benedettini che, avendo nell’agricoltura una delle principali attività, bonificarono il terreno paludoso creando una successione di sette canali principali che, collegati con il bacino, servissero ad irrigare e controllare il livello delle acque in caso di esondazione. Nel corso dei secoli il piccolo borgo è cresciuto perdendo il rapporto con la propria storia: gli antichi canali furono coperti e degradati a uso fognario, e sostituiti da infrastrutture adatte al traffico veicolare, tutto ciò provocò l’abbandono dell’antico centro storico e il suo veloce e grave deterioramento(8). Nel 1998 lo studio Miàs Archtects si aggiudicò la vittoria del bando per la riqualificazione del centro cittadino. Il progetto mirava a restituire centralità e unità al borgo antico, dapprima attraverso l’eliminazione del traffico veicolare e marciapiedi e, successivamente, per mezzo del recupero degli elementi progettuali dalla storia propria della città: la nuova pavimentazione, realizzata con il travertino di Banyoles, una pietra locale utilizzata per la costruzione del borgo, in numerosi punti fu tagliata e incisa per far riaffiorare in superficie gli antichi canali benedettini che, nelle strade e nelle piazze medievali, oggi ricompaiono sottoforma di ruscelli e piccoli specchi d’acqua. Il progetto è indistintamente ricerca di archeologia urbana e progetto di spazio pubblico, e dunque offre un’attenta riflessione sul tema del rapporto tra antico e nuovo, tra restaurazione e ricostruzione, e mostra una possibile nuova via, in cui vengono riconosciuti i caratteri fondanti del luogo e viene rimesso al centro il tema dello spazio pubblico attraverso una riorganizzazione dell’uso pedonale(9). Tuttavia la componente archeologica del progetto è visibile se lo si guarda in sezione e in pianta: la stratigrafia si compone di livelli antichi, come l’acqua che scorre fino al lago, e livelli più recenti, costituiti dai canali riaperti e ricoperti di travertino, mentre l’incisione della superficie pedonale, assimilabile ai lavori di scavo archeologico, riscopre le antiche geometrie della rete di canali ormai perduta. Lo spazio urbano degradato viene quindi trasformato in una zona di passeggio libera da ingombri e autovetture che, attraverso un intervento sintetico fatto di pochi elementi e pochi materiali, evita la monotonia grazie a una superficie continua e variegata, valorizzando l’impianto e le architetture medievali e riportando alla luce una realtà storica e suoni da tempo dimenticati dagli abitanti di Banyoles. CASI STUDIO

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Sorgenti immagini 1 ^ Sito internet: www.skyscrapercity.com/showthread.php?p=134397989 2 ^ Sito internet: www.archdaily.com/625552/ad-classics-national-museum-of-roman-art-rafael-moneo 3 ^ Fotografia di fg+sg - fotografia de arquitectura. Sito internet: www.jlcg.pt/castelo 4 ^ Fotografia di fg+sg - fotografia de arquitectura. Sito internet: www.jlcg.pt/castelo 5 ^ Fotografia di P. Gonella, 2010. Sito internet: www.museotorino.it 6 ^ Fotografia di M. Saroldi, 2010. Sito internet: www.museotorino.it 7 ^ Sito internet: www.miasarquitectes.com/portfolio/banyoles-old-town/ 8 ^ Sito internet: www.miasarquitectes.com/portfolio/banyoles-old-town/

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Note bibliografiche 1 ^ Caliari P. F. e Peressut L. B., Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014, p. 129 2 ^ Ibidem 3 ^ Dal Co F., Rafael Moneo: il Museo d’arte romana di Merida, Electa, Milano, 1991 4 ^ Caliari P. F. e Peressut L. B., op. cit., p. 357 5 ^ Sito ufficiale di João Luìs Carrilho da Graça: www./jlcg.pt/castelo 6 ^ Ranellucci S., Conservazione e musealizzazione nei siti archeologici, Gangemini, Roma, 2012, p. 70 7 ^ Alcuni concetti espressi all’interno di questo paragrafo fanno riferimento a un’intervista effettuata via email da chi scrive al Professore Aimaro Isola. 8 ^ Sito ufficiale di Josep Miàs Architects: www.miasarquitectes.com/portfolio/banyoles-old-town 9 ^ Tolve V., Banyoles: il recupero del borgo antico, in “Ananke” rivista quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, gennaio 2018 (in corso di pubblicazione)

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REGESTO Durante lo studio dei temi trattati in questo elaborato ho avuto modo di conoscere un grande numero di progetti che hanno cercato di dare una risposta al problema del dialogo tra architettura e archeologia. Per diverse questioni, tra cui le limitazioni sul numero massimo di battute di questo elaborato, non ho potuto inserirli e analizzarli approfonditamente nei capitoli precedenti. Ho quindi deciso di collezionare, in queste pagine finali, alcuni dei progetti che piĂš mi hanno interessato, che hanno risposto, secondo la mia opinione, in modo originale e esemplare alle problematiche trattate precedentemente.


Percorsi dell’Acropoli Dimitris Pikionis Atene, Grecia I957

Carré d’Art Foster+Partners Nîmes, France 1993

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Escuelas Pías de Lavapiés Linazasoro & Sanchez Madrid, Spagna 2004

Tempio Duomo Marco Dezzi Bardeschi Pozzuoli, Italia 2004

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Scuola di musica OPUS 5 Louviers, Francia 2012

Riqualificazione della piazza d’armi Villegasbueno Arquitectura Siviglia, Spagna 2014

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Kalø Slotsruin MAP Architects Rønde, Danimarca 2016

Ex-chiesa di Vilanova Aleaolea Lleida, Spagna 2016

REGESTO

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Sorgenti immagini 1 ^ Sito internet: www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=1420 2 ^ Sito internet: www.fosterandpartners.com/projects/carre-d-art/ 3 ^ Sito internet: www.linazasorosanchez.com/?portfolio=2004_escuelas-pias&lang=en 4 ^ Sito internet: www.marcodezzibardeschi.com/_Progetti/incorso/Tempio_Duomo.html 5 ^ Sito internet: www.opus5.fr/filter/PROJETS/LOUVIERS-Ecole-de-Musique 6 ^ Sito internet: www.maparchitects.dk/portfolio/item/kalo-slotsruin-visitor-access/#! 7 ^ Sito internet: www.villegasbueno.net/portfolio/eerj-adecuacion-del-patio-de-armas-del-castillo-de-el-real-de-la-jara/ 8 ^ Sito internet: www.aleaolea.com/#/ao-vilanova-de-la-barca

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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA



Libri Aa.Vv, Immagini di Mediolanum. Civiche raccolte archeologiche e numismatiche di Milano, ET, Milano, 2007 Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008 Augé M., Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2009 Basso Peressut L. e Caliari P. F., Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014 Basso Peressut L. e Caliari P. F., Piranesi Prix de Rome. Progetti per la nuova via dei Fori Imperiali, Aion, Firenze, 2017 Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014 Carli M., Riprodurre l’Africa romana: i padiglioni italiani all’Exposition coloniale internazionale, in Memoria e Ricerca, Franco Angeli, Milano, 2004 Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015 Culotta T., Progetto di architettura e archeologia, L’Epos, Palermo, 2009 Dal Co F., Rafael Moneo: il Museo d’arte romana di Merida, Mondadori Electa, Milano, 1991 Esposito A., Leoni G., Eduardo Souto de Moura.Tutte le opere, Mondadori Electa, Milano, 2012 Marzo M. e Vanore M., Luoghi dell’archeologia e usi contemporanei, IUAV, Venezia, 2010 Matteini T., Paesaggi del Tempo. Documenti archeologici e rovine artificiali nel disegno di giardini e paesaggi, Alinea editrice, Città di Castello, 2009 Ranaellucci S., Conservazione e musealizzazione nei siti archeologici, Gangemi, Roma, 2012 Ricci A., Attorno alla nuda pietra. Archeologia e città tra identità e progetto, Donzelli, Roma, 2006 Segarra Lagunes M. M., Archeologia urbana e Progetto di architettura. Seminario di studi, Roma 13-15 Giugno 2002, Gangemi, Roma, 2003 Vazzana S, Riprogettare l’archeologia, Arte in meta, Milano, 2010 Venezia F., Sotto la volta del cranio. Due musei, Libria, Melfi, 2009 Venezia F., Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Mondadori Electa,Verona, 2013 Wittkower R., Principi architettonici nell’età dell’umanesimo, Einaudi, Torino, 2007 Articoli Ferro L., Il linguaggio dello scavo, in “Domus”, n. 853, Novembre 2002 Gravano V., La Romanità dell’Italia coloniale e Fascista. La partecipazione italiana alla Exposition Coloniale de Paris, in Roots§Routes, n. 23, Settembre 2016 Tolve V., Banyoles: il recupero del borgo antico, in “Ananke” rivista quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, gennaio 2018 (in corso di pubblicazione) Siti www.archdaily.com www.aleaolea.com www.divisare.com www.fosterandpartners.com www.linazasorosanchez.com www.maparchitects.dk www.marcodezzibardeschi.com www.miasarquitectes.com www.opus5.fr www.isolarchitetti.it www.jlcg.pt www.roots-routes.org www.villegasbueno.net

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