Atena Mneme - MASTER’S DEGREE 2019 - 2020

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Master Itinerante in “Museografia, Architettura e Archeologia. Progettazione Strategica e Gestione Innovativa del patrimonio archeologico

TESI DI MASTER [2019 - 2020] ATHENA MNEME

I edizione [ Roma, 16 marzo 2019 ]

Progettare luoghi che suscitino EMOZIONI POSITIVE, di APPARTENENZA, di IDENTITA’ Rieducare al SENSO CIVICO, al RISPETTO e alla VALORIZZAZIONE del PATRIMONIO

Premio PAOLA MATTIOLI

Accademia di Architettura e Archeologia Onlus

Marco Caporaletti - Martino Gallo - Matteo Trecchi - Francesco Tricarico

RIQUADRO PER IMMAGINE DA PERSONALIZZARE



ATHENA MNEME Marco Caporaletti - Martino Gallo - Matteo Trecchi - Francesco Tricarico


ATHENA MNEME Marco Caporaletti - Martino Gallo - Matteo Trecchi - Francesco Tricarico


Tesi di Master 2019 - 2020

ATHENA MNEME

Marco Caporaletti - Martino Gallo - Matteo Trecchi - Francesco Tricarico

INDICE 01 Acropoli e Memoria 02 Progettare la Memoria


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01 ACROPOLI E MEMORIA

In copertina: Rievocazione della Memoria dell’Acropoli. Fotomontaggio.

Aver visitato l’Acropoli ha reso possibile interrogarsi circa alcune questioni teoriche riguardanti lo stato attuale del luogo e le tanto dibattute fasi evolutive che hanno condotto allo stato di fatto odierno. Dall’analisi dei fatti sono sorte alcune domande di grande interesse, che sono fondamento, teorico e progettuale, di questa proposta d’intervento: quanto di ciò che vediamo e percepiamo oggi è assimilabile al periodo Pericleo? Quale era davvero la percezione del luogo e dei suoi monumenti durante l’epoca Classica? L’immagine, la forma fisica dell’Acropoli a noi pervenuta è frutto di una scelta politica e identitaria fatta da chi, successivamente al dominio Ottomano del territorio greco, lavorò e studiò il sito. Durante e immediatamente dopo la fine dell’occupazione straniera l’Acropoli era molto differente da quella che vediamo oggi a causa della costruzione di numerose superfetazioni e corpi di fabbrica dei quali, nonostante fossero testimonianza di un passato comune, fu preferita la demolizione in nome della ricucitura tra popolo Greco, ormai libero dal dominio islamico, e Grecia antica piuttosto che il mantenimento in virtù del portato storico degli stessi(1). Tale operazione selettiva, altamente invasiva e distruttiva rispetto alla stratificazione avvenuta in due millenni di storia, ha avuto come risultato un


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immagine fittizia del luogo, trattando l’Acropoli come un palinsesto artificiale in cui si è scelto a priori cosa mostrare e cosa eliminare dal suo repertorio storico, arrivando perfino a mettere in luce la roccia nuda, mostrando quindi uno stato – ed uno strato – mai esistito(2). L’Acropoli di oggi è quindi una scenografia che tende a un’immagine di riferimento ideale ma che non riesce a compiersi del tutto, vuole recuperare la distanza storica dal periodo Classico, traducendosi nella spettacolarizzazione dei monumenti principali ancora visibili, ignorandone spesso la percezione originale e le relazioni con le costruzioni oggi scomparse. Certo, è difficile trovare tra i panorami architettonici una quinta teatrale più bella ed evocativa dell’Acropoli; ma è quantomeno bizzarro che un luogo architettonicamente concepito in origine in virtù della percezione visiva dei suoi spazi, proprio di quella percezione pare non tenere più assolutamente conto. Il risultato è un paesaggio che non permette al visitatore comune di capire il sistema Acropoli e il suo reale sviluppo formale, concentrando l’attenzione solo su elementi singoli quali Partenone, Eretteo, Propilei e Tempio di Atena Nike, che pur condividendo il palco della storia, dello stile e del colle su cui sorgono, agiscono più come teatranti solitari che come spettacolare compagine visiva quale furono originariamente. Tali presupposti sono stati punti fermi durante lo studio di ciò che poteva davvero essere l’Acropoli di matrice periclea, di cui sono stati individuati alcuni caratteri principali, fondamentali per la progettazione di un intervento che certamente non mira alla restituzione di un’Acropoli ab origine, ma che a quest’ultima guardi per proporre una nuova Acropoli saldamente fondata sui massicci strati rocciosi della sua grande storia. Elemento fondamentale e fondativo dell’Acropoli era sicuramente il Temenos, il Recinto Sacro che cinge l’area e che per i Greci era simbolicamente più


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importante delle mura cittadine e dei templi stessi al suo interno. Il concetto stesso del limite, inteso come elemento architettonico(3), era di capitale importanza per i greci, se si considera che tra le loro divinità ad Estia spettava il patrocinio delle abitazioni, dei “nuclei” architettonici, mentre ai limiti, ai recinti e alle soglie era assegnato addirittura Hermes come nume tutelare. Difatti il Temenos stesso era considerato alla stregua di un tempio a cielo aperto(4). Inoltre il recinto designava e divideva ciò che era sacro dal profano e la violazione di tale elemento corrispondeva, di fatto, alla profanazione fisica della figura di Atena(5). L’importanza figurativa data al recinto si concretizza anche nel distacco di qualunque edificio da esso e nell’importanza assimilata dall’ingresso principale: i Propilei. In qualità di ingresso monumentale all’Acropoli, rivestendo dunque il ruolo di interruzione fisica del limite, il luogo era considerato carico di sacralità, e come tale trattato: non semplicemente un passaggio, ma un tempio di passaggio(6). Erano, inoltre, il punto finale dell’ascesa all’area sacra che iniziava nell’Agorà e rappresentava la concretizzazione del tema della soglia secondo la concezione greca. Infatti nei templi dell’acropoli sono assenti le porte, è un susseguirsi di recinti nel recinto e portali, come se il limite del sacro, oltre il quale il fedele non può spingersi, fosse solo intuibile col timor divino, ma impossibile da vedere. La vista giocò un ruolo fondamentale nella progettazione del luogo: se da un lato i templi senza porte erano, probabilmente, uno scoraggiamento all’ingresso, dall’altro l’assenza stessa delle porte consentiva alla vista dei devoti di scorgere i ministri del culto nella cella, e con essi la copia statuaria della divinità(7). Prima ancora di focalizzarsi su un’analisi della composizione architettonica degli edifici dell’Acropoli, e sulla composizione urbanistica dell’insieme, ci si è

dunque concentrati su questioni di ordine percettivo, nella convinzione che idee afferenti alla modalità di visione, all’ordine di apparizione dei fabbricati all’occhio del visitatore, siano stati le vere ragioni teoriche della definizione architettonica del luogo. Infatti, se le teorie di Doxiadis ci spiegano come gli edifici fossero disposti secondo assi che valorizzassero la visione dell’oggetto architettonico di spigolo , altri studi ci permettono di comprendere l’Acropoli come un insieme di edifici e recinti disposti in modo da essere osservati secondo un processo per parti e punti di osservazione successivi; come se l’idea di una promenade architecturale fosse già ben salda nelle menti dei committenti più lungimiranti e degli architetti più capaci. G.P Stevens ipotizza che i terrazzamenti esistenti assieme al Santuario di Artemide impedissero di vedere interamente Partenone ed Eretteo una volta entrati dai Propilei, ipotizzando come tali edifici si rivelassero successivamente nella loro interezza(8). Tale processualità delle viste fu anche teorizzato da Choisy che spiegò come una volta entrati nel recinto l’attenzione si focalizzasse sulla statua di Atena Promachos, superata la quale si rivelasse la vista d’angolo del Partenone che, una volta raggiuntolo e quindi non più osservabile con le sue perfette proporzioni, si rivelasse la presenza dell’Eretteo con grande peso percettivo, con la sua vista d’angolo e i perfetti giochi chiaroscurali dell’ombra delle Cariatidi sul muro liscio del corpo centrale(9). Tale successione di viste si concretizzava soprattutto nelle cerimonie principali, durante le quali i fedeli, percorrevano la Via Sacra fino all’Altare di Atena Polias. Tale percorso è una vera e propria spina dorsale all’interno dell’assetto dell’Acropoli, configurando tutti gli accessi ai santuari ed edifici verso di essa e diventando l’unico legame fisico tra interno ed esterno, tra Acropoli e Città.


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Sotto: fig. 1: Ricostruzione dell’ingresso dell’Acropoli dall’interno dei Propilei secondo le teorie di G.P. Stevens.


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02 PROGETTARE LA MEMORIA La progettazione dell’intervento ha origine sia dallo studio precedentemente esposto sia da alcune considerazioni fatte sul rapporto che intercorre oggi tra architettura contemporanea e disciplina archeologica. Chi scrive ritiene, infatti, che oggi occorra andare a ricucire quella “separazione fatale” nata tra le due discipline di cui ci parla Francesco Venezia(10). Separazione avvenuta nel momento in cui l’archeologia è entrata all’interno di una “sfera protetta”, separata dai luoghi dell’architettura, in cui si rispecchia la separazione tra il mondo delle rovine e il mondo del costruire, che ha reso l’archeologia, nell’immaginario collettivo, una nemica dell’architettura e della modernità. Occorre, piuttosto, tornare ad una concezione dell’archeologia, dell’architettura, e del rapporto tra esse, più simile a quella che si aveva quando di archeologia ancora non poteva parlarsi, quando la si poteva piuttosto definire antiquaria e Raffaello, prefetto delle antichità di papa Leone X, rilevava per il pontefice la Roma antica, non solo per custodirla e ibernarla in un passato riportato alla luce, ma per renderla parte integrante, fisica e progettuale, dello sviluppo della città nuova. Per colmare il divario formatosi nel tempo tra le due discipline diventa quindi fondamentale l’apporto


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dell’architettura che, operando sotto forma di progetto a disposizione dell’archeologia, si propone come mezzo validissimo per recuperare e valorizzare il bene archeologico configurandolo non solo come elemento di pregio storico e valore turistico, ma come vero e proprio luogo portatore di qualità urbana e architettonica. L’obiettivo è quindi quello di dare senso alla contemporaneità proprio grazie al dialogo con l’antico che l’architettura è in grado di instaurare tramite il progetto, in un’ottica di mutualità disciplinare, prendendo in prestito, per la pratica progettuale, la metodologia stratigrafica tipica della pratica archeologica(11); applicando così un processo in cui il progetto diventa un’azione di destabilizzazione, forse anche invasiva nel suo estrarre gli oggetti e i temi dell’archeologia, decontestualizzandoli per comprenderli al meglio e studiarli a fondo, fino a restituirli carichi di un nuovo significato(12). Tuttavia non si vuole avere l’ambizione di imporsi sull’archeologia, quanto invece riconoscerne i valori, acquisirne la memoria, restituirne una chiara e definita leggibilità laddove assente, non rappresentare il prevalere della contemporaneità sull’antico, anzi: valorizzandola tramite il dialogo con esso, raccogliendone le tracce, riordinandole, ripresentandole con nuova forma. Il progetto cerca di affrontare temi contemporanei come accessibilità, fruizione in sicurezza, leggibilità e trasmissione della memoria del luogo tramite la sovrapposizione di elementi e forme moderne sul tessuto storico, riconoscendone e gerarchizzandone l’importanza e il valore documentale, cercando quindi di restituire al visitatore un’idea della complessità morfologica dell’Acropoli durante il periodo pericleo, senza la boriosa velleità di proporne una ricostruzione effettiva che, d’altronde, sarebbe impossibile e rappresenterebbe un livello sovrapposto ad un’area già ampiamente stratificata, rischiando di falsare gravemente la percezione e l’idea che si ha

Sotto: fig. 2: Schizzo assonometrico del progetto.


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dell’Acropoli nella contemporaneità. Abbiamo quindi cercato di ricomporre l’assetto morfologico dell’Acropoli attraverso il disegno dell’accesso principale, dei percorsi interni, preminenti e secondari, e la costruzione di elementi che potessero relazionarsi al meglio con il sostrato archeologico, cercando di dare maggiore leggibilità e ordine gerarchico alle preesistenze ormai scomparse o appena visibili. Al di là delle premesse teoriche e le conseguenti applicazioni pratiche che hanno generato il progetto, attenzione particolare è stata rivolta alla risoluzione delle problematiche riscontrate nel sito durante la visita. Problematiche, queste, facilmente condivisibili. Difatti l’Acropoli si presenta, da diverso tempo e ancora oggi, in uno stato di perenne cantierizzazione che complica i percorsi di visita e, soprattutto di fruizione dei beni ivi presenti. D’altra parte è certamente necessario, e auspicabile, che un patrimonio di tale portata sia costantemente tenuto sotto attenta sorveglianza e in un regime di rigorosa tutela. Si è ritenuto utile, pertanto, ideare un progetto che tenesse conto delle necessità del cantiere senza che le stesse risultassero prevaricanti sulle logiche di fruizione e godibilità generale dell’area. Il progetto è dunque tanto un museo all’aria aperta quanto una macchina di restauro e indagine archeologica che funziona costantemente, gestita, però, all’interno di un sistema più ampio che non la renda fastidioso intralcio ma validissima opportunità anche per i visitatori. In tal senso è stato valido il principio secondo cui l’Acropoli è bellissima e fondamentale anche e soprattutto per la sua immensa storia, e questa storia la stiamo scrivendo ancora oggi, ed è giusto che venga scritta nel migliore dei modi, e che il processo di scrittura sia esso stesso parte integrante della scoperta del luogo. Si è pertanto scelto di rendere contemporaneamente

fruibili dai visitatori e cantierizzabili dalle imprese di restauro i beni di maggior pregio ai quali, ad oggi, è interdetto l’accesso, come la cella del Partenone. In modo tale che gli spazi costruiti risultino riconfigurati e sfruttabili come aree di lavoro, prima, e successivamente di esposizione o ricerca in loco. Il progetto, sorgendo direttamente sulle preesistenze, si configura come musealizzazione in loco dei resti in cui assume un ruolo predominante il tema della memoria senza cadere nella pura imitazione, scegliendo di reinterpretare alcuni elementi e caratteri dell’architettura greca e dell’Acropoli precedentemente citati, scegliendo una combinazione tra materiali antichi e contemporanei adeguata alle premesse dell’intervento: doveroso ossequio all’esistente, oculato slancio verso ciò che sarà. D’altronde scrive Settis: La condizione di frammento intensifica il senso, acuisce lo sguardo dell’osservatore; insomma è moderna(13). Dunque il frammento, la rovina, l’Acropoli, sono tali in rapporto alla modernità che le percepisce. Ed è compito di quella modernità prendersene cura, e apportarvi le modifiche, concettuali e fisiche, che ritiene opportune, non agire passatisticamente o in previsione di chissà quali futuri: perchè la modernità si appropri delle sue rovine deve fare in modo che la rovina diventi moderna, il contrario, una modernità in rovina, non è auspicabile.


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Sotto: fig. 3: Vista rendering dell’ingresso dai Propilei all’Acropoli.


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L’ASCESA ALL’ACROPOLI: I PROPILEI L’antico accesso principale all’Acropoli oggi si presenta come un grande spazio in cui convivono alcuni resti di epoca Classica, Romana e tratti di rifacimenti moderni che non offrono al visitatore la possibilità di seguire il percorso d’accesso originale, con le sue possibili viste e scorci differenti. Difatti, come sosteneva Cesare Brandi, questi spazi furono sì concepiti senza “nessuna pianificazione” (14) , ma vi era pur sempre riconoscibile una strategia compositiva che ne articolava, topologicamente, i volumi nello spazio “in un modo che i dotti , certamente, sanno leggerla”(15); e altro non era che quella stessa accortezza, tutta greca, che condusse gli architetti alla definizioni delle correzioni ottiche negli ornamenta dei templi: la vista umana, e la suggestione che può imprimere nell’animo di un fedele, o di un visitatore. Proprio riferendosi ai Propilei, Brandi ne sottolinea la progettazione sulla base non di regole geometriche, urbanistiche, tettoniche, ma di assi visi, prospettive, suggestioni ottiche: [...] nel costruire i Propilei, si tenne conto proprio che si arrivava da destra, e che la prima visione si aveva da destra: su questa visione di tralice fu impostata tutta una serie di accorgimenti ottici, che vanno dal diverso intervallo fra le finestre, nel corpo avanzato di sinistra, al prospetto a vela alzato a destra, per sola simmetria [...](16) Non solo, inoltre, la conformazione attuale dei Propilei non consente quella concatenazione di viste e suggestioni, altresì rende quasi impossibile o difficoltoso l’accesso in sicurezza all’Acropoli a chiunque abbia una mobilità ridotta. La proposta, dunque, si basa sulla voglia di cercare di restituire ai visitatori la possibilità di rivivere l’ascesa alla Cittadella Sacra per come probabilmente era un tempo.

In mancanza di una certezza storica univoca su come fosse composto tale accesso in periodo pericleo, è stato ritenuto opportuna, per offrire a tutti la possibilità di accedere attraverso i propilei, la presenza di una grande scalinata monumentale intervallata da una rampa a tornanti con una pendenza ottimale per essere percorsa in qualunque condizione motoria(17). Tale elemento è pensato per essere realizzato in marmo pentelico sabbiato per non rendere la superficie scivolosa, andando a ricucire fisicamente i percorsi progettati da Pikionis e la via Sacra interna all’Acropoli. Inoltre pensiamo sia opportuno permettere ai visitatori di attraversare interamente il corpo principale dei Propilei e non solo la campata centrale come succede attualmente per creare una affluenza senza ingorghi anche nei momenti di sovraffollamento della cittadella.


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Sotto: fig. 4: Vista rendering dell’intervento di riconfigurazione dell’accesso principale all’Acropoli.


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FRUIRE L’ACROPOLI: I PERCORSI INTERNI Una volta attraversati i Propilei, entrando nel Recinto Sacro, l’intervento propone due tipologie di percorsi differenti facenti parte di un unico disegno. Il principale è quello che dai Propilei arriva fino al luogo ove si trovava un tempo l’Altare di Atena Polias, ricalcando quindi l’antica Via Sacra, vera e propria spina dorsale del sito. Questa soluzione ci permette di riscoprire la processualità di sguardi e viste dei monumenti che probabilmente si aveva al tempo pericleo, procedendo per step e punti di vista differenti. Tale percorso è realizzato a secco, sfruttando lo spianamento già presente e oggi occupato da una colata di cemento. La via è realizzata da un doppio cordolo in blocchi di marmo pentelico che contengono un massetto di allettamento rivestito in lastre rettangolari di dimensione variabile del medesimo materiale. Il cordolo del percorso, in occasione del primo tratto, invece che essere a sezione regolare, presenta una fresatura obliqua che enfatizza il distacco e il rispetto verso la roccia che affiora dal terreno(18). La seconda viabilità è realizzata invece in lastre di pietra grigia poggiate su un sottofondo in terra rossa che va a ricoprire parte dell’acropoli e quindi a colmare alcuni dislivelli e nascondere la roccia nei punti di difficile percorrenza. Questi percorsi uniscono la via sacra a tutti i monumenti dell’Acropoli distaccandosi dal percorso principale per tipologia di materiale e disegno e inoltre vanno a circoscrivere e ricalcare l’andamento delle mura di cinta enfatizzando l’importanza del recinto sacro e il distacco degli edifici da esso, offrendo inoltre un continuo percorso panoramico su tutta la città di Atene.


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Sotto: fig. 6: Masterplan dell’intervento.

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a Sinistra: fig. 5: Dettaglio della pavimentazione della nuova Via Sacra.


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ORDINE E FORMA: LE PIATTAFORME Come già detto precedentemente, attualmente è molto difficile avere una chiara lettura della composizione morfologica dell’Acropoli. Eccezion fatta per le evidenze monumentali maggiori, gli altri edifici e altari sono andati quasi completamente distrutti e ne rimangono solo alcuni elementi, quali le tracce di fondazione. Per offrire quindi una migliore lettura del sito, a fronte di uno studio sullo sviluppo planimetrico di tali corpi architettonici ormai assenti, il progetto cerca di recuperarne la presenza sviluppandoli come una serie di piattaforme interamente realizzate da bordi d’altezza variabile in ottone brunito, riempiti di terra battuta. Questi elementi invece che ricalcare fedelmente l’andamento dei tracciati murari sono arretrati rispetto ad essi, andando ad occupare e rivelare la spazialità interna dei recinti sacri dei santuari e dei loro ambienti interni. Le piattaforme, che crescono su due differenti quote per suggerire la presenza di uno spazio aperto, quelle basse, o di uno spazio chiuso, quelle più alte, non sono una mera imitazione di ciò che era ma una reinterpretazione del suo sviluppo planimetrico. A tal proposito può risultare utile citare Alois Riegl quando sosteneva che: I Greci dell’epoca classica non hanno affatto cercato di creare degli spazi interni; l’unico vano più ampio all’interno del tempio, la cella, è stato riportato, attraverso l’ipetralità, allo stato del cortile egizio e la finestra [...] manca del tutto nel tempio greco. Nei porticati e le colonne [...] vengono ad essere parzialmente riconosciuti la profondità e lo spazio; ma l’occhio si ferma poi subito alla retrostante parete chiusa della cella(19). Ma se, dunque, l’estro degli architetti della Grecia classica era principalmente orientato verso la cura

degli esterni, più che sulla complessità degli interni, verso gli accorgimenti ottici delle facciate più che sull’articolazione delle planimetrie, perchè ricalcarne, con queste pedane, proprio le aree degli spazi interni, piuttosto che riproporre ideali ricostruzioni di facciate che non sono più? Proprio per questo: gli alzati di questi edifici sono parte degli sventramenti subiti dall’Acropoli nel tempo, apparirebbe dunque scorretto proporne una riedificazione; piuttosto si è scelto di ricalcarne il sedime, evidenziarne la forma, nel tentativo di ridare, agli occhi del visitatore che volesse ricostruirsi idealmente un’Acropoli completa da ammirare, un suggerimento chiaro di quale forma dovessero avere quegli edifici nella topologia del luogo. Trattamento speciale è adottato in occasione del sedime dell’altare di Atena Polias e del luogo in cui sorgeva la statua bronzea di Atena Promachos: la presenza del primo monumento viene evocata tramite un offset della sua impronta originaria realizzato con il medesimo trattamento del percorso della Via Sacra per richiamare il collegamento ad essa come suo termine; al centro dell’impronta si è scelto di posizionare un ulivo che richiami invece l’antica statua di Atena Polias realizzata nel medesimo legno, ivi venerata durante le Panatenee. Per quanto riguarda la statua, perduta, di Atena come dea della guerra, fausta protettrice degli ateniesi in battaglia, è stato proposto un cubo di bronzo nel luogo in cui essa sorgeva, che rechi incise, stacciate e a bassorilievo, figurazioni che rimandino alla storia mitologica della città e della Grecia tutta, riprendendo in particolare quelle narrazioni mitiche che hanno a che fare con l’Acropoli o che in essa erano, una volta, raccontate da fregi e statue: la nascita di Atena dalla mente di Zeus; la disputa tra la dea e Poseidone per il patronato; il rapporto di Atena con Erittonio; la gigantomachia.


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Sotto: fig. 7: Dettaglio in painta delle piattaforme realizzate per rievocare la presenza dei santuari antichi.


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TRA NUOVI E ANTICHI SGUARDI: I TERRAPIENI L’intenzione di restituire l’antica percezione dell’Acropoli ha condotto alla necessità di rintracciare e riproporre i terrapieni che ne occupavano alcune aree e celavano, ora parzialmente, ora del tutto, la vista diretta del Partenone e dell’Eretteo dal portale dei Propilei. Questi due elementi si configurano come dei muri rivestiti in marmo e riempiti di terra per colmare le differenze di quota attuali e riuscire quindi a ottenere un’adeguata percorribilità degli stessi attorno ai monumenti sopracitati. Il terrapieno che anticipa l’Eretteo, oltre a permettere una migliore fruizione dei resti dell’Hekatompedon, permette di recuperare la spazialità e l’intimità dell’antico giardino nascosto dell’Ulivo Sacro di Atena, accessibile attraverso il passaggio nel corpo principale dell’Eretteo di cui si prevede la possibilità di fruizione. Il terrapieno sottostante il Partenone consente invece di recuperare la composizione unica tra il tempio e la sua scala monumentale oggi poco visibile. Questo terrapieno, sul fianco sud, si apre all’esterno in un porticato, consentendo ai visitatori di osservare il basamento del Partenone disponendo di luce naturale, ma al riparo della spessa soletta. Quest’ultima è sorretta da una doppia fila di colonne che, come nella stoà di Attalo II, hanno un ritmo differente sui due lati. Ad un visitatore che percorresse il porticato da est a ovest, dando le spalle al Monte Pentelico, dirigendosi verso il Pireo, apparirebbero sulla sinistra le colonne cadenzate sul ritmo degli intercolumni del Partenone, sulla destra colonne che raddoppiano il passo, dando un ritmo, pur su modulo uguale, meno fitto.


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L’attività del cantiere che si occupa della ricostruzione della cella del Partenone è stata occasione per sviluppare una proposta che favorisse la coesistenza tra le esigenze di questi lavori e la fruizione dell’area dell’Acropoli senza sovrapposizioni o disturbi. Nell’area ove un tempo sorgeva il Recinto dedicato a Pandione si è scelto di realizzare un intervento che, reinterpretando l’antica planimetria, potesse accogliere gli spazi di lavoro e stoccaggio del cantiere. L’edificio, che sorge a una quota tale da colmare l’ardita orografia di quest’area, è diviso in due spazi principali: il primo scoperto si configura come un recinto con funzione di lapidarium utile allo stoccaggio dei materiali provenienti dalla città (tramite la vicina gru) e i reperti originali della cella, oggi disposti intorno al Partenone in modo caotico e ingombrante; il secondo spazio, progettato come open space, accoglie le prime postazioni di lavoro, funzione che si estende al di sotto del terrapieno del Partenone per tutta la sua lunghezza. La movimentazione dei reperti è resa possibile da un binario che sposta i blocchi a seconda delle varie fasi di lavorazioni fino a giungere nella parte terminale dove possono essere messi in opera attraverso un montacarichi posizionato in corrispondenza di uno dei lucernari principali. Questi spazi sono messi in comunicazione diretta con lo spazio aperto coperto che mostra il basamento e la natura stessa di open space consentirà loro di essere convertiti, una volta terminato il cantiere, in ambienti di ricerca, esposizione e apprendimento, in piena continuità con quella concezione di bene archeologico e architettonico al contempo dichiarata inizialmente: che sia un cantiere, perchè cantiere deve essere, ma che sia un bel cantiere e sempre operativo.

Sotto: fig. 9: Sezione trasversale dell’intervento realizzato in corrispondenza dell’antico Recinto di Pandione.

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TRA CANTIERE ED ESPOSIZIONE: IL PANDIONE

a Sinistra: fig. 8: Sezione trasversale del terrapieno del Partenone in cui è visibile l’intervento per renderne fruibile il basamento.


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LA PUREZZA DI ATENA PARTHENOS: LA CELLA Questo intervento all’interno della cella del Partenone assimila come punto di partenza il termine dei lavori di ricostruzione parziale di tale ambiente e l’intenzione di non procedere per anastilosi in uno spazio di tale rilevanza architettonica e simbolica, valorizzando, invece, la storia del luogo che da cella fu polveriera, evidenziandone la condizione attuale. Così come operato per le piattaforme dei santuari, si è scelto di porre un volume con pianta simile alla forma del sedime murario originale, ma da esso distanziata dello spessore ideale d’un muro. Tale volume è da intendersi realizzato con tecnologie completamente reversibili con una struttura portante in acciaio rivestita esternamente in pannelli di acciaio bianco satinato per dichiarane la riconoscibilità ed estraneità rispetto al contesto archeologico. All’’interno le pareti sono rivestite da pannelli di ottone brunito a simboleggiare l’ingresso nello spazio più importante e ricco dell’intera Acropoli. Il ruolo più importante e svolto dall’ illuminazione: l’interno della cella è scuro, quasi ctonio all’aspetto, privo di illuminazione; essa si concentra in un unico lucernario collocato, sulla copertura, in corrispondenza del blocco di marmo bianco di Thassos che occupa lo spazio che fu del podio della statua di Atena Partenos. Qui l’espressività dello spazio è volta alla comunicazione della sacralità assoluta del luogo e dell’assenza della statua crisoelefatina della dea. Tali messaggi sono veicolati, assieme alla luce, dal colore. Il bianco del marmo del basamento rappresenta la purezza virginale della patrona della città, la dea inviolata, custode della città inviolabile. E le pareti interne del lucernario, d’acciaio, sono blu, e luce blu irradiano nell’ambiente. Il blu, che fu, per i greci, colore simbolo della ricchezza, data la sua disponibilità limitata poichè si ricavava dalla polvere dei preziosissimi lapislazzuli ma allo stesso tempo colore sacro, simbolo dell’infinito, dell’orizzonte e

quindi vicino agli dei(20). Questo chiude la riproposizione progettuale del trittico di statue di Atena presenti sull’Acropoli: la prima, il cubo bronzeo all’ingresso, che ricorda la statua della dea battagliante tramite le incisioni delle storie della città, e il suo metallo simboleggia il metallo delle spade; la seconda, l’ulivo, che rimanda alla statua lignea della dea benevola e propizia, e che ci parla della città viva e commerciale del legno e dell’olio; infine la città sacra, la città ricca, la città del marmo e del lapislazzulo che, bianco e blu, si fondono come in un’onda nel porto del Pireo.


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Sotto: fig. 10: Vista rendering dell’intervento all’interno della Cella del Partenone.


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BIBLIOGRAFIA

L. BASSO PERESSUT, L’invenzione dell’antico. Architetti, archeologi, musei, In AAVV, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014, pp. 37 - 38. 2 L. BASSO PERESSUT, op. cit, pp. 39 - 40. 3 A proposito della teoria degli elementi architettonici si veda V. UGO, I Luoghi di Dedalo. Elementi Teorici dell’Architettura, Edizioni Dedalo, Bari, 1991, pp. 113 -144. 4 M. C. RUGGIERI TRICOLI, Acropoli e Mito. Aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1979, pp. 140 - 150. 5 J. M. HURWIT, The Athenian Acropolis. History, mythology and archaeology from the Neolithic era to the present, Cambridge University Press, Cambridge, 1999., pp. 115. 6 M. C. RUGGIERI TRICOLI, op. cit, pp. 140 - 150. 7 M. C. RUGGIERI TRICOLI, op. cit, pp. 140 - 150. 8 Per approfondire riguardo alle teorie compositive dell’acropoli si faccia riferiemnto a: G. P. STEVENS, The setting of the Periclean Parthenon, American School of Classical Studies, Atene, 1940. Del medesimo autore si consiglia la lettura di: Architectural studies concerning the Acropolis of Athens, American School of Classical Studies”, Atene, 1946. 9 Gli studi a proposito svolti da A. CHOISY sono ben descritte in: M. C. RUGGIERI TRICOLI, Acropoli e Mito. Aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1979, pp. 140 - 150. 10 Venezia F., La separazione fatale, in Venezia F., Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Mondadori Electa, Verona, 2013, pp, 16-17. 11 Ferro L., Archeologia e progetto di architettura, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 35-38. 12 Torricelli A., Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 57. 13 S. SETTIS, Futuro del “classico, Einaudi Editore, Torino, 2004, p. 35. 14 C. BRANDI, Viaggio nella Grecia Antica, Vallecchi, Firenze, 1954, p. 54. 15 Ibid. 16 Idem, pp.47-54. 17 “A un tratto, a passo a passo, ecco la roccia bruta selvaggia, incondita, su cui a zig-zag montava la rampa.” Idem, p. 47. 18 “mai quelle asperità furono livellate, mai si cercò di sistemare, altrimenti che negli aspetti naturali e casuali, i paragii dei templi e dei monumenti!”, Idem, p.51. 19 A. RIEGL, Spätrömische Kunstindustrie, Vienna, 1901, ed. It. Arte Tardoromana, trad. di L. Collobi Ragghianti, Einaudi Editore, Torino, 1959, pp. 38-39. 20 Riguardo l’uso dei colori nell’antica Grecia e il dibatitto teorico che si sviluppò al riguardo, cfr. R. MIDDLETON, D. WATKIN, L’architettura dell’Ottocento, Electa, Milano, 1980, pp. 97-100. Circa, invece, l’utilizzo del colore blu nella storia e nell’architettura greca in particolare si veda M. PASTOREAU, Blu, Storia di un Colore, Ponte delle Grazie, Milano 2002. Riguardo l’importanza sacra del colore blu si veda: M. C. RUGGIERI TRICOLI, op. cit, p. 68.

L. BASSO PERESSUT, “L’invenzione dell’antico. Architetti, archeologi, musei” In AAVV, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014. C. BRANDI, Viaggio nella Grecia Antica, Vallecchi, Firenze, 1954. P. F. CALIARI, “Il disegno della rovina. Architettura, archeologia e progetto identitario”, in AAVV, Architettura per l’archeologia. Museografia e allestimento, Prospettive, Roma, 2014. A. CHOISY, “Histoire de l’Architecture”, Libraire du Bureau des longitudes de l’Ecole Polytechnique, Parigi, 1899. L. FERRO, “Archeologia e progetto di architettura”, in AAVV, “Riprogettare L’archeologia”, Rotarc, Milano, 2010. J. M. HURWIT, “The Athenian Acropolis. History, mythology and archaeology from the Neolithic era to the present”, Cambridge University Press, Cambridge, 1999. G. MAZZIOTTI, “Il Partenone”, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1984. R. MIDDLETON, D. WATKIN, L’architettura dell’Ottocento, Electa, Milano, 1980. M. PASTOREAU, Blu, Storia di un Colore, Ponte delle Grazie, Milano 2002. A. RIEGL, Spätrömische Kunstindustrie, Vienna, 1901. R. F. RHODES, “Architecture and meaning on the Athenian Acropolis”, Cambridge University Press, Cambridge, 1995. M. C. RUGGIERI TRICOLI, “Acropoli e Mito. Aspetti religiosi e motivi tradizionali nell’architettura e nell’urbanistica classiche”, S. F. Flaccovio Editore, Palermo 1979. S. SETTIS, Futuro del “classico, Einaudi Editore, Torino, 2004. G. P. STEVENS, “The setting of the Periclean Parthenon”, American School of Classical Studies, Atene, 1940. G. P. STEVENS, “Architectural studies concerning the Acropolis of Athens, American School of Classical Studies”, Atene, 1946. A. TORRICELLI, “Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in AAVV, “Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere”, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008. V. UGO, I Luoghi di Dedalo. Elementi Teorici dell’Architettura, Edizioni Dedalo, Bari, 1991. F. VENEZIA, “La separazione fatale”, in F. Venezia, Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Mondadori Electa, Verona, 2013.

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NOTE

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