SUBSTRATO - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia

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POLITECNICO DI MILANO SCUOLA DI ARCHITETTURA URBANISTICA E INGEGNERIA DELLE COSTRUZIONI LAUREA MAGISTRALE IN ARCHITETTURA - INTERNI - AMBIENTE COSTRUITO ANNO ACCADEMICO 2020-21

SUBSTRATO

IL PARCO ARCHEOLOGICO DI ROCA VECCHIA PIETRO CIPOLLETTA - 918395 FRANCESCO TRICARICO - 918332

RELATORE - prof. VALERIO TOLVE CORRELATORE E CONSULENTE ARCHEOLOGICO - prof. TEODORO SCARANO CORRELATORI - prof. PIER FEDERICO CALIARI - arch. LAURA D'ONOFRIO



"Progettare luoghi che suscitino emozioni positive, di appartenenza, di identità. Rieducare al senso civico, al rispetto e alla valorizzazione del patrimonio." Paola Mattioli



Indice

Abstract 3 Genesi Storica

5

Architettura e Archeologia: Quale Futuro?

75

Architettura per l''Archeologia

77

Il Parco Archeologico Ambientale: Premesse di Intervento 97

Introduzione 7 Sulle Rotte del Mito

9

Il Progetto

101

Geografia Antica

15

Masterplan 103

La Grotta Santuario

17

Accessi e Percorsi

104

L'Insediamento Fortificato dell'Età del Bronzo

21

L'Impianto Museale

107

L'Insediamento Messapico

31

L'Area Archologica Castello-Carrare

113

La Città Ideale dei Brienne

39

Moduli di Scavo e Foresteria

117

La Torre di Maradico

45

La Grotta Poesia Piccola

121

Roca Vecchia Oggi: tra Archeologia e Balneazione

49

Tavole di Progetto

129

L’Area Archeologica di Roca: Stato di Fatto e Criticità

51

Il Tavolo Tecnico di Gestione: Quattro Attori, un Futuro

55

Bibliografia

144

Amministrazione Comunale di Melendugno

57

Sitografia

147

Soprintendenza per Archeologia Belle Arti e Paesaggio

61

Indice delle Immagini

148

Dipartimento di Beni Culturali - Università del Salento

65

Fruitore dell'Area

71

Ringraziamenti 151


2


Abstract Proteggere e salvaguardare un luogo antico con valenza storica, culturale e paesaggistica, non può e non deve sempre coincidere con la cristallizzazione all’interno di un recinto, di una teca invisibile, alla ricerca di un’immutata memoria di qualcosa che non è più, nella speranza di non perdere l’effetto emozionale provocato nell’osservatore. La salvaguardia, infatti, dovrebbe avvenire attraverso la ricucitura tra antico e moderno all’interno di un paesaggio, grazie a una progettazione efficiente e consapevole, facendo così della stratificazione l’occasione utile per l’incremento della qualità urbana, per mezzo del riconoscimento al tessuto storico di un ruolo innovativo e centrale nella conservazione e trasmissione dei valori urbani e culturali. In un territorio fortemente stratificato come quello europeo e in particolare italiano c’è il bisogno di integrare strategie di progettazione, pianificazione urbana e conservazione affinché il patrimonio storico-archeologico, che siamo tenuti a tramandare, non sia solo oggetto di politiche prettamente turistiche, ma sia soprattutto reinserito all’interno della vita quotidiana della città e dei suoi abitanti. Studiando gli scritti di professionisti in campo archeologico e architettonico, la situazione odierna è spesso caratterizzata da una “separazione fatale” tra le due discipline (Francesco Venezia), che porta alla definizione delle aree archeologiche come “non-luoghi” all’interno delle nostre città (Marc Augè). Attraverso il nostro lavoro di progetto in campo archeologico vorremmo indagare come poter recuperare quei rapporti disciplinari ormai degradati, riuscendo a riportare i luoghi dell’archeologia all’interno della vita quotidiana degli abitanti. Obiettivo principale di questa tesi è la progettazione di un Parco Archeologico Urbano. Riconoscendo la grande importanza documentale dell’area archeologica di Roca Vecchia vorremmo proporne una fruizione attiva che non contrasti con le esigenze ed i tempi della ricerca archeologica e con gli usi consolidati del tratto

di costa adiacente. Per la coesistenza di questi fattori, il nostro intento è quello di ideare un sistema che garantisca la contemporaneità e la diversità di usi, riconoscendo diversi ambiti, ciascuno con le proprie esigenze e potenzialità, all’interno del perimetro del Parco, delimitato dal tracciato delle fortificazioni messapiche. Data l’importanza documentale dell’area e le attuali e future campagne di scavo che la interessano, riteniamo sia opportuno pensare un sistema fruitivo che non entri in conflitto con tali attività ma allo stesso tempo permetta al pubblico la migliore esperienza conoscitiva del luogo, tenendo conto sia delle esigenze dei visitatori, sia quelle degli addetti ai lavori. Vista la posizione intermedia tra i due centri di Roca Li Posti e Torre dell’Orso, fortemente frequentati, soprattutto in periodo estivo, vediamo, in tutto il tratto costiero e nell’area delimitata dalle mura messapiche, la possibilità di realizzare un parco pubblico periurbano. Tema importante del progetto è quello che prevede la creazione di un polo ricettivo che sia allo stesso tempo utile al settore turistico ma allo stesso tempo anche alla divulgazione e conoscenza dell’area, con la predisposizione di un unico sistema integrato, in cui tale ambito sarà considerato non solo come attrattore turistico, ma anche come motore economico di tutte le attività di trasformazione future dell’area.

Fig. 1 - Pagina precedente, foto aerea dell'area Castello-Carrare.

3



GENESI STORICA


XII secolo a.C.

Civiltà Micenea

1600 a.C.

Civiltà Minoica

2700 a.C.

Età del Rame

Età del Bronzo Antico

XXI sec. a.C. Fondazione delle principali città cretesi

XVII sec. a.C. Iapige, Daunio, Peucezio e Messapo giungono sulle coste Pugliesi

XXI sec. a.C. Migrazioni indoeuropee in Grecia e nei Balcani

XVII sec. a.C. Fondazione di Micene

Medioevo Ellenico 1100 a.C.

VIII secolo a.C

Età del Bronzo Recente

XIV sec. a.C. Naufragio dei Cretesi vicino le coste salentine

XIII sec. a.C. Guerra di Troia

VIII sec. a.C. Fondazione di Taras

Regno di Sicilia

1130 d.C. 476 d.C.

Impero Romano D’Oriente

476 d.C.

266 - 267 a.C. Fine del bellum salentinum

1071 d.C. Normanni conquistano la Puglia mettendo �ine alla dominazione bizantina in Italia

545 d.C. Ostrogoti saccheggiano il Salento

218-213 a.C. Durante la II Guerra Punica le città messapiche si alleano con Cartagine

Età Moderna

1350 d.C. Il Conte di Brienne costruisce la cittadela di Roca

VII - XV sec. d.C. Insediamento rupestre dei monaci greco-bizantini 842 d.C. Saccheggio dei Saraceni

XI - VI sec. a.C. Assedio e incendio

860 d.C. Saccheggio dei Saraceni

X sec. a.C. Riorganizzazione urbana

XIV - X sec. a.C. Presenza di una comunità egea

924 d.C. Saccheggio dei Saraceni

Età Contemporanea

1480 d.C. Ottomani conquistano Otranto

1531 d.C. Forti�icazione del Regno di Napoli

V sec. a.C. Costruzione del muro di cinta messapico

1922 d.C. 1816 d.C.

1453 d.C.

Medioevo

Età Antica

431 a.C. Inizio della guerra del Peloponneso

XII sec. a.C. Riorganizzazione urbana

XV secolo a.C. Prima fase costruttiva delle mura di difesa

270 a.C.

Civiltà Romana

473 a.C. Le città alleate dei Messapi vincono contro Taras

Impero Ottomano

1299 d.C.

VIII secolo a.C.

Età del Bronzo Finale

XIII sec. a.C. Migrazioni indoeuropee in Grecia e nei Balcani

XVI sec. a.C. Prima occupazione del sito di Roca Vecchia

II Colonizzazione Greca

753 a.C.

1400 a.C.

Età del Bronzo Medio

VIII secolo a.C.

Civiltà Messapica

1100 a.C.

1480 d.C. Fondazione di Roca Nuova

1481 d.C. Roca è l’avamposto militare per la riconquista di Otranto 1544 d.C. Carlo V ordina la distruzione di Roca

1928 - 1934 d.C. Primi scavi di G. Paladini

1945 - 1956 d.C. Scavi di M Bernardini

1983 d.C. C. Pagliara scopre la Grotta Santuario 1987 d.C. Scavi sistematici nell’area del Castello-Carrare

1552 d.C. Ultime notizie di occupazione della cittadella

1568 d.C. Costruzione Torre di Maradico 1639 d.C. Ultime notizie di occupazione della torre

3500 a.C.

6

2300 a.C.

1700 a.C.

1350 a.C.

1200 a.C.

700 a.C.

0

476 d.C.

1492 d.C.

1789 d.C.

Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


Introduzione Quello che oggi si presenta come uno dei luoghi più suggestivi e famosi del Salento, meta estiva di numerosi turisti attratti dalla Grotta Poesia Grande1, rinomato per le sue bellezze naturali e balneari, è da più di trent’anni oggetto di scavi e indagini archeologiche che cercano di ricostruirne la storia. Nonostante l’area archeologica di Roca rimanga ai più sconosciuta, grazie agli sforzi profusi negli ultimi vent’anni da ricercatori (C. Pagliara, R. Guglielmino e T. Scarano) e istituzioni (Università del Salento, Comune di Melendugno e Soprintendenza dei Beni Archeologici), il sito è stato riconosciuto come uno dei più importanti di tutto il patrimonio archeologico protostorico del Mediterraneo2. Ciò che colpisce dell’insediamento di Roca è la storia che le evidenze archeologiche narrano: un racconto che è una stratificazione, originata dal susseguirsi di occupazioni e riedificazioni, ci consente di dividere in due fasi ben distinte temporalmente e intervallate da un unico periodo intermedio in cui le fonti e gli studi condotti dimostrano un quasi totale abbandono dell’area. La prima fase di occupazione va dalla fondazione, probabilmente avvenuta nelle prime fasi del Bronzo Medio (XVII secolo a.C), al 276 a.C.3, quando la conquista romana del Salento comportò un grande riassetto territoriale che sembrò escludere Roca; la seconda fase invece inizia nel VII secolo d.C. con l’occupazione, da parte di monaci Greco-Bizantini, delle grotte carsiche presenti nel promontorio, abbraccia il periodo in cui il conte Gualtiero VI di Brienne edificò nell’area una cittadella fortificata (XIV secolo)4, per terminare con la distruzione della stessa per volere imperiale di Carlo V nel VI secolo d.C5. In questo arco di tempo di più di tremila e cinquecento anni il piccolo istmo ha vissuto profonde modificazioni e riassetti: ha subito attacchi in epoche antiche su cui storici e archeologi ancora cercano di far luce; è stato considerato come un luogo sacro da genti con credi differenti; è stato approdo e porto sicuro per popolazioni d’oltremare amiche, mentre per Genesi Storica

mano di popoli ostili, tra tutti gli Ottomani, ha conosciuto la distruzione. Considerata questa trama complessa, oggi di difficile lettura ai più vista la sovrapposizione e la mescolanza di numerose tracce archeologiche di periodi differenti, piuttosto che narrare il mero susseguirsi dei fatti, pare opportuno utilizzare proprio quelle evidenze oggi presenti come punti fermi e struttura attorno ai quali impostare un racconto critico di quest’area che renda conto della sua rilevanza.

Fig. 2 - Pagina precedente, linea del tempo riassuntiva.

Note Bibliografiche

1 La Grotta Poesia Grande è al centro dell’interesse turistico internazionale grazie a numerosi articoli comparsi su riviste come National Geographic che nel 2014 ha inserito l’area nella classifica delle mete turistiche pugliesi più ambite, o sul sito di settore travel365, che la inserisce tra le piscine naturali più belle al mondo. Ultima è la campagna pubblicitaria svolta da Nutella dove la grotta appare raffigurata su uno dei barattoli a edizione limitata che rappresentano le bellezze più importanti del nostro paese.

2 t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della Media Età del Bronzo. Strutture Contesti Materiali, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012, p.113. 3 Tale data fa riferimento alla conquista del Salento da parte dei Romani e non alla scomparsa o all’abbandono del centro abitato di Roca. Riguardo l’occupazione romana e i decenni immediatamente prima, a Roca, si hanno poche informazioni e reperti: per il momento le uniche tracce sono alcuni resti di struttura agricola in prossimità della porta Sud-Ovest delle mura Ellenistiche e alcune incisioni in latino all’interno della Grotta Poesia Piccola. 4 w. carrozzo, Terra Roce. Roca Nuova, storia di un passato ritrovato, Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce (LE), 2019, p. 11. 5 ibidem, p. 12

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Fig. 3 - Tavola dei viaggi mitologici con tappa la Japigia: il racconto erodoteo narra del naufragio dei Cretesi in prossimità del Capo Japigio (Leuca); Enea, ancor prima di raggiungere la Sicilia, approda a Castrum Minervae (Castro) come raccontato da Virgilio nell'Eneide; i figli di Licaone re dell'Arcadia, dopo essersi alleati con il capo illirico Messapo, approdano sulle coste salentine dando vita alle popolazioni iapigie dei Messapi, Peucezi e Dauni.

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Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


Sulle Rotte del Mito Si suole far iniziare la storia del sito di Roca, come già accennato, con quella di un insediamento fortificato datato all’Età del Bronzo, tuttavia i segni di attività umana, e soprattutto i rinvenimenti all’interno della Grotta santuario della Poesia Piccola, sembrano spostare le lancette del tempo ancora più indietro1. Ma tali attestazioni appartengono ad un orizzonte temporale lontano che solo sistematiche campagne archeologiche in situ potranno ricostruire. Stando ai dati certi, l’insediamento faceva parte di un sistema composto da numerosi abitati fortificati sparsi per tutto il territorio pugliese; insediamenti di popolazioni (probabilmente di origine allogena) che molti secoli dopo i greci chiamarono civiltà “messapica” e “iapigia”, sostituendo gli etnonimi che gli autoctoni si erano assegnati2. Ma le origini delle prime civiltà pugliesi rimangono, ancora oggi, avvolte nel mistero e gli studiosi non sono unanimemente concordi sulla loro provenienza. Stando al materiale archeologico è possibile individuare tracce degli intensi rapporti esistenti tra le antiche popolazioni stabilitesi nella Puglia meridionale e il mondo illirico ed egeo, ma la mancanza di fonti storiche scritte impedisce di porre altra luce sugli oscuri albori di queste civiltà «protosalentine». A sopperire a questa mancanza ed integrare le lacune del racconto possono intervenire, se lette criticamente, le fonti mitiche: narrazioni di storici e geografi delle età successive. Il valore del mito come fonte storica non può essere negato; nonostante le componenti fantastica e allegorica possano velare i fatti narrati di incertezza, il mito si basa spesso su avvenimenti storici realmente accaduti cui la tradizione orale ha attribuito caratteristiche favolesche; ciononostante, specialmente nell’analisi etno-toponomastica, riferirsi al mito come ad una fonte storica potrebbe essere utile. Per tali motivi chi scrive ritiene sia utile presentare e analizzare alcuni racconti mitici volti alla comprensione Genesi Storica

dell’assetto politico-sociale del territorio Salentino di cui Roca faceva parte. I racconti riportati di seguito, per quanto differenti per finalità, autore e periodo narrato, hanno in comune la matrice egea e la visione ellenocentrica di chi li narra: ciò, assieme alla documentazione archeologica, già rende chiaro come il mondo salentino e l’insediamento di Roca avessero stretti rapporti economico-culturali con le popolazioni egee prima della fioritura e della massima espansione della cultura ellenica. La storiografia riconosce come il Salento, prima della conquista romana3, fosse occupato dalla civiltà messapica, accumunata alle altri genti iapigie stanziate nel territorio pugliese (i Dauni nella parte settentrionale e i Peucezi in quello centrale) dalla matrice culturale ma soprattutto dalla provenienza d’oltremare: origine che fa riferimento, per l’appunto, a tempi quasi del tutto privi di fonti e che viene raccontata dal primo mito presentato qui di seguito. Dionigi di Alicarnasso4 racconta come i primi ad attraversare lo Ionio verso occidente furono gli Arcadi, ben diciassette generazioni prima della Guerra di Troia5. Tale popolazione era guidata da Enotrio e Peucezio, due dei ventidue figli del re arcadico Licaone, nipoti di Pelasgo6. I due eroi mitici, condottieri di una grande armata, si imbarcarono alla ricerca di nuove terre: il primo diede vita al popolo degli Enotri7 dopo aver navigato nel Tirreno; il secondo, invece, dopo essere approdato presso l’odierna Leuca, diede vita alla popolazione dei Peucezi8. Questo mito fu poi ripreso e arricchito da Antonino Liberale che raccontò le gesta e il viaggio dei tre figli di Licaone, Iapige, Daunio e Peucezio, attraverso il mar Adriatico, durante il quale strinsero un’alleanza con un eroe di stirpe reale illirica di nome Messapo. Ai quattro eroi, giunti in Italia, verranno dedicati i nomi delle terre che si spartirono: appunto Daunia, Peucezia e Messapia, tutte unite all’interno del territorio della Iapigia9.

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Inoltre nel breve racconto presente nelle “Metamorfosi” l’autore, raccontando della trasformazione di alcuni giovani in «alberi danzanti», sembra associare ai Messapi l’introduzione dell’ulivo come pianta da coltura, così segnando nei secoli successivi fino ad oggi il paesaggio salentino10. Il secondo mito, sicuramente più attendibile poiché coerente ad alcuni ritrovamenti archeologici nel sito di Roca e in altri in tutto il Salento che saranno più avanti trattati, è quello ambientato durante il pieno fiorire della civiltà Micenea narrato da Erodoto, il quale afferma di averne trovato personalmente traccia a Creta durante un viaggio:

«Si racconta in effetti che Minosse, giunto alla ricerca di Dedalo in Sicania, quella che oggi viene chiamata Sicilia, vi perì di morte violenta. Dopo qualche tempo i Cretesi, dietro istigazione di un dio, tutti tranne i Policniti e i Presî, sarebbero giunti in Sicania con una grande spedizione navale e avrebbero assediato per cinque anni Camico, che ai miei tempi abitavano gli Agrigentini; infine, non potendo né impadronirsene né restare a soffrire la fame, abbandonata l’impresa ripartirono. Allorché, navigando, furono giunti dinanzi alle coste della Iapigia, una violenta tempesta li avrebbe sorpresi e gettati a riva. Poiché erano andate distrutte le loro imbarcazioni e non si vedeva più alcun mezzo per tornare a Creta, fondata la città di Hyrie si sarebbero stabiliti nella regione e con un grande cambiamento sarebbero diventati, invece che Cretesi, Iapigi Messapi, e invece che isolani continentali. Partendo dalla città di Hyrie, essi avrebbero fondato le altre città.»11

Seppur gli studiosi non siano concordi circa la precisa individuazione della città di Hyria12 tra le città del territorio messapico, il racconto, ambientato tre generazioni prima della Guerra di Troia, ha un riscontro archeologico proprio nel sito di Roca, dove i reperti di matrice egea, e soprattutto micenea, fanno pensare ad un attivo scambio commerciale e, addirittura, ad una presenza stabile di genti provenienti da Creta nell’insediamento dell’Età del Bronzo13. Successivamente anche Varrone14 descriverà il rapporto che intercorre tra Messapi e Cretesi narrando le gesta di

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Fig.4 - Il luogo sul quale oggi sorge il faro di Santa Maria di Leuca (LE) un tempo era chiamato Capo Iapigio e, per i naviganti, era punto di riferimento durante la traversata adriatica.

Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


Idomeneo di Litto, nipote di Minosse, giunto anch’egli sulle coste salentine dopo la guerra di Troia. L’eroe fu fondatore di alcune città dando vita alla popolazione Salentina, così chiamata perché risultato dell’intrecciarsi di popolazioni Cretesi, Illiriche e Italiche che avevano stretto alleanza in mare, per i latini in salo15. Tali miti, che il professore D’Andria riconduce a una matrice politica Ateniese nel momento in cui la Polis era intenta a espandere la sua egemonia nei territori salentini, dove era già presente la colonia spartana di Taranto16, sono utili a sollevare delle questioni riguardo i rapporti intercorsi nel bacino del mar Adriatico durante tutta l’età del Bronzo, in cui è legittimo affermare che l’insediamento di Roca dovesse avere un ruolo non indifferente. Questa digressione sui racconti mitici è utile a porre alcune questioni sulla presentazione del sito di Roca: manifestano chiaramente quanto vi sia uno stretto rapporto col mare e con le popolazioni al di là dell’Adriatico; rapporto che durante la fase storica, ricca di testimonianze e fonti, andrà ad intensificarsi e si vedrà come proprio dal mare, durante tutta l’evoluzione di Roca, arriveranno fortune e commercio ma anche pericoli e sventura. Questo profondo rapporto tra insediamento e mare dimostra ancora come, a partire dalle civiltà preelleniche fino ai giorni nostri, il Mar Mediterraneo sia stato un ponte, un collegamento che ha fatto sì che le popolazioni e le genti si ibridassero, entrassero in contatto, dando vita a nuove e sempre più variegate culture. È in quest’ottica che Roca si inserisce come un unicum nel panorama dell’Italia dell’Età del Bronzo, una realtà che necessità di un’attività progettuale ragionata e consapevole del suo passato, ben integrata in politiche territoriali volte a valorizzarne le preesistenze e renderne più agevole lo studio e la fruizione. Fig.5 - Ricostruzione della caduta del guerriero all'interno della Porta Monumentale. Le ricerche archeologiche ancora non hanno identificato le genti coinvolte nella battaglia che distrusse l'insediamento di Roca.

Genesi Storica

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Note Bibliografiche

1 C. Pagliara, scopritore delle incisioni presenti nella Grotta Poesia Piccola ipotizza che alcuni segni abbiano a che fare con codici iconografici preistorici; c. pagliara, La Grotta Poesia di Roca. Note Preliminari in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, 17, no. 2, 1987, p. 325. 2 Per quanto riguarda il basso Salento, come riportato da Strabone nella sua Geografia il termine «Messapi» deriverebbe da un termine greco che indicava le popolazioni che vivono tra i mari, mentre gli autoctoni si erano rinominati «Kalabri» e «Sallentini».

3 Strabone tra il 14 e il 23 d.C. nell’opera «Geografia», libro VI, capo V: «Poichè abbiamo discorsa l’antica Italia fino a Metaponto, ci conviene ora parlare del rimanente; e prima di tutto seguila la Japigia. Gli Elleni la chiamano anche Messapia e gli abitanti in parte si chiamano Sallentini e son quelli intorno al promontorio Japigio, in parte Calabri. Al di sopra di costoro verso il settentrione stanno i Peucezii; poi quelli che nel greco linguaggio sono denominati Daunii: ma i nativi di quella regione chiamano Apulia tutto il paese al di là dei Calabri. Alcuni poi de’ popoli onde sono abitati que’ luoghi si dicono anche Pedicli, principalmente i Peucezii. La Messapia si spinge fuori a guisa di penisola il cui]istmo va da Brentesio (Brindisi) a Taranto per lo spazio di trecento dieci stadii, e la navigazione intorno al capo Japigio (Leuca) è di quattrocento all’incirca. […] E una volta tutto questo paese fu anche assai popoloso, ed ebbe’ tredici città: ma ora, fuor Taranto e Brentesio, le altre son luoghi di piccolo conto; tante sventure soffersero. I Salentini si dice che furono una colonia de’ Cretesi. Appo loro si trovano e il tempio di Minerva che fu una volta assai ricco, e quello scoglio chiamalo promontorio Japigio69, che giace mollo addentro nel mare contro il levante d’inverno; se non che si converte alcun poco verso il Lacinio all’occidente, e chiude quello bocca del golfo tarentino. […] Da Leuca alla piccola città d’Idrunte (Otranto) sono centocinquanta stadii: di quivi a Brentesio quattrocento, […]. Quindi coloro che non possono fare una navigazione diretta piegansi alla sinistra di Saso verso Idrunte, dove poi o aspettano il vento propizio e van con quello ai porti di Brentesio, o sbarcando piglian la strada di terra che è più breve, attraversando Rudiae (Lecce), città ellenica donde fu nativo il poeta Ennio. […] I più denominano comunemente questa penisola o Messapià, o Japigia, o Calabria o Salentina ma alcuni dinotano con questi nomi diverse parti, come abbiam detto già prima.» Da Della geografia di Strabone, volume III, traduzione di Francesco Ambrosoli, Paolo Andrea Molina, Milano, 1833, pp.143-150. 4 Dionigi di Alicarnasso intorno all’8 a.C., nell’opera «Antichità Romane», libro I, III: «…sorse da Dejanira e da Pelasgo un atro Licaone, e da questo finalmente Enotrio diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse. E questa è l’epoca nella quale mandarono i Greci nella Italia una colonia. Enotrio poi si levò di Grecia; perché non pago della sua parte: giacchè nati essendo a Licaone ventidue figli, avevasi l’Arcadia a dividere in altretanti. Per

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tale cagione lasciando Enotrio il Peloponneso, passò con flotta già preparata il mar Jonio, e passavalo seco Peucezio l’uno de’ fratelli di lui. Navigando con essi molti della sua gente, popolosissima, come si dice, nelle origini; e quanti altri de’ Greci non aveano terreno che loro bastasse. Peucezio pigliò sede in sul promontorio Japigio, appunto ove prima sbarcò nella Italia, cacciando chi v’era, e da lui furono Peucezi chiamati quanti abitarono quei luoghi. Enotrio guidando seco il più dell’esercito, venne ad altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chiamato dagli Ausoni, che la spiaggia ne popolavano. Ma quando i Tirreni diventarono padroni de’ mari prese il nome che tien di presente. » Da Le Antichità romane di Dionigi di Alicarnasso Volgarizzate, Tomo Primo, traduzione di Marco Mastrofini, Tipografia de’ Fratelli Sonzogno, Milano, 1823, p. 23. 5 La storicità della guerra di Troia è ancora oggi in discussione e, seppur le scoperte archeologiche di H. Schliemann restituiscono veridicità all’esistenza della città in Asia Minore, molti studiosi dubitano che i fatti descritti da Omero narrino la vicenda reale, credendo piuttosto che siano frutto dell’unione di diversi conflitti avvenuti durante l’espansione della civiltà Micenea. La tradizione greca antica e parte della storiografia riconosce come datazione della guerra di Troia il periodo che va tra il 1200 e il 1100 a.C..

6 Da questi si narra discesero Pelasgi, identificati in alcuni casi con gli Ioni, una popolazione preellenica che occupava la Grecia e fu antenata dei Greci stessi, che secondo alcuni studi sopravvisse come enclave in alcune parti della Grecia durante l’epoca Classica pur utilizzando lingue ritenute «barbare»; a tal proposito vedere la voce «Ionian» in Encyclopaedia Britannica; j. bérard, La Magna Grecia. Storia delle colonie greche dell’Italia meridionale, traduzione di P.B. Marzolla, Einaudi, Torino, 1963, p. 463. L’individuazione di un’origine mitica comune tra Greci e Iapigi mette in risalto ancora una volta i buoni rapporti tra queste popolazioni e la finalità politica di tali miti delle origini che tendevano ad accumunare gli Iapigi ai Greci del Peloponesso in contrasto ai Greci Lacedemoni che avevano fondato in territorio messapico la colonia di Taras. 7 «Antica popolazione italica, stanziata, pare, in età preromana, sul versante tirrenico dell’Appennino, a sud della Campania, nella regione chiamata poi Lucania e Bruzio e designata ancora come Enotria dagli storici greci del secolo V. […]. Gli storici greci più antichi ne parlarono assai diffusamente; […]. Questo popolo dové godere d’un periodo di floridezza e di relativa potenza, se è vero che tenne testa all’invasione degli Iapigi, i quali, avanzatisi fino al promontorio Lacinio, ne furono ricacciati a oriente del Bradano.» Voce: «Enotri», in Enciclopedia Italiana Treccani, 1932. 8 e.m. de juliis, I viaggi e il Mito, in aa.vv., Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e Storia, Mario Adda Editorie, Bari,1998, pp.17-31. 9 Antonino Liberale nel II secolo d.C., nell’opera «Metamorfosi» parla dei Messapi citando come fonte del racconto Nicandro di Colofene, poeta

Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


greco vissuto nel II secolo a.C. e autore anch’egli di un poema omonimo”: «L’autoctono Licaone ebbe per figli Iapige, Daunio e Peucezio. Questi Ultimi, dopo aver radunato un esercito, marciarono alla volta dell’Italia, sull’Adriatico, e, avendone scacciate le genti indigene, gli Ausoni, vi si stabilirono. La gran parte della loro armata era costituita da coloni illiri guidati da Messapo. Essi divisero l’esercito e la terra in tre parti e si chiamarono Dauni, Peuceti e Messapi, dal nome dei loro rispettivi comandanti; la parte che si estende da Taranto sino ai confini dell’Italia divenne dei Messapi, e vi si trova la città di Brindisi; la parte accanto a questa, al di qua di Taranto, divenne dei Peucezi e , ancora più oltre, i Dauni ebbero, in misura maggiore degli altri, il predominio sul mare. Il popolo nel suo insieme, invece, prese il nome di Iapigi» Da Le Metamorfosi, a cura di Tommaso Braccini e Sonia Macrì, Collana Piccola Biblioteca n.714, Adelphi, Milano, 2018, p. 30

10 «Si racconta, dunque, che nella regione dei Messapi, presso quelle che chiamano le Sacre Rocce, apparvero le Ninfe Epimelidi che danzavano insieme: allora i giovani Messapi, dopo aver lasciato le greggi, fermatisi a contemplarle, dissero che loro danzavano meglio. Questo addolorò le Ninfe e vi fu una contesa su chi fosse superiore nella danza. […] Così danzando, esse vinsero sui ragazzi e dissero loro: ‹‹Oh giovani, voi avete voluto competere contro le Ninfe Epimelidi? Per questo, oh insensati, essendo stati battuti, voi sconterete una pena››. Allora i ragazzi, lì nel luogo in cui si trovavano, presso il santuario delle Ninfe, divennero alberi. […] il luogo è chiamato ‹‹delle Ninfe e dei Giovani›› [e tutt’ora così viene chiamato un luogo vicino la città di Minervino di Lecce].» ibidem, p. 30.

di Preistoria e Protostoria, 2017.

14 «Si dice che la nazione Salentina si sia formata a partire da tre luoghi, Creta, l’illirico, l’Italia. Idomeneo, cacciato in esilio dalla città di Blanda per una sedizione durante la guerra contro i Magnesnsi, giunse con un grosso esercito nell’Illirico presso il re Divitio. Ricevuto da lui un altro esercito, e unitosi in mare, per la somiglianza delle loro condizioni e progetti, con un folto gruppo di profughi locresi, strinse con essi patti di amicizia e si portò a Locri. Essendo stata abbandonata, per timore di lui, la città egli la occupò e fondò diversi centri tra quali Uria e la famosissima Castrum Minervae. Divise l’esercito in tre parti e in dodici popoli. Furono chiamati Salentini, poiché avevano fatto amicizia in mare.» in l. larva, Messapia. Terra tra due Mari, Paolo Pagliaro Editore, Galatina (LE), 2010, p. 42. 15 Ibidem.

16 f. d’andria, Frequentazione greca e insediamenti indigeni in Messapia, in aa.vv., Andar per mare. Puglia e Mediterraneo tra mito e Storia, Mario Adda Editorie, Bari, pp. 87-92.

11 erodoto, Storie, traduzione di P. Sgroj, Classici Newton, Newton Compton Editori, Roma, 2013, paragrafo 168.

12 La posizione geografica di Hyrie a noi oggi è sconosciuta. Seppur gli studiosi sono concordi nell’attribuirne la collocazione all’interno dell’odierno Salento, le ipotesi sono numerose: all’interno dell’Enciclopedia Treccani viene associata all’antico insediamento di Vereto (odierna Leuca), secondo la tradizione proveniente dagli scritti di Strabone; nella stessa enciclopedia la città di Hyrie viene segnalata anche come primo nucleo dell’odierna Oria, secondo ipotesi presentate da F. D’Andria cfr. r. guglielmino, Presenze minoiche nel Salento tra mito e archeologia: un percorso interattivo, in MUSINT 2. Nuove esperienze di ricerca e didattica nella museologia interattiva, a cura di A. M. Jasink e G. Dionisio, University Press, Firenze, 2016; è infine significativo segnalare che nel volume Studi e memorie storiche sull’antica Lupiae o Sibari del Salento di g. paladini, Prima Tipografia Modernissima, Lecce, 1932, l’autore propone l’identificazione di Hyrie con l’insediamento di Roca Vecchia.

13 Tale ipotesi è avvalorata da numerose pubblicazioni riguardanti le campagne di scavo effettuate nell’ultimo ventennio sul sito di Roca, in particolare: Vent’anni di ricerche archeologiche nell’insediamento protostorico di Roca. Bilancio e prospettive di r. guglielmino e c. pagliara, in Preistoria e Protostoria della Puglia a cura di F. Radina, Istituto Italiano

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Bacini acqua dolce Area di cava

Area di approdo

Roca Li Posti

Linea di costa antica Grotte Sacre

Roca

Grotta Poesia

Ba d ia d re

or iT l’O el o rs Grotta San Cristoforo

Fig. 6 - Tavola di ricostruzione della costa di Roca e Torre dell'Orso durante l'Età del Bronzo.

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Geografia Antica Prima di descrivere le evidenze archeologiche che oggi connotano l’area di Roca e Grotta Poesia occorre offrire, stando a quanto è lecito supporre, alcune indicazioni su come dovessero apparire il litorale e l’assetto geografico all’epoca del primo insediamento umano nell’area (XVII sec. a.C.) Ben consci che una ricostruzione effettiva sia quasi del tutto impossibile, tenteremo, coadiuvati da alcuni elementi significativi della geografia attuale e dalle informazioni ricavate dalle fonti storiche, di riproporre una versione plausibile del paesaggio antico: di certo non vera, ma sicuramente verosimile. Operazione, questa, finalizzata a comprendere meglio quali furono le cause morfologiche e topografiche che portarono alla frequentazione sedentaria del sito in epoca protostorica. Se osserviamo oggi il versante di costa che va dalla località di Roca Li Posti, a nord, fino alla baia di Torre dell’Orso, a sud, è evidente come la costa tenda ad innalzarsi gradualmente fino ai 10/15 m di altezza; altezza che rimane quasi costante fino alla punta che chiude la baia di Torre dell’Orso. Il substrato lungo questo lembo di costa è costituito per la maggior parte di calcareniti1, rocce tenere che subiscono facilmente l’erosione di agenti atmosferici e mareggiate violente che ne modificano in breve tempo l’aspetto. Quello che oggi sembra un insediamento arroccato su un piccolo istmo circondato dal mare, che fronteggia campagne che offrono un panorama tipicamente salentino con paesaggi di uliveti e macchia mediterranea a perdita d’occhio, un tempo appariva completamente diverso. All’epoca dei fatti in questione l’entroterra era occupato da zone boschive e il litorale da aree umide o paludose2, il livello del mare era notevolmente più basso di quello odierno, la linea di costa era molto differente e avanzava per alcune decine di metri più avanti: le secche oggi visibili nei tratti di mare prospicenti l’alta scogliera meridionale suggeriscono un profilo costiero ben differente e nello spessore e nella conformazione3. Genesi Storica

Tra i fattori che favorirono la nascita dei primi insediamenti protostorici costieri quindi va segnalata sicuramente la disponibilità di acqua dolce (la presenza di un bacino è confermata da alcune fonti4), così come la facile difendibilità dell’odierno istmo favorita dalla posizione dominante rispetto l’intorno. Ultimo elemento che sicuramente favorì i primi insediamenti fu la vicinanza con la Baia di Torre dell’Orso, ancora oggi protetta dai venti dalle alte scogliere che la chiudono a nord e a sud, ma che un tempo, proprio grazie al probabile avanzamento delle falesie rispetto ad oggi5, poteva offrire un approdo naturale ancor meglio protetto e di facile accesso a chi viaggiava per il Mar Mediterraneo.

Note Bibliografiche

1 Per approfondire lo studio della conformazione geologica e morfologica dell’area si veda: m. t. carrozzo, Evoluzione morfologica del tratto costiero tra Porto Ligno e Torre dell’Orso e salvaguardia della Grotta della Poesia (Melendugno – LE), Relazione Tecnica, Osservatorio di Chimica, Fisica e Geologia Ambientali, Dipartimento di Scienza dei Materiali - Università degli Studi di Lecce; e g. leucci, p. sanso e g. selleri, Studio integrato dei camini di dissoluzione carsica di Roca Vecchia (Salento Orientale), in Geografia Fisica e Dinamica Quaternaria, Suppl. VII, Comitato glaciologico italiano, 2005, pp. 193-199. 2 c. pagliara. La Grotta Poesia di Roca. Note Preliminari in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, 17, no. 2, 1987, p. 274. 3 Idem, pp. 283-288.

4 t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della Media Età del Bronzo. Strutture, Contesti, Materiali, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012, p. 44. 5 c. pagliara, op. cit, p. 268.

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Fig. 7 - Pianta della Grotta Poesia Piccola. Questa cavità naturale è considerata un Santuario del Mare data la presenza sulla maggior parte delle superfici di iscrizioni votive.

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La Grotta Santuario Elemento di spicco dell’area archeologica è sicuramente il sistema delle grotte denominate “Poesia”: tre cavità carsiche collegate tra loro da sifoni e stretti corridoi invase totalmente dal mare; mentre quella intermedia rimane completamente coperta, nelle due grotte dette “Poesia Piccola” e “Poesia Grande” la calotta è crollata in tempi sconosciuti configurandole come delle piscine naturali. Se, data la notevole notorietà raggiunta, la Poesia Grande è ormai meta di turisti e bagnanti in periodo estivo, la Poesia Piccola invece rappresenta un grande patrimonio epigrafico e archeologico perlopiù ancora intonso che fornisce preziose informazioni circa la lunga occupazione dell’area di Roca Vecchia durante le diverse epoche. Il toponimo del luogo basta da sé a rendere chiaro perché queste grotte furono utilizzate e abitate in età antica: infatti la parola «poesia» deriva dal greco pòsia, termine che indica l’acqua dolce, elemento presente nelle cavità carsiche che in antichità potevano facilmente essere sfruttate come sorgenti1. La cavità della Poesia Piccola fu riscoperta nel 1983 da Cosimo Pagliara, storico ed epigrafista dell’Università del Salento, che raggiungendo la grotta a bordo di una piccola imbarcazione attraverso uno stretto cunicolo accessibile

Fig. 8 - Sezione della Grotta Poesia Piccola e del corridoio di accesso dal mare.

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dal mare2, scoprì le innumerevoli testimonianze epigrafiche presenti sulle pareti: una superficie di quasi 600 mq in cui si susseguono iscrizioni in lingua messapica, greca e latina che si sovrappongono a figurazioni e disegni ben più antichi. Lo studio di questi ultimi e la loro comparazione con fonti iconografiche simili, hanno permesso di porre ancora più indietro l’orizzonte temporale di occupazione del sito: alcuni disegni fanno parte di un sistema rappresentativo presente in altri contesti ipogei del Salento come la Grotta dei Cervi, manifestazioni artistiche coincidenti con le ultime fasi del Neolitico3; mentre altri segni potrebbero essere associati a periodi facenti parte del Tardo Paleolitico superiore4. Tra le raffigurazioni parietali spiccano però alcuni simboli appartenenti al periodo protostorico e che potrebbero provare la presenza di rapporti talmente intensi tra l’insediamento di Roca e le popolazioni provenienti dal Mediterraneo Orientale da ibridarne la sfera sacra: sono ricorrenti i simboli in associazione della doppia ascia e del bucranio, schema iconografico tipicamente minoico5 che si riferisce a sacrifici animali, le cui tracce sono presenti all’interno dell’insediamento di Roca. Le iscrizioni messapiche6 e latine, seppur successive di

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molti secoli alle raffigurazioni, mantengono il contenuto a vocazione sacra e cerimoniale, assumendo la forma di voti da parte di chi le incideva: scritte probabilmente risultate da riti per propiziare la fortuna per un lungo viaggio in mare. Anche se ancora poco indagate, vi sono rintracciabili alcuni elementi principali: le iscrizioni presentano caratteristiche votive e vi si possono spesso leggere i nomi propri delle persone che le effettuavano; nonostante la presenza di divinità celesti come Zis7, la maggior parte delle offerte vengono indirizzate alla figura di Taotor Andirahas, latinizzato poi in Tutor Andreius, la divinità ctonia cui era plausibilmente dedicata la grotta santuario8. Purtroppo non ci sono prove che confermino la pratica di particolari riti lungo il sistema carsico, né che diano indicazioni sui percorsi di accesso allo stesso o di eventuali processioni ivi tenutesi; non possiamo sapere se l’ingresso fosse dalla Grotta Poesia Grande o dal lungo corridoio che si imbocca dalla Poesia Piccola ma, sia sulla superficie di calpestio orizzontale di quest’ultimo (oggi sommersa per circa un metro e mezzo), sia lungo gli intradossi di alcune volte e gli elementi verticali, sono evidenti lavorazioni antropiche atte a facilitare l’entrata e il cammino lungo le grotte9. La grande stratificazione di usi a valenza religiosa colpisce per la sua lunga continuità nei secoli, rappresentando oggi una delle più importanti prove delle varie fasi di sviluppo dell’insediamento di Roca, iniziato nel Neolitico e arrestatosi bruscamente dopo la conquista romana del Salento.

Fig. 9 - Ridisegno dei graffiti del periodo protostorico individuati da C. Pagliara all'interno della Grotta Poesia Piccola durante il primo sopralluogo nel 1983: un cerchio con raggi, una mano sinistra, un bucranio e un ascia (raffigurazioni di matrice egea) e due raffigurazioni probabilmente di animali.

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Note Bibliografiche

1 c. pagliara, La Grotta Poesia di Roca. Note Preliminari in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, 17, no. 2, 1987, pp. 310-312. 2 Ibidem, pp. 268-270. 3 Ibidem, pp. 324-325.

4 Il legame tra le raffigurazioni è chiaro confrontando le iscrizioni rilevate da Pagliara e riportate in La Grotta Poesia di Roca. Note Preliminari in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, 17, no. 2, 1987, tavv. L – LI – LII, e quelle presenti in p. graziosi L’arte dell’antica età della pietra, Sansoni, Firenze, 1956, tavv. 106 – 108. 5 r. guglielmino Presenze minoiche nel Salento. Roca e la saga di Minosse, in Immagine e immagini della Sicilia e di altre isole del Mediterraneo antico, a cura di C. Ampolo, Vol. 1, Edizioni della Normale, Pisa, 2009, p. 484.

6 La lingua messapica utilizzava un alfabeto di derivazione greca, ma nonostante i numerosi studi specifici è ancora poco tradotta. Tra gli studiosi che più si sono concentrati sull’analisi dell’antica lingua messapica segnaliamo C. De Simone e S. Marchesini a cui rimandiamo per chi volesse approfondire tale argomento. 7 Zis era il nome della divinità più importante della religione messapica ed era inteso come divinità celeste. Voce: “Zis”, in Enciclopedia Treccani Online.

8 L’interpretazione delle iscrizioni messapiche all’interno della grotta è ampiamente trattata in c. de simone, Iscrizioni messapiche nella grotta della Poesia (Melendugno, Lecce), in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, 18, no. 2, 1988, pp. 325-415. 9 c. pagliara, op. cit., pp. 312-317.

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Fig. 10 - Mappa di distribuzione degli insediamenti fortificati dell'Età del Bronzo e insediamenti rupestri anche più antichi. In alcuni di essi sono stati rinvenuti numerosi reperti di matrice egea a testimonianza dei profondi legamei e scambi tra autoctoni e popoli d'oltremare.

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L'Insediamento Fortificato dell'Età del Bronzo L’interesse scientifico verso l’area di Roca si è concentrato, a partire dagli anni Novanta, sulle fasi di occupazione dell’età del Bronzo. Le numerose aree di scavo sono state localizzate all’interno dell’istmo denominato “Castello-Carrare”, portando alla luce sia imponenti opere architettoniche riferibili all’epoca protostorica, sia innumerevoli reperti che dimostrano sia profondi legami tra l’insediamento salentino e il mondo delle civiltà dell’Egeo orientale sia il raggiungimento di un notevole status di organizzazione sociale e politica nelle popolazioni autoctone. La più antica attestazione umana del sito sembra risalire alla Media Età del Bronzo 21, e sono successivamente individuabili altre fasi di riorganizzazione dell’insediamento e delle opere difensive, fino a giungere al violento incendio che distrusse il sito nel Bronzo Finale2, XIV secolo a.C.; l’episodio, tuttavia, non provocò il totale abbandono dell’area, che rimase in uso fino almeno all’età ellenistica3 (II secolo a.C.). Il grande incendio, quasi sicuramente di matrice bellica, ha fatto si che significative porzioni della stratigrafia coeva e quelle precedenti si conservassero, nonostante le contaminazioni e asportazioni dei periodi successivi, in condizioni soddisfacenti. Roca si presenta come un incredibile contenitore di informazioni utili a restituire un’immagine non solo degli insediamenti protostorici del Salento, ma è portatrice di scoperte che possono riscrivere e ricostruire i rapporti che intercorrevano tra le popolazioni ivi insediate e quelle d’oltremare. Prima ancora di entrare nello specifico della trattazione riguardo le evidenze archeologiche, infatti, occorre precisare come il sito potesse inserirsi nelle dinamiche territoriali e transnazionali del periodo. In Salento sono presenti numerosi insediamenti fortificati risalenti alla prima metà del II millennio a.C. che presentano analogie con il sito di Roca: abitati che restituiscono un’organizzazione territoriale formata da centri Genesi Storica

morfologicamente definiti, posti corrispondenza di litorali o bacini paralitorali, in quelle aree tatticamente controllabili, dove abbondavano le risorse naturali o poste su crocevia importanti per la movimentazione di merci e persone; tali siti poi erano spesso affiancati da luoghi di culto e facili approdi dal mare4. Ma ciò che colpisce di Roca è soprattutto la quantità di prove a sostegno dei continui e proficui rapporti con il mondo Egeo, rapporti probabilmente commerciali in un prima fase ma che successivamente hanno fatto sì che indigeni e «visitatori» si ibridassero sotto diversi punti di vista: tecnologico5, in primis, deriva difatti da questi contatti la produzione, nell’area di Roca, di ceramiche di imitazione dei modelli egei6 o la lavorazione di materiali orientali come l’avorio7; ma anche culturale e religioso, come nel caso dei graffiti rinvenuti nella Grotta Santuario e dei rinvenimenti archeologici all’interno della Capanna Tempio. L’importanza del sito dal punto di vista internazionale può essere quindi sintetizzata nella definizione di «community colony»8 che ne da Riccardo Guglielmino: «abitati esistenti, in cui si insedia un nucleo di immigrati provenienti da un paese straniero e questo gruppo assume un ruolo significativo nella società ospitante, benché la gestione del potere continui a rimanere in mano agli indigeni»9. Si può concludere quindi che l’ipotesi di partenza sia fondata: all’interno dell’insediamento di Roca era presente una comunità allogena capace di influenzarne la cultura, la tecnologia e, come vedremo più avanti, alcune scelte architettoniche e costruttive. Ad oggi le evidenze monumentali principali di questo periodo sono costituite dai resti dell’antica opera difensiva che chiude il piccolo istmo da Nord a Sud (Bronzo Medio) e i segni nel terreno delle strutture che un tempo costituivano l’edificio soprannominato Capanna Tempio (Bronzo Finale); la maggior parte dei resti e delle tracce dell’impianto protostorico sono stati alterati, asportati o coperti dai successivi interventi

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Fig. 11 - Ricostruzione dell'insediamento di Roca durante l'Età del Bronzo.

soprattutto a opera del Conte di Brienne molti secoli dopo, ma grazie a numerosi saggi di scavo effettuati in parti diverse dell’area, è stato possibile ricostruire e ipotizzare come si presentasse l’insediamento in alcune fasi significative. A causa dell’incendio che distrusse l’abitato, di cui si ritrovano tracce in tutti i saggi effettuati10, i reperti meglio conservati risalgono alla fase del Bronzo Finale: studi approfonditi hanno mostrato come le tracce dell’insediamento di quest’epoca ricalcassero, in molti punti, la morfologia delle precedenti occupazioni, dimostrando che vi sia stata una continua

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occupazione del sito durata più di mille anni. Oggi l’istmo su cui si attesta l’insediamento ha un’estensione di circa tre ettari, ma i veloci e frequenti fenomeni erosivi della costa permettono di ipotizzare che anticamente il territorio della piccola penisola si estendesse fino a cinque ettari, facendo di Roca uno dei centri costieri fortificati più grandi della Puglia durante l’Età del Bronzo11. L’insediamento dell’Età del Bronzo mostrava un’organizzazione spaziale ben definita12: sul lato interno delle mura correva una strada realizzata in massicciata con

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dei margini di tufina che, assecondandone l’andamento curvilineo, ne seguivano lo sviluppo con una larghezza di circa quattro metri; tale strada si incrociava poi con una via perpendicolare in corrispondenza della porta di accesso. Procedendo verso Est è stata poi individuata una seconda via, parallela e distante dalla prima circa sedici metri, di spessore leggermente ridotto, realizzata con la medesima fattura (è logico supporre che le due vie fossero tra loro collegate da brevi percorsi perpendicolari di sezione molto minore); nello spazio tra i due tracciati trovano posto le evidenze monumentali della Capanna Tempio e della Capanna Magazzino; procedendo ancora verso l’interno dell’insediamento è stata poi individuata una terza strada, sempre parallela alla precedente, estesa per circa 60 m. Questo tracciato, largo tre metri e mezzo e realizzato sempre in massicciata e tufina, mostra una maggiore cura e attenzione tecnica nella sua realizzazione: ai lati presenta due banchine di circa cinquanta centimetri in calcarenite e la sua sezione si allarga andando a formare una specie di spiazzo nella parte centrale (dove, molti secoli dopo, fu edificata la chiesa rinascimentale). Sul tracciato sono stati rinvenuti i segni di carri che scompaiono in corrispondenza di questo slargo, da cui è facile supporre che, vista anche la vicinanza ad alcune cavità ipogee, potesse avere una funzione soprattutto cerimoniale. Alcuni saggi effettuati in quest’area hanno permesso di individuare che una simile organizzazione spaziale resistette anche durante il Bronzo Recente13: i depositi archeologici appartenenti a questo periodo si concentrano soprattutto nella fascia pedemuraria, andando ad assottigliarsi man mano che ci si avvicina al centro dell’istmo, ma alcuni elementi rinvenuti, come le buche di palo fanno ipotizzare un simile impianto urbano costituito però da costruzioni più modeste14. Infatti ciò che risalta dell’insediamento del Bronzo Finale è proprio il carattere monumentale delle costruzioni presenti e la probabile funzione cultuale e cerimoniale dell’intera area: nessuna delle strutture rinvenute possiede elementi che ne facciano dedurre un uso abitativo15, inoltre la connotazione

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pubblica dell’area è evidente anche analizzando le fasi precedenti, dato che i rinvenimenti in prossimità dello slargo centrale fanno pensare alla presenza, durante il Bronzo Recente, di un area utilizzata per sacrifici e celebrazioni all’aperto16. Gli unici segni archeologici utili alla definizione dell’insediamento sono i segni lasciati nella roccia: le buche di palo appartenenti al periodo del Bronzo Finale si distinguono da quelle precedenti per dimensione e profondità, facendo intuire la monumentalità delle strutture che ospitavano. Tali segni sono presenti sia su tutto l’istmo, fino ai bordi della scogliera, sia sull’isolotto a nord17, suggerendo ancora una volta come l’insediamento e lo stesso territorio fossero notevolmente più estesi in passato. Queste caratteristiche urbane rappresentano un’anomalia nel contesto territoriale in cui è localizzata Roca e, come spiega Guglielmino: «l’organizzazione spaziale interna all’abitato e la scala delle costruzioni esulano dai parametri noti per il Mediterraneo centrale. Per trovare nel II millennio sistemazioni urbanistiche che presentino un minimo di analogie, per la concentrazione intra moenia di grandi edifici a preminente carattere pubblico, dovremmo necessariamente spostarci verso altre longitudini, in regioni più o meno prossime a oriente»18. Come già precisato, le campagne di scavo, eccezion fatta per alcuni saggi d’indagine, sono state concentrate su alcune delle evidenze maggiori. Due di esse, come accennato, sono rappresentate dai resti della Capanna Tempio e della Capanna Magazzino. Per la prima è stato possibile effettuare scavi conoscitivi che ne hanno riportato alla luce una porzione considerevole: le buche delle palificazioni lignee che la componevano si dispongono su file parallele occupando un’area rettangolare larga circa 17 metri e lunga 42, misura, quest’ultima, forse ancora più estesa in origine e successivamente ridotta dallo scavo del fossato del castello rinascimentale. La struttura è disposta con il lato lungo parallelo al muro difensivo, da cui è distanziata dello spessore della prima via curva sopra citata. Curva che si ripresenta nel sedime della fila di pali più

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Fig. 12 - Ridisegno e fotografia della coppia di dischi solari d'oro rinvenuti nell'area settentrionale della Capanna tempio. Le superficie dei manufatti mostra le decorazioni ispirate al sole e al suo ciclo.

esterna della capanna, che non ha andamento rettilineo. Le buche di palo, a sezione circolare o subcircolare, scavate direttamente nello strato roccioso, raggiungono profondità di un metro e con diametro variabile tra i 60 e gli 80 centimetri dimostrano, assieme ad alcuni elementi lignei carbonizzati dal diametro di circa 35 centimetri rinvenuti ancora in opera, il carattere monumentale di tale costruzione. Non vi sono pareri concordi sull’aspetto in alzato della struttura19, ma alcuni studiosi ipotizzano di trovarsi difronte ai resti di uno dei più antichi Hekatompedon del Mediterraneo centrale20. La destinazione culturale e pubblica di tale edificio è

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confermata da rinvenimenti archeologici di notevole importanza, concentrati nella parte settentrionale della costruzione (probabilmente il lato opposto a quello di ingresso), che ancora una volta manifestano ibridazioni tra indigeni e popolazioni d’oltremare. In quest’area abbondano i reperti ceramici di tipo celebrativo o atti alla consumazione di cibo, spesso affiancati da resti animali in connessione anatomica accompagnati da piattaforme-altari in argilla, armi sacrificali, figurine antropomorfe e zoomorfe ad impasto21. Alcuni di questi reperti sono di chiara matrice minoico-micenea: oltre alle decorazioni delle ceramiche di matrice protomicenea, le piastre realizzate in argilla sono comparabili con elementi rinvenuti in scavi effettuati nelle zone di culto di Micene22, mentre le armi ivi trovate, tra cui spicca una doppia ascia, sembrano avere funzione sacrificale o votiva e dimostrano ancora una volta il legame con la sfera religiosa egea23. Altri rinvenimenti in loco fanno ipotizzare che venissero celebrati sacrifici cruenti soprattutto in situazioni di emergenza, come nel caso dell’assedio e successivo incendio che distrusse l’abitato, poiché oltre ai resti animali è stata documentata un’olla contenente i resti di un infante in fase perinatale24 poggiata sul pavimento vicino agli altri oggetti votivi. Nella medesima area nord è inoltre presente uno scavo nel pavimento, morfologicamente simile a una delle vicine buche di palo, soprannominato “ripostiglio degli ori” perché al suo interno e nel diretto intorno sono stati rinvenuti numerosi manufatti realizzati in metalli preziosi (bronzo e oro), paste vitree e avorio. Oggetti, questi, di natura e classe differenti: fibule, collane, bracciali, ornamenti in conchiglia, scalpelli, martelli e altri strumenti di lavoro25; di particolare rilievo risulta però il rinvenimento di tre lamine d’oro, appartenenti a manufatti detti “dischi d’oro”. Questi oggetti, di forma circolare e con un diametro di circa 10 centimetri, in origine erano fissati su un supporto ligneo e si pensa possano essere stati utilizzati per culti e cerimonie: sulle facce delle lamine sono presenti dei disegni e delle

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incisioni che si riferiscono al culto della barca solare e del ciclo del sole in generale, trovando un legame iconografico e tipologico sia con culture dell’Europa Centrale, sia con culture greche e manufatti rinvenuti in luoghi come Skyros e Delo26. La posizione dei reperti, sparsi in un’area ben precisa della Capanna Tempio ma, soprattutto nel caso dei manufatti più preziosi, alcuni adagiati nei ripostigli e altri sparsi sul pavimento in prossimità di essi, fanno pensare che nei momenti precedenti all’assedio si stessero celebrando dei riti, forse propiziatori, all’interno dell’edificio27. Sul substrato roccioso dell’area a sud della Capanna Tempio, al di là dell’asse viario che si sviluppa dalla porta di accesso all’insediamento, sono presenti i segni di un’altra struttura simile denominata “Capanna Magazzino”. Tale struttura ha la medesima larghezza della precedente, ma la lunghezza non è stata quantificata viste le successive stratificazioni che ne hanno cancellato i segni. In questo impianto sono stati rinvenuti altri manufatti che fanno suppore un uso comunitario a discapito di quello abitativo monofamiliare: oltre a dei doli cordonati utilizzati per lo stoccaggio delle derrate alimentari, sono di particolare interesse i ritrovamenti di un’olla con la raffigurazione di un serpente che non trova confronti nel panorama italiano28, e

un’altra lamina appartenente a un disco solare dove suddetta stella è rappresentata con iconografia simile a quella rintracciabile su sigilli minoici29. Il reperto archeologico più rappresentativo per tecniche costruttive e tecnologie utilizzate e più facilmente osservabile del sito è però il muro difensivo che proteggeva l’insediamento verso l’entroterra. Quest’opera, fino al momento in cui è stata riportata alla luce, si presentava come un declivio naturale a causa dei depositi stratificativisi al di. Lo studio della fortificazione ha permesso di fare chiarezza sulle fasi insediative di Roca fin dalla loro attestazione più antica, infatti questo monumento ha fatto parte da sempre dell’insediamento, subendo numerose modifiche e adeguamenti. Il muro corre con forma arcuata per quasi 200 metri lungo tutto il terreno che unisce il promontorio alla terra ferma e, a causa dei repentini crolli e ingressioni marine nelle baie a nord e sud dell’istmo, si ipotizza potesse essere ancora più esteso; la struttura sembra non avere eguali in tutto il territorio nazionale per dimensioni e tecnologia costruttiva poiché, oltre alla lunghezza, colpisce lo spessore, che nella parte centrale raggiunge i 25 metri (nella fase costruttiva appartenente al XIV secolo a.C:) e nelle parti terminali tende ad assottigliarsi fino ai 15 metri.

Fig. 13 - Ricostruzione 3D delle fortificazioni dell'Eta del Bronzo. Osservabile la conformazione della sommità organizzata su tre terrazzamenti differenti, la presenza dell'avancorpo della torretta circolare e la monumentalità della sala a doppio ferro di cavallo.

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La struttura che vediamo oggi è frutto di tre fasi storiche differenti, riferibili a un arco temporale che va quantomeno dal XVI al XI secolo a.C. , distinguibili per tecnologie costruttive e estensione, di cui quella dell’Età del Bronzo Medio è quella maggiormente evidente e più estesa30. La muraglia era quasi sicuramente visibile da lontano, come il simbolo di una società che aveva raggiunto una notevole organizzazione e potenza economica e tecnologica. L’opera difensiva, che oggi raggiunge i 3 metri di altezza, probabilmente era originariamente alta 7-8 metri, munita di camminamenti in legno sulla sommità31 e si sviluppava con una sezione trapezoidale con lato esterno leggermente inclinato e articolato in due o tre gradoni fino a raggiungere l’altezza massima32; nella parte centrale l’accesso principale era protetto da un corpo avanzato ascrivibile a una torre di guardia circolare a sezione troncoconica33. L’opera è realizzata in materiale lapideo locale, il cui volume era contenuto grazie alla presenza di pali lignei di cui rimangono i segni nel terreno in corrispondenza dei profili delle postierle, della porta e del lato interno del muro; tali elementi, oltre a controbilanciare le spinte laterali, erano probabilmente utilizzati per reggere i camminamenti ai livelli superiori. La spessa massa muraria è tagliata sia da una Porta Monumentale centrale sia da cinque strette postierle, disposte a distanze più o meno regolari, di cui ancora restano ignoti funzione e utilizzi, inoltre la linea difensiva era anticipata da un fossato che presentava dei ponti di roccia in corrispondenza degli attraversamenti. Questa ipotesi ricostruttiva pone alcuni interrogativi sulla funzione delle postierle e dello stesso fossato: esso si presenta con dimensioni ridotte rispetto al sistema murario e, inoltre, i passaggi lasciati in corrispondenza delle postierle ne riducono l’efficacia difensiva in caso di assedio. Per far fronte a queste controversie si è ipotizzato che il fossato fosse in origine la cava dove venivano reperiti i materiali lapidei per la costruzione del muro, riducendo i tempi di trasporto e messa in opera, divenendo poi un espediente per intercettare eventuali tunnel scavati dagli

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Corridoio degli Ortostati Torre semicircolare

Corridoio principale Transetti

Vano principale

Fig. 14 - Planimetria della porta monumentale di accesso all'insediamento dell'Età del Bronzo con la distinzione dei vari ambienti.

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assalitori34; a questa si affianca l’ipotesi dell’esistenza di un’altra struttura muraria più esterna, un proteichisma, oggi perduta che racchiudeva uno spazio intramurario in cui l’esercito assediato poteva osare delle sortite sfruttando proprio le postierle senza aprire la porta maestra35. I dubbi sugli usi delle postierle derivano dai rinvenienti archeologici effettuati e che si riferiscono soprattutto al violento evento bellico. Nonostante la distruzione del muro sia riferibile all’incendio, mentre all’interno delle postierle A-B-C-D e della Porta Monumentale tali depositi sono cospicui, nel caso della postierla E, l’ultima ad essere stata scoperta e posizionata nel tratto Nord del muro, questi depositi sono meno evidenti e fanno pensare che sia stata risparmiata dall’incendio e distrutta, assieme alla parte corrispondente di mura, in modo volontario secondo una pratica comune in antichità successivamente alla conquista di un insediamento36. I dubbi sugli usi delle postierle derivano sia dalla loro morfologia che dai rinvenimenti archeologici, da cui si suppone che questi passaggi potessero essere utilizzati come ripari d’emergenza durante l’assedio: le postierle A-B e C presentano degli sbarramenti lapidei nella parte più esterna, forse realizzati durante un assedio; nella postierla D tali strutture non sono rintracciabili a causa delle interferenze delle epoche successive. Ad avvalorare questa tesi si noti che i reperti rinvenuti i questi passaggi appartengono ad aspetti della vita quotidiana o allo stoccaggio delle derrate alimentari. Se nella postierla A sono state rinvenute tracce di attività metallurgiche37, i reperti scoperti all’interno della Postierla C rappresentano ancora più eloquentemente la funzione secondaria di riparo d’emergenza da parte degli abitanti: oltre all’enorme quantità di materiali ceramici per il contenimento delle provviste, sono emersi i resti scheletrici in connessione anatomica di sette individui (due adulti e cinque in età infantile o adolescenziale). Data la posizione dei corpi e le analisi effettuate si deduce che questi individui siano morti per asfissia prima che li raggiungesse il fuoco e crollassero le strutture lignee

Genesi Storica

soprastanti38. Questi, assieme ai resti di un infante rinvenuti nella postierla B39, sono gli unici reperti scheletrici presenti all’interno dell’edificato, suggerendo che probabilmente le popolazioni indigene trovarono scampo prima ancora dell’incendio e della distruzione totale dell’insediamento. Detto quindi di questi usi secondari delle postierle a ridosso dell’evento bellico, è certo che durante i periodi di pace venissero sfruttati come accessi all’insediamento in modo da non aprire l’accesso principale: una Porta Monumentale che trova pochi confronti con le strutture coeve pugliesi40. Il passaggio principale è stato a lungo indagato e, sezionando l’intero spessore murario, presenta in successione diversi ambienti: come già anticipato, nella parte più esterna era presente un avancorpo troncoconico con la funzione di proteggere l’accesso che avveniva lungo un corridoio a cielo aperto detto “degli Ortostati” (per la presenza degli ortostati41 che ne foderano i lati), al termine del quale si trovava un portale ligneo che lo separava da un altro corridoio centrale coperto che presenta un notevole allargamento nella parte terminale, andando a intercettare due vani a ferro di cavallo speculari. Questa struttura presenta qualche analogia con alcuni modelli architettonici egei42: il corridoio degli Ortostati probabilmente si estendeva per qualche metro all’esterno delle mura per segnalarne l’ingresso, inoltre l’uso di elementi megalitici non trova confronti coevi nella regione mentre il loro uso è documentato nelle realtà cretesi prepalaziali43. L’accesso alla parte coperta del percorso era quindi regolato da uno sbarramento ligneo mobile di cui sono stati rinvenuti alcuni resti carbonizzati; in corrispondenza di questo si trovano i primi due transetti che probabilmente avevano la funzione di accogliere le guarnigioni di guardia, oltre che, nel caso di quello a sud, raggiungere la scala che conduceva alla terrazza di guardia posta sulla torre esterna; un terzo transetto, forse con funzione di dispensa per le guardie, si trova lungo la parete Nord del corridoio che, procedendo verso l’interno con una sezione costante di circa 3 metri, termina in corrispondenza della parte che in origine rappresentava l’ambiente più monumentale della porta e l’effettivo spazio

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di rappresentanza dell’insediamento: i due vani a ferro di cavallo speculari che occupano una superficie di circa 16,5 m2 ciascuno, sui cui perimetri i pali portanti sono regolarmente disposti con una distanza di circa un metro. Non si hanno certezze sull’eventuale divisone interna e funzione specifica di tale ambiente, ma ciò che ha colpito i ricercatori è stato un rinvenimento particolare all’interno del vano Sud: i resti di un individuo di età giovane detto, a causa di una ferita non cicatrizzata sulle costole causata da un’arma da taglio utilizzata da tergo, «Scheletro del Guerriero»; a ciò si aggiunga l’individuazione di due manufatti di origine esotica a circa un metro di distanza dal corpo: una lama di pugnale in bronzo e una piccola scultura zoomorfa in avorio44. Data l’analisi delle giaciture archeologiche e dei resti biologici si è dedotto che il guerriero si trovasse ad una quota superiore, forse su uno dei camminamenti, e sia caduto all’interno del vano in un momento successivo alla morte. Eventuali analisi più approfondite potrebbero rispondere al quesito che permane sulle origini dell’individuo che, portando con se manufatti di matrice orientale, non è chiaro se appartenesse al gruppo degli assalitori o degli assediati. Tali ricerche, assieme al continuo studio delle stratigrafie più profonde dell’insediamento, potrebbero finalmente fare luce sull’evento bellico che distrusse l’insediamento di Roca ma allo stesso tempo chiarire da chi fosse occupato e quali rapporti specifici intercorressero tra «indigeni» e popolazioni egee.

Note Bibliografiche

1 t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della Media Età del Bronzo. Strutture, Contesti, Materiali, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012, p. 31. 2 Ibidem, p. 20.

3 Ibidem, p. 19.

4 t. scarano, Gli insediamenti costieri fortificati della Puglia meridionale nella prima metà del II millennio a.C., XLVII Riunione Scientifica dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria della Puglia, Ostuni, 9-13 Ottobre 2012.

5 Nell’area sono stati rinvenuti numerosi reperti come matrici per fondere strumenti in metallo o una sega per il taglio della pietra che non trovano riscontro in altri siti italiani ma attribuibili a conoscenze tecnologiche sviluppate in quel periodo dalle popolazioni cretesi e protomicenee. Vd. r. guglielmino Roca Vecchia (Lecce): testimonianze di attività metallurgiche e di contatti con l’Egeo in un sito costiero del Bronzo Finale, in AEIMNHSTOS Miscellanea di studi per Mauro Cristofani, a cura di Adembri B., Tomo 1, Centro Di editore, Firenze 2005, pp. 32-50.

6 “Roca, infatti, è oggi indiscutibilmente l’insediamento indigeno italiano che ha restituito il maggior numero di materiali egei e di tipologia egea ed è tra i pochi che mostrano, sin dalle primissime fasi di vita, una evidente ibridazione culturale anche di carattere religioso con elementi propri dell’ambiente minoico–miceneo” in t. scarano, 2012, op.cit., p.20. Riguardo alle ceramiche rinvenute va sottolineato come esse siano o forme chiuse con pareti troppo sottili per il trasporto di derrate o forme aperte di tipologie riferibili ad attività comunitarie. Vd. r. guglielmino Roca. I rapporti tra l’Italia e l’Egeo nell’età del bronzo e il ruolo di Roca. Alcuni spunti di riflessione, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie V, Edizioni della Normale, Pisa, 2013, p. 149. 7 La lavorazione di questo materiale in siti italiani è provata in epoche successive, per Roca si può quindi ipotizzare che tali tecnologie di lavorazione del materiale siano state importate da gruppi artigiani egei insediati in loco. Vd. r. guglielmino, 2013, op. cit., p. 150.

8 Lo studioso riporta una delle classi ideate da K. Branigan negli anni 80 per definire il grado e la tipologia degli stanziamenti egei in tutto il Mediterraneo, delineando dei caratteri comuni che danno vita a tre classi: governed colonies, settlement colonies e comunity colonies. Da r. guglielmino, 2013, op.cit., pp. 141-145. 9 r. guglielmino, 2013, op.cit., 142-143. 10 r. guglielmino, 2005, op.cit., p. 32.

11 r. guglielmino, Roca. Problemi di demografia e di organizzazione territoriale nella Puglia protostorica. Il paradigma di Coppa Nevigata e l’anomalia di Roca, in aa.vv, Notizie degli Scavi di Antichità comunicate

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dalla Scuola Normale di Pisa, supplemento agli Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie V, Edizioni della Normale, Pisa, 2014, pp. 101-102.

12 Tale organizzazione è approfondita in t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della Media Età del Bronzo. Strutture, Contesti, Materiali, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012, p. 22-23. 13 r. guglielmino, 2014, op. cit., p. 104. 14 t. scarano, 2012, op. cit., p. 25.

15 r. guglielmino, 2014, op. cit., p. 108. 16 Ibidem, pag. 104.

17 r. guglielmino, 2014, op. cit., p. 109-111. 18 Ibidem, pag. 112.

19 Interessante è la ricostruzione presentata da L. Coluccia che ipotizza una struttura coperta composta da cinque navate con un fronte principale con portico in antis e il lato opposto concluso da un abside subcircolare. Vd. l. coluccia, Progettare e costruire a Roca alla fine dell’età del Bronzo, in Studi di Preistoria e Protostoria della Puglia, a cura di F. Radina, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 2017, pp.557-564.

20 r. guglielmino, c pagliara, 2017, op. cit., p. 520 / r. guglielmino ,2014, op. cit., p. 108.

21 I reperti rinvenuti sono esaustivamente raccolti e analizzati in: g. maggiulli, i. malorgio, La grande struttura incendiata dell’età del Bronzo Finale di Roca (SAS IX): nuovi dati dall’area N, in Studi di Preistoria e Protostoria della Puglia, a cura di F. Radina, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 2017, pp. 539-546. 22 r. guglielmino, g. maggiulli, c pagliara, m. rugge, Indizi di comunanza di culti e di riti tra genti indigene e egee, in Ambra per Agamennone. Indigeni e Micenei Tra Adriatico, Ionio ed Egeo, a cura di Radina F. e Recchia G., Mario Adda Editore, Bari, 2010, pp. 130. 23 g. maggiulli, i. malorgio, 2017, op. cit., p. 541.

24 r. guglielmino, c pagliara, 2017, op. cit., p. 520.

25 g. maggiulli, I dischi solari di Roca (Lecce): dati di scavo e analisi preliminare, in Studi di Protostoria in Onore di Renato Peroni, a cura di Maggiulli G., All’Insegna del Giglio, Firenze, 2006, p. 126.

26 Ibidem, p. 130. Tema presentato anche in r. guglielmino, Alcune considerazioni sul ruolo di Roca nei rapporti tra Creta e l’Italia nel II Millennio a.C., in Creta Antica. Rivista annuale di studi archeologici, storici ed epigrafici, volume 9, rivista realizzata da Centro di Archeologia Cretese dell’Università di Catania, Aldo Ausilio Editore, Padova, 2008, p. 35-37.

Genesi Storica

27 t. scarano, 2012, op. cit., p. 24.

28 r. guglielmino, 2014, op. cit., p 109. 29 Ibidem, pp. 108-109.

30 Qualora si volesse approfondire sugli aspetti tecnologici e le differenze costruttive nelle varie fasi delle mura di fortificazione si rimanda alla consultazione di: t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della Media Età del Bronzo. Strutture, Contesti, Materiali, Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012. 31 Ibidem, p. 4.

32 Ibidem, p. 389.

33 Ibidem, pp. 96-97 e 138.

34 r. guglielmino, c pagliara, 2017, op. cit., p. 516.

35 Ibidem, p. 517-518. 36 Ibidem, p. 515-516.

37 t. scarano, La fortificazione del Bronzo Medio di Roca: forma e funzione degli accessi minori”, in Beyond limits. Studi in onore di Giovanni Leonardi, a cura di Cupitò M. Vidale M. Angelini A., Volume 39, Antenor quaderni, Padova University Press, Padova, 2017, p. 233. 38 t. scarano, 2012, op. cit., pp. 78-86.

39 Ibidem, p. 77.

40 I siti pugliesi che presentano tracce di insediamenti fortificati dell’Età del Bronzo sono numerosi ma ancora poco indagati. L’unico caso approfondito che presenta una struttura paragonabile alla Porta Monumentale di Roca è a Coppa Nevigata le cui strutture non manifestano la stessa monumentalità di quelle del sito di Roca.

41 Si intende le lastre di pietra verticali che, nelle architetture antiche, e specialmente nella greca, formavano il filare inferiore dei muri, di altezza doppia o tripla dei filari superiori. Voce “Ortostate”, in Enciclopedia Treccani, 1935.

42 t. scarano, Roca. Le fortificazioni della media età del Bronzo nel quadro delle testimonianze relative agli insediamenti fortificati della prima metà del II millennio a.C. nella Puglia meridionale, in Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Classe di Lettere e Filosofia, Serie V, Edizioni della Normale, Pisa, 2012, p. 79. 43 t. scarano, 2012, op. cit., pp. 389-390.

44 r. guglielmino, f. iacono, l. coluccia, Roca e il mondo egeo tra il XVI e l’XI sec. a.C.: una messa a punto, in Studi di Preistoria e Protostoria della Puglia a cura di F. Radina, Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria, Firenze, 2017, p. 549.

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Fig. 15 - Mappa dell'organizzazione del territorio messapico a cavallo tra la fase Ellenistica e il successivo dominio Romano.

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L'Insediamento Messapico I Messapi, popolo indigeno dell’attuale Salento, le cui origini si perdono, come già visto, nel mito e nella leggenda, occuparono ininterrottamente la penisola salentina dal IX secolo a.C.1 fino al 267/266 a.C. quando, con la conclusione del bellum sallentinum, furono assoggettati dai Romani, con il conseguente avvio del cosiddetto processo di romanizzazione. La Messapia può essere definita, da un punto di vista culturale, come la regione dove era parlato il messapico; a partire dai ritrovamenti epigrafici che attestano l’uso di questa lingua, è possibile delimitare un territorio che si estendeva sui territori delle attuali province di Brindisi, Taranto (in parte) e Lecce, presentando nel suo complesso realtà fisiche differenti che permettono di suddividerlo in tre diversi comprensori: Settentrionale (tra Egnazia, Torre S. Sabina e Porto Cesareo), Centrale (tra la parte terminale delle Murge e la prima parte delle Serre Salentine), Meridionale (tra la congiungente Gallipoli-Otranto ed il promontorio di S. Maria di Leuca). Le fasi principali che definiscono la nascita, lo sviluppo ed il decadimento della civiltà messapica sono definite dall’interfacciarsi dei messapi con altre popolazioni: quelle egee nelle fasi iniziali, con la civiltà romana nel periodo di declino; e possono chiaramente ricondursi alle fasi storiche di età del bronzo finale (XIII-VIII sec a.C.), età arcaica (VI-V sec a.C.), età classica (V-IV sec a.C.) ed età ellenistica (IV-I sec. a.C.). Come già citato, furono proprio i contatti commerciali che gli indigeni intrattenevano con il mondo balcanico ed egeo che permisero, probabilmente, l’apprendimento di nuove tecniche e la ricezione di impulsi necessari all’avvio dei processi di evoluzione e di definizione sociale. Il periodo tra la fine del VIII secolo a.C. ed il VII fu caratterizzato dalla fondazione della colonia spartana di Taranto, che ebbe una notevole influenza sulla civiltà messapica, comportando una prevedibile disarticolazione negli abitati. Il sistema insediativo e la struttura interna dei centri Genesi Storica

messapici hanno subìto delle sostanziali modifiche attorno alla metà del VI secolo a.C., fase in cui si denota una maggiore complessità della società indigena; si assistette così alla formazione di estesi insediamenti proto-urbani che raggrupparono i piccoli villaggi precedentemente sparsi sul territorio. Per quanto riguarda il sistema insediativo, l’età classica si caratterizzò per il ritorno ad esperienze abitative disperse nel territorio. Si tratta di dirette conseguenze, probabilmente, delle vicende belliche che hanno visto contrapporsi i Messapi ai Tarantini. Ciò comportò una reazione della popolazione indigena che, nel 470 a.C., riuscì ad arginare le mire espansionistiche di Taranto. A seguito di questi eventi bellici i contatti commerciali tra la Messapia e Taranto subirono un brusco rallentamento per tutto il V secolo a.C., mentre gli ottimi rapporti fra i Messapi ed il mediterraneo orientale si riconfermano eccellenti, come attestato sia nell’archeologia che nell’antica tradizione letteraria. In età ellenistica la penisola salentina subì il processo di ellenizzazione che perdurò fino al 272 a.C., anno della caduta di Taranto ad opera di Roma che, come precedentemente citato, nel decennio successivo (267-266 a.C.) a seguito del bellum sallentinum, assoggettò i Messapi aprendo una nuova stagione politico-culturale e dando il via ad un completo riassetto territoriale. Analizzando lo sviluppo dei Messapi sul territorio si possono rilevare degli insediamenti nell’entroterra e, legati ad essi, numerosi centri costieri. La mappa stessa permette di constatare che questi centri, indipendentemente dalle dimensioni, erano equamente distribuiti con un perfetto equilibrio tra il versante adriatico e quello ionico. L’insediamento di Roca Vecchia è proprio uno di questi. Studiando tale ambito la prima evidenza nella quale ci si imbatte è il perimetro che delimita l’insediamento di Roca, che cinge una porzione di terra affacciata, per un lato, su

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un’impervia falesia. Nelle prime campagne di scavo che si succedettero tra il 1928 ed il 19442 venne, infatti, messo in luce il recinto poligonale che definiva l’area di pertinenza di questo insediamento. Nel 1934 l’area individuata durante gli scavi presentava una pianta poligonale, circondata da una muraglia lunga in totale circa 1200 metri, nonché da un doppio fossato che si poté osservare per la prima volta grazie alla fotografia aerea. Già alcuni anni prima però, nel 1928, all’inizio della campagna di scavo, l’ispettore dei Monumenti, il rev. G. Paladini eseguì alcuni scavi lungo il tratto meridionale della muraglia, la quale apparve composta da blocchi isodomi squadrati e fondati su roccia, senza malta3. Vista la conformazione di questo recinto, riconducibile al IV secolo a.C., e poichè mancano evidenti segni di decadimento di quest’ultimo, si è propensi a credere che si trattasse di un perimetro di demarcazione territoriale o un tèmenos, e non di una vera e propria cinta di fortificazione a scopo difensivo. Quelle prime campagne, inoltre, evidenziarono come il centro abitato dovesse essere edificato sul promontorio, protetto da fortificazioni le cui pietre, come risultò evidente già dai primi scavi, vennero riutilizzate per la costruzione della successiva cinta medievale. Gli scavi programmati in diversi altri centri messapici, in particolare quelli di Valesio, Vaste, Muro Leccese, Soleto, hanno tutti messo in evidenza lo stesso tipo di organizzazione dello spazio. L’aspetto fondamentale e più evidente è la presenza di fortificazioni, le quali ebbero due differenti fasi costruttive: la prima e più antica, è quella che ha conservato la tecnica dei muri a secco ad andamento poligonale, con funzione riferibile più alla demarcazione territoriale che difensiva, la seconda, motivata dal costante e sempre attuale pericolo rappresentato dai Tarantini, costituita da imponenti opere difensive per proteggere i centri abitati. Il recinto probabilmente avrebbe dunque un valore soprattutto simbolico e non difensivo, perché disegnato per delimitare lo spazio della comunità ivi insediata. Secondo Burgers, infatti, esso funzionava come territorial

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marker ed era il segno di un potere centrale che voleva controllare le ricchezze che confluivano dalle campagne e quelle della popolazione residente; le porte avrebbero permesso di controllare ciò che entrava e ciò che usciva dalla città, e gestire così un regime fiscale attraverso un’amministrazione urbana4. Il tema del recinto nei centri messapici, e soprattutto a Roca, porta con sé i dubbi sul significato e sulla funzione degli spazi extra ed intra moenia. L’area intra moenia presenta la caratteristica di includere spazi dove l’abitato è sparso e non ovunque addensato. Ci sono piccole proprietà con la loro propria necropoli, come quella del Fondo Melliche a Vaste o quelle di Valesio. Non si trattava quindi di spazi vuoti destinati a ricevere il bestiame o la popolazione rurale in caso di emergenza, ma di terreni agricoli delimitati da muretti in pietra a secco, dove risiedevano i proprietari. Il principio di organizzazione rimaneva quindi il medesimo: ogni famiglia occupava indipendentemente una parte del territorio urbano che fosse produttivamente autonoma, secondo un principio autarchico. Per quanto riguarda l’ambito sociale relativo alla civiltà messapica, sono unicamente i dati onomastici a fornire alcuni indizi e a confermare l’esistenza nella società di una classe sacerdotale dominante, talvolta accompagnata da una gentilizia che precisa il nome della famiglia depositaria del culto5. Si è dunque in presenza di gruppi aristocratici dominanti, ancorati a prerogative religiose, che si distinguono dal resto della società, della quale le case e le tombe restituiscono un’immagine standardizzata piuttosto egualitaria. Queste famiglie gestivano culti sia pubblici che privati (distinzione non è facile da stabilire) e forse erano loro a controllare lo sfruttamento del territorio e la gestione delle eccedenze. L’organizzazione politica più compatibile con questo sistema di clan rimane, quindi, l’esistenza di grandi territori autonomi controllati da famiglie-caste sacerdotali che assicuravano la gestione centralizzata degli affari pubblici; la costruzione di

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Vaste

Muro Leccese

Cavallino

Ugento

Area di sepoltura

Tessuto costruito Cinta muraria Porte urbane

Fig. 16 - Confronto morfologico degli insediamenti messapici. Oltre alla forma poligonale delle mura; da notare come all'interno vi si alternino aree costruite e necropoli senza apparente pianificazione.

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grandi recinti con necropoli extra moenia e la riorganizzazione economica del territorio con la moltiplicazione delle fattorie presupponevano infatti un’«amministrazione» efficiente e relativamente centralizzata. La conclusione più ovvia riguardo questa fitta rete di abitati resta collegata all’assenza di un centro che avrebbe costituito una capitale economica e politica della Messapia: questa organizzazione territoriale sembra quindi indicare un sistema di unità socio-politiche autonome piuttosto che uno stato centralizzato con una capitale. Le analisi di G.-J. Burgers vanno in questa direzione: egli rileva che in epoca ellenistica le diverse componenti della società messapica tendevano a manifestarsi sempre più come unità e che tale evoluzione è forse dovuta ad una influenza del modello greco6, per quanto invece Francesco D’Andria neghi questa possibilità7.

L’interruzione dei perimetri murari è rappresentata dalle porte, punti di passaggio della rete di strade ad andamento radiale che tessevano tra un centro e l’altro una maglia capillare che andava a lambire tutto il territorio salentino. Ed è proprio una di queste porte che appare a Roca come una delle evidenze tra le meglio conservate, riportate alla luce già dai primi scavi documentati da Bernardini: la cosiddetta Porta Nord, situata quasi a ridosso della falesia in prossimità della baia di Nfocaciucci. Bernardini, infatti, descrive la porta non solo come un’interruzione della cinta muraria, bensì come un sistema più complesso come si può evincere dalle rovine dei corpi di fabbrica che si protendono verso l’interno su entrambi i suoi lati e vi conferiscono una profondità maggiore rispetto a quella dell’intera cinta8. Un’altra particolarità riscontrabile è l’orientamento della

Fig. 17 - Foto aerea della porta Nord della cinta messapica.

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porta rispetto all’andamento delle mura: ciò è dovuto ai i due corpi laterali che la inquadrano di modo che essa non si presenti come un’apertura in asse con le mura, bensì con l’asse inclinato affinché dall’esterno non si avesse una percezione frontale ma ci si imbattesse inizialmente nelle sue pareti. Ma a caratterizzare ancora di più questo manufatto è la presenza, sul lato esterno, di una rottura della lunghezza di circa 6 metri, dove le mura compaiono visibilmente demolite, in corrispondenza di quest’interruzione vennero rinvenute dodici tombe databili a fasi altomedievali che non hanno nulla a che vedere con le necropoli messapiche. A questi sepolcri, si devono poi aggiungere le altre sepolture rinvenute all’interno della cinta muraria9 . Bisogna notare, infatti, che le necropoli sparse nello spazio intra moenia coesistevano con più ampie necropoli esterne, in genere site vicino alle porte (ben note quelle di Manduria, Egnazia, Ugento, ed Alezio). Le tombe delle necropoli extra moenia presentano la stessa tipologia e lo stesso materiale funerario delle tombe interne. È possibile, quindi, che l’intensificazione della densità urbana abbia provocato la mancanza di spazio ed il conseguente spostamento delle tombe al di fuori delle mura. Numerosi interrogativi sono sorti osservando il considerevole numero di ritrovamenti delle campagne di scavo di Bernardini fino ai giorni nostri, e molte risposte le si è cercate indagando il particolare legame con l’Egeo che ha da sempre caratterizzato questa civiltà. Tutta la zona recinta dalle mura del IV secolo a.C. è infatti ricca di strutture antropiche scavate per alcuni centimetri nel banco roccioso; la loro distribuzione si densifica nell’area circostante la Grotta Poesia, ove si segnala il rinvenimento di resti sacrificali e di ceramiche di dubbia origine e significato10; d’altro canto l’assenza dei condizionamenti derivanti dalla lettura delle fonti letterarie non può che rappresentare uno stimolo verso l’analisi dei dati archeologici, coerentemente con l’approccio proposto da Robin Hagg11 . È dunque l’idea del sacro che può essere sfruttata per dare un’interpretazione a queste strutture, attraverso l’interconnessione tra le dinamiche di popolamento e la

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fenomenologia dei culti dei Messapi. Numerosi sono i punti di contatto tra gli assetti insediativi e socio-economici ravvisabili nella Messapia e quelli noti in Grecia, pertanto non deve stupire che lo studio dei fenomeni cultuali del mondo indigeno possa essere condotto facendo riferimento alle conoscenze sui culti greci. Attraverso l’esame degli insediamenti e dei luoghi sacri emerge in maniera sempre più evidente il sistema dei culti che appare distinguere nettamente la Messapia dagli altri territori indigeni dell’Italia meridionale fin dalle fasi dell’età del Ferro: i vari aspetti della vita sociale ed economica delle popolazioni dell’antico Salento trovano riscontro nella documentazione archeologica relativa alla sfera religiosa. Anche il paesaggio risulta fortemente segnato dalla presenza di luoghi sacri, sebbene questi raramente assumano i caratteri monumentali e formali tipici delle vicine realtà greche. In tutta l’area sono numerosi i rinvenimenti ceramici e metallurgici che ne documentano la continuità di occupazione da parte dei Messapi; durante tale periodo si sono registrati contatti con modelli, tecnologie e forse, addirittura maestranze provenienti dall’Egeo12. L’intensità delle relazioni culturali è ampiamente confermata da diversi settori produttivi, in primo luogo, quello della ceramica che già a partire dalle prime campagne di scavo (Bernardini 1928-1944) è documentata da numerosi reperti. Questa ceramica, inizialmente rinvenuta solo in piccoli frammenti sugli spalti del Castello e lungo i bordi dell’insenatura, è simile a quella di altre località dell’estremo Salento (Acquarica e Vanze, Rudiae, Cavallino, Muro) ed ha chiari riferimenti con quella di altre zone della Puglia13. Uno dei ritrovamenti particolarmente degno di nota, è quello scoperto successivamente alle comunicazioni degli scavi del 1934, nella zona antistante il Santuario: una piccola fornace addossata a un banco di roccia che recava, ancora, i segni della combustione. La presenza della fornace ed il ritrovamento di matrici e di attrezzi di lavoro, oltre che di numerosi altri oggetti ceramici, fa supporre che vi fossero maestranze esperte in loco che fecero registrare importanti innovazioni tecniche ed

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artistiche. Su questo materiale regna, però, ancora un certo mistero: non è stato possibile accertare alcuna stratificazione, così come confermato dai saggi eseguiti da Lord William Taylour. Ciò dipende dal fatto che il vasellame sia stato probabilmente deposto in grotte svuotate da visitatori sopravvenuti successivamente. A seguito però di studi comparativi tra i frammenti ceramici di Roca e i documenti di ceramica micenea conservati a Roma, nel Museo Preistorico Pigorini e nella collezione Gorga, il dottor Enrico Paribeni espresse il giudizio che, notate numerose differenze, le ceramiche non risultavano essere di importazione, bensì di produzione locale.14 Gli scavi hanno permesso, con buona approssimazione, di affermare che Roca sia stata abitata a partire almeno dall’epoca del Bronzo. Ci riferiamo per questa datazione alla presenza di alcuni frammenti di ceramica d’impasto e con decorazione. Dopo quest’epoca Roca fu abitata continuamente, raggiungendo il massimo sviluppo tra il IV e il III sec a.C.

Note Bibliografiche

1 Questa è la datazione che la storiografia attribuisce alla civiltà Messapica. Nessun dato archeologico oggettivo ci permette di dichiarare se tali civiltà occupassero o no il sito di Roca Vecchia nelle fasi precedenti.

2 m. bernardini, Gli scavi di Rocavecchia dal 1928 al 1944, in Archivio Storico Pugliese, V, 1952.

3 Ibidem, p.4, «La costruzione messa in luce risultò lunga 250 m, larga, 3,20 metri e alta da 0,2 a 1,5 metri. Le dimensioni dei conci erano di 1,6 m x 0,8m x 0,4m. Essi erano disposti in tre file: due per fiancata al lato interno, e una per testata da quello esterno. Verso Nord Est, lo stesso Paladini mise in luce un altro tratto, lungo complessivamente 38 m, che mostra una prosecuzione al di là di una piccola insenatura larga circa 14m.» 4 g. j. burgers, Constructing Messapian Landscapes. Settlement Dynamics, Social Organization and Culture Contact in the Margins of Graeco-Roman Italy, Gieben, Amsterdam, 1998, pp. 247-248.

5 Su questi argomenti vd. c. de simone, Onomasticum aletinum: considerazioni generali, in Atti del VIII Convegno dei Comuni Messapici Peuceti e Dauni (Alezio 15-15 nov. 1981), Grafica Bigiemme, Bari, 1983, pp. 215-263.

6 g. j. burgers, 1998, op. cit., p. 259, «For the early Hellenistic period, one could suggest that the various segments manifest themselves increasingly as relatively autonomous, socio-political unities. […] .Finally, one can also point towards the Greek world as the source of inspiration for the more general concepts underlying the trends towards increasing socio-political autonomy and central management of the various tribal segment».

7 f. d’andria, Messapi e Peuceti in Italia omnium terrarum alumna, Credito Italiani/Libri Scheiwiller, Milano, 1988, pp. 653-715. «I sistemi di occupazione e di uso del territorio continuano a far riferimento a una società indigena in cui resistono strutture familiari e di clan molto distanti all’organizzazione politica e sociale della polis greca.» 8 m. bernardini, 1952, op. cit., p. 5, «A ovest della stradicciola, e propriamente a 9m dal termine del tratto di mura, si nota una porta costituita da due corpi di fabbrica che si addentrano in direzione Sud per una lunghezza rispettiva di 11,8 m e 11 m, a partire dal limite esterno. L’apertura della muraglia è di 5 m. A distanza di 5,6 m dall’ingresso i due corpi di fabbrica aggettano per circa 1 m costituendo due sporgenze: quella ovest, lunga 4 m, col vano di porta formato da una specie di larga scanalatura lunga 1,55 m e profonda 0,15 m; e quella Est, lunga 6 con qualche debole traccia del vano suddetto. La larghezza massima del corpo di fabbrica Est è di circa 4,1 m quella del corpo Ovest di 4,6. L’altezza delle costruzioni a questo punto è di 1,3 m.» 9 Ibidem, p. 6, «In prossimità della porta descritta, dal lato ovest, si notano

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dodici tombe medioevali che furono rinvenute piene di ossa e che dovevano trovarsi in una chiesetta ricavata nella stessa muraglia, la quale, a questo punto, appare demolita per circa 6 metri. Ad essa è addossato, dalla parte esterna, un elemento di costruzione ad angolo retto avente un lato di 2 m e un altro di 3 m. Altre due tombe medievali furono notate in prossimità delle prime, dal lato opposto, dove la muraglia raggiunge un’altezza di 4,7 metri. Oltre alla cerchia muraria il rev. Paladini esplorò la zona antistante al Santuario nella quale apparve una viuzza ricavata nella roccia e larga circa 3,2 metri, da cui si accedeva alle tombe che si vedono su un tratto di scogliera.»

di Lecce appare scabra e rigata. La vernice si direbbe anche meno brillane per quanto vi siano casi di vernice micenea di tono basso e scuro. In più, quello che colpisce è la sorta di unità che può vedersi nell’insieme di reperti analizzati. Non può trattarsi di produzioni locali con qualche importo. Tutto sembra essere consistente, terra, vernice, modo di pennelleggiare. I motivi decorativi usati sono, invece, molto diversi, almeno apparentemente, visto lo stato frammentario di quello che è rimasto. Sembra, quindi, inevitabile che si debba spiegare questo fatto di una innegabile unità fondamentale e di varietà di motivi decorativi, mediante una successione interna si uno stesso centro di produzione.».

10 c. pagliara, r. guglielmino, Nuove ricerche a Roca; in Notizie degli scavi di antichità comunicate dalla Scuola Normale Superiore di Pisa, Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa, Edizioni della Normale, Pisa, 2004, pp. 561-582. 11 r. hagg, Ancient Greek Cult Practice from the Archaeological Evidence: proceedings of the Fourth International Seminar on Ancient Greek Cult (organized by the Swedish Institute at Athens), 22-24 October 1993, Astroms Forlag, Stoccolma, 1998, vol 1.

12 Per una sintesi sulle esplorazioni archeologiche a Roca vd. c. pagliara, Rocavecchia Melendugno (Lecce), in Taras XVI. Rivista di Archeologia, Scorpione Editrice, Taranto, 1995, pp. 87-90; vd. c. pagliara, L’insediamento di Roca Vecchia nell’età del bronzo, in Torre Castelluccia: un insediamento dell’età del bronzo a Pulsano, Atti del Convegno di Studio 28-29 Novembre 1996, Pulsano (TA) Seminario di Studio, 1996.

13 m. mayer, Apulien vor und waehrend der Hellenisierung: mit besonderer Berücksichtigung der Keramik, BG Teubner, Lipsia, 1914, p. 76; m. gervasio, I dolmen e la civiltà del bronzo nelle Puglie, Commissione provinciale di archeologia e storia patria, Bari 1913, p. 78; m. bernardini, Scavi in Acquarica e Vanze, Tip. G. Carrisi, Lecce, 1942. Altra ceramica simile trovasi nella raccolta dell’Istituto tecnico di Lecce pubblicata in parte da u. botti, Le caverne del Capo di Leuca, Tipografia Fava e Garagnani, Bologna, 1871. Per Muro Leccese vd. p. maggiulli. in Bull. Paletn. It., XXXVIII, p. 139. Per la Puglia, m. gervasio, 1913, op. cit.

14 m. bernardini, Gli scavi di Rocavecchia dal 1945 al 1954, in Studi Salentini, I, 1956, pp. 60-61 «Ho esaminato i frammenti in questione mettendoli a confronto con i non numerosi documenti di ceramica micenea esistenti a Roma, nel Museo Preistorico Pigorini e nella collezione Gorga. Malgrado somiglianze evidenti e coincidenze singolari per quanto riguarda i motivi decorativi e il ductus stesso delle larghe pennellate di vernice, riterrei che nessuno dei frammenti possa dirsi miceneo. La terra è grigiastra o bianco- verde, mentre l’argilla dei prodotti che possono riportarsi all’Argolide e alle isole egee ha una consistenza diversa ed un tono più caldo, che va dal giallino al rosa intenso. In più, la superficie di qualsiasi frammento miceneo appare levigato e come pulito alla stecca, mentre la superficie dei frammenti

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Fig. 18 - Lo sviluppo planimetrico della cittadella tardo medievale è dovuta a un disegno preciso che si basa sulla maglia ortogonale con cardo e decumano e la curva ellittica descritta dall'andamento dell'aggere creatosi sopra i resti delle mura dell'età del bronzo.

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La Città Ideale dei Brienne Riferimento principale per l’organizzazione urbanistica delle città medievali dell’area mediterranea, della fascia costiera in particolare, è la maniera islamica1. Tale osservazione vale a spiegare la matrice urbanistica di numerosi centri urbani della Puglia, siti soprattutto in Terra d’Otranto, dove la vicinanza geografica e delle continue influenze culturali con l’Oriente hanno influito significativamente. Tra le città salentine in cui si può riconoscere l’influenza araba sull’impianto urbanistico c’è sicuramente Gallipoli, come riporta, esaltando la perizia del suo architetto pianificatore, lo storico umanista salentino Antonio Galateo nella sua Descriptio Callipolis2. Ciononostante negli stessi anni, sempre il Galateo, nell’altro suo saggio storico sui luoghi natii, il ben noto De Situ Japigiae3, descrisse con eguale enfasi la composizione di una città, Roca, che per la sua formazione urbanistica a maglia ed impianto viario regolare apparve un caso, almeno sino a quel momento, unico in tutta la regione pugliese, eccezion fatta per Manfredonia, notoriamente attribuita a matrice federiciana e portata a compimento in periodo angioino. Roca, la cui rifondazione in periodo medievale viene collocata nello stesso periodo della ricostruzione della città di Manfredi, alla stregua di quest’ultima, come sostiene il professor Enrico Guidoni, era pensata «nettamente e formalmente come una città nuova, senza nessuna concessione alle tradizioni locali e saldamente tenuta in un pugno da un disegno insieme politico e progettuale»4. Uno dei principali processi generatori di questa nuova fondazione in periodo Medievale della città di Roca tiene in considerazione alcune preesistenze, il cui carattere orografico fu ritenuto un’interessante pendenza naturale: trattavasi invece delle fortificazioni dell’età del bronzo che, dirute, apparivano come un imponente declivio. Gli studi cominciati negli anni ottanta dal professor Cosimo Pagliara sull’area di Roca e che, da più di 30 anni, portano alla luce numerosi reperti, si sono in gran parte concentrati Genesi Storica

sugli aspetti protostorici che caratterizzano la penisola, e per quanto siano state rinvenute consistenti evidenze relative al periodo medievale, ancora poco è stato verificato sulla fondazione ed in particolare sulla matrice progettuale e la quanto mai singolare planimetria a pianta regolare che la caratterizza5. Sebbene si evidenzi una tale complessità nel ritrovare fonti legate alle caratteristiche dell’unicità di Roca, si può però procedere analizzando alcuni aspetti evidenti che hanno certamente segnato la sua fondazione come la committenza, il luogo di fondazione, con le preesistenze accennate in precedenza, e i motivi delle scelte progettuali, quali la maglia quadrata e la vocazione militare della città. Secondo la tradizione Roca fu fondata all’inizio del XIII secolo dal Conte di Lecce, Gualtieri VI di Brienne6. Il conte, per recuperare i feudi persi dal padre, si recò ad Avignone in udienza dal papa e fu in quel momento che ebbe l’occasione di conoscere noti mercanti toscani che lo invitarono ad interessarsi alle vicende politiche fiorentine al punto tale di diventare podestà di Firenze. È proprio durante il periodo fiorentino che si crede che Gualtieri abbia fatto conoscenza con i nuovi modelli urbani di origine francese, utilizzati in Toscana per ovviare all’incremento demografico e alla necessità di ampliare i nuclei cittadini. Il modello cui si fa riferimento è uno schema che prevedeva un impianto cruciforme inserito in una maglia regolare a moduli quadrati che, non a caso, verrà ben delineato anche a Roca. Si tratta di un modello che «nel tessuto residenziale a scacchiera composto di isolati esattamente quadrati», dei quali uno è la piazza, viene indicato, appunto, come «il più innovatore e coerentemente progettato»7. Questo modello, chiamato bastides permetteva una proporzionalità equilibrata del suo disegno data dall’intrinseca relazione tra il quadrato, le sue diagonali

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ed i cerchi e semicerchi, figure che venivano utilizzate per la misurazione a terra delle piante e delle strade8. Questo modello si aggiunge al già citato tema della croce, simbolo religioso-cultuale e modello urbanistico, come indica la descrizione del sito come «tenimentum quod vocatur Cruce». Una descrizione dell’aspetto e delle caratteristiche della cittadella medievale le fornì anche il Galateo nel De Situ Japigiae, riconoscendo la qualità della disposizione dell’impianto urbano9, dove analizzò l’etimologia del nome “Roca”, dato al sito dal conte Gualtieri di Brienne. Ancora l’umanista salentino avanza ipotesi sulla destinazione d’uso della cittadella di Roca e dei suoi rapporti con il territorio10, ma le notizie riportate dal Galateo non appaiono del tutto precise, sia alla luce del raffronto con la documentazione attuale ed i dati archeologici raccolti, sia nella comparazione con le analisi effettuate. La città di Roca, le cui rovine tardomedievali hanno da sempre fatto parte del paesaggio locale, costituendone principale attrattiva e negando, in qualche modo, la possibilità di ricercare fonti ancora più antiche, si presenta oggi come una città di fondazione a carattere militare, con maglia ortogonale a moduli regolari di circa 22m x 22m. Il disegno si articola all’interno di una ricostruibile forma circolare, inserita nell’impianto quadrangolare sopra citato, nella quale l’elemento caratterizzante è dato dalla forma del terrapieno generatosi dopo il crollo delle fortificazioni dell’età del Bronzo11. Nell’andamento semicircolare di questo rilievo si è andato ad inserire il modello ideale della bastide che ha generato il disegno urbano della fortificazione. L’aggere può essere indubbiamente considerato come il vincolo generatore dell’intero processo progettuale, successivamente enfatizzato con un ulteriore abbassamento del fossato che ne ha, così, aumentato il margine di sicurezza ed inaccessibilità. Il modulo quadrato rappresenta, dunque, il fulcro di questo disegno che, unitamente all’assetto ortogonale delle strade conferisce quell’aspetto di regolarità elogiato con l’espressione «perpulchro ordine»12: regolarità che

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Roca

Monfalquin

Monpazier

Aigues Mortes

Mirande

Modello delle Bastides

Chiesa

Piazza

Cinta muraria

Porte urbane

Fig. 19 - Confronto tra gli impianti urbani di bastide . Nei differenti casi si ripete l'organizzazione secondo la maglia ortogonale ma differisce la posizione reciproca tra la piazza e la chiesa di ogni insediamento.

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viene interrotta all’incrocio dei due principali assi viari in corrispondenza di uno slargo (ridimensionato rispetto alle piazze delle bastides francesi) in cui si innesta la chiesa. Proprio in questo spazio veniva imbastito il mercato settimanale e, poco distante, si può notare un’altra struttura che spicca per dimensione, probabilmente un’antica armeria o un arsenale di servizio13. Le strade principali, concepite rettilinee e regolari, hanno un’ampiezza media variabile tra i 3 e i 3,50 metri; è interessante notare come le strade trasversali fossero dotate di una pendenza rilevante verso il mare e in particolare quella centrale aveva la funzione di colmo per far il deflusso delle acque piovane. Lungo queste vie, in prossimità delle abitazioni, si aprono numerose bocche di pozzi, chiusi con lastre di calcare locale, che fungevano da silos per la conservazione di derrate alimentari. Gli isolati hanno forma regolare di rettangolo allungato, con lato corto di 22 m, formati da un sistema modulare di lotti standard di 11 x 11 metri (compresi i muri di spessore regolare intorno agli 80 centimetri) che definivano le abitazioni con caratteristiche comuni quali gli accessi dalla strada, la presenza di un camino e dei vani adibiti a latrina. Queste particolarità costruttive, eguali e ripetute, sono tecniche che evidenziano una progettualità ben definita e sistematica della fondazione della città. La quale, oltre a sfruttare i quasi 10 metri di falesia a picco sul mare, era difesa da un percorso murato di notevole spessore che, unito alla bassa profondità del fondale marino attorno alla penisola, la rendeva una vera e propria roccaforte inattaccabile dal mare. Quando a partire dal settembre 1480, vista la sua favorevole collocazione geografica ed il suo profilo altimetrico, vi si stabilirono gli Aragonesi per contrastare eventuali avanzate verso nord da parte dei Turchi, la cittadella era già in gran parte distrutta. A riprova dell’assidua presenza aragonese occorre ricordare la scelta del Duca di Calabria di far di Roca il proprio quartier generale in attesa della liberazione di Otranto14. Le modifiche al piano originario della città si devono dunque

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Fig. 20 - Pianta di un nucleo abitativo in cui sono visibili le partizioni interne dei vani.

alla fine del XV secolo, proprio su ordine del Duca Alfonso. Il principale intervento relativo a questo periodo è riconoscibile nel castello, quasi sicuramente ad impianto triangolare15, che risulta descritto come «lo castello de Rocha, lo quale tucto è stato abrusato da li Turchi»16, un edificio molto simile al modello della rocca di Ostia e coevo di altre fortezze triangolari pugliesi e meridionali (come Carovigno). Questo intervento risulta innestarsi su una già preesistente struttura andando a conferire al complesso generale la forma triangolare risultante dai rilievi17. Ulteriori opere legate al periodo sono l’edificazione di strutture militari, come le casematte, e l’escavazione di due fossati, uno per separare il castello dalla parte abitata (che ancora oggi si legge come taglio netto nel banco roccioso), l’altro, come già affermato, davanti al terrapieno monumentale. Il progressivo declino della città di Roca cominciò a partire dal 1544, quando, su consiglio del Preside della provincia di Terra d’Otranto, Ferrante Loffredo, l’imperatore Carlo V18 ne ordinò l’ostruzione del porto e la demolizione del fortilizio. Secondo le fonti ufficiali, infatti, il fine primario di quest’ultima serie di operazioni sulla piccola roccaforte fu quello di «evitare che diventasse covo di pirati»19.

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A confutare questo primo sospetto della distruzione della città vengono in aiuto gli atti conservati presso l’Archivio General de Simancas in Spagna che sono stati recentemente studiati dall’architetto Giancarlo De Pascalis. Questi evidenziano che nell’anno 1552 Roca era ancora ben fortificata ed il castello era presidiato da una guarnigione di ben 50 soldati; la città stessa era definita come una terra più facile «rubarla per terra che non per mare»20. Da questi studi compare, inoltre, il vero motivo della progressiva e definitiva scomparsa della città: in seguito al fallimento di una congiura da parte dei Francesi nei confronti del Regno di Spagna21, la città fu demolita e successivamente spostata e ricostruita in un’area più interna e facilmente controllabile. I riscontri archeologici dimostrano però che non vi fu alcuna distruzione o saccheggio in quel periodo, bensì, come afferma De Pascalis, un vero e proprio «disfacimento strutturale» dal momento che la città divenne una cava a cielo aperto per la costruzione del piccolo borgo di Roca Nuova che nei successivi anni sorgerà a circa 2km di distanza dal vecchio sito. Il modello urbanistico di Roca e l’innovazione apportata tramite il concetto delle bastides è stato analizzato e metabolizzato da parte delle popolazioni che la occuparono e in particolare dai numerosi architetti della corte Aragonese. L’utilizzo del modulo, come è stato fatto per Roca, è infatti riscontrabile con un prototipo base per la città-ideale del Cinquecento. Ciò non è altro che la conferma di quanto teorizzato dal professor Enrico Guidoni sul tema delle bastides, modello che verrà applicato nei tipi urbani del Rinascimento. A tal proposito un esempio molto interessante di città ideale è senza dubbio rappresentato dal cinquecentesco borgo fortificato di Acaya (Lecce), nell’entroterra poco distante da Roca.

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Note Bibliografiche

1 e. guidoni, Storia dell’urbanistica. Il duecento, Laterza, Bari, 1992.

2 a. de ferraris (Galateo), Callipolis Descriptio Ad Summontium suum, in Epistole salentine a cura di M. Paone, Congedo Editore, Galatina, 1974, pp.242-243 «Osservò quell’uomo […] essere questo luogo esposto a continui venti, perciò le strade non hanno ordine alcuno, il che fu giovevole ed adatto alla salute degli abitanti. Niuna strada costruì diritta procedente da austro a borea che sovente soffiano con gran veemenza, dimodoché una si affaccia all’altra, s’interrompe, si ripiega, si ricurva, scorre, ritorna su se stessa, or si compie in angolo retto, or in angolo obliquo, nuovamente procede rettilinea, ora diverge, in maniera tale che gli abitanti di vecchia età i sentieri rendonsi dubbiosi, inestricabili, intralciati. In cotal modo credette quell’uomo poter frangere e addolcire la forza impetuosa dei venti». 3 a. de ferraris (Galateo), Liber de situ Japigiae, Basilea, 1558, pp. 57-59. Il testo tradotto è edito in: a. de ferraris (Galateo), Liber de situ Japigiae, in Epistole salentine, 1974, op. cit. p. 119. 4 e. guidoni, 1992, op. cit, p. 81.

5 c. pagliara, Roca, in Bibliografia topografica della colonizzazione greca in Italia e nelle isole tirreniche, a cura della Scuola Normale di Pisa e dell’École Française de Rome – Centre J. Berard Naples, v. XVI, Pisa-RomaNapoli 2001, p.197.

6 Esistono alcuni riferimenti storici circa la preesistenza di Roca in diversi documenti trecenteschi e con diversi toponimi, di cui uno datato 1309 nel quale si indica espressamente «[...] tenimentum quod dicitur Roca [...]», ed ancora un altro del 1344 in cui lo stesso luogo si individua come «terra Roce» e «tenimentum quod vocatur Cruce». Tutto ciò induce ad affermare che, citando l’architetto De Pascalis, la stessa Roca fosse già stata fondata dai predecessori angioini del Brienne, così come anche gli scavi archeologici hanno evidenziato in questi anni. m. pastore, Le Pergamene di S. Giovanni Evangelista di Lecce, Centro di studi salentini, Lecce, 1970, pp. 52-54; g. guerreri, Gualtieri VI di Brienne, Casa editrice Leo, Venezia, 1898, pp. 58-65; d. g. de pascalis, Una città di fondazione tra XIII e XIV secolo: il caso di Roca in Terra d’Otranto. Edizioni Kappa, Roma, 2002. 7 e. guidoni, 1992, op. cit, p. 112.

8 Ibidem, p. 112, Oltre a costituire una ordinata pulcritudo dell’impianto, aggiungeva una concreta parità nell’assegnazione dei lotti. Il tessuto viario poi permetteva tale linearità con accessi a 45° derivati dalla grande tradizione della progettazione gotica.

9 a. de ferraris (Galateo), 1558, op. cit. pp. 118-120: «Indi si presenta una città che Gualtiero di Brienne […] chiamò Rocca. Costui, ritornato dall’Oriente, mentre viaggiava da Otranto a Lecce, vide una città distrutta, di una circonferenza poco meno di quella che aveva avuto l’antica Otranto.

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Il luogo dell’arce (come era uso delle città greche) si scorgeva più elevato: da quell’arche fondò una piccola città al punto tale da denominarla Rocca. I francesi infatti chiamano “rocca” ciò che (i Greci) definiscono “arce”. Volle che essa diventasse, come era stata dai tempi antichi (almeno così ritengo), l’emporio dei Leccesi. […] Gualtieri ordinò che fosse abitata dal Questore di Lecce. Egli, condotti alcuni coloni dalla città (di Lecce) e dai casali vicini, la ridusse in forma di città fortificata, e la dispose in un ordine bellissimo di strade». 10 Ibidem, pp.242-243: «I Turchi dopo la presa di Otranto (nel 1480) la uguagliarono al solo, essendo stata abbandonata dagli abitanti, e quindi dalla guarnigione delle nostre truppe. Pria dell’incursione era stata un bel castello, affortificato, circondato nella maggior parte da mare, ed abitato da onesti cittadini. […] Taluni credono che da questo luogo in Grecia il transito fosse più breve di quello di Otranto. Giovannantonio la chiamava fedele e l’aveva prescelta per luogo di delizie, e di ricreamento dello spirito. […] Ella più non esisteva nel tempo degli scrittori, che potrebbero darne ragguagli, fra Otranto e Brindisi lungo la sponda non si vedono altre orme di città antiche che io sappia. […] Una grande palude vicino a questo luogo rende l’aria malsane». 11 t. scarano, Roca I. Le fortificazioni della media età del Bronzo. Strutture, contesti, materiali. Claudio Grenzi Editore, Foggia, 2012. 12 a. de ferraris (Galateo), 1558, op. cit. pp. 242-243.

13 d. g. de pascalis, 2002, op. cit. p. 309.

dell’Iride, Napoli 1855.

19 «Ferrante Loffredo credette prudente misura di proporre la distruzione di quel castello, non potendo altrimenti evitare che diventasse un covo di pirati, ed avutane l’autorizzazione dell’Imperatore Carlo V, ne fece eseguire la demolizione» g. b. di castiglione, Castelli Pugliesi, Officina Tip. Romana – Buona Stampa, Roma, 1927, p 244. Inoltre ritroviamo ancora: «[…] quivi un ponticello comodo pe’ vascelli, che vi capitano dall’Oriente…il quale per ordine della maestà cattolica Filippo II re di Spagna fu assieme colla terra l’anno 1544 soffogato e distrutto da Ferrante Loffredo, governatore a quel tempo della Provincia», g. marciano, 1996, op. cit. p. 396.

20 Archivio general de Simancas (AGS), Estado General, L. 1044-56, ff. 56 e ss. Vd. d. g. de pascalis, 2002, op. cit. p. 312.

21 d. g. de Pascalis, 2002, op. cit. p. 312 «in quegli anni era stata scoperta una congiura che prevedeva un attacco al Regno Spagnolo da parte delle forze Francesi appoggiate dai Veneziani e da alcuni nobili casate di Nardò, di Corigliano d’Otranto e di Roca. La sommossa prevedeva l’assalto per mare da parti di flotte che dovevano sbarcare nei pressi di Nardò e uccidervi il feudatario, mentre le città di Corigliano e di Roca erano già in mano dei ribelli. Considerato che tra le suddette Roca se in mano dei ribelli – de facile non si po’ havere- la repressione della congiura portò conseguentemente alla sua repentina demolizione…»

14 La presenza di Alfonso Duca di Calabria, dei suoi compagni d’arme e delle truppe in Roca è confermata da numerosi dispacci spediti sia dallo stesso Duca sia dagli oratori presenti proprio «apud felicibus castris Rochae». Vd. c. foucard, Fonti di storia napoletana in Archivio storico per le province napoletane a cura della Società di Storia Patria, 1878, pp. 148151. 15 Il modello triangolare di fortezza nello stesso periodo si riscontra oltre che ad Ostia anche a Nicastro (attuale Lamezia Terme) e Capestrano in Abruzzo. 16 d. g. de pascalis, 2002, op. cit. p. 312.

17 L’area del castello Aragonese risulta la meno indagata dalle recenti campagne di scavo come afferma lo stesso archeologo responsabile dell’area di Roca Vecchia, Teodoro Scarano.

18 Sussistono numerosi dubbi a riguardo del fautore di questo provvedimento, in quanto, come riportato dallo storico salentino Girolamo Marciano nella sua Descrizione, origini e successi della Provincia di Terra di Otranto, viene indicato Filippo II d’Asburgo anche se, agli atti, il monarca subentrò a suo padre Carlo V solo a partire dal 1556. Vd. g.marciano, Descrizione, origini e successi della Provincia di Terra d’Otranto, Stamperie

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Fig. 21 - Distribuzione dei castelli e delle torri costiere dopo l'incastellamento e opera di adeguamento delle difese del Regno di Sicilia voluto dal Vicerè di Napoli Don Pedro da Toledo nel 1532.

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La Torre di Maradico Nell’evolversi delle vicende storiche che caratterizzarono il periodo successivo alla dismissione della città medievale di Roca bisogna senza dubbio citare l’avvento delle armi da fuoco nell’esercizio della guerra e le innovazioni che comportarono nell’architettura militare e, più in generale, nelle dinamiche dello sviluppo della difesa del territorio pugliese. La Terra d’Otranto, e questa era convinzione largamente diffusa e sufficientemente ben fondata, costituiva l’estremo baluardo difensivo nei confronti dei Turchi, la cui invasione era sempre temuta dai regnanti di Napoli, che con fatica riuscivano ad arginare e mai prevenire le incursioni piratesche. L’introduzione delle armi da fuoco nell’arsenale bellico sottolineò vieppiù, già dalla fine del XV secolo, l’inadeguatezza del sistema difensivo, toccando il suo apice proprio con l’incursione a Otranto nel 1480 da parte dei Turchi1. Un’ importante fase di riarmo territoriale con la conseguente riconfigurazione difensiva del territorio prese piede per tutta la costa. Le architetture militari vennero adattate alle nuove tecniche di difesa per rispondere della polvere da sparo2. È con l’inizio del viceregno spagnolo di Don Pedro di Toledo3, nel 1532, che prende avvio un sistematico e sostanzioso intervento di trasformazione edilizia che coinvolge soprattutto i feudatari e i loro possedimenti4. Cinte murarie per città e casali, nuovi castelli, monasteri e masserie fortificate, queste le opere create per soddisfare le esigenze di quel periodo: opere capaci di modificare radicalmente l’aspetto urbanistico, architettonico e paesaggistico dell’intero territorio. Un esempio concreto di tutte queste attività edilizie fu il costituirsi di una fitta rete di torri di guardia costiere che, fino all’Ottocento, servì a difendersi dalle continue incursioni piratesche e dalle minacce saracene. Numerose indicazioni vennero fornite affinché si stabilisse un modus operandi e si definissero i materiali adatti all’edificazione, ma, soprattutto, venne stabilito che le torri Genesi Storica

Fig. 22 - Distribuzione delle masserie fortificate nella provincia di Lecce. Queste strutture agricole a carattere difensivo, si concentrano e addensano nelle aree prossime alla costa.

dovessero essere disposte in modo da consentire la visibilità, da ciascuna torre, della torre precedente e quella successiva lungo la linea costiera. Solo nel 1569 furono erette ben ventotto torri, ma, un anno dopo, l’edificazione di queste venne interrotta, non solo a causa delle ingenti spese che i comuni dovettero sostenere per la costruzione e l’armamento, ma anche perché alcune di queste venivano smantellate in corso d’opera dai corsari turchi. Nel 1590 si contavano 339 torri costiere in tutto il Regno: un numero notevole ma comunque insufficiente per un’ottimale difesa del territorio e nel frattempo alcune di

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queste «crollavano sia per la mancanza di manutenzione e sia perché, soprattutto, non pochi costruttori disonesti le avevano realizzate con materiali inidonei e non a regola d’arte»5. Per quanto riguarda la situazione di Roca, seguendo la traccia riguardante i nuovi sistemi difensivi introdotti dagli spagnoli tra il XV e il XVI secolo, si riesce ad individuare una data particolarmente significativa: il 1568. È proprio in questo anno che il viceré ordinò di costruire nuove torri costiere di avvistamento affinché si riuscisse a completare il primo anello difensivo in Terra d’Otranto, ed è proprio in quell’anno che fa la sua comparsa la torre di Roca Vecchia. Detta anche torre di Maradico, essa sorge su una piccolo lembo di terra che si distacca dal promontorio della cittadella attraverso un canale netto e definito, probabilmente frutto dell’attività antropica di cavatura del banco roccioso. La posizione di quest’isolotto, dal momento che è il punto più esterno della costa, garantiva un perfetto controllo del traffico marino ma anche degli ingressi alle due baie presenti nella zona, la baia dello Nfocaciucci e quella della grotta della Poesia. Attraverso vari studi si è andata a tracciare la rete delle distanze che legava una torre con l’altra proprio in funzione di quell’intervisibilità necessaria tra un punto ed i due adiacenti. Viene riportato infatti che la torre in direzione sud rispetto quella di Roca, ovvero quella di Torre dell’Orso, dista 2 miglia, mentre la torre verso nord, quella di San Foca, dista 3 miglia. 6 La torre presenta un impianto quadrangolare ed una struttura in blocchi di pietra calcarea locale. Numerosi studi inerenti gli aspetti architettonici di queste fortificazioni ci inducono a comprendere come per le torri realizzate a partire dalla seconda metà del ‘500 si sia preferita la caratteristica forma quadrangolare a quella, più classica, circolare7. La torre presenta poi alcune aperture che affacciano sul mare per consentire gli avvistamenti, ed è presente un varco, rivolto verso la terraferma per consentire i cambi di guardia alle sentinelle. La torre, per quanto in rovina, presenta, certamente un

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piano impalcato sopraelevato, il varco di accesso, infatti, è collocato a circa 4 metri di altezza; mentre al livello del terreno essa si presenta come un corpo pieno e privo di aperture, caratteristica che la rendeva meno accessibile e più sicura8. Come redatto in un documento storico, è partire dal 1576 che la torre di Roca riceve i fondi per essere armata ed essere ufficialmente riconosciuta come baluardo difensivo9. E ancora, nel 1582, per la guardia presso la torre, vengono scritti una serie di verbali mensili che attestano l’avvenuto servizio di vari guardiani10. L’ultima notizia, che riguarda la frequentazione dell’area di Roca Vecchia, e quindi della torre costiera, in quanto la cittadella era ormai stata smantellata, si attesta al 1639 quando Agostino Lopez viene sostituito nella carica di caporale della torre da Carlo Viglialovos11.

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Note Bibliografiche

1 g. marciano, op.cit., pp. 385-394; l. carducci, Storia del Salento, la Terra d’Otranto dalle origini ai primi del Cinquecento – Società, Religione, Economia, Cultura, Congedo Editore, Galatina (Le), 1993, p. 340-342.

2 r. de vita, Pietre di Puglia e loro impiego nei monumenti. I Castelli, in Marmo-Tecnica-Architettura, a. VII, 1, Adda Editore, Bari, 1966, pag.38. in r. de vita, Castelli torri ed opere fortificate di Puglia, Adda editore, Bari 1974, p.23. «Si rese necessaria la cimatura delle torri e la forma cilindrica; quindi la presenza di torrioni casamattati e le mura scarpate. I castelli aragonesi seguirono fino al XVI secolo gli stessi principi di quelli angioini: scomparvero in quel periodo molte fortificazioni medievali, distrutte o incorporate nelle nuove...Prevalgono in questo periodo le piante a sistema quadrato con bastioni romboidali ai vertici, secondo le regole del Sangallo e del Sansovino (Barletta, Mola, Lecce, Copertino) od a mandorla come a Carovigno. Ovvero con torrioni casamattati (Manfredonia, Taranto, Brindisi, Otranto, Roca, Acaja, Corigliano) oppure torrioni posti all’estremo di un puntone sporgente dal fianco del Castello come accade a Gallipoli nel Rivellino».

3 Don Pedro Alvarez de Toledo (Salamanca, 1484 – Firenze, 22 febbraio 1553), fu marchese di Villafranca, e dal 1532 al 1553 fu Viceré di Napoli per conto di Carlo V d’Asburgo. Tra le ragione della sua opera di fortificazione del Regno di Napoli ci fu senz’altro quella politica, cioè distogliere e tener impegnata la nobiltà locale da qualsiasi velleità di apparentamento con la corona francese, visti i tentativi di ribellioni già verificatisi nel 1528. Su Don Pedro de Toledo: c. de seta, Le città nella storia d’Italia: Napoli, Il Viceregno, Laterza, Roma – Bari, 1988, pp. 106-128; o. brunetti, A difesa dell’Impero. Pratica architettonica e dibattito teorico nel viceregno di Napoli nel Cinquecento, Congedo, Napoli, 2006, pp.126-144.

società moderna nel secondo Cinquecento Macchiaroli Editore, Napoli, 1998; vd. Anche a. costantini, Le masserie del Salento, Congedo Editore, Lecce, 1990. Addentrandoci, per l’argomento torri, nei meriti della scelta di questa soluzione rispetto ad altre, la stessa è da ricercare nel fatto che si sia voluto con questa soluzione ottenere una migliore dislocazione dell’artiglieria sui quattro lati dell’edificio fortificato.

8 Ibidem, tra le caratteristiche costruttive tipiche di queste strutture, vanno segnalate la presenza di una porta verso l’esterno, in direzione del centro abitato più prossimo, di un terreno circostante di 60 passi per lato, mentre al loro interno trova la collocazione una cisterna per la conservazione dell’acqua.

9 ASL, Protocolli Notarili, Notaio Cesare Pandolfo di Lecce, (46/4), a. 1577 (1576), fol. 98; g. cosi, Torri marittime di terra d’Otranto, Congedo Editore, Lecce, 1989, p.59. 10 ASN (Archivio di stato di Napoli), Regia Camera della Sommaria, Patrimonio, Torri e castelli, vol.121, fol.17. 11 ASL, Protocolli notarili, Notaio Donato Maria Brunetti di Lecce (46/4), a. 1639, fol. 148; G. Cosi, 1989, op. cit. p. 59.

4 m. de marco, Torri e castelli del Salento. Itinerario costiero, Capone Editore, Lecce, 1994, p.19. «Ma, nonostante gli ordini e le istruzioni impartite ai governatori e agli ingegneri, in Terra d’Otranto, come altrove, poche furono le torri che vennero effettivamente edificate; in alcune parti del regno, addirittura, non se ne realizzò alcuna. Ciò avvenne perché le università, ossia i comuni, ritennero ingiusta la ripartizione della spesa, considerando che lo Stato essendosi obbligato alla costruzione generale delle fortificazioni costiere, faceva gravare inopportunamente su centri abitati, ossia sulle comunità più danneggiate e più esposte ai continui pericoli, le spese di fabbrica alle quali dovevano aggiungersi quelle, non meno onerose e continuative, del servizio di guardia». 5 Ibidem, p. 19.

6 Elementi riportati al Cap. IV del Circuito, delle distanze, e degli intervalli della Provincia di Terra d’Otranto da torre a torre co’ rivolgimenti e lingue del mare. In: g. marciano, op. cit, p.140-143.

7 r. aiello, g. d’agostino, f. de negri, Napoli e Filippo II. La nascita della

Genesi Storica

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ROCA VECCHIA OGGI: TRA ARCHEOLOGIA E BALNEAZIONE


Fig. 23 - Tavola di analisi delle criticità e dei servizi presenti nell'area delimitata dalla cinta messapica.

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L’Area Archeologica di Roca: Stato di Fatto e Criticità Il sito archeologico di Roca Vecchia è localizzato sulla costa adriatica del Salento, nel territorio del Comune di Melendugno, a circa 20km a S/E di Lecce. L’area, sottoposta a vincolo archeologico diretto secondo le direttive del MiBAC, è costituita dal territorio racchiuso all’interno delle mura di cinta dell’insediamento messapico, risalenti al VI sec a.C. Tale opera di fortificazione si sviluppa per una lunghezza approssimativa di 1,5km, toccando in due punti la costa: a Nord presso l’insenatura del promontorio su cui sorge l’insediamento protostorico e a Sud, in prossimità dell’abitato di Torre dell’Orso. Il promontorio denominato area “Castello-Carrare” ha oggi un’estensione di circa 3 ettari ed è affiancato da una serie di isolotti, sul maggiore dei quali sorge la torre di guardia denominata “Torre di Maradico” che si inserisce nel sistema di torri costiere edificate in epoca rinascimentale dal regno spagnolo per monitorare e difendere la costa da attacchi stranieri. L’istmo che collega il promontorio con la terraferma ha attualmente una lunghezza di 200 metri ed è segnato da due profonde e progressive ingressioni marine, una nella baia di Nfocaciucci a Nord, e l’altra a Sud nell’insenatura di fronte la piccola chiesa della Madonna di Roca. Il principale polo attrattore di quest’area è situato a 200 metri a Sud del promontorio ed è, senza dubbio, la Grotta della Poesia Grande, una cavità carsica completamente invasa dalle acque marine e aperta sul piano di campagna per via del crollo della volta. È proprio questo elemento naturale che offre uno scenario marino tanto raro quanto spettacolare, pubblicato su riviste e oggetto di servizi televisivi che hanno fatto il giro del mondo, a far da motore per l’avvento di migliaia di turisti ogni anno. A contribuire al riconoscimento del valore dell’area e alla definizione dei vincoli vigenti su di essa vi è inoltre la documentazione estratta dal Piano Paesaggistico Territoriale Regionale: «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

zona costiera e di parte del territorio comunale di Melendugno Istituito ai sensi della L. 1497 G. U. n. 121 del 10.05.1974».1 Grazie ai temi presentati in questo estratto vengono documentate sia l’importanza che l’area ricopre a livello comunitario sia le debolezze che la affliggono da un punto di vista antropico, culturale e paesaggistico. Attualmente, infatti, tutta la fascia costiera, che comprende sia il promontorio con l’area archeologica e la torre cinquecentesca, sia il sistema delle Grotte della Poesia, è sottoposta a vincolo idrogeologico2 proprio a causa della delicatezza del substrato costiero costituito da materiale calcareo in continua balia delle maree e degli agenti atmosferici ed antropici. Sono visibili infatti, anche nell’arco di pochi decenni, i mutamenti del profilo costiero a favore del mare che, anno dopo anno, agisce in maniera distruttiva sulla costa rendendola sempre più pericolosa per i suoi repentini crolli e mutamenti.3 La viabilità, inoltre, è un tema chiave circa la problematica della fragilità della costa: la strada litoranea che collega i centri a nord e a sud dell’area di Roca Vecchia è fonte di continue sollecitazioni del banco roccioso che mettono a rischio l’integrità del panorama locale. La strada litoranea in quel punto definisce l’unico collegamento tra Roca Li Posti (a nord) e Torre dell’Orso (a sud) che viene quotidianamente sfruttata da mezzi carrabili a discapito invece dei collegamenti pedonali e ciclabili. Ma è l’intero ecosistema costiero ad essere in crisi: a causa dell’erosione del litorale sono stati alterati gli habitat con una conseguente perdita di biodiversità e delle connessioni ecologiche per la flora mediterranea e la fauna selvatica. A sottolineare l’elevata importanza dell’area da tale punto di vista è l’esistenza di diversi siti di rilevanza naturalistica individuati nel PPTR4, tra i quali emergono le aree SIC (Siti di interesse comunitario) e ZPS (Zone di protezione speciale)5. La presenza della meravigliosa piscina naturale, che

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offre uno scenario alternativo e indimenticabile al turismo balneare, garantisce, anno dopo anno, un afflusso di persone che vivono in maniera spontanea ed inconsapevole un sito che in realtà porta con sé una ricchezza eterogenea per tipologie e periodi storici. È infatti più a Nord, sul promontorio Castello–Carrare, che si può osservare un’incredibile stratificazione di periodi storici, delimitati su strada da una recinzione in muro a secco, e sul mare dall’impervia nonché cedevole falesia, vi sono, infatti, reperti che spaziano dal XVI secolo a.C fino al XVI secolo d.C. definendo un’area caratterizzata da una ricchezza e una diversità di rinvenimenti con pochi eguali in tutto il Mediterraneo. Nonostante questa grande ricchezza in materiale e in patrimonio individuata anch’essa dal PPTR6, il polo attrattore resta costantemente uno: la Grotta della Poesia, dove si riversa la stragrande maggioranza dei turisti, che in minor numero invece prendono poi parte alle visite nell’area archeologica. La problematica essenziale di questo luogo è proprio quella di non riuscire a restituire una chiara lettura della storia sulla base delle evidenze presenti. Una delle principali minacce individuate per il patrimonio archeologico risulta quindi la fruizione turistica e la conservazione del sito. I rischi non vengono posti soltanto dal numero di turisti che accedono all’area bensì anche dal comportamento che i visitatori assumono una volta che si trovano faccia a faccia col bene. Spesso il comportamento dei visitatori ha a che fare con la mancanza di strutture ricettive presso il sito, di segnaletica informativa, di percorsi chiari, di strutture all’altezza e, soprattutto, di manutenzione: lacune gestionali e amministrative che hanno generato, nei confronti del sito da parte dei visitatori, una diffusa risposta psicologica repulsiva, nel migliore dei casi, distruttiva nel peggiore. Un sito abbandonato o percepito come tale dà al visitatore la possibilità di assumere un atteggiamento di noncurante permissività che spesso arriva a tradursi in comportamenti vicini al vandalismo. La pressione turistica, in particolar modo quella dei mesi di alta stagione estiva, porta con sé comportamenti come

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parcheggio diffuso e viabilità incontrollati, che mettono a dura prova, se non decisamente in ginocchio, la capacità del sistema ambientale di assorbire le continue sollecitazioni e provoca di conseguenza progressivi fenomeni di degrado. Se si persegue l’obiettivo di tutelare e valorizzare l’area, la parte più difficile da raggiungere è la creazione di un struttura concettuale per la pianificazione della gestione del patrimonio, che veda nel riconoscimento del valore del sito e dei soggetti interessati degli elementi fondamentali per efficaci piani di sviluppo sostenibili nel tempo. A tal proposito è già in fase di attuazione la proposta avanzata dall’amministrazione del Comune di Melendugno per il “Progetto per la valorizzazione integrata del paesaggio costiero di Melendugno”7. Il progetto è fondato sull’idea di rinaturalizzazione dell’area eliminando quasi completamente il traffico veicolare costiero e intervenendo sui sistemi viabilistici locali. Alla base di questo vi è la consapevolezza che le connessioni stradali, la qualità del traffico e un’infrastruttura lenta possano migliorare la vivibilità di tutta l’area; di conseguenza è prevista una riqualificazione integrata del paesaggio che coinvolga gli spazi pubblici, i waterfront, i parcheggi e la continuità di connessione lungo tutta la costa.

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Note Bibliografiche

1 “La zona predetta ha notevole interesse pubblico perché, per la sua originaria bellezza e composizione naturale, caratterizzata da macchie verdi, maestosi oliveti, pregiate essenze locali, acque sia di falda freatica che carsica che alcune volte affiorano in vere sorgenti, attraversata dalla litoranea salentina che, fiancheggia, in questo tratto dell’Adriatica, parallelamente la costa per circa 10 km, costituisce un quadro panoramico di eccezionale importanza, nonché, per la presenza di antichi resti monumentali, un insieme di cose immobili avente valore estetico e tradizionale” in D.M. 01/12/1970.

In Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera e di parte del territorio comunale di Melendugno Istituito ai sensi della L. 1497 G. U. n. 121 del 10.05.1974.

2 Aree soggette a vincolo idrogeologico (art. 143, comma 1, lett. e, del Codice). Consistono nelle aree tutelate ai sensi del R.D. 30 dicembre 1923, n. 3267, Riordinamento e riforma in materia di boschi e terreni montani, che sottopone a vincolo per scopi idrogeologici i terreni di qualsiasi natura e destinazione che, per effetto di forme di utilizzazione contrastanti con le norme, possono con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime delle acque, come delimitate nelle tavole della sezione 6.1.2 del PPTR. 3 La frequenza e l’entità dei fenomeni di instabilità lungo la costa e nella Grotta della Poesia hanno indotto le locali autorità a realizzare opere a difesa dell’erosione costiera; si è posta pertanto l’esigenza di indagini volte a definire l’evoluzione morfologica del tratto costiero tra Porto Ligno e Torre dell’Orso anche al fine della salvaguardia della Grotta della Poesia. È stato dunque attuato il progetto per il Monitoraggio statico del tratto costiero tra Porto Ligno e Torre dell’Orso e salvaguardia della Grotta della Poesia affidato da Consorzio Universitario Interprovinciale Salentino all’Osservatorio di Fisica e di Chimica della Terra e dell’Ambiente, oggi Osservatorio di Chimica, Fisica e Geologia Ambientali dell’Università di Lecce. L’iniziativa dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Lecce aveva l’obiettivo di valutare la stabilità di Grotta della Poesia.

Vd. m. t. carrozzo, Evoluzione morfologica del tratto costiero tra Porto Ligno e Torre dell’Orso e salvaguardia della Grotta della Poesia – Relazione di sintesi, 2003.

a) Zone di Protezione Speciale (ZPS) - ai sensi dell’art. 2 della deliberazione 2.12,1996 del Ministero dell’ambiente - e “un territorio idoneo per estensione e/o per localizzazione geografica alla conservazione delle specie di uccelli di cui all’allegato 1 della Dir. 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, tenuto conto della necessità di protezione di queste ultime nella zona geografica marittima e terrestre a cui si applica la direttiva stessa”;

b) Siti di Interesse Comunitario (SIC) e Zone Speciali di Conservazione (ZSC) sono siti che, nella o nelle regioni biogeografiche cui appartengono, contribuiscono in modo significativo a mantenere o a ripristinare un tipo di habitat di cui all’allegato A o di una specie di cui allegato B del D.P.R. 8 settembre1997 n. 357, in uno 52 stato di conservazione soddisfacente e che può, inoltre, contribuire in modo significativo alla coerenza delle rete ecologica Natura 2000 di cui all’art. 3 del d.P.R. 8 settembre1997 n. 357, al fine di mantenere la diversità biologica nella regione biogeografica o nelle regioni biogeografiche in questione. 5 La valenza ecologica della zona, è rappresentata nelle cartografie e nei data base del sistema delle aree protette e della Rete Natura 2000 che sono state alla base del Progetto della Rete Ecologica Regionale. La valenza ecologica dell’area sottoposta a vincolo è di livello variabile: alta lungo la fascia costiera e medio-alta nelle restanti zone interne. L’area risulta inserita in diversi siti di rilevanza naturalistica: i SIC Alimini, Le Cesine, Torre dell’Orso, Palude dei Tamari, ed i SIR Palude e Macchia di Cassano e Macchie del Barone.

6 Zone di interesse archeologico (art 142, comma 1, lett. m, del Codice) in Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona costiera e di parte del territorio comunale di Melendugno Istituito ai sensi della L. 1497 G. U. n. 121 del 10.05.1974. 7 Il Comune di Melendugno, nell’ambito delle iniziative del Piano Paesaggistico Territoriale della Regione Puglia per la individuazione dei Progetti Integrati di Paesaggio per la Valorizzazione e Riqualificazione integrata dei Paesaggi Costieri della Puglia, ha bandito un concorso di progettazione per l’acquisizione di una proposta progettuale finalizzata alla “Valorizzazione e riqualificazione integrata dei Paesaggi Costieri del comune di Melendugno”.

4 Siti di rilevanza naturalistica (art. 143, comma 1, lettera e, del Codice). Consistono nei siti ai sensi della Dir. 79/409/CEE, della Dir. 92/43/CEE di cui all’elenco pubblicato con decreto Ministero dell’Ambiente 30 marzo 2009 e nei siti di valore naturalistico classificati all’interno del progetto BioItaly come siti di interesse nazionale e regionale per la presenza di flora e fauna di valore conservazionistico, come delimitati nelle tavole della sezione 6.2.2 e le aree individuate successivamente all’approvazione del PPTR ai sensi della normativa specifica vigente. Essi ricomprendono:

Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

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Fig. 24 - Stato di fatto dell'area.

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Il Tavolo Tecnico di Gestione: Quattro Attori, un Futuro Data la sua importanza documentale, paesaggistica e turistica, l’area archeologica di Roca, vede la compresenza di diversi attori che, con competenze e interessi diversi, si impegnano assiduamente a migliorarne i servizi, farla conoscere anche al di fuori dei confini locali e nazionali, valorizzarla e proteggerla senza snaturarne la storia o intaccarne la bellezza intrinseca. La collaborazione tra figure istituzionali, istituti di ricerca e singoli cittadini è la chiave per far si che un’area del genere possa essere vissuta regolarmente ed essere allo stesso tempo sia protetta che oggetto di politiche di trasformazione territoriale che la valorizzino e reintegrino all’interno di visioni a più grande scala. Oggi Roca è al centro di una discussione attiva che negli anni futuri potrà dimostrare come attraverso la collaborazione tra professionisti di diversi settori, enti pubblici e privati, istituzioni locali e nazionali, studiosi e turisti, sia possibile proporre e mettere in campo politiche di salvaguardia per le aree archeologiche che vadano oltre l’ormai abusato confinamento all’interno di recinti e limiti fisici. Nei mesi di agosto e settembre, in occasione dei primi sopralluoghi all’area archeologica, abbiamo avuto la possibilità di incontrare personalmente le figure che lavorano con l’obiettivo di rendere Roca un luogo attivamente inserito nella vita dei cittadini. Abbiamo potuto constatare come sia stato creato un tavolo di discussione partecipata e fertile, di idee e progetti tra la Soprintendenza per Archeologia belle arti e paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce, l’Amministrazione Comunale di Melendugno e l’Università del Salento. Ci è stata data la possibilità di conoscere l’entità dei problemi di carattere gestionale relativi ad una realtà come Roca, quali intenzioni e proposte sono sul tavolo della dibattito e allo stesso tempo di presentare le nostre prime idee progettuali, trovando un dialogo proficuo e un interesse sincero verso la questione architettonica da parte di tutte le figure contattate; Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

di seguito abbiamo deciso di riportare i temi emersi durante gli incontri con Maria Piccarreta, Soprintendente ai beni archeologici per la provincia di Brindisi e Lecce, Marco Potì, sindaco del Comune di Melendugno, Roberto Rollo, consigliere con delega al patrimonio e all’urbanistica per il Comune di Melendugno, e Teodoro Scarano, correlatore della presente tesi e professore per Università del Salento a capo delle spedizioni archeologiche nell’area di Roca. Infine abbiamo dato voce anche ad alcuni fruitori dell’area, tra cittadini locali e turisti, nella consapevolezza e convinzione che i luoghi appartengano a chi li vive e che solo grazie ad una presa di coscienza dei cittadini possano essere attivamente salvaguardati.

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Fig. 25 - Tavola degli ambiti descritti dal PPTR redatto dalla Regione Puglia.

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Amministrazione Comunale di Melendugno Sindaco Marco Potì; Consigliere Comunale Dott. Roberto Rollo Tra le figure che partecipano al Tavolo Tecnico, a rappresentare il Comune di Melendugno troviamo il Sindaco Marco Potì ed il Consigliere Comunale con delega al patrimonio e all’urbanistica Roberto Rollo. Nel mese di settembre 2020 abbiamo avuto la possibilità di incontrarli e discutere con loro circa le idee e le visioni future sull’area; Roca Vecchia infatti non è altro che la punta di diamante tra le marine che rientrano nei confini del Comune. Ciò che è subito emerso dall’incontro è come l’area di Roca rappresenti per l’Amministrazione un unicum all’interno del ventaglio dei suoi numerosi sbocchi sul mare, rappresentando un luogo sì fragile ma, allo stesso tempo, potenzialmente trainante per lo sviluppo dell’intero territorio comunale: è obiettivo dichiarato dei nostri interlocutori quello di far crescere il territorio di Melendugno attivando gli strumenti del turismo e della fruizione culturale che abbiano l’area archeologica di Roca come primo polo attrattivo.

I primi interventi di valorizzazione dell’area

Negli ultimi anni l’Amministrazione ha iniziato a manifestare attivamente il suo interesse sull’area, il Comune ha istituito alcuni servizi legati ad associazioni che si sono succedute nel tempo, soprattutto per la fruizione e manutenzione dell’area; ma è da quando è stato istituito il Tavolo Tecnico insieme all’Università del Salento e alla Soprintendenza che si sono mossi i primi passi verso l’effettiva valorizzazione. Primo intervento pilota da parte del Comune, su indicazione della Soprintendenza, è stato quello di realizzare, a partire dall’estate 2019, un parcheggio a pagamento all’interno della fascia di rispetto dell’area archeologica. Tale infrastruttura, realizzata ad impatto zero e con tecnologie reversibili, è ideata per operare nei periodi estivi secondo concessioni rilasciate annualmente e vincola i suoi introiti interamente all’autofinanziamento delle spese di gestione dell’area archeologica.

Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

Gli interventi portati a compimento negli ultimi due anni sono stati finanziati in parte dai ricavi del parcheggio e in parte da risorse stanziate dal Comune, e hanno riguardato la sicurezza e la fruizione dell’area, traducendosi in: installazione di bagni pubblici, costruzione di un marciapiede lungo la strada litoranea e di un muro che delimiti ed impedisca l’accesso irregolare all’area. In particolare riguardo la creazione di una barriera fisica, l’opinione del Sindaco è contraria all’inserimento di un simile limite; egli sostiene, invece, e noi con lui, che sia attraverso il senso civico e l’educazione del “pubblico” (cittadini e turisti) al buon uso dello spazio che si possa raggiungere la consapevolezza della fragilità e dell’importanza dell’area. La scelta dell’Amministrazione non è stata infatti quella di “militarizzare” l’area tramite una chiusura, rendendola inagibile, bensì quella di incentivare il senso civico con l’obiettivo di mutare le abitudini delle persone che la visitano. A livello gestionale, infatti, l’Amministrazione ha cominciato negli anni a far rispettare la legge regionale sui geositi che stabilisce e norme per una corretta fruizione degi stessi, come il divieto di ingresso nei cunicoli carsici, ed altre ancora,quali il divieto di introdurre cibi e bevande, il bivacco e la vendita, una serie di regole, prima non previste o non rispettate, volte a garantire una fruizione consapevole ed oculata all’area, precedentemente gestita in maniera incosciente e occupata senza riguardo alcuno.

Gli interventi sul territorio e la destagionalizzazione

Un altro obiettivo dichiarato è quello di inserire Roca nel sistema dei poli attrattivi del Salento oltre ai già affermati Otranto, Leuca, Gallipoli e Lecce. In tal senso Roca e Melendugno non si configurerebbero più come un punto di passaggio per raggiungere quelle mete che certamente godono di maggiore (certamente meritata) fama “mediatica”, bensì come un punto di arrivo e stazionamento; obiettivo,

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questo, osteggiato dalla presenza della strada litoranea ad alto scorrimento che taglia l’area e la conforma come un tracciato più che come un nodo. È attraverso interventi urbanistici ed infrastrutturali che il Sindaco ritiene di poter migliorare la situazione facilitando l’accessibilità attraverso parcheggi e sistemi di mobilità dolce, come i percorsi ciclopedonali, e potenziando la ricettività sull’area. Grandi aspettative vengono riposte nel “Progetto per la valorizzazione integrata del paesaggio costiero di Melendugno”, finanziato da Regione Puglia, che andrebbe a mutare la viabilità deviando i tracciati a scorrimento veloce nell’entroterra e favorendo, sulla fascia costiera, quelle

mobilità dolci che possano collegare i poli attrattivi con strade di penetrazione accompagnate da parcheggi correttamente posizionati per i flussi in arrivo. L’obiettivo ultimo cui ambisce l’amministrazione, nonostante la prossimità del termine del mandato, è quella di riuscire a destagionalizzare l’area, vale a dire riuscire a far vivere il territorio non solo durante il periodo estivo grazie al turismo balneare, che, inutile negare, rappresenta una certezza per tutto il Salento. Secondo l’Amministrazione, quello che può muovere questo cambiamento sono proprio i beni culturali e le potenzialità dell’area di Roca Vecchia, che devono essere sfruttati attraverso bandi pluriennali di gestione che permettano una

Fig. 26 - Foto che mostra le transenne posizionate alcuni anni fa dal comune per evitare la balneazione all'interno della Grotta Poesia Grande.

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programmazione di attività per 365 giorni l’anno. Una proposta ambiziosa è anche quella di creare un museo nel territorio del Comune di Melendugno che avrebbe l’obiettivo di accentrare tutti i reperti rinvenuti a Roca Vecchia, evitando una dispersione nei musei limitrofi. Sono infatti numerosissimi i reperti attualmente esposti nei vari musei del Salento, e altrettanti sono i reperti che ancora non hanno trovato una collocazione perché stoccati in depositi. Sottolinea inoltre il Consigliere Roberto Rollo che per Melendugno è fondamentale attivare un museo, già individuando in un immobile da ristrutturare il luogo che andrebbe ad ospitarlo, dal momento che sono giunte in maniera consistente numerose richieste per esporre i reperti di Roca che non sono ancora stati collocati. L’occasione quindi di creare un polo museale avrebbe il duplice obiettivo di portare finalmente alla luce il frutto di anni di campagne di scavo da parte degli archeologi, ma, in particolare, anche di revitalizzare il Comune stesso facendolo crescere a livello territoriale. Tale ipotesi progettuale andrebbe poi a collocarsi all’interno di una proposta più ampia, che si estende all’intero territorio salentino, di costituire una rete dei beni culturali con un sistema di biglietto unico per poter visitare in maniera coerente tutte le ricchezze presenti. Due quindi gli interessi che permetterebbero di attirare turismo in maniera costante durante l’arco dell’anno: nel periodo estivo la fruizione balneare, affiancata nei periodi di bassa stagione da una solida offerta culturale coordinata e ben gestita.

Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

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Fig. 27- Tavola delle evidenze archeologiche all'interno dell'area della cinta messapica.

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Soprintendenza per Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce Funzionario archeologo Dott.ssa Serena Strafella Considerato il ruolo fondamentale svolto dalla Soprintendenza di Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Brindisi e Lecce all’interno del Tavolo Tecnico, abbiamo ritenuto tanto utile quanto necessario interfacciarsi con tale istituzione per approfondire le dinamiche che regolano la gestione e lo sviluppo di un’area archeologicamente e paesaggisticamente rilevante come quella di Roca. Abbaiamo avuto quindi la possibilità di incontrare più volte la dott.ssa Serena Strafella, funzionario archeologo della Soprintendenza, che segue in prima persona da anni le trasformazioni e i progetti in atto nell’area di Roca. Il contributo della dott.ssa Serena Strafella, concretizzatosi inizialmente nell’ausilio durante le prime fasi di ricerca di materiale di studio presso l’archivio della Soprintendenza, si è nel tempo evoluto in un proficuo e costante confronto tra le nostre idee progettuali e le istanze e prescrizioni definite dall’organo istituzionale: apporto, questo, fondamentale per la buona riuscita del presente lavoro di tesi. A ciò si aggiunga l’essenziale occasione di apprendimento dei metodi e dei processi che regolano l’attività della Soprintendenza, di come vengano gestiti i rapporti con gli altri attori in gioco e i privati, ma soprattutto dei piani e delle previsioni future che andranno, auspicabilmente, a trasformare e valorizzare l’area circostante Roca Vecchia: comprendere le procedure e i meccanismi che regolano il lavoro delle singole istituzioni e la cooperazione tra le stesse nell’ottica di un chiaro obiettivo futuro è conditio sine qua non un progetto di architettura per l’archeologia non può trovare nè ragioni d’esistenza, nè, tantomeno, attuazione.

La gestione del Tavolo Tecnico

Il Tavolo Tecnico cui siedono Soprintendenza, Comune di Melendugno e Università del Salento è l’organo che gestisce e regola i processi decisionali relativi alla gestione dell’area

Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

archeologica di Roca, mediando tra le idee e gli interessi delle parti in gioco. Istituito in occasione di un primo bando di finanziamento di Regione Puglia nel 2019, ha dimostrato negli anni la sua efficacia nel portare avanti la valorizzazione di Roca partendo dall’idea iniziale di autofinanziamento delle attività di ricerca e trasformazione dell’area grazie a interventi mirati e necessari. La discussione tra le parti, condotta spesso con colloqui informali, si traduce in incontri ufficiali che possono accogliere, a seconda di obiettivi specifici, altri enti o figure pubbliche e private; da tali incontri emergono le scelte e i progetti condivisi, seguiti da comunicazioni ufficiali che permettono di restituire un resoconto di quanto discusso ed avere una prova tangibile dei motivi che hanno portato a determinate conclusioni, definendo quindi un’importante regesto di proposte e atti consultabile da enti esterni o che dovessero manifestare interesse nell’area (o essere chiamati ad esprimere un parere in merito) in futuro. Nello specifico, il ruolo della Soprintendenza è quello di aiutare gli altri attori, tra cui gli eventuali progettisti coinvolti nei processi di trasformazione, a formulare le proposte più adatte ad aree fragili come Roca, considerando sia i vincoli diretti di tipo archeologico, sia indiretti di carattere paesaggistico-ambientale, disposti dal Piano Paesaggistico della Regione Puglia, generalmente più vincolanti. La Soprintendenza ha quindi un ruolo di verifica, di supporto alla redazione di progetti valutati caso per caso che andranno ad essere poi autorizzati dalle commissioni locali disposte da Comuni e Regione. Se da un lato il rapporto tra enti, istituzioni e progettisti sembra essere prospero e attivo, dall’altro il confronto con organizzazioni e cittadini privati è spesso luogo di scontri. Nonostante l’intera area circoscritta dal tracciato murario messapico sia posta sotto vincolo archeologico, essa non

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appartiene interamente al demanio pubblico: sono presenti infatti alcune particelle private che, a partire dai primi decenni del ‘900 ospitano corpi di fabbrica realizzati senza particolare attenzione al substrato archeologico. I privati che hanno realizzato tali corpi di fabbrica in tempi antecedenti all’imposizione dei vincoli archeologici e paesaggistici, oggi hanno invece l’obbligo di interfacciarsi con la Soprintendenza per eventuali interventi architettonici. Ad esempio, nel caso delle due strutture alberghiere, proprietà della Curia di Melendugno, il dialogo è del tutto inesistente e tali proprietà, negli ultimi decenni, sono state oggetto di trasformazioni attuate senza le autorizzazioni necessarie, comportando l’avvio di procedimenti sanzionatori da parte degli Enti di tutela tutt’ora in corso di svolgimento. Nel caso dei cittadini, invece, il dialogo sembra essere nella maggior parte dei casi attivo, infatti la Soprintendenza, non vietando a priori interventi architettonici sui corpi di fabbrica, ha svolto più volte sopralluoghi e studi di fattibilità di interventi poi realizzati. In un caso è però stato avviato un procedimento sanzionatorio nei confronti di un privato che, all’interno della sua proprietà attigua alla Strada Bianca, ha realizzato un parcheggio privato andando a intaccare il banco roccioso per la realizzazione di rampe di accesso carrabili, ignorando le disposizioni sugli usi dei suoli emanate dal Comune di Melendugno e i vincoli archeologici disposti dalla Sopintendenza.

Progetti futuri

Il parcheggio a pagamento all’interno del perimetro archeologico, proposto in primis dall’ex Soprintendente Dott. ssa Maria Piccarreta, gestito dal Comune di Melendugno e realizzato dopo analisi preliminari svolte dall’Università del Salento, rappresenta il primo tassello della visione di auto-sostenibilità economica dell’intera area archeologica, obiettivo primario dei diversi promotori. Visti i risultati economici incoraggianti di tale operazione, è aperto il dibattito su quali possano essere i prossimi interventi che vadano a generare i finanziamenti necessari al prosieguo

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delle operazioni di scavo e rendere meglio accessibile l’area:

- Gestione e implementazione del parcheggio: la capienza dell’infrastruttura attuale, per quanto funzionale e importante, si è dimostrata in breve tempo insufficiente ad accogliere il massiccio flusso turistico generato dall’area; infatti il numero di stalli predisposti e le prescrizioni riguardanti il peso dei mezzi privati che vi possono accedere sono ignorati dai fruitori che affollano il parcheggio in numeri notevolmente superiori alle sue capacità. Per ovviare a tale problema il Comune di Melendugno, coadiuvato da Soprintendenza e Università, sta cercando di rintracciare altre aree utilizzabili per la realizzazioni di nuovi parcheggi;

- Progetto per la Valorizzazione Integrata del Paesaggio Costiero di Melendugno: questo progetto, proposto dal Comune di Melendugno, interessa l’area costiera che va da San Foca a Torre S. Andrea e prevede la graduale riconversione dell’arteria litoranea in favore del trasporto pubblico e della mobilità dolce. Nonostante il parere favorevole della Soprintendenza tale progetto è ancora lungi dall’essere realizzato; - Archeobeach: l’idea della Soprintendente Piccarreta era di creare delle strutture che regolassero e facilitassero la balneazione dei turisti nel tratto di costa compreso all’interno dell’area archeologica, rendendo allo stesso tempo consci i fruitori dell’importanza documentale e paesaggistica dell’area. Tale progetto, che rispetta i vincoli paesaggistici predisposti dal PPTR, è per il momento irrealizzabile viste le ordinanze della Capitaneria di Porto riguardanti la pericolosità geomorfologica delle falesie; - Accesso alla Grotta della Poesia Piccola: nonostante la presenza di una scala di accesso e di piattaforme all’interno della cavità realizzate negli anni ‘80, l’accesso alla grotta è interdetto anche agli addetti ai lavori e ricercatori dato lo stato di degrado avanzato di alcune parti portanti di tali strutture.

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È volontà di tutti rendere la grotta accessibile il prima possibile, sia per i ricercatori che per i turisti, ma i costi notevoli sia degli studi di fattibilità che di costruzione di tali opere rendono questa miglioria ancora lontana dall’attuazione. La Soprintendenza ha presentato recentemente al Ministero della Cultura la scheda progettuale per richiedere dei finanziamenti alla realizzazioni di queste opere;

- Servizi per i fruitori: è in corso una trattativa sull’affidamento di un’area servizi in prossimità dell’area archeologica. Infatti l’idea è quella di attrare all’interno dell’area turisti e bagnanti giornalieri grazie alla collocazione di servizi di ristorazione e accoglienza che possano muovere l’interesse dei fruitori verso l’area archeologica;

- Il Museo Archeologico di Roca: i numerosi reperti rinvenuti durante gli scavi hanno oggi collocazione all’interno delle sale e dei magazzini del Museo Archeologico S. Castromediano di Lecce. Le parti in causa sono concordi nel bisogno di esporre i reperti entro i confini dei territori cui appartengono. Vista la difficoltà e i costi di realizzazione di un museo in loco a Roca, il Comune di Melendugno ha proposto di allestire il museo all’interno del Castello D’Amely di Melendugno, andando a creare una rete di fruizione che si propaghi all’interno del territorio comunale dalla costa all’entroterra. Anche tale proposta ha però alcune criticità poiché lo stabile scelto necessita di lavori di messa in sicurezza e restauro, è chiaramente insufficiente ad ospitare la totalità dei reperti e, per volumetrie e tipologia degli spazi, non adatto a una fruizione museale contemporanea. A prescindere però dalla posizione specifica del museo, la Soprintendenza ha avviato delle discussioni con il dott. De Luca, direttore del Polo Biblio-Museale di Lecce, per affidare al Museo Archeologico di Lecce l’esposizione di alcuni reperti di Roca e allo stesso tempo, una volta realizzato un nuovo museo, facilitare e incentivare lo spostamento dei turisti da un polo all’altro, cercando di creare con altri enti museali provinciali, una rete divulgativa della storia del territorio con alla base un progetto scientifico condiviso.

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Fig. 28 - Tavola della stratificazione storica e principali evidenze archeologiche presenti sull'istmo Castello-Carrare.

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Dipartimento di Beni Culturali - Università del Salento Prof. Teodoro Scarano Durante la stesura di questo progetto di tesi abbiamo avuto la possibilità di confrontarci con Teodoro Scarano, responsabile delle ricerche archeologiche dell’area di Roca per l’Università del Salento e membro del Consiglio Direttivo dell’Associazione Culturale Vivarch, ente che ne gestisce la fruizione. I numerosi incontri avuti, divenuti poi una collaborazione diretta sottoforma di correlazione alla nostra tesi, ci hanno permesso dapprima di verificare e apprendere al meglio le nozioni storiche di un luogo così fortemente stratificato e, successivamente, di poter conoscere le idee sugli scenari futuri dell’area e le esigenze di chi, da più di 15 anni, si impegna non solo a studiarne il passato e renderne possibile la fruizione e incentivarne la divulgazione, ma cerca di mantenere un dialogo proficuo con Soprintendenza e Amministrazione. Preso atto della quantità di temi e informazioni ricavate dal più che proficuo dialogo con il prof. Scarano, è stato necessario sintetizzare gli aspetti principali secondo tre macro categorie che, anche se presentate separatamente, sono tra loro correlate e presentano numerosi punti di contatto e rapporti di causa-effetto:

Fig. 29 - T. Scarano durante un sopralluogo all'interno dei resti della Porta Monumentale.

Programmi futuri e gestione.

Tassello principale che ha permesso di generare nei confronti di Roca nuovi interesse e possibilità di fruizione e ricerca è stato quello di creare un Tavolo Tecnico composto da Soprintendenza, Università del Salento e Amministrazione. In occasione di un bando di finanziamento da parte della Regione Puglia nel 2015, gli attori in gioco hanno avuto la possibilità di ricucire i rapporti che nel primo decennio del 2000 erano andati logorandosi a causa di alcune riorganizzazioni all’interno del Dipartimento di Archeologia dell’Università del Salento. Fino a quell’occasione l’area era oggetto di scavi saltuari e non pianificati tra loro; inoltre, nei primissimi anni del 2000,

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Fig. 30 - Intervento di recupero del 2015.

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Fig. 31 - Foto della Capanna Tempio vista dal Castello. Il substrato archeologico è stato coperto per proteggerlo mentre dei pali di legno hanno lo scopo di restituire l'idea dell'ingombro planimetrico.

Fig. 32 - Foto della Capanna con alcuni turisti all'interno.

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vi sono stati alcuni interventi discutibili: il primo da parte dell’Amministrazione che, nel tentativo di ridurre l’erosione della scogliera ove si trovano le Grotte della Poesia, ha riversato in mare alcune tonnellate di materiale inerte per creare un frangiflutti “naturale” oggi ormai scomparso; il secondo, operato da privati, ha interessato il tratto Ovest del Muro Messapico che, dopo essere stato ripulito da uno strato di terreno che lo copriva e proteggeva, ha offerto la superficie all’attecchimento di vegetazione spontanea che nel crescere ha completamente distrutto alcuni dei blocchi che lo costituivano per lunghi tratti. Il nuovo Piano di Gestione ha permesso quindi di evitare gli errori del passato, traducendo il finanziamento ricevuto da Regione Puglia in un primo intervento di restauro dell’area della cittadella tardomedievale che ne ha permesso, per la prima volta, l’apertura al pubblico. Da quel momento ogni decisione è stata presa a conclusione di discussioni e mediazioni, nel rispetto delle esigenze di ognuno dei tre attori cercando di riaprire un dibattito sull’area a prescindere da vincoli e autorizzazioni, capace quindi di proporre idee nuove e presentare possibili scenari futuri, temporalmente determinati. Se da un lato ciò ha provocato l’organizzazione di campagne di scavo mirate e tra loro coordinate, dall’altro si è cercato di capire come poter arrivare a un piano di autofinanziamento economico dell’area. La risposta iniziale è venuta dal dialogo con la Soprintendenza che, sorprendendo per dinamicità gli altri interlocutori, ha iniziato a proporre progetti che andassero oltre la semplice messa in sicurezza e restauro dei reperti, proponendo in primo luogo la realizzazione di un parcheggio, posizionato all’interno dell’area archeologica, i cui introiti fossero totalmente vincolati ai lavori di manutenzione e recupero dell’area. Tale servizio, ormai attivo da due anni, ha permesso all’area archeologica di avere un ricavo di circa 400 mila euro, una situazione virtuosa per una realtà archeologica non di prima fascia, interamente reinvestiti nelle prossime opere di restauro, fruizione e ricerca. Ora che il motore economico è stato attivato c’è però il bisogno di guardare oltre e capire

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come si possa ancora intervenire per rendere autosufficiente l’area; una delle idee principali messe in gioco è quella di un piano di gestione di lunga durata che porti alla creazione di un Parco Archeologico con un ente gestore ben chiaro, cercando di manifestare come la realtà di Roca abbia, oltre alle valenze storiche culturali, notevoli qualità ambientali e paesaggistiche da salvaguardare, cercando di istituire quindi una realtà simile a quella di un Parco Archeologico e Naturale che permetta di destagionalizzare i flussi turistici oggi concentrati soprattutto in periodo estivo.

Ricerca e Restauro.

Gli scavi degli ultimi anni si sono concentrati soprattutto sull’area dell’istmo che accoglie i resti della cittadella tardo medievale e dell’impianto dell’abitato dell’età del Bronzo. Tali ricerche hanno permesso di riportare alla luce lunghi tratti del muro di difesa, di due grandi strutture abitate del periodo protostorico e alcune parti del tessuto abitato tardomedievale ma, vista la vastità della regione racchiusa dalla cinta delle mura messapiche, sono ancora molte le aree da indagare che possono restituire informazioni utili a capire e raccontare la storia di Roca. Ci sono ambiti che sono stati appena indagati (la stessa cinta messapica, l’area vicina le due Grotte, le mura di fortificazioni tardomedievali) e altre aree mai a fondo scavate, come il Castello di Brienne, gli spazi tra litoranea e perimetro più esterno delle mura. Dato il gran numero di archeologie individuate e non indagate a fondo, è impossibile prevedere nei prossimi 5/10 anni in che direzione si muoveranno gli scavi. L’unica certezza è quella che si sia arrivati a un momento in cui è impellente la necessità di restaurare le architetture già indagate, metterle in sicurezza e iniziare ad approfondire gli studi su tutti i reperti mobili rinvenuti negli ultimi 30 anni di ricerca, per il momento catalogati e ospitati dai magazzini del Museo Archeologico di Lecce e del Dipartimento dell’Università del Salento. Il materiale è innumerabile per mole e unico per le

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Fig. 33 - Foto delle Mura dell'Età del Bronzo viste dall'interno della cittadella tardo medievale.

Fig. 34 - Foto dei resti della cittadella tardo medievale. In assenza di manutenzione la vegetazione spontanea ha danneggiato gli interventi di recupero fatti nel 2015.

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Fig. 35 - Foto della mura di cinta tardomedievali sul lato sud della scogliera dell'istmo Castello-Carrare.

informazioni che potrebbe restituire se studiato. La ricerca archeologica è progredita con una velocità ed un’estensione tali da non permettere in numerosi ambiti un approfondimento delle ricerche o una restituzione didattica dei rinvenimenti. Vi è la necessità di studiare ed esporre, magari in loco, i reperti più importanti, ma soprattutto di rendere maggiormente visibili alcune delle evidenze archeologiche più importanti, oggi rese sì fruibili, ma chiaramente intuibili solo grazie a espedienti tecnologici come applicazioni di Realtà Virtuale. Istanza preminente è quindi quella di indirizzare gli sforzi della ricerca prima sul restauro e la successiva valorizzazione, dunque su nuovi cantieri di scavo. In secondo luogo (per ordine ma non per importanza) restala necessità di esporre il materiale rinvenuto in loco, magari con la progettazione di un edificio museale, tema già affrontato senza successo negli anni 80 da Cosimo Pagliara. Infine vi sono alcuni problemi logistici che riguardano gli archeologi: sono necessari alcuni interventi che permettano agli addetti ai lavori una facilitazione dell’opera di scavo, in particolare degli spazi per la catalogazione, studio e stoccaggio in loco dei materiali rinvenuti, ma anche luoghi che permettano agli studiosi, soprattutto provenienti dall’estero, di poter rimanere stanziati per lunghi periodi nell’area, realizzando magari una piccola foresteria, idea anch’essa già anticipata nei decenni passati ma mai realizzata.

Fruizione e Valorizzazione.

Fig. 36 - Foto del Castello eretto dal Conte di Brienne. La vegetazione che vi cresce al di sopra lo fa apparire come un aggere naturale

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Questo aspetto rappresenta il futuro dell’area archeologica. Ad oggi gli attori in gioco sono consapevoli di come Roca venga frequentata soprattutto in periodo estivo per la presenza della Grotta Poesia Grande, meta di ingenti flussi turistici che spesso ignorano la presenza dell’area archeologica. La compresenza di qualità paesaggistiche e balneari e del patrimonio archeologico sono i punti fermi da cui ripartire per la valorizzazione dell’area. Se da un lato la sovrapposizione tra fruizione dell’area archeologica e campagne di scavo può essere facilmente Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


risolta ed essere anche una maniera per avvicinare i turisti alle operazioni di ricerca sul campo, dall’altro la balneazione, spesso selvaggia e non regolamentata, non fa altro che mettere a rischio la salvaguardia dei reperti architettonici e delle bellezze naturali. Le recinzioni, installate per impedire l’accesso all’area delle grotte e dell’istmo, rappresentano un fallimento poichè tale soluzione viene senza difficoltà aggirata in più punti e continuano ad essere numerosi i turisti che, avventuratisi nell’area della cittadella, raggiungono senza difficoltà le mura tardomedievali per fare il bagno al di sotto o raggiungere a nuoto l’isolotto su cui sorge la Torre di Maradico. La recinzione, realizzata anche con l’ottica di perimetrare un area accessibile pagando un ticket, è realizzata con tecnologie completamente reversibili poiché rappresenta una soluzione momentanea: l’idea che guida il team decisionale è quella di rendere il fruitore turistico cosciente del luogo in cui si reca per fare il bagno, in modo da poter garantire una fruizione attenta e rispettosa, educando l’utente proprio attraverso la divulgazione di ciò che Roca è stata, è e, con un po’ di impegno ed un buona dose di speranza, sarà.

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Fig. 37 - Foto della Torre di Maradico vista dai resti di uno dei bastioni della cinta urararia.

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Fig. 38 - La Grotta Poesia Grande in periodo estivo viene frequentato da molti turisti anche nei giorni di forte vento data la trinquillità delle sue acque.

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Il Fruitore dell'Area L’interesse turistico dell’area è notevole e, specialmente in periodo estivo, sono numerosi i turisti che raggiungono da tutto il Salento la costa di Roca; richiamati dalla bellezze e tranquillità delle acque nelle afose giornate di scirocco, gli utenti trovano posto tra le rocce della falesia senza essere molto spesso consapevoli del patrimonio archeologico ivi conservato. Le risposte di alcuni di essi alle nostre interviste sono interessanti per avere un’idea di come l’area sia oggi vista e vissuta da cittadini locali e turisti. Per amor di brevità della trattazione e stante la somiglianza, spesso non indifferente, delle risposte ricevute, riporteremo quello che ci è stato raccontato da tre personaggi che per età e provenienza, sintetizzano efficacemente tutte le tipologie di utente e i differenti gradi di consapevolezza riguardo cosa sia Roca Vecchia. Abbiamo conosciuto Raimondo, proveniente da Sondrio e da qualche anno in pensione, che ogni estate, da più di quindici anni, sceglie le coste salentine e in particolare la vicina località di San Foca come meta per le vacanze della propria famiglia; ci ha raccontato di come conosca bene la costa di Roca per le numerose nuotate fatte negli anni, dei tuffi fatti dalla falesia della Grotta Poesia, ma di come, allo stesso tempo, sia completamente all’oscuro di tutte le vicende storiche e archeologiche che riguardano la zona. Non ha mai visitato l’area archeologica presente sull’istmo, è ignaro della presenza della Grotta Poesia Piccola, ma è sempre stato affascinato dalla visione dei ruderi delle mura e del castello che non sa indicare a quale periodo possano risalire. Ci ha anche parlato di come pensi che il parcheggio realizzato negli ultimi anni abbia migliorato la raggiungibilità dell’area, suggerendo però che si potrebbe fare qualcosa in più, incentivando la rete dei collegamenti pubblici soprattutto dai centri abitati vicini; critico è invece nei confronti dei servizi presenti nell’area: ci sono solo due bar, uno alla fine del lungomare di Roca Li Posti a Nord e uno facente parte della struttura alberghiera vicina ai Roca Vecchia oggi: tra archeologia e balneazione

Fig. 39 - Alcuni turisti che, senza troppe difficoltà, scavalcano le recinzioni dell'Area Archeologica.

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Fig. 40 - L'insenatura detta Nfocaciucci, al di sotto del Castello, è una delle più frequentata in periodo estivo.

Fig. 41 - Turisti che dopo aver scavalcato le recinzioni, si riposano all'ombra del bastione del Castello.

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parcheggi, forse troppo pochi per il numero di turisti presenti giornalmente; mancano quasi totalmente i servizi igienici pubblici: ad oggi vi sono solo quelli delle due piccole attività ristorative sopracitate. Inoltre Raimondo ci racconta anche di come riesca a raggiungere, assieme alla moglie e i figli, l’area grazie all’uso della bicicletta e di come ciò rappresenti adesso un potenziale interessante poiché il percorso lungo la litoranea, nonostante sia in alcuni tratti difficoltoso se non pericoloso vista la mole di traffico presente, offra delle viste panoramiche bellissime sia verso il mare che verso l’entroterra. Giorgio invece, studente universitario di Lecce, raggiunge tutte le estati Roca in automobile dal capoluogo leccese o dalla sua casa di villeggiatura a Torre dell’Orso. Ci ha raccontato come l’uso della macchina sia quasi imprescindibile per il raggiungimento dell’area nonostante ricorda come da ragazzino riuscisse a giungervi da Torre dell’Orso a piedi o in bicicletta; ma questo, ad oggi, pensa sia diventato troppo pericoloso visto il traffico veicolare sempre più intenso. Giorgio a Roca è di casa, ha sempre frequentato questi luoghi e spesso si è avventurato, sia per curiosità che per trovare delle calette meno frequentate, all’interno dell’area archeologica che, seppur recintata, è facilmente attraversabile anche quando chiusa. Ha sempre provato curiosità per le rovine viste ma non ha mai avuto la possibilità di approfondirne la storia e, saputo da noi della presenza di monumenti antichissimi come la Capanna Tempio e il Muro dell’Età del Bronzo, non è riuscito a trattenere lo stupore. Ci spiega come spesso si sia tuffato all’interno della Grotta Poesia Grande ma di come non sapesse della presenza della cavità più piccola, quella ricca di iscrizioni e incisioni; ora conosciutala tramite le nostre spiegazioni, la vorrebbe visitare al più presto e in modo sicuro. Pensa che una proposta progettuale come quella di un parco costiero che coniughi al suo interno la componente archeologica e naturalistica, assieme all’implementazione di servizi, possa essere molto interessante ed essere accolta positivamente da chi, come lui, ama spostarsi al di fuori della città anche in periodo invernale. Come Raimondo pensa che i servizi presenti oggi, sia ricettivi che igienici, siano scarsi e

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vadano notevolmente migliorati, magari introducendo anche un polo museale vista la connotazione culturale dell’area. Infine si dice fiducioso della possibile coesistenza di area archeologica e turismo balneare con un’unica condizione: la presa di coscienza da parte degli utenti di cosa sia Roca e della sua importanza storica e documentale. Molto interessante è stato infine l’incontro con Massimo, giovane architetto di Milano. Come altri è la prima volta che si trova a Roca ma, grazie ad amici locali che gli hanno parlato delle vicende storiche dell’area, conosce l’esistenza dell’area archeologica e della Grotta Poesia Piccola, anche se il nome di Roca, prima di visitarla quest’estate, era per lui sempre associata alla più celebre Grotta Poesia Grande. Anche lui si è avventurato autonomamente all’interno dell’area archeologica scavalcando la bassa recinsione. Si dice stupito però di come un’area così importante in realtà sembri lasciata a un perenne stato di abbandono: la vegetazione cresce in molti casi incontrollata, coprendo i resti della cittadella medievale, il castello è praticamente invisibile e sembra più un declivio naturale, sorte simile a quella delle antiche mura del bronzo che, se non fosse per alcuni cartelli e pannelli divulgativi, sarebbero anch’esse indistinguibili dal terreno naturale. Con Massimo abbiamo parlato molto delle nostre idee progettuali vista la sua professione. Si è detto entusiasta della proposta di creare un parco sia naturale che archeologico, di come alcuni servizi possano essere implementati rispetto a quelli scarsamente presenti oggi; è consapevole di come bisognerebbe spiegare agli utenti che Roca non è solo una località balneare, perché solo così i turisti e i bagnanti potrebbero fruirla in modo sicuro e senza danneggiarne i reperti, permettendo una difficile ma non impossibile convivenza tra esigenze di conservazione e fruizione balneare; tale convivenza permetterebbe anche un notevole ritorno economico per tutto il territorio limitrofo. Anche Massimo pensa che ormai le aree e i reperti archeologici non possano più essere confinati all’interno di recinti ma ritornare all’interno della vita quotidiana di cittadini e fruitori occasionali. Dopo queste interviste è parso chiaro come l’area di Roca

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possa davvero svolgere un importante ruolo attrattivo su scala territoriale. Tra tutte le persone intervistate abbiamo deciso di selezionare chi non ha visitato l’area accompagnato da guide. Infatti, come presentato nei paragrafi precedenti, grazie alla collaborazione tra istituzioni e Università, a partire dall’estate 2020, è possibile visitare il sito accompagnati da guide; numerose sono state le persone che, intervistate appena terminato la visita, erano consapevoli di cosa rappresenti l’area di Roca e dei beni archeologici qui presenti. Purtroppo sono ancora numerosi gli utenti che, ignorando, volontariamente o involontariamente, la storia del luogo, frequentano la costa in modo dannoso e con comportamenti vicini al vandalismo, ma auspichiamo e siamo consapevoli che, grazie a tutte le politiche messe in gioco, saranno sempre meno. Ciò che ci preme far notare è come nella maggior parte dei casi, anche in presenza di persone che non avessero ancora visitato l’area archeologica o che non ne conoscessero la storia, ci siamo trovati davanti a utenti affascinati e favorevoli ad una convivenza tra fruizione archeologica e turistica, dimostrando come tale soluzione possa offrire un nuovo uso dei territori stratificati all’insegna del rispetto e salvaguardia dei beni storici.

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ARCHITETTURA E ARCHEOLOGIA: QUALE FUTURO?

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Fig. 42 - Interno dell'allestimento progettato da Francesco Venezia per la mostra " Pompei e l’Europa. Rapiti alla morte: i calchi" realizzata nel 2016 nell'arena dell'Anfiteatro di Pompei. La stanza è ricavata all'interno di una Piramide alta 12 m che ha l'obiettivo di rievocare sia la forma del Vesuvio sia la scoperta, all'interno del sito archeologico campano, del Tempio di Iside. La sala a pianta circolare trovano posto 20 calchi delle vittime dell'eruzione del 79 d.C e, sulle pareti, le foto delle campagne di scavo che negli ultimi decenni hanno riportato alla luce la città di Pompei.

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Architettura per l''Archeologia Proteggere e salvaguardare un luogo antico con valenza storica, culturale e paesaggistica, non può e non deve sempre coincidere con la cristallizzazione all’interno di un recinto, di una teca invisibile, alla ricerca di un’immutata memoria di qualcosa che non è più, nella speranza di non perdere l’effetto emozionale provocato nell’osservatore. Chi scrive ritiene che la salvaguardia debba avvenire attraverso la ricucitura tra antico e moderno all’interno del paesaggio, grazie a una progettazione efficiente e consapevole, facendo così della stratificazione l’occasione utile per il miglioramento della qualità urbana, da ottenere tramite il riconoscimento di un ruolo innovativo al tessuto storico, un ruolo centrale nella conservazione e trasmissione dei valori culturali e urbani. In un territorio fortemente stratificato come quello europeo, italiano in particolare, c’è il bisogno di integrare strategie di progettazione, pianificazione urbana e conservazione affinché il patrimonio storico-archeologico, che siamo tenuti a tramandare, non sia solo oggetto di politiche prettamente turistiche, ma sia soprattutto reinserito all’interno della vita quotidiana della città e dei suoi abitanti. Il rapporto tra la progettazione architettonica e la pratica archeologica è sempre stato un tema trasversale alle due discipline sin dai loro albori, assumendo declinazioni differenti a seconda del periodo storico e della mutevole concezione e uso della storia da parte della società. Nonostante questo rapporto sia durato secoli, all’indomani della seconda guerra mondiale qualcosa provocò la separazione di queste due discipline, un tempo “sorelle”, che oggi sembrano parlare linguaggi differenti1. Questa spaccatura, provocata forse dall’incapacità dei diversi specialisti di collaborare mettendo da parte gli inutili campanilismi disciplinari, può oggi essere colmata instaurando un proficuo scambio di idee e competenze tra i diversi attori in campo. Diventa quindi fondamentale l’apporto della disciplina Architettura e Archeologia: quale futuro?

architettonica che, operando sotto forma di progetto a disposizione dell’archeologia, si pone come mezzo per recuperare e valorizzare quei rapporti interdisciplinari ormai degradati. Infatti, architettura e archeologia, nonostante i diversi modi di intervento e di interesse verso il materiale storico, trovano in esso un ampio terreno di scambio e incontro, in cui la collaborazione tra specialisti, appartenenti anche a diverse branche del sapere, diventa basilare per la configurazione di nuove prospettive per la ricucitura tra tessuto storico e contemporaneo, all’interno della quale il bene archeologico dovrà configurarsi non solo come elemento di pregio turistico ma come vero e proprio luogo portatore di qualità urbana e appartenente a un contesto territoriale più ampio con cui dovrà relazionarsi. L’importanza data al progetto di architettura in contesto archeologico per la valorizzazione e rifunzionalizzazione di quest’ultimo è argomento di dibattito fin dalla fine del XX secolo, quando la componente conservativa dell’architettura ha notevolmente preso il sopravvento negli interventi e nelle politiche. Francesco Venezia ci parla di una ‹‹separazione fatale›› avvenuta tra le due discipline nel momento in cui l’archeologia è entrata all’interno di una ‹‹sfera protetta››, separata dai luoghi dell’architettura, in cui si rispecchia la separazione tra il mondo delle rovine e il mondo del costruire. Ciò ha reso l’archeologia, nell’immaginario collettivo, una nemica dell’architettura e della città moderna2. Molti docenti e studiosi facenti parti di atenei di tutta Italia, negli ultimi decenni, si sono confrontati nuovamente sul tema della coesione tra archeologia e architettura, creando laboratori di progettazione tematici all’interno dei corsi magistrali, richiamando professionisti da tutto il mondo in sempre più frequenti call internazionali che cercano di dibattere su questo difficile tema ma anche di master e workshop organizzati da associazioni e da enti pubblici e

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Fig. 43 - Il progetto del Museo di Arte Romana di Merida (Spagna), realizzato da Rafael Moneo nel 1986, è esemplare dell'intervento contemproaneo su substrato archeologico. L'edificio rielabora alcuni principi dell'architettura romana e, oltre a contenere i reperti statuari rinvenuti nel vicino teatro romano, sorge direttamente al di sopra dei resti dell'antica città di Merida, visitabili all'interno del piano interrato del nuovo museo: l'archeologia, inglobata e protetta dal contemporaneo, è anche fonte di ispirazione formale per le architetture contemporanee.

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privati. Tuttavia, nonostante queste nuove esperienze siano promuovano tematiche innovative e siano latrici di risultati tutt’altro che trascurabili, non si è ancora giunti a una valida e univoca conclusione, sia per la rigidità delle indicazioni legislative in campo archeologico, sia perché, come ci ricorda Pasquale Miano, professore di composizione architettonica e urbana presso l’Università Federico II di Napoli, ‹‹è sbagliato considerare un’architettura per l’archeologia come un approccio precostituito [...] con uno stile contemporaneo predeterminato [...], è utile invece impostare il ragionamento sul rapporto architettura-archeologia a partire dalla specificità di due discipline che si sono spesso intrecciate e per cui si è determinato un terreno di dialogo e confronto continuo3››. Archeologia e architettura hanno uno stretto legame, sono facce della stessa medaglia4, hanno in comune molto più di quello che può apparire agli occhi di un osservatore esterno. La storia dell’architettura è permeata dall’archeologia e quest’ultima si è potuta definire come disciplina autonoma soprattutto grazie all’incessante attività degli architetti. In particolare Pier Federico Caliari, docente presso il Politecnico di Torino e curatore del Seminario Internazionale di Museografia di Villa Adriana “Piranesi Prix de Rome”, con un semplice ragionamento ci fa notare come in realtà ‹‹l’archeologia, prima di essere tale, in un tempo definibile come originario, era architettura›› e quindi di come il reperto, prima di divenire documento, sia stato parte di un contesto architettonico abitato5. Questo concetto è stato ripreso anche da Alessandra Carlini, ricercatrice presso l’Università di Roma Tre, che evidenzia come sia ‹‹l’architettura, spoglia dell’uso originario, a diventare archeologia soggetta a nuovi usi, quindi potenziale della città contemporanea››6. Queste considerazioni sono rese nulle dalla crescente convinzione, soprattutto popolare ma in alcuni casi appoggiata da soggetti politici, che vede nell’antico e nella città stratificata un ostacolo alla modernità e allo sviluppo urbano, ignorando in realtà come la rovina abbia da sempre rappresentato una risorsa utile non solo all’esercizio della memoria ma anche alla creazione e immaginazione del futuro.

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Fig. 44 - Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova a Lisbona (Portogallo) a opera di João Luis Carrilho da Graça. L'intervento, realizzato nel 2010, rappresenta uno dei migliori esempi di dialogo tra archeologia e architettura contemporanea. Il progetto si presenta sia come recinto in acciaio corten, delimitando i differenti periodi delle stratificazioni storiche, sia come volume bianco astratto che, sorgendo sopra la presistenza archeologica, ne ripresenta la spazialità senza volerne ricostruire l'aspetto.

Luisa Ferro, docente presso il Politecnico di Milano, spiega come sia il progetto a mettere insieme i frammenti, costruendo relazioni tra le parti e generando nuove regole, riallacciando temi e principi lontani cronologicamente ma correlati tra loro, investendoli in un processo di trasformazione capace di assegnare nuovo ruolo ai siti archeologici nello sviluppo futuro della città; l’obiettivo è quello di dare quindi senso alla contemporaneità proprio grazie al dialogo con l’antico che l’architettura è in grado di instaurare tramite il progetto che tende a procedere per stratificazioni, simulando il procedimento di studio e analisi stratigrafico dell’archeologia7. Quindi si tratta di un rapporto disciplinare che trova nello Architettura e Archeologia: quale futuro?

scavo un punto di incontro principale che si ripercuote e deve definirsi all’interno del progetto di architettura. Simile è il punto di vista di Angelo Torricelli, docente presso il Politecnico di Milano, che descrive come i motivi di interesse dell’architettura per l’archeologia non si debbano identificare solo con le specifiche occasioni di intervento ma, in senso più generale, come questo rapporto debba concretizzarsi nei riferimenti ideali che i valori dell’antico e della rovina evocano nella teoria della composizione8, rintracciando ancora una volta delle similitudini tra lo scavo archeologico e il processo di progettazione, poiché ‹‹il progetto è un processo di destabilizzazione: estrae gli oggetti per strati, li decontestualizza per comprenderli e studiarli a fondo e, infine,

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Fig. 45 - Intervento di recupero di una Villa Romana a Can Tacò, Barcellona (Spagna). L'intervento, progettato da Toni Gironès, è realizzato come una serie di terrazzamenti composti da pietre che coprivano prima degli scavi il sito, contenute da gabbie di acciaio che restituiscono la composizione spaziale della villa esaltandone lo sviluppo planimetrico e offrendo nuovi punti di vista ai fruitori.

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li restituisce carichi di un nuovo significato››9. Tuttavia il progetto non deve avere l’ambizione di imporsi sui luoghi dell’archeologia, ma deve riconoscerne i valori, acquisirne la memoria, farsi portatore di nuove funzioni per luoghi ormai scarsamente utilizzati o completamente dimenticati, non deve rappresentare il prevalere della contemporaneità sull’antico perché, per dirla con Francesco Cellini, professore presso l’Università di Roma Tre, ‹‹non ha più senso impegnarsi in una battaglia ideologica per affermare il primato della contemporaneità, è invece la contemporaneità che prende senso proprio nel dialogo con l’antico, nel raccogliere le sue tracce, riordinale, conoscerle››10. Questa presa di coscienza da parte del progetto rappresenta il fulcro della discussione riguardo la qualità del singolo progetto di architettura in contesto archeologico, poiché, vista l’enorme quantità di casi e contesti differenti, è impossibile stabilire delle regole fisse per la creazione di un unico modello di intervento. Giovanni Guzzo, archeologo ed Ex soprintendente dei beni archeologici di Napoli e Pompei, a proposito del dialogo tra antico e contemporaneo, descrive come questo incontro/ scontro, presente da sempre nella storia da quando ‹‹c’è registrazione e memoria di attività umana››, abbia prodotto una vasta gamma di risultati, ‹‹che vanno dall’interferenza, al rifiuto, alla distruzione al riadattamento››, e proprio la varietà dei prodotti ci consente di sintetizzare il tutto nella formula “caso per caso”, riconoscendo una specificità di intervento adatta a ogni singolo contesto. Il tema della specificità viene trattato anche dall’architetto Pippo Ciorra, docente presso l’Università di Camerino, che spiega come qualità e specificità dell’ intervento siano prerogativa del ‹‹bravo architetto con una buona dose di cultura messo davanti ad un problema archeologico››, introducendo i temi di “sapienza” e “bellezza” come strumenti utili al progetto in contesto archeologico11. Nonostante le premesse, è importante considerare la realtà legislativa e professionale che in molti casi, invece che utilizzare il progetto di architettura come strumento capace

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di mettere ordine, stabilire gerarchie e ricucire relazioni, fa sì che l’intervento dell’architetto in luoghi archeologici, come racconta Alessandra Carlini, si riduca frequentemente a ‹‹interpretazione strettamente funzionale dell’accessibilità››12, fatto che, assieme alla mancanza di multidisciplinarietà e dialogo tra le figure professionali in gioco, ha prodotto in molti casi un processo di trasformazione ma senza un vero e proprio progetto futuro. La scarsa o sterile collaborazione tra i diversi specialisti, causata dalle differenti posizioni disciplinari in gioco, ha fatto sì che prevalessero inutili specialismi, evidenziando, come descritto dall’archeologa ed egittologa Sabina Malgora, il bisogno di ‹‹ampliare il dialogo a professionisti di altre discipline››13. Infatti solo grazie alla multidisciplinarietà si potranno perseguire al meglio gli obiettivi di riqualificazione, risignificazione e fruizione dei luoghi della memoria, che necessitano, ancor prima delle fasi di scavo e progettazione, di una fondamentale quanto attenta programmazione, che coinvolga professionisti dei vari campi del sapere (non solo architetti e archeologi, ma anche economisti, sociologi, antropologi, geologi ecc..) assieme a legislatori e cittadini, prefigurando così la possibilità di realizzare l’obiettivo della conservazione dei siti archeologici in continuità con il tessuto urbano contemporaneo, coerentemente ai bisogni e usi della cittadinanza che in primis dovrà valorizzare e vivere quel determinato luogo, portatore di valori e memoria collettivi.

‹‹Sono le urgenze del presente che ci spingono a rileggere le vicende del passato non come mero accumulo di dati eruditi, non come polveroso archivio, ma come memoria vivente delle comunità umane. La consapevolezza del passato può e deve essere lievito per il presente, serbatoio di energie e di idee per costruire il futuro.››14

Nel momento in cui del materiale archeologico viene riportato alla luce per essere studiato e compreso, esso deve allo stesso tempo confrontarsi con il suo contesto, con

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Fig. 46 - Istallazione artistica presso il Parco Archeologico di Siponto (FG) progettato da Edoardo Tresoldi. L'intervento, seppur non segua le linee guida conservative e protettive proprie della teoria del restauro, si configura come un nuovo modo per intendere il rapporto tra archeologia, architettura e arte contemporanea. Il risultato è un progetto di ricostruzione sotto forma di scultura in rete metallica che si fonde con il paesaggio circostante; nonostante non sia unanimamente apprezzato, l'addizione artistica è portatrice di nuovo interesse da parte dei turisti verso un'area archeologica prima poco frequentata.

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Fig. 47 - Intervento di recupero e rifunzionalizzazione di un'antica torre di guardia a Djursland in Danimarca progettato nel 2016 da MAP Architects; all'interno dell'involucro dell'edificio medievale è inserita una scala panormaica che non entra in contatto diretto con le rovine.

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il suo uso pubblico, in quanto non è più solo materiale di studio ma diviene parte concreta della città contemporanea, tramutandosi in occasione per creare nuova socialità, rientrando a far parte di un sistema più ampio, tenuto insieme da relazioni e usi15. Tuttavia dall’osservazione delle nostre città emerge un altro scenario, una situazione che manifesta di fatto il fallimento delle politiche legate al recupero, alla valorizzazione e alla fruizione dei luoghi dell’archeologia in contesto urbano e agricolo. Troppo spesso le nozioni di parco e sito archeologico hanno imposto la netta separazione tra tessuto antico e contemporaneo, paralizzando i luoghi della memoria dietro steccati e recinzioni che ne limitano e regolano la fruizione secondo regole imposte dalla geografia del turismo e dal business della cultura. Partendo da questi presupposti, diventa interessante riportare il pensiero di Giovanni Longobardi, docente di Composizione Architettonica preso l’Università di Roma Tre, che, riprendendo il concetto di “non-luoghi” definito da Marc Augé quando descrive alcune parti critiche delle città contemporanee16, identifica, con questa definizione, le aree archeologiche che, confinate in un recinto, vengono estrapolate dal contesto territoriale originale e sospese in una dimensione atemporale provocata dall’imposizione di un confine necessario solo alle logiche economiche e conservative17. Questo fenomeno provoca la nascita di un ‹‹ossimoro urbano›› ponendo ciò che è storico per eccellenza al di fuori del continuum spazio temporale18. Ciononostante, non è solo l’imposizione del limite a trasformare un’area archeologica in un non-luogo perché ‹‹quando le persone si incontrano e socializzano creano immediatamente dei luoghi. I non-luoghi accolgono invece soltanto individui [...], visitatori, nel caso della fruizione culturale››19. Lo sfruttamento delle aree archeologiche provoca un duplice effetto a seconda del valore storico documentale del luogo; infatti, mentre quelle aree che non raggiungono elevate soglie di interesse per il grande pubblico vengono indagate

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e studiate a fondo solo nei momenti immediatamente successivi alla loro scoperta, dunque abbandonate una volta esaurita la ricerca (o, più spesso, i fondi per la stessa); i luoghi dell’archeologia più famosi e pubblicizzati sembrano abitati ogni giorno, ma in realtà hanno un legame più con la logica della geografia del turismo che con l’abitare quotidiano dei cittadini che vivono a pochi passi dagli stessi20. C’è quindi il bisogno di trovare strumenti e modalità di intervento nuovi, capaci di riallacciare studio e fruizione delle aree archeologiche ai temi dell’abitare contemporaneo, creando inclusione e non separazione, incentivando un uso quotidiano dei luoghi. Le aree archeologiche si configurano quindi come dei grandi spazi monofunzionali, separati dal contesto di cui hanno la necessità di fare parte. Ciò provoca una separazione fisica e concettuale nella continuità della storia urbana, in cui la stratificazione e la persistenza del tessuto ricoprono una grande importanza per la creazione di un rapporto identitario tra cittadino e città, elemento fondamentale per la nascita di una forma di tutela attiva del bene e il suo eventuale uso quotidiano, attraverso la valorizzazione dell’integrazione dei beni antichi con le esigenze della città contemporanea21. Antonio Terranova, ex-docente presso la facoltà di Architettura de La Sapienza di Roma, chiedendosi se sia possibile trovare un nuovo senso dell’abitare partendo dall’archeologia, spiega che non è facile ammettere che, contro la dilagante cattiva qualità dell’ambiente urbano determinato dalla modernità, si debba ricorrere ai luoghi della memoria in cui sono gelosamente custoditi ottimi esempi dell’abitare; infatti, questo dialogo quotidiano con il passato è reso difficoltoso dalla separazione del materiale storico dal proprio contesto, come se le istanze della conservazione attuassero una specie di zonizzazione di porzioni di città sottratte a un eventuale sviluppo futuro22. Diventa quindi fondamentale, come afferma Daniele Manacorda, archeologo e docente presso l’Università di Roma Tre, ridiscutere i bordi, giocare sul loro tema ambivalente di separare e unire, poiché la ricucitura permette a una comunità di conoscere, vivere e tutelare il proprio patrimonio storico23.

Architettura e Archeologia: quale futuro?

Fig. 48 - Progetto di restauro e fruizione di una torre araba a Riba de Saelices in Spagna ad opera di Virsed&Vila Architect e Inaqui Carnicero. L'intervento di fruizione è tradotto in una passerella esterna e un sistema di risalita interno, il tutto realizzato con tecnologie leggere e reversibili.

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Angelo Torricelli, a proposito del progetto della Passeggiata Archeologica di Milano, scrive: ‹‹riallacciare il rapporto con l’archeologia urbana significa, per il progetto di architettura, non limitarsi a presentare sé stesso, oppure a perseguire compiti come quelli della protezione e dell’ambientamento dei ruderi, ma, al contrario, farsi protagonista di una azione sovversiva››24. Il progetto si fa sovversivo nel momento in cui, mettendo in discussione le gerarchie affermate della città, si configura come ricerca progettuale volta alla continuità in aree urbane irrisolte, caratterizzate da fratture morfologiche25 tra tessuto contemporaneo e storico. Considerando i beni storici come materiali e luoghi pubblici, l’architetto e docente Luigi Franciosini suggerisce la necessità di una fruizione pubblica libera dei luoghi della memoria, “elevando l’esperienza della fruizione straordinaria ad una abituale”, sostituendo la ‹‹spettacolarizzazione del prodotto culturale” con “la meraviglia di ciò che è più profondamente sentito come proprio››26. Concorde è l’idea di Sabina Malgora che, definendo la differenza tra monumento, ciò che dialoga con la società, e documento, ciò che parla quasi unicamente agli specialisti, spiega come la tutela, affiancata dalla buona gestione, non debba essere ‹‹inibitoria o repressiva››, ma debba tener conto e coinvolgere sia i futuri fruitori sia i cittadini a diretto contatto con il bene27. Inoltre, questa presa di possesso del patrimonio storico da parte dei cittadini, che rientra in ciò che Salvatore Settis chiama “diritto alla cultura”28, vede nel progetto urbano il suo fulcro che, come le attività di tutela e fruizione, deve avere ‹‹una lungimiranza bifronte che sappia far tesoro del passato per vivere il presente costruendo il futuro››29. Ciononostante, come già accennato, nelle nostre città sta venendo meno il rapporto tra la memoria e il presente, poiché il culto dell’antico è relegato all’interno di aree specifiche e non appartiene più alla quotidianità dei cittadini. I luoghi dell’archeologia, allora, oltre che essere materiale di studio o fondamento teorico del progetto, possono assumere un ruolo attivo all’interno della vita quotidiana grazie a

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progetti che tengano conto dell’importanza della continuità fisica degli spazi e ideologica della memoria stratificata, poiché una città senza memoria produce una cittadinanza senza identità e senso di appartenenza. L’antico non può essere solo sacralizzato come oggetto di venerazione, in nome di una tutela che manifesta spesso una forma di antagonismo verso la fruizione quotidiana, ma deve rientrare all’interno di linee programmatiche capaci di coniugare la crescita socio-culturale dei territori con le dinamiche di un turismo sostenibile, in cui il progetto, facendosi interprete della complessità e delicatezza del sito, ne tramanda il senso e la storia in egual misura a tutta la popolazione. Questa operazione, che valorizza la stratificazione e nega l’ormai diffusa idea che vede l’antico come opposizione alla modernità, ha come risultato un paesaggio, cioè un insieme di elementi appartenenti a diverse temporalità che istaurano tra loro nuove relazioni. Il metodo per raggiungere questo scopo è, secondo Alessandra Capuano, docente di progettazione architettonica e urbana presso La Sapienza di Roma, l’integrazione tra strategie di pianificazione e conservazione che mettano al centro la nozione di paesaggio, urbano o agricolo, che siano capaci di coniugare gli interventi di conservazione con le trasformazioni contemporanee di qualità e che quindi realizzino l’obiettivo di programmare, che da un lato sia certamente indirizzato al turismo, ma che dall’altro assecondi l’uso quotidiano degli stessi spazi30.

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Note Bibliografiche

1 c. d’amato guerrieri, Prefazione, in Culotta T., Progetto di architettura e archeologia, L’Epos, Palermo, 2009, p. 15. 2 f. venezia, La separazione fatale, in Venezia F., Che cosa è l’architettura. Lezioni, conferenze, un intervento, Mondadori Electa, Verona, 2013, pp, 16-17.

in Archeologia urbana e Progetto di architettura. Seminario di studi, a cura di Segurra Lagunes M. M., Roma 13-15 Giugno 2002, Gangemini, Roma, 2003, pp. 41-50. 18 ibidem, p. 42. 19 ibidem, p. 49. 20 ibidem, p. 43.

3 p. miano, Indagine archeologica e programma architettonica, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 254.

21 a. capuano, Archeologia e nuovi immaginari, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 40-47

5 p. f. caliari, Il progetto per il patrimonio archeologico. Tra sapere di nicchia e aporia accademica, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, p. 24.

23 d. manacorda, Progetto archeologico e progetto architettonico in ambiente urbano, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 91.

7 l. ferro, Archeologia e progetto di architettura, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 35-38.

25 a. torricelli, Il Museo e la Passeggiata archeologica di Milano, in Ciotta G., Archeologia e architetture. Tutela e valorizzazione. Progetti in aree antiche e medievali, Aiòn Edizioni, Firenze, 2009, pp. 118-120.

4 j. rykwert, Archeologia e architettura, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, p. 311.

6 a. carlini, Archeologia e spazio Pubblico. Esperienze di architettura nel paesaggio antico, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p.150. 8 a. torricelli, La ricerca progettuale come interrogazione del tempo, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 11-14.

9 a. torricelli, Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in AA.VV., Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 57. 10 p. miano, op. cit., p. 253.

11 p. ciorra, Up-cycling.. Morte e vita dei corpi architettonici, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 279-280. 12 a. carlini, op. cit., p. 151.

13 s. malgora, Memorie fruibili, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Rotaract, Milano, 2010, pp. 39-42

22 a. terranova, Frammenti, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 22-25.

24 a. torricelli, Profondità archeologica. Immaginazione progettuale, in Aa.Vv, Aufkläng e Grand Tour. Ricerca e formazione per una museografia senza frontiere, Maggioli Editore, Sant’Arcangelo di Romagna, 2008, p. 57.

26 Franciosini L., Il problema della consapevolezza, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p. 12.

27 s. malgora., Memorie fruibili, in Vazzana S., Riprogettare l’Archeologia, Milano, Rotaract, 2010, pp. 39-42. 28 s. settis, op. cit., p. 11. 29 ibidem, p. 15.

30 a. capuano, Introduzione, in Capuano A., Paesaggi di Rovine. Paesaggi Rovinati, Quodlibet, Macerata, 2014, pp. 10-15.

14 s. settis, Architettura e Democrazia. Paesaggio, città, diritti civili, Einaudi, Trento, 2017, p. 15.

15 a. carlini, Archeologia e spazio Pubblico. Esperienze di architettura nel paesaggio antico, in Casadei C. e Franciosini L., Architettura e Patrimonio. Progettare in un paese antico, Mancosu, Roma, 2015, p.150-151. 16 m. auge, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano, 2009. 17 g. longobardi, Aree archeologiche. Nonluoghi della città contemporanea,

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Fig. 49 - Foto di una delle strade in cui l'acqua è riportata i superficie tramite un taglio nella pavimentazione.

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Riqualificazione degli Spazi Urbani di Banyoles Josep Miàs Architects, 1998-2012 La città di Banyoles è un piccolo borgo medievale sorto vicino all’omonimo lago nella provincia di Girona. Intorno al IX secolo vi si stabilirono dei monaci benedettini che, principalmente dediti all’agricoltura, bonificarono il terreno paludoso creando una successione di sette canali principali che, collegati con il bacino idrico, servissero ad irrigare e controllare il livello delle acque in caso di esondazione. Nel corso dei secoli il piccolo borgo è cresciuto perdendo il rapporto con la propria storia: gli antichi canali furono coperti e relegati al solo uso fognario, rimpiazzati da infrastrutture adatte al traffico veicolare; interventi, questi, che causarono l’abbandono dell’antico centro storico e il suo veloce deterioramento1. Nel 1998 lo studio Miàs Archtects si aggiudicò la vittoria del bando per la riqualificazione del centro cittadino. Il progetto mirava a restituire centralità e unità al borgo antico, dapprima annullando la distinzione tra strada e marciapiedi sopprimendo il traffico veicolare e, successivamente, per mezzo del recupero degli elementi progettuali dalla storia propria della città: la nuova pavimentazione, realizzata con il travertino di Banyoles, pietra locale utilizzata per la costruzione del borgo, in numerosi punti fu tagliata e incisa per far riaffiorare in superficie gli antichi canali benedettini che, nelle strade e nelle piazze medievali, oggi ricompaiono sottoforma di ruscelli e piccoli specchi d’acqua. Il progetto coniuga, sfumandone i confini, la ricerca dell’archeologia urbana e il progetto dello spazio pubblico, offrendo così un interessante spunto di riflessione sul tema del rapporto tra antico e nuovo, tra restaurazione e ricostruzione, e mostra una possibile nuova via d’intervento, in cui vengono riconosciuti i caratteri fondanti del luogo e viene rimesso al centro il tema dello spazio pubblico attraverso una riorganizzazione dell’uso pedonale2. Tuttavia, la componente archeologica del progetto è visibile solo osservandone gli elaborati progettuali (segnatamente, le Architettura e Archeologia: quale futuro?

Fig. 50 - Foto di uno dei tagli nella piazza principale della città di Banyoles.

sezioni e la pianta): la stratigrafia si compone di livelli antichi, come l’acqua che scorre fino al lago, e livelli più recenti, costituiti dai canali riaperti e ricoperti di travertino, mentre l’incisione della superficie pedonale, assimilabile ai lavori di scavo archeologico, riscopre le antiche geometrie della rete di canali ormai perduta. L’inervento non riporta l’abitato ad un suo stato precedente e dimenticato, non si pone quest’obiettivo, ma intende conferire al borgo parte di quella sua caratterizzazione perduta: non in un ritorno alla cieca ad un passato remoto, ma nella riproposizione critica di una memoria che ancora può e deve interagire con la percezione spaziale della città dei suoi abitanti, nella convinzione che il passato sia remoto solo nelle grammatiche. Lo spazio urbano degradato viene quindi trasformato in una zona di passeggio libera da ingombri e autovetture che, attraverso un intervento sintetico composto da pochi elementi e materiali, evita la monotonia grazie ad una superficie continua e cangiante, valorizzando l’impianto e le architetture medievali e riportando alla luce una realtà storica e suoni da tempo dimenticati dagli abitanti di Banyoles.

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Fig. 51 - Sopra, foto scattata dall'interno del fornice della Porta Palatina.

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Parco Urbano della Porta Palatina di Torino Isolarchitetti, 2006 L’area archeologica della Porta Palatina rappresenta la principale testimonianza di epoca romana della città di Torino; infatti, oltre all’antico accesso alla città sul cardo maximus, comprende il teatro di epoca augustea e i resti dell’antico palazzo imperiale. Nonostante l’importanza documentale, l’area per lungo tempo ha rappresentato un nodo irrisolto all’interno delle dinamiche di sviluppo del capoluogo piemontese fino al 2006 quando, in concomitanza con le Olimpiadi Invernali, è stata oggetto di una profonda riqualificazione. Lo studio Isolarchitetti, cui è stato assegnato l’intervento, ha posto come obiettivo la ridefinizione del carattere unitario tra tessuto moderno e antico, ridefinendo la centralità del materiale archeologico all’interno della città e recuperando il ruolo strategico storicamente posseduto dall’area. Il giardino archeologico viene concepito quindi come uno spazio capace di legare parti di città da tempo separate al fine di creare un piano di attraversamento unico che annulli il precedente dislivello di 4 m. La chiara delimitazione dell’area avviene attraverso l’utilizzo di una quinta scenografica naturale, composta da un filare continuo di alberi, e di una artificiale, costituita da un colonnato con passo e altezza differenti; l’intero intervento è racchiuso all’interno di una cancellata che segue l’andamento della cinta muraria di epoca barocca che, contrariamente a quanto potrebbe supporsi, ha il ruolo di segnalare, conservare e, soprattutto in questo caso, sottolineare l’appartenenza dell’area a valori ed eccellenze della storia urbana3. Questa delimitazione, inoltre, non impedisce l’intersezione con il tessuto urbano circostante poichè è accompagnata da uno studio dei flussi e della viabilità interna ed esterna all’area che prevede la pedonalizzazione di un asse importante della città, sottratto al traffico veicolare e configurato come percorso panoramico al di fuori dell’area archeologica. Architettura e Archeologia: quale futuro?

Fig. 52 - Sopra, foto dell'intervento: sullo sfondo la Porta Palatina, in primo piano il perimetro realizzato per delimitare il parco.

All’interno dell’area vengono introdotte funzioni diverse dalla musealizzazione: lo spazio archeologico diventa parco urbano pubblico e la ricostruzione dell’antico bastione offre la possibilità di ospitare le strutture mobili della vicina area mercatale. Questo progetto è esemplare della possibile integrazione tra archeologia e sistemi urbani non limitata ad usi turistici o specialistici; il parco trova nuovo senso e relazioni attraverso usi sociali diversi da quelli antichi che non strumentalizzino i luoghi della storia, ma che li facciano vivere dai cittadini senza un codice d’uso prestabilito e repressivo.

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Fig. 53 - Vista del progetto in corrispondenza della Via dei Fori Imperiali.

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Progetto per Via dei Fori Imperiali e Area Archeologica Centrale di Roma Università di Stoccarda e David Chipperfield Architects, 2016 L’area archeologia centrale di Roma, a partire dal secondo dopoguerra, è stata al centro di dibattiti e oggetto di progetti che ne proponevano una riorganizzazione, avendo, all’indomani della caduta del Regime Fascista, perso la funzione di rappresentanza del potere ma mantendendo e solidificando il suo status di area archeologica tra le più importanti e visitate al mondo. Nel 2016 Accademia Adrianea per l’Architettura e l’Archeologia ha indetto, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservtori di Roma e Provincia e relativo Dipartimento beni culturali e Areaconcorsi, una Call di Progettazione internazionale sulla riorganizzazione della Via dei Fori Imperiali e tutta l’area limitrofa4. Il concorso, cui hanno partecipato professionisti del settore in collaborazione con università di tutto il mondo, ha visto trionfare la proposta progettuale elaborata dallo studio David Chipperfield Architects e Università di Stoccarda. Degno di nota è l’approccio teorico del progetto che vede la morfologia dell’archeologia di Roma come prodotto della città moderna ottocentesca e novecentesca: solo grazie ad essa si è rivelata a tutti la grandiosità dei resti del passato; Roma Moderna e Roma Antica possono esistere separatamente, sono in continuità e, soprattutto la seconda, è il prodotto di un lungo processo di sovrapposizione, demolizione e costruzione che, originatosi all’alba della decadenza del Grande Impero, si è perpetuato fino alla Contemporaneità5. Il progetto quindi origina dalla presa di coscienza dell’esistenza di un palinsesto da rispettare in tutte le sue parti e stratificazioni, antiche e moderne, in cui l’architettura diventa il mezzo con cui ottenere una visione nuova, unitaria, che tenga insieme quote archeologiche e contemporanee, la città e la natura, utilizzando come elementi chiave la nozione di paesaggio, la modellazione del suolo e il disegno del verde6. L’intervento si traduce in un paesaggio che rimanda alle vedute ottocentesche, racchiuso in una grande area Architettura e Archeologia: quale futuro?

Fig. 54 - Vista dei Fori Imperiali.

interamente pedonale, formato da declivi naturali, elementi di collegamento verdi con il compito di ricucire fisicamente l’area archeologica e la città contemporanea. Il risultato è una “topografia continua”7, un giardino di tradizione romantica in cui l’archeologia è il mezzo necessario al raggiungimento della qualità ambientale ricercata, in cui spazi e livelli orizzontali fanno parte di un unico sistema connesso, con addizioni di volumi architettonici occasionali e necessari che si caratterizzano per la continuità con le rovine e la loro monumentalità. Ai Fori Imperiali viene restituita la condizione originale di spazi a carattere pubblico e di aggregazione per gli abitanti, divenendo l’inizio di un grande parco urbano che trova continuità nelle vicine e connesse realtà del Parco del Colle Oppio, del Parco Parco della Caffarella e del Parco Regionale dell’Appia. La relazione che intercorre tra rovine e natura è frutto di qualcosa di già sperimentato in contesti vicini come il Palatino o Villa Adriana, in cui monumento e contesto naturale, legati in un unico paesaggio, sono capaci di restituire al fruitore atmosfere uniche, concorrendo alla realizzazione della Bellezza ultima.

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Fig. 55 - Masterplan del progetto. In alto è visibile lo sviluppo di Villa Adriana contrapposto al nuovo impianto ricettivo.

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Progetto per la Buffer Zone Unesco di Villa Adriana a Tivoli Politecnico di Milano e Universitat Politècnica de la Catalunya, 2018 Nel 2018, anno del XIX centenario di Villa Adriana, l’Accademia Adrianea di Architettura e Archeologia, assieme all’istituto di Villa Adriana e Villa d’Este, ha indetto una nuova Call internazionale di progettazione con oggetto la riprogettazione della Buffer Zone Unesco di Villa Adriana. Obiettivo della Call era quello di discutere e presentare, attraverso i progetti sviluppati dai gruppi di lavoro partecipanti, nuove proposte e possibilità di sviluppo per un territorio fragile e caratterizzato da presenze monumentali come Villa Adriana, spesso minacciato dall’espansione incontrollata del tessuto edilizio contemporaneo8. I lavori presentati sono importanti per i differenti approcci adottati per risolvere problematiche comuni che non riguardano solo la Villa ma tutti i siti archeologici localizzati all’interno o sui margini delle nostre aree urbane. Degno di nota è il progetto sviluppato in collaborazione tra Politecnico di Milano ed Universitat Politècnica de la Catalunya, coordinato da Valerio Tolve, Alice Bottelli e Josep Miàs. Il progetto intende sottrarre il territorio della grande Villa Adriana allo stato di non-luogo per restituirlo all’interno della sfera che gli è propria, fatta di relazioni tra esseri umani e ambiente naturale, da rileggere attraverso la lente delle rovine architettoniche. Terreno di indagine è il rapporto tra antichità e contemporaneità cercando di immaginare un futuro in cui questa dicotomia possa risolversi in continuità grazie al disegno di insieme del progetto che si sviluppa su due diversi ordini sovrapposti: il primo, ipogeo, che accoglie il sedimento dell’asse viario della Via Maremmana interrato che distribuisce verso i comparti commerciali, i parcheggi e gli spazi di servizio degli hotel; il secondo, fuori terra, disegnato partendo dall’andamento della trama delle alberature esistenti e da un asse trasversale Est-Ovest che va dal Pantanello fino alle cave di Travertino oltre l’Aniene, Architettura e Archeologia: quale futuro?

Fig. 56 - Planimetria dell'area degli Horti Hadriani in cui sono disposti i moduli realizati per gli archeologi.

configurandosi come una sequenza di luoghi quali la Villa, la Domus Agricola, la Porta al Parco, l’Hub Commerciale e il Polo Ricettivo; tali architetture si presentano come corti aperte verso gli elementi naturali quali l’Aniene e il Parco, facendo di essi l’affaccio privilegiato in antitesi alla concezione moderna che vede nell’asse viario l’allineamento principale delle costruzioni. I due ordini sovrapposti dialogano poi attraverso corti e cavità che diffondono aria e luce anche agli ambienti ipogei.

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Mentre le architetture progettate manifestano e rielaborano i princìpi compositivi della Villa attraverso la riproposizione del «recinto» nelle varie morfologie, il disegno del parco si basa sugli elementi compositivi del paesaggio quali suolo, orografia e idrografia restituendo un disegno complessivo che è sintesi del delicato equilibrio tra natura e azione dell’uomo su di essa. Interessante è la soluzione proposta per le aree di scavo della villa in cui vengono delimitati spazi differenti in cui l’inserimento di strutture prefabbricate leggere, tecnologicamente efficienti, consente agli archeologi di operare sul campo e ai visitatori di osservare le operazioni di ricerca in sicurezza, creando un Villaggio Archeologico all’interno del perimetro della villa, in cui allo spettacolo dell’opera, protagonista, si uniscono contemporaneamente il suo allestimento e la sua fruizione. Oltre alla notevole qualità architettonica delle soluzioni proposte, il progetto pone attenzione al disegno e cura dello spazio verde: esso è costituito sia dal parco che da coperture verdi volte a mitigare l’impatto del costruito sul paesaggio; la scelta delle specie arboree da inserire è attenta e guidata dalla preesistenze naturali e dal paesaggio di tipo mediterraneo in cui la Villa è inserita. Il progetto è espressione diretta di quello stesso bisogno di reinserire le aree archeologiche all’interno di politiche di sviluppo territoriali che anima i propositi alla base di questa stessa tesi, senza escluderle con recinti e delimitazioni dalle trasformazioni urbane che caratterizzano i centri urbani. All’interno della Buffer Zone trovano spazio funzioni e servizi contemporanei come hotel e spazi commerciali che, assieme al ridisegno dell’intera area naturale, concorrono alla valorizzazione di uno dei maggiori beni archeologici del nostro paese in armonia e senza in alcun modo prevaricarlo.

Fig. 57 - Sezione prospettica della Porta di accesso al Parco, landmark del progetto.

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Note Bibliografiche

1 Sito ufficiale di Josep Miàs Architects: www.miasarquitectes.com/ portfolio/banyoles-old-town 2 v. tolve, Banyoles: il recupero del borgo antico, in Ananke. Rivista quadrimestrale di cultura, storia e tecniche della conservazione per il progetto, n. 83, Gennaio 2018. 3 Alcuni concetti espressi all’interno di questo paragrafo fanno riferimento a un’intervista effettuata via email da chi scrive all’Architetto Aimaro Isola nel dicembre 2017.

4 I progetti partecipanti e i temi inerenti alla Call su Via dei Fori Imperiali sono pubblicati in Piranesi Prix de Rome. Progetti per la Nuova Via dei Fori Imperiali, a cura di Basso Peressut L. e Caliari P. F., Accademia Adrianea Edizioni, Roma, 2017. 5 Ibidem, p. 223. 6 Ibidem, p. 227. 7 Ibidem, p. 227.

8 I progetti partecipanti e i temi inerenti alla Call sulla Buffer Zone Unesco di Villa Adriana sono pubblicati in Piranesi Prix de Rome. Progetti per la Grande Villa Adriana, a cura di Basso Peressut L. e Caliari P. F., Accademia Adrianea Edizioni, Roma, 2019.

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Il Parco Archeologico Ambientale: Premesse di Intervento Quello dei parchi archeologici è – come già sottolineato da Salvatore Settis nel 2007 – un argomento di particolare rilievo in quanto “tema-cerniera fra due ambiti di grandissima importanza: il paesaggio e il patrimonio culturale” 1. Il rapporto tra paesaggio e beni culturali non è il prodotto contemporaneo della sensibilità odierna2: già l’articolo 9 della Costituzione Italiana poneva a sistema i due soggetti tramite la formula “La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Anche Benedetto Croce, allora Ministro della Pubblica Istruzione (dal quale dipendevano i Beni Culturali), varò una legge che sanciva in modo inequivocabile e lungimirante l’indissolubile legame tra paesaggio e storia, come si evince dall’articolo 13 e soprattutto dalla relazione che accompagna la legge in cui si definisce il paesaggio come “rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari [...], formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli” 4. Sempre Croce sottolinea come «difendere e mettere in valore le maggiori bellezze d’Italia, naturali e artistiche [risponda ad] alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia». Alle patriottiche e significative affermazioni del filosofo si possono, e probabilmente si devono, aggiungere ulteriori osservazioni in merito. Stante il fatto di antica memoria che ciò che resta del passato serva da monito a ciò che vive nel presente, è impossibile approcciarsi alle rovine che compongono il nostro patrimonio senza porsi le domande: da dove veniamo? Chi siamo? Chi vogliamo essere? Il patrimonio fisico delle rovine implica un patrimonio mentale di interrogativi. Interrogativi cui il presente deve, se non fornire risposte certe, quantomeno dare l’indirizzo giusto alla ricerca delle risposte, intervenendo sulle rovine: la conservazione del patrimonio culturale è fondamentale perché ci fornisce chiarezza sulla nostra identità e sul nostro posto nel mondo e nella storia. Architettura e Archeologia: quale futuro?

Tra le considerazioni circa l’importanza del patrimonio architettonico-culturale occorre ricordare brevemente (onde evitare lungaggini su un argomento che necessiterebbe di un’ulteriore tesi per essere affrontato) il valore dello stesso come collante di una comunità e, addirittura, intercomunitario. Va però rilevato che la definizione di parco archeologico compare solo a partire dal Codice dei Beni Culturali del 20045. Il concetto di parco nasce, infatti, con valenza ambientale, con la Legge Quadro sulle aree protette del 19916, che definisce e regola la creazione dei grandi parchi nazionali e delega alle regioni l’istituzione dei parchi regionali di carattere ambientale. Poiché in Italia, però, nella maggior parte dei casi non esiste un parco ambientale o naturale all’interno del quale non si rilevino anche valenze culturali o archeologiche, ben presto le Regioni si sono prevedibilmente trovate a doversi misurare con problematiche diverse da quelle naturalistiche, ampliando la loro sfera di interesse. Di qui la necessità di armonizzare una legislazione nata con fini di gestione su base esclusivamente ambientalistica e naturalistica con la tradizionale legislazione dei beni culturali. La ragion d’essere dell’istituzione di un parco archeologico, indipendentemente dalle forme di gestione adottate, dirette o indirette, pubbliche o private, risiede nella scelta concorde e partecipata da parte delle istituzioni e degli enti territoriali di un nuovo modo di tutelare e valorizzare i beni archeologici inserendoli nel più ampio contesto del paesaggio antico e contemporaneo7. Riconoscere il valore contestuale del patrimonio culturale, senza sovvertirne il potenziale di significato collettivo, è fondamentale per il processo decisionale in materia di conservazione. Per ottenere decisioni equilibrate è necessaria una maggiore cooperazione tra i numerosi professionisti, istituzioni e membri della comunità che influenzano i risultati e la sostenibilità degli sforzi di conservazione. Queste diverse

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figure sono spesso denominate stakeholder8 nei processi di conservazione; ognuno di essi ha un obiettivo, o interesse acquisito, nel sito e in come viene utilizzato, conservato, promosso. Dare voce alle loro diverse prospettive attraverso un processo di partecipazione contribuisce a garantire che la conservazione risponda alle esigenze professionali e agli ideali accademici, nonché ai bisogni e questioni sociali. L’obiettivo è quello di migliorare la produttività e di guidare il processo di conservazione e valorizzazione. Uno degli strumenti principali a tal proposito è quello di prendere in considerazione i pareri dei principali attori che vivono l’area, per poter formulare una risposta progettuale che non solo dia una riposta alle questioni sollevate, ma che permetta una valorizzazione integrale dell’area. L’esame di un territorio partendo da una chiave di lettura settoriale, infatti, può produrre delle risposte orientate che privilegino talune valenze a discapito di altre: è per questo che l’intervento di lettura e valorizzazione del patrimonio culturale individuato non si sostanzia in un progetto settoriale, ma anzi, si struttura su varie tematiche qualificandosi, dunque, come interdisciplinare. Un progetto che si occupa di vari temi legati alla stessa area genera, di conseguenza, un meccanismo di cause ed effetti che coinvolge i settori che orbitano attorno a questo polo, da quello meramente turistico a quello delle imprese che si occupano del recupero, a quello del settore connesso alla tutela e gestione del sistema-parco. La grande varietà di ricchezze che caratterizzano l’area di Roca Vecchia pone la questione di una contemporaneità di diversi fattori che già coesistono in maniera spontanea: la fruizione balneare, la ricerca archeologica e la sua valorizzazione in loco, senza dimenticarsi del fondamentale fattore ambientale e naturalistico nel quale è immersa. L’obiettivo posto è quello di garantire la contemporaneità e, in particolare, la diversità degli usi e la loro destagionalizzazione, riconoscendo ambiti di interesse, ciascuno con le proprie necessità e potenzialità, che possano coesistere all’interno, sì di un’unica area geografica come la costa e la cinta delle mura

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messapiche verso l’entroterra, ma soprattutto di un unico sistema organizzato con regole e gestori. La conservazione del patrimonio materiale è una funzione vitale per la società, un contributo allo sviluppo umano e sociale, oltre che un mezzo per creare un significativo attaccamento al luogo. L’espediente studiato per rispondere ai temi analizzati è quello di creare un sistema-parco che possa racchiudere la ricchezza di quest’area con l’obiettivo di avviare un processo di riconoscimento della popolazione elevandola dallo status di «non-luogo». Data la varietà di interventi, il concetto di unità è stato interpretato attraverso la definizione di un limite che permettesse non tanto di definire un confine dell’area archeologica entro il quale vigessero le logiche economiche e gestionali, quanto piuttosto individuando un’area che avesse comuni interessi e potenzialità da esprimere. Per mantenere la grande sfaccettatura del luogo, caratterizzato appunto da molteplici spunti progettuali, l’intervento evita di porsi in maniera totalizzante con l’obiettivo di non far prevalere determinati ambiti rispetto ad altri. All’interno del sistema-parco sono infatti state affrontate tutte le tematiche presenti cercando di far rientrare ogni aspetto in una comune logica di intervento volta ad una parziale autonomia determinata da una relazione paratattica tra le parti. Così come in un organismo in cui ad ogni parte corrisponde una funzione ben precisa, allo stesso modo, definito il limite di intervento che racchiude tutti gli aspetti, ogni ambito mantiene la propria autonomia concorrendo al buon funzionamento dell’insieme.

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Note Bibliografiche

1 s. settis, Approfondimenti, in Antichi sotto il cielo del mondo. La gestione dei parchi archeologici. Problemi e tendenze, in Atti del Colloquio internazionale promosso dalla Quinta 101 commissione consiliare - Attività culturali e Turismo - del Consiglio regionale della Toscana, Impruneta (FI), 25 – 26 ottobre 2007, Tipografia del Consiglio regionale della Toscana, Firenze, 2008, pp. 105-111. 2 Sui Miti consolatori e la Bellezza del paesaggio, vd. m. zoppi, Beni culturali e comunità locali, Mondadori Electa, Milano, 2007.

3 Nell’Art.1 della L.778/1922 si afferma che “sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria. (…) altresì (…) le bellezze panoramiche”. 4 Vd. b. croce, Relazione di accompagnamento alla L.778/1922. 5 s. de caro, Ma esistono i parchi archeologici?, in Antichi sotto il cielo del

mondo. La gestione dei parchi archeologici. Problemi e tendenze in Atti del Colloquio internazionale promosso dalla Quinta 101 commissione consiliare - Attività culturali e Turismo - del Consiglio regionale della Toscana, Impruneta (FI), 25 – 26 ottobre 2007, Tipografia del Consiglio regionale della Toscana, Firenze, 2008, pp. 159-166.

6 LEGGE 6, dicembre 1991, n. 394, Legge quadro sulle aree protette del Ministero dell’Ambiente.

7 Sull’archeologia come scienza che studia le civiltà e le culture umane del passato e le loro relazioni con l’ambiente circostante, vd. c. renfrew, p. bahn, Archaeology: Theories, Methods and Practice, Thames and Hudson, Londra, 1991. 8

Stakeholder: Tutti i soggetti, individui od organizzazioni, attivamente coinvolti in un’iniziativa economica (progetto, azienda), il cui interesse è negativamente o positivamente influenzato dal risultato dell’esecuzione, o dall’andamento, dell’iniziativa e la cui azione o reazione a sua volta influenza le fasi o il completamento di un progetto o il destino di un’organizzazione. Voce “Stakeholder”, da Enciclopedia Treccani, 2017.

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IL PROGETTO

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Fig. 58 - Masterplan del progetto.

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Masterplan Date le analisi effettuate e precedentemente esposte, atto fondamentale per la progettazione del Parco Archeologico di Roca Vecchia è stato quello di definire un limite, un témenos, all’interno del quale operare, adottando soluzioni che tangano conto della differente morfologia e caratterizzazione storica degli ambiti individuati. Questo limite, individuato nel tracciato della cinta muraria messapica, ha il ruolo di definire il Parco Archeologico rispetto al paesaggio circostante, senza configurarsi come barriera invalicabile. Gli ambiti di intervento, individuati dopo l’analisi storica e morfologica dei luoghi, a seconda anche delle criticità e peculiarità di quest’ultimi sono: gli accessi e i percorsi del parco, il polo ricettivo/museale, l’area Castello-Carrare, le aree di scavo future e la Grotta Poesia Piccola. All’interno del tracciato il progetto si traduce nel disegno dei percorsi, delle architetture museali e degli interventi per la fruizione delle archeologie senza imporsi sulla connotazione naturale dell’area circostante, cercando il più possibile di non contrapporsi al paesaggio costiero e agricolo della stessa, dialogando quindi con esso. Obiettivo del progetto è quello di ridare agli ambiti archeologici un ruolo attivo all’interno della vita quotidiana dei cittadini, affiancando alle dinamiche dettate dal turismo archeologico anche funzioni e spazi utili al tempo libero, permettendone la coesistenza con le attività di scavo e ricerca. Il Parco Archeologico di Roca Vecchia si configura come un’area di valenza archeologica e naturalistica, con spazi fruibili in sicurezza da tutti, mantenendo sia parti accessibili mediante biglietto, sia altre completamente pubbliche. Il progetto, radicato profondamente nella storia del luogo, estrapola dal substrato archeologico i principi regolatori che ne guidano lo sviluppo morfo-planimetrico: il disegno, in alcune sue parti, è basato sulla maglia ortogonale dell’insediamento protostorico e della cittadella tardomedievale, riproposto e reinterpretato negli ambiti CastelloIl Progetto

Carrare e del Museo, mentre, la costruzione paratattica degli insediamenti Messapici, in cui si alternavano all’interno della cinta differenti spazi a uso abitativo, sacro e agricolo, è il principio che permette al progetto di tradursi in modo differente in ogni sua parte senza perdere l’omogeneità totale. Nonostante la presenza di un confine definito è obiettivo del progetto quello di non perdere i legami intangibili che per tutta la storia di Roca Vecchia ne hanno segnato e influenzato il progresso storico; il Parco è inserito in un contesto naturale e paesaggistico a carattere agricolo che si estende all’interno e all’esterno della cinta muraria, fino all’entroterra, senza soluzione di continuità che trova origine già nel primo insediamento protostorico e si sviluppa, mutandone il carattere produttivo, dal periodo messapico, passando per l’epoca medievale, fino ai gironi nostri. Ma Roca Vecchia, per quanto legata al contesto circostante, si radica al mare e a ciò che si trova oltre. Esso è stato elemento fondamentale della storia del luogo, ne ha segnato il fiorire in epoca protostorica, grazie ai rapporti culturali e commerciali con le civiltà greche e d’oriente, e, in epoca tardorinascimentale , ne ha segnato la fine, giunta successivamente alle scorrerie Ottomane. Questo profondo rapporto viene quindi riproposto e suggerito ai fruitori grazie a punti panoramici che permettono di scorgere, durante le più limpide giornate, la costa al di là del Mar Adriatico.

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Accessi e Percorsi Le Porte e le Mura Messapiche

Fig. 59- Assonometria della Porta Sud-Ovest.

Fig. 60 - Assonometria della passeggiata ciclopedonale delle Mura Messapiche.

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Le due porte della cinta messapica, una a Nord e l’altra a Sud Ovest, vengono riproposte come accessi principali del Parco. I monumenti, oggi poco evidenti poiché appena affioranti dal terreno, realizzati a secco e con la sovrapposizione di due file di blocchi megalitici, sono caratterizzati da uno sviluppo planimetrico non perpendicolare rispetto al tratto di muro su cui insistono. Tale peculiarità, tipica dell’urbanistica messapica, viene valorizzata dal progetto. In corrispondenza di ognuna delle preesistenze viene posto un volume astratto rivestito di lamiera stirata in acciaio corten. I volumi, sostenuti da strutture in acciaio, arretrati rispetto al sedime murario, si sviluppano ricalcando la forma dei due accessi, interrompendosi in corrispondenza dell’accesso che diviene un passaggio compresso tra due blocchi astratti. I volumi, alti 4 m, divengono dei landmarks nel paesaggio, dichiarando precisamente gli accessi al parco, e ospitando al piano terra un piccolo ambiente utilizzabile come info point o biglietteria e, sulla copertura, due piccole terrazze panoramiche che permettano al fruitore di avere uno sguardo privilegiato sul paesaggio circostante. La cinta muraria, estesa con sviluppo poligonale per circa 1,4 km, rappresentando il limite del parco, è interrotto solo in occasione delle due porte e dell’intersezione con la Strada Bianca, si configura come una grande infrastruttura per la mobilità ciclopedonale. Il muro viene liberato sul lato esterno dal terreno creando una differenza di quota a favore dello spazio racchiuso dalle mura e facendo percepire il Parco come rialzato su un terrapieno. Sia all’interno che all’esterno del muro sono disegnati due percorsi ciclopedonali che trovano punto di contatto in corrispondenza delle porte: mentre quello interno segue precisamente lo sviluppo del muro, quello esterno ha un andamento libero e dettato dall’orografia dell’intorno, andando a collegarsi a percorsi ciclopedonali già presenti. Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


I Percorsi Interni L’intera viabilità del Parco è oggetto di riorganizzazione, infatti, data la prossima realizzazione di parcheggi in prossimità dell’area e la vicinanza ai centri abitati di Roca Li Posti e Torre dell’Orso, si è scelto di favorire la mobilità ciclopedonale rispetto a quella carrabile. La litoranea, che da piani futuri del Comune di Melendugno sarà sostituita da un asse viario interno all’entroterra, viene in parte eliminata, permettendo di riportare unità alle mura messapiche nei tratti in cui esse sono oggi coperte dal manto stradale, e in parte riconvertita come percorso curvilineo ciclopedonale che, attraversando la Porta Nord, collega l’area Castello-Carrare, l’impianto museale, la grotta Poesia Grande fino a giungere a Torre dell’Orso. L’intera area del Parco viene quindi ridisegnata tramite degli assi ciclopedonali impostati su un organizzazione ortogonale che riprende il disegno delle partizioni agricole del territorio salentino. Questi percorsi, realizzati tramite movimentazione del terreno al di fuori dei tracciati, descrivono grandi aree utili all’organizzazione di future campagne di scavo. I tracciati sono disegnati per collegare tra loro tutti gli ambiti del progetto, da quelli più interni fino al percorso delle mura messapiche, passando anche per la struttura alberghiera preesistente. Oltre al tracciato curvilineo litoraneo di cui sopra, anche l’asse viario radiale della Strada Bianca sfugge alla logica dell’ortogonalità. Questo tracciato, presente a Roca fin dagli albori delle prime occupazioni umane, che collega il sito con la vicina Baia di Torre dell’Orso, viene riconfigurato come asse di servizio carrabile solo per gli addetti ai lavori.

Fig. 61 - Assonometria dei percorsi ciclopedonali interni al Parco Archeologico.

Fig. 62 - Assonometria della Strada Bianca, unico asse viario carrabile.

Il Progetto

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Fig. 63- Assonometria dell'impianto museale.

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L'Impianto Museale L’intervento è caratterizzato dalla progettazione di uno spazio che si configuri come un impianto museale diffuso nel paesaggio, contrapposto al modello predominante del museo come edificio contenitore. Tale impianto prevede il susseguirsi di spazi espositivi ibridati con quelli di servizio e ricezione, organizzando sì i reperti secondo tematiche espositive, ma annullando la separazione tra ambienti museali e spazio pubblico aperto. L’idea è stata quindi quella di concepire tale intervento come ipogeo, come un susseguirsi di spazi coperti e aperti senza nette distinzioni. La morfologia dell’impianto museale si ispira al paesaggio salentino. In esso predomina lo sviluppo lineare: le radure, le campagne e i boschi sono dominati dall’orizzontalità, le alture sono rade e poco sviluppate. Gli unici elementi che, al di fuori del tessuto urbano, si innalzano oltre la linea d’orizzonte, sono di fattura antropica: le masserie, le torri colombarie, le specchie e le pagghiare appaiono come sentinelle silenti e isolate, all’interno del paesaggio. Ma ciò che contraddistingue forse di più il territorio in questione è il substrato geologico; al di sotto della terra rossa il terreno è composto soprattutto da calcareniti e pietre sedimentarie, materiali da costruzione utilizzati da tutti i popoli che hanno abitato nei millenni queste terre. Data tale composizione geologica, il territorio è quindi disseminato di grotte naturali utilizzate fin dalle prime manifestazioni umane, escavazioni artificiali come neviere e cisterne ma è soprattutto caratterizzato dalla presenza di estese cave per l’estrazione della pietra leccese che si aprono improvvisamente all’interno del territorio. L’impianto museale si sviluppa quindi in ipogeo a partire dalle impronte nel substrato lasciate dagli edifici esistenti, scava la pietra interessando aree non occupate da reperti e resti archeologici seguendo due direttrici ortogonali, lasciando poi a vista le sezioni stratigrafiche dello scavo. Il vuoto risultante viene diviso da setti murari realizzati con calcestruzzo gettato a strati che ha come componenti Il Progetto

inerti le pietre e le polveri di risulta dagli scavi precedenti. Le coperture, progettate come grandi piastre rivestite internamente da lastre di pietra leccese, vengono forate in alcuni punti per portare la luce al livello ipogeo e coperte dal terreno. Unici elementi elevati oltre al piano di campagna sono il parallelepipedo sospeso al di sopra dell’ambiente principale che, rivestito anch’esso di pietra leccese, anticipa ai visitatori la presenza dell’impianto e i parapetti dei fori dei patii; tali elementi appaiono come blocchi monolitici affioranti dal terreno e diffusi nel paesaggio. Il risultato è un museo ipogeo, tutt’uno con il terreno, i cui ambienti principali sono messi in comunicazione da una piazza principale e in cui gli spazi coperti sono alternati a patii e spazi con luci zenitali. Lo scenario che si delinea è quello di un architettura che si rifà alla spazialità delle masserie ma integrata nel paesaggio come fosse una cava.

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Fig. 64 - Planivolumetrico dell'impianto museale.

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Fig. 65 - Piano interrato del sistema museale.

Il Progetto

Fig. 66 - Primo piano dell'impianto museale.

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Fig. 67 - Sezione dell'impianto museale

Fig. 68 - Sezione dell'impianto museale.

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Fig. 69 - Sezione prospettica di uno degli ambienti espositivi.

Il Progetto

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Fig. 70 - Planivolumetrico dell'intervento nell'area Castello-Carrare.

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L'Area Archologica Castello-Carrare Nell’intervenire sull’area castello-carrare si è tenuto conto della grande eterogeneità dei rinvenimenti che spaziano dall’età del Bronzo fino al XVII secolo. La risposta di progetto ha voluto definire un rapporto paratattico tra le parti componendo un organismo che permetta di ricomporre un’unità della penisola che era ormai compromessa. È l’imponente fortificazione della Media Età del Bronzo a delimitare l’intervento e a definire l’accesso all’area archeologica. Rispondendo alle attività di ricerca e studio che ancora necessita, si è deciso di procedere attraverso un progetto per step che comprenda inizialmente una fase di scavo, successivamente una fase di restauro conservativo e di messa in sicurezza e, infine, un progetto di valorizzazione e accessibilità. L’obiettivo posto è quello di restituire l’impatto volumetrico sulla base delle ricostruzioni effettuate pensando un volume astratto, in corrispondenza della porta di accesso, che esalti l’imponenza e allo stesso tempo espliciti la morfologia del muro. Il varco di accesso si configura come un lungo corridoio dove si alternano spazi ristretti e spazi ampi in un’ottica di compressione-dilatazione che detta progressivamente l’accesso. L’area della cittadella medievale, regolata da una maglia ortogonale definita dalle giaciture degli abitati, viene percorsa sul sedime delle strade antiche, con un reticolo di percorsi che collega i luoghi cardine grazie ad una passerella impostata sul substrato archeologico grazie ad uno strato di ghiaia che la stabilizza. Gli abitati medievali sono individuabili grazie ai muri che ne definiscono gli spazi interni; si è scelto di restaurarli e conservarne la spazialità attraverso la creazione di una stratigrafia tecnica composta da strati di inerti, geotessili e ghiaia per ripristinarne l’omogeneità delle superfici. La passerella distribuisce i visitatori verso i vari punti di interesse, come le abitazioni e le due chiese medievali, tra i quali vi è l’altro fondamentale monumento dell’Età del Il Progetto

Bronzo: la Capanna Tempio. Per rispondere alla necessità di presentare la spazialità che la caratterizza si è pensato di posizionare, in corrispondenza delle buche di palo, delle strutture cilindriche alte 2 metri in lamiera grecata affinché si percepisca l’imponenza della struttura regolare e l'estensione planimetrica. L’area perimetrale a strapiombo sul mare dove sorgevano le mura difensive medievali, viene pensata nell’ottica del riconsolidamento della cinta a livello planimetrico tramite la creazione di un percorso panoramico che riconfiguri il disegno originario delle mura. Ancora una volta viene a crearsi un rapporto di spazi compressi e dilatati che si sostanziano nei percorsi di collegamento e negli spazi di sosta evidenziati dai bastioni e dal castello. Il sistema di percorsi e passerelle lungo le mura ha rappresentato una sfida progettuale per via della complessa articolazione del substrato. L’orografia tanto fragile quanto mutevole ha infatti determinato la tipologia dell’intervento, richiedendo un’azione rispettosa del contesto e delle problematiche che presenta. Si è scelto pertanto di agire nell’ottica di una messa in sicurezza avvenuta attraverso l’ideazione di un intervento puntuale. Attraverso montanti in acciaio ancorati alla roccia tramite tasselli chimici si è pensato un sistema tecnologico di parapetto attrezzato che permetta la regolare fruizione e si ponga l’obiettivo di contenere parzialmente il terreno cedevole. Grazie a profili lineari in acciaio fissati sui montanti verticali viene previsto un riempimento costituito da uno strato di geotessile sormontato da inerti che regolano la stabilità del camminamento. Questo percorso leggibile anche dal mare grazie al parapetto che si staglia come un profilo continuo in lamiera grecata, che collega anche l’isola della torre di Maradico con un ponte sospeso, ridefinisce nuovamente un’unità dell’insediamento manifestata in passato ma ormai persa.

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Fig. 71 - Assonometria dell'intervento sulla Porta Monumentale.

Fig. 72 - Assonometria dell'intervento sulla Capanna Tempio.

Fig. 73 - Assonometria dell'intervento sul Castello di Brienne.

Fig. 74 - Assonometria dell'intervento sulle mura tardomedievali.


Fig. 75 - Sezione dell'area Castello-Carrare. Da sinistra: capanna tempio e pilastri in lamera stirata, pavimentazione all'interno dei nuclei tardomedievali, percorsi di fruizione rialzati sul decumano della cittadella, modulo di scavo per gli archeologi.

Fig. 76 - Sezione dell'intervento sulle mura tardo-medievali.

Fig. 77 - Sezione del ponte di collegamento tra area Castello-Carrare e isolotto della Torre di Maradico.

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Fig. 78 - Vista del ponte che collega l'isola della Torre di Maradico e il percorso delle mura tardo-medievali.

Il Progetto

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Fig. 79 - Vista del ponte che collega l'isola della Torre di Maradico e il percorso delle mura tardo-medievali.

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Fig. 80- Vista del ponte che collega l'isola della Torre di Maradico e il percorso delle mura tardo-medievali.

Il Progetto

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Fig. 81 - Esplosi assonometrici delle diverse configurazioni dei moduli di scavo.

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Moduli di Scavo e Foresteria In risposta alle esigenze degli archeologi viste le progressiva campagne di indagine e studio dell’area è stato ideato un sistema modulare che permetta di facilitare le operazioni di scavo in maniera mirata e allo stesso tempo consenta un’espansione a lavori in corso. Il concetto di un modulo funzionale all’archeologia è sorto in seguito alla definizione di un cronoprogramma, che, sulla base delle documentazioni archiviate fino a questo momento, ha permesso di circoscrivere spazi e tempi degli scavi, individuando settori con priorità di essere indagati. La prerogativa principale perseguita nella progettazione di questo sistema è quella della semplicità di assemblaggio delle parti che lo costituiscono affinché i moduli possano essere gestiti con facilità nel corso delle campagne, andando ad essere smontati e dislocati a seconda delle necessità della ricerca. Un altro aspetto preso in considerazione nell’ideazione del modulo archeologico è stata la sua fattibilità economica garantita da una struttura in travi di legno e da finiture in materiali come plexiglass, tessuti tecnici o lamiere a seconda delle esigenze di protezione e di illuminazione richieste dalle fasi di lavoro. La dimensione del modulo, un quadro di lato 11 metri, deriva dallo studio dei reperti archeologici di età medievale regolati secondo un principio insediativo a griglia ortogonale che configura gli abitati della cittadella. La struttura, per relazionarsi con le dimensioni proprie degli scavi, si presenta come una copertura sostenuta da 4 pilastri fondati su plinti in cemento prefabbricato che sospendono il piano di calpestio ad una quota sopraelevata dal terreno attraverso un camminamento perimetrale per garantire un’accessibilità confortevole agli addetti ai lavori, ma allo stesso tempo per delimitare in maniera chiara i limiti delle aree di lavoro. L’orditura delle travi di legno di cui è costituito il pavimento garantisce, a seconda delle porzioni di terreno da saggiare, di Il Progetto

tamponare con pannelli in legno il solaio o mantenere delle porzioni vuote per gli scavi. Il concetto di modulo è stato inoltre esteso aldilà della mera funzione legata agli scavi, vista la flessibilità garantita dal permanere della struttura; sono state previste tre ulteriori configurazioni che rispondessero alle quotidiane necessità degli archeologi. Attraverso questi moduli attrezzati si è riusciti a definire un sistema di foresteria che possa accogliere un dormitorio, uno spazio per i servizi come bagni e docce ed uno pensato come area relax e cucina. Come precedentemente affermato, ciascuno di questi moduli è caratterizzato dalla struttura in travi e pilastri in legno che vengono successivamente tamponati con pannelli prefabbricati costituiti da un rivestimento interno ed esterno in legno ed uno strato isolante in lana di legno. Gli impianti e gli scarichi relativi ai moduli di servizio vengono gestiti al di sotto del pavimento sfruttando la porzione sopraelevata evitando di intervenire sul suolo ma garantendo una completa reversibilità dell’intervento. Particolare attenzione è stata inoltre posta nel progetto dello spazio dormitorio pensando ad un unico arredo che possa ospitare sia gli spazi letto che gli armadi ed i piani d’appoggio affinché lo spazio sia sfruttato in maniera efficace e congeniale garantendo allo stesso tempo possibilità di spazi comuni e ambienti più personali. Questo sistema foresteria ambisce a proporre un nuovo modo di vivere e relazionarsi con l’archeologia sia nell’ottica delle campagne di scavo sia in funzione di una possibile idea di una fruizione più ampia in ambito archeologico.

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Fig. 82 - Esploso assonometrico della struttura del modulo archeologico.

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Fig. 83 - Esplosi assonometrici delle soluzioni della foresteria

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Fig. 84 - Sezione prospettica del modulo dormitorio.

Il Progetto

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Fig. 85 - Assonometria dell'acceso alla Grotta Poesia Piccola.

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La Grotta Poesia Piccola La Grotta Poesia Piccola in passato è sempre stata oggetto di frequentazione a carattere sacro. Il tema dell’accessibilità di questa cavità carsica ha rappresentato un tema imprescindibile per il progetto sia a livello del significato che rappresenta per il luogo per via dell’importanza documentale delle incisioni impresse sulle pareti, sia per l’impossibilità, ad oggi, di accedervi per programmatiche campagne di studio data la fatiscenza e pericolosità della struttura esistente. L’intervento si pone, dunque, l’obiettivo di garantire nuovamente l’accesso in sicurezza non solo agli addetti ai lavori, ma soprattutto ai turisti, affinché possano finalmente vivere un’esperienza ai più inedita. Il progetto risponde a tre necessità: rendere tangibile la presenza della grotta anche da lontano, renderla accessibile a tutti, permettere a visitatori e tecnici di osservare da vicino le iscrizioni. Per soddisfare tali domande è stato pensato un landmark che si configura come un anello circolare rialzato verso il mare che circoscrive l’area della cavità di accesso e permette l’individuazione della grotta anche da lontano. La discesa avviene attraverso una scala elicoidale che si avvolge attorno ad un corpo centrale portante che accoglie un montacarichi meccanizzato grazie ad un pistone alla base. La scala è pensata come un nastro continuo rivestito da lamelle che ne rafforzano l’immagine garantendo la percezione di un oggetto leggero che permette, lungo la discesa, la progressiva scoperta dell’antro. La rampa sinuosa si dispiega lambendo le pareti della grotta senza infrangere la delicatezza intrinseca del luogo, andando poi a svolgersi generando una piattaforma dalla pianta organica che dà la possibilità di muoversi liberamente sulla superficie dell’acqua generando una sensazione di dilatazione dello spazio.

Il Progetto

Fig. 86 - Prospetto della scala di accesso.

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Fig. 87 - Sezione della scala di accesso.

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Fig. 88 - Pianta della passerella all'interno della Grotta Poesia Piccola.

Il Progetto

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Fig. 89 - Vista dell'accesso alla scala.

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Substrato - Il Parco Archeologico di Roca Vecchia


Fig. 90 - Vista della scala di accesso dal livello della piattaforma interna alla grotta.

Il Progetto

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Indice delle Immagini Roca Vecchia. 3 Linea del tempo. Disegno degli Autori. 7 Tavola delle rotte dei Miti. Disegno degli Autori. 8 Faro di Santa Maria di Leuca. 10 Assedio di Roca. Ricostruzione a opera di Karol Schauer da Roca Archeological Project. 11 Tavola di ricostruzione geografica della costa. Disegno degli Autori. 14 Pianta della Poesia Piccola. Ridisegno degli autori da rilievo di C. Pagliara (1987). 16 Sezione della Poesia Piccola. Ridisegno degli autori da rilievo di C. Pagliara (1987). 17 Graffiti nella Grotta Poesia Piccola. Ridisegno degli autori da rilievo di C. Pagliara (1987). 18 Tavola degli insediamenti protostorici nel Salento. Disegno degli Autori. 20 Roca nell'Età del Bronzo. Ricostruzione a opera di Karol Schauer da Roca Archeological Project. 22 Dischi Solari. Foto e ridisegno da G. Maggiulli (2006). 24 Fortificazioni dell'Eta del Bronzo. Ricostruzione 3D a cura di CETMA e Dipartimento di Beni Culturali - Università del Salento . 25 Planimetria Porta Monumentale. Ridisegno degli Autori. 26 Tavola degli insediamenti messapici in Salento. Disegno degli Autori. 30 Confronto morfologico degli insediamenti messapici. Disegno degli Autori. 33 Porta Sud della cinta messapica. Da Roca Archaeological Project. 34 Schema urbano della cittadella tardomedievale. Disegno degli Autori. 38 Confronto tra Bastides. Disegno degli Autori. 40 Nucleo abitativo tardomedievale. Disegno degli Autori. 41 Tavola dell'incastellamento in Salento. Disegno degli Autori. 44 Tavola della distribuzione delle masserie fortificate nel basso Salento. Disegno degli Autori. 45 Tavola di analisi delle criticità di Roca. Disegno degli Autori. 50 Tavola dello Stato di Fatto dell'area di Roca. Disegno degli Autori. 54 Tavola del PPTR redatto da Regione Puglia. Disegno degli

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Autori. 56 Foto delle transenne a Grotta Poesia Grande. 58 Tavola delle evidenze archeologiche. Disegno degli Autori. 60 Tavola della stratificazione storica nell'area Castello-Carrare. Disegno degli Autori. 64 Fotografia di T. Scarano. Da Roca Archaeological Project. 65 Intervento di recupero. Da Roca Archaeological Project. 65 Capanna Tempio vista dal Castello. Foto degli Autori. 66 Capanna Tempio. Foto degli Autori. 66 Mura dell'Età del Bronzo. Foto degli Autori. 67 Cittadella tardo-medioevale. Foto degli Autori. 67 Mura di cinta tardomedievali. Foto degli Autori. 68 Castello del Conte di Brienne. Foto degli Autori. 68 Torre di Maradico. Foto degli Autori. 69 Grotta Poesia Grande. Foto degli Autori. 70 Muro di delimitazione dell'Area Archeologica. Foto degli Autori. 71 Baia di Nfocaciucci. Foto degli Autori. 72 Turista sul Castello di Brienne. Foto degli Autori. 72 Mostrum, F. Venezia, Pomepi. 76 Museo di Arte Romana, R. Moneo, Merida. 78 Musealizzazione del sito archeologico di Praça Nova, J. L. Carrilho da Graça, Lisbona. 79 Recupero di una Villa Romana, T. Gironès, Barcellona. 80 Basilica di Siponto, E. Tresoldi, Foggia. 81 Kalø Slotsruin Visitor Access, MAP Architects, Djursland. 82 Arabian Tower Visitor Access, Virsed&Vila Architect e I. Carnicero, Guadalajara. 83 Riqualificazione del centro urbano, J. Miàs, Banyoles. 86 Riqualificazione del centro urbano, J. Miàs, Banyoles. 87 Parco della Porta Palatina, Isolarchitetti, Torino. 88 Parco della Porta Palatina, Isolarchitetti, Torino. 89 Via dei Fori Imperiali, Chipperfield Architects & Università di Stoccarda, Roma. 90 Via dei Fori Imperiali, Chipperfield Architects & Università di Stoccarda, Roma. 91 Buffer Zone, Politecnico di Milano & Universitat Politècnica de la Catalunya, Villa Adriana. 92 Buffer Zone, Politecnico di Milano & Universitat Politècnica de la Catalunya, Villa Adriana. 93

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Buffer Zone, Politecnico di Milano & Universitat Politècnica de la Catalunya, Villa Adriana. 94 Masterplan del progetto. Disegno degli Autori. 102 Assonometria della Porta Sud-Ovest. Disegno degli Autori. 104 Assonometria della passeggiata ciclopedonale delle Mura Messapiche. Disegno degli Autori. 104 Assonometria dei percorsi ciclopedonali interni al Parco Archeologico. Disegno degli Autori. 105 Assonometria della Strada Bianca. Disegno degli Autori. 105 Assonometria dell'impianto museale. Disegno degli Autori. 106 Planivolumetrico dell'impianto museale. Disegno degli Autori. 108 Piano interrato del sistema museale. Disegno degli Autori. 109 Primo piano dell'impianto museale. Disegno degli Autori. 109 Sezione dell'impianto museale. Disegno degli Autori. 110 Sezione dell'impianto museale. Disegno degli Autori. 110 Sezione prospettica di un ambiente espositivo. Disegno degli Autori. 111 Pianta dell'area Castello-Carrare. Disegno degli Autori. 112 Assonometria della Porta Monumentale. Disegno degli Autori. 113 Assonometria del Castello di Brienne. Disegno degli Autori. 113 Assonometria della Capanna Tempio. Disegno degli Autori. 113 Assonometria delle mura tardomedievali. Disegno degli Autori. 113 Sezione dell'area Castello-Carrare. Disegno degli Autori. 114 Sezione dell'intervento sulle mura tardo-medievali. Disegno degli Autori. 114 Sezione del ponte tra area Castello-Carrare e isolotto della Torre di Maradico. Disegno degli Autori. 114 Render della Porta Monumentale. Disegno degli Autori. 115 Render dell'intervento sul Castello di Brienne. Disegno degli Autori. 116 Render del ponte per l'isola della Torre di Maradico. Disegno degli Autori. 117 Esplosi assonometrici dei moduli di scavo. Disegno degli Autori. 118 Esploso assonometrico della struttura del modulo archeologico. Disegno degli Autori. 119 Esplosi assonometrici delle soluzioni della foresteria. Disegno degli Autori. 120 Sezione prospettica del modulo dormitorio. Disegno degli

Autori. 121 Assonometria dell'acceso alla Grotta Poesia Piccola. Disegno degli Autori. 122 Prospetto della scala di accesso. Disegno degli Autori. 123 Sezione della scala di accesso. Disegno degli Autori. 124 Pianta della passerella all'interno della Grotta Poesia Piccola. Disegno degli Autori. 125 Render della scala nella Grotta Poesia Piccola. Disegno degli Autori. 126 Render dell'accesso alla Grotta Poesia Piccola. Disegno degli Autori. 127

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Vorremmo dedicare questo spazio a chi, con professionalità e pazienza, ha contribuito alla realizzazione di questo progetto di tesi. Ringraziamo Valerio Tolve, Docente presso il Politecnico di Milano, professore e amico, per averci aiutato, non solo in occasione di questa tesi, a cambiare il nostro punto di vista nel guardare all’Architettura, spronandoci a mettere sempre in discussione le certezze, fornendoci le idee e gli strumenti utili alla stesura di questo lavoro. Ringraziamo Teodoro Scarano, Responsabile dell’Area Archeologica di Roca Vecchia e Docente presso l’Università del Salento, per la sua continua disponibilità a confrontarsi e mettere a disposizione le proprie conoscenze, dimostrandoci come possa esistere un prolifico scambio tra la disciplina dell’Archeologia e quella dell’Architettura. Ringraziamo la Dottoressa Serena Strafella, Funzionario Archeologo presso la Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi e Lecce, per la sua disponibilità al confronto progettuale e per il supporto alle complesse attività di ricerca negli Archivi. Ringraziamo l’Amministrazione Comunale di Melendugno, nelle figure del Sindaco Marco Potì e del Consigliere Roberto Rollo, per averci dato la possibilità di confrontare le nostre idee con le istanze dei progetti futuri. Ringraziamo Pier Federico Caliari, Docente presso il Politecnico di Torino, per averci insegnato a perseguire sempre la bellezza e non fermarci davanti ai canoni imposti. Ringraziamo Laura D’Onofrio, Collaboratrice presso il Politecnico di Milano, correlatrice e amica per i preziosi consigli e il continuo supporto offerto.

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