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Il collettivo Stramonium presenta
Triple ••• Moon Triple Moon è un incontro ricorrente che si propone di sperimentare diversi metodi di ricerca iniziatica, attraverso la diffusione di pamphlet, riflessioni, musica ed immagini, lasciando al singolo la libertà di scegliere il proprio percorso spirituale, bandendo una volta per tutte elitarismo e specialismi. Non la banalizzazione di ciò che rimane nascosto ai più, ma un semplice invito a guardare tra le righe della realtà.
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Nel cuore dell’antica Europa!
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Bisogna sfatare alcuni miti prima di addentrarci in questo mondo incredibilmente vasto e misterioso che ha per protagoniste le popolazioni celtiche. ! Innanzitutto con il termine “Celti’’ si indicano un insieme di popoli indoeuropei che nel periodo del loro massimo splendore, IV e III sec a.C. erano stanziati in un ampia area dell’Europa, dalla Gallia alle Isole Britanniche, dal bacino del Danubio alle penisole italica, iberica ed anatolica. ! Il pensiero comune in cui le popolazioni celtiche “non scrivessero’’ è del tutto errato. A differenza della maggior parte dei popoli a loro coevi come Greci e Romani, i Celti avevano un rapporto con la scrittura molto pratico dato che alla base della loro cultura c’era infatti “la parola”.! Le popolazioni celtiche utilizzavano la scrittura solamente per le questioni quotidiane, Cesare nel suo “De Bello Gallico” è molto chiaro al riguardo: i druidi non mettevano per iscritto le loro dottrine, ma per il resto la scrittura era ben usata! ! Esistono documenti come censimenti, passaggi di proprietà e testamenti a riprova dell’utilizzo della scrittura da parte delle popolazioni celtiche che in quelle occasioni prendevano in prestito vari alfabeti dai popoli limitrofi, a volte apportando delle variazioni ai caratteri che cambiavano in base alle zone geografiche.! Le iscrizioni più antiche sono del 600 a.C. e vengono dalla Gallia Cisalpina tra Piemonte e Lombardia, scritte in un alfabeto derivante da quello etrusco; dalla fine del III secolo a.C. abbiamo le iscrizioni celtiberiche dalla Spagna centrale, in una complessa scrittura sillabica, mentre nel Sud della Francia si usava l’alfabeto greco.! Non si conosce l’endoetnonimo con il quale il popolo celtico si definisse in quanto popolo con simili usi e costumi e non sappiamo nemmeno se sia mai esistito un termine specifico, i Greci però li chiamavano Keltoi e Galati, mentre i romani Galli o Celtae. ! I Greci e Romani, loro contemporanei, erano invece popoli che scrivevano eccome! Per ovvie ragioni erano venuti in contatto con i Celti ed ecco quindi che grazie a loro possiamo disporre di molte informazioni rispetto ai costumi celtici sociali e religiosi. E però spesso questi cronisti del passato erano suscettibili a speculazioni per fini politici rispetto ai loro scritti, questo fattore quindi ci porta a dover essere molto coscienziosi quando si studiano le fonti originali, dato che spesso le loro opinioni variano sulla base del fine ultimo.! Prendiamo per esempio il “De Bello Gallico’’ di Giulio Cesare, un documento di fondamentale importanza, un prezioso contenitore ricco di innumerevoli informazioni sulle usanze celtiche che Gaio Giulio Cesare poté vedere proprio con i suoi occhi.!
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Ricordiamoci però che Cesare lo scrisse anche con fini politici, per giustificare le sue campagne e renderle ancora più eroiche. Le fonti antiche quindi, in base all’esigenza, descrivevano le popolazioni celtiche a volte come estremamente primitive o estremamente sviluppate ed avanzate, le scoperte archeologiche infatti sono spesso in contrasto con le fonti dell’epoca.! Ma facciamo ora il punto della situazione geografica delle aree italiche che hanno vissuto la cultura celtica, la Gallia Cisalpina era popolata dai Cenomani, stanziati tra i fiumi Adige e Oglio, essi confinavano a occidente con gli Insubri ed i Leponzi mentre a sud, verso Bologna, con i Boi che insieme agli Insubri erano i più fieri oppositori dell’inarrestabile espansionismo romano. A oriente c’erano i Camuni e poi i Veneti, questi ultimi fedeli alleati di Roma.! Ad ovest, verso la Gallia Transalpina, erano stanziati i Salassi e le popolazioni alpine, orgogliose della loro indipendenza, mentre nelle valli tra Lecco e Bergamo c’erano gli Orobi. ! I Celti in passato avevano sottratto moltissime terre agli Etruschi, tra le colonie più importanti bisogna citare Bologna, che dalla Felzna (Felsina) Etrusca divenne Bononia, nome che i romani diedero alla città occupata dai Boi. I tempi però cambiavano e questo potente popolo iniziava a subire pressioni sia da Nord, da parte dei valorosi popoli germanici, sia da Sud da parte dagli inarrestabili conquistatori latini! Il risultato che ne conseguì fu che usi e costumi celtici vennero progressivamente assimilati dalle altre culture e con il passare dei secoli anche il linguaggio, che dopo un lungo periodo di decadenza e di marginalizzazione, venne preservato solo nelle isole Britanniche.! In quei luoghi nel periodo altomedievale emersero gli eredi storici dei Celti: le popolazioni dell’Irlanda e delle frange occidentali e settentrionali della Gran Bretagna.! Sul continente invece si rilevano ancora oggi importanti contributi linguistici di origine celtica in molti termini di uso comune, nelle parlate dialettali locali e nella toponomastica. !
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Verba volant, scripta manent !
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La principale testimonianza rispetto alla religione celtica è ovviamente ancora una volta il De Bello Gallico. ! I Celti probabilmente condividevano una medesima visione religiosa politeista ed animista strettamente legata alla Natura, gli alberi, i corsi d’acqua, le radure, le montagne e le foreste avevano una grandissima importanza ed erano considerati
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sacri. Venivano spesso venerati anche molti genii loci la cui importanza variava di zona in zona.! Nel pantheon celtico Cesare testimonia il particolare culto attribuito a Lùg, un dio che egli tende ad associare al romano “Mercurio”. ! Lùg, significa il figlio del Sole, il luminoso dio dalla larga mano. Grande inventore delle arti e dei mestieri, guida nei viaggi e nei commerci.! Altre divinità di rilievo erano: Toutatis, il signore della guerra; Taranis, il dio dei tuoni; Belenos, il dio guaritore e la sua compagna, Belisama, dea del Fuoco ed iniziatrice delle arti. A Belisama era consacrato il biancospino e fu con questo che la dea segnalò a Belloveso, principe gallico, il luogo in cui fondare Milano (Medio-lanum, dal gallico città-in-mezzo alla pianura). I Romani identificavano Belisama con Minerva ed eressero un tempio i cui resti sono stati rinvenuti sotto l’attuale Duomo di Milano, che a sua volta potrebbe essere sorto su un santuario dedicato alla celtica Belisama. In epoca cristiana Minerva verrà sostituita dalla Madonna, ancora oggi simbolo di Milano.! Infine il grande dio Cernunno, divinità boschiva rappresentata come un uomo con le corna di cervo, spesso raffigurato con un torque nella mano destra ed un serpente nella sinistra; le gambe incrociate, simbolo di meditazione ma anche posizione adottata dagli antichi cacciatori che attendevano pazientemente.! Cernunno è strettamente legato agli animali ed alla fecondità. Ci sono varie raffigurazioni del dio e la più famosa è sicuramente quella ritrovata nel nord della Danimarca sul famosissimo Calderone di Gundestrup. Noi Italiani in Val Camonica abbiamo invece la raffigurazione più antica mai ritrovata del dio; nel parco di Naquane è ancora presente un incisione rupestre risalente al IV secolo a.C., più di 2300 anni fa! ! Spesso gli storici per praticità tendono a suddividere tutti i popoli in classi, ed anche la società celtica spesso è stata vittima di questa semplificazione piuttosto limitante. Certo, esistevano guerrieri, sacerdoti e cittadini, ma ogni classe aveva tantissime sfaccettature. I cittadini liberi comprendevano anche le donne, lontane dall’essere confinate come le loro contemporanee greche e romane nel gineceo, o peggio ridotte in schiavitù come in certe civiltà poligame. Le donne celtiche godevano di ampia libertà, Diodoro Siculo e Ammiano Marcellino, due antichi cronisti romani, hanno scritto spesso con stupore di quanto la donna celtica fosse intraprendente ed emancipata. Bisogna del resto ricordare che quella celtica era una società che accettava anche la pratica del divorzio. ! Insieme ai guerrieri, ed ai cittadini liberi, un’altra figura fondamentale della società celtica erano i misteriosi Druidi; filosofi, bardi e custodi della religione e della conoscenza celtica.!
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Sui Druidi è stato detto di tutto ed io mi limiterò a riportare solo le informazioni che ho trovato nel VI libro del De Bello Gallico di Cesare, invitando tutti sia a leggerlo che prestare molta attenzione nell’effettuare ricerche su di loro attraverso la rete dato troppo spesso ci si imbatte in speculazioni, storie romanzate ed altre cialtronerie. ! Tanto per cominciare della letteratura orale druidica come canzoni, preghiere, incantesimi o formule per la divinazione non è sopravvissuto nulla. Rispetto agli strumenti musicali, fatta eccezione per i tamburi e per il Carnyx, un incredibile strumento a fiato dalla forma di un drago, raffigurato su una delle piastre del sopracitato Calderone di Gundestrup, non si hanno altre informazioni rispetto alla musica celtica e quella che oggi viene così chiamata non è nient’altro che una rivisitazione moderna senza fondamento storico, da non confondersi con la musica tradizionale irlandese.! Non esiste neppure una leggenda che sia giunta a noi in pura forma druidica, senza modifiche o reinterpretazioni cristiane, wicca, neopagane e chi più ne ha più ne metta, le motivazioni principali sono da ricercarsi proprio negli usi e nei costumi di questa società così affascinante e lontana da noi.! Come dicevo all’inizio, i Celti utilizzavano la scrittura solo per fini pratici, imprigionare un pensiero con la scrittura ne avrebbe impedito lo sviluppo e la crescita. ! Il pensiero celtico invece voleva essere mutevole come un fiume, destinato ad evolversi con il suo popolo anche correndo il rischio di scomparire, ma senza correre mai il rischio di risultare vecchio ed inadatto ai tempi come la maggior parte dei testi sacri a noi pervenuti.! Un altra ragione era forse l’importanza dei concetti che questi maestri antichi volevano imprimere nella mente dei loro allievi, stimolandoli alla memorizzazione dei concetti, delle canzoni e dei poemi oltre che delle conoscenze scientifiche ed astrologiche di cui erano maestri, evitando così che persone non esperte potessero fraintendere o abusare di certe conoscenze. ! I Druidi insegnavano nei Nemeton, nelle foreste sacre, luoghi in cui potevano essere a contatto con il divino, in cui l’essere umano può sentirsi ciò che è, ovvero parte della Natura. Del resto, perchè mai questo Dio al quale tutte le religioni attribuiscono la creazione del mondo con le sue meraviglie naturali, quali le foreste e le montagne, i mari ed i deserti dovrebbe sentirsi a casa all’interno di una misera seppur fatiscente costruzione messa in piedi dagli esseri umani?!
! Concludo riportando alcune parti del libro sesto del De Bello Gallico di Cesare:! !
<< I druidi si occupano delle cerimonie religiose, provvedono ai sacrifici pubblici e privati, regolano le pratiche del culto. Moltissimi giovani accorrono a istruirsi dai
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druidi, che tra i Galli godono di grande onore. Infatti, risolvono quasi tutte le controversie pubbliche e private e, se è stato commesso un reato, se c'è stato un omicidio, oppure se sorgono problemi d'eredità o di confine, sono sempre loro a giudicare, fissando risarcimenti e pene. Se qualcuno - si tratti di un privato cittadino o di un popolo - non si attiene alle loro decisioni, gli interdicono i sacrifici. È la pena più grave tra i Galli. Chi ne è stato colpito, viene considerato un empio, un criminale: tutti si scostano alla sua vista, lo evitano e non gli rivolgono la parola, per non contrarre qualche sciagura dal suo contatto; non è ammesso a chiedere giustizia, né può essere partecipe di qualche carica. Tutti i druidi hanno un unico capo, che gode della massima autorità. !
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In un determinato periodo dell'anno si radunano in un luogo consacrato, nella regione dei Carnuti, ritenuta al centro di tutta la Gallia. Chi ha delle controversie, da ogni regione qui si reca e si attiene alla decisione e al verdetto dei druidi. !
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Presso i druidi, a quanto si dice, i giovani imparano a memoria un gran numero di versi. Alcuni proseguono gli studi per oltre vent'anni. Non ritengono lecito affidare i loro insegnamenti alla scrittura, mentre per quasi tutto il resto, per gli affari pubblici e privati, usano l'alfabeto greco. A mio parere, hanno stabilito così per due motivi: non vogliono che la loro dottrina venga divulgata tra il popolo, e neppure che i discepoli, fidando nella scrittura, esercitino la memoria con più scarso impegno, come accade quasi a tutti, che, valendosi dello scritto, si applicano meno nello studio e trascurano la memoria. ! Il loro principale insegnamento riguarda l'immortalità dell'anima, che dopo la morte sostengono - passa da un corpo ad un altro. Lo ritengono un grandissimo incentivo al coraggio, poiché viene eliminata la paura di morire. Inoltre, sulle stelle e il loro moto, sulla dimensione del cielo e della terra, sulla natura, sulla potenza e la potestà degli dèi immortali discutono molto e tramandano questo patrimonio ai giovani. >>!
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Mirko Void! Fonti: Il pluricitato "Commentarii de bello Gallico" di Gaio Giulio Cesare! "Bosci sacri dei Galli Cenomani" di Giorgio Fumagalli! "Il Cielo sulle monete Celtiche" di Adriano Gaspani! Immagini: Le foto 1 e 3 sono state scattate da Kuro Silvia presso ! il Parco delle Incisioni Rupestri di Naquane!
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Pensiero e rituali dei Tachikawa-ryū"
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La vastità delle dottrine nate attorno ai concetti basilari del buddhismo non esclude varie forme ascetiche eretiche ed estremiste, di cui poco o nulla è stato tramandato, e di cui perciò esistono più ricostruzioni che testimonianze. La ricerca spirituale degli adepti del Tachikawa-ryū (立川流), corrente del buddhismo tantrico praticata in Giappone tra il XII e il XV secolo, è forse la più destabilizzante tra queste, al punto da essere spesso descritta nei testi dell'epoca non con il nome riportato -derivato solamente dal luogo di origine- ma con un vago “quell'insegnamento”, ricco di timore e vergogna. Gran parte delle fonti scritte che ne descrivevano il pensiero e i rituali sono stati seppelliti o bruciati nel 1470 da scuole più tradizionali, tuttavia pare che gli adepti abbiano continuato a praticare in segreto." I monaci Tachikawa-ryū fondevano Daoismo e Vāmācāra (वामाचार), o “tantrismo della mano sinistra”(1). Conducevano una vita vagabonda, fermandosi a praticare nei cimiteri o sui terreni dove era uso cremare i defunti, si vestivano con sudari rubati ai cadaveri o rimanevano interamente spogli, portavano ossa umane come abbellimenti. Cucinavano su legno rubato dalle pire, mangiavano in teschi, e prima di portare alla bocca il cibo lo offrivano ai cani, affinché diventasse “materia abominevole” (jūthā); si cibavano di avanzi, urina, rifiuti putrescenti, e addirittura di cadaveri abbandonati – questi ultimi in quanto contenitori di spiriti inquieti, che sarebbero stati riportati in vita da questo gesto. Erano descritti dalle maggiori scuole buddhiste come “abominevoli”, dagli occhi “rossi come tizzoni ardenti”, dal modo di parlare brusco e maleducato e dai gesti sprezzanti e offensivi." Tra i riti che esercitavano vi era probabilmente il śava-sādhanā, ovvero la meditazione sul petto di un cadavere: in realtà questa non è che una particolare interpretazione di una pratica comune a numerose scuole ascetiche, in cui il monaco, immobile al centro di ciò che ritiene sia più rappresentativo dell'illusione del mondo, elabora e annulla dentro di sé pensieri ed esperienze egoistiche al fine di liberarsi dal desiderio, in particolare quello vitale. Nel caso dei Tachikawa-ryū, questo rito permette inoltre di sottomettere i demoni che sorgono nella sua mente nel corso della meditazione e di avere assoluto controllo sullo spirito del morto, attraverso cui può comunicare con altri defunti. La causa di questo perenne contatto con la dimensione della morte è da ricercare nel disprezzo dell'etica e nel rovesciamento del valore giapponese della purezza(2). La grande aspirazione dei Tachikawa-ryū è una morte a livello sociale, un distaccamento dall'ordinario mondo dei vivi, una ricerca di anomalia e perciò trascendenza." Un altro rituale da loro praticato era il cakra-pūjā, tipicamente tantrico, per il quale gli adepti si riunivano di notte in compagnia di una o più donne. Queste ultime venivano venerate come simbolo di conoscenza e divinità, offrendo loro liquori (madya) e cibo afrodisiaco (mamsa, matsya) che sarà poi diviso tra i partecipanti.
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Avveniva quindi l'unione sessuale, come celebrazione della rinnovata unione mistica tra il Buddha e la sua Śakti(3) e di conseguenza simbolo del progressivo risvegliarsi della mente verso la perfezione dell'illuminazione. La donna doveva essere una prostituta, o comunque appartenere ad un basso ceto sociale, e poteva partecipare solo nel periodo mestruale: questo aspetto è fondamentale per il rito, in quanto legato all'impurità ma anche all'infertilità, che permette così all'asceta di esprimere disprezzo verso la procreazione." I rituali citati, così come molte abitudini dei Tachikawa-ryū, sono comuni ai più conosciuti Aghori, asceti induisti noti soprattutto per la pratica del cannibalismo, dei quali sono tuttora presenti circa 70 esemplari nell'India settentrionale." Scegliere la via dell'abominio, della marginalità, dell'impurità, rendeva i Tachikawaryū dei “santi”, al pari di quegli asceti che, sulla via opposta, cercavano la vita eterna attraverso l'automummificazione. Non è che un'alternativa utopia di salvezza l'idea di poter raggiungere l'immortalità attraverso la sperimentazione del fondo più oscuro e anomalo, del perfetto caos, della totale libertà da norme e limitazioni. Perciò, nonostante il timore verso questi asceti, si credeva potessero conquistare grandi poteri, come possedere e rianimare un cadavere, apparire simultaneamente in luoghi diversi, leggere nel pensiero, conoscere le vite anteriori e praticare miracoli di guarigione ed esorcismi." Per i Tachikawa-ryū tutto nell'universo condivide la stessa essenza, perciò tutte le categorizzazioni e distinzioni sono illusorie: non vi è differenza tra divino e umano, puro o impuro, bene o male, dunque non esistono cose gradevoli e cose disgustose -come dimostrano nella quotidianità-, è semplicemente una questione di convenzione sociale. Di conseguenza, la libertà sta in ciò che è antisociale, nell'assenza di vincoli legali o etici; gli estremismi e le crudeltà sono prove iniziatiche verso il cammino che porta alla totale indipendenza rispetto alla condizione umana, che il buddhismo mira a trascendere. L'ascesi dei Tachikawa-ryū è incentrata sulla ricerca dell'inversione e sulla coincidenza degli opposti: così il monaco si unisce ad una prostituta ed ella diventa una dea, il luogo della cremazione diventa luogo di meditazione, il teschio diviene coppa, escrementi e carne putrida sono cibo e purezza e impurità non sono distinguibili. Ogni forma di ordine naturale viene abolita in modo da generare il caos, come fa Śiva, grande asceta e grande distruttore dell'universo. Ogni monaco
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unisce gli opposti dentro di sé, diviene Mahāmrtyumjaya, “grande conquistatore della morte”, facendo della condizione di cadavere il fulcro della sua esistenza per realizzare uno stato di indistinguibilità tra vita e morte, ed entrare così in una modalità esistenziale al di là del tempo."
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Marilyn Pastis!
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fonti: Death and the Regeneration of Life, M. Bloch e J. Parry" Sexual Heresies in Medieval Japan, Nobumi Iyanaga" Itinerari nel Sacro, Massimo Raveri"
(1) il Vāmācāra, occidentalizzato e generalizzato sotto la traduzione “via della mano sinistra”, è considerato un'alternativa più rapida ma anche più pericolosa per raggiungere l'illuminazione, adatta perciò solo a pochi iniziati. Tali pratiche possono includere i cinque elementi esclusi dalla “via della mano destra”, quali Madya (alcool e sostanze intossicanti), Mamsa (consumo di carne), Matsya (consumo di pesce), Maithuna (riti sessuali) e Mudra (gestualità rituale)." (2) il folklore giapponese ritiene puro ciò che ha una struttura stabile e definita, sia per quanto riguarda elementi concreti (come un corpo privo di ferite), sia circa concetti astratti (come una società priva di crimine). Nel caso del corpo, la sua purezza è espressa in vita, quando esso è incorrotto, e negata in morte, quando è condannata al costante mutamento dato dalla putrefazione." (3) Śakti (शि(त), traducibile come “energia” o “potenza”, rappresenta il potere creativo immanente di una divinità nel dare luogo al mondo fenomenico e al piano cosciente della creazione. In ambito ritualistico, la figura che ricopre il ruolo di Śakti impersona l'energia divina."
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" " " Se tutta la Storia dell'umanità come tensione individuale e collettiva presenta una dialettica fra rivoluzione e controrivoluzione, un medioevo dominato dal fervore religioso rappresenta tanto l'anticamera della società panottica odierna, della sorveglianza perpetua e della punizione legittimata, quanto il continuo tentativo di operare un superamento di essa da parte di un sentimento che nell'umano è innato: il desiderio di libertà." Con il Concilio di Nicea (325 D.C.) l'eresia giudaica chiamata “cristianesimo” diventa definitivamente istituzione, avviando quel processo di cristallizzazione dogmatica che, come tutte le ideologie statiche, passerà dall'autoritarismo al crimine, per finire a scoprire la sua vena tanto mortifera quanto farsesca." Dall'anno 1000 e per i successivi cinquecento anni la Chiesa potrà contare su un'autorità totale sulle masse, tanto da penetrare nelle intimità più recondite degli individui e da regolare i loro ritmi vitali."
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Sbaglia però chi, seguendo l'interpretazione degli illuministi e dei pensatori liberali laicisti legge questo periodo come buio, poiché nel corso dei secoli fioriranno una serie di esperienze volte non solo a criticare/contestare i poteri dell'epoca, ma tenteranno di operare un ribaltamento completo della vita e del mondo in cui essa abita." Con «Libero Spirito» gli storici indicano abitualmente quella che considerano un’eresia, in quanto tale fu considerata nel medioevo, che si sviluppò in particolare nell’Europa centrale. " È bene però precisare immediatamente che il «Libero Spirito» dovrebbe essere inteso, come del resto le ricerche di R. Guarnieri hanno dimostrato, come un movimento di cui peraltro non sappiamo il nome esatto , ma che i codici concordano nell’indicarlo come un «novus spiritus» che richiama alla mente lo Spirito Nuovo di ascendenza Gioachimita e spirituale, la “Nova filosofia” di Jacopone da Todi (1230-1236 ca.-1306), il “Novus amor” della beghina Hadewych (m. ca. 1240), e la “Vita nova” di Dante (1265-1321). " A proposito di Jacopone è bene forse ricordare almeno una laude i cui temi lo legano strettamente ad alcune tematiche cardine del movimento del Libero Spirito, specialmente nell’idea di povertà di Spirito che sarà principalmente sviluppata da Meister Eckhart: “Vive amor senza affetto / e saper senza intelletto […] Povertate è nulla avere / e nulla cosa puoi volere, / e onne cosa possedere / en spirito de libertate”. " Dal 1250 fino alla prima metà del secolo successivo questo movimento si aggira come un fantasma in tutta Europa, quasi che fosse una necessità più che una decisione, come se anni di repressione ecclesiastica nei confronti di tutti le dottrine non ortodosse non avessero fatto altro che sedimentare un desiderio di insurrezione mistica. Dai magisteri di Meister Eckhart alla divulgazione del testo “Miroir Des Simples Ames” della mistica Margherita Porete -un dialogo fra Amore, Anima e Ragione sulla ricerca di Dio- si diffonde la coscienza che il mondo non sia il nugolo di peccato e vizio dipinto dalla Chiesa, e che vivere in povertà e amore sia quanto basta per viver con Dio. . Ma in cosa consta questo movimento? Prima di tutto c'è una forte volontà di mantenere una totale indipendenza dagli ordini religiosi e dalle sue figure, rivendicando il diritto di poter leggere le Scritture senza delegare alcuna necessità interpretativa a preti e vescovi. In secondo luogo, similmente agli apostolici e ai seguaci di Dolcino, reclamano il proposito di vivere una vita autenticamente apostolica, che comporta la rinuncia ai beni terreni praticando la povertà volontaria e il disprezzo di ogni proprietà; come scrive Vaneigem: “L'elemento più radicale del Libero Spirito appartiene a un'alchimia della realizzazione individuale in cui la creazione di uno stadio superiore di esistenza (la famosa perfezione) si ottiene attraverso il graduale spogliarsi del condizionamento economico dominante” Rifacendosi ai tre versetti paolini, "Affinché Iddio sia tutto in tutti" ( 1Cor. 15, 28 ),
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"(...)ma lo stesso é Iddio che opera tutto in tutti" ( 1Cor.12,6 ), "tutto é puro per i puri" ( Lettera a Tito 1,15 ), sostengono la loro "impeccabilità" dato lo stato di perfezione raggiunto, con la conseguenza di approdare ad una licenziosità morale soprattutto nell’esercizio della sessualità, affrancandosi così da ogni legge etica e dalla dialettica del peccato e del perdono. Partendo anche solo da questa veloce disamina possiamo notare come il Libero Spirito raccolga in se' gran parte delle rivendicazioni e delle teorie di eresie precedenti: il desiderio di povertà dei gioachimiti, la teoria del “Tutto è uno” del teologo Amalrico di Béne (molto simile alla mistica orientale), l'ascendenza dal Sufismo, il desiderio di purificazione dei Catari e la condanna della licenziosità della Chiesa dei Bogomili. L'elemento fondamentalmente rivoluzionario dei Fratelli del Libero Spirito sta nella negazione del binomio bene/male: se Dio è tutto e tutto è bene anche il male stesso è bene. Simone Weil scriverà secoli dopo “Se il bene è l'armonia dei contrari, il male non è il contrario del bene”, e del resto Gesù stesso sulla croce dice al ladrone Rakh (o Disma o Tito), che l'aveva riconosciuto come Dio, “In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso”, confutando i millenni successivi costruiti sul concetto di colpa, redenzione e, per i privilegiati, perdono. Negando il male, riconoscendo che “Tutto è Grazia” (cfr. Bernanos “Diario di un curato di campagna”) sparisce ogni paura di dolore e sofferenza, così come ogni controllo da parte di un dominio che deve ricordare in continuazione all'uomo che un giorno morirà, e si fa strada quell'amore che investe ogni campo dell'esistente, e che rescinde ogni desiderio di sopraffazione che, in fondo, non è altro che paura della morte. " Tutti i teorici del Libero Spirito verranno perseguiti dal 1307 in poi, Margherita Porete finirà sul rogo, l'Italiano Bentivegna da Gubbio verrà incarcerato a vita, Meister Eckhart processato con 29 capi d'accusa, ancora una volta gli assassini rimarranno al loro posto, ghignanti, con il loro lavoro di dire al popolo ciò che è bene e ciò che è male preservato, le minacce schiacciate. “Societe, tout est retabli”." Per quanto, ancora?"
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Luca Andalou! immagine: Litografia del 1400 circa raffigurante Margherita Porete !
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In copertina: • particolare delle 100 Divinità Pacifiche e Irate - Tibet XVIII° Sec - Lignaggio Nyingma • Under the Sun - Acrilico su tela di Loris Cericola
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Retro copertina: • Out from the vøid - Loris Cericola
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Questa rivista è prodotta e finanziata dal collettivo artistico Stramonium e si pone come mezzo di comunicazione per racchiudere incontri mensili, progetti musicali ed artistici che verranno di volta in volta presentati ad un pubblico sensibile verso gli argomenti trattati. La versioni digitali della rivista sono scaricabili in pdf da: • meastramonium.blogspot.it
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