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Il collettivo Stramonium presenta
Triple ••• Moon Triple Moon è un incontro ricorrente che si propone di sperimentare diversi metodi di ricerca iniziatica, attraverso la diffusione di pamphlet, riflessioni, musica ed immagini, lasciando al singolo la libertà di scegliere il proprio percorso spirituale, bandendo una volta per tutte elitarismo e specialismi. Non la banalizzazione di ciò che rimane nascosto ai più, ma un semplice invito a guardare tra le righe della realtà.
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! Magia lucana e minatori boliviani!
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Ogni individuo occulta a sé stesso ciò che gli procura una forte carica emotiva dolorosa. I meccanismi di difesa che permettono di superare, anche se spesso in modo fittizio, il contenuto negativo sono di vario tipo, tra i quali: la rimozione, la proiezione verso un altro oggetto e la sublimazione. Queste soluzioni permettono all'individuo di convivere con la negatività trasformandola e rielaborandola in qualcosa di più sostenibile, soddisfacendo gli impulsi per vie più accessibili.! Lo spostamento del contenuto doloroso avviene tramite cambiamenti di comportamento e strutture di pensiero, apparentemente involontari, ma invece dettati da esigenze specifiche racchiuse in parole, gesti e simbologie dal significato intimo, che relegano il contenuto negativo in una sua dimensione inconscia nella quale continua ad agire influenzando la personalità dell'individuo, ma manifestandosi sotto una forma rielaborata. Come questo avviene nell'individuo accade anche all'interno di un gruppo più grande di persone. Nella collettività ha però chiaramente un impatto maggiore. Bisogna osservare quei culti nati in determinati territori e rimasti vivi solo all'interno di essi, per accorgersi che dove la fede religiosa svolge il compito della difesa, la ritualità è la parte inconscia che preme d'esser liberata rimanendo occultata in simboli che riescono a riequilibrare il benessere comune e a soddisfare impulsi soffocati. ! In Lucania, corrispondente a quasi tutta l'attuale Basilicata, nel materiale di documetazione raccolto da Ernesto de Martino dal 1950 al 1957 in "Sud e Magia", si individua una particolare credenza comune nella "fascinazione" dalla quale poi derivano una svariata serie di rituali e scongiuri differenti che sostengono questa base di fondo. La fascinazione è sentita come una forza esterna che lega a sé la vittima dominandola, inibendola e togliendole ogni autonomia e libertà di scelta, portando malattie, disgrazie e cambiandone il comportamento fino all'ossessione sfociante nella possessione. In una cornice di beni elementari della vita precari, carenza di forme di assistenza sociali e di incertezza verso il futuro, ogni persona può fascinare o essere fascinata. La magia è un codice di leggi interne alla comunità volte a soddisfare i bisogni per le quali un supporto concreto viene a mancare, perciò la magia lucana ricopre un ampio repertorio di formule e rituali: fattura, fattura a morte, filtro d'amore, scongiuri curativi dalle malattie. Tra le pratiche ormai già allora quasi scomparse, si trovavano quelle relative alla vita contadina e al lavoro nei campi, tardamente influenzate dal cattolicesimo, per forzarne la diffusione. !
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Per allontanare la tempesta in arrivo, che porterebbe gravi danni al seminato, si recita:! "Uno: lu Die lu monde mantene; ! ruie: lu sole e la luna; ! tre: le tre patriarche ! Abramo, Isacco e Giacobbe; ! quattro: le quattre evangeliste ! Matteo, Marco, Luca e Giovanni ! cantère 'o vangele dinanzi a Criste. ! E tu nuvola brutta oscura! ca sé venut'à ffa?! Ristuccia ristuccià.! No! Vattenne a quelle parte oscure! addò non canta lu gadde! non vegeta ciampa de cavadde!"
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"Uno: Dio il mondo mantiene; ! due: il sole e la luna;! tre: i tre patriarchi! Abramo, Isacco e Giacobbe;! quattro: i quattro evangelisti! Matteo, Marco, Luca e Giovanni! cantarono il Vangelo davanti a Cristo.! E tu nuvola brutta oscura! che sei venuta a fare?! Ristuccia ristuccià.! No! Vattene da quelle parti oscure! dove non canta gallo! e non venga zampa di cavallo."
! Successivamente si traccia con la falce un cerchio sul terreno, poi si solleva in alto la falce in direzione del temporale che avanza pronunciando ripetutamente e con crescente enfasi "Cale!". Lo scongiuro permette così all'ente maligno di scendere dalle nubi e rimanere intrappolato nel cerchio magico tracciato sul terreno. E’ incompleto dire che i rituali vengono eseguiti solamente per rafforzare l’unità di un gruppo perché è necessario chiedersi a quali bisogni e necessità del gruppo e di ogni individuo che ne fa parte corrispondono. Ai giorni nostri, nelle miniere della Bolivia, a Potosí si trova Cerro Rico, la più grande miniera d'argento del mondo, all'interno della quale dimora lo spirito della montagna, la divinità demoniaca "El Tío" (Lo zio). Un fantoccio che lo rappresenta è situato dentro ad ogni tunnel, nelle fattezze di un demone cristiano, pronto a ricevere dei doni e dei sacrifici. I minatori portano allo spirito offerte di alcol, sigarette, foglie di coca e altri oggetti. El Tío in cambio porta loro fortuna e salute, mentre se non riceverà nulla garantirà distruzione e morte. Ogni solstizio d'estate, i minatori e le loro mogli, praticano un sacrificio per garantirsi la protezione di El Tío. All'ingresso della miniera avviene l'uccisione rituale di alcune coppie di lama, poi il loro sangue viene gettato sulla facciata del tunnel e cosparso sui volti degli uomini. Le viscere degli animali vengono invece sotterrate in onore della Pachamama, la madre terra, mentre la carne viene cucinata per essere poi consumata in compagnia. ! Cerro Rico per i minatori è "la montagna che mangia gli uomini", molti si ammalano di silicosi e muoiono intorno ai 55 anni. In orario di lavoro, l'unico nutrimento lo ricevono dalle foglie di coca. Più i minatori lavorano, più guadagnano, pur appartenendo a delle cooperative alle quali spetta sempre il 10% del guadagno. El Tío regna nel silenzio e nel buio, uno spirito dal carattere dualistico, che bisogna tenersi buono per la sopravvivenza; emblema del lavoro
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svolto in miniera, e questo soltanto. Perché pur ormai essendo diffuso tra i minatori, ed essendosene appropriati a loro simbolo, El Tío non nasce dal loro volere.! La divinità fu introdotta dai colonialisti spagnoli, per spaventare e motivare i minatori a lavorare duramente e in schiavitù, spargendo voce che gli incidenti in miniera erano dovuti all'ira del diavolo che puniva chi non lavorava abbastanza, dove si trattava invece di quelle scarse norme protettive, che ancora oggi persistono. Ogni simbolo ed ogni atto rituale è legato ad una storia che viene raccontata dietro ad ogni gesto, per mezzo di parole e icone elaborate per affrontare l'incontrollabile. Indagare da quali motivazioni è stato indotto è fondamentale per far luce e per comprendere anche la sua funzione, è quindi d'obbligo conoscere la cornice storica della sua origine. Se una comunità sempre più ampia riscontra effetti positivi da un sistema di credenze, quest'ultimo si rafforza e si propaga perdurando nel tempo, fino a che la mancanza che si pone! di compensare viene risolta, come si è per esempio perduta, la formula magica lucana per proteggere il raccolto per via delle nuove tecnologie agricole più efficaci; o continua ad esistere perdendo e mutando il suo significato.! Il rituale permette alla collettività, come all'individuo, di sentire di avere il completo controllo e di essere forza attiva in un contesto nel quale invece fatica ad agire sulla realtà.! Lo spirito di adattamento e di rielaborazione è una capacità, della quale ogni individuo deve appropriarsi. Altri meccanismi di difesa nell'individuo sono la negazione, la depersonalizzazione e l'idealizzazione. Quando l'individuo prende consapevolezza della sua difesa, impara a riconoscerla e a capirla, lasciando gradualmente spazio al proprio pensiero autentico, fatto a sua misura e in grado di influenzare attivamente la realtà.!
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Kuro Silvia!
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in tutto e per tutto!
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“…come sposa che vedendo presso di sé i figli, nella lontananza del marito, li stringe al petto e sospira, tacendo il suo desiderio. ! E consolerò me e la casa triste contemplando quelli dei quali siamo entrambi genitori e allevierò l'amarezza di quanto ho perduto attenuando la tristezza con la gioia.”!
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Nel 1342 questa supplica venne inviata al Pontefice Clemente VI, che al tempo risiedeva in Francia; a scriverla però non fu una donna sua amante, bensì Francesco Petrarca.! La povera vedova derelitta di cui il poeta parla è in realtà la città di Roma, la quale da quasi quarant’anni soffriva per l’assenza del pontificato che si era allontanato per risiedere ad Avignone. ! Ciò che allevierebbe la pena di lei e dei suoi poveri orfani, dato l’ormai improbabile ritorno a casa del Papa, sarebbe un nuovo Giubileo.! Anche per questo secondo Giubileo nella storia del cristianesimo sono le genti del popolo a chiedere che venga organizzato e riconosciuto. Prima di Clemente VI infatti, Bonifacio VIII proclamò il primo Giubileo e non lo fece di sua iniziativa, ma per richiesta dei romani e dei pellegrini, di cui la città aveva bisogno.! Clemente VI, pochi mesi dopo la sua elezione, ricevette ad Avignone l'ambasciata dei Romani, composta di “Tredici buoni uomini”, capeggiata da due senatori: Stefano Colonna il Giovane e Bertoldo Orsini, i quali avevano ricevuto l' importantissimo incarico di rendere il rituale omaggio al nuovo pontefice.! Il loro intervento però venne ben architettato, iniziarono con il rinnovare la loro sottomissione formale al potere del papa offrendogli i titoli di “senatore, sindaco, capitano e difensore del popolo romano”. Seguiva la richiesta massimalista: che il papa tornasse definitivamente a Roma! Infine, la richiesta più realistica: che il pontefice concedesse almeno l’indizione di un Giubileo per il 1350, anche a costo di farlo senza la garanzia della sua presenza. ! D’altro canto, faceva notare l’ambasciata, la scadenza centenaria stabilita da Bonifacio VIII escludeva di fatto troppe generazioni di fedeli dalla possibilità di lucrare l’indulgenza. ! Clemente VI, derogando a quanto aveva stabilito Bonifacio VIII, prendendo ad esempio la scadenza del Giubileo ebraico, decretò che l’anno santo non avesse più una scadenza secolare, ma fosse ogni cinquant'anni. Un’altra novità fu l’aggiunta della basilica di S. Giovanni in Laterano a quelle precedentemente prescritte ai pellegrini. ! I romani avrebbero dovuto visitare tutte le basiliche una volta al giorno per trenta giorni, i pellegrini invece che fossero giunti da ogni altra parte del mondo, per quindici. Inoltre, i pellegrini morti durante il pellegrinaggio o durante la permanenza prescritta, avrebbero potuto comunque godere a pieno dell’indulgenza giubilare. In quegli anni Roma era ridotta ad un sobborgo popolato da meno di ventimila
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persone, l’assenza prolungata del papa non giovava agli affari della città, spoglia di pellegrini e di offerte da molto, troppo tempo. Inoltre il malgoverno, le guerre e le malattie avevano contribuito notevolmente a renderla una meta poco sicura e allettante agli occhi dei cristiani dell’epoca. L’Anonimo Cronista Romano scrive:! “Rettori non avea. Onne dìe se commatteva. Da onne parte se derobava. Dove era luoco, le vergine se vitoperavano. Non ce era reparo. Le piccole zitelle se furavano e menavanose a desonore. La moglie era toita allo marito nello proprio lietto. Li lavoratori, quanno ivano fòra a lavorare, erano derobati, dove? su nella porta de Roma. Li pellegrini, li quali viengo per merito delle loro anime alle sante ciesie, non erano defesi, ma erano scannati e derobati. Li prieti staievano per male fare. ... Quello più avea rascione, lo quale più poteva colla spada. Non ce era aitra salvezza se non che ciascheuno se defennieva con parenti e con amici. Onne dìe se faceva adunanza de armati.”! Un nuovo Giubileo insomma avrebbe riportato vita e prosperità alla città, alla Chiesa, alla fede, ed ovviamente, ai mercanti.! La bolla papale venne però pubblicata molto più tardi rispetto alla sua stesura, il ritardo della pubblicazione è in parte da attribuire alla situazione creata dal carismatico Cola di Rienzo; il Giubileo infatti era ormai divenuto una questione tra il papa ed il popolo romano e quando nel 1347 Cola di Rienzo venne eletto a Tribuno del Popolo, lui che era stato uno dei membri della delegazione romana ad Avignone ed ovviamente un grande sostenitore del Giubileo, stufo dei soprusi che il popolo era costretto a subire da parte della nobiltà e del clero, entrò in contrasto con loro instaurando, con la sua grande capacità oratoria ed i suoi ideali a favore del popolo, una signoria con l’ambizione di voler trasformare la città in un comune, più simile alla Roma antica e sfarzosa di cui Cola era un grande studioso ed ammiratore.! L’Anonimo Romano scrive che da quando Cola era stato eletto a Tribuno del Popolo! “le selve se comenzaro ad alegrare, perché in esse non se trovava latrone. Allora li vuovi (i buoi) comenzaro ad arare. Li pellegrini comenzaro a fare loro cerca per le santuarie. Li mercatanti comenzaro a spessiare li procacci e camini (moltiplicare gli affari e i viaggi). In questo tiempo paura e timore assalìo li tiranni. La bona iente, como liberata da servitute, se alegrava.”! Nel frattempo Clemente VI da Avignone aveva inviato un suo legato a Roma, tal Annibaldo Caetani da Ceccano, per tentare di riaffermare, senza troppe fatiche, la sua autorità in città. L’Anonimo Romano ci permette di capire quali erano i tre punti che più non erano piaciuti al popolo: “la prima, ca esso fu de campagna; la secunna, che esso fu guercio; la terza fu moito pomposo, pieno de vanagloria”. ! Tuttavia il legato aveva un progetto politico ben definito ed intervenì in vari campi della vita pubblica per nome del papa. E però i romani lo capirono subito, e le reazioni non si fecero attendere. Durante un pellegrinaggio dalla basilica di San Pietro a quella di San Paolo, il grosso copricapo del legato venne trapassato da una velocissima freccia. ! Era un avvertimento del popolo.!
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Secondo il cronista, il legato: “crepava de dolore. Staieva infiammato. Non trovava posa. Vatteva la mano e diceva: “dove so’ io venuto? A Roma deserta. Meglio me fora essere in Avignone piccolo pievano che in Roma granne prelato!”! Il legato Annibaldo Caetani però non si fece intimorire e sfruttò anzi l’attentato per condannare molti oppositori del regime pontificio. ! Rispetto alla signoria di Cola di Rienzo invece, Clemente VI scrisse al suo legato che non avrebbe pubblicato le lettere del Giubileo fino a che i seguaci di Cola ed i cittadini tutti non fossero rientrati nell'obbedienza alla Chiesa. ! Il 18 agosto 1349 infine, dopo ripetute rassicurazioni da parte del popolo, Clemente VI pubblicò la bolla del Giubileo. ! L’affluenza di pellegrini fu altissima nonostante nel 1349 in Europa tornò l’empia peste nera che decimò la popolazione ed un disastroso terremoto devastò parte della città eterna. Queste catastrofi, che farebbero passare la voglia di viaggiare a chiunque, non spaventarono la gente dell’epoca che si recò in massa a Roma per tutto l’anno 1350, la voglia di acquistare l’indulgenza aumentò notevolmente grazie al senso di precarietà della vita risvegliato dalla elevata morìa, regalando alla città ed alla Chiesa un anno ricco e prospero al termine del quale però, la situazione tornò come prima.! Curioso che 666 anni dopo il Giubileo indetto da Clemente VI, Roma è ancora provata da fatti di cronaca inquietanti: il caso Mafia Capitale, i Casamonica padroni della città ed organizzatori di funerali degni di un re, la teoria del “mondo di mezzo” del boss Massimo Carminati, fermato mentre tentava la fuga dalla città, per non parlare delle vicende di Salvatore Buzzi o dell’ex sindaco Gianni Alemanno. ! Ed ecco tornare, in via del tutto eccezionale, un nuovo anno santo, della Misericordia anzi! Una scelta rischiosa ed azzardata accompagnata dalle solite minacce dal medioriente che non hanno tardato ad arrivare non appena il nuovo Giubileo è stato annunciato. Rischioso anche per il buffo pontificato innovativo e popolare di Papa Francesco che spera di veder entrare in città un grande afflusso di pellegrini, o per chiamarli come si direbbe oggi, turisti, da tutto il mondo. Il paese vive infatti da molto tempo come ripiegato su sé stesso, in un degrado quotidiano e permanente.! Chissà se anche questa volta, magari per un solo anno proprio come avvenne nel 1350, la città e perchè no! l’umanità tutta, potrà prendersi un attimo di pausa da questa situazione che, con le dovute differenze, non è poi così diversa dalle antiche e colorite cronache dell’Anonimo Romano.!
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Mirko Void!
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fonti: "Cronica" e "Vita di Cola di Rienzo", ! Anonimo Romano (1357 circa)!
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Il colore della trascesa!
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La cultura popolare moderna occidentale associa alla morte il colore nero, simbolo di assenza di colore e vita. A questo concetto di morte nera passiva si contrappone, dualmente e pan-culturalmente, una simbologia, antica e sottile, che associa al bianco una morte “attiva”, che può anche essere letta come rinascita o trascendenza e raramente viene percepita come decesso.! Nella letteratura occidentale, alcuni tra i simboli più antichi che collegano il colore alla dimensione mistica risalgono forse ai Mabinogion, dove spesso compaiono animali bianchi che, a seconda della specie, sono manifestazioni di diverse divinità o figurano come doni dall’Aldilà. Emblematico di questa tradizione è l’inizio del primo canto, in cui un cervo viene cacciato da una muta di cani bianchi dalle orecchie rosse. Il colore dei cani ne tradisce l’origine sovrannaturale: sono i Cwn Annwn, i cani dell’Aldilà gallese ed animali psicopompi per eccellenza. Nonostante il testo originale non descriva il cervo, la letteratura critica è concorde nell’affermare che anche questo animale ha il manto bianco: questa caratteristica gli darebbe attributi simili ai Cwn Annwn e simboleggia, in questo ed altri miti (tra cui quello arturiano) l’eterna ricerca spirituale dell’uomo. La sua morte ed il banchetto dei cani di Pwyll rappresenterebbe quindi la fine di una ricerca, l’illuminazione spirituale concessa (o rubata) dall’Aldilà. Non a caso in alcuni Mabinogion il sovrano dell’Annwn si chiama Gwyn, nome dal duplice significato (“bianco” e “puro”) che ancora oggi resta saldo nella nostra cultura. Nel ciclo arturiano, analogamente, Gwenhwyfar (una delle trascrizioni antiche di Ginevra) presenta Gwen come radice ed è quindi da intendersi come più di una semplice donzella: il matrimonio di Artù con Ginevra, successivo all’incoronazione, è simbolo della benedizione del mandato regale da parte della terra stessa, un’unione che sarà spezzata quando il simbolo della Sovranità verrà perduto.! In molti sottili esempi di letteratura moderna i personaggi assumono connotati bianchi in seguito a traumi o rivelazioni, in concomitanza con trascendenza o rinnovata saggezza. Un caso esemplare è la morte di Gandalf il Grigio nelle miniere di Moria, nel Signore degli Anelli, e la sua successiva resurrezione come Stregone Bianco. Nei romanzi di Andrzej Sapkovski, il protagonista Geralt di Rivia viene chiamato in elfico “Gwynbleidd” (lupo bianco) a seguito di mutazioni rituali che rendono bianchi i suoi capelli. Le stesse mutazioni, che dovrebbero trasformarlo in una macchina da guerra, stimolano invece in lui un
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insolito senso di giustizia e speranza verso le creature mostruose che ci si aspetta stermini: questa stessa saggezza ed imparzialità di giudizio è causa di ulteriori diffidenze nei suoi confronti, rendendo la sua figura ambiguamente vicina agli eremiti illuminati ed ai reietti.! Nella serie manga Mushishi di Yuki Urushibara, in parte ispirata alle figure delle italo-giapponesi, il protagonista acquisisce capelli bianchi e parziale cecità in un evento traumatico che ne sancisce il passaggio da comune essere umano a custode di una conoscenza nascosta ai più. In questo e molti altri casi di spiritualismo o religione il bianco è simbolo sì di purezza, ma di purezza acquisita tramite iniziazione, quindi attraverso sacrificio e morte simbolica.! Altre immagini popolari che collegano bianco e rinascita sono la neve (la morte della natura che prelude alla primavera) ed il colore dei capelli degli anziani (che perdendo il vigore della gioventù acquisiscono saggezza e, in molte tradizioni popolari, comunione con le entità sovrannaturali).! Perché queste associazioni comuni tra culture anche distanti? In generale il bianco è considerato un simbolo di nobiltà e purezza: una personale interpretazione (che non esclude le molte altre) ipotizza che in antichità le vesti bianche, essendo decolorate e mantenute pulite, fossero simbolo di status sociale al pari del cosiddetto “sangue blu”. Occorre dunque fare attenzione a non confondere i casi in cui il bianco è simbolo di morte o purezza acquisita da quelli in cui segnala purezza naturale ed innata. Secondo un’altra ipotesi personale, l’associazione con la morte può derivare dall’assenza di sangue dal cadavere: nelle religioni in cui è previsto un aldilà, la morte diventa un evento di transizione, una crisi necessaria per proseguire verso il prossimo passo, e lo sbiancare del corpo ne diventa il simbolo. Chi ha una vena poetica e simbolica può apprezzare l’immagine della tela bianca che agisce da porta tra il pittore ed il mondo iperuranio dell’arte, venendo sozzata dalla pittura come il sangue dell’agnello sacrificale -ancora bianco- per realizzare la comunione tra umano e divino. Il foglio bianco è perfetto in quanto eterno ed infinito divenire, senza forma o colore fissi, incarnazione e manifestazione del principio Yang del taijitu. Su quest’onda, è molto suggestivo notare come nel taijitu stesso bianco e nero si contrappongano come colori opposti e complementari della morte: la morte nera, passiva e priva di risoluzione mistica, e la morte bianca, sintomo di morte attiva in quanto rinascita e passo verso la trascendenza.! Ciò che si è finora inteso come morte bianca non è da intendere quindi come vero e proprio decesso, ma come trasformazione, rinnovamento e, come ogni grande cambiamento, comporta la scomparsa (morte) di ciò che è vecchio, impuro o estraneo.!
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Jacopo Freddi! Fonti: I Mabinogion (I. Abbiati, G. Soldati)!
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Il culto degli antenati nell'estremo oriente!
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A differenza della sensibilità occidentale, che tende a ricordare il defunto attraverso le sue azioni e la sua personalità, la tradizione giapponese pratica una netta separazione, simbolica e rituale, tra chi appartiene al mondo dei vivi e chi entra in quello dei morti. Il culto degli antenati, spesso erroneamente semplificato ad un segno di rispetto dei valori famigliari, prevede l’annullamento dell’individuo che ne diventa parte, oltre ad un disturbante confronto iniziale con l’immagine del cadavere, considerato l’apice dell’impurità. Non tutti possono entrare a far parte degli antenati della famiglia, e chi ne ha diritto non otterrà comunque atti di venerazione immediatamente dopo la morte.! I primi giorni di lutto sono caratterizzati da un tentativo di separazione definitiva dal ricordo del defunto. Gesti semplici come rompere la tazza da tè preferita del morto od offrirgli simbolicamente acqua fredda -atto scortese nei confronti dell’ospite-, o ancora urlare il nome del mancato soltanto per subire l’inevitabile silenzio come risposta, manifestano una cruda volontà di allontanamento. Lo spirito del defunto sarà oggetto di rituali di dispersione finché non si libererà della condizione impura di cadavere (1). Da quel momento raggiunge una nuova stabilità, una sorta di rinascita nella nuova famiglia degli antenati, e viene considerato un essere benevolo. La transizione dello spirito verso l'aldilà è accompagnata da rituali che ricordano la crescita dell'individuo dalla nascita all'età adulta. Il funerale è molto simile al battesimo: in entrambi i casi il soggetto e i parenti vengono purificati con acqua e sale, tutti gli strumenti serviti per le due cerimonie vengono bruciati, e al defunto come al neonato viene attribuito un nuovo nome. Inoltre, vengono svolte cerimonie al primo, terzo, settimo, tredicesimo, diciassettesimo, ventitreesimo e trentatreesimo anniversario di morte: date prefissate che corrispondono alle fasi di instaurazione dei rapporti sociali in vita (pubertà, maggiore età, matrimonio, nascita dei figli...) e che aiuterebbero il defunto a trovare posto nella società dell'aldilà, speculare a quella terrena. ! Col passare del tempo, la personalità e i ricordi del neo-antenato si confondono e si perdono, sostituiti dalle caratteristiche stereotipe della categoria simbolica a cui appartiene. La figura dell'antenato ha infatti carattere divino non per meriti particolari realizzati in vita, ma perché simbolo di aggregazione in una società sempre più centrifuga: l'appartenenza alla famiglia deve trascendere la morte e perdurare nel tempo. La perfezione del suo status si identifica quindi con la sua anonimità, che trascende l'umano, ed è questo elemento sovrannaturale che permette la pratica di varie forme di culto rivolte agli antenati, come il sosensūhai (preghiera in favore della famiglia, affinché la protegga nei momenti di difficoltà) e il sosenkuyō (preghiera in favore del morto, al fine di aiutare il suo spirito nell'aldilà).! Poiché in Giappone coesistono e spesso si intersecano diverse tradizioni spirituali, l'annullamento di sé trova ragione anche nel buddhismo estremo-orientale, tanto che per indicare gli antenati si usa il termine “hotoke” (仏), letteralmente “buddha”. Per il buddhismo, la più alta esperienza spirituale è il nirvana, raggiungibile
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(semplificando molto) attraverso un lungo percorso di conoscenza, meditazione e autocontrollo, che porta alla liberazione dal desiderio e dalla “sete di vita”. Se il samsara è inteso come il mondo caratterizzato dal dolore, allora il nirvana deve essere una condizione altra, identificabile con l'aldilà (2). Di conseguenza, l'annullamento del sé coincide con la totale liberazione, e il fatto di chiamare “hotoke” i defunti riflette la speranza che i loro spiriti raggiungano l'illuminazione e con essa la serenità. ! Come affermato in precedenza, il ruolo di antenato non è destinato a chiunque. Per determinare chi ne ha diritto, vengono adottati gli stessi criteri che in vita designano l'erede del patrimonio e dell'autorità di capofamiglia. Generalmente il titolo di capofamiglia è trasmesso a un discendente maschio, non necessariamente con legami di sangue: se non nasce un figlio si può ricorrere all'adozione, pur di salvaguardare la continuità della famiglia, o se si hanno solo figlie femmine sarà il marito di una di queste a ereditare. Un'altra condizione necessaria è che il successore abbia completato tutte le fasi fondamentali del ciclo della vita (il matrimonio, che rinnova le relazioni sociali della famiglia in senso orizzontale e sincronico, e la nascita di un figlio, che estende le relazioni in senso verticale e diacronico), in modo da assicurare alla famiglia un'integrazione completa nella società e una continuità nel tempo. I figli che non ereditano il titolo di capofamiglia possono fondare un loro nucleo famigliare e dunque una nuova linea di successione, meno prestigiosa di quella principale. La simmetria tra il mondo dei vivi e quello dei morti è anche di tipo gerarchico: così come in vita il capofamiglia gode del prestigio sociale più alto e detiene le maggiori responsabilità, anche nell'aldilà lo status più importante è prerogativa dell'antenato. Chi “muore senza legami”, cioè chi non eredita e non forma una propria discendenza, in morte sarà nel punto più basso della gerarchia. Per quanto riguarda le donne, le mogli dei capifamiglia sono considerate antenate, ma non hanno diritti di successione. Tuttavia, nella sfera privata della casa e della famiglia le donne hanno il potere e prestigio maggiore, così come gli uomini ne godono nell'ambito pubblico e sociale. ! Ciò che caratterizza il culto degli antenati è dunque l'importanza della famiglia come entità sociale. La posizione in vita all'interno della famiglia stabilisce il destino di un individuo nell'aldilà, perciò “lo ie [il sistema che comprende la casa e la famiglia] è una comunità spirituale e il culto degli antenati è la sua religione” (Herman Ooms).!
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(1) In Giappone, tutto ciò che non ha un margine definito è considerato impuro: una ferita che lascia fuoriuscire sangue è dunque impura in quanto incrina la struttura liscia e perfetta del corpo; allo stesso modo, compiere reati è impuro poiché corrompe la stabilità sociale. Il cadavere attraverso i processi di putrefazione muta continuamente il suo aspetto, perciò non potrà essere redento finché non raggiungerà la nuova forma stabile dello scheletro. Solo da questo momento può accedere all’aldilà senza essere ritenuto “pericoloso”! (2) Un'altra possibile interpretazione vede il samsara come condizione di sofferenza data dall'ignoranza e dalle illusioni; il nirvana in questo caso sarà rappresentato dalla mente illuminata che sa distinguere l'inganno e si è liberata del terrore della morte. La distinzione tra il primo e il secondo è meno marcata, e il passaggio avviene in vita.!
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Marilyn Pastis! Fonte: Itinerari nel sacro, Massimo Raveri!
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Donne, montagne e comunità resistenti.!
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!Incipit:!
“Poenitentiam agite, appropinquabit enim regnum caelorum” ! (Vangelo secondo Matteo)!
Di tutte le eresie che hanno camminato per i sentieri della Storia, quella dei Dolciniani rimane molto particolare per l'attualità che riveste ancora oggi, con tutte le implicazioni sociopolitiche e antropologiche che porta con se'.! Nel 1291 Dolcino Torielli, un giovane predicatore benestante la cui biografia rimane ancora un mistero, entra a far parte del movimento degli Apostolici, guidato all'epoca da Gherardo Segarelli. ! Essi avevano la loro origine nell'ala sinistra dell'ordine francescano, formata dai cosiddetti Apostolici o Spirituali che a loro volta si dividevano in due fazioni, una più moderata ed una più radicale. Gli Apostolici predicavano un messaggio cristiano radicalmente ispirato alla vita dei primi apostoli e dello stesso Francesco, fondato sull'uguaglianza fra i sessi, il sacerdozio universale, la comunione dei beni, il rifiuto di ogni gerarchia e la priorità data al valore della povertà, ritenuto un valore fondamentale contro la degenerazione della società. In un mondo ormai infettato dalla voglia di potere dall'avidità di ricchezze, anche e soprattutto in ambito religioso, tale dottrina non poteva essere tollerata dalle autorità ecclesiastiche e, all'apertura del concilio di Lione (7 maggio 1274), papa Gregorio X lanciò una nuova crociata contro le congregazioni religiose non autorizzate. Segarelli e gli Apostolici rifiutarono di entrare in altri ordini ecclesiastici, come imposto loro dalla Religionum diversitatem nimiam, e per questo caddero vittime della repressione della Chiesa.! Dopo essere stato accusato di eresia Segalelli fu arrestato e messo al rogo il 18 luglio 1300 a Parma. A questo punto la sua predicazione fu proseguita da fra Dolcino, di cui in realtà non si ha la certezza se sia stato o meno stato effettivamente un "frate", che ne radicalizzò i contenuti.! Dolcino e i suoi fratelli, in fuga dalla repressione arrivano dall'Emilia in Trentino, ed è qui che incontra Margherita Boninsegna, che diviene presto la sua compagna che lo accompagnerà finché morte, la cui faccia è quella della Chiesa di Roma, li separerà in questa terra.!
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Donne:! Come mai una giovane donna di “pulchritudinem immensam”(Benvenuto Da Imola), di probabile discendenza nobile segue Dolcino “nel delitto e nell'errore” (Bernardo Gui) nel suo tentativo di costruire una comunità apostolica sui monti del novarese, saccheggiando le proprietà dei ricchi, diffondendo il messaggio di Segarelli e votandosi così a morte certa?! Se è ovvio il tentativo fatto da inquisitori come Gui di dipingere Margherita come propaggine del diavolo tentatore, in linea con la visione dell'epoca (e di tutte le
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successive fino ad oggi) di condannare tutte le donne che agiscono in autonomia dai costrutti sociali che le vogliono legate alla sovrastruttura del momento (casa e chiesa ieri, lavoro e famiglia oggi) è interessante notare come Margherita Boninsegna compie un gesto che ha dell'universale: rescinde i legami con il suo status sociale e così distrugge la possibilità che il genere maschile offre all'altro sesso di essere solo schiava o puttana.! Notiamo infatti che, in tutte le descrizioni giunte fino a noi, la sua figura viene inconsapevolmente de-sessualizzata -non si parla mai di “vizio” come si era soliti fare nelle cronache dell'epoca- ma allo stesso tempo l'importanza della sua femminilità diventa fondamentale, poiché è questa stessa a compiere la “rivoluzione nella rivoluzione” prospettata (e fallita NdA) negli Stati a regime marxista: l'atto rivoluzionario parte dalla cancellazione delle sovrastrutture imposte e dall'affermazione della propria identità.! Abdullah Ocalan, in merito al rapporto fra sessismo e dominazione, afferma: "Senza la schiavitù delle donne nessuno degli altri tipi di schiavitù può esistere tanto meno svilupparsi." 'Ritiene quindi che, dal rovesciamento delle società matriarcali di epoca primitiva, con l'affermazione dei patriarcati si sia tracciata la strada per tutti gli sfruttamenti successivi, che siano religiosi, razziali o di classe.! Margherita Boninsegna rivendica prima la possibilità della donna di decidere, e scioglie i legami con quel nucleo famigliare che ancora oggi frena ogni individuo nella sua affermazione come tale, in secondo luogo la scelta la porta verso i lidi di un'eresia, rescindendo i legami con la morale religiosa dell'epoca, e infine su questa via che porta sempre al rogo o alla liberazione, si allontana per necessità dalla città per giungere là dove tutto sembra ancora possibile. !
! La Montagna! !
“Nel caso di Margherita e del triennio che la vede protagonista, se ci riflettiamo bene incontriamo la sua figura soltanto in luoghi impervi di montagna. Margherita e la montagna: una donna e la montagna. Il nemico, al contrario: uomini, solo uomini della città. Donna e montagna che resistono contro un universo maschile e cittadino. Margherita aiuta, da questo punto di vista, a spiegare anche, almeno in parte, l'accoglienza e l'ospitalità che i montanari valsesiani riservano ai pochi dolciniani che giungono: gli eretici hanno con sé anche alcune donne, e la figura femminile è prioritaria e carismatica nella società arcaica di montagna, con la sua cultura sciamanica e la sua sapienza antica.” ! Scrive Corrado Mornese nell'articolo “La resistenza di Margherita da Trento”, ed effettivamente il luogo è rilevante per capire questo tentativo di rivoluzione.! La città è un costrutto ideale fattosi realtà: edificata da una comunità stanziale, accresce e si costruisce in parallelo all'ideologia proposta da queste.! Nelle città tutto è subordinato all'idea che vige al momento: i ritmi di vita, i meccanismi di scambio, l'architettura stessa sono funzionali e anzi creano l'individuo che vi abita, costretto volente o nolente ad adeguarsi almeno in parte al luogo che vive.!
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Il ritorno alla montagna -anche a causa di necessità contingenti e non solo per scelta- sottintende un rifiuto di questi costrutti e apre la possibilità di vivere nuovi mondi.! Margherita e i dolciniani fra il 1304 e il 1307 si spostano dalla Parete Calva al Monte Rubello sempre percorrendo le strade dei monti, stringendo alleanze con le comunità montanare e utilizzando le città solo come luoghi dove compiere saccheggi, anticipando di secoli le teorie di Junger esposte ne “Il Trattato del Ribelle”.! Dalle pendici di Alamut dominata dalla setta degli Hashishins ai rifugi dei nichilisti russi del Chernoe Znamia, dai luoghi di guerriglia delle brigate partigiane alla resistenza in Val di Susa contro l'Alta Velocità, per tutto il corso della Storia boschi e montagne sono sacche di resistenza all'ordine vigente; così per i dolciniani la montagna è tanto il ritorno alle società arcaiche, prima ancora dell'affermazione del patriarcato, quanto l'inizio di un nuovo modo di abitare il mondo, dove il dono della comunità sostituisce lo scambio della cittadinanza, dove la creazione di Dio non è stata cancellata dalle babeliche costruzioni dell'uomo, dove non è necessaria l'obbedienza allo stile di vita dominante.!
! Comunità e amore! !
Sarò breve, poiché la spontaneità del divenire non merita il tedio di fredde analisi che tolgono quella vita che emerge dai racconti passati.! Dove c'è il rifiuto condiviso dei ruoli sociali (come abbiamo visto in questo caso di ruolo e di classe), l'allontanamento dalle strutture di dominio (la città) e l'idea di una vita nuova (la dottrina apostolica) si crea la comunità, persone che creano legami proiettati verso il futuro.! Come scrive Landauer: “Nella vita comunitaria degli uomini c’è una sola struttura adeguata dello spazio: la comune e la confederazione di comuni. Le frontiere della comune sono piene di senso (cosa che naturalmente esclude la dismisura, ma non la irragionevolezza o l’inopportunità in casi isolati): esse circondano un luogo che finisce naturalmente lì dove finisce”.! La comunità crea le comuni, luoghi dove l'esistenza si nutre del luogo che vi si abita e dove la vita non viene delegata ai servizi che la vita civica offre secondo i rigidi dettami dell'economia- e per economia voglio intendere anche quella religione che economizza sulla morale, o quella legge che economizza la libertà individuale.! Nel trattato “A nos amis” del Comitato Invisibile vi è scritto: “È qui che la comune si oppone fondamentalmente allo spazio infinito dell’organizzazione mercantile: il suo territorio è la tavoletta d’argilla che svela il suo senso, e non una semplice estensione dotata di funzioni produttive abilmente ripartite da un pugno di esperti della pianificazione.” ! E sui monti della Val Sesia Margherita e Dolcino avviano un'intensa attività di costruzioni di comunità resistenti, incontrando il favore delle popolazioni locali e attirandosi l'odio della nobiltà e del clero, preoccupate di perdere quel predominio sui popoli che avevano conquistato solo grazie alla forza.!
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Cos'è infatti che cancella i rapporti di forza e crea legami nuovi, a costo del fallimento, della prigionia o della morte? Sembra stucchevole asserirlo, ma è l'amore, e quella degli apostolici è una storia d'amore fra l'umano e Dio, cioè fra l'umano e l'umano, così incompatibile con la civiltà dello scambio, la civiltà pianificata che dall'Impero Romano è giunta fino a noi.! E in questo amore, dice Raoul Vaneigem “c’è la pietra filosofale che riporterà l’umanità alla vita da cui l’economia l’ha separata. E’ là che il corpo impara a revocare il senso di colpa e a scoprire l’innocenza. E’ là che si abolisce la sua frammentarietà in principio intellettuale e principio manuale, perché la mano resa al sensuale e l’intellettualità alla coscienza sensitiva del piacere partecipano di quell’alchimia di cui Meyrink dice che inverte le luci introducendo quella della testa nel corpo e quella del corpo nella testa. Là, infine, si delinea l’universo del dono. Non il sacrificio implicato dalla legge degli scambi ma l’amore di sé sbarazzato dall’egoismo individualista e dalle sue appropriazioni privatrici: l’amore di sé che si arricchisce di ciò che offre.”! Ancora oggi risuona il grido dei dolciniani “Pentitenziagite!”: pentitevi della vostra avidità, pentitevi della Storia che avete scritto con una mano sulle ricchezze e l'altra sulla forca, pentitevi della paura di non distanziarvi dalla vita che hanno deciso per voi, perché si avvicina il regno dei cieli.! Qui e ora, si può costruire.! ! “Siamo i ribelli della montagna, viviam di stenti e di patimenti, ma quella fede che ci accompagna sarà la legge dell'avvenir. Ma quella legge che ci accompagna sarà la fede dell'avvenir.”!
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Luca Andalou!
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L’11/08/1907 viene inaugurato sulla vetta del monte Massaro alla presenza di 10.000 persone (soprattutto operai biellesi e valsesiani) un obelisco alto 12 metri a memoria del movimento eretico. Sarà abbattuto dai fascisti il 2 settembre 1927.
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In copertina: • Miniatura di un bestiario medievale • Hugo Simberg - Povero Diavolo con Gemelli
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Retro copertina: • Dipinto di William Blake - Il Grande Drago Rosso e la bestia venuta dal mare
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