Fisiopatologia chirugica completo giordano perin

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APPUNTI DI FISIOPATOLOGIA CHIRURGICA Giordano Perin aa 2010/2011


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone

IL CANCRO DEL POLMONE il cancro del polmone è sicuramente il principale argomento di interesse della chirurgia toracica, si tratta infatti una patologia: • estremamente importante in termini di mortalità e trasversale in tal senso: colpisce sia uomini che donne. • Difficile da diagnosticare e da trattare. EZIOLOGIA: la eziologia delle neoplasie polmonari si spiega in diversi modi: • FATTORI GENETICI sicuramente molto importanti, associati sia a oncogeni, spesso di origine virale, sia ad antioncogeni derivati invece dal genoma cellulare. • FATTORI FAMILIARI determinati dalla presenza di sequenze e geni predisponenti, questa tesi sembra avvalorata dal fatto che: ◦ soggetti con familiarità per neoplasie polmonari risultano esposti ad un rischio maggiormente elevato rispetto a soggetti che invece non presentano questo fattore. ◦ Il carcinoma laringeo si associa spesso a quello polmonare. ◦ Le recidive di neoplasia polmonare anche dopo la asportazione del cancro iniziale sono abbastanza comuni. • FATTORI AMBIENTALI sicuramente MOLTO RILEVANTI come: ◦ fumo di tabacco. ◦ Inquinamento atmosferico. • ESPOSIZIONE PROFESSIONALE nello specifico: ◦ asbesto. ◦ Cromo. ◦ Nichel. ◦ Arsenico. ◦ Silice. ◦ Radiazioni ionizzanti in pericolare per URANIO e RADON. • FLOGOSI CRONICA DEL PARENCHIMA POLMONARE AD EVOLUZIONE SCLEROCICATRIZIALE, in particolare: ◦ silicosi. ◦ Tubercolosi polmonare. Che possono portare alla formazione dei cosiddetti CANCRI SU CICATRICE: si tratta di neoplasie che si formano fondamentalmente in virtù della presenza di continui stimoli di crescita e cicatrizzazione tipici di queste lesioni.

EPIDEMIOLOGIA:

l'incidenza della patologia è molto variabile nel mondo, sicuramente ricordiamo che: 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone • in Italia la mortalità per cancro del polmone è raddoppiata dal '65 al '79. • colpisce principalmente soggetti al di sopra dei 60 anni di età. Principalmente a causa del fumo di sigaretta i maschi sono storicamente più colpiti delle donne, la differenza, tuttavia tende oggi ad attenuarsi proprio a causa dell'incremento della abitudine al fumo nelle donne.

Sicuramente ricordiamo che in l'incidenza di questo tipo di neoplasia in Inghilterra, considerata abbastanza simile all'Italia in termini di diffusione, si registrano circa 80 casi ogni 100.000 persone.

CARATTERISTICHE GENERALI:

i diversi tipi di cancro del polmone, classificati generalmente sulla base della loro posizione rispetto all'albero bronchiale e possono essere definiti per alcune caratteristiche principali: • nascono dall'epitelio bronchiale, tutti quanti. • Hanno un accrescimento vegetante endobronchiale. • Infiltrano la parete bronchiale e il parenchima polmonare. • Sono macroscopicamente descrivibili come masse: ◦ fibrose. ◦ Compatte. ◦ Eventualmente parzialmente colliquate da fenomeni di necrosi. • Il colorito è generalmente bianco giallastro con macchie di necrosi poste all'interno. • Crescita fondamentalmente infiltrativa. CARATTERISTICHE ISTOLOGICHE: il carattere istologico del carcinoma bronchiale può essere fondamentalmente di tipo: • NSCLC non mall cell lung carcinoma, con questo acronimo si indicano: ◦ carcinoma spinocellulare, SICURAMENTE IL PIÙ FREQUENTE, rappresenta il 45­ 80% delle neoplasie polmonari. Si caratterizza per: ▪ metaplasia epiteliale. ▪ Interessamento di grandi e medi bronchi. ▪ Le cellule presentano citoplasma abbondante, cheratinizzazione, perle cornee, assenza di lumi ghiandolari. Da spesso METASTASI LINFATICHE. 17


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◦ Adenocarcinoma, anch'esso molto frequente, circa il 30­50% delle neoplasie polmonari. Si caratterizza per: ▪ interessamento periferico principalmente, al contrario del carcinoma spinocellulare. ▪ Si compone di cellule: • epiteliali piatte o cilindriche, pluristratificate. • Componente ghiandolare. Questa neoplasia: ▪ esfolia raramente nel lume bronchiale. ▪ Metastatizza: • ai linfonodi regionali molto rapidamente. • Per via ematica all'organismo intero. ▪ Frequentemente va incontro a fenomeni di ascessualizzazione. ▪ Può raggiungere la pleura e dare vita a versamenti a carattere neoplastico. ◦ Carcinoma indifferenziato, si tratta di una forma abbastanza invasiva se pur rara (10­15%). Si caratterizza per: ▪ presenza di grandi cellule anaplastiche con citoplasma abbondante, nuclei vescicolosi e mitosi frequenti. ▪ Cellule riunite in ammassi solidi o cordoni senza che vi siano forme ghiandolari coinvolte, spesso assume una conformazione: • a palla. • Ascessuale. La metastasi è frequente in queste forme e principalmente si svolge per via ematica. ◦ Carcinoma bronchiolo alveolare: questo carcinoma può assumere delle caratteristiche particolari, si tratta infatti di una neoplasia che presenta tipicamente un aspetto a vetro smerigliato, non forma cioè una grande massa, ma diffonde per via intraalveolare. SCLC small cell lung carcinoma che indica invece fondamentalmente il MICROCITOMA. Viene detto anche: ◦ cancro a oat cells. ◦ Cancro a chicco d'avena. Si tratta di una forma rara, intorno al 15% dei casi, ma SICURAMENTE DELLA FORMA PIÙ AGGRESSIVA. Si caratterizza per: ◦ una possibile istogenesi a partenza dalle cellule APUD. ◦ Presenta piccole cellule dotate di un piccolo nucleo. ◦ Spesso a localizzazione periferica. Si formano: ◦ ammassi solidi dotati di poco stroma.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone ◦ Le masse tendono ad esfoliare e dare escavazioni. Da spesso metastasi a distanza e invasioni locali del polmone molto importanti: molto spesso la massa è di dimensioni tanto piccole che si nota prima il

CARCINOMA SQUAMOCELLULARE Cellule con abbondante citosol. Cheratina. Aspetto a cellule squamose. Nessuna organizzazione strutturale.

ADENOCARCINOMA Cellule con abbondante citosol frammiste a cellule epiteliali. Formazione di masse ghiandolari.

CARCIONOMA INDIFFERENZIATO Cellule assolutamente non differenziate e alterate. Nessuna organizzazione strutturale.

MICROCITOMA Cellule piccole con rapporto nucleo citoplasma alto. Nessuna organizzazione strutturale. Forse appartenenti al sistema APUD.

rigonfiamento linfonodale polmonare o peripolmonare rispetto alla lesione primitiva. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia che generalmente, con le dovute eccezioni, si associa al cancro del polmone è legata a: • espettorato ematico. • Dolore toracico. • Dispnea che può essere dovuta a numerosissime cause. • Weezing. • Febbricola. La sintomatologia è strettamente correlata alla localizzazione ed evoluzione della patologia, su base clinica quindi possiamo individuare quadri di: • LESIONE ASINTOMATICA come avviene nelle stragrande maggioranza dei casi, la lesione può essere scoperta per caso durante accertamenti diagnostici di altro tipo. Si è ipotizzata la possibilità si eseguire uno screening su paziente a rischio, ma sembra che ancora non ci siano le possibilità tecniche per poter far partire un progetto del genere. • CANCRO DEI GROSSI BRONCHI. • CANCRO DEI MEDI BRONCHI. • CANCRO PERIFERICO. • SINDROMI DA DIFFUSIONE ENDOTORACICA. • SINDROMI PARANEOPLASTICHE.

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CANCRO DEI GROSSI BRONCHI O ILARE: si tratta di un cancro che origina DAI BRONCHI PRINCIPALI O LOBARI, possiamo dire che macroscopicamente risulta: • di colorazione giallastra o violacea a seconda delle zone e del grado di necrosi. • Dotato di superficie: ◦ lobulata quando presenta irregolarità grosse. ◦ Spicolata quando presenta irregolarità piccole. • La forma è ovalare, irregolare. • La massa si sviluppa e cresce in senso VEGETANTE NEL BRONCO FINO AD OSTRUIRLO dando spesso fenomeni di: ◦ COMPRESSIONE. ◦ INFILTRAZIONE. In particolare questi caratteri fanno pensare ad una neoplasia maligna. SINTOMATOLOGIA: diversi sintomi si possono associare a queste formazioni neoplastiche: • DISPNEA: abbiamo una carenza di ossigeno tissutale determinata dalla ostruzione del flusso attraverso le vie aeree. Certamente la dispnea ci può essere ma può dipendere da

Carcinoma squamocellulare coinvolgente i grossi bronchi: una volta raggiunta una tale dimensione l'ostruzione del bronco principale è praticamente certa. immagine tratta da wikipedia

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diversi fattori tra cui: ◦ massa della neoplasia. ◦ Età del paziente. ◦ Comorbidità come per esempio: ▪ BCPO. ▪ Altre malattie polmonari sovrapposte. La dispnea è PROGRESSIVA e si sviluppa soprattutto sotto sforzo. Per manifestarsi come una dispena importante in ogni caso saranno necessarie ostruzioni importanti. COMPRESSIONE DELLE STRUTTURE MEDIASTINICHE O, più in generale, LORO INTERESSAMENTO. I sintomi possono essere determinati da infiltrazioni negli organi vicini quali per esempio: ◦ ESOFAGO dove può provocare una disfagia, relativamente raro. ◦ VENA CAVA SUPERIORE: il tumore provoca in questo caso una sindrome da compressione con edema a mantellina e turgore giugulare. ◦ TRACHEA dove l'infiltrazione può generare un sibilo respiratorio. ◦ NERVO FRENICO: i due emidiaframmi possono essere interessati dalla infiltrazione e, perdendo in funzionalità può aggravare il quadro di dispnea. ◦ NERVI RICORRENTI: alterazione della voce, disfonia, afonia. ◦ LINFONODI: linfonodi della finestra aortopolmonare, posti cioè la tra le arterie aortica e polmonare, se interessati possono infiltrare il nervo ricorrente praticamente a livello della sua origine provocando una disfonia. È possibile distinguere tra una disfonia infettiva o irritativa e una neoplastica sulla base di: ▪ età e fasce di rischio. ▪ La disfonia flogistica con antinfiammatori e antibiotici si risolve, quella da neoplasia no; tende inoltre naturalmente a peggiorare. DOLORE: il dolore provocato da una neoplasia polmonare può essere determinato unicamente DA UNA INFILTRAZIONE PLEURICA della massa neoplastica. Nel complesso possiamo dire che: ◦ si tratta di un dolore ingravescente. ◦ Si tratta di un dolore che difficilmente può essere contenuto con una terapia analgesica normale. INFILTRAZIONE PERICARDICA, che può eventualmente provocare un TAMPONAMENTO CARDIACO. EMORRAGIE che possono essere di provenienza di: ◦ vasi neoformati come avviene nella stragrande maggioranza dei casi a causa delle tipiche aree di necrosi interne alla massa neoplastica. ◦ Di vasi presenti in sede che vengono infiltrati dalla neoplasia. Si manifesterà come SANGUINAMENTO DALLE VIE RESPIRATORIE: emoftoe o emottisi in questo caso hanno il medesimo significato, l'entità della emorragia non ha infatti significato prognostico rispetto alla neoplasia polmonare. Il sanguinamento sarà in ogni caso: ◦ irregolare. ◦ Areato. Fa eccezione il caso in cui il sangue passi tramite la laringe nell'esofago e venga poi 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone espulso come parzialmente digerito o in forma di melena. Ricordiamo in ogni caso che il pericolo principale della EMOTTISI NON È L'EMORRAGIA IN SE, a meno che questa non superi i 600cc di volume, MA LA ASFISSIA: il paziente muore per soffocamento soprattutto se anziano. • TOSSE: sintomo del cancro del polmone e di altre affezioni polmonari, la tosse è sicuramente provocata: ◦ da una attività infiammatoria della mucosa innescata dal cancro stesso. ◦ Dalla produzione di muco, soprattutto presente nelle forme evolute della patologia. La tosse è CRONICA E CONTINUA perché lo stimolo è di per se continuo e si sviluppa in modo PEGGIORATIVO, non migliora mai. • BRONCOPOLMONITE che può essere determinata da una stasi batterica, si verifica più comunemente nelle neoplasie dei medi bronchi. EVOLUZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA NEL TEMPO: la sintomatologia per questa neoplasie evolve in due fasi: • PREOSTRUTTIVA caratterizzata da: ◦ tosse irritativa, stizzosa e secca. ◦ espettorato striato di sangue. • OSTRUTTIVA: ◦ Wheezing e dispnea: lo weezing è un fenomeno molto raro in questo caso. ◦ Emottisi, emoftoe e febbre. La gradualità della sintomatologia è determinata dal fatto che il bronco ha delle dimensioni notevoli e di conseguenza il tempo che intercorre tra l'origine del problema e l'ostruzione è piuttosto lungo.

CANCRO DEI PICCOLI BRONCHI O PERIFERICO:

origina in questo caso dai PICCOLI BRONCHI PERIFERICI, possiamo dire che questa neoplasia: • si accresce nel parenchima polmonare. • Presenta una forma rotondeggiante, può assumere il carattere di: ◦ coin lesion. ◦ Cancro a palla. ◦ Cancro ascesso. In questo caso dal punto di vista macroscopico la neoplasia risulta: • di colorazione biancastra. • A margini sfrangiati. • Tende a dare retrazioni delle superfici pleuriche. SINTOMATOLOGIA: La sintomatologia è diversa rispetto a quanto avviene in altri casi: • può dare sintomatologie dolorose delle pleure in modo più precoce rispetto al cancro dei grossi bronchi, l'interessamento plerico può provocare un dolore che risulta PUNTORIO, mentre la metastatizzazione che interessi per esempio il NERVO INTERCOSTALE VICINO si presenta con un dolore METAMERICO. • La sintomatologia BRONCHIALE è FONDAMENTALMENTE ASSENTE, non ci sono fischi o simili e l'ostruzione con eventuale atelettasia è poco significativa. • Pneumotorace: il cancro erode la pleura viscerale e mette in comunicazione i bronchi 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone con il cavo pleurico. • Versamento pleurico: il versamento pleurico viene eziologicamente suddiviso in due categorie: NEOPLASTICO E NON NEOPLASTICO. Nelle neoplasie polmonari tuttavia il versamento può essere: ◦ non neoplastico se c'è una atelettasia, non si possono individuare cellule maligne. ◦ Neoplastico se invece l'infiltrazione è diretta e ci sono cellule neoplastiche nel versamento. I sintomi successivi al versamento sono: ◦ dispnea. ◦ Tosse. ◦ Dolore: ▪ presente soprattutto se il versamento è infiammatorio e provoca una lesione della pleura parietale non solo viscerale che provoca dolore. ▪ Praticamente assente nel versamento neoplastico: NON C'È INFIAMMAZIONE DELLA PLEURA PARIETALE. Si tratta di un elemento DISTINTIVO TIPICO anche se la associazione non è sempre così stretta. Nell'80% dei casi QUESTI CANCRI SONO ASINTOMATICI e solo una RADIOGRAFIA DEL TORACE ESEGUITA PER ALTRE RAGIONI PORTA ALLA DIAGNOSI. I sintomi maggiormente comuni sono sempre TARDIVI e possono essere: • ascessualizzazine della neoplasia. • Invasione della pleura o della parete. • Invasione di mediastino e diaframma. • Sindromi paraneoplastiche.

CANCRO DEI MEDI BRONCHI:

si tratta di una forma che nasce a livello dei BRONCHI SEGMENTARI, si caratterizza per: • precoce quadro di occlusione del bronco. • Atelettasia a valle della ostruzione chiaramente. • Infiltrazione della parete. • Accrescimento peribronchiale. SINTOMATOLOGIA: il cancro dei medi bronchi presenta una sintomatologia differente rispetto a quella dei cancri ad altra localizzazione, nello specifico ricordiamo che: • è difficile che ci sia una dispnea importante a meno che il paziente non sia già in condizioni precarie. • La presenza di un dolore pleurico è abbastanza comune a causa della infiltrazione. • Emottisi, possibile anche se meno intensa rispetto a quanto non avvenga per il cancro dei grossi bronchi. • Tosse. • Broncopolmoniti ricorrenti: mentre nel caso dei grandi bronchi ci vuole molto tempo prima che si instauri una ostruzione importante dell'albero bronchiale capace di generare una stasi, nel cancro dei bronchi medi l'evenienza è molto più frequente e comporta molto spesso la formazione di focolai settici. Molto comune è proprio la formazione di una serie di broncopolmoniti ricorrenti localizzate ad un solo polmone e in una sola sede, soprattutto nell'anziano. 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone Anche in questo caso si definiscono due quadri: • FASE PREOSTRUTTIVA caratterizzata da EMOFTOE e TOSSE PRODUTTIVA. • FASE OSTRUTTIVA caratterizzata da: ◦ episodi recidivanti di febbre. ◦ Dolori toracici. ◦ Tosse produttiva. È FONDAMENTALE APPROFONDIRE RIPETUTI EVENTI DI BRONCOPOLMONITE.

METASTASI:

a seconda dell'istotipo che ci troviamo ad affrontare avremo chiaramente una maggiore o minore tendenza alla metastatizzazione, tuttavia le metastasi del cancro del polmone sono abbastanza simili per i tre tipi clinici precedentemente descritti. VIE DI DIFFUSIONE: le vie di diffusione che il cancro del polmone può prendere sono fondamentalmente: • per continuità dove fondamentalmente la neoplasia espandendosi può infiltrare: ◦ il tessuto vicino e i vasi linfatici che sono in questa sede molto attivi. ◦ Vasi, bronchi, polmone e pleura viscerale. • per contiguità cioè oltre i limiti del parenchima polmonare, può interessare: ◦ il MEDIASTINO invadendo ilo polmonare, trachea, pericardio, aorta, vena cava, nervo frenico e vago. ◦ LA PARETE invadendo la pleura parietale, le coste, lo sterno, i nervi intercostali, le vertebre, il plesso brachiale e il diaframma. • per via linfatica dove può interessare i linfonodi a diversi livelli: ◦ I LIVELLO: linfonodi intraparenchimali segmentari, lobari e ilari, fondamentalmente i linfonodi del polmone. ◦ II LIVELLO: linfonodi mediastinici omolaterali, carenali, laterotracheali, della finestra aorticopolmonare e ricorrenziali. Fondamentale è che il coinvolgimento permanga a livello del mediastino ipsilaterale. ◦ III LIVELLO interessando quindi i linfonodi controlaterali, sovraclaveari ascellari e sottodiaframmatici. L'interessamento si porta al di fuori dell'emitorace. C'è indicazione chirurgica solo per le neoplasie di stadio I e neoplasie si stadio II che presentino un coinvolgimento linfonodale limitato. • per via ematica dove interessa fondamentalmente: ◦ cervello. ◦ Fegato. ◦ Ossa. ◦ Surrene. ◦ Polmone controlaterale. • per via endobronchiale fondamentalmente in caso di ESFOLIAZIONE ENDOLUMINALE che provoca molto spesso l'espansione della neoplasia nelle regioni vicine alla sede di origine. • Per via endocelomatica in caso di esfoliazione lungo la parete pleurica, nel caso specifico possiamo avere un fenomeno di INVERSIONE DEL FLUSSO LINFATICO: la neoplasia finisce per interessare in modo molto importante i vasi linfatici che si collocano in prossimità formando una LINFANGITE CARCINOMATOSA: l'inversione del flusso può provocare lo stravaso di liquido nella pleura e quindi la sua 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone infiltrazione. SINDROMI DA DIFFUSIONE INTRATORACICA: tra queste sindromi ricordiamo sicuramente LA SINDROME DI PANCOST, si tratta di una sindrome dovuta all'infiltrazione da parte di un cancro che origina all'apice del polmone delle strutture che stanno al di sopra dell'apice stesso. Si tratta di una sindrome rara, un caso o due all'anno per centro, la gravità di questa sindrome è legata a: • diagnosi è tardiva: è difficile individuare in modo appropriato la diagnosi. • Fraintendimento molto frequente che spinge a ricorrere a cure ortopediche o cure fisioterapiche fondamentalmente intili. Dal punto di vista clinico si manifesta con un tipico quadro da interessamento del plesso brachiale, in particolare: • dolore al braccio e parestesie irradiati al lato ulnare del braccio. • Invasione di prima e seconda costa e delle radici dei nervi C8­T1­T2. • Nel momento in cui venga infiltrato il ganglio stellato si associa a sindrome di Claude Bernard Horner caratterizzata da: ◦ miosi. ◦ Enoftalmo. ◦ Restringimento della rima palpebrale. Dal punto di vista della radiodiagnostica è importante eseguire in questi casi delle analisi della parte alta del torace in sede anche immediatamente sottoscapolare. Se non sono interessati linfonodi a distanza, generalmente la prognosi è abbastanza buona e l'escissione abbastanza facile. SINDROMI DA DIFFUSIONE ENDOTORACICA: sono dovute alla diffusione all'interno del torace della neoplasia polmonare, nello specifico interessa: • Ostruzione della vena cava superiore con conseguenti: ◦ turgore della vena giugulare. ◦ Sviluppo di circoli cutanei superficiali. ◦ Edema a mantellina. • Infiltrazione del nervo frenico con conseguente paralisi del diaframma. • infiltrazione del nervo ricorrente con conseguente paresi unilaterale delle corde vocali e quindi disfonia. • Infiltrazione dell'esofago con conseguente disfagia. • Infiltrazione del pericardio con formazione di un versamento pericardico ed eventualmente tamponamento. SINDROMI PARANEOPLASTICHE: si tratta di sindromi determinate dalla produzione da parte del tumore di prodotti ormonali o simil ormonali che provocano chiaramente patologie: • ENDOCRINO METABOLICHE. • DERMATOLOGICHE, • NEURMUSCOLARI. • OSTEOARTICOLARI. • EMATOLOGICHE E VASCOLARI. Possono essere utili nella diagnosi precoce di patologie neoplastiche e meritano sempre un approfondimento. 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone SINDROMI DA METASTASI A DISTANZA: sono sindromi determinate dalla presenza di metastasi, queste possono manifestarsi con: • problemi NEUROLOGICI come cefalea, crisi Jacksoniane e segni di lato. • Dolori per metastasi vertebrali o ad altri segmenti ossei. Le metastasi epatiche sono per lunghissimo tempo asintomatiche.

DIAGNOSI:

la diagnosi può essere ESTREMAMENTE COMPLESSA e richiede l'ausilio di mezzi diagnostici molto importanti e costosi senza alcuna garanzia di giungere ad una conclusione. ANAMENSI ED ESAME OBIETTIVO: la ANAMNESI è sicuramente molto importante anche perché la obiettività, ad eccezione di sintomi particolari sopra descritti, è fondamentalmente nulla: • FISIOLOGICA: ◦ fumo, estremamente importante in termini di rischio. ◦ Attività lavorativa: sicuramente il contatto con sostanze nocive in ambito polmonare, in particolare l'asbesto ma anche la silice e non solo, può favorire molto l'evoluzione della patologia. • FAMILIARE: ◦ presenza di neoplasie polmonari in famiglia o neoplasie di altro tipo. ◦ Vaccinazione o esposizione a TBC che può provocare quadri fraintendibili. • PATOLOGICA REMOTA essenziale in particolare in relazione alla presenza di RX toraciche precedenti che possano testimoniare la presenza di opacità o meno. Al fine di stabilire se la neoplasia sia benigna o maligna si applicano dei criteri di tempo: ◦ una radiografia di almeno due anni prima che testimoni la presenza di un quadro radiografico invariato può essere considerata come un indice di neoplasia benigna. ◦ Una radiografia più recente, per quanto suggestiva eventualmente, non può essere considerata sufficientemente probativa da escludere la presenza di una neoplasia maligna. Si tratta di un PUNTO FONDAMENTALE: SOLO SE NON SONO PRESENTI REPERTI, o questi reperti non vengono portati alla luce, SI FA PARTIRE L'ITER DIAGNOSTICO NECESSARIO che comprende metodiche anche invasive e potenzialmente pericolose. • PATOLOGICA PROSSIMA: ◦ la presenza di una sintomatologia associata. ◦ Neoplasie di testa e collo precedenti. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI: la diagnostica per immagini prevede l'utilizzo di tecniche quali: • RX DEL TORACE sicuramente utilissimo presidio iniziale, non è sufficiente praticamente in nessun caso. • TAC E PET. • BRONCOSCOPIA. • BIOPSIA RADIOGUIDATA. L'ITER DIAGNOSTICO: nel momento in cui una RADIOGRAFIA DEL TORACE, Opacità sinistra sospetta ad una RX del torace. 17 immagine tratta da wikipedia


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone metodica economica e facilmente eseguibile, DIMOSTRI LA PRESENZA DI UNA OPACITÀ POLMONARE, sarà necessario eseguire degli approfondimenti: • TAC esame fondamentale che consente di valutare aspetti molto importanti. La richiesta di una TAC può essere motivata nel tentativo di: ◦ determinare dimensioni e caratteristiche della lesione: si tratta di aspetti fondamentali al fine di determinare sia le caratteristiche macroscopiche della lesione sia la sua posizione. ◦ Determinare se la massa ha infiltrato le regioni circostanti. ◦ Determinare la collocazione anatomica che può essere molto utile: ▪ in termini operatori. ▪ In termini anatomopatologici. ▪ In termini broncoscopici. ◦ Determinare se la massa è vascolarizzata o meno e le caratteristiche della sua vascolarizzazione, si tratta di un aspetto molto importante nel distinguere lesioni neoplastiche da lesioni di altro tipo: ▪ Una lesione ascessuale ha una opacità non vascolarizzata. ▪ Una lesione neoplastica è tipicamente ben vascolarizzata. TC del torace, evidenzia presenza di un nodulo sua forma (lobulata) e il infiltrativo soprattutto pleura.

molto bene la periferico, la suo carattere rispetto alla

immagine tratta da wikipedia

◦ Presenza di LINFANGITE CARCINOMATOSA: si tratta di una linfangite determinata dalla ostruzione linfatica da parte delle cellule tumorali, nello specifico possiamo dire che si nota molto bene la congestione locale. ◦ Linfonodi COINVOLTI che sono sicuramente molto importanti in termini pratici per definire la gravità del quadro, nello specifico possono essere coinvolti in forma: ▪ parcellare. ▪ Grossolana. La presenza di linfonodi invasi metastaticamente è fondamentale in termini di TERAPIA: ▪ in presenza di linfonodi coinvolti in modo grossolano e diffusi la patologia è di competenza oncologica, non chirurgica, di conseguenza si passa ad una chemioterapia in quanto la malattia è sistemica. ▪ Linfonodi puntiformemente coinvolti sono invece di competenza 17


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CHIRURGICA, nello specifico ricordiamo che: • prima si esegue una chemioterapia funzionale a far regredire la patologia. • quindi si esegue una chirurgia a seguito della RISTADIAZIONE DEL PAZIENTE. BRONCOSCOPIA: si tratta di una pratica molto difficile a causa della enorme variazione delle strutture bronchiali, nello specifico ricordiamo che: ◦ le masse periferiche si raggiungono facilmente e di conseguenza si possono facilmente eseguire delle BIOPSIE. ◦ ◦ Le masse centrali più prossime ai piccolissimi bronchi sono difficili da raggiungere e difficili anche da analizzare, si esegue in questo caso: ▪ un LAVAGGIO CON SOLUZIONE FISIOLOGICA e il liquido viene analizzato previa aspirazione per la valutazione della presenza di cellule neoplastiche. ▪ Una BIOPSIA CON AGO dove il materiale prelevato viene analizzato successivamente. Tale esame, motivato dal fatto che la TAC ha dato un risultato sospettoso: ◦ Viene fatto in anestesia locale accompagnata da lieve sedazione eventualmente. ◦ Le potenziali complicazioni sono: ▪ broncocostrizioni. ▪ Crisi vagali. Per questo motivo si esegue sempre un ECG durante questo esame. ◦ È preceduto da prove emogeniche: in un paziente scoagulato il prelievo di campioni bioptici può provocare emorragie importanti. Nel complesso l'obiettivo dell'esame è quello di: ◦ determinare una MAPPATURA DEL TUMORE. ◦ Valutare la presenza o meno di lesioni tubercolari. ◦ Valutare il citotipo che compone il tumore, si tratta di un fattore molto importante nella valutazione della prognosi e del trattamento. LA BRONCOSCOPIA HA DEI LIMITI MOLTO IMPORTANTI a livello TECNICO: ◦ la sensibilità e la specificità di questo esame sono molto rilevanti per lesioni di grosse dimensioni, ma lesioni piccole sono difficilmente raggiungibili e analizzabili, si possono in ogni caso eventualmente prelevare tessuti di tipo linfonodale quando raggiungibili. ◦ UNA BRONCOSCOPIA, soprattutto per lesioni di piccolo calibro PUÒ RISULTARE NEGATIVA PER RAGIONI PRETTAMENTE TECNICHE: ▪ il lavaggio con soluzione fisiologica può risultare negativo in quanto non ha raggiunto la neoplasia. ▪ La biopsia broncoscopica può non essere sufficientemente precisa e non raggiungere il tessuto malato. Naturalmente non sempre è positiva. BIOPSIA TAC GUIDATA, si tratta di un esame invasivo e difficile, si richiede nel 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone momento in cui la LESIONE SIA PERIFERICA e non raggiungibile tramite broncoscopia e il paziente debba essere sottoposto ad una terapia chemioterapica a causa di un chirurgico: in questi casi la diagnosi deve essere più certa il possibile. Naturalmente le indicazioni possono essere anche differenti, ma generalmente i casi sono di questo tipo. Anche in questo caso È POSSIBILE CHE LA RISPOSTA DELL'ESAME SIA NEGATIVA ANCHE SE IL CANCRO È PRESENTE, condivide le stesse debolezze della broncoscopia in quanto può colpire regioni non interessate dalla lesione.

RICERCA DI MARKERS, utile solo in alcuni casi. TC PET: metodica molto utilizzata, si utilizza uno zucchero marcato con fluoro che viene assunto preferenzialmente dalle cellule che presentano una attività metabolica più importante che si presume sia correlata: ◦ nelle neoplasie da un lato all'incremento della attività mitotica dall'altro all'utilizzo del glucosio per via anaerobia. ◦ Nelle cellule infiammatorie per il loro caratteristico metabolismo aumentato. la quantità di energia viene quindi misurata sulla base del glucosio marcato assorbito dalla cellula. In linea generale ricordiamo che: ◦ le neoplasie maligne del polmone consumano generalmente in maniera più importante rispetto alle lesioni infiammatorie. ◦ Ci sarebbero, ma non è provato, delle forme istologiche che consumano di più e altre che consumano di meno. Questa metodica è molto importante anche per DEFINIRE LA PRESENZA DI METASTASI LINFONODALI che risultano analogamente alla neoplasia ipercaptanti. Utile anche per determinare la presenza di metastasi ossee. • SCINTIGRAFIA OSSEA molto utile per individuare metastasi ossee, si esegue soprattutto nei pazienti giovani dove ci sia un rischio di collasso vertebrale. Ogni metodica diagnostica deve essere accompagnata da un consenso informato accurato: • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone nessuna metodica infatti da una garanzia del 100% di ottenere una diagnosi e anzi tutte le metodiche descritte presentano una natura fortemente operatore dipendente. INDAGINI CHIRURGICHE ESPLORATIVE: sono le indagini più invasive in assoluto, nello specifico ricordiamo che possiamo utilizare: • biopsia chirurgica toracoscopica. • Biopsia chirurgica toracotomica. • Toracoscopia che consente di valutare la presenza di linfonodi invasi dalla neoplasia. • Toracotomia che consente di prelevare i linfonodi presenti nel mediastino. INDAGINI DELLE METASTASI SURRENALICHE: è molto frequente nella neoplasia maligna polmonare riscontrare una metastasi bilaterale alle ghiandole surrenali, dal punto di vista diagnostico possiamo dire che: • se la massa surrenalica è inferiore a 3cm, non si approfondisce. • Se la massa surrenalica supera i 3cm, si procede con una biopsia. L'INCERTEZZA DELLA DIAGNOSI: sicuramente l'impatto psicologico di una neoplasia polmonare è molto importante, ricordiamo tuttavia che molto spesso la scelta è tra: • una mortalità chirurgica del 3% circa, considerate tutte le comorbidità. • Una mortalità causata dalla lesione del 95% in qualche anno. È importante nel momento in cui si pone il paziente di fronte alla scelta di operarsi o meno considerare: • l'impatto psicologico emotivo della malattia. • Le possibili alternative che sono fondamentalmente oncologiche: sono previsti generalmente 9 cicli di chemioterapia che spesso in questi casi è mal tollerata in quanto molto tossica. Il grosso del problema è legato al fatto che NON SONO DISPONIBILI DIAGNOSI CERTE E DI COSEGUENZA NON È POSSIBILE ESEGUIRE NESSUN CONTROLLO.

LA STADIAZIONE:

la stadiazione si esegue fondamentalmente su tre parametri come per tutte le neoplasie: • T caratteristiche del tumore. • N presenza di metastasi linfonodali. • M presenza di metastasi a distanza.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone STADIAZIONE TNM DEL TUMORE DEL POLMONE T0 Tis T1 T2 T3 T4

N0 N1 N2 N3 M0 MI

T­TUMORE PRIMITIVO non evidenza di tumore primario carcinoma in situ fino a 3cm di diametro diametro superiore a 3cm o infiltrazione pleurica, atelettasie, polmonite ostruttiva tumore di qualsiasi dimensione che abbia invaso strutture per contiguità (fino ai limiti del T4) o associato ad atelettasia o polmonite ostruttva tumore di qualsiasi dimensione che abbia invaso mediastino, cuore, grossi vasi, trachea, corpi vertebrali, versamento neoplastico pericardico o pleurico o presenza di noduli tumorali satelliti omolaterali nello stesso lobo N­INTERESSAMENTO LINFONODALE assenza di interessamento metastatico dei linfonodi metastasi omolaterale a linfonodi peribronchiali o ilari o infiltazione diretta di entrambi metastasi ai linfonodi mediastinici o omolaterali o sottcarenali metastasi ai linfonodi mediastinici controlaterali, ilari controlaterali, scaleni, sovraclavero omo o controlaterali M­METASTASI A DISTANZA assenza di metastasi metastasi a distanza

Nel complesso si definiscono: • STADIO IA: ◦ T1 cioè massa minore di 3 centimetri di diametro. ◦ Assenza di interessamento linfonodale. • STADIO IB: ◦ T2, cioè massa maggiore di 3 centimetri. ◦ assenza di interessamento linfonodale. • STADIO IIA: ◦ T1. ◦ interessamenti dei linfonodi peribronchiali. • STADIO IIB che può essere definito in caso di: ◦ T1 o 2 accompagnato da N1. ◦ T3 accompagnato da assenza di interessamento linfonodale. • STADIO IIIA definito in caso di: ◦ T1 o 2 accompagnato da N2. ◦ T3 accompagnato da N1. • STADIO IIIB dove abbiamo T4 accompagnato da N3. • STADIO IV o delle METASTASI A DISTANZA.

L'INTERVENTO CHIRURGICO:

l'intervento chirurgico per cancro del polmone si ESEGUE UNICAMENTE NEL MOMENTO IN CUI LA STADIAZIONE DA COME RISULTATO UNO STADIO IIB, se superiore non si procede, la terapia è unicamente medica. L'intervento prevede fondamentalmente due tipologie di operazione: • LOBECTOMIA la più frequente. 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 1: il cancro del polmone • PNEUMECTOMIA cioè l'eradicazione completa del polmone. LA TERAPIA PALLIATIVA: nel momento in cui il sintomo sia molto importante dal punto di vista clinico, soprattutto la dispnea, si procede con due terapie palliative eventualmente: • TERAPIA LASER capace di decurtare per via endobronchiale la ostruzione. • BRACHITERAPIA che prevede l'utilizzo di un ago radioattivo che, posto per qualche minuto a contatto diretto con la neoplasia, ne elimina una parte. L'obiettivo è solo PALLIATIVO, in nessun modo può essere curativo.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 2: le coin lesions

COIN LESION: le coin lesion sono delle OPACITÀ POLMONARI PERIFERICHE DEL DIAMETRO DI NON SUPERIORE A 3 CENTIMETRI, queste lesioni si caratterizzano in quanto HANNO UN ASPETTO MOLTO SIMILE SIA CHE SIANO MALIGNE SIA CHE SIANO BENIGNE: • sono piccole. • Sono molto simili tra loro a prescindere dalla loro natura. La lesione maligna per manifestarsi con le sue caratteristiche infiltrazioni, spicolature e lobulature deve crescere per un certo periodo di tempo. La valutazione di queste opacità può essere difficoltosa anche con una tabella di rischio e tramite indagini maggiormente approfondite. Nel complesso hanno un carattere radiologico tipico, sono simili ad una moneta, non sfrangiate, omogenee e piccole, tanto minore è la dimensione, tanto maggiore è la densità. COIN LESION E TECNICHE DIAGNOSTICHE: La definizione proposta di coin lesione è ad oggi di fatto considerata da molti vecchia: con la nascita di nuove tecniche di imaging e il miglioramento della definizione di quelle precedentemente presenti, la capacità di caratterizzare queste lesioni molto migliorata. Nello specifico ricordiamo che: • una RX non consente di valutare a pieno e in modo preciso una lesione al di sotto dei 3 centimetri, individua solo una indistinta opacità. • Una TAC consente di dare una analisi molto più approfondita di una coin lesion: ◦ la lesione non appare esattamente simmetrica, ci sono irregolarità e sfumature e lobulature e le superfici Coin lesion del polmone sinistro. risultano disomogenee in modo molto immagine tratta da wikipedia più evidente rispetto a quanto non appaia alla RX. ◦ Anche la TC presenta in ogni caso delle difficoltà diagnostiche: se l'opacità risulta più piccola di 1 centimetro, anche la TC diviene non inefficace, ma sicuramente imprecisa. • Una PET analogamente alla TC può essere molto utile, ma lesioni al di sotto del centimetro possono non captare quantità sufficienti di glucidi da consentire una diagnosi adeguata. Per le coin lesion il rischio è quello, non potendo dare una adeguata diagnosi radiologica o brocoscopica, di: • sottostimare la lesione e quindi non bloccare la proliferazione di una neoplasia polmonare. • Sovrastimare la lesione, che può essere benigna o determinata addirittura da cause infettive, e rimuoverla chirurgicamente imponendo un rischio chirurgico non necessario. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 2: le coin lesions EPIDEMIOLOGIA: si stima che si registri un caso di coin lesion ogni 500 radiografie del torace eseguite senza indicazione specifica.

EZIOLOGIA E DIAGNOSI DIFFERENZIALE:

Le patologie che assumono caratteristiche tipiche della coin lesion sono sicuramente molto numerose e possono anche essere variabili in relazione all'area geografica in cui ci si trova, nello specifico. EZIOLOGIA: la eziologia delle coin lesions può essere estremamente varia, nello specifico ricordiamo che: • PATOLOGIE BENIGNE che sono molto numerose, in termini pratici possiamo dire che le patologie che più comunemente causano questo tipo di lesione sono: ◦ TUBERCOLOMI. ◦ AMARTOCONDROMI. esistono poi numerose altre rare cause: ◦ ascessi polmonari. ◦ Granulomi infettivi. ◦ Istoplasmosi. ◦ Coccidiomicosi. ◦ Ascaridi. ◦ Fistola arteriovenosa. ◦ Tumori pleurici. ◦ Polmoniti atipiche. ◦ Nodulo reumatoide. ◦ Lipomi. ◦ Granulomatosi di Wagner. ◦ Infarto polmonare. ◦ Aspergilloma. ◦ Echinococcosi. ◦ Cisti broncogena. ◦ Amiloidosi. ◦ Tumori parietali. • PATOLOGIE MALIGNE e FORME INTERMEDIE anche in questo caso abbastanza numerose possono provocare questo tipo di manifestazione, nello specifico ricordiamo: ◦ carcinoma broncogeno. ◦ Carcinoide. ◦ Sarcoma. ◦ Metastasi solitarie provenienti da numerose diverse sedi.

DIAGNOSI:

la diagnosi si avvale fondamentalmente di: • ANAMNESI nello specifico: ◦ precedenti neoplastici che sono, chiaramente, predisponenti alla malignità. ◦ Confronto con radiogrammi precedenti. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 2: le coin lesions ◦ Sintomi a riferimento toracico. ◦ Fattori di rischio per neoplasie polmonari. IL CONFRONTO CON RADIOGRAMMI PRECEDENTI È FONDAMENTALE e può mutare radicalmente l'approccio diagnostico successivo: la presenza di una coin lesion presente a livello polmonare per un periodo di tempo abbastanza lungo da testimoniare la mancanza di variazioni significative è sufficiente a giustificare un arresto dell'iter diagnostico. Per quanto riguarda la valutazione delle radiografie precedenti: ◦ il tempo di raddoppiamento della lesione è di circa tre mesi. ◦ Il sospetto di neoplasia maligna può essere escluso solo in presenza di una radiografia che testimoni una assenza di variazione di almeno due anni precedente. • DIAGNOSI STRUMENTALE che diviene fondamentale: ◦ TAC si esegue per determinate con precisione posizione (soprattutto al fine di eseguire una broncoscopia successiva se necessario), e individuare in maniera più precisa i caratteri e le dimensioni della lesione. Anche una volta determinata la posizione, in ogni caso, non sempre è facile raggiungere la lesione con il broncoscopio. Si tratta di una metodica dotata di una specificità abbastanza alta, intorno all'85%, per questo tipo di lesione. ◦ PET essenziale per la valutazione della capacità di captazione della lesione, nello specifico presenta per le coin lesions: ▪ una sensibilità del 95%. ▪ una specificità dell'85% ◦ BRONCOSCOPIA che può essere associata: ▪ con broncoaspirato tramite l'utilizzo di soluzione fisiologica. Brushing e broncoaspirato tuttavia, come accennato in precedenza, risultano negativi in una percentuale di casi abbastanza elevata, intorno al 50%. ▪ con biopsia transbronchiale. ◦ AGOBIOPSIA TRANSTORACICA sotto guida RADIOSCOPICA, si tratta di una metodica diagnostica abbastanza sensibile (37­98%) ma presenta chiaramente dei rischi notevoli: ▪ emorragia. ▪ Pneumotorace. ◦ BIOPSIA CHIRURGICA TORACOCOSCOPICA. ◦ BIOPSIA CHIRURGIA TORACOTOMICA. Tomografia tradizionale e risonanza magnetica nucleare sono molto poco utilizzati al giorno d'oggi. Sicuramente l'approfondimento diagnostico varia in modo molto importante a seconda del paziente che ci troviamo davanti: • per un paziente giovane e senza fattori di rischio, generalmente ci si ferma a tecniche non invasive. • Per un paziente con rischio elevato ed età avanzata si procede anche a tecniche diagnostiche invasive. LA BIOPSIA CHIRURGICA: la pratica bioptica chirurgica crea un sicuramente dei problemi in termini di accettazione 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 2: le coin lesions della procedura: il paziente è comunque esposto ad un rischio e procedura e informazione del paziente devono essere il più complete possibile. Per pazienti a RISCHIO QUALI: • cardiopatici importanti. • Insufficienze respiratorie. • Insufficienze d'organo. Per questi pazienti a rischio si cerca di essere più aggressivi per poi sfruttare tecniche chirurgiche solo quando questo sia necessario. La presenza di una diagnosi preoperatoria convivente può mutare anche in modo significativo la strategia chirurgica, nello specifico: • se si individua una metastasi si rimuove generalmente una piccola parte di tessuto. • Se si individua una neoplasia nativa del polmone si rimuove una massa maggiore. COIN LESION PIÙ PICCOLE DI UN CENTIMETRO: nel momento in cui venga rilevata una COIN LESION INFERIORE AD UN CENTIMETRO DI DIAMETRO l'approccio diagnostico cambia in modo estremamente rilevante: si tratta dell'UNICO CASO IN CUI È NECESSARIO ASPETTARE TRE MESI PRIMA DI ESEGUIRE UNA TAC E VALUTARE LA CRESCITA DELLA LESIONE che, se maligna, raddoppia in dimensione. IL FOLLOW UP: il paziente che presenta una coin lesion in valutazione deve ESSERE SOTTOPOSTO AD ANALISI SEMPRE CON LA STESSA MACCHINA e con la STESSA STAMPA: le misure di confronto devono essere il PIÙ CORRETTE POSSIBILE1. Dal punto di vista tecnico ci si aspetta che con il miglioramento delle tecniche diagnostiche il limite di un centimetro sia superato e che quindi queste misure di FOLLOW UP possano non essere più necessarie.

1 Esistono dei software capaci di eseguire una analisi dei rapporti dimensionali tra lesioni osservate su referti radiologici differenti.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 4: il mesotelioma

NEOPLASIE DELLA PLEURA le neoplasie della pleura sono spesso definite MESOTELIOMI, si tratta di neoplasie che possono essere: • PRIMITIVE MESOTELIALI e si parla di: ◦ mesotelioma maligno che rappresenta il 90% di queste neoplasie, estremamente grave. ◦ mesotelioma benigno. • PRIMITIVE SOTTOMESOTELIALI e si parla di: ◦ fibromi, lipomi e angiomi: neoplasie benigne. ◦ Fibro e lipo sarcomi, neoplasie maligne. • SECONDARIE determinate sicuramente spesso da neoplasie polmonari ma anche da cancro della mammella, del rene e di altre sedi dell'organismo. Il polmone e la pleura essendo estremamente vascolarizzati, ricevono tutto il flusso cardiaco fondamentalmente, sono spesso soggetti a metastasi. Il mesotelioma presenta generalmente CARATTERE DIFFUSO si tratta di: • un tumore maligno che deriva dalle cellule mesoteliali. • Tumore della pleura in assoluto più frequente. • È strettamente correlato alla esposizione a sostanze, soprattutto l'asbesto. • Colpisce nel 75% dei casi i maschi. • Può evolvere sia in senso epiteliale che connettivale. EPIDEMIOLOGIA: dal punto di vista epidemiologico il fattore IN ASSOLUTO PIÙ IMPORTANTE È LA ESPOSIZIONE ALL'ASBESTO E SUOI DERIVATI, ricordiamo tuttavia che: • ha una diffusione regionale. • Colpisce spesso il sesso maschile.

EZIOPATOGENESI:

come accennato la eziopatogenesi dipende fondamentalmente DALLA INALAZIONE DELLE FIBRE DI ASBESTO, queste fibre hanno una dimensione e un carattere particolari che consente alle stesse di: • raggiungere il parenchima polmonare. • Portarsi in profondità nello stesso. • Evocare una risposta immunitaria, nello specifico evocare una risposta a carattere MONOCITO MACROFAGICO: ◦ i monociti macrofagi non riescono a fagocitare la fibra, troppo grossa. ◦ Si attivano e danno vita alla produzione di citochine e altri fattori importanti dal punto di vista infiammatorio tra cui radicali liberi e proteine lesive. • Si forma un quadro infiammatorio che interessa la pleura in particolare e che provoca reazioni FIBROTICHE come risposta alla incapacità da parte del macrofago di rimuovere il cristallo. Il periodo di latenza è di circa 20­40 anni dalla esposizione alle fibre e la rapidità dipende anche dalla esposizione ad altre sostanze cancerogene che l'asbesto può veicolare, come per esempio il fumo di sigaretta. EVOLUZIONE DELLA MALATTIA: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 4: il mesotelioma la malattia si evolve fondamentalmente in questo modo: • si formano dei noduli di proliferazione che evolvono in modo via via più significativo e tendono a confluire. • I noduli coinvolgono sia la pleura parietale che quella viscerale. • La neoplasia procede per vie ENDOCELOMATICA a tutta la SIEROSA. • Infiltra quindi i connettivi sottosierosi e intrappola il polmone. • Si infiltra infine per contiguità nella parete toracica nel mediastino e nel diaframma fino eventualmente al cavo addominale. • Le metastasi possono essere poi linfatiche o ematiche.

SINTOMATOLOGIA:

la sintomatologia prevede fondamentalmente: • un dolore LOCALIZZATO CONTINUO NON MODIFICATO DALLA POSIZIONE E SOPRATTUTTO RESISTENTE AGLI ANALGESICI. • DISPNEA che peggiora nel tempo: ◦ inizialmente da sforzo. ◦ Quindi anche a riposo. Determinata eventualmente da: ◦ una compressione del polmone dovuta al versamento pleurico. ◦ La costrizione della gabbia toracica. ◦ Il versamento pericardico eventualmente presente.

DIAGNOSI:

la diagnosi è guidata fondamentalmente inizialmente da ANAMNESI E SINTOMATOLOGIA RIFERITA possono contribuire all'esame obiettivo I SEGNI DEL VERSAMENTO. Dal punto di vista pratico ricordiamo sicuramente aspetti di diagnostica per immagini: • RX TORACE. • RC TORACE. Sono molto importanti, ma sicuramente diagnosi a carattere maggiormente invasivo sono necessarie: • toracentesi. • Biopsia pleurica ecoguidata o TC guidata. • Toracoscopia. • Biopsia chirurgica. La valutazione degli eventuali prelievi deve essere eseguita al MICROSCOPIO ELETTRONICO CON IMMUNOISTOCHIMICA al fine di INDIVIDUARE I CRISTALLI DI ASBESTO.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 5: le neoplasie maligne del polmone e adenomi bronchiali

TUMORI BENIGNI DEL POLMONE E ADENOMI BRONCHIALI l'incidenza di una neoplasia benigna rispetto a quella di una neoplasia maligna a livello polmonare è molto molto più bassa: il rapporto è circa di 1 a 100.

LE NEOPLASIE BENIGNE DEL POLMONE:

le neoplasie polmonari benigne possono essere classificate su base ISTOLOGICA fondamentalmente in: • EPITELIALI. • CONNETTIVALI. • NERVOSE. • AMARTOMATOSI. NEOPLASIE EPITELIALI: sono fondamentalmente PAPILLOMI, si tratta di casi estremamente rari: • originano dalle cellule dell'epitelio delle ghiandole bronchiali. • Si localizzano nei grossi bronchi. • Hanno un aspetto POLIPOSO, si gettano nel lume. I papillomi si possono manifestare come DIFFUSI o UNICI: nel primo caso possono essere espressione di papillomatosi tracheobronchiale. NEOPLASIE CONNETTIVALI: possono essere: • lipomi. • Fibromi. • Condromi. • Angiomi. • Miomi. Sono neoformazioni PICCOLE: • rotondeggianti. • Munite di capsula. • Ben delimitate. • Queste neoplasie: ◦ possono svilupparsi nel lume e assumere aspetto polipoide. ◦ Possono localizzarsi in periferia ed avere uno sviluppo EXTRABRONCHIALE come tipico nell'angioma. NEOPLASIE NERVOSE: possono essere: • neurinomi. • Neurofibromi. • Ganglioneuromi. Si localizzano preferenzialmente IN SEDE PERIFERICA spesso SOTTOPLEURICA. AMARTOMI: sono lesioni disontogenetiche formate da TESSUTI REALMENTE PRESENTI NEL POLMONE 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 5: le neoplasie maligne del polmone e adenomi bronchiali MISCHIATI TRA LORO senza nessuna organizzazione di base. Queste masse: • hanno un accrescimento non definito. • Possono dare formazioni nodulari uniche, a volte eventualmente multiple. • Hanno un diametro variabile fino a 5 centimetri. • Sono capsulate e ben circoscritte rispetto ai tessuti vicini. Dal punto di vista istologico: • prevalgono generalmente elementi CARTILAGINEI, si parla di AMARTOMA CONDROMATOSO, tali elementi sono rappresentati in diversi stadi di evoluzione con aree di calcificazione e fenomeni di ossificazione. • Si accompagnano elementi: ◦ epiteliali. ◦ Linfoidi. ◦ Muscolari. ◦ Adiposi. ◦ Fibrosi. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è molto spesso MOLTO TARDIVA e nella stragrande maggioranza dei casi la diagnosi è CASUALE. Anche per le neoplasie benigne la sintomatologia è variabile sulla base della localizzazione: • LOCALIZZAZIONE PERIFERICA si manifestano con sintomatologia TARDIVA E FONDAMENTALMENTE DA DOLORE TORACICO per compressione della pleura e delle strutture vicine. • LOCALIZZAZIONE ENDOBRONCHIALE dove la neoplasia si manifesta con: ◦ fase PREOSTRUTTIVA generalmente asintomatica, si può manifestare con: ▪ tosse irritativa. ▪ Emoftoe. ◦ fase OSTRUTTIVA caratterizzata da: ▪ atelettasia con tosse produttiva. ▪ Broncopolmoniti recidivanti. Se il bronco ostruito è particolarmente grande, possiamo avere una dispnea. ◦ ATELETTASIA DI LUNGA DURATA che si caratterizza per una ostruzione periferica prolungata molto importante che provoca fondamentalmente la FIBROSI E MORTE DEL TESSUTO. DIAGNOSI: la diagnosi di neoplasia del polmone si pone generalmente sulla base di un sospetto clinico e quindi su una ANAMENSI che può però anche presentarsi inconcludente. Dal punto di vista pratico possiamo dire che la diagnosi può essere eseguita tramite: • RX TORACE che dimostra la presenza di OPACITÀ OMOGENEE E A MARGINI NETTI. • BRONCOSCOPIA caratterizzata da: ◦ forme a sviluppo endobronchiale che possono essere valutare con esame bioptico. ◦ Forme a sviluppo periferico che invece sono difficili da raggiungere in termini broncoscopici. • BIOPSIA TRANSPARIETALE, TORACSCOPICA O TORACOTOMICA quando 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 5: le neoplasie maligne del polmone e adenomi bronchiali necessario. TRATTAMENTO: si tratta di NEOPLASIE BENIGNE che, al contrario degli adenomi polmonari, non tendono in nessun modo a dare metastasi, il trattamento viene ipotizzato quindi SOLO NEL MOMENTO IN CUI LA FORMA ASSUMA CARATTERE CLINICAMENTE RILEVANTE. Si esegue la rimozione: • per neoplasie INTRABRONCHIALI tramite broncoscopia, sono molto rare le complicazioni e le eventuali recidive. • Per neoplasie a SEDE PERIFERICA si esegue EXERESI CHIRURGICA generalmente al fine di analizzare il nodulo in termini istologici.

GLI ADENOMI BRONCHIALI:

gli adenomi bronchiali sono tumori ad istologia molto differente tra loro ma caratterizzati dalla caratteristica comune di poter dare fenomeni di METASTASI seppur tardivamente e mantenendo un aspetto morfologico, macroscopico e microscopico, di neoplasia benigna. Nel complesso sotto questo nome citiamo: • carcinoide. • Cilindroma, tumore di origine delle ghiandole tubulo acinose della mucosa della trachea o dei grossi bronchi. • Mucoepidermoide. CARCINOIDE: si tratta della classe più importante di adenoma bronchiale, acconta circa per il 90% dei casi: si tratta di cellule ad attività NEUROENDOCRINA ma che non contengono, al contrario di quanto avviene in altre sedi, IDROSSITRIPATMINA E DI CONSEGUENZA DANNO QUEI RASH CUTANEI tipici dei carcinoidi intestinali. Complessivamente distinguiamo due tipi di carcinoide: • TIPICO: centrale e riccamente vascolarizzato. Ha un aspetto rosso acceso e alla biopsia da dei sanguinamenti importanti. • ATIPICO: periferico, presenta un tasso di crescita maggiore e ha una crescita infiltrante in alcuni casi. Analogamente a quanto detto per il cancro del polmone, anche il carcinoide viene eliminato chirurgicamente.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 6: il timoma

IL TIMOMA Il TIMO è un organo fondamentale nella età giovanile per la produzione delle cellule T come noto, questo organo va fisiologicamente incontro ad una atrofizzazione nel corso degli anni fino a divenire fondamentalmente molto piccolo e non funzinante. Le neoplasie che possono interessare il timo sono molto varie: • TIMOMA NON INVASIVO che può essere: ◦ a predominanza epiteliale. ◦ A predominanza linfocitica. ◦ Di tipo spindle cell. ◦ Misto di tipo quindi linfoepiteliale. Questo tumore NON INFILTRA LA CAPSULA TIMICA. • TIMOMA INVASIVO che può invece caratterizzarsi per la presenza di: ◦ predominanza epiteliale ◦ predominanza linfocitica ◦ carattere linfoepiteliale misto. Questo tumore INFILTRA LA CAPSULA TIMICA anche se mantiene i caratteri citologici di benignità (possono esserci delle atipie cellulari epiteliali nel 3% dei casi). Dal punto di vista pratico possiamo dire che questo tipo di neoplasia: ◦ può infiltrare una volta attraversata la capsula l'adipe che circonda il timo, i grossi vasi, la pleura parietale e il polmone. ◦ Possono dare delle metastasi: ▪ encocelomatiche alla pleura. ▪ Ematiche a ossa, fegato, reni e cervello. • CARCINOMA TIMICO, neoplasia propriamente maligna dal punto di vista citologico, che può presentare ALTA o BASSA malignità. • TUMORI DI ORIGINE NEUROENDOCRINA che possono invece essere: ◦ CARCINOIDI. ◦ TUMORI A PICCOLE CELLULE. EPIDMEIOLOGIA: si tratta di una neoplasia che interessa le persone sopra i 40 anni e nel 40% dei casi pazienti tra la quinta e la settima decade. Ricordiamo che: • presenta uguale distribuzione tra maschi e femmine. • Raramente coinvolge i bambini. Si sviluppa generalmente NELLA PARTE ANTERIORE DEL MEDIASTINO in modo ASIMMETRICO anche se può interessare eventualmente anche altre sedi del torace o del collo (5% dei casi).

SINTOMATOLOGIA:

questa patologia si PRESENTA ANCHE NEL 50­60% DEI CASI ASINTOMATICA, quando si manifesta con dei sintomi può presentarsi come: • FORMA ASPECIFICA caratterizzata da dolore vago e tosse. • SINDROME MEDIASTINICA caratterizzata da: ◦ ostruzione della vena cava. ◦ Infiltrazione del nervo frenico. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 6: il timoma ◦ Infiltrazione del nervo ricorrente. • SINDROMI PARATIMICHE quali: ◦ miastenia che si manifesta nel 30% dei pazienti, non è indicativa di prognosi. ◦ Ipogammglobulinemia che interessa invece il 10% dei pazienti, è un elemento SFAVOREVOLE per la prognosi. ◦ Anemia da soppressione dell'eritrogenesi. ◦ Forme rare di tipo autoimmune. LA STADIAZIONE: può essere molto importante dal punto di vista clinico:

STADIAZIONE DEL TIMOMA STADIO STADIO 1A STADIO 1B STADIO 2 STADIO 3A STADIO 3B STADIO 4A STADIO 4B

CARATTERE tumore incapsulato tumore incapsulato con aderenze tumore invasivo completamente resecato tumore invasivo con resezione completa tumore invasivo alla biopsia adenopatia sovraclaveare con impianti pleurici metastasi a distanza

METASTASI INFILTRAZIONE

presente presente presente presente

DIAGNOSI: la diagnosi viene posta fondamentalmente grazie a: • anamensi. • Radiografia del torace che dimostra: ◦ una alterazione unilaterale del profilo del mediastino. ◦ Una opacità importante che occupa il mediastino anteriore generalmente. ◦ L'allargamento del profilo mediastinico può mimare un allargamento dell'ombra cardiaca. ◦ Massa disomogena a causa di formazioni cistiche ed emorragiche. • TC del torace, si tratta di una diagnostica più raffinata, nello specifico si esegue se: ◦ il quadro è sospetto su base clinica ma non evidenziato dalla radiografia del torace. ◦ Si intende studiare con maggiore precisione la eventuale infiltrazione. ◦ Si intende valutare una miastenia registrata a livello clinico. • Risonanza magnetica.

TRATTAMENTO:

il trattamento prevede fondamentalmente: • ASPORTAZIONE CHIRURGICA DEL TIMO. • RADIOTERAPIA E CHIMIOTERAPIA.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 7: emottisi

EMOTTISI con il termine EMOTTISI si indica LA EMISSIONE DI SANGUE CON LA TOSSE o la presenza di UN ESPETTORATO STRIATO DI SANGUE A PARTENZA DELL'ALBERO BRONCHIALE. EPIDEMIOLOGIA: si tratta di un sintomo abbastanza comune: • si registra circa nel 7% delle visite ambulatoriali di pneumologia. • Determina circa il 10% dei ricoveri per patologia polmonare. • Si associa al 38% degli interventi di chirurgia toracica. Le forme MASSIVE gravi e anche potenzialmente mortali, sono rare e interessano circa il 5­ 6% di tutti i pazienti affetti da emottisi. EMOTTISI IATROGENA: la emottisi iatrogena può essere associata a procedure piuttosto invasive quali: • broncoscopia soprattutto se associata a: ◦ biopsia. ◦ Agoaspirazione transparenchimale o transtracheale. ◦ Posizionamento di un catetere di swan ganz. • Terapia anticoagulante. • Resezione polmonare.

DEFINIZIONE DEL QUADRO CLINICO:

dal punto di vista clinico distinguiamo due tipi di emottisi: • NORMALE inferiore ai 100cc nelle 24 ore. • MAGGIORE quando supera i 100­200 cc nelle 24 ore. • DISSANGUANTE quando l'emorragia raggiunge i 1000cc con un ritmo di emissione di 150cc all'ora. Una emottisi massiva, maggiore o dissanguante, può essere determinata da diverse cause molto importanti: • tubercolosi attiva polmonare ed infettiva. • Bronchectasie. • Carcinoma broncogeno. • Ascesso polmonare. • Micetoma. Tubercolosi polmonare, bronchectasie e carcinomi broncogeni rappresentano complessivamente l'80% delle cause di emottisi.

PATOGENESI:

la patogenesi può essere relativa a: • CIRCOLO POLMONARE che presenta come noto una pressione di perfusione bassa. • CIRCOLO BRONCHIALE che presenta invece una normale pressione arteriosa e una venosa. LA TUBERCOLOSI: frequente causa di emottisi come accennato, la tubercolosi provoca questo tipo di quadri nel momento in cui sia in grado di dare delle LESIONI CAVITARIE IMPORTANTI. L'origine della emorragia in questo caso può essere sia di competenza del circolo bronchiale che del 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 7: emottisi circolo polmonare o di altra natura. La sede delle lesioni cavitarie può essere molto differente: • lobo superiore destro nella maggior parte dei casi. • Localizzazioni plurime ai due polmoni. • Localizzazioni monolobulari superiori sinistre. • Localizzazioni segmentarie basali dei due lati. ORIGINE DELLA EMORRAGIA l'origine della emorragia può interessare tre fasi fondamentalmente: • ORIGINE SISTEMICA: ◦ persiste una situazione di flogosi cronica con alternanza di fenomeni di: ▪ degenerazione. ▪ Riparazione. ◦ Se questi si evolvono fino ad interessare la parete dei vasi neoformatisi si formano emorragie anche cospicue. • Origine polmonare dovuti al fatto che: ◦ la lesione polmonare forma sicuramente delle caverne e delle lesioni che possono indebolire oltre al parenchima la parete del vaso polmonare. ◦ Il vaso va incontro alla formazione di un ANEURISMA DI RASMUSSEN che può eventualmente ROMPERSI NELLA CAVERNA essendo beante. • Erosione localizzata della PARETE BRONCHIALE che FISTOLIZZA formando un canale di comunicazione con vasi presenti in sede. LE BRONCHIECTASIE: sono dilatazioni irrevesibili di una parte dell'apparato bronchiale frequentemente esito di infezioni polmonari importanti. Si tratta di sedi che spesso possono divenire sede di processi patologici, in particolare: • si presentano spesso ascessuate. • Sono di regola basali. • Si formano più frequentemente nel polmone di sinistra. Le bronchiectasie possono essere: • PRIMITIVE ad eziologia ignota o raramente congenite. • SECONDARIE determinate da infezioni recidivanti molto spesso. Si caratterizzano per una organizzazione vascolare ALTERATA dove si possono avere ANASTOMOSI TRA CIRCOLI POLMONARE E BRONCHIALE a livello NON VENOSO, come ci si attende normalmente, MA ARTERIOSO: questa alterazione determina un incremento della probabilità di sanguinamento. IL CANCRO DEL POLMONE: dal punto di vista eziologico la emottisi può essere determinata da cause differenti e presentarsi in modo lievemente differente: • EMOFTOE che è determinata da lesioni degenerative della massa in fase di proliferazione con focolai di necrosi e alterazioni della architettura vasale. • EMOTTISI MASSIVA determinata nelle fasi avanzate dalla invasione da parte delle strutture neoplastiche dei grossi vasi dell'albero bronchiale o polmonare.

PROGNOSI:

la prognosi per questo tipo di patologia è molto variabile nei diversi casi, nello specifico possiamo dire che dipende da fattori quali: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 7: emottisi ENTITÀ del sanguinamento. CONDIZIONI GENERALI DEL PAZIENTE. TIPO DI PATOLOGIA responsabile del sanguinamento: abbiamo una maggiore mortalità nelle emottisi provocate ovviamente da cancro del polmone. • POSITIVITÀ ANAMNESTICA PER PREGRESSI EPISODI che indica una patologia a carattere cronico con tendenza, però, alla guarigione spontanea. Nella maggior parte dei casi il paziente muore per SOFFOCAMENTO in ogni caso RARAMENTE A CAUSA DELLA EMORRAGIA. • • •

DIAGNOSI:

la diagnosi può essere: • CLINICA dove si osserva il sangue emesso, nello specifico si valutano: ◦ emissione con la tosse. ◦ Presenza di schiuma. ◦ Presenza di sangue rosso vivo. L'espettorato può poi essere commisto a muco e pus e contenere effettivamente microorganismi e cellule bianche. È importante riuscire a distinguere tra una emottisi e patologie emorragiche a provenienza gastroduodenale, dove il sangue è generalmente digerito e frammisto ad alimenti, o a provenienza laringo faringea. • STRUMENTALE: ◦ radiografia del torace che deve essere eseguita nelle due proiezioni anteriore e laterale, dimostra nel 50% dei casi la sede del sanguinamento. ◦ Tomografia computerizzata, molto più sensibile individua la sede del sanguinamento nel 90% dei casi, si esegue solo per pazienti sensibilizzati. ◦ Broncoscopia con strumento flessibile eseguibile nel corso delle prime 24 ore per ottenere un risultato significativo. ◦ Broncoscopia con strumento rigido che si esegue invece per sanguinamenti molto cospicui.

TERAPIA:

prevede l'utilizzo di: • TRATTAMENTI GENERALI che sicuramente prevedono: ◦ allettamento del paziente e riposo, preferibilmente con decubito sul lato malato. ◦ Utilizzo di ossigenoterapia, antitossigeni e coagulanti se necessario. ◦ Mantenimento, come accennato essenziale, DI ABC: ▪ AIRWAY. ▪ BREATHING. ▪ CIRCULATION. • TRATTAMENTO CAUTERIZZANTE BRONCOSCOPICO. • TRATTAMENTO CHIRUGICO.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 8: empiema pleurico

EMPIEMA PLEURICO: con il termine EMPIEMA PLEURICO si indica la presenza di MATERIALE PURULENTO NEL CAVO PLEURICO. Come noto si tratta di patologie ad eziologia batterica determiante da cocchi piogeni, nello specifico: • BATTERI AEROBI: ◦ GRAM POSITIVI: ▪ pneumococco molto comune. ▪ staffilococco aureo, molto comune nei bambini, meno negli adulti. ◦ GRAM NEGATIVI: ▪ escherichia coli. ▪ pseudomonas aeruginosa. • BATTERI ANAEROBI molto spesso coinvolti

PATOGENESI:

l'empiema può essere definito come: • PRIMITIVO cioè di formazione direttamente pleurica. • SECONDARIO cioè proveniente da altri focolai infettivi, è a sua volta definibile come di provenienza: ◦ diretta. ◦ Linfatica. ◦ Ematica.

PRESENTAZIONE CLINICA DELLA MALATTIA:

l'empiema pleurico si manifesta principalmente con due sintomi evidenti: • DOLORE IMPORTANTE ALL'EMITORACE INTERESSATO. • FEBBRE ALTA spesso inizialmente setticopiemica, poi continua. Il quadro radiografico è piuttosto generico e indica, ovviamente LA PRESENZA DI UNA OPACITÀ IMPORTANTE. OBIETTIVITÀ: l'obiettività di una patologia di questo tipo può interessare fondamentalmente: • ISPEZIONE dove si potrà registrare una eventuale asimmetria di espansione. • PALPAZIONE dove si potrà registrare un fremito vocale tattile ridotto. • PERCUSSIONE dove si potrà registrare una ottusità. • ASCOLTAZIONE dove non potremo percepire alcun murmure. QUADRO RADIOLOGICO: la scelta migliore è quella di eseguire, una volta osservata la radiografia e il quadro clinico, una TC, questa dimostrerà eventualmente la presenza di: • un addensamento polmonare evidente. • Un eventuale pachipleurite pleurica cioè un ispessimento della parete delle due pleure. • La presenza di liquido purulento che appare in questo caso di colore grigiastro. La TC consente di escludere una atelettasia in quanto si può evidenziare la presenza di una pervietà delle strutture bronchiali: normalmente a seguito di una ostruzione atelettasica il bronco viene ad essere svuotato dell'aria al suo interno e di conseguenza risulta vuoto. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 8: empiema pleurico

TC di un empiema pleurico, si notano molto bene le raccolte saccate presenti nel polmone sinistro accompagnate da riduzione del volume dell'emitorace e ispessimento pleurico.

immagine tratta da wikipedia

STADI DELL'EMPIEMA: l'empiema tende normalmente ad evolvere attraverso quattro stadi fondamentalmente, nello specifico: • STADIO I: è presente un essudato determinato da una aumentata permeabilità pleurica. ◦ Corrisponde ai versamenti parapneumonici non complicati ed è inizialmente sterile. ◦ Inizia con un blando deposito di fibrina sulle superfici pleuriche. • STADIO II: inizia l'infezione vera e propria e la definizione diviene non tanto clinica quanto laboratoristica. Si definisce lo stadio secondo come lo stadio in cui: ◦ i globuli bianchi sono maggiori a 500 cellule per millilitro. ◦ Il peso specifico è superiore a 1018kg/m3. ◦ il livello di proteine è maggiore a 2­5 g/dl. ◦ pH inferiore a 7,2. ◦ la LDH supera le 1000 unità per litro. In questa fase il deposito di fibrina sulle superfici pleuriche è molto aumentato. • STADIO III che si sviluppa generalmente dopo sette giorni, ma in alcuni casi anche dopo 2­3 giorni se la patologie procede rapidamente. Nel complesso: ◦ i globuli bianchi salgono oltre i 15.000 per microlitro. ◦ Il pH scende sotto a 7. ◦ il glucosio scende al di sotto di 50mg/dl. ◦ La LDH aumenta sopra le 1000 ui/l. I depositi di fibrina cominciano ad inficiare la mobilità polmonare sottostante e fondamentalmente le pleure diventano, dopo 2­3 settimane, un vero e proprio deposito di FIBRINA, un cotenna. ◦ Il versamento è francamente purulento. ◦ Il 75% è composto di cellule. • FASE IV o della CRONICIZZAZIONE, se la situazione non si risolve: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 8: empiema pleurico ◦ fibrosi intensa. ◦ Contrazione ed intrappolamento del polmone. ◦ Atelettasia. ◦ Infezione polmonare prolungata. ◦ Riduzione delle dimensioni dell'emitorace. L'ESPANSIONE DELL'EMPIEMA: l'empiema tende spontaneamente a portarsi verso regioni limitrofe al polmone: • verso la parete toracica. • Verso il polmone e i bronchi. • Verso il pericardio e il mediastino. L'EVOLUZIONE DOPO IL QUARTO STADIO: l'evoluzione dell'empiema dal quarto stadio può seguire DUE STRADE: • EVOLUZIONE IN GUARIGIONE, la guarigione del processo suppurativo può avvenire in modo più o meno buono, si possono avere: ◦ pachipleurite e spessa cotenna formata da tessuto connettivale. ◦ Retrazione polmonare. ◦ Bronchectasie. ◦ Retrazione della parete toracica. ◦ Restititutio ad integrum. • EVOLUZIONE IN CRONICIZZAZIONE dove: ◦ il processo suppurativo permane. ◦ Viene meno la espansione del polmone. A sinistra una pleura fibrosa e calcifica a seguito di un empiema, a destra limmagine radiografica di un fibrotorace conseguenza di un empiema importante.

immagine tratta da wikipedia immagine tratta da wikipedia

COMPLICAZIONI, SINTOMI E DIAGNOSI DIFFERENZIALE: le complicazioni possono essere: • ACUTE legate alla formazione di sepsi o alla insufficienza respiratoria. La sintomatologia caratteristica interessa: ◦ febbre. ◦ Dispnea. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 8: empiema pleurico ◦ Tosse. ◦ Dolore toracico. ◦ Stato ipossico fino eventualmente alla confusione mentale, ansia, tachicardia e dispnea. • CRONICHE legate ai processi di cicatrizzazione o di cronicizzazione della malattia, eventualmente la sua FISTOLIZZAZIONE: ◦ con la parete toracica. ◦ Con i bronchi principali. ◦ Con il pericardio. ◦ Mediastiniti con apertura della raccolta nel mediastino. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: la diagnosi differenziale riguarda fondamentalmente due aspetti: • DISCRIMINARE TRA BRONCOPOLMONITE ED EMPIEMA: la sintomatologia è fondamentalmente la stessa, la presenza di: ◦ un quadro infettivo prolungato nel tempo. ◦ Una febbre suppurativa. ◦ Un peggioramento della condizione del paziente. Induce a sospettare la presenza di un empiema. • DISCRIMINARE TRA BATTERI AEROBI ED ANEROBI, nello specifico ricordiamo che: ◦ batteri AEROBI danno sintomatologie acute, improvvise con febbre, dolore toracico, espettorato e leucocitosi. ◦ Batteri ANEROBI danno un quadro MENO EVIDENTE che può portare alla ricerca del medico anche 10 giorni dopo l'inizio del processo che è anche più lento.

DIAGNOSI:

la diagnosi può essere: • CLINICA tramite ovviamente segni e sintomi descritti e l'obiettività che l'empiema, come massa interposta tra la parete toracica e il polmone, presenta. • ANALISI DEL VERSAMENTO LIBERO O SACCATO tramite toracentesi quindi. • RX DEL TORACE. • TC DEL TORACE. • ECOGRAFIA. ANALISI DEL LIQUIDO DRENATO TRAMITE TORACENTESI: il liquido saccato o meno che sia viene ad essere analizzato: • la presenza di un liquido francamente purulento ma che sia eventualmente negativo alla coltura non deve far pensare che non si tratti di un empiema, la negatività è infatti nella stragrande maggioranza dei casi dovuta ad errori procedurali o alla negatività del campione specificamente scelto. • Un liquido limpido ma che analizzato evidenzia una cellularità positiva per polimorfonucleati è un liquido purulento.

TRATTAMENTO:

il trattamento prevede fondamentalmente: • controllo della infezione primitiva. • Evacuazione del materiale infetto. • Eliminazione del cavo pleurico con riespansione del polmone. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 8: empiema pleurico • Eliminazione delle complicazioni e della cronicizzazione. Dal punto di vista pratico si possono eseguire: • broncoscopia a scopo di drenaggio. • Toracentesi, spesso eseguita sotto guida ecografica al fine di individuare e tracciare tutte le raccolte saccate presenti, la metodica è schematicamente rappresentata nell'immagine. • Toracostomia, questa pratica è indicata nel momento in cui: ◦ il liquido alla toracentesi sia francamente purulento. ◦ Il batterio sia gram positivo. ◦ Il pH del liquido sia inferiore a 7,2. ◦ vi sia un rapido accumularsi di liquido dopo la toracentesi. ◦ Lo stato del paziente sia compromesso, tossico o di SIRS. • Toracostomia accompagnata alla somministrazione di urochinasi utilissima nello sciogliere i depositi di fibrina. • Sbrigliamento in VATS o video assisted thoracoscopic surgery. • Pleurectomia con decortazione.

TERAPIA ANTIBIOTICA EMPIRICA: è indispensabile iniziare una terapia antibiotica il più precocemente possibile, è indispensabile quindi per prima cosa chiedere il risultato di una colorazione di gram e scegliere l'antibiotico più adatto per il caso specifico.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 9: lo pneumotorace

LO PNEUMOTORACE lo pneumotorace è UNA RACCOLTA DI ARIA NEL CAVO PLEURICO che determina un COLLASSO POLMONARE e dovuta ad una soluzione di continuo della pleura viscerale o parietale, con collasso parziale o totale del polmone verso l'ilo. Lo pneumotorace può essere: • SPONTANEO cioè determinato senza una causa traumatica vera e propria: ◦ primitivo o semplice, in questo caso: ▪ non è presente una causa clinica evidente. ▪ È dovuto alla rottura di BLEBS bolle di aria che si formano sulla superficie della pleura viscerale che provoca la soluzione di continuo. Colpisce individui maschi nella adolescenza tarda o inizio dell'età adulta, spesso molto longilinei. ◦ Secondario dovuto alla ROTTURA DELLA PLEURA per lesioni POLMONARI NOTE quali: ▪ bolle enfisematose. ▪ Caverne tubercolari. ▪ Ascessi. ▪ Asma. ▪ Cancro del polmone. ▪ Cisti aeree. ▪ Rottura spontanea dell'esofago. • ACQUISITO che può essere: ◦ IATROGENO che può essere provocato da manovre mediche diagnostiche o terapeutiche, tra le più comuni sicuramente la toracentesi, il posizionamento di un CVC, posizionamento un pacemaker, barotrauma da ventilazione meccanica nei pazienti intubati (la pressione esercitata dal ventilatore può provocare una lacerazione della pleura viscerale), sindrome di Boerhaave cioè la lacerazione dell'esofago per sforzi di vomito molto importanti (la rottura avviene generalmente verso sinistra con passaggio di materiale nel cavo pleurico). ◦ TRAUMATICO dovuto ad un trauma che può essere: ▪ aperto o penetrante: • causato da ferite da arma da fuoco, da arma bianca o tagli profondi. • La lesione è sempre a carico della plaura parietale e può interessare eventualmente anche quella viscerale. ▪ chiuso: • causato generalmente da CADUTE DALL'ALTO o INCIDENTI AUTOMOBILISTICI o INCIDENTI SPORTIVI, soprattutto colpi molto forti e rapidi con compressione momentanea possono provocare lo scollamento pleurico. • dovuto fondamentalmente ad un TRAUMA INTERNO determinato da scoppio o dalla azione tagliente di una costa rotta.

FISIOPATOLOGIA:

il processo fisiopatologico prevede fondamentalmente il COLLASSO DEL POLMONE, a 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 9: lo pneumotorace questo collasso seguono eventualmente altri eventi: • SPOSTAMENTO DEL MEDIASTINO CONTROLATERALMENTE determinato dall'improvviso aumento di pressione nella cavità pleurica, questo può provocare: ◦ compressione delle vene cave fino allo shock cardiogeno. ◦ Effetto compressivo sul mediastino controlaterale, in particolare rispetto al polmone. • PNEUMOTORACE APERTO dove al contrario l'aria entra ed esce, in questo caso: ◦ durante la fase inspiratoria il cavo determinato dallo scollamento pleurico si distende. ◦ Durante la fase espiratoria il cavo determinato dallo scollamento pleurico si tende. Si verifica quindi lo SBANDIERAMENTO cioè lo spostamento degli elementi mediastinici dalle due parti a seconda della fase del ciclo respiratorio con conseguente stasi venosa e quindi shock cardiogeno. • PNEUMOTORACE IPERTENSIVO o EFFETTO A VALVOLA che peggiora notevolmente la situazione: l'aria continua ad entrare ma non esce, il flusso verso la cavità pleurica è unidirezionale. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è strettamente correlata ALLA ENTITÀ DEL COLLASSO POLMONARE e alla SITUAZIONE RESPIRATORIA DEL PAZIENTE che spesso evolve in senso peggiorativo. I sintomi principali sono: • dolore pungente improvviso. • Dispnea causata da: ◦ collasso di un polmone. ◦ Compressione dell'altro. • Forte agitazione E SENSO DI MORTE IMMINENTE soprattutto nello pneumotorace ipertensivo. • Cianosi. • OBIETTIVITÀ correlata a: ◦ fremito vocale tattile ridotto o abolito. ◦ Ipertimpanismo alla percussione. ◦ Murmure vescicolare ridotto o abolito. Si possono inoltre presentare: ◦ cianosi e turgore giugulare. ◦ soffio anforico dovuto al passaggio dell'aria dal polmone leso al cavo pleurico che assume grandi dimensioni. ◦ Emitorace ipomobile ed iperespanso con eventuale deviazione della trachea in senso controlaterale se lo pneumotorace è iperteso. ◦ Presenza di ferita soffiante in caso di pneumotorace traumatico da trauma penetrante. ◦ Enfisema sottocutaneo: l'aria si fa strada verso i tessuti e provocare la formazione di bolle sottocutanee. ▪ A volte l'aria arriva fino alle palpebre che sono socchiuse. ▪ Crepitio determinato dalla presenza di questo enfisema. La sintomatologia è molto differente da paziente a paziente: un paziente anziano 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 9: lo pneumotorace chiaramente ha una situazione respiratoria compromessa in modo più significativo; un paziente giovane può anche avere una dispnea solo durante lo sforzo. CAUSA DI MORTE: la causa di morte in questo caso è dovuta ad una INSUFFICIENZA CON SHOCK DETERMINATA DALLA COMPRESSIONE SULLE VENE CAVE DA PARTE DELLO SPOSTAMENTO DEL MEDIASTINO.

DIAGNOSI:

la diagnosi oltre che clinica e basata sugli aspetti sopra descritti può essere anche di tipo strumentale: • RX DEL TORACE che testimonia ovviamente: ◦ la presenza di aria nel cavo pleurico. ◦ Collasso del polmone, totale o parziale. ◦ Sbandamento controlaterale del mediastino. ◦ Abbassamento del diaframma. ◦ Allargamento degli spazi intercostali. ◦ Enfisema sottocutaneo.

PNEUMOTORACE DESTRO: Presenza di aria nel cavo pleurico e collasso polmonare evidenti. Allargamento degli spazi intercostali evidente. Deviazione del mediastino a sinistra e compressione polmonare controlaterali. Indicato dalla freccia si può vedere il polmone collassato, in questo caso il diaframma non risulta compresso in modo evidente.

PNEUMOTORACE DESTRO: La radiografia è presa posteriormente: Presenza di aria nel cavo pleurico e collasso polmonare evidenti. Allargamento degli spazi intercostali presente. Deviazione del mediastino, soprattutto la trachea. Abbassamento evidente del diaframma. immagine tratta da wikipedia

immagine tratta da wikipedia

TC: la TC viene fatta di regola nel paziente traumatizzato importante e anche in presenza di enfisema sottocutaneo che spesso nasconde il profilo del polmone collassato alla radiografia del torace. La TC ha poi altre indicazioni: ◦ allargamento mediastinico da rottura dell'aorta. ◦ Emotorace. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 9: lo pneumotorace ◦ Contusioni del polmone. ◦ Rottura di trachea con aria nel mediastino.

VALUTAZIONE DELLA RADIOGRAFIA DEL TORACE NEL TORACE IPERTENSIVO: possiamo notare in caso di pneumotorace iperteso: • presenza di aria a livello dell'emitorace colpito: manca completamente il reticolo polmonare del polmone schiacciato. • Emidiaframma colpito abbassato. • Spostamento del mediastino, in particolare il cuore tende a spostarsi verso l'emitorace non colpito. • Allargamento degli spazi intercostali. • Incremento di dimensione dell'emitorace colpito.

TRATTAMENTO:

gli obiettivi del trattamento sono fondamentalmente: • evacuazione di aria presente nel cavo pleurico: si esegue generalmente con un ago soprattutto in presenza di pneumotorace iperteso dove lo svuotamento è fondamentale. • Riespansione polmonare. Il trattamento prevede fondamentalmente: • TORACOSTOMIA si inserisce in caso di emergenza un ago o un tubo, di fatto un DRENAGGIO, al fine di consentire lo svuotamento dell'aria, questo può poi essere collegato ad una valvola e consentire la fuoriuscita dell'aria solo in un senso. ◦ Il rischio è in emergenza di colpire il polmone sano ◦ il punto ideale per eseguire il drenaggio è: ▪ al di sopra della linea mammillare nel maschio. ▪ al di sopra della linea sottomammaria nella donna. Lungo la linea ascellare media. • INTERVENTO CHIRURGICO è indicato: ◦ in emergenza. ◦ Nel secondo episodio nel paziente giovane. Nello pneumotorace secondario non c'è indicazione generalmente. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 10: versamenti pleurici

VERSAMENTI PLEURICI si tratta di versamenti liquidi che si interpongono tra pleura parietale e pleura viscerale, i versamenti pleurici possono derivare da: • capillari della pleura parietale e della pleura viscerale. • Dagli spazi interstiziali del polmone. • Dalla cavità peritoneale attraverso piccoli fori presenti nel diaframma. EZIOLOGIA: dal punto di vista patogenetico gli elementi che favoriscono la formazione di versamenti sono due: • AUMENTATA PERMEABILITÀ. • RIDOTTA PRESSIONE ONCOTICA. ESSUDATO ESSUDATIZIO E TRASUDATIZIO: il versamento pleurico può essere definito come: • ESSUDATIZIO caratteristicamente dovuto ad una malattia tissutale e caratterizzato da: ◦ rapporto tra proteine pleuriche e plasmatiche superiore a 0,5. ◦ rapporto tra LDH pleurica e plasmatica superiore a 0,6. • TRASUDATIZIO caratteristicamente dovuto alla reazione di un tessuto sano: ◦ rapporto tra proteine pleuriche e plasmatiche superiore a 0,5. ◦ rapporto tra LDH pleurica e plasmatica superiore a 0,6.

VERSAMENTI NEOPLASTICI:

i versamenti determinati da neoplasie possono presentare carattere: • SIEROSO: questi versamenti sono determinati da una alterazione della attività di drenaggio linfatico che è estremamente importante come noto. • SIEROEMATICO. • EMATICO che possono essere determinati da: ◦ invasione diretta da parte del tumore della pleura. ◦ Sanguinamento diretto da parte del tumore. CARATTERISTICHE CHIMICOFISICHE DEL VERSAMENTO: si tratta ovviamente generalmente di ESSUDATI dotati di: • ricca componente proteica, superiore a 1,5 e anche fino a 8 g/dl. • Alterazione del pH che è minore di 7,3: bassi valori di pH sono indicativi di una prognosi peggiore in quanto indicativi di una perdita della PLEURODESI CHIMICA. • Una piccola quota di versamenti neoplastici, intorno al 5­10%, sono ESSUDATIZI e sono causati da: ◦ ostruzione linfatica superficiale e precoce. ◦ Presenza di una insufficienza cardiaca preesistente. ◦ Atelettasia da ostruzione bronchiale. SINTOMATOLOGIA: • dispnea da sforzo con tendenza all'aggravamento. • Dolore toracico nel momento in cui il versamento sia dovuto all'interessamento diretto da parte del tumore della struttura toracica pleurica. • Esordio in assenza di febbre. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia toracica 10: versamenti pleurici DIAGNOSI: la diagnosi si esegue generalmente tramite: • anamnesi. • Rx torace. • Tc torace. • Toracentesi e toracentesi ecoguidata. • Toracoscopia.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti

L'ISCHEMIA ACUTA DEGLI ARTI: L'ischemia acuta degli arti è una patologia molto frequente, si tratta infatti della principale richiesta di intervento in ambito di chirurgia vascolare e presenta complessivamente una mortalità bruta valutabile intorno al 10­20%. Con il termine ISCHEMIA ACUTA si intende una OSTRUZIONE IMPROVVISA ALLA PROGRESSIONE DEL SANGUE ARTERIOSO a causa della quale LE RICHIESTE METABOLICHE DEI TESSUTI NON VENGONO ADEGUATAMENTE SUPPLITE. A risentire di questo evento principalmente sono: • tessuto muscolare, sicuramente il più rappresentato in periferia. • Tessuto nervoso, estremamente sensibile. • Tegumenti come cute e sottocute. FISIOPATOLOGIA: dal punto di vista fisiopatologico si tratta di un processo di natura ischemica: • La cessazione del flusso ematico provoca l'accumulo di elementi catabolici pericolosi quali: ◦ acidi. ◦ CO2. ◦ Sostanze ISTAMINO SIMILI. Si hanno quindi un aumento della permeabilità capillare e importanti fenomeni di EDEMA INTERSTIZIALE che determina una ulteriore diminuzione del circolo capillare in termini di efficacia della perfusione. • Se il processo non si arresta, il danno cellulare e tissutale procede verso una NECROSI TISSUTALE che nell'ordine interessa: ◦ TESSUTO NERVOSO. ◦ TESSUTO MUSCOLARE. ◦ TESSUTI SOTTOCUTANEI. ◦ TESSUTI OSSEI, anche se molto raramente. MODIFICAZIONI METABOLICHE IN CORSO DI ISCHEMIA: dal punto di vista metabolico un quadro ischemico è simile ad una attività estremamente spinta della struttura muscolare che provoca, come noto: • attivazione di fenomeni di glicolisi anaerobia. • Formazione di elevati livelli di lattato e piruvato, acidi organici. • Netto calo dei livelli di ATP, che viene prodotto in quantità insufficienti (2 molecole contro le 38 derivate dalla glicolisi aerobia). • Accumulo di creatina e perdita dei livelli di creatina fosfato. Se queste alterazioni, come avviene nella ischemia acuta, non si risolvono, si verificano alterazioni strutturali molto importanti: • incrementi dei livelli cellulari di sodio, calcio e cloro. • Calo dei livelli cellulari di potassio. • Edema cellulare e lisi cellulare. La morte delle cellule il quadro necrotico infiammatorio che ne consegue porta alla formazione di un infiltrato polimorfonucleato che incrementa il danno tissutale. Il tessuto si disgrega rapidamente in misura e qualità differenti a seconda della natura del tessuto stesso. MECCANISMI MOLECOLARI DI DANNO CELLULARE IRREVERSIBILE:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti nonostante non sia possibile determinare macroscopicamente quale sia il limite oltre il quale il danno tissutale è irreversibile, sono stati individuati dei meccanismi molecolari capaci di spiegare le alterazioni cellulari osservate microscopicamente: • INGRESSO DI CALCIO NELLA CELLULA che sale da 1*10­7 a 1*10­3. • ATTIVAZIONE DELLE FOSFOLIPASI ENDOGENE che alterano le membrane cellulari. • ATTIVAZIONE DI PROTEASI E IDROLASI INTRACELLULARI che distruggono componenti proteiche intracellulari. • AZIONE DETERGENTE DEI FOSFOLIPIDI DI MEMBRANA DEGRADATI che peggiora la situazione degradando le poche membrane ancora integre. • ULTERIORE INGRESSO DI CALCIO NELLA CELLULA. • PERDITA DI ENZIMI INTRACELLULARI. • RILASCIO DI ENZIMI DIGESTIVI NEL CITOSOL che provoca la degradazione definitiva del tessuto. Le alterazioni microscopiche possono essere riassunte in questo modo: • alterazione del nucleo che può ADDENSARSI e si parla di picnosi, FRAMMENTARSI e si parla di carioressi o SCOMPARIRE e si parla di cariolisi. • Alterazione della membrana cellulare con perdita di componenti specifiche e formazione di blebs, bolle di membrana che rappresentano un indice fortissimo di discontinuità della membrana stessa. • Alterazioni del citoplasma: rigonfiamento mitocondriale, formazione di strutture mieliniche e perdita di organuli citoplasmatici.

EZIOLOGIA:

cause di ischemia acuta degli arti possono essere: • trombosi. • Embolia. • Traumi vascolari. • aneurisma dissecante dell'aorta. • phlegmasia caerulea dolens: patologia che interessa sia il sistema venoso che quello arterioso. EMBOLIE: l'embolo è un corpo estraneo che si colloca nel sistema vascolare e che ostruisce il flusso ematico, nel complesso può presentare origine molto diversa: • EMBOLI DI ORIGINE CARDIACA si verificano soprattutto in caso di: ◦ infarto del miocardio: in questi casi si ha una necrosi del miocardio e di conseguenza la formazione di un trombo dovuto alla coagulazione determinata sia dalla stasi ematica che dal processo di ischemia dell'endocardio. Si verifica soprattutto nel ventricolo sinistro per ragioni emodinamiche. ◦ Endocarditi batteriche: la formazione di vegetazioni nelle valvole cardiache, tipica di questo tipo di infezione, può provocare un distacco di parte della valvola infetta verso la periferia formando un embolo settico. ◦ Fibrillazione artiale: sicuramente si tratta della la causa più comune. La fibrillazione atriale è una ANOMALIA DEL RITMO CARDIACO E DELLA CONTRAZIONE DELLE FIBRE MUSCOLARI CARDIACHE: contrazione irregolare dell'atrio favorisce il ristagno di sangue soprattutto nell'atrio sinistro e di conseguenza la formazione di trombi che da qui possono portarsi al ventricolo e quindi al circolo periferico. Si tratta di un'evenienza MOLTO FREQUENTE: l'approccio terapeutico da tenere 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti in considerazione è quello della cardioversione accompagnata, a seconda del tempo intercorso tra la l'inizio della patologia e il ritorno alla normalità, da una terapia anticoagulante. La mobilizzazione di un embolo presente in sede soprattutto auricolare può essere determinata per esempio da improvvise variazioni del ritmo cardiaco, l'inizio di una terapia con digitale o sforzi fisici. Sede più caratteristica della formazione di emboli cardiaci è sicuramente la regione auricolare dei due atri, soggetta a fenomeni di ristagno ematico molto forte in caso di aritmie cardiache.

EMBOLI DI ORIGINE ARTERIOSA possono scaturire da: ◦ ATEROSCLEROSI: formazione di ateromi che possono, come noto, fissurare ed embolizzare. ◦ ANEURISMI: dilatazioni arteriose superiori al 50% del diametro nativo della arteria. Il flusso diviene in questi casi da laminare a vorticoso e si formano dei trombi PARIETALI caratteristici che che possono dare vita a degli emoboli. • EMBOLI DI ORIGINE VENOSA: raramente un embolo venoso può giungere al circolo arterioso sistemico, può succedere tuttavia che attraverso un forame interatriale aperto, un embolo passi dalla regione venosa a quella arteriosa bypassando il circolo polmonare. • EMBOLI DI ORIGINE IDIOPATICA, a causa ignota. • EMBOLI DI ORIGINE IATROGENA: ◦ frammenti di valvole cardiache sostituite, soprattutto se meccaniche. ◦ Procedure intravascolari chirurgiche o radiodiagnostiche. ◦ Farmaci somministrati in sede ARTERIOSA PER ERRORE: la massa del farmaco, non miscelata adeguatamente in quanto non introdotta nel sistema venoso, si porta in periferia ostruendo il circolo arterioso periferico. La gran parte degli emboli SI PORTA A LIVELLO DELLE ARTERIE DEGLI ARTI INFERIORI raramente a livello degli arti superiori, anche se esistono, naturalmente, fenomeni embolici di ogni parte del corpo. I motivi per cui questi fenomeni si verificano principalmente negli arti inferiori sono: • LA MASSA MUSCOLARE DEGLI ARTI INFERIORI CHE È PIÙ SVILUPPATA E QUINDI NECESSITA DI UN MAGGIORE APPORTO DI SANGUE. • LE STRUTTURE ARTERIOSE CHE IRRORANO GLI ARTI INFERIORI SI SVILUPPANO AL TERMINE DELLA AORTA, di conseguenza è molto più probabile che un trombo arterioso aortico origini a valle del tronco anonimo di destra e delle arterie carotide comune e succlavia di sinistra. Per quanto riguarda i trombi cardiaci la via verso gli arti inferiori è sicuramente più diretta. Dal punto di vista statistico ricordiamo che il 60% degli emboli giunge a livello degli arti inferiori, in particolare: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti • la biforcazione femorale è la sede più comune di occlusione, 44­45%. • la arteria poplitea è una sede di occlusione abbastanza frequente, 14­15%. embolie degli arti superiori sono relativamente rare, 12­13%. Molto spesso, si stima anche in un quarto dei casi, non è possibile risalire alla sede di origine dell'embolo. TROMBI: possono causare trombosi: • alterazioni degenerative della parete arteriosa, sia a carattere ostruttivo che ectasizzante. • Fibrodisplasie: malattie rare che interessano le tonache intima e media delle arterie; colpisce soprattutto la arteria renale provocando una progressiva riduzione del suo lume. Da una angiografia tipicamente a collana di perle. • Malattie infiammatorie delle arterie, soprattutto: ◦ tromboangioite obliterante o morbo di Buerger, si tratta di una arterite autoimmune con infiltrati linfomonocitari e cellule giganti. Nel complesso: ▪ colpisce soprattutto soggetti maschi, giovani sotto i 40 che nel 78% dei casi sono fumatori. ▪ colpisce soprattutto arterie di piccolo e medio calibro sia degli arti superiori che degli arti inferiori. ▪ Comporta spesso, a causa di fenomeni ischemici o subocclusivi: • amputazioni. • Eventi infartuanti in giovane età. ◦ Arterite lupoide, mediata dalla attività di anticorpi antifosfolipidi. ◦ Panarterite nodosa: malattia autoimmune caratterizzata da un infiltrato pleiomorfo (neutrofili, Angiografia di un paziente con morbo di Buerger: eosinofili, linfomonociti). si nota molto bene l'occlusione della femorale • Traumi arteriosi. destra, la femorale sinistra risulta stenotica. immagine tratta da wikipedia • Cause ematologiche come le leucemie. • Cause cardiache come aritmie e scompensi cardiaci che provocano forti rallentamenti del circolo. • Neoplasie maligne e infezioni che immettono in circolo fattori della coagulazione attivi; tra gli eventi che possono provocare questo tipo di processo ricordiamo: ◦ cancro della testa pancreas, del polmone e vie biliari: queste neoplasie favoriscono molto la formazione di trombi arteriosi e venosi. ◦ Sepsi. ◦ mixoma cardiaco: neoplasia benigna rara dei tessuti cardiaci. È possibile classificare le trombosi arteriose anche sulla base dello stato della struttura 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti arteriosa stessa: • trombosi su arterie sane, molto rare. • Trombosi su arterie patologiche: molto più frequenti come si può intuire dalla lunga lista di possibili cause di trombosi. TRAUMI: traumi, soprattutto ossei, possono recidere strutture arteriose, soprattutto nell'arto inferiore. PHLEGMASIA CAERULEA DOLENS: consiste in una trombosi del circolo superficiale e profondo determinata dalla presenza di sostanze emesse secondariamente a neoplasie; nel complesso si hanno: • ostacolo al deflusso venoso determinata dalla presenza di trombi. • Compressione estrinseca: arterie e vene sono poste all'interno di guaine fibrose, con la occlusione della struttura venosa e la sua congestione a monte, la arteria corrispondente risulta compressa. • La stasi venosa provoca, secondariamente, uno spasmo della arteria corrispondente. In questi casi la ischemizzazione non è sempre così forte e l'utilizzo di ANTISPASTICI, CHE HANNO LA FUNZIONE DI RIDURRE LO SPASMO ARTERIOSO, è sufficiente. È importante ricordare in ogni caso che: • l'intervento può presentare natura chirurgica o medica. • È sistematicamente presente una neoplasia a monte di questa sindrome.

LA VALUTAZIONE DEL QUADRO CLINICO:

la gravità del quadro clinico è influenzata da diversi fattori: • NEGATIVI: ◦ presenza dell'embolo in sede. ◦ Presenza di uno spasmo vascolare. ◦ Trombosi secondaria determinata dalla stasi a valle della ostruzione: nei casi più gravi il trombo secondario può raggiungere e occludere anche arterie a valle della ostruzione. • POSITIVI come la presenza di un circolo collaterale che consenta di bypassare l'ostruzione. Di fatto se l'evento occlusivo è preceduto da una lenta evoluzione nel tempo, si formano dei circoli collaterali che, se non occlusi dal trombo secondario, possono supplire almeno parzialmente alla mancata irrorazione dei tessuti. Il complesso della patologia è determinato quindi dalla sommazione di questi fattori.

COMPLICANZE:

le complicanze possibili sono molto diverse: • come accennato in precedenza sicuramente si verifica una ACIDOSI LOCALIZZATA, caratterizzata da un incremento della produzione di idrogeno e potassio nei diversi tessuti. Più prolungata è l'ostruzione, più grave sarà la compromissione tissutale, si aggiungono infatti due fattori importanti: ◦ viene meno la attività della vis a latere per la perdita della funzione muscolare. ◦ Viene meno la vis a tergo in quanto il flusso arterioso scompare. La perdita di queste due forze fondamentali per il ritorno venoso, provoca inevitabilmente un ristagno ematico che favorisce la formazione di un trombo secondario. • Acidosi metabolica: se la causa non viene rimossa e la sede sottoposta allo stress 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti ischemico è sufficientemente grande, si possono verificare dei quadri di acidosi metabolica. • Con la morte cellulare si liberano degli enzimi citoplasmatici, questi possono essere utili a fini diagnostici come la CPK muscolare e l'LDH, meno specifica, MA POSSONO, COME LA MIOGLOBINA, PROVOCARE DANNI MOLTO GRAVI. La MIOGLOBINA liberata per lisi del muscolo giunge a livello dei tubuli renali e da vita anzitutto ad una OLIGURIA E QUINDI AD UNA INSUFFICIENZA RENALE ACUTA, provocando un aumento della potassiemia e della acidosi. • IPERCALIEMIA provocata da: ◦ necrosi tissutale. ◦ Acidosi metabolica. Può provocare una FIBRILLAZIONE ATRIALE e morte improvvisa. Le conseguenze del processo ischemico possono quindi risultare letali.

SINTOMATOLOGIA:

la sintomatologia si riassume nelle “6 p” di Pratt: 1. PAIN, DOLORE. 2. PAIL, PALLORE. 3. PULSELESS, ASSENZA DI POLSI PERIFERICI. 4. PARESTHESIA, PARESTESIA: perdita di sensibilità o alterazione della sensibilità delle fibre nervose sottoposte allo stress ischemico. 5. PARALYSIS, PARALISI, cioè incapacità di muovere l'arto. 6. PROSTRATION, COMPROMISSIONE DELLO STATO GENERALE, nel caso specifico la compromissione infatti interessa tutto l'organismo. Ischemia della regione periferica del piede, si nota molto bene la cianosi delle dita.

immagine tratta da wikipedia immagine tratta da wikipedia

IL QUADRO CLINICO: il quadro clinico si caratterizzerà quindi per: • DOLORE VIOLENTO e PARESTESIE DOLOROSE. • PALLORE DELL'ARTO E CALO DELLA SUA TEMPERATURA. • PARESTESIA FINO ALLA PARALISI. OBIETTIVITÀ: l'esame obiettivo consentirà quindi di rilevare: • ABBASSAMENTO DELLA TEMPERATURA dell'arto. • SCOMPARSA DEI POLSI PERIFERICI: femorale, popliteo, tibiale posteriore e pedideo generalmente, Flittene a livello del piede, non molto dipende poi dalla localizzazione della occlusione. grave, ma ricco di contenuto sieroematico. • COLLABIMENTO DEL CIRCOLO SUPERFICIALE. immagine tratta da wikipedia • FORMAZIONE DI BOLLE A CONTENUTO SIERO EMATICO indice di sofferenza dei tessuti cutanei e sottocutanei, si parla di 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti FLITTENE. La regione ipotermica inizia generalmente 10­15 cm a valle della ostruzione. ESAMI STRUMENTALI: gli esami strumentali possono essere ESTREMAMENTE UTILI nel definire in modo netto il quadro patologico: • doppler e color doppler consentono di determinare con certezza la sede della occlusione. • Angiografia: si ottiene con contrasto diretto o con risonanza e angiotac. Il vantaggio della risonanza e dell'angiotac è il fatto che il contrasto può essere inserito per via endovenosa e di conseguenza in modo meno invasivo. L'angiografia è estremamente utile e il blocco del liquido di contrasto indica la presenza di un trombo. • Elettrocardiogramma: risulta utilissimo nella ricerca di segni di fibrillazione atriale.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE:

se le due principali cause di ischemia acuta degli arti sono embolia e trombosi, sicuramente è molto importante distinguere tra i due casi: • ANAMNESI: ◦ disturbi cardiaci e vascolari sono preditivi di fenomeni di embolia di origine cardiaca o vascolare. ◦ Claudicatio è indice generalmente di una compromissione del circolo a carattere aterosclerotico. ◦ Dolore che risulta: ▪ nella embolia improvviso, l'occlusione infatti non è preceduta da fenomeni di subocclusione. ▪ Nella trombosi più graduale. • ESAME OBIETTIVO: ◦ analisi generale, soprattutto quadri ascoltatori del cuore possono essere molto suggestivi. ◦ Analisi dell'arto controlaterale: si valutano soprattutto i polsi periferici. ▪ Se il sistema cardiocircolatorio è genericamente compromesso con quadri di aterosclerosi, è probabile che più polsi siano alterati e di conseguenza il quadro occlusivo trombotico risulta più probabile. ▪ Se il sistema cardiocircolatorio è invece meno compromesso, i polsi possono essere conservati, ma può essere presente un processo embolico di origine cardiaca. • QUADRO ANGIOGRAFICO: ◦ in caso di EMBOLIA l'arresto del flusso evidenzia una occlusione cupolare con cupola rivolta superiormente. Il quadro risulta meno identificabile se si forma una trombosi secondaria a valle della occlusione chiaramente. L'embolia può presentare anche ostruzione multipla. ◦ In caso di TROMBOSI, il quadro occlusivo risulta meno evidente.

INDICAZIONI TERAPEUTICHE:

fondamentalmente i fronti terapeutici sono due: • la terapia chirurgica è minimamente invasiva. • La terapia medica è unicamente farmacologica. La scelta di uno dei due approcci o la combinazione dei due dipende chiaramente dal 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 1: ischemia acuta degli arti quadro clinico e non solo. TROMBOSI: la combinazione degli approcci medico e chirurgico è fondamentale: • si procede con la somministrazione di trombolitici importanti come : attivatore del plasminogeno, urochinasi o streptochinasi. • Si rimuove chirurgicamente il trombo. EMBOLIA: dal 1964 la tecnica chirurgica di rimozione dell'embolo prevede l'utilizzo del CATETERE DI FOGARTY: tale catetere, formato da un tubicino dotato di palloncino e siringa alle due estremità viene inserito oltre la ostruzione e gonfiato. Con l'estrazione del catetere è possibile rimuovere quindi sia l'embolo, sia il trombo secondario. I vantaggi di questo tipo di approccio sono estremamente importanti: • Il trauma è modesto e richiede unicamente anestesia locale. • L'inserimento del catetere avviene a livello della arteria femorale o della arteria omerale. È fondamentale in ogni caso la PRECOCITÀ DELL'INTERVENTO.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori

ISCHEMIE CRONICHE DEGLI ARTI INFERIORI: Le ischemie croniche sono delle condizioni morbose prolungate nel tempo caratterizzate dalla presenza e formazione di lesioni localizzate nelle arterie che provocano un quadro di compromissione più generalizzato. Dal punto di vista epidemiologico ricordiamo che le lesioni arteriose croniche: • un tempo erano tipiche dell'uomo a causa della abitudine al fumo, ma si allargano epidemiologicamente verso il sesso femminile. • Le ischemie croniche colpiscono soprattutto pazienti dopo la sesta decade. CAUSE: le cause di ischemie a carattere cronico possono essere suddivise in tre grandi categorie: • DEGENERATIVE come la arteriosclerosi, complicazioni possibili di questo tipo di patologia sono: ◦ trombosi, molto comuni, determinate dal flusso turbolento conseguente alla riduzione del lume. ◦ Ulcerazione dell'ateroma. ◦ Emorragia intrateromatica. ◦ Calcificazione dell'ateroma. ◦ Formazione di aneurismi. La aterosclerosi è la causa del 94,3% delle patologie ostruttive croniche degli arti inferiori. Le lesioni aterosclerotiche dell'arto inferiore si dividono classicamente in due distretti di interesse: ◦ AORTO ILIACO ◦ FEMORO POPLITEO TIBIALE • NON DEGENERATIVE O INFIAMMATORIE quali: ◦ morbo di burger o panarterite obliterante: si tratta di una patologia ad eziopatogenesi sconosciuta molto diffusa in maschi giovani e fumatori, soprattutto nel bacino mediterraneo. ◦ Vasculiti: patologie autoimmuni o a sfondo immunitario molto variegate; sono molto rilevanti i quadri che colpiscono le arterie di medio e piccolo calibro in questo caso: ▪ malattia di Kawasaky. ▪ Poliangioite microscopica. ▪ Sindrome di Churg Strauss. • ALTRE CAUSE: ◦ Small aorta syndrome: si tratta di una ipoplasia del tratto terminale della aorta che può interessare anche le iliache comuni. ◦ sindrome da intrappolamento della poplitea, molto rara: si tratta di una sindrome da compressione arteriosa dovuta alla pressione esercitata dalle strutture muscolari e fasciali circostanti. ◦ degenerazione cistica della poplitea: patologia occlusiva determinata dalla formazione di lesioni avventiziali, spesso determinata da politraumatismi di piccolo calibro. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori CLASSIFICAZIONE DEGLI STADI DI ISCHEMIA CRONICA: il quadro della ischemia cronica tende generalmente ad evolvere nel tempo attraverso i quattro stadi di Lariche Fontaine: • I STADIO paziente ASINTOMATICO; in questa fase si possono in ogni caso individuare delle lesioni importanti: ◦ all'esame obiettivo si registra la scomparsa o la alterazione di polsi. ◦ Attraverso esami strumentali come l'ecodoppler è possibile individuare il danno alla struttura vasale. ◦ Angiografia o esami strumentali invasivi, eseguiti per altre ragioni, possono evidenziare quadri di danno. Molto spesso in questi casi il paziente è anziano e non si muove: non sottoponendo a stress l'arto inferiore il paziente non si accorge della malattia. • II STADIO o stadio della CLAUDICATIO: il paziente cammina e, durante lo sforzo fisico, dopo un certo periodo di tempo, accusa un dolore alla regione della gamba, in una o diverse sedi, simile ad un crampo, che lo costringe a fermarsi. In un tempo relativamente breve il dolore sparisce e il paziente riprende a camminare in maniera autonoma. Le caratteristiche e la gravità del secondo stadio vanno determinate quindi: ◦ sulla base della autonomia di marcia: quanto a lungo il paziente può muoversi prima che insorga il dolore. Sulla base della autonomia di marcia distinguiamo quindi claudicatio di tipo: ▪ A se il dolore insorge prima dei 200 metri. ▪ B se il dolore insorge dopo i 200 metri. ◦ Sulla base del tempo di recupero. Al fine di rendere la misurazione più obiettiva possibile, il percorso e le condizioni atmosferiche possono influire in modo notevole sulla autonomia di marcia, viene eseguita una prova con il tapis rulant in piano alla velocità di 6km/h con 20°C di temperatura. LA LOCALIZZAZIONE DEL DOLORE: la localizzazione del dolore può essere indicativa della sede della lesione: ◦ un dolore al piede sarà indicativo di lesioni TIBIALI. ◦ Un dolore al polpaccio sarà indicativo di lesioni FEMORALI. ◦ Un dolore in regione glutea o delle cosce e sarà indicativo di lesioni a livello AORTICO DISTALE O ILIACO. • III STADIO o stadio dei DOLORI A RIPOSO, il dolore del terzo stadio: ◦ si localizza nelle parti più distali dell'arto, alle dita o al tallone. ◦ risulta fondamentalmente NOTTURNO. Il paziente tiene il piede in posizione declive o dorme in poltrona: tenendo il piede a favore di gravità il paziente determina un incremento della pressione locale che favorisce la perfusione e una lieve stasi venosa che stimola l'estrazione di ossigeno dal sangue. • IV STADIO o stadio della presenza di LESIONI TROFICHE: si verificano in questo caso delle vere e proprie necrosi accompagnate da bolle sieroematiche che interessano soprattutto le parti più distali del piede, dita e tallone. CRITICAL LIMB ISCHEMIA: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori quando il quadro ischemico, prolungato nel tempo e in fase ingravescente, diviene critico, si parla di critical limb ischemia. Si definisce una critical limb ischemia se il paziente presenta: • un dolore a riposo che dura da più di 2 settimane e richiede analgesia: questa condizione è di per se sufficiente a determinare la presenza di tale sindrome. • Al quadro descritto si possono aggiungere: ◦ ulcerazioni o gangrena del piede e delle dita. ◦ Pressione sistolica della caviglia inferiore ai 50mmHg: la pressione alla caviglia si misura fondamentalmente con un bracciale posto a livello della gamba e una sonda ecodoppler posta alla parte distale del piede, essenziale ad evidenziare la ripresa del battito. IL FURTO DI SANGUE: una sintomatologia a carattere ischemico si determina in periferia nel momento in cui la pressione di perfusione locale sia tanto bassa da non consentire una adeguata irrorazione tissutale. Concetti fondamentali da prendere in considerazione sono quindi: • RESISTENZA SEGMENTALE cioè la resistenza al flusso che si incontra in quel dato segmento. • PRESSIONE DISTALE cioè la pressione che si colloca a valle della occlusione. La pressione distale è un buon indice per determinare se un tessuto sia o meno adeguatamente perfuso e risulta quantificabile grazie alla applicazione di un bracciale e di una sonda ecografica. La pressione distale dipende, approssimativamente, dalla seguente equazione: Pd = Pa – (Q * R segmentaria) FISIOLOGIA: se il paziente presenta una arteria sana e incrementa la richiesta metabolica periferica a seguito di uno sforzo fisico, si innesca un processo di questo tipo: • Le resistenze calano in modo consistente favorendo il flusso ematico. • Il flusso aumenta in modo considerevole. In questo modo la pressione distale risulta fondamentalmente INVARIATA. PATOLOGIA: se l'arteria risulta parzialmente ostruita, con l'aumento della richiesta metabolica: • il flusso tende ad aumentare, sia nella regione specificamente interessata sia nelle regioni prossimali. • La resistenza resta INEVITABILMENTE ELEVATA: la struttura vasale non può infatti dilatarsi ulteriormente in quanto risulta già abbondantemente dilatata per ragioni patologiche. In una condizione di questo tipo il prodotto Q * Rsegmentaria NON RIMANE COSTANTE o lievemente variato, ma anzi AUMENTA CONSIDEREVOLMENTE. Ad un aumento considerevole della richiesta quindi, aumenta il prodotto Q * R segmentaria, che va a sottrarsi a Pa riducendo notevolmente la PRESSIONE DISTALE. Se la pressione distale scende sotto 20­30mmHg, TUTTI I MECCANISMI DI CONTROLLO DELLA PERFUSIONE RISULTANO INEFFICACI e la PERFUSIONE DIVENTA PROPORZIONALE UNICAMENTE ALLA PRESSIONE: con una pressione di perfusione tanto bassa, il GRADIENTE TRANSCAPILLARE, necessario alla perfusione tissutale, si abbassa intorno ai 10 mmHg e si verifica l'evento ischemico. A questa riduzione della pressione si aggiunge il fatto che i tessuti circostanti, correttamente irrorati, prelevano grandi quantità di sangue riducendo il flusso netto utile alla irrorazione della regione lesa.

ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO:

anamnesi ed esame obiettivo sono fondamentali. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori ANAMNESI: dal punto di vista anamnestico sono molto indicativi: • Fattori di rischio e patologie correlate: è importante cercare di correggere i diversi fattori di rischio modificabili come soprattutto alimentazione, fumo, alcol e vita sedentaria. • Gravità dei sintomi che indice a diversi quadri terapeutici. ESAME OBIETTIVO: l'esame obiettivo può evidenziare alcuni segni particolari: • pallore dell'arto. • Scomparsa di peli e annessi cutanei visibili. • Le unghie diventano giallastre con distrofie ungueali importanti, si parla di ONICOGRIFOSI. • Ulcere. • Gangrene. • Valutazione dei polsi arteriosi che sono in questi casi RIDOTTI O ASSENTI. I polsi da valutare sono sempre: Importante onicogrifosi a livello delle unghie del piede sinistro. ◦ femorale. immagine tratta da wikipedia ◦ Popliteo: apprezzare un polso popliteo particolarmente valido può essere indicativo della presenza di lesioni aneurismatiche o subocclusive. ◦ Tibiale posteriore. ◦ Pedideo. La localizzazione delle alterazioni relative ai polsi arteriosi può essere fortemente indicativa della localizzazione della lesione. • Alla ascoltazione sarà eventualmente possibile determinare la presenza di soffi vascolari di entità più o meno significativa. MANOVRE SPECIFICHE: esistono alcune manovre che possono essere molto utili nella valutazione dello stato del circolo arterioso: • TEST DI BURGER: con paziente in posizione supina si solleva l'arto inferiore e si valuta dopo quanto tempo compare un pallore e di che entità tale pallore sia. In un paziente normale in circa 60 secondi compare un pallore di lieve entità, se il paziente presenta alterazioni della vascolarizzazione arteriosa dell'arto inferiore avremo invece: ◦ impallidimento rapido delle estremità fino eventualmente alla cianosi. ◦ Svuotamento fino alla collasso delle vene dell'arto inferiore che lasciano un solco vuoto sulla gamba del paziente. • VENOUS REFILLING TIME: si svuota l'albero venoso dell'arto del paziente sollevando la gamba a 45° e si valuta quanto tempo intercorre tra l'abbassamento della gamba sotto il livello del cuore e il riempimento dell'albero venoso. In un paziente normale questo tempo è inferiore a 15 secondi, nel paziente arteriopatico, il tempo è molto prolungato. • VALUTAZIONE DELLE PRESSIONI SEGMENTARIE: si tratta di un test di valutazione che consente di valutare la variazione della pressione nei diversi segmenti di cui si 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori

compone l'arteria in esame, nel complesso possiamo dire che se il gradiente pressorio supera i 20mmHg, vi sono delle alterazioni nel tratto interposto tra le due misurazioni. TREADMILL TEST: test che prevede la valutazione della pressione arteriosa alla gamba prima e dopo uno sforzo fisico canonicamente determinato. Nel paziente arteriopatico non si apprezza una riduzione significativa della pressione che sarebbe fondamentale a garantire la irrorazione della regione sotto sforzo. Il termine treadmill indica il tapis ruoland utilizzato.

QUADRI CLINICI:

LA SINDROME DI LERICHE: detta anche sindrome del carrefour aortico, si tratta di una ostruzione cronica della biforcazione aortica ed eziologia aterosclerotica. Si manifesta con: • claudicatio intermittens a carico dei muscoli glutei e della coscia e del polpaccio. • Impotenza erigendi determinata dal calo del flusso ematico al pene. • Alterazione o scomparsa di tutti i polsi dell'arto inferiore. Molto spesso l'irrorazione aortica subisce un netto calo poco al di sotto dell'origine delle arterie renali. LA GANGRENA ISCHEMICA: la gangrena ischemica è una gangrena secca generalmente che interessa nel caso specifico l'estremità dell'arto, soprattutto le dita del piede e il tallone. Si tratta di un quadro abbastanza comune in questi pazienti.

Quadro angiografico di sindrome di Leriche: si nota molto bene la presenza di una ostruzione delle iliache. immagine tratta da wikipedia

INDAGINI STRUMENTALI:

Le indagini strumentali sono fondamentali nella individuazione e nella guida alla correzione di difetti vascolari originati da queste patologie. Le indagini in questione possono essere: • INVASIVE, sono indagini di pertinenza radiografica: ◦ ANGIOGRAFIA: introduzione nell'albero arterioso o venoso di una sostanza radiopaca, questa indagine non è scevra da complicanze che possono andare dalla allergia al mezzo di contrasto alla emorragia alla ischemizzazione. Indagini di questo tipo vengono eseguite quindi solo se strettamente necessario. ◦ ANGIO TAC e ANGIO RMN: rispetto alla angiografia, queste pratiche prevedono la inserzione di un contrasto a livello venoso seguita dalla esecuzione di una TAC o di una RMN. La differenza tra le due tecniche è che la TAC utilizza radiazioni ionizzanti mentre la RMN no: indicazioni per l'una o l'altra tecnica dipendono dal quadro clinico. • NON INVASIVE: ◦ doppler e color doppler sono i due esami principalmente eseguiti: si tratta di indagini ripetibili e assolutamente non pericolose, non utilizzano infatti radiazioni ma ultrasuoni. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori ◦ Oscillografia che registra oscillazioni meccaniche delle strutture vascolari. IL DOPPLER: il doppler è uno strumento che si compone di una sonda che invia e riceve ultrasuoni: la sonda invia delle onde che rimbalzano sull'oggetto cui sono rivolte e tornano indietro. Dal punto di vista pratico ricordiamo che: • La sonda deve essere inclinata tra 35 e 40° rispetto alla cute. • Tra la sonda e la cute si pone del gel. DIVERSE TIPOLOGIE DI DOPPLER: • DOPPLER EV o EMOVELOCIMETRICO: il doppler ci consente di determinare la velocità del flusso ematico. Possiamo dire che l'onda percepita può essere: ◦ TIPICA DI UNA TIPICA ARTERIA: si tratta dell'onda dicrota, si alza velocemente per discendere più lentamente descrivendo una incisura. ◦ ALTERATA: l'onda può risultare, a seconda delle alterazioni del vaso stesso, fortemente diversa dall'onda di una arteria normale. • Eco doppler ci consente di determinare informazioni relative allo stato della parete. • Eco color doppler consente di visualizzare informazioni relative anche al flusso ematico. Indagine di una arteria con ecocolordoppler: oltre all'onda di flusso determinata dalla pulsazione della arteria, si individua molto bene il flusso di colore rosso in quanto, in questo caso, unidirezionale.

immagine tratta da wikipedia

VALUTAZIONE DELL'INDICE CAVIGLIA BRACCIO O ABI (ankle brachial index): si tratta di un indice di valutazione molto utilizzato, si valuta fondamentalmente il rapporto tra la pressione SISTOLICA a livello della gamba e quella SISTOLICA a livello del braccio dove la pressione brachiale è leggermente più bassa generalmente di quella dell'arto inferiore. Tale indice: • fisiologicamente si colloca intorno a 1­1,2. • in soggetti con alterazioni patologiche si abbassa, la pressione dell'arto inferiore infatti, diminuisce. Valori di riferimento sono: ◦ tra 0,5 e 1 si determina la presenza di una alterazione. Nell'ambito della malattia arteriosa possiamo definire: ▪ tra 0,9 e 0,7 una malattia ischemica lieve. ▪ Tra 0,7 e 0,5 una malattia ischemica di media gravità. ◦ Valori al di sotto di 0,5 determinano un fattore prognostico negativo fortissimo e viene richiesto l'aiuto di uno specialista. ◦ Valori al di sopra di 1,3 sono da considerarsi anomali ed associati a patologie arteriose da irrigidimento. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori Questo indice può essere fortemente alterato dalla presenza di una SCLEROSI CALCIFICA DELLA MEDIA o di Monkenberg: in pazienti in cui si sospetti la presenza di questa patologia o in pazienti diabetici, che ne sono molto soggetti, la valutazione dell'ABI non ha non è attendibile. Generalmente l'ABI non viene considerato attendibile per valori sotto 0,4 e superiori a 1,3 proprio per la presenza di alterazioni della parete vascolare

TERAPIA:

in termini generali la terapia prevede: • ISTITUZIONE DI NORME IGIENICHE cioè fondamentalmente correzioni dello stile di vita del paziente: ◦ camminare e fare attività fisica non eccessiva: una attività subliminale rispetto alla claudicatio chiaramente aiuta a creare una serie di circoli collaterali che suppliscono alla insufficienza arteriosa. ◦ Astensione dal fumo. ◦ Dieta congrua accompagnata, ove possibile,da diminuzione del peso corporeo. • FARMACOLOGICA, particolarmente indicata nei pazienti in stadio I e II a sintomatologia ischemica limitata: ◦ riduzione della coagulazione piastrinica generalmente, si utilizzano: ▪ Antiaggreganti piastinici come l'aspirina soprattutto ma anche il clopidrogrel. ▪ Anticoagulanti fondamentalmente quali eparina e cumarinici. ◦ Vasodilatatori come il cilostazolo. ◦ Farmaci che rendono i globuli rossi più elastici, oggi poco utilizzati, sono molto utili nel diabete, si utilizza soprattutto la pentossifillina. ◦ Statine che agiscono sul metabolismo lipidico riducendo fortemente la sintesi endogena di colesterolo. Effetto aggiuntivo di questi farmaci sarebbe quello di indurre una riduzione dello stato infiammatorio della placca aterosclerotica. • RADIOLOGICA, si parla di radiologia interventistica. Nello specifico: ◦ PTA o angioplastica percutanea: si utilizza un catetere che con palloncino gonfiato a pressioni di 14 atmosfere circa che fondamentalmente riduce la placca verso la parete del vaso stesso. ◦ Stenting: spesso medicato oggi con sostanze apposite atte a sfavorire la coagulazione e l'infiammazione, lo stent viene posto nel lume dell'arteria e ne sostiene la parete esercitando una pressione contraria alla ostruzione. Gli stent in metallo sono costituiti di leghe di: ▪ nichel. ▪ Titanio. ▪ Acciaio. Generalmente tinio. Si possono utilizzare tecniche che favoriscono l'inserimento dello stent o la riduzione della placca come laser o simili, si parla di MICROARTERCTOMIA. • CHIRURGICA, si tratta di veri e propri interventi chirurgici specifici come: ◦ TEA: rimozione di lesione tramite tromboendoarteriectomia, si rimuove cioè parte della parete della arteria che comprende l'ostruzione al fine di favorire il flusso ematico. La parete naturalmente non viene eliminata in modo tale da non renderla capace di contenere il flusso. ◦ BYPASS O PONTAGGIO: si utilizza fondamentalmente un tubo che preleva 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 2: ischemia cronica degli arti inferiori sangue a monte della ostruzione e lo porta a valle scavalcando la lesione. Si possono utilizzare nel caso specifico: ▪ tubi biologici come: • vena grande safena, sicuramente la soluzione ottimale: essendo di natura autologa e rivestita di endotelio, non da problemi di rigetto. Essendo il materiale elettivo, spesso non è disponibile in quanto già utilizzata in altre sedi. • Vena ombelicale umana: il cordone ombelicale può essere conservato e denaturato della sua attività antigenica proprio per questi usi. • Arteria carotide bovina, molto utilizzata. • protesi ovina. ▪ tubi sintetici, si utilizzano: • decatron. • PTFE. • Poliuretano. le protesi vascolari sintetiche dovrebbero mimare nel modo migliore possibile la ELASTICITÀ DELLA STRUTTURA ARTERIOSA: la durata nel tempo dovrebbe essere più prolungata il possibile. Le caratteristiche fondamentali sono: • ELASTICITÀ: SI utilizza generalmente un tessuto sintetico pieghettato ottenuto ad alte temperature • RESISTENZA: si inseriscono spesso dei supporti esterni che avvolgono la protesi impedendo che venga schiacciata dalla attività muscolare. ◦ INNESTO: sostituzione di un tratto arterioso alterato con un tratto sano, si esegue fondamentalmente con gli stessi mezzi di un bypass e spesso si utilizzano protesi sintetiche pieghettate. L'indicazione all'intervento chirurgico è riservata a lesioni estese. Per quanto riguarda le suture, queste vengono sempre eseguite con aghi delle stesse dimensioni del filo al fine di impedire la formazione di lesioni aperte sulla parete della arteria.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale

GLI ANEURISMI DELLA AORTA ADDOMINALE gli aneurismi sono delle patologie nelle quali, sotto la pressione del sangue, una arteria si dilata fino a raggiungere un diametro superiore del 50% del diametro originale. Da patologie di questo tipo possono scaturire delle complicanze potenzialmente mortali quali: • rottura dell'aneurisma. • Trombosi. Sicuramente l'aneurisma della aorta addominale è il caso più comune. Si tratta di una patologia: • frequente, la maggior parte degli aneurismi si verifica proprio in sede addominale sottorenale: la percentuale di rilievo autoptico di aneurisma aortico addominale va dall'1,8 al 6%, • Spessissimo silente fino alla emersione della complicanza frequentemente mortale. • Scoperta speso a seguito di indagini radiologiche dell'addome: soprattutto indagini ecografiche addominali o rx addominali.

DEFINIZIONE:

l'aneurisma è una dilatazione permanente di una arteria che aumenti di almeno il 50% il suo diametro origina. Se il diametro normale della aorta addominale è di 1,7­2,4 cm si parla di aneurisma della aorta addominale quando il diametro supera i 3­3,5cm. Distinguiamo inoltre due tipologie di aneurisma: • ANEURISMA VERO quando si mantiene la struttura istologica della arteria. • PSEUDOANEURISMA O ANEURISMA SPURIO quando la struttura della parete muta radicalmente. Molto spesso l'eziologia è traumatica e la parete è compromessa dal danno ricevuto dall'esterno.

EPIDEMIOLOGIA:

dal punto di vista epidemiologico ricordiamo che: • l'incidenza incrementa ovviamente con l'età. • L'incidenza è maggiore nei maschi che nelle femmine. I fattori di rischio associati a questa patologia sono: • ARTERIOPATIE a carattere soprattutto obliterante ma non solo. • FUMO sicuramente strettamente associato. • IPERTENSIONE. • FAMILIARITÀ: estremamente importante, il rischio incrementa di circa 11,6 volte per parentela di primo grado. Gli aneurismi a carattere familiare colpiscono: ◦ pazienti giovani generalmente. ◦ Molto spesso donne, al contrario di quanto si registra invece a livello generale.

STRUTTURA DELL'ANEURISMA:

l'aneurisma nel suo complesso può presentare forma: • FUSIFORME molto spesso, sicuramente si tratta della conformazione più comune: interessa tutta la TC scan di un aneurisma della

aorta addominale: l'aneurisma è sottorenale. immagine tratta da wikipedia

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale circonferenza della arteria. • SACCIFORME più raro, spesso ad eziologia traumatica con indebolimento circoscritto della parete. Il 90% di questi aneurismi è situato AL DI SOTTO DELLA ARTERIA RENALE, solo il 10% colpisce anche la aorta soprarenale: questo aspetto è estremamente IMPORTANTE DAL PUNTO DI VISTA CHIRURGICO dove la irrorazione renale deve essere mantenuta in modo continuo. Un aneurisma può poi essere: • juxtarenale in prossimità della arteria renale, poco al di sotto. • Soprarenale, al di sopra della diramazione renale. • Sottorenali al si dotto della diramazione renale. la dilatazione della arteria può interessare solo l'aorta, o allargarsi alle arterie iliache in modo diffuso o parziale.

EZIOPATOGENESI:

le patologie comunemente associate alla formazione di aneurismi sono sicuramente patologie a carattere: • DEGENERATIVO che danno aneurismi non specificamente localizzati. • DA MALATTIE CONGENITE soprattutto malattie del collagene come la sindrome di Marfan e la sindrome di Ehler Danlos. • MICOTICO sono aneurismi di natura INFETTIVA, non solo provocati da funghi, ma anche da batteri come le salmonelle. • TRAUMATICO: estremamente rari, più frequenti nella aorta toracica che nella aorta addominale. • ANEURISMI INFIAMMATORI: si tratta di quadri poco frequenti ma tragici, intorno alla aorta si sviluppa una forte patologia infiammatoria che porta gli aneurismi ad inglobare ureteri e duodeno. Questi quadri si associano a: ◦ febbre. ◦ Insufficienza renale da strozzamento dell'uretere. ANEURISMI A CARATTERE DEGENERATIVO: comunissimi, spesso dovuti ad aterosclerosi. Notiamo sicuramente: • riduzione della parete in termini di spessore. • Riduzione della struttura elastica del vaso che spiega il cedimento. • Linfociti e plasmacellule in sede extravasale. Nel complesso AUMENTA LA ATTIVITÀ DELLE ELASTASI che DEGRADANO LA PARETE DEL VASO: FONDAMENTALMENTE VIENE PERSO IL BILANCIO TRA LE FIBRE DISTRUTTE E QUELLE FORMATE. La eziologia molecolare di tutto questo non è chiara, è stata ipotizzata una partecipazione di metalloproteasi tra cui soprattutto MMP9. FAMILIARITÀ PER ANEURISMI A CARATTERE DEGENERATIVO: il 15­20% di fratelli maschi di un paziente affetto da aneurisma, possono sviluppare aneurismi: si pensa che vi sia una predisposizione a carattere cromosomico, forse localizzata sul braccio lungo del cromosoma 16. In termini pratici a seguito della scoperta di un aneurisma è sempre importante controllare i fratelli del paziente.

STORIA NATURALE DELLA MALATTIA:

fondamentalmente si verifica un cedimento della parete che porta a: • aumento del diametro della arteria : l'incremento medio è di circa 4mm l'anno ma 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale incrementa notevolmente con la dilatazione; più l'arteria si dilata, più velocemente si verificano le dilatazioni successive. • Dilatazione sempre maggiore. • Rottura dell'aneurisma: l'emorragia che ne consegue può divenire anche mortale. SEDE DI ROTTURA: la sede della rottura dell'aneurisma è estremamente importante in termini di prognosi ed intervento; la rottura può essere: • RETROPERITONEALE che provoca un EMORETROPERITONEO: la cavità retroperitoneale è virtuale, di conseguenza con l'uscita del sangue si distende e aiuta a contenere la perdita ematica. Si tratta della evenienza più frequente in assoluto. • PERITONEALE che provoca un EMOPERITONEO: il peritoneo è una cavità che si lascia distendere molto facilmente, il paziente va rapidamente incontro a shock ipovolemico e morte se non si interviene. • DUODENALE che provoca una EMORRAGIA DIGESTIVA. Il passaggio di sangue nel tratto gastroenterico sicuramente provocherà: ◦ ematemesi. ◦ Sangue probabilmente rosso, e non digerito vista la localizzazione, nelle feci. • VENOSA in relazione alla vena CAVA o alla vena ILIACA; si forma in questo modo una fistola AORTO CAVALE o AORTO ILIACA o AORTO RENALE: si tratta di una evenienza molto rara e spesso difficilmente diagnosticabile. Avviene in meno dell'1% dei casi e si manifesta con: ◦ scompenso cardiaco determinato dal passaggio di un flusso ematico enorme ad alta pressione al sistema venoso. ◦ Passaggio di trombi dal sistema arterioso a quello venoso con potenziale embolia polmonare. FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA PROBABILITÀ DI ROTTURA: fattore fondamentale è relativo al DIAMETRO ANTEROPOSTERIORE: • se è inferiore a 5cm, l'incidenza di rottura è molto bassa e non si considera un trattamento chirurgico. • al di sopra dei 5,5cm l'incidenza di rottura arriva al 25% in un anno, di conseguenza SI DEVE INTERVENIRE VELOCEMENTE. A partire da 5,5cm la probabilità di rottura aumenta in modo molto più che direttamente proporzionale con con l'aumento del diametro: al di sopra dei 7cm l'incidenza di rottura arriva al 75% annuo.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale Aneurisma sottorenale della aorta addominale, al di sotto dei limiti previsti per l'intervento chirurgico come emerge dall'immagine.

immagine tratta da wikipedia

FATTORI CHE FAVORISCONO LA ROTTURA DELL'ANEURISMA: i fattori che favoriscono la rottura dell'aneurisma sono spesso i medesimi che favoriscono la sua formazione: • elevata pressione media: con un incremento della pressione è più probabile una dilatazione critica e quindi una rottura. • Fumo. • Insufficienza respiratoria cronica. • Morfologia dell'aneurisma: gli aneurismi sacciformi o blister si rompono più precocemente rispetto a quelli fusiformi. La sottigliezza della parete e la legge di la place favoriscono notevolmente l'evento. • Farmaci: ◦ cortisonici: aumentano in modo importante la degradazione proteica della parete e di conseguenza la riduzione del suo spessore. ◦ I beta bloccanti sembra abbiano la capacità di ridurre il rischio di rottura in modo indipendente dal loro effetto sulla pressione. L'aneurisma non è in ogni caso trattabile medicalmente, ma unicamente chirurgicamente. SVILUPPO DELL'ANEURISMA FINO ALLA ROTTURA: generalmente la rottura avviene in questo modo: • il sangue ad alta pressione provoca un primo cedimento della parete. • Si porta tra le tonache intima e media dando una FISSURAZIONE. • Preme sulla media. • Rompe la parete. ALTRE COMPLICANZE: le complicanze non relative alla rottura sono correlate al rischio di trombosi ed embolia: • TROMBOSI: presenterà manifestazioni bilaterali in quanto l'occlusione sarà comunque piuttosto alta. • EMBOLIA: presenterà manifestazioni unilaterali in quanto l'occlusione si verifica molto a valle dell'aneurisma.

QUADRO CLINICO:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale PROBLEMA FONDAMENTALE DI QUESTA PATOLOGIA È IL FATTO CHE SI TRATTA DI UNA MALATTIA SILENTE e l'intervento segue alla rottura dell'aneurisma. La sintomatologia è piuttosto vaga nella fase precedente la rottura: • DOLORE LOMBARE. • DOLORE EPIGASTRICO. • SINTOMI DA COMPRESSIONE DELLE VIE URINARIE. • SINTOMI DA COMPRESSIONE DEL TUBO GASTROENTERICO con stipsi soprattutto. • COMPRESSIONE VENOSA soprattutto a livello delle VENE ILIACHE cui consegue: ◦ edema all'arto inferiore. ◦ Trombosi venosa profonda della vena iliaca. Trombosi ricorrenti della vena iliaca meritano sempre un approfondimento clinico: possono essere determinate da patologie a carattere aneurismatico o da neoplasie voluminose a carattere compressivo. SINTOMATOLOGIA AL MOMENTO DELLA ROTTURA: la sintomatologia è variabile in relazione alla sede della rottura: • rottura retroperitoneale darà vita a: ◦ SHOCK. ◦ DOLORE ADDOMINO LOMBARE generalmente il paziente rinviene in qualche momento e viene soccorso perché la rottura coagula. • Fistola aortoenterica: ◦ SANGUINAMENTO INTESTINALE preponderante soprattutto inizialmente. ◦ SHOCK IPOVOLEMICO. La causa deve essere individuata IMMEDIATAMENTE, in caso contrario il rischio di danno irreversibile è molto elevato. • fistola aorto­cavale per cui si verificano: ◦ edema agli arti inferiori. ◦ Estremità inferiori fredde a causa del blocco del ritorno venoso e del calo di vascolarizzazione arteriosa. ◦ Scompenso cardiaco. OBIETTIVITÀ: possiamo valutare: • tumefazione importante a livello addominale se il paziente è magro; tale tumefazione risulta: ◦ pulsante. ◦ Sincrona con il polso radiale. È importate prestare attenzione: ◦ a masse pancratiche che raramente divengono tanto grandi e presentano comunque sempre una pulsazione trasmessa. ◦ Tessuto adiposo. • MANOVRA DI DE BECKEY: uncinamento dell'aneurisma addominale, consente di differenziare tra aneurismi sopra e sotto renali. • SOFFIO INTERMITTENTE ascoltatorio accompagnato talvolta dal rilievo palpatorio di un fremito. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale VARIAZIONI DEL POLSO DELL'ARTO INFERIORE che è più lento in sede radiale che in sede femorale: fisiologicamente c'è una differenza di circa 15ms tra il polso femorale e quello radiale. La percezione di tale differenza è molto difficile. • ARTI FREDDI E CIANOTICI. ESAMI STRUMENTALI: utilissimi, spesso un aneurisma viene identificato casualmente tramite esami di imaging eseguiti per altre ragioni. Tra questi ricordiamo: • radiografia diretta dell'addome: la parete della aorta presenta spesso calcificazioni periferiche che rendono visibile l'aneurisma. • ECOGRAFIA ADDOMINALE esame di routine e preciso per questo tipo di patologia. • ANGIOTAC: consente di valutare molteplici aspetti tra cui calcificazioni, colletto e posizione dell'aneurisma. Tramite questo esame possiamo valutare la presenza di trombi nel colletto. • ANGIOGRAFIA DIGITALE: serve a valutare se sono presenti delle ostruzioni arteriose periferiche all'aneurisma. Non consente in ogni caso di analizzare lo stato della parete. Fondamentale è in ogni caso valutare la posizione del colletto rispetto alla biforcazione delle arterie renali. •

TERAPIA:

ad eccezione di rari casi il trattamento è unicamente chirurgico, dal punto di vista medico ricordiamo che: • aneurismi micotici e luetici prevedono una terapia medica a scopo profilattico al fine di evitare il coinvolgimento di altri distretti: il sintomo fondamentale è la febbre accompagnata da leucocitosi e colture ematiche positive. È indispensabile in questo caso: ◦ anzitutto estinguere l'infezione. ◦ Quindi trattare l'aneurisma chirurgicamente. • Per quanto riguarda altri tipi di aneurisma è fondamentale ridurre al minimo l'impatto di fattori quali: ◦ ipertensione arteriosa. ◦ Dislipidemie. Evitare assolutamente il cortisone. INDICAZIONI: l'operazione è prescritta nel momento in cui il diametro raggiunga i 5,5cm o nel momento in cui l'aneurisma si rompa. La mortalità per questo tipo di operazione: • in caso di rottura è molto alta: dal 33 al 75%. • in caso di intervento di elezione è molto più bassa, dallo 0 al 3%.

IL TRATTAMENTO CHIRURGICO DELL'ANEURISMA:

gli approcci chirurgici sono fondamentalmente due: • LAPAROTOMIA che prevede un accesso peritoneale o retroperitoneale a seconda dei casi, si esegue in questo modo: ◦ apertura dell'addome. ◦ Clampaggio della arteria a valle e a monte dell'aneurisma. ◦ Rimozione del trombo presente nell'aneurisma stesso, molto grosso spesso. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale ◦ Rimozione della parte malata. ◦ Sostituzione del vaso con protesi plastica. • CATETERISMO eseguito a partire dal 1991, l'intervento si esegue in anestesia locale attraverso la arteria femorale, è possibile tramite il catetere intubare l'aorta ed escludere la sacca aneurismatica. A seguito della prima applicazione da parte di Parodi, un chirurgo argentino, sono state sviluppate protesi capaci di supplire alla mancanza di una arteria naturale in termini di: ◦ flessibilità. ◦ Sottigliezza. ◦ Resistenza. L'UTILIZZO DELL'ENDOPROTESI CONSENTE QUINDI di eseguire interventi: ◦ a bassa invasività. ◦ Con degenza di qualche giorno. ◦ Convalescenza relativamente breve. ◦ È discusso il vantaggio economico che deriva da questo approccio: ▪ sicuramente una laparotomia prevede una convalescenza di 1 mese circa e di conseguenza costringe il paziente alla astensione dal lavoro. ▪ D'altro canto la protesi vascolare non è cucita in sede, ma inserita attraverso incastro o Protesi di aneurisma della aorta uncinamento: è indispensabile quindi addominale posto in sede: si controllare ogni 6 mesi­un anno se la protesi è vedono molto bene le due distinte branche iliache. in sede e se la sacca dell'aneurisma è esclusa immagine tratta da wikipedia dal flusso ematico. L'ANCORAGGIO DELL'ENDOPROTESI: l'ancoraggio della endoprotesi è un fattore estremamente importante: si utilizzano degli uncini stent metallici che, dilatati grazie al contatto con il sangue e fissati grazie all'uso di un catetere a palloncino, aderiscono alla parete del vaso. La protesi viene inserita rivestita dal catetere, posizionata e quindi scoperta: in questo modo l'uncino aderisce alla arteria immediatamente. L'operazione RICHIEDE SEMPRE UNA GUIDA RADIOLOGICA al fine di ESSERE CERTI DI NON OCCLUDERE LA ARTERIA RENALE. LA PROCEDURA DI CATETERISMO ENDOVASCOLARE: la procedura prevede l'ingresso nel torrente circolatorio a partire dalla arteria femorale dopo anestesia locale e sempre sotto controllo ecografico: occludere le arterie renali potrebbe essere fatale per il paziente. La procedura prevede: • INSERIMENTO DELLA PROTESI DAL CATETERE e SUO AGGANCIO ALLA AORTA: la protesi viene inserita e agganciata con i metodi sopra descritti alla parete della aorta sottorenale. • INSERIMENTO DELLA PRIMA BRANCA a partire da una delle due arterie iliache. • INSERIMENTO DELLA SECONDA BRANCA a partire dalla arteria iliaca 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 3: gli aneurismi della aorta addominale controlaterale. FOLLOW UP DOPO L'INTERVENTO: a seguito di questo tipo di intervento il follow up è fondamentale: • con la degenerazione della aorta è possibile che la protesi si stacchi e cada nella sacca aneurismatica sottostante. • È possibile che il sangue di provenienza delle arterie sottorenali refluisca nella cavità dell'aneurisma: generalmente si ha semplicemente la formazione di coaguli che non danneggiano la sacca stessa, ma se la sacca si gonfia troppo può andare incontro anche a rottura. VIDEO DELL'INTERVENTO :

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche

ANEURISMI DELLE ARTERIE PERIFERICHE si tratta di un problema relativamente importante, gli aneurismi delle arterie periferiche accontano circa per l'1­2% delle arteriopatie periferiche e per il 20% delle patologie aneurismatiche. Analogamente a tante altre patologie cardiovascolari anche gli aneurismi colpiscono sopratutto I PAZIENTI MASCHI, rappresentano un problema soprattutto in quanto sono spesso: • MULTIPLI. • BILATERALI. Si tratta di una patologia nota dall'antichità: la patologia è apprezzabile superficialmente come una massa pulsante a livello cutaneo come osservato dagli antichi nel IV secolo, fu un chirurgo inglese, Hunter, nel 1785 ad operare per la prima volta un aneurisma periferico tramite la legatura dello stesso. LOCALIZZAZIONE • IL 90% DEGLI ANEURISMI PERIFERICI COLPISCE L'ARTO INFERIORE ◦ sicuramente l'arteria POPLITEA è la più colpita, nel 70% dei casi è la sede della lesione aneurismatica. ◦ Arteria femorale, nelle sue diverse parti: comune, superficiale e profonda. ◦ Arteria iliaca. • IL 10% DEGLI ANEURISMI PERIFERICI COLPISCE L'ARTO SUPERIORE, possono colpire infatti: ◦ arteria succlavia. ◦ Arteria omerale. ◦ Arteria carotide extracranica. Questo tipo di aneurisma presenta eziologia: • ATEROSCLEROTICA nella stragrande maggioranza dei casi, 85%. • micotica nel 2,5­3% • da malattie del collagene. • Da patologie della tonaca media come la medianecrosi cistica. • Eventi post stenotici come vedremo. Mentre negli aneurismi della aorta addominale la complicanza principale è la rottura, questi aneurismi sono particolarmente pericolosi per altre complicazioni: • ISCHEMIA legata principalmente a fenomeni di emobolizzazione distale o trombosi dell'aneurisma. • COMPRESSIONE DI NERVI E VENE CHE DECORRONO PARALLELAMENTE: molto spesso vasi nervi sono racchiusi in una sola guaina tendina, è abbastanza comune quindi che un rigonfiamento arterioso comprima le strutture circostanti.

ANEURISMI DELLA ARTERIA POPLITEA:

La arteria POPLITEA È SICURAMENTE LA ARTERIA PIÙ COLPITA, il 70% degli aneurismi delle arterie periferiche si colloca in questa sede e inoltre spesso si presenta: • bilaterale: la bilateralità non è sempre sincrona, il secondo aneurisma può formarsi anche anni dopo. La bilateralità si verifica nel 35­68% dei casi. • Associato ad aneurismi della AORTA ADDOMINALE: spesso si diagnostica prima l'aneurisma della aorta, poi l'aneurisma della arteria poplitea, anche in questo caso 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche la associazione può essere SINCRONA O MENO. L'associazione è presente nel 28% dei casi circa. • Il rapporto tra maschio e femmina è in questo caso di 30 a 1. EZIOLOGIA: l'unica spiegazione elaborata per dare ragione di questa particolarmente elevata frequenza, è il fatto che L'ARTERIA POPLITEA È SOTTOPOSTA A CONTINUI MOVIMENTI DI COMPRESSIONE, TRAZIONE E MOLTO ALTRO ASSOCIATI AI MOVIMENTI DEL GINOCCHIO. Dal punto di vista eziologico contribuiscono in ogni caso: • aterosclerosi. • Infezioni. • Traumi. • Collagenopatie. • Patologie della tonaca media. COMPLICANZE: le complicanze di questo tipo di patologia sono fondamentalmente le seguenti: • nell'81% dei casi le complicanze sono dovute a fenomeni di ischemia che possono derivare da: ◦ EMBOLIZZAZIONE dove fondamentalmente si occludono le arterie tibiali: molto spesso è sufficiente piegare il ginocchio per mobilizzare questi emboli. ◦ TROMBOSI dove il trombo, crescendo in volume, occlude la arteria. • Rottura, evenienza molto rara, si verifica circa nel 4% dei casi: ◦ non è mai tanto drammatica quanto quella della aorta addominale: la arteria poplitea è racchiusa in una guaina inestensibile, di conseguenza la perdita di sangue non è mai troppo cospicua. ◦ Il fenomeno di ischemizzazione e necrosi a valle può portare alla amputazione dell'arto. Seppur tragicamente debilitante, questa patologia non porta alla morte quasi mai. • Compressione, quadro abbastanza comune, si verifica nel 15% dei casi: ◦ della ARTERIA POPLITEA, si ha in questo un forte EDEMA DELL'ARTO INFERIORE che risulta voluminoso, cianotico e dolente: il quadro di stasi favorisce in modo importante il formasi di una TROMBOSI VENOSA PROFONDA. ◦ del NERVO SCIATICO CON INTENSA SINTOMATOLOGIA DOLOROSA che si sviluppa a tutto il versante posteriore e laterale della gamba. Dal punto di vista conformazionale gli aneurismi possono essere sacciformi o fusiformi. DIAGNOSI: sono molto utili dal punto di vista diagnostico: • ecografia prima di tutto, eseguibile rapidamente e senza problemi. • TAC eventualmente che può rivelarsi molto utile nel valutare l'entità della lesione aneurismatica. Questo quadro patologico può risultare rilevabile all'esame obiettivo come una pulsatilità aumentata a livello femorale, da non confondere con: • una cisti di baker: si tratta di una formazione benigna della borsa semimembranosa rinvenibile in sede popolitea. • Una neoplasia. TRATTAMENTO: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche il trattamento d'elezione è sicuramente il trattamento chirurgico, è possibile: • TRATTAMENTO MEDICO: è possibile somministrare un fibrinolitico in prossimità del trombo al fine di favorire lo scioglimento dello stesso: si ripristina quindi il circolo periferico per poi operare l'aneurisma. • TRATTAMENTO CHIRURGICO per cui è possibile: ◦ asportare la sacca e sostituirla con una protesi endogena derivata dalla vena safena. ◦ Asportare la sacca e sostituirla con una protesi esogena. ◦ DI FREQUENTE per diminuire il trauma chirurgico e per evitare danni al ginocchio si cerca di eseguire interventi meno traumatici: ▪ SI LEGA L'ARTERIA AL DI SOTTO E AL DI SOPRA DELL'ANEURISMA al fine di impedire: • che si distacchino degli emboli. • Che l'aneurisma si dilati. ▪ si inserisce UN BYPASS e si lascia in sede l'aneurisma che poi progressivamente SI RIASSORBE E SGONFIA AUTONOMAMENTE. Le indicazioni per il trattamento chirurgico di questo aneurisma sono: • ischemia acuta dell'arto inferiore determinata da embolia o trombosi. • Emboli distali. • Diametro dell'aneurisma superiore a 2cm in senso trasversale. PERCENTUALI DI SUCCESSO: le percentuali di successo sono piuttosto elevate, è importante ricordare che: • per aneurismi asintomatici il salvataggio dell'arto avviene nel 93­95% dei casi a 10 anni. • Per aneurismi in urgenza la percentuale è più bassa: ◦ il salvataggio dell'arto a 5 anni avviene nel 55­72% dei casi. ◦ La amputazione primaria è necessaria nel 30­60% dei casi. LA AMPUTAZIONE DELL'ARTO INFERIORE: come accennato a seguito della rottura dell'aneurisma, ma anche di fenomeni di ischemia acuta, il paziente può essere costretto ad andare incontro a fenomeni di AMPUTAZIONE dell'arto inferiore. Molto spesso il quadro patologico è abbastanza grave, come noto infatti il piede è irrorato da tre arterie: • tibiale anteriore. • tibiale posteriore. • Peroneale. Molto spesso a causa delle embolizzazioni due di queste arterie risultano occluse: l'occlusione parziale del circolo provoca un dolore relativamente importante che si risolve grazie alla presenza di circoli fortemente anastomici, di conseguenza il paziente non va in ospedale. Quando si occlude la terza arteria e il paziente arriva in ospedale, il danno è estremamente grave e il tasso di amputazione arriva anche all'80%. POSSIBILI RECIDIVIZZAZIONI: a seguito di un intervento di rimozione dell'aneurisma, non si verificano delle vere e proprie recidivizzazioni chiaramente, ma è possibile che LE ARTERIE A MONTE DELL'ANEURISMA VADANO INCONTRO AD UN FENOMENO ANEURISMATICO. È possibile in questi casi eseguire una operazione di ALLUNGAMENTO DEL BYPASS che, unendosi a quello 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche precedentemente posizionato, esclude la nuova sacca aneurismatica.

ANEURISMI DELLA ARTERIA FEMORALE:

secondo aneurisma più frequente negli arti inferiori, anche in questo caso si associa spesso ad aneurisma della aorta; la sintomatologia comprende fondamentalmente: • ischemia: sicuramente il quadro più frequente, si verifica nel 40% dei casi. • Dolore: si verifica nel 25% dei casi. • Rottura che si verifica invece nell'1­15% dei casi. Rispetto agli aneurismi poplitei è importante ricordare il fatto che in questo caso IL PAZIENTE VEDE CHE C'È UNA TUMEFAZIONE PULSANTE A LIVELLO DELLA REGIONE INGUINALE che risulta facilmente apprezzabile e viene normalmente indagata, al contrario di quella poplitea. Anche in questo caso fattore predisponente fortissimo sono LESIONI ATEROSCLEROTICHE: molto spesso la arteria femorale a seguito di lesioni aterosclerotiche si allunga e diventa tortuosa favorendo la formazione di lesioni aneurismatiche, si parla di elungatio.

ANEURISMA DELLA ARTERIA ILIACA:

si tratta di casi isolati e rari e si associano ad aneurismi della aorta addominale; il quadro è quindi differente rispetto a quelli precedenti: • difficilmente il paziente si accorge di avere un aneurisma in questa sede. • Le manifestazioni sintomatologiche di questo tipo di patologia sono determinate generalmente dalla compressione di: ◦ uretere: si possono verificare ematuria, idronefrosi, atrofizzazioni renali importanti e insufficienze renali croniche. ◦ Vescica con ovvie turbe della diuresi. ◦ Vena iliaca comune con conseguente trombosi venosa profonda della femorale, tutto l'arto interessato risulta coinvolto e diviene cianotico ed edematoso: è sempre importante a seguito di una trombosi venosa profonda valutare la presenza di lesioni aneurismatiche dell'albero arterioso. Essendo l'aneurisma raro e la diagnosi difficile, spesso si arriva alla rottura: le probabilità che questo evento si verifichi arrivano anche al 75% se si superano i 4cm di diametro.

ANEURISMI DELLA ARTERIA EPATICA:

si tratta della arteria maggiormente colpita tra le arterie viscerali, nello specifico circa il 20% degli aneurismi viscerali attaccano questa arteria. Dal punto di vista pratico: • la sintomatologia prima della rottura è molto scarsa. • Le conseguenze della rottura POSSONO ESSERE ESTREMAMENTE GRAVI: ◦ rottura peritoneale con perdita di sangue molto importante e quindi shock ipovolemico. ◦ Rottura nel coledoco: si verifica in questo caso una EMOBILIA per cui il sangue si riversa nel coledoco, coagula e provoca una ostruzione della via biliare. Avremo quindi: ▪ ittero. ▪ dolore tipo colica biliare. ▪ Melena. ◦ Rottura nello stomaco o nel duodeno: seguono chiaramente ematemesi e melena. La rottura dell'aneurisma, seppur estremamente grave, è una evenienza molto rara: la diagnosi viene posta molto spesso in concomitanza ad altre indagini della regione 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche addominale.

ANEURISMA DELLA ARTERIA SUCCLAVIA:

si tratta di un aneurisma di tipo POST STENOTICO che si forma quindi a seguito di una STENOSI, o meglio a valle di questa, per problemi emodinamici: IL FLUSSO VORTICOSO CHE SI VIENE A FORMARE DETERMINA LA DILATAZIONE DELLA PARETE. Questi aneurismi si presentano: • PICCOLI. • CONTENGONO SEMPRE MATERIALE TROMBOTICO e per questo motivo provocano ISCHEMIE EMBOLIZZANTI DISTALI. • la ROTTURA È MOLTO RARA proprio perché l'aneurisma permane generalmente piccolo. Sicuramente la causa principale è la aterosclerosi della parete arteriosa, tuttavia questo quadro si forma molto spesso a seguito di una SINDROME DELLO STRETTO TORACICO dove la arteria succlavia risulta compressa da formazioni: • TENDINEE. • OSSEE, generalmente clavicolari. • MUSCOLARI. Altra possibile causa è la presenza di un DIVERTICOLO DI KOMMERELL: si tratta di un residuo embrionale dell'arco aortico destro, non esistente chiaramente nell'adulto, che provoca un allargamento della base di attacco della arteria succlavia sulla aorta: questo può favorire la formazione di lesioni aneurismatiche. Sicuramente è l'aneurisma più frequente a livello degli arti superiori.

ANEURISMI DELLA ARTERIA ASCELLARE:

sono aneurismi molto rari, generalmente determinati da traumi.

ANEURISMI DELLA ARTERIA ULNARE:

si tratta di aneurismi molto rari ed eziologicamente riconducibili a stress prolungati e continui a livello della regione ulnare.

ANEURISMA DELLA ARTERIA CAROTIDE EXTRACRANICA:

rappresenta circa il 4% degli aneurismi periferici, si tratta di una evenienza abbastanza frequente e preoccupante per le sue potenziali complicanze. Questi aneurismi coinvolgono di solito la biforcazione della due carotidi e solo raramente si limitano alla carotide comune. Nel complesso possiamo avere sintomi legati a: • embolizzazione cerebrale, possiamo registrare quindi: ◦ occlusione della arteria retinica con AMAUROSI FUGAX: cecità dell'occhio omolaterale fugace e transitoria. ◦ Occlusione di vasi cerebrali che provoca TIA che si manifesta molto spesso con un deficit transitorio di forza controlaterale. • Compressione degli organi del collo, tra le conseguenze più comuni registriamo: ◦ disfonia da compressione vagale. ◦ Deviazione della lingua da coinvolgimento del nervo ipoglosso. ◦ Sindrome di Claude Bernard Horner. ◦ Rare ma possibili sono le manifestazioni a livello ESOFAGEO, generalmente disfagia, o TRACHEALE, generalmente dispnea: l'aneurisma deve crescere molto in questi casi e la compressione di trachea ed esofago è piuttosto difficile.

ANEURISMA DELLA ARTERIA RENALE: 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche analogamente ad altri casi precedentemente descritti questo tipo di aneurisma viene diagnosticato in corso di ecografia o TAC addominali generalmente, difficilmente si diagnostica direttamente. Possiamo dire che: • molto raramente si rompono. • Possono provocare una ipertensione renovascolare. • Sono spesso post stenotici.

ANEURISMA DELLA ARTERIA SPLENICA:

aneurisma abbastanza frequente e stranamente tipico del sesso femminile, soprattutto nelle donne pluripare, anche se non è noto il perché. L'aneurisma della arteria splenica acconta per il 66% di tutti gli aneurismi viscerali. Nel 20% dei casi questo aneurisma da una sintomatologia precoce o viene scoperto in sede di indagini strumentali addominali, tuttavia: • nell'80% dei casi va incontro a rottura, il paziente va rapidamente in shock a causa dell'enorme apporto di sangue che la arteria veicola. • La sintomatologia che può precedere la rottura è molto generica: ◦ peso a livello gastrico, una pesantezza generica. ◦ disturbi alla digestione. ◦ Splenomegalia dovuta alla compressione della vena splenica e quindi ridotto ritorno venoso dalla milza. Nella maggior parte dei casi, purtroppo, la manifestazione primitiva è lo shock da rottura.

GLI ANEURISMI MICOTICI:

sono aneurismi infettivi o micotici sono più frequenti nelle arterie periferiche che nelle arterie profonde, nello specifico soprattutto: • femorale comune. • femorale profonda. • femorale superficiale. • Iliaca. • Brachiale. • Radiale. • Digitale. • Succlavia. SINTOMATOLOGIA: a differenza degli aneurismi aterosclerotici o degenerativi o ad altra eziologia questi aneurismi si presentano con: • febbre intermittente anche molto elevata. • Massa, tumor, pulsante e dolente presente alla sede dell'aneurisma tipicamente accompagnata da rubor, calor e dolor. • Ischemia periferica per migrazione di trombi, eventualmente settici: si tratta di una evenienza relativamente poco importante. Sicuramente il quadro si accompagna ad una LEUCOCITOSI NEUTROFILA e ad un INCREMENTO DEGLI INDICI INFIAMMATORI. EZIOLOGIA: il problema è molto aumentato negli ultimi anni soprattutto nei TOSSICODIPENDENTI che si iniettano nel torrente circolatorio spesso GERMI patogeni: una volta indisponibili le vene superficiali infatti, il tossicodipendente utilizza le due arterie superficiali cioè le arterie 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare: aneurismi delle arterie periferiche OMERALE E FEMORALE. La patologia non è chiaramente esclusiva dei tossicodipendenti, i germi possono arrivare in sede infatti anche: • dal sangue. • dai linfatici. Grazie alla presenza di focolai settici in zona. EZIOLOGIA MICROBICA: i principali agenti eziologici coinvolti in questo tipo di patologia sono LO STAFFILOCOCCO e LA SALMONELLA, possono contribuire: • TREPONEMA PALLIDUM agente responsabile della SIFILIDE un tempo molto diffuso, oggi raro. • INFEZIONI LOCALIZZATE molto più comuni nei tossicodipendenti come accennato e determinate da danno diretto alla parete della arteria. Può essere conseguenza di una vasculite dei vasa vasorum. TERAPIA: La terapia è differente rispetto ai casi precedenti: • si individua anzitutto il germe e si imposta una terapia antibiotica adatta: obiettivo primario è quello di mantenere un adeguato flusso di perfusione ed eradicare la infezione. • Si interviene chirurgicamente solo quando la terapia ha fatto effetto. Si tratta di patologie molto complesse che possono richiedere, come avviene per gli aneurismi da salmonella, terapie antibiotiche per tutta la vita.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori

LE VARICI DEGLI ARTI INFERIORI le varici sono dilatazioni e sfiancamenti delle vene superficiali che assumono un andamento tortuoso, serpiginoso e un calibro maggiore rispetto a quello abituale. Si tratta di patologie estremamente comuni che colpiscono in maniera più o meno invalidante soggetti in età lavorativa da 20 anni in su. EPIDEMIOLOGIA: l'incidenza della malattia è come accennato ESTREMAMENTE ELEVATA: • la degenerazione dei vasi safenici e delle loro collaterali con significato clinico interessa circa il 15­30% della popolazione. • Alterazioni a livello puramente estetico possono arrivare ad interessare anche il 35­ 40% della popolazione. • colpisce soprattutto le donne, per ragioni probabilmente legate alla attività ormonale. • Colpisce soprattutto la razza bianca, molto meno quella gialla e nera. Nonostante le varici siano identificate e definite come patologie PRIMITIVE, cioè di cui non conosciamo la causa, POSSIAMO RICORDARE L'ESISTENZA DI IMPORTANTI FATTORI DI RISCHIO: • FAMILIARITÀ: la patologia varicosa si verifica nel 100% dei pazienti figli di malati di vene varicose. • SESSO FEMMINILE: gli estrogeni causano una dilatazione importante delle vene. Ricordiamo inoltre che durante la gravidanza: ◦ c'è un forte aumento degli estrogeni in circolo. ◦ È fisiologica una certa compressione delle vene iliache da parte dell'utero gravido. Dopo il parto spesso le varici regrediscono. • OBESITÀ. • ATTIVITÀ DEL PAZIENTE: pazienti con stazione eretta prolungata vicino a fonti di calore sono più soggetti alla formazione di varici rispetto a pazienti che lavorano seduti. • ETÀ: l'incidenza di varici aumenta molto con l'età. • CONTRACCETTIVI ORALI E TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA: la dilatazione varicosa accompagnata dall'incremento del rischio di trombosi è normale in questi pazienti. • ATTIVITÀ SPORTIVA: pazienti che svolgono attività fisica a livello degli inferiori sopratutto, come i ciclisti, possono presentare delle DISTENSIONI E IPERTROFIE DELLE VENE SUPERFICIALI ma che non presentano decorso tortuoso ne tantomeno sono patologiche. È importante ricordare in ogni caso che solo l'1,1‰ dei maschi e 2,2‰ delle femmine va incontro a ricovero per questo tipo di patologia. CLASSIFICAZIONE: dal punto di vista eziologico possiamo distinguere: • VARICI PRIMITIVE sono sicuramente LE PIÙ COMUNI. • VARICI DA FISTOLA ATEROVENOSA, più rare. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori VARICI POST FLEBITICHE, sono successive e conseguenti ad una trombosi venosa profonda. • VARICI DA APLASIA DEL SISTEMA VENOSO PROFONDO: esistono soggetti che nascono privi di vena poplitea o di vena femorale in forma suppletiva ovviamente. Causa di queste patologie possono essere: ◦ sindrome di Klippel­Trenaunay o sindrome angio osteoipertrofica, si tratta di una sindrome caratterizzata dalla triade di nevus flammenus (alterazione con formazione di un circolo capillare dilatato e superficiale), vene varicose e alterazioni trofiche ed ipertrofiche di un arto inferiore. ◦ Sindrome di Cruveilhier­Baumgarten: si tratta di una rara sindrome che coinvolge fegato, milza e sistema venoso. Dal punto di vista delle dimensioni è possibile suddividere le varici degli arti inferiori in tre categorie: • VARICI TRONCULARI che interessano le vene safene. • VARICI RETICOLARI che interessano le vene afferenti alle vene safene. • VARICI TELENGECTASICHE che sono piccole dilatazioni delle vene postcapillari, generalmente a significato solo estetico. •

FISIOPATOLOGIA:

Vena safena

grande

è importante ricordare come si organizza il sistema venoso dell'arto inferiore; tale sistema venoso è composto di tre parti: • VENE PROFONDE ovvero le vene popolitea e femorale. • VENE PERFORANTI ovvero vene di dimensioni relativamente piccole che mettono in comunicazione i due sistemi vascolari. • VENE SUPERFICIALI che invece sono le due vene grande e piccola safena. Si parla di varici delle vene superficiali della gamba quando si indicano dilatazioni delle vene: • GRANDE SAFENA che origina dal malleolo mediale e si porta all'ostio safeno femorale. • PICCOLA SAFENA che origina dal malleolo laterale e si porta all'ostio safeno popliteo. FISIOLOGIA DEL SANGUE VENOSO: tre sono le forze capaci di far progredire il sangue attraverso il sistema vascolare: • VIS A FRONTE forza di riassorbimento esercitata durante la inspirazione dall'apparato polmonare. • VIS A LATERE determinata dalla resistenza del vaso da un lato e dall'operato dei muscoli prossimi al vaso dall'altro. • VIS A TERGO che è la forza pressoria impressa dal cuore al sangue con la sua pulsazione alla quale si assommano una serie di forze pressorie che

Vena safena

piccola

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori spingono il sangue verso l'alto da dietro1. A livello dell'arto inferiore è fondamentale il ruolo della VIS A LATERE: il sangue viene SOSPINTO VERSO L'ALTO DALLA COMPRESSIONE DETERMINATA DALL'APPOGGIO DEL PIEDE. Il deflusso venoso verso il basso viene bloccato fondamentalmente dalla presenza di valvole venose dette valvole a nido di rondine che lasciano passare il flusso verso l'alto ma si chiudono se questo si porta verso il basso. ORIGINE DELLE VENE VARICOSE: il fenomeno origina fondamentalmente da UNA MALTENUTA VALVOLARE per cui il sangue in arrivo alle vene safene tende a precipitare verso il basso non trattenuto dalle apposite valvole. Esistono due teorie fondamentalmente per spiegare l'origine di questa maltenuta valvolare: • INSUFFICIENZA DELLA MUSCOLATURA LISCIA: le vene, per diverse ragioni legate alla muscolatura liscia della loro parete, quando il paziente assume una posizione ortostatica: ◦ si dilatano provocando un allontanamento dei lembi valvolari interni. ◦ Il sangue defluisce attraverso l'ostio insufficiente. ◦ Il sangue si accumula nella regione sottovalvolare. ◦ Si crea un gradiente pressorio incrementato. ◦ Gradiente pressorio dilata ulteriormente la vena e propaga la alterazione della parete. • APLASIA PRIMITIVA DI UNA VALVOLA VENOSA: una valvola non presente fin dalla nascita provocherebbe nel tempo e in presenza di condizioni predisponenti una alterazione varicosa della vena. In entrambi i casi viene a generarsi una IPERTENSIONE VENOSA DA STASI NELLE VENE SUPERFICIALI che NON RIESCONO A DRENARE IL SANGUE VERSO L'ALTO E VERSO L'INTERNO: in questa situazione il sangue COMINCIA A DECORRERE IN SENSO OPPOSTO E RISTAGNA dando spesso delle TROMBOSI VENOSE SUPERFICIALI. Anche in fase di deambulazione la pressione venosa non viene adeguatamente sostenuta dalla pompa muscolare che agisce su un sistema vascolare già di per sé danneggiato.

SEMEIOTICA:

oltre alla anamnesi, molto importante come visto, e all'esame obiettivo dell'arto inferiore, sono estremamente utili MANOVRE SPECIFICHE e INDAGINI STRUMENTALI. MANOVRE SPECIFICHE: sono manovre sempre meno utilizzate grazie alla possibilità molto frequente di poter utilizzare indagini ecografiche, nello specifico ricordiamo: 1 Un piede piatto svolge una azione muscolare meno importante rispetto ad uno normale, di conseguenza è più probabile la formazione di varici.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori TEST DI SCHWARTZ per valutare la tenuta valvolare di una vena superficiale: ◦ si pongono le due mani agli estremi della vena: per la vena piccola safena è possibile far piegare il ginocchio al fine di percepire lo sbocco nella poplitea. ◦ Si eseguono delle piccole percussioni sulla parete della vena. La percussione SI DOVREBBE PROPAGARE UNICAMENTE IN DIREZIONE DEL FLUSSO EMATICO e non viceversa, in caso contrario ci sarà una insufficienza valvolare. • MANOVRA DI PERTHES che VALUTA LA PERVIETÀ DEL CIRCOLO PROFONDO: ◦ al paziente in posizione ortostatica viene applicato un laccio a metà della coscia. ◦ Si chiede al paziente di camminare, generalmente sulla punta dei piedi. La vis a tergo incrementata dalla deambulazione dovrebbe provocare lo svuotamento delle varici verso il circolo profondo, se questo non avviene: ◦ le varici possono restare invariate, indice di insufficienza valvolare. ◦ Le varici possono incrementare in volume, indice di ostruzione profonda accompagnata da un incremento del circolo superficiale in forma suppletiva. • MANOVRA DI RIVA TRENDELEMBURG, altra manovra importante prevede anzitutto lo svuotamento delle varici del paziente tramite il sollevamento a 90° della gamba del paziente stesso, si applica quindi un laccio emostatico all'altezza dello sbocco della vena safena sotto analisi e si chiede al paziente di mettersi in posizione ortostatica. A questo punto si rimuove il laccio: ◦ se le vene superficiali si riempiono rapidamente, in circa 20 secondi contro i 35 normali, avremo probabilmente una insufficienza delle vene perforanti. ◦ Se le vene superficiali non solo non si svuotano completamente, ma quando si toglie il laccio si gonfiano ancora di più, allora l'insufficienza sarà duplice e interesserà sia le vene perforanti che la vena safena. DIAGNOSI STRUMEN T ALI: si utilizza fondamentalmente L'ECOCOLORDOPPLER, si cerca di capire dove si collocano le valvole insufficienti se sulla safena o anche in corrispondenza del circolo di comunicazione perforante: se è previsto un intervento chirurgico è fondamentale individuare tutti i punti di maltenuta valvolare. •

SINTOMATOLOGIA:

LA SINTOMATOLOGIA È STRETTAMENTE LEGATA ALL'ORA DELLA GIORNATA: i sintomi sono quindi serali o pomeridiani in quanto il paziente, dormendo, svuota le vene degli arti inferiori e comincia a riempirle la mattina lungo tutto il giorno. La sintomatologia comprende: • pesantezza a livello degli ari inferiori. • Edema • dolore sopratutto in forma di senso di BRUCIORE LUNGO LA VENA SAFENA INTERESSATA. • Crampi notturni: la sofferenza da ipovascolarizzazione muscolare si sente in particolare nelle giornate in cui il paziente è stato molto in piedi. • Pigmentazione cutanea: si forma spesso una pigmentazione brunastra legata all'accumulo di EMOSIDERINA NEL SOTTOCUTE. A causa della stasi 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori venosa della emoglobina stravasa dai capillari e forma dei depositi di ferro che vengono trasformati in EMOSIDERINA: questa particolare pigmentazione, una volta formatasi, non scompare più. • PARESTESIE. • reticoli venosi abnormi sia a livello del ginocchio che del malleolo dotati spesso di colorazione BLUASTRA dovuta al sangue venoso che si DESATURA MOLTO. COMPLICANZE: le complicanze possono essere molto importanti ed invalidanti: • ROTTURA DELLA VARICE: soprattutto la parte distale a livello del collo del piede o simili, si può verificare la rottura della varice, l'emorragia che ne consegue è COSPICUA e se non trattata può portare anche alla morte del paziente. È importante ricordare in ogni caso che l'emorragia avviene in un territorio a bassa pressione: se la gamba viene portata al di sopra del livello del cuore la pressione scende sotto 0 e l'emorragia si ferma. L'emorragia è copiosa e spesso spaventa molto il paziente, ma è tranquillamente risolvibile. • VARICOFLEBITE: dove fondamentalmente abbiamo un indurimento della vena dovuto alla formazione di un trombo al suo interno che innesca una reazione flogistica. La vena diventa un cordoncino duro e infiammato. • LESIONI TROFICHE che possono essere: ◦ IPODERMITI. ◦ DERMITI. ◦ EPIDERMITI. ◦ ULCERA VARICOSA: lesione ulcerativa che tipicamente si colloca nella regione malleolare interna a causa del particolare trofismo della cute in questa regione. È caratterizzata da una perdita di sostanza di cute e sottocute che NON TENDE A GUARIRE: la lesione guarisce solo se sopprimiamo la IPERTENSIONE VENOSA E LA STASI CHE NE CONSEGUE. La terapia prevede la rimozione della varice e il mantenimento di una posizione supina al fine di rendere più possibile attivo il deflusso di sangue. Il paziente che presenti un'ulcera varicosa non può lavorare chiaramente.

TRATTAMENTO:

esistono diversi tipi di terapia, nello specifico ricordiamo: • TERAPIA FARMACOLOGICA che riduce fortemente la sintomatologia ma che non possono interferire in modo significativo con la storia naturale della malattia. Si utilizzano: ◦ FLEBOTONICI come diosmina, flavonoide semisintetico che prolunga la attività della noradrenalina, e troxerutina. ◦ ANTIEDEMIGENI come l''escina che sembra aumenti il rilascio di ossido nitrico e alcune prostaglandine. ◦ PROFIBRINOLITICI come eparani e defibrotide (un acido desossiribonucleico con una azione multipla sul sistema della coagulazione). • TERAPIA ELASTOCOMPRESSIVA che prevede l'utilizzo di calze elastiche a compressione graduata o di bende elastiche che: ◦ riducono il volume delle vene. ◦ restringono il lume valvolare. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 5: varici degli arti inferiori

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◦ rendono possibile un incremento della resa valvolare. È molto utile nel PREVENIRE LE VARICI oltre che nel TRATTARE QUELLE EMERSE: il livello di compressione esercitato deve essere tanto più forte quanto più importante è l'ipertensione venosa. TERAPIA CHIRURGICA, estremamente utile, può prendere in considerazione trattamenti differenti: ◦ ABLATIVI ED ESCISSIONALI: si tratta di interventi classici di safenectomia mediante stripping, questi interventi possono rimuovere la piccola o la grande safena in tutto il suo decorso o solo in parte. ◦ RICOSTRUTTIVI che hanno funzione ricostruttiva rispetto alla giunzione safeno femorale, si tratta di una valvuloplastica molto spesso. ◦ FUNZIONALI OD EMODINAMICI: si tratta di terapie poco utilizzate come il CHIVA basate su uno studio con color doppler delle vene della gamba; l'intervento prevede la applicazione di legature a livello delle strutture venose. TERAPIA LASER. TERAPIA SCLEROSANTE: si iniettano nella vena sostanze necrotizzanti l'endotelio che stimolano la trasformazione della stessa in un cordoncino fibroso. Questo approccio: ◦ è utile nelle varici di piccole dimensioni. ◦ È destinato al fallimento a breve e medio termine nelle vene safene: tali vene sono troppo grosse e nella stragrande maggioranza dei casi vanno incontro a ricanalizzazione.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 6: il piede diabetico

IL PIEDE DIABETICO il piede diabetico è una affezione sempre più comune a causa del forte incremento del livello di vita delle popolazioni occidentali: l'incremento della durata della vita accompagnato ad abitudini alimentari che favoriscono l'insorgenza di questa patologia rappresentano oggi un problema molto serio. Con l'incremento della incidenza del diabete di tipo II, aumenta ovviamente l'incidenza del piede diabetico. EPIDEMIOLOGIA: la patologia definita piede diabetico generalmente: • colpisce il 5­10% dei pazienti diabetici. • Rappresenta la causa del 20% delle ospedalizzazioni associate al diabete. Principalmente soggetti a questa patologia sono DIABETICI INSULINO DIPENDENTI CON UN DIABETE INSORTO DA ALMENO 10 ANNI. La patologia in questione RISULTA PIÙ COMUNE NELLE DONNE DIABETICHE. Tra e complicanze più rilevanti sicuramente ricordiamo le AMPUTAZIONI: • MINORI che interessano unicamente la parte distale del piede: a seguito di una amputazione minore VI È UNA ELEVATA PROBABILITÀ CHE IL PAZIENTE SIA COSTRETTO A RICORRERE AD PIÙ INVASIVE. • MAGGIORI che invece interessano tutto l'arto a partire dalla parte prossimale del piede fino alla radice della coscia. Il rischio per un paziente diabetico di andare incontro ad amputazioni di questo livello è: ◦ del 30% a 3 anni. ◦ Del 50% a 5 anni. Il ricorso ad amputazioni di questo tenore ha delle conseguenze importantissime a partire dalla perdita di AUTONOMIA fino alla perdita di LAVORO. Il costo della patologia è quindi molto elevato. La conoscenza del diabete e della eziologia della patologia specifica, accompagnata dalla sensibilizzazione del paziente diabetico, ha portato ad un netto calo della incidenza del piede diabetico a partire dal 35% circa a metà del secolo scorso al 10% circa nel 2000.

FATTORI DI RISCHIO:

i fattori di rischio per lo sviluppo di questa patologia sono diversi: • neuropatia periferica tipica del paziente diabetico. • arteriopatia periferica che accentua sicuramente il rischio, nello specifico: ◦ la patologia aterosclerotica. ◦ La calcificazione della media. ◦ L'interessamento del microcircolo periferico. • disfunzioni biomeccaniche: è normale nel corso della malattia diabetica assistere ad una atrofia della muscolatura intrinseca del piede dovuta alla alterazione neurologica caratteristica di questo tipo di paziente. In particolare certi muscoli si atrofizzano e il piede si deforma, con la deformazione va a modificarsi la base di appoggio favorendo la formazione di lesioni in determinate aree sottoposte ad un regime pressorio incrementato. • Durata del diabete che deve essere, come accennato, al di sopra dei 10 anni. • Suscettibilità alle infezioni batteriche che risultano in questi casi GRAVI e RAPIDE. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 6: il piede diabetico Nei pazienti diabetici con ulcera sono tre le condizioni più di frequente registrate: • NEUROPATIA. • TRAUMA. • DEFORMITÀ DEL PIEDE. il deficit di sensibilità periferica infatti, inficia la capacità del paziente di avvertire i minimi traumi caratteristicamente alla base di queste lesioni: questo trauma, trascurato, va incontro a sovrainfezioni e peggiora in modo importante nel tempo. EZIOLOGIA DELLA LESIONE: dal punto di vista pratico possiamo determinare la presenza di 4 grandi gruppi di cause: • NEUROPATICA. • ISCHEMICA. • NEURO­ISCHEMICA. • INFETTIVA. Dove solo il piede diabetico a causa neuro­ischemica e ischemica contribuisce all'80% dei casi.

CARATTERE DELLE LESIONI:

dal punto di vista del CARATTERE DELLA LESIONE possiamo distinguere IN MODO MOLTO NETTO IL PIEDE DIABETICO: • ischemico. • Neuropatico. Mentre è più complesso identificare univocamente il caso di piede diabetico neuro­ ischmico. IL PIEDE DIABETICO NEUROPATICO: il problema fondamentale in questo caso è la modificazione della base di appoggio del piede dovuta alla alterazione della muscolatura del piede stesso; nello specifico le lesioni si verificano a livello di: • articolazione metatarso falangea sul versante plantare del piede. • Tallone. Esattamente dove il paziente poggia il piede a terra, la lesione inoltre spesso si manifesta in accompagnamento ad alterazioni importanti della architettura macroscopica del piede dove le dita del piede stesso tendono a disporsi in modo anomalo. Ulcere diabetiche neuropatiche nelle sedi classiche: alla base della falange e sul tallone.

immagine tratta da wikipedia immagine tratta da wikipedia

IL PIEDE DIABETICO ISCHEMICO: la lesione ischemica si verifica tipicamente nelle regioni più distali del piede ed è dovuta a: • ischemia periferica • gangrena infettiva frequente nel quinto dito: l'infezione gangrenosa tende ad allargarsi in senso centripeto. La terapia antibiotica deve essere in questi casi 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 6: il piede diabetico aggressiva ed immediata. Interessa soprattutto: ◦ dita. ◦ Avanpiede. ◦ Tallone. La arteriopatia che causa questi fenomeni risulta: • 6 volte più frequente nel paziente diabetico. • Caratterizzata da lesioni a localizzazione distale prevalentemente, interessa in particolare: ◦ l'arteria tibiale. ◦ la arteria femorale. ◦ L'area aortoiliaca. Mentre nella popolazione normale prevale la lesione Importante ulcera vascolare a livello del malleolo interno. femorale, nel paziente diabetico LA LESIONE È A immagine tratta da wikipedia LOCALIZZAZIONE TIBIALE MULTIPLA TIPICAMENTE: il 65­70% dei rivascolarizzati a livello tibiale sono DIABETICI. LA MALATTIA ATEROSCLEROTICA NEL DIABETICO GENERALMENTE: • NON COLPISCE: ◦ LA ARTERIA FEMORALE ◦ LE ARTERIE DEL PIEDE. • COLPISCE IN MOLTEPLICI PUNTI SOPRATTUTTO LA ARTERIA TIBIALE. Di conseguenza il circolo del piede è integro, le arterie pedidea e plantare sono pervie, è la arteria tibiale ad essere deficitaria. Dal punto di vista chirurgico questo è molto rilevante: è sufficiente un bypass femoro o popliteo distali che sono spesso risolutivi. •

DIAGNOSI DIFFERENZIALE:

È IMPORTANTE RIUSCIRE A DISTINGUERE TRA UN PIEDE DIABETICO VASCOLARE E UNA NEUROPATICO, di conseguenza ricordiamo che: • il piede diabetico NEUROPATICO si caratterizza per: ◦ polsi arteriosi conservati: tibiale posteriore, femorale e popliteo. ◦ La caratteristica localizzazione delle lesioni in sede plantare a livello della articolazione metatarso falangea e del tallone. • Il piede diabetico VASCOLARE si caratterizza per: ◦ assenza dei POLSI PERIFERICI tibiale posteriore, femorale e popliteo. ◦ Emovelocimetria doppler che dimostra al presenza di alterazioni del flusso ematico. ◦ La valutazione dell'indice di WINDSOR NON È ATTENDIBILE: in presenza di calcificazioni della arteria tibiale la pressione arteriosa risulta inevitabilmente sovrastimata. • Angiografia che può dimostrare la presenza di: ◦ la presenza di arterie FEMORALI E DEL PIEDE PERVIE. ◦ La ASSENZA DI FLUSSO NELLA ARTERIA TIBIALE. La mancanza di sensibilità periferica fa si che il paziente cerchi cure mediche tardivamente, quando la malattia si manifesta già in forma gangrenosa.

TERAPIA: 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 6: il piede diabetico il trattamento del piede diabetico richiede anzitutto: • DETERSIONE chirurgica ed enzimatica della ferita. • STERILIZZAZIONE con acqua ossigenata e antibiotici. • RIPARAZIONE TISSUTALE. OLTRE ALLA TERAPIA DELLA LESIONE si eseguono: • interventi di chirurgia vascolare, nello specifico: ◦ angioplastica prossimale. ◦ Bypass femoro o popliteo distali. ◦ Fibrinolisi e bypass. • Altri tipi di terapia: ◦ stimolazione midollare. ◦ Terapia iperbarica. LA TERAPIA CHIRURGICA: la terapia chirurgica prevede di fatto una rivascolarizzazione femoro­popliteo­tibiale, questa viene eseguita normalmente utilizzando: • SOPRATTUTTO MATERIALE AUTOLOGO di derivazione della vena safena del paziente se è possibile, piccola o grande, o di vene dell'arto superiore. • OVE NECESSARIO DI MATERIALE SINTETICO: si cerca di evitare l'impianto di materiale sintetico maggiormente soggetto a fenomeni infettivi. Se il trattamento viene eseguito con bypass, a 5 anni la sopravvivenza dell'arto si aggira intorno all'85­90% dei casi. LA OSSIGENOTERAPIA IPERBARICA: si fa inalare al paziente ossigeno ad alta pressione in una camera appositamente costituita, questa terapia viene utilizzata per diverse patologie, dalla malattia dei sub o malattia dei cassoni al piede diabetico e non solo. L'ossigeno ad alta pressione ha numerose attività: • è un potente battericida e batteriostatico. • Stimola i processi riparativi tissutali attivando osteogenesi e fibroblasti. • Agisce sulla vascolarizzazione periferica: ◦ incrementa la angiogenesi in condizioni di ischemia. ◦ Provoca vasocostrizione. ◦ Determina una diminuzione del passaggio di liquidi all'interstizio, fa calare la permeabilità del vaso. ◦ Stimola la attività citicida dei leucociti. STIMOLAZIONE MIDOLLARE: si ricorre raramente in caso di piede diabetico a questo approccio terapeutico, e solo in caso di ischemia periferica: si applica con un catetere introdotto a contato con i cordoni posteriori del midollo spinale uno stimolatore elettrico. Questo catetere viene connesso ad un pacemaker che emette impulsi che possiamo essere regolati in ampiezza e frequenza, si è visto che la stimolazione può provocare un miglioramento di queste lesioni soprattutto se di piccolo calibro. La attività di questi impulsi è molto importante: • stimola fibre ad attività vasodilatatrice ed inibisce quelle vasocostrittrici. • Stimola la angiogenesi perferica. • Riduce la attività di aggregazione piastrinica. • Stimola la neoangiogenesi. • Migliora la filtrazione ematica. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 6: il piede diabetico • Diminuisce la viscosità ematica. Questo sistema inoltre consente di incrementare la sensibilità periferica carente in questi pazienti. Le indicazioni per questo tipo di terapia sono relative a PICCOLE LESIONI che NON EVOLVONO IN MODO REPENTINO. Il paziente diabetico va quindi monitorato con ATTENZIONE nel corso del tempo e le lesioni tipiche di questa patologia devono essere trattate precocemente.

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Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico

SINDROME DELLO STRETTO TORACICO la sindrome dello stretto toracico è una sindrome DA COMPRESSIONE NEUROVASCOLARE DELL'ARTO SUPERIORE, si tratta di una condizione molto spesso post traumatica detta anche thoracic outlet syndrome: con questo termine si comprende oggi una lunga serie di quadri patologici caratterizzati da una sintomatologia legata ad eventi compressivi che interessano il fascio di vasi e nervi che decorrono dalla regione cervicale e mediastinica verso l'arto superiore. FATTORI CAUSALI: i fattori causali, spesso definiti fattori predisponenti in quanto la patologia si scatena soprattutto a seguito di eventi traumatici, possono essere: • CONNATALI: ◦ presenta di una costa cervicale accessoria. ◦ Presenta di una megapofisi della settima vertebra cervicale. • RIPARAZIONE DI UNA FRATTURA CLAVICOLARE che si accompagna alla formazione di CALLI OSSEI ESUBERANTI. • PATOLOGIE MUSCOLARI soprattutto per quanto riguarda ipertrofie di SCALENI ANTERIORE E MEDIO, SUCCLAVIO E PICCOLO PETTORALE. • FORMAZIONE DI BANDE FIBROSE esiti di traumi a livello sopraclaveare. La comprensione anatomica del termine “STRETTO TORACICO” è fondamentale ai fini di comprendere la eziologia della patologia; nel complesso l'area dello stretto toracico comprende TRE PUNTI CRITICI DI PASSAGGIO DEL FASCIO VASCOLONERVOSO CITATO: • IL TRIANGOLO INTERSCALENICO costituito dal margine superiore della prima costa inferiormente e dai due muscoli scaleni medio e anteriore, rispetto a questo triangolo: ◦ la arteria succlavia e i rami del plesso brachiale passano attraverso il triangolo. ◦ La vena succlavia passa appena anteriormente al muscolo scaleno anteriore. • PINZA COSTO­CLAVICOLARE compreso tra le due superfici mediali inferiore e superiore rispettivamente della clavicola e della prima costa. • PROCESSO CORACOIDEO DELLA SCAPOLA al di sotto del quale passa l'intero fascio vascolare e nervoso sopra descritto, in prossimità del muscolo piccolo pettorale.

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Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico immagine tratta da wikipedia

1-triangolo interscalenico. 2-pinza costo-clavicolare. 3-pr coracoideo e piccolo pettorale.

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In questa sede, oltre alle strutture sopra citate, troviamo naturalmente la vena cefalica, tributaria della succlavia, e diversi muscoli compresi nella struttura della articolazione della spalla e delle articolazioni della clavicola. L'intera regione, essendo prossima alla spalla, articolazione dotata di enorme mobilità, è sottoposta a enormi stress motori continui che ne mutano, seppur provvisoriamente, la conformazione. EZIOLOGIA MUSCOLARE: ad oggi si pensa che la maggior parte delle sindromi dello stretto toracico sia dovuta alla presenza di uno SQUILIBRIO TRA STRUTTURE ANATOMICHE ANTAGONISTE, nello specifico la dimensione dello stretto toracico è determinata e regolata dalla attività di muscoli: • DI CHIUSURA cioè i muscoli scaleni, succlavio e piccolo pettorale; questi muscoli: ◦ abbassano il cingolo scapolare. ◦ Alzano la prima costa. • DI APERTURA cioè i muscoli trapezio, elevatore della scapola e romboide; questi muscoli: ◦ innalzano il cingolo scapolare. ◦ Allargano lo stretto toracico. Una sindrome dello stretto toracico PUÒ SVILUPPARSI ANCHE DAL SOLO SQUILIBRIO FUNZIONALE DI QUESTI IMPORTANTI GRUPPI DI MUSCOLI. EPIDEMIOLOGIA: i soggetti maggiormente colpiti si collocano nella III o IV decade di vita e nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di femmine. È interessante la associazione tra particolari biotipi costituzionali e la patologia in questione: • NELLE DONNE si manifesta soprattutto in individui longilinei microsplancnici: si pensa che l'atteggiamento con spalle piegate in avanti possa favorire questo tipo di patologia, alcuni d'altro canto pensano che, piuttosto che una causa, potrebbe 2


Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico trattarsi di una conseguenza della patologia. NEL MASCHIO sono molto più frequenti i casi di individui BRACHITIPI con muscolatura sviluppata, spesso impiegati in lavori faticosi. Solo un terzo dei pazienti affetti presenta effettivamente una malformazione ossea e molti soggetti affetti da malformazioni ossee associate alla sindrome in questione (coste cervicale e megapofisi della settima vertebra cervicale) risultano asintomatici: la associazione non è quindi così stretta. SINTOMI: LA COMPRESSIONE DEL FASCIO NEUROMUSCOLARE DA ORIGINE A SINTOMI MOLTO IMPORTANTI raggruppabili in tre grandi categorie: • ARTERIOSI principalmente ischemici; in particolare quando il paziente lavora con il braccio alzato si possono verificare: ◦ claudicatio dell'arto superiore, la arteria si comprime in fase di lavoro, l'arto si stanca e diviene dolorante. ◦ Pallore dell'arto. ◦ Ipotermia. ◦ Necrosi digitali che compaiono soprattutto in caso di embolizzazioni a partenza dall'arteria succlavia in particolare in presenza di dilatazioni aneurismatiche post stenotiche. ◦ sindrome di Reynaud1. Questi sintomi scompaiono quando il paziente assume una posizione normale. • VENOSI principalmente dovuti ad un aumento di volume dell'arto, apprezziamo: ◦ dolore dell'arto. ◦ Edema. ◦ Distensione delle vene superficiali. Se la compressione è protratta a lungo nel tempo, la vena può OCCLUDERSI FORMANDO UN TROMBO, si verifica quindi una TROMBOSI DELLA VENA SUCCLAVIA CON ARTO PERMANENTEMENTE: ◦ voluminoso. ◦ Dolente. ◦ Arrossato o violaceo. In questo caso le vene della regione pettorale risultano particolarmente gonfie: il sangue prende altre vie in particolare quelle delle vene superficiali, della spalla e della regione pettorale. • NERVOSI avremo quindi dolori irradiati dal collo lungo l'arto superiore fino alla mano. La compressione delle fibre può provocare: ◦ dolore come accennato: il dolore alla mano colpisce soprattutto quarto e quinto dito a causa del particolare coinvolgimento del nervo ULNARE. ◦ Parestesie. ◦ Debolezza muscolare. ◦ Perdita di sensibilità. Molto spesso questa sintomatologia presenta carattere misto, dolore edema e ischemia si •

1 Patologia dovuta ad irritazione delle fibre simpatiche che innervano le dita, si manifesta con una vasocostrizione periferica spastica molto importante. Dal punto di vista clinico si verifica anche in questi casi ma è un fenomeno comune a numerosissime patologie.

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Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico sovrappongono. A prescindere dal prevalere dell'uno o dell'altro aspetto, LA CARATTERISTICA FONDAMENTALE DEL SINTOMO È CHE SI VERIFICA NEL MOMENTO IN CUI L'ARTO VENGA POSTO IN UNA DETERMINATA POSIZIONE: sollevamenti, retrorotrazioni e stress legati a pesi sulle spalle possono far emergere quadri patologici anche gravi.

DIAGNOSI:

la RACCOLTA ANAMNESTICA È FONDAMENTALE NELLA DIAGNOSI DI SINDROME DELLO STRETTO TORACICO, in particolare si richiedono informazioni relative a: • TRAUMI soprattutto a livello dorsale, della spalla e della regione claveare. • DURATA DEI SINTOMI E SVILUPPO DEGLI STESSI. • PRESENZA DI REFERTI PRECEDENTI come accennato relativi a problemi di malformazioni congenite. L'esame obiettivo È FONDAMENTALE e si basa soprattutto sulla analisi e valutazione di: • polso arterioso. • manovre semeiologiche capaci di evidenziare la compressione. Le indagini strumentali spaziano poi dal indagini di tipo emodinamico ad indagini a carattere nervoso. ESAME OBIETTIVO: prevede la rilevazione di: • SOFFI ARTERIOSI percepibili soprattutto in determinate posizioni in cui, a causa della stenosi, il flusso da laminare diviene vorticoso. • DILATAZIONE ANEURISMATICA DELLA SUCCLAVIA: determinata come accennato in precedenza dalla presenza di lesioni subocclusive, si tratta infatti di un aneurisma POST STENOTICO. La pericolosità di questa patologia è legata al fatto che trombi di dimensioni anche notevoli possono embolizzare provocando ischemie acute periferiche. • TEST DI HEXNER. • TEST HANDS UP O TEST DI ROSS: portando l'articolazione della spalla a 90° e piegando a 90° anche la articolazione del gomito si ottiene un impallidimento delle estremità delle mani che risulterà molto più evidente nella mano malata. I TEST POSTURALI: è possibile eseguire tre tipologie di test nella valutazione della sindrome dello stretto toracico, si parla di TEST POSTURALI la cui positività correla con la localizzazione della compressione: • TEST DI ADDISON che determina una positività per una compressione tra i due scaleni anteriore e medio. Si esegue con: ◦ paziente seduto a tronco eretto. ◦ Rotazione del capo dal lato da esaminare. Si determina una SCOMPARA DEL POLSO RADIALE per compressione a livello dello spazio interscalenico. • TEST DI MC GOWAN o EDEN che determina una positività per una compressione tra prima costa e clavicola. Si esegue con: ◦ paziente seduto o in piedi. ◦ spalle proiettate indietro. Si parla di posizione dell'attenti militare e comporta una riduzione dello spazio costo 4


Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico clavicolare che comprime la arteria succlavia. TEST DI WRIGHT che determina una positività per una compressione da parte del muscolo piccolo pettorale, nello spazio sottocoracoideo. Si esegue in questo modo: ◦ paziente con arto superiore sollevato. ◦ Rotazione del capo e in direzione opposta all'arto sollevato. Si osserva una compressione mediata in questo caso dal piccolo pettorale che comporta tra i 45 e i 90 gradi di abduzione del braccio la scomparsa del polso radiale. In tutti questi test si evidenzia la scomparsa del POLSO RADIALE. Nel testare la presenza o assenza del polso si UTILIZZA UNA SONDA ECOGRAFICA POSTA SULLA ARTERIA RADIALE. DIAGNOSI STRUMENTALE: la diagnosi strumentale si imposta sempre e comunque a partire da TECNICHE NON INVASIVE, nello specifico: • RX TORACE che consente di valutare aspetti molto importanti: ◦ esisti di fratture ossee. ◦ Presenza di una costa accessoria. ◦ Megapofisi della settima vertebra cervicale. Tutti i sospetti di sindrome dello stretto toracico devono essere sottoposti a due RADIOGRAFIE della colonna cervicale IN DUE PROIEZIONI DIFFERENTI che comprendano naturalmente la regione claveare al fine di evidenziare la presenza di coste cervicali. • ESAMI VASCOLARI NON INVASIVI come doppler ed ecocolordoppler. • ESAMI VASCOLARI INVASIVI come arteriografia e flebografia che consentono di individuare in maniera chiara la presenza di una ostruzione della arteria e della vena succlavi. Queste indagini vanno riservate a pazienti che: ◦ hanno necessità di eseguire un trattamento chirurgico. ◦ Presentano una sintomatologia abbastanza importante. • VALUTAZIONE DELLA FUNZIONE DEL NERVO ULNARE: si tratta di test neurologici importanti nella valutazione dell'eventuale danno funzionale del plesso brachiale stesso. Si possono eseguire: ◦ elettromiografia. ◦ Elettroneurografia. ◦ Potenziali evocati somatosensoriali. Attualmente la MIGLIOR VISUALIZZAZIONE DELLE STRUTTURE VASCOLARI E NERVOSE LOCALI È GARANTITA DA ANGIO­TC e ANGIO­RMN. IL CONTROLLO ECOGRAFICO: il controllo ECOGRAFICO TRAMITE DOPPLER è fondamentalmente un controllo che viene eseguito in punti differenti: • sopraclaveare. • Brachiale. • Sulla piega del gomito. • Radiale. Il controllo nei diversi punti è fondamentale per valutare la gravità della patologia eventualmente presente. •

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Giordano Perin: fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 7: sindrome dello stretto toracico L'ANEURISMA DELLA ARTERIA SUCCLAVIA: si tratta di un piccolo aneurisma post stenotico estremamente pericoloso per le sue potenziali conseguenze: i trombi di varia entità e dimensione presenti in tale aneurisma possono provocare embolie importanti di arterie distali, dalle arterie digitali a quelle omerali.

TERAPIA:

non esiste una terapia medica per questo tipo di patologia, a seconda della gravità tuttavia si possono impostare: • TERAPIA CONSERVATIVA come: ◦ FISIOTERAPIA che potenzia il cingolo scapolare dal punto di vista muscolare al fine di ovviare a tutti i problemi di sintomatologia. Questo approccio risulta efficace unicamente per casi di sintomatologia lieve e tenta di riequilibrare lo squilibrio muscolare che si può creare tra muscolatura anteriore e posteriore dello stretto toracico. Molto spesso si tratta di MASSOTERAPIA terapia composta da massaggi multipli in diverse parti del corpo. ◦ TERAPIA MIORILASSANTE, ANSIOLITICA, ANALGESICA. Questa terapia viene continuata per 3­6 mesi dopo di che si procede in caso di fallimento all'intervento chirurgico. • TERAPIA CHIRURGICA è l'unico trattamento per le forme gravi soprattutto in presenza di embolizzazioni periferiche e malformazioni scheletriche. IL TRATTAMENTO CHIRURGICO possiamo dire che spesso il paziente va incontro a recidive importanti e a sottoporsi a questi interventi sono soprattutto pazienti giovani che necessitano delle braccia per lavorare; si possono eseguire: • recisione del muscolo scaleno anteriore: ◦ SCLENOTOMIA che prevede il taglio del muscolo. ◦ SCALENECTOMIA che prevede la sua completa rimozione molto utile nelle forme di compromissione nella parte alta dello stretto. • Recisione del PICCOLO PETTORALE. • Asportazione della PRIMA COSTA. • In presenza di alterazioni ossee congenite si provvede, ovviamente, alla loro rimozione. La asportazione della costa soprattutto, se non eseguita con completa rimozione del periostio, è spesso seguita dalla ricrescita dell'osso stesso e quindi dalla recidivizzazione; lo stesso concetto si applica alla rimozione dei muscoli pettorale o scaleno rispetto alla retrazione cicatriziale che ne consegue. In caso di lesione della arterie digitali si eseguiva un tempo anche la simpaticectomia: la eliminazione delle fibre simpatiche oggi si esegue di rado e interessa principalmente fenomeni di iperidrosi palmare.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE:

questa patologia viene diagnosticata piuttosto raramente e viene spesso confusa con: • periartrite scapolo­omerale. • Artrosi cervicale. • Radicolite. • Sindrome del tunnel carpale. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari

TRAUMI VASCOLARI i traumi vascolari sono delle evenienze estremamente comuni, rappresentano: • il 2% di tutti i traumi civili. • Nel 20­70% dei casi si associano a fratture o dislocazioni scheletriche che danneggiano il vaso. • In percentuale variabile dall'1,5 al 6,5% i traumi scheletrici sono accompagnati da traumi vascolari. Nella stragrande maggioranza dei casi il trauma vascolare È UN TRAUMA CHIUSO, non si manifesta cioè con una emorragia esterna. La chirurgia dei traumi vascolari è stata molto utilizzata soprattutto in guerra: a partire dalle legature molto utilizzate nella prima e seconda guerra mondiale fino alle ricostruzioni immediate, molto utilizzate nella guerra del Vietnam.

CLASSIFICAZIONE DEI TRAUMI VASCOLARI:

i traumi vascolari si possono classificare in tre grandi categorie: • TRAUMI VASCOLARI DIRETTI determinati da: ◦ ferite. ◦ Traumi contusivi. • LESIONI INDIRETTE determinate da: ◦ arteriospasmo. ◦ Iperdistensione. ◦ Dilatazione. • SEQUELE CRONICHE di danni di altro tipo. Distinzione clinica fondamentale riguarda in ogni caso: • LESIONI APERTE. • LESIONI CHIUSE. Dove nonostante la grossa perdita di sangue nel primo caso il quadro è tanto eclatante che l'intervento è quasi sempre mirato e preciso; nel secondo caso invece la perdita di sangue è meno evidente e meno evidente è il danno periferico che si crea. LE LESIONI DIRETTE: le lesioni dirette sono classificabili in due grandi categorie: • TRAUMI CONTUSIVI che possono essere determinati da: ◦ compressione determinata spesso da fratture ossee. ◦ Contusione che provoca spesso trombosi importanti. Le lesione si sviluppa in questo caso dall'interno verso l'esterno della arteria e di conseguenza interessa in primo luogo l'intima, di conseguenza: ◦ la ferita NON È APERTA generalmente E NON C'È EMORRAGIA. ◦ I fenomeni ISCHEMICI che si osservano sono dovuti alla TROMBOSI. • FERITE che possono essere definite: ◦ DA TAGLIO, PUNTA E ARMA DA FUOCO, possono poi essere tangenziali, oblique, perforanti a seconda della direzione impressa al colpo per esempio. ◦ FERITE IATROGENE: si verifica pungendo con un ago una arteria per esempio: se non viene esercitata una pressione sufficiente sulla arteria il rischio è quello che la lesione, sotto la pressione del sangue, provochi l'apertura di una breccia sulla 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari parete. la direzione della lesione è quindi dall'esterno verso l'interno in questo caso. Queste lesioni possono essere classificate come: ◦ DI PRIMO GRADO se interessano AVVENTIZIA e MEDIA o solo la avventizia. ◦ DI SECONDO GRADO se PENETRANO NEL LUME. ◦ DI TERZO GRADO se coinvolgono invece la PENETRAZIONE TOTALE DEL VASO. Le conseguenze di questo trauma sono differenti chiaramente, si assiste a: ◦ EMORRAGIA ESTERNA dove si hanno: ▪ perdita di grandi quantità di sangue. ▪ Spasmo delle strutture vasali: il vaso arteriolare soprattutto si contrae e, se reciso per esempio in senso perpendicolare al suo sviluppo, può bloccare l'emorragia. ◦ ISCHEMIA ACUTA viene ad interrompersi infatti il flusso di sangue all'arto. LE LESIONI INDIRETTE: le lesioni indirette si classificano in tre categorie: • ARTERIOSPASMO: si tratta di uno spasmo muscolare a genesi meccanica di una arteria sana, la arteria non è malata. ◦ Colpisce generalmente le arterie degli arti. ◦ Si tratta di un evento raro. La diagnosi si fa per esclusione generalmente e viene confermata tramite ecodoppler o angiografia. • IPERDISTENSIONE: segue generalmente a traumi ortopedici come la dislocazione di grandi articolazioni o al frattura delle stesse, dal punto di vista pratico abbiamo lo STIRAMENTO DEL VASO che risulta, appunto IPERDISTESO. La distensione: ◦ interessa la tonaca intima e la media, ma non l'avventizia. ◦ Provoca la formazione di un TROMBO a livello della regione lesa che DA FENOMENI ISCHEMICI PERIFERICI. • DECELERAZIONI cioè conseguenza di una brusca interruzione di un moto determinata da una caduta o da un incidente stradale generalmente. Possiamo distinguere: ◦ PURA DECELERAZIONE a carattere: ▪ VERTICALE dove la lesione interessa soprattutto la parte ascendente dell'arco aortico. ▪ TRASVERSALE dove la lesione interessa soprattutto la parte discendente dell'arco aortico. ◦ DECELERAZIONE COMBINATA dove oltre alla decelerazione è presente un trauma diretto al torace. ◦ CADUTA SUL DORSO determinata generalmente da un incidente stradale. ◦ ESPLOSIONE L'INTERVENTO SULLA ARTERIA LESA: l'intervento sulla arteria lesa può coinvolgere diverse metodiche, ma l'obiettivo è quello di ripristinare la integrità della parete: • lesioni lineari possono essere semplicemente suturate. • Lesioni a sviluppo trasversale con perdita di sostanza maggiore necessitano spesso di una patch al fine di evitare un eccessivo restringimento della parete. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari

TRAUMI VASCOLARI DI DIVERSE REGIONI DEL CORPO: i traumi vascolari possono interessare in modo differente diverse regioni dell'organismo con effetti e gravità differenti. TRAUMI VASCOLARI DEL TORACE: interessano soprattutto l'AORTA, ma in linea generale ricordiamo che i traumi del torace possono essere: • TRAUMA CHIUSO dove sono interessati soprattutto: ◦ arteria anonima. ◦ aorta discendente. • FERITA PENETRANTE che interessa generalmente regioni non vascolari come l'esofago per esempio. TRAUMI VASCOLARI DELL'ADDOME: presentano una elevata pericolosità in quanto si associano molto spesso ad infezioni, nello specifico è importante ricordare che possono riguardare: • TRAUMA CONTUSIVO nel 12% dei casi. • FERITA PENETRANTE nell'88% dei casi. A prescindere dalla causa questi traumi sono mortali nel 30­70% dei casi; la mortalità varia molto a seconda, naturalmente, del grado della lesione: • il numero delle lesioni arteriose è molto rilevante: con 4 lesioni arteriose la mortalità è del 100% contro il 45% di una lesione sola. • Il coinvolgimento della sola vena cava ha una mortalità molto elevata, intorno al 70%. • Il coinvolgimento duplice di vena cava e aorta ha una mortalità intorno al 93%. TRAUMI VASCOLARI DEL COLLO: a livello del collo nella stragrande maggioranza dei casi il trauma è aperto, si tratta di una ferita penetrante, ma possiamo avere, nel 10% dei casi, anche traumi chiusi. LA DISSEZIONE DELLA CAROTIDE: evento molto grave che si caratterizza per l'arresto del flusso alle regioni encefaliche da parte carotidea (permane attiva la vascolarizzazione vertebrale solitamente): • si verifica per esempio per: ◦ iper distensione o rotazione del collo. ◦ Trauma orale. ◦ In alcuni casi anche spontaneamente, non è chiaro in che modo. Nel complesso possiamo avere: ◦ dissezione diretta del vaso. ◦ Aneurisma dissecante dove nella dissezione non si rompe tutta l'arteria ma si verifica solamente un distacco della tonaca intima dalla media: ▪ il sangue penetra tra le due tonache. ▪ Il distacco tra le due tonache si amplia e si forma una sacca di sangue ad alta pressione. ▪ La sacca si allarga e occlude il vaso. • La sintomatologia è tardiva generalmente: ◦ sindrome di Claude Bernard Horner o irritazione del simpatico. ◦ Cefalee. ◦ Ischemia retinica fino alla cecità. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari ◦ Emiparesi. Si possono poi sviluppare tardivamente aneurismi ed occlusioni. TRAUMI VASCOLARI DEGLI ARTI: possono interessare: • ARTO SUPERIORE si tratta di ferite penetranti, possiamo dire che: ◦ le ischemie periferiche sono ben tollerate e l'intervento consente quasi sempre di salvare l'arto. ◦ Spesso si accompagnano a lesioni nervose vista la vicinanza del plesso brachiale. ◦ Le amputazioni sono infrequenti. • ARTO INFERIORE dove invece il trauma è generalmente CHIUSO, in questi casi: ◦ si verifica spesso una ipertensione compartimentale dove la massa muscolare contiene il danno localmente anche se l'emorragia continua. ◦ Il danno nervoso è molto meglio tollerato rispetto a quanto non avvenga per l'arto superiore. Dal punto di vista pratico ricordiamo due categorie di traumi vascolari dell'arto: • TRAUMA CHIUSO caratterizzato da: ◦ fratture ossee. ◦ Lesioni dei tessuti molli. La diagnosi è spesso tardiva e i risultati dell'intervento chirurgico sono peggiori. • TRAUMA PENETRANTE che invece si caratterizza per la presenza di un quadro clinico spesso evidente e, di conseguenza, un approccio chirurgico più diretto e di maggiore successo. FREQUENZA DELLE LESIONI: nel complesso a seguito di un trauma vascolare di un arto possiamo osservare diversi tipi di lesione: • lesione nervosa, estremamente frequente, più del 50% dei casi. • lesione ossea, più del 20% dei casi. • lesione venosa che si verifica circa nel 20% dei casi. LA SINDROME COMPARTIMENTALE: si verifica abbastanza spesso per traumi degli arti inferiori ma anche per traumi di altre regioni del corpo, si tratta di una sindrome caratterizzata da: • tumefazione del compartimento muscolo fasciale. • Dolore. • Parestesie. • Paralisi. Questo tipo di patologia è dovuto fondamentalmente allo sviluppo di una compressione sulle strutture nervose muscolari e vascolari prossime alla lesione vascolare. Questo tipo di patologia interessa soprattutto le arterie: • tibiale anteriore. • Tibiale posteriore. • Peroniera. Ognuna di queste arterie che irrora il piede è infatti accompagnata da vena e nervo. A livello dell'arto superiore la presenza di un trauma vascolare con sindrome compartimentale può dare origine ad una SINDROME DI WOLKMANN caratterizzata da: • contrattura permanente di mano e polso. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari • Estensione passiva delle dita soprattutto difficoltosa e dolorosa. Le dita divengono solitamente biancastre e bluastre, sparisce inoltre il polso periferico. EZIOPATOGENESI: si tratta di una sindrome vascolare vera e propria: • l'ischemia periferica indotta da trauma, differente a seconda dei casi, innesca meccanismi di trasudazione tissutale di liquidi. • La tumefazione tissutale rende ancor più difficile il ritorno venoso del sangue e si forma una iperemia passiva con conseguente incremento della ischemizzazione. • Si verificano le conseguenze caratteristiche della ischemia acuta locale: ◦ necrosi muscolare. ◦ Disfunzione nervosa. Con la necrosi muscolare e la liberazione di mioglobina si possono verificare quadri di urine ipercromiche determinati dal deposito di questa proteina nelle urine stesse. Nei casi più gravi le alterazioni metaboliche e l'aumento soprattutto del potassio possono provocare aritmie importanti. TERAPIA: la terapia prevede: • ripristino della vascolarizzazione più velocemente possibile. • Apertura degli spazi muscolari tramite FASCIOTOMIA, la fasciotomia è indicata in caso di: ◦ ischemia prolungata. ◦ Esteso danno tissutale. ◦ Concomitante lesione arteriosa e venosa.

DIAGNOSI:

la diagnosi dei traumi vascolari si esegue fondamentalmente tramite: • valutazione della emorragia che in caso di trauma esteso o importante diviene grave. • Assenza dei polsi distali. • Presenza di soffi vascolari. • Presenza di ematomi, eventualmente pulsanti se soprastanti una lesione arteriosa. • Presenza di paralisi e parestesie. • Ipotermie. • Tecniche di imaging possono essere d'aiuto: ◦ ecocolordoppler. ◦ Angiografia.

TRATTAMENTO:

è fondamentale prima di procedere al trattamento ottenere alcune informazioni essenziali, nello specifico: • situazione dei segmenti ossei tramite una RX. • Angiografia che può essere eseguita anche eventualmente in fase intraoperatoria. Si procede quindi con un approccio con due team chirurgici generalmente, gli obiettivi sono: 1. stabilizzazione ossea e articolare. 2. Rivascolarizzazione della regione. 3. Riparazione della lesione venosa. 4. Fasciotomie. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 8: traumi vascolari LA PROCEDURA CHIRURGICA: le possibilità chirurgico terapeutiche sono fondamentalmente 4: • anastomosi termino terminale dei segmenti. • Arteriorrafia cioè sutura del vaso arterioso. • Bypass con vena autologa, sicuramente la scelta migliore nel momento in cui si debba eseguire un bypass. • Bypass in PTFE o politetrafluoroetilene, materiale plastico liscio, elastico e capace di resistere ad alte temperature. Si possono inoltre utilizzare degli SHUNT TEMPORANEI al fine di RIDURRE IL TEMPO DI ISCHEMIZZAZIONE PERIFERICA, è indispensabile tuttavia prestare attenzione a fattori quali: • sindrome compartimentale. • Sindrome da rivascolarizzazione. Che possono peggiorare la prognosi del paziente. RISULTATI: dal punto di vista clinico sono due i target fondamentali da raggiungere nell'intervento chirurgico vascolare dell'arto soprattutto: • pervietà dell'asse vascolare. • Salvataggio dell'arto e mantenimento della sua funzione.

I TRAUMI VASCOLARI IATROGENI:

visto soprattutto il notevole incremento dell'uso di terapie diagnostiche e chirurgiche a carattere intravascolare, l'incidenza di traumi vascolari iatrogeni è andata aumentando in questi anni. Nel complesso traumi iatrogeni si possono classificare in: • danno diretto a vasi di grosso calibro in sede intraoperatoria. • Complicanze di radiologia vascolare interventistica o diagnostica invasiva a scopo DIAGNOSTICO o TERAPEUTICO. • Complicanze legate a linee arteriose e venose utilizzate a scopo di monitoraggio o terapia. I traumi possono poi essere: • da SEZIONE o STRAPPAMENTO facilmente individuabili. • Da PERFORAZIONE o LEGATURA più difficilmente diagnosticabili. DIVERSI TIPI DI TRAUMI VASCOLARI IATROGENI: nel complesso possiamo avere traumi vascolari iatrogeni di derivazione: • GINECOLOGICA molto rari, circa lo 0,5­0,7% dei traumi vascolari, interessano ARTERIE E VENE ILIACHE. Possono provocare: ◦ ischemia. ◦ Emorragia. ◦ Edema. Dell'arto inferiore. • CHIRURGIA LAPAROSCOPICA, possono interessare: ◦ aorta distale. ◦ Vena cava. ◦ Arterie e vene iliache. Provocando anche una grave emorragia. • CHIRURGIA ORTOPEDICA in particolare per alcuni interventi chirurgici: 6


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◦ posizionamento di artoprotesi d'anca: l'interessamento delle arterie iliaca esterna o femorale avviene nello 0,3% dei casi. ◦ Chirurgia del ginocchio dove possono essere interessati arteria poplitea e vena poplitea. ◦ Ernia discale e lombare, in particolare per i vasi iliaci. ◦ Osteosintesi dove la patologia può interessare le arterie tibiali e l'arteria femorale superficiale. ANGIOGRAFICA dove i traumi sono frequenti nei pazienti che presentano gravi lesioni ateroscelrotiche. Il quadro interessa soprattutto: ◦ le arterie femorale e ascellare. ◦ La formazione di: ▪ pseudoaneurismi dovuti alla formazione di una deformazione sacciforme della parete vascolare. ▪ fistole aterovenose dovute alla perforazione involontaria di arteria e vene contemporaneamente: con l'estrazione dell'ago si provoca una comunicazione patologica. ▪ Trombosi determinata dalla involontaria distruzione dell'endotelio vascolare. CATETERISMO: l'incidenza dei traumi di questo tipo, lievemente differente nelle due vie utilizzate più di frequente cioè la via ascellare e quella femorale, è calata con il perfezionamento delle tecniche chirurgiche. INIEZIONE INTRAARTERIOSA ACCIDENTALE DI FARMACI, può succedere in caso di: ◦ somministrazione di terapia endovenosa che erroneamente colpisca l'arteria brachiale. ◦ Scleroterapia che può inavvertitamente essere eseguita sulla arteria tibiale posteriore.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare

INSUFFICIENZA CEREBROVASCOLARE le problematiche di vascolarizzazione dell'encefalo legate ad una insufficienza di flusso carotideo sono sicuramente LA PRINCIPALE RICHIESTA DI INTERVENTO IN CHIRURGIA VASCOLARE. Solo alcune delle patologie che interessano le arterie che irrorano il cervello si verificano in regioni che si possono facilmente aggredire in termini chirurgici, si parla soprattutto di patologie della REGIONE LATEROCERVICALE. La insufficienza vascolare carotidea si caratterizza fondamentalmente per una carenza di vascolarizzazione dell'encefalo: il tessuto cerebrale è il tessuto che più facilmente degenera una volta sottoposto a questo tipo di stress. Le sindromi che fondamentalmente provocano quadri di questo tipo sono due: • FURTO DELLA SUCCLAVIA. • STENOSI CAROTIDEE. EPIDEMIOLOGIA: la insufficienza vascolare cerebrale rappresenta la terza causa di morte nel mondo dopo cardiopatie e tumori, si tratta di una malattia di elevatissimo costo sociale: • i pazienti spesso perdono la loro AUTONOMIA: comuni conseguenze di una insufficienza vascolare sono emiparesi ed emiplegie che costringono all'uso di carrozzine o bastoni. • I pazienti devono spesso essere ricoverati in case di riposo o case di accoglienza. Presenta un'alta mortalità: 133 morti ogni 100.000 sono dovuti a questo tipo di patologia e alle sue complicazioni. ANATOMIA DELL'ALBERO VASCOLARE AORTICO E CAROTIDEO: a partire dalla origine della Aorta, escluse le arterie coronarie, i tre rami che per primi normalmente originano dall'arco aortico sono: • TRONCO ANONIMO dal quale si sviluppano succlavia e carotide destra. • ARTERIA CAROTIDE COMUNE SINISTRA. • ARTERIA SUCCLAVIA SINISTRA. Questi tre tronchi nel complesso garantiscono la irrorazione dell'encefalo, del capo collo e dell'arto superiore. Le due carotidi comuni danno vita a livello dell'angolo della mandibola a due rami fondamentalmente: • LA CAROTIDE INTERNA che vascolarizza effettivamente l'encefalo. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare • LA CAROTIDE ESTERNA che vascolarizza invece i tegumenti della faccia. LA VASCOLARIZZAZIONE DELL'ENCEFALO: la vascolarizzazione encefalica dipende da due serie di vasi: • arterie vertebrali che nascono dalle arterie succlavie e danno vita al tronco basilare. • Le arterie carotidi interne. Nel complesso questi rami vascolari si riuniscono per dare vita al POLIGONO DEL WILLIS composto da: • i rami afferenti al sistema vascolare del poligono del Willis appena descritte. • Tre arterie cerebrali: arteria cerebrale anteriore, arteria cerebrale posteriore e arteria cerebrale media. La arteria cerebrale media è sicuramente la arteria principalmente coinvolta nello sviluppo di fenomeni a carattere embolico, nello specifico possiamo dire le principali regioni affette da fenomeno sono generalmente le aree motorie. • Rami comunicanti posteriori e anteriore. Le patologie ad interesse chirurgico si collocano ALL'ESTERNO DELL'ENCEFALO e al di sopra della clavicola. LA STENOSI CAROTIDEA: la stenosi carotidea, generalmente ad eziologia aterosclerotica, deriva fondamentalmente da fenomeni di: • STENOSI fino alla ostruzione della arteria. • EMBOLIZZAZIONE dovuta alla rottura di una placca nel lume vasale e alle irregolarità di parete caratteristiche della patologia aterosclerotica allo stadio avanzato. Dal punto di vista pratico possiamo dire che si POSSONO VERIFICARE DUE TIPOLOGIE DI INCIDENTE CEREBROVASCOLARE: • EMOBOLICO sicuramente il più frequente. • EMODINAMICO dove la diminuzione del flusso diviene tale da determinare un calo della pressione di PERFUSIONE che può diventare tanto significativo da provocare problemi ischemici. EZIOLOGIA: dal punto di vista pratico possiamo dire che fondamentalmente le cause sono le seguenti: • ATEROSCLEROSI che rappresenta la causa del 90% delle lesioni di questo distretto. • ANOMALIE MORFOLOGICHE che possono provocare problemi importanti, spesso la aterosclerosi favorisce questo tipo di fenomeno fino a formare eventualmente delle tortuosità Stenosi carotidea definite: ateromatosa. ◦ TORTUOSITÀ con curvature senza angolazioni a C o ad S. immagine tratta da wikipedia 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare ◦ COIL dove si formano delle curvature a cerchio o a spirale rispetto all'asse longitudinale dell'arteria. ◦ KINK dove si formano invece delle pieghe ad angolatura marcata lungo il decorso della arteria. Nel momento in cui il paziente esegua alcuni movimenti particolari la arteria compressa non potrà più portare una adeguata quantità di flusso e di conseguenza si verificherà una sincope. • DISPLASIA FIBROMUSCOLARE: si tratta di un evento che si localizza spesso a livello dei vasi iliaci e femorali, solo più raramente nella carotide. Interessa generalmente le donne. • COMPRESSIONE AB ESTRINSECO che si può verificare a seguito di: ◦ tumori laterocervicali. ◦ Tumefazioni di tipo linfoghiandolare, linfoadenopatie di provenienza mediastinica. • OCCLUSIONI TRAUMATICHE E IATROGENE: un esempio tipico è quello del radioterapia, questo approccio terapeutico può provocare lesioni fibrocicatriziali di parete capaci di dare delle lesioni di parete importanti. • PROCESSI INFIAMMATORI: in particolare ricordiamo malattie relativamente rare come: ◦ la malattia di Takajasu: si tratta di una ostruzione della arteria succlavia che origina direttamente dal livello dell'arco aortico, viene detta anche malattia dei senza polso perché in questi pazienti è assente il polso radiale. ◦ Sindrome di moya moya caratterizzata da una stenosi delle arterie cerebrali alla base del cervelletto. LOCALIZZAZIONE DELLE PLACCHE: le placche aterosclerotiche si collocano principalmente: • a livello della biforcazione carotidea, questo avviene nel 75% dei casi. • a livello dell'arco aortico dove originano i vasi che vascolarizzano l'encefalo, questo avviene nel 25% circa dei casi. RAPPORTI ANATOMICI : sono numerose le strutture nervose che decorrono in prossimità dell'albero vascolare che origina dall'arco aortico, nello specifico ricordiamo: • nervo ipoglosso. • Nervo vago. • Nervo laringeo. La presenza di queste strutture può essere rilevante in termini delle possibili complicazioni. SINTOMATOLOGIA complessivamente possiamo individuare due grossi quadri sintomatologici: • SINTOMI DA INSUFFICIENZA CAROTIDEA prevalentemente anteriore, interessa soprattutto le arterie cerebrali. • SINTOMI DA INSUFFICIENZA VERTEBRO BASALE a sintomatologia prevalentemente posteriore, interessa soprattutto cervelletto e tronco dell'encefalo. Possiamo quindi riconoscere sintomi: • AD EZIOLOGIA CAROTIDEA: ◦ paresi cioè limitazione funzionale parziale. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare

◦ Paralisi che si caratterizza invece per il blocco totale del movimento che può interessare uno o entrambi gli arti. ◦ Parestesie ipsi o controlaterali. ◦ Amaurosi fugax: cecità monoculare temporanea totale generalmente ma a volte anche parziale. Dal punto di vista pratico indica che si è verificata una embolia della arteria centrale della retina, ricordiamo che LA AMAUROSI È OMOLATERALE ALLA LESIONE. ◦ Disartria e turbe fasiche: il verificarsi di questo tipo di sintomatologia indica generalmente un difetto nell'emisfero dominante. AD EZIOLOGIA VERTEBRALE: ◦ vertigini. ◦ Atassia. ◦ drop attack: il paziente cade improvvisamente a terra senza perdere coscienza, questo è dovuto ad UN REPENTINO BLOCCO DEL TONO MUSCOLARE. ◦ Disturbi visivi, nello specifico: ▪ emianopsie: perdita bilaterale di un quadrante del campo visivo. ▪ Diplopia.

SINTOMATOLOGIA DELLA INSUFFICIENZA CEREBROVASCOLARE INSUFFICIENZA CAROTIDEA paresi mono ed emilaterale parestesie mono ed emilaterali amaurosi fugax parestesie facciali turbe fasiche disartria cefalea emianopsia vertigini

59,00% 57,00% 34,00% 22,00% 21,00% 14,00% 11,00% 7,00% 6,00%

INSUFFICIENZA VERTEBRO BASILARE vertigini disturbi visivi diplopia parestesie atassia paresi disartria nausea e vomito drop attacks

51,00% 50,00% 44,00% 41,00% 41,00% 33,00% 21,00% 14,00% 4,00%

CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLA SINTOMATOLOGIA ACUTA: la sintomatologia acuta, dovuta ad uno specifico evento quindi, è fondamentalmente classificata in tre grandi quadri: • IL TIA transitory ischemic attack che si caratterizza per: ◦ deficit neurologici transitori di durata inferiore a 24 ore, durano spesso pochi minuti generalmente non più di un'ora. ◦ Non si accompagnano a lesioni cerebrali, si risolvono con restitutio ad integrum. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare RIND reversable ischemic neurologic deficit, si tratta di un quadro di: ◦ deficit neurologico transitorio. ◦ Da restitutio ad integrum in 4 settimane. • ICTUS o STROKE che invece presenta un quadro decisamente peggiore: ◦ la sintomatologia NON REGREDISCE MAI COMPLETAMENTE. ◦ C'è una NECROSI che da vita a CICATRICI ben visibili grazie a TC e RM cerebrali. A volta la funzione può essere, grazie alla azione delle zone vicine, parzialmente recuperata. DIAGNOSI: la corretta valutazione del quadro stenotico del paziente richiede la attenta valutazione di aspetti quali ESAME OBIETTIVO e DIAGNOSTICA PER IMMAGINI. ESAME OBIETTIVO: all'esame obiettivo si possono riscontrare fondamentalmente: • ALTERAZIONI DEL POLSO ARTERIOSO CAROTIDEO, relativamente poco significative. • SOFFIO CAROTIDEO che si manifesta per il restringimento del vaso arterioso, nonostante sia considerato un segno comune, il soffio non si registra in circa il 30% dei pazienti con stenosi importante. • MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA estremamente importante soprattutto se la stenosi interessa anche l'arteria succlavia. • ELETTROENCEFALOGRAMMA che misura la attività cerebrale, molto importante dal punto di vista pratico per valutare come risponde l'encefalo allo stato di ischemizzazione. • OFTALMOSCOPIA che consente di valutare la presenza di una embolizzazione della arteria retinica. DIAGNOS T ICA PER IMMAGINI: risulta fondamentale nel controllo del livello della stenosi, nello specifico ricordiamo: • DOPPLER ED ECO DOPPLER che consentono di valutare il flusso ematico all'interno della arteria. • ECOCOLORDOPPLER molto importante dal punto di vista clinico in quanto consente di valutare: ◦ flusso ematico nella carotide. ◦ entità della stenosi della carotide. ◦ caratteristiche della placca aterosclerotica, molto importanti dal punto di vista clinico. • TAC E ANGIOTAC che consentono di valutare la presenza di zone di ischemia a livello encefalico. • RMN che consente una valutazione ancora più precisa dello stato delle arterie cerebrali. • SCINTIGRAFIA poco utilizzata, può essere utile ancora una volta nella valutazione dei flussi cerebrali. • ANGIOGRAFIA e ANGIOGRAFIA DIGITALE: si tratta di tecniche invasive generalmente non utilizzate. Dal punto di vista radiodiagnostico è importante ricordare il fatto che le due arterie carotidi si possono distinguere in modo molto netto in quanto LA ARTERIA CAROTIDE INTERNA •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare NON PRESENTA DIRAMAZIONI EXTRACRANICHE al contrario di quella esterna. LE CARATTERISTICHE DELLA PLACCA ATEROMASICA: le placche ateromasiche soprattutto nel paziente di età superiore ai 50 anni, sono frequentissime, è indispensabile dal punto di vista diagnostico SELEZIONARE QUELLE CHE SONO LE PLACCHE PIÙ PERICOLOSE, questo è possibile unicamente grazie all'uso dell'ECOCOLORDOPPLER. Possiamo distinguere tre tipi di placche: • SOFT molle con alto contenuto lipidico, si ulcera più frequentemente perdendo il suo rivestimento endoteliale e liberando cristalli di colesterolo e materiale trombotico. • ULCERATA: si tratta di una placca SOFT che ha perso il suo rivestimento endoteliale e presenta al suo interno un cratere dove si accumulano piastrine che possono a loro volta embolizzare. Dal punto di vista ecografico si parla spesso di PLACCA A SPINA DI ROSA: la ulcerazione della placca consente il passaggio del contrasto all'interno del cratere e quindi da una tipica apparenza a spina di rosa. • HARD: la placca è in questo caso fondamentalmente calcifica, generalmente ha una superficie liscia ed è molto meno pericolosa delle precedenti. L'approccio per questi pazienti è generalmente conservativo. L'INTERVENTO CHIRURGICO: le indicazioni per l'intervento chirurgico in questo caso sono abbastanza restrittive, accedono alla terapia: • pazienti che non hanno mai avuto manifestazioni cliniche ma presentano: ◦ una stenosi visibile all'ecocolordoppler maggiore del 70%. ◦ una spettanza di vita almeno di 3 anni. • pazienti che presentano una ostruzione anche inferiore al 70% del lume ma che abbiano sofferto nel passato di eventi quali: ◦ TIA. ◦ INFARTI DI PICCOLA ENTITÀ O MINOR STROKE. È dimostrato infatti che la prevenzione è efficace per un intervento ogni 18 eseguiti, di regola non si interviene in pazienti che presentino: • situazioni neurologiche instabili. • Occlusione completa del vaso. STORIA DELLA CHIRURGIA VASCOLARE CAROTIDEA: storicamente i primi interventi di rivascolarizzazione carotidea diedero dei problemi molto più importanti rispetto a quanto non si registrasse prima dell'intervento stesso: questo aspetto è legato al fatto che il tessuto cerebrale è estremamente sensibile allo stress e se rivascolarizzato male va incontro a fenomeni emorragici molto gravi. Solo negli anni 80 è stato possibile determinare quali fossero le indicazioni adatte per sottoporre un paziente ad una terapia chirurgica vascolare; questo è stato possibile grazie a trials molto importanti relativi a: • TERAPIA CHIRURGICA. • TERAPIA MEDICA eseguita fondamentalmente con aspirina, antipertensivi e statine. Trials randomizzati della durata di 5 anni hanno consentito quindi di individuare due importanti quadri clinici: • pazienti che beneficiano di un intervento chirurgico assume il carattere di una UNA TERAPIA PREVENTIVA: non si opera un paziente emiplegico sperando che questo 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare migliori la sua condizione. Pazienti che non beneficiano della terapia: ◦ perché i benefici ottenibili sono minimi. ◦ Perché le complicanze che derivano dall'intervento possono essere molto importanti, dall'ictus alla emorragia cerebrale. Fondamentalmente per accedere all'intervento IL TASSO DI COMPLICANZE DEVE ESSERE MOLTO BASSO E IL TASSO DI PREVENZIONE MOLTO ALTO. MONITORAGGIO INTRAOPERATORIO: è fondamentale durante l'intervento di rivascolarizzazione il costante monitoraggio della attività cerebrale, questo può essere eseguito tramite: • EEG elettroencefalogramma come accennato in precedenza. • POTENZIALI EVOCATI SOMATOSENSITIVI o PESS. • MISURAZIONE DELLA PRESSIONE REFLUA A VALLE DEL CLAMPAGGIO: tecnica meno utilizzata, si punge la carotide a valle del clampaggio e si valuta qual'è la pressione residua nella stessa. Normalmente si valuta come pressione adeguata una pressione di 50mmHg o superiore: se questa è presente non occorre prendere altre precauzioni. • OSSIMETRIA CONGIUNTIVALE cioè la valutazione della saturazione di ossigeno a livello congiuntivale. • MONITORAGGIO IN FASE DI ANESTESIA LOCOREGIONALE: il paziente muove gli arti controlaterali alla lesione senza problemi, di conseguenza è possibile fargli eseguire una operazione ripetitiva a richiesta per valutare la sua capacità di movimento. La durata del clampaggio è normalmente di 20 minuti, non supera in ogni caso mai i 45. LO SHUNT INTRAOPERATORIO: nel caso in cui l'encefalo entri in uno stato di sofferenza determinato dal clampaggio, si utilizza il cosiddetto SHUNT, fondamentalmente si tratta di un tubo dotato alle due estremità di due piccoli palloncini capaci di dilatarsi ed occupare tutto lo spazio del lume arterioso. L'utilizzo prevede l'apposizione di: • un tubicino nella arteria carotide interna. • Un tubicino nella arteria carotide comune. Il rigonfiamento dei palloncini alle due estremità forza il sangue ad entrare attraverso lo shunt per portarsi dalla carotide comune a quella interna, bypassando il clampaggio. L'INTERVENTO: l'intervento normalmente adottato in questi casi è LA TROMBOENDOARTERIECTOMIA che prevede la asportazione di: • placca aterosclerotica. • Intima della arteria. • parte interna della tonaca media. si chiude poi l'arteria suturandola con sutura continua o con patch cercando di provocare il minor restringimento possibile. LO STENT CAROTIDEO: è possibile per: • pazienti che presentino una RISTENOSI successiva al primo intervento. • Pazienti tracheotomizzati. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare • Pazienti che hanno subito una terapia radiante del collo. LE COMPLICANZE POST OPERATORIE: le complicanze più rilevanti dal punto di vista clinico sono sicuramente sempre MORTE ed ICTUS, ricordiamo tuttavia anche: • COMPLICAZIONI PRECOCI come: ◦ LESIONI NERVOSE, nello specifico è possibile il coinvolgimento dei nervi: ▪ laringeo o ricorrente provocando la formazione di una voce bitonale o rauca. ▪ Ipoglosso anche se raramente. ▪ Vago anche se raramente. ◦ INFEZIONE DELLA FERITA CHIRURGICA. ◦ COMPLICAZIONI POLMONARI. ◦ COMPLICAZIONI CARDIOVASCOLARI. • COMPLICAZIONI TARDIVE come: ◦ RECIDIVA DELLA STENOSI. ◦ ANEURISMI e PSEUDOANEURISMI. ◦ CHELOIDI DELLA CICATRICE. l'incidenza delle complicanze in questo caso deve essere AL DI SOTTO DEL 3%: la chirurgia carotidea deve essere eseguita quindi unicamente in centri altamente specialistici al fine di evitare al massimo il rischio per un paziente che è generalmente asintomatico di andare incontro a lesioni molto gravi.

FURTO DELLA SUCCLAVIA:

la sindrome da FURTO DELLA SUCCLAVIA è una sindrome dovuta ad una anomalia ostruttiva della origine della arteria succlavia dalla aorta per quanto riguarda l'emisoma sinistro o del tronco anonimo per quanto riguarda l'emisoma destro. MECCANISMI EMODINAMICI: la ostruzione della arteria succlavia alla sua origine provoca la perdita di flusso a livello di: • arto superiore. • arterie vertebrali. La sintomatologia ostruttivo ischemica che si verifica in questo caso interessa l'encefalo e l'arto superiore È DETERMINATA DA UNA INVERSIONE DEL FLUSSO NELLA ARTERIA VERTEBRALE DERIVANTE DALLA SUCCLAVIA OSTRUITA, il sangue di fatto segue questo percorso: • cuore. • Arteria carotide. • Poligono del Willis. • Arteria vertebrale. • Arteria succlavia. Fondamentalmente quindi nel momento in cui l'arto superiore venga messo sotto stress, LA ARTERIA SUCCLAVIA SOTTRARRÀ UN IMPORTANTE VOLUME EMATICO DAL CIRCOLO DEL WILLIS. La sintomatologia dipenderà quindi fondamentalmente tra tre fattori: • sede della stenosi. • grado della stenosi che può essere più o meno grave fino eventualmente alla ostruzione completa. • Flusso ematico carotideo. EPIDEMIOLOGIA: 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare si tratta sicuramente di una patologia Emisoma sinistro poco frequente rispetto alle stenosi carotidee e spesso con il tempo si compensa e i disturbi tendono a scomparire. Questa sindrome si rinviene relativamente di rado: • ne soffre circa il 6­7% di pazienti portatori di soffio laterocervicale. • Ne soffre circa 2­3% dei pazienti sintomatici per affezioni CUORE cardiovascolari. EZIOLOGIA: la ostruzione della succlavia può essere dovuta alla presenza di: • placche aterosclerotiche: si tratta sicuramente DELLA CAUSA PIÙ RILEVANTE DAL PUNTO DI VISTA EPIDEMIOLOGICO. • Formazioni infiammatorie come avviene: ◦ nella arterite di TAKAYASU. ◦ Nella arterite a cellule giganti di Horton. • CONGENITA cioè determinata da ipoplasia o aplasia della origine della succlavia. • TRAUMATICA. ARTO • Formazione di EMBOLI. SUPERIORE • NEOPLASIE MEDIASTINICHE. • STENOSI ATTINICA dovuta ad una TERAPIA RADIANTE. Dal punto di vista pratico è importante ricordare che la ostruzione che provoca questa sindrome interessa: • nell'85% dei casi la arteria succlavia sinistra. • Nel 15% dei casi la arteria succlavia destra o il tronco anonimo di destra. Questa particolare predisposizione è dovuta al fatto che la arteria succlavia sinistra NASCE CON UN ANGOLO ACUTO RISPETTO AL FLUSSO EMATICO DALLA AORTA e le TURBOLENZE CHE SI FORMANO FAVORISCONO LA FORMAZIONE DI STENOSI ATEROSCLEROTICHE. FATTORI DI RISCHIO: essendo l'eziologia prevalentemente ateroscelrotica, la malattia SI ASSOCIA a fattori di rischio importanti quali FUMO, DIETA, DIABETE, DISLIPIDEMIA E IPERTENSIONE, dal punto di vista clinico è importante ricordare inoltre la presenza di associazioni con patologie quali: • malattia ostruttiva cronica polmonare che si rinviene nel 30% di questi pazienti. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare cardio e coronaropatie che si riscontrano nel 28­30% di questi pazienti. ateroscelerosi carotidea: generalmente nel momento in cui la stenosi carotidea sia trattata adeguatamente, si risolve anche il problema legato al furto della succlavia ovviamente. Si risconta nel 30% di questi pazienti. • arteriopatia cronica degli arti inferiori che si riscontra molto di frequente, circa nel 55% dei casi. CLASSIFICAZIONE DELLA PATOLOGIA: dal punto di vista clinico si possono individuare TRE STADI DI GRAVITÀ PER LA PATOLOGIA DA FURTO DELLA SUCCLAVIA: • LATENTE che avviene solo quando il paziente mette in funzione l'arto superiore, risulta facilmente valutabile tramite un test di iperemia: facendo muovere la mano e il braccio al paziente. questo impallidisce e diviene freddo piuttosto rapidamente. ◦ La sintomatologia è molto lieve. ◦ Procede per lungo tempo senza peggiorare anzi, può eventualmente migliorare anche grazie al fatto che spesso i rami delle arterie del cingolo scapolare raggiungono la succlavia e suppliscono alla vascolarizzazione dell'arto. • TRANSITORIO dove il calo del flusso: ◦ si verifica unicamente in fase sistolica. ◦ Non è presente in fase diastolica. • PERMANENTE in cui L'INVERSIONE DI FLUSSO EMATICO È CONTINUA E PERSISTENTE, si tratta chiaramente della forma più grave e risulta facilmente diagnosticabile tramite ecocolordoppler. SINTOMATOLOGIA: i sintomi si possono essere riassunti in due grandi quadri patologici: • sintomi da ISCHEMIA DELL'ARTO SUPERIORE: ◦ CLAUDICATIO DELL'ARTO SUPERIORE: è sufficiente un piccolo sforzo comune come alzare una tapparella o lavarsi il viso per provocare un dolore significativo al braccio ed una eventuale lipotimia. ◦ NECROSI DIGITALI. Le lesioni trofiche al braccio sono relativamente rare, dal punto di vista pratico possiamo dire che generalmente la ischemia non è tanto grave e tanto prolungata da provocare un vero danno tissutale. La sintomatologia dell'arto superiore SI DIVIDE IN QUATTRO STADI: ◦ 1: parestesie e sensazioni di freddo. ◦ 2: affaticabilità. ◦ 3: claudicatio del braccio e della mano. ◦ 4: lesioni trofiche. • sintomi ISCHEMICI CEREBRALI che si possono distinguere in DUE CATEGORIE: ◦ EMISFERICI che interessano unicamente l'encefalo ipsilaterale alla ostruzione e quindi l'emisoma controlaterale generalmente, in particolare: ▪ PERDITA DI COSCIENZA. ▪ PARALISI TRANSITORIE. ▪ TURBE DELLA PAROLA quali: • afasia. • Disartria. • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare ◦ INTEREMISFERICI che interessano tutti e due gli emisferi, ricordiamo: ▪ VERTIGINI, NAUSEA E VOMITO. ▪ SINTOMI OFTALMOLOGICI soprattutto: • anopsia. • Diplopia. In questo caso la amaurosi fugax non si verifica, non sono presenti infatti fenomeni embolici. ▪ DROP ATTACKS. DIAGNOSI: sicuramente possono essere d'aiuto anamnesi, esame obiettivo e diagnosi strumentale. ESAME OBIETTIVO: sicuramente tre fattori possono essere utili anche se non sempre specifici chiaramente: • SCOMPARSA DEL POLSO RADIALE: ◦ sua completa mancanza al polso interessato. ◦ Scomparsa del polso stesso a seguito di compressione sulla carotide associata. • La MISURAZIONE DELLA PRESSIONE ARTERIOSA AI DUE ARTI SI PRESENTA DIFFERENTE: la pressione di perfusione può risultare anche inferiore di 40mmHg nell'arto colpito. • SOFFIO CAROTIDEO LATEROCERVICALE. DIAGNOSI STRUMENTALE: la diagnosi strumentale è sicuramente molto utile, possiamo utilizzare: • ECOCOLORDOPPLER essenziale per determinare la direzione del flusso SUCCLAVIO E CEREBRALE e per individuare la eventuale stenosi della CAROTIDE. • Esame NEURO OTOIATRICO: spesso la sintomatologia legata alle vertigini spinge a richiedere approfondimenti diagnostici di questo tipo. • TAC DELL'ENCEFALO al fine di valutare la presenza di lesioni ischemiche. • ELETTROENCEFALOGRAMMA sicuramente molto utile per la sofferenza cerebrale. • METODICHE INVASIVE come: ◦ ANGIOGRAFIA DIGITALE che prevede l'inserzione in aorta del mezzo di contrasto, metodica non scevra da complicanze anche importanti. ◦ ANGIO TC E ANGIO RMN che, seppur invasive, richiedono solo un contrasto di tipo venoso. IL TRATTAMENTO CHIRURGICO: generalmente una volta individuata la patologia se non sono presenti sintomi importanti o stenosi carotidee rilevanti si attende un certo periodo: la situazione tende infatti generalmente spontaneamente a stabilizzarsi. Anche nella applicazione della terapia si individuano tre stadi: 1. STADIO 1: terapia medica associata ad intervento chirurgico. 2. STADIO 2: indicazione chirurgica assoluta. 3. STADIO 3: terapia anticoagulante. Nel momento in cui sia necessario ricorrere alla terapia chirurgica, lo scopo dell'intervento è quello di RIPRISTINARE IL FLUSSO IN SENSO CENTRIPETO, cioè dalla arteria succlavia verso le vertebrali o comunque verso l'encefalo. Dal punto di vista pratico sono due gli approcci possibili: • OPERAZIONE INTRA TORACICA che prevede l'apertura del torace e quindi l'utilizzo 11


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia vascolare 9: insufficienza cerebrovascolare di tecniche quali: ◦ endoarteriectomia. ◦ Bypass intraanatomici. • EXTRA TORACICA che prevede la apposizione di bypass extraanatomici, si tratta di un intervento molto meno invasivo e, di conseguenza, meno rischioso. Dal punto di vista pratico possiamo dire che si possono utilizzare: ◦ bypass carotido succlavio. ◦ Reimpianto della arteria succlavia sulla carotide comune. ◦ bypass succlavio succlavio che mette in comunicazione le due arterie succlavie incrementando la portata verso l'encefalo. ◦ bypass axillo axillare che consente la comunicazione tra le due arterie ascellari e quindi un incremento del flusso all'arto superiore. È inoltre dimostrato che gli interventi extraanatomici: • HANNO UNA INCIDENZA DI MORTALITÀ E MORBIDITÀ DECISAMENTE INFERIORE. • HANNO UNA TENUTA A DISTANZA DI TEMPO EQUIVALENTE AGLI INTERVENTI INTRAANATOMICI.

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Giordano Perin; chirurgia vascolare: ischemia cronica e cellule staminali

LE CELLULE STAMINALI E L'ISCHEMIA CRONICA La cellula staminale è una cellula non differenziata normalmente presente nell'organismo umano ed essenziale a garantire la corretta funzionalità dei processi di riparazione. Dal punto di vista citologico riconosciamo tre tipologie di cellule staminali: • CELLULE STAMINALI TOTIPOTENTI: ◦ compongono l'embrione fino a 3 giorni dalla fecondazione. ◦ Sono potenzialmente capaci di generare un intero organismo. • CELLULE STAMINALI PLURIPOTENTI: ◦ compongono il blastocito dal settimo al quattordicesimo giorno di vita. ◦ Sono in grado di dare vita ad organi ma non sono capaci di generare un intero organismo. • CELLULE STAMINALI MULTIPOTENTI o ADULTE: ◦ si trovano fisiologicamente nei tessuti dell'individuo adulto. ◦ Sono strettamente coinvolte nei processi riparativi di un dato tessuto, ma nella stragrande maggioranza delle altre sedi non sono in grado di riprodursi. Con il termine PLASTICITÀ si indica la capacità della cellula staminale, una volta posta in un ambiente adeguato dal punto di vista umorale, di proliferare e dare vita ad un dato tessuto. LE CELLULE STAMINALI ADULTE: Le cellule staminali adulte, target terapeutico caratteristico, si possono ritrovare principalmente in tre organi: • CUORE e CERVELLO dove sono fondamentalmente inaccessibili. • MIDOLLO OSSEO dove sono invece relativamente facilmente raggiungibili: la sede di elezione per il prelievo è la cresta iliaca. Queste cellule staminali, analogamente a tutte le altre, si possono differenziare grazie a: • segnali interni determinati dalla attivazione e inattivazione di geni fondamentalmente: si tratta di un programma di sviluppo che normalmente si innesca nelle cellule che sono in fase di maturazione. • Segnali esterni, estremamente importanti per il controllo della organizzazione dei tessuti, nello specifico: ◦ secrezione chimiche delle cellule vicine. ◦ Contatto con le cellule vicine. ◦ Contratto con molecole della matrice cellulare. DIVERSI TIPI DI CELLULE STAMINALI ADULTE: le cellule staminali adulte possono essere classificate in tre grandi categorie: • STROMALI che contribuiscono alla ricostituzione di connettivi. • ENDOTELIALI essenziali per la ricostruzione dei vasi sanguigni. • EMOPOIETICHE fondamentali per la generazione della linea ematopoietica, nello specifico queste cellule espongono due marcatori: ◦ CD34. ◦ CD133. Normalmente nel processo di riparazione di una ferita o di una lesione, importanti stimoli chemiotattici generano la migrazione degli elementi cellulari staminali dal sangue al 1


Giordano Perin; chirurgia vascolare: ischemia cronica e cellule staminali tessuto dove poi si differenziano.

IMPIANTO DI CELLULE STAMINALI IN PAZIENTI CON ISCHEMIA CRITICA NON RIVASCOLARIZZABILI: uno studio eseguito all'ospedale di Bellvitge (Barcellona) ha evidenziato come sia possibile utilizzare delle cellule staminali di provenienza ematopoietica al fine di stimolare l'angiogenesi nei pazienti con ischemia critica dell'arto non rivascolarizzabile. Lo studio ha coinvolto 10 pazienti di cui: • 4 allo stadio III della ischemia cronica (dolore a riposo). • 6 allo stadio IV della ischemia cronica (lesioni trofiche oltre al dolore a riposo). Tutti NON RIVASCOLARIZZABILI. Lo studio è stato svolto in questo modo: • 11 impianti di cellule staminali adulte (un paziente ha ricevuto due impianti, uno per arto). • Follow up di tre mesi. Gli indici valutati sono: 1. INDICE DI WINDSOR o ABI. 2. FLUSSO CAPILLARE tramite l'utilizzo di un flussimetro laser doppler. 3. DOLORE tramite la normale scala analogica da 1 a 10. 4. PERCENTUALE DI SALVATAGGIO DELL'ARTO, variabile statistica principale. ESECUZIONE: l'isolamento delle cellule staminali viene eseguito in questo modo: • 4 punture sulla cresta iliaca per un prelievo totale di 240cc di midollo osseo, il prelievo viene eseguito senza anestesia, solo in sedazione. • Centrifugazione del materiale e separazione delle cellule marcate. Il centrifugato al termine della operazione è di circa 40cc: questi vengono inoculati in prossimità dei vasi preesistenti in carichi di 1 ml per un totale di 40 iniezioni. RISULTATI: nel complesso si sono osservati: • DIMINUZIONE DEL DOLORE da una media di 8 ad una media di 3 già al primo­ secondo giorno di trattamento: ◦ è impossibile che l'effetto analgesico sia dovuto alla attività delle cellule staminali, queste, infatti, necessitano di almeno 6­8 giorni per differenziarsi. ◦ La diminuzione del dolore, osservata in tutti e 10 i pazienti, potrebbe essere imputata a: ▪ EFFETTO PLACEBO. ▪ PRODUZIONE DA PARTE DI CELLULE PRESENTI NEL PREPARATO di CITOCHINE ANALGESICHE E ANTINFIAMMATORIE. • NESSUN MIGLIORAMENTO DELL'INDICE DI WINDSOR: si tratta di un risultato atteso, ci si aspetta infatti che i vasi prodotti dalle cellule staminali siano di piccole dimensioni o comunque di dimensioni non sufficienti a garantire un aumento percepibile della pressione di perfusione. • MIGLIORAMENTO DEI FLUSSI: si tratta di un punto controverso per la sua difficile dimostrabilità, tuttavia si pensa la formazione di circoli collaterali dovuta alla azione delle cellule staminali abbia contribuito in modo importante al miglioramento. • RIDUZIONE DELLE AMPUTAZIONI: si sono registrate 2 amputazioni su 10 casi, normalmente in un anno la sopravvivenza dell'arto è al 50%, si tratterebbe quindi di 2


Giordano Perin; chirurgia vascolare: ischemia cronica e cellule staminali un risultato abbastanza significativo. Si deve poi ricordare il fatto che le due amputazioni sono avvenute a 23 e 28 giorni dalla terapia, possiamo quindi ipotizzare che: ◦ l'arto fosse già in condizioni tali da non poter essere salvato, questo aspetto pone l'accento per gli studi futuri sulla possibilità di selezionare più accuratamente i pazienti per la terapia. ◦ un tempo troppo breve per valutare l'effetto realmente ottenuto con la iniezione, soprattutto considerando il fatto che normalmente si può cominciare ad apprezzare un risultato solo dopo 3­4 settimane. Si pensa che la terapia con cellule staminali possa divenire, dopo studi maggiormente approfonditi, una tecnica utilizzabile non solo per la terapia dello stadio avanzato della ischemia cronica ma anche per pazienti potenzialmente rivascolarizzabili.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock

LO SHOCK dal punto di vista clinico esistono due tipi di shock: • shock ipovolemico detto anche shock da danno cellulare secondario o shock a bassa portata. • shock settico detto anche shock da danno cellulare primitivo o shock ad alta portata. Con il termine SHOCK si indica oggi UNA INSUFFICIENZA ACUTA DI CIRCOLO PERIFERICO che, se non riconosciuta e trattata, diviene irreversibile. Questa insufficienza acuta può dipendere da fattori differenti: • Nello shock ipovolemico il danno primitivo è di eziologia vascolare, deriva cioè da una insufficienza di CIRCOLO. • Nello shock settico il danno primitivo è determinato da una infezione o da un danno cellulare che NON CONSENTE L'UTILIZZO DELL'OSSIGENO. A prescindere dalla causa prima, l'effetto ultimo dello shock è quello di generare un danno cellulare estremamente grave e pericoloso e a prescindere da quale sia la causa, lo shock è una SINDROME PLURIDISFUNZIONALE caratterizzata da due aspetti fondamentali: • DANNI CELLULARI dovuti alla incapacità di produrre energia in modo adeguato. • MECCANISMO fisiopatologici di COMPENSO che l'organismo innesca.

CLASSIFICAZIONE DEI DIVERSI TIPI DI SHOCK:

le cause di shock possono essere molto differenti tra loro, ricordiamo le principali: • SHOCK IPOVOLEMICO che può essere definito come shock ipovolemico: ◦ ASSOLUTO determinato da una perdita di sangue, sia sangue vero e proprio, sia componenti liquide. ◦ RELATIVO determinato da un aumento non compensato del letto vascolare. • SHOCK CARDIOGENO dove il deficit di perfusione a livello periferico non è determinato da una perdita di massa circolante, ma da una insufficienza della pompa cardiaca. Possibili cause di alterazione cardiaca sono: ◦ CAUSE CARDIACHE: ▪ infarto. ▪ Miocardite. ▪ Aritmie. ▪ Traumi. ▪ Depressione miocardica da sepsi: mentre nelle prime fasi della sepsi il cuore è in grado di reagire alla condizione di shock, con il tempo vengono prodotti dei fattori umorali importanti come il fattore MIOCARDIODEPRESSORE che provocano una diminuzione della sua attività. Il cuore quindi, anche durante una sepsi, può andare incontro a fenomeni di scompenso. ◦ CAUSE EXTRACARDIACHE: ▪ tamponamento cardiaco: la presenza di liquido nel pericardio è una conseguenza tipica di traumatismi vascolari, soprattutto se interessano la parte iniziale intrapericardica della aorta. ▪ Pericadite: si possono avere alterazioni del pericardio tali da provocare un calo della distensibilità dello stesso fino alla compromissione della pompa cardiaca in toto. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ▪ pneumotorace ipertensivo che comporta una compressione molto forte della regione mediastinica. ▪ emobolia polmonare: ostruzione completa delle strutture polmonari determinata dalla embolizzazione di un trombo venoso, generalmente proveniente dalla gamba. • SHOCK SETTICO dove a sostenere la patologia è, invece, una sepsi. IL TURGORE DELLE GIUGULARI È UN BUON INDICE PER LA DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI SHOCK CARDIOGENO ED IPOVOLEMICO: • un paziente con insufficienza cardiaca presenterà per ragioni emodinamiche una ipertensione venosa centrale. • Un paziente con calo della volemia, non presenterà una ipertensione venosa centrale. A seconda delle capacità di compenso del paziente avremo poi, per fenomeni simili, reazioni completamente differenti.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock

LO SHOCK IPOVOLEMICO: lo shock ipovolemico è sicuramente un tipo di shock molto comune; dal punto di vista fisiopatologico possiamo individuare due cause di shock 1. SHOCK ASSOLUTO se viene perduta una certa componente della massa circolante in forma di sangue o di liquido. 2. SHOCK RELATIVO se la massa circolante risulta adeguata, ma il circolo risulta più capiente. Questo quadro si verifica tipicamente nello shock anafilattico. LO SHOCK IPOVOLEMICO ASSOLUTO: lo shock ipovolemico assoluto può essere causato fondamentalmente da: • EMORRAGIA ESTERNA che deriva da una ferita. • EMORRAGIA INTERNA, possiamo definire diversi tipi di emorragia interna: ◦ emottisi: oggi meno frequenti un tempo spesso determinate da bronchectasie e tubercolosi. ◦ Ematemesi definita come sanguinamento proveniente dal legamento del treitz in su. Cause tipiche sono: ▪ varici esofagee. ▪ Ulcere gastroduodenali: queste ulcere divengono emorragiche soprattutto se interessano la arteria gastroduodenale, di derivazione della arteria epatica, che decorre sulla parete anteriore del duodeno. ▪ Gastrite erosiva: l'erosione è una soluzione di continuo superficiale che guarisce in tempo breve con restitutio ad integrum. Una discreta quantità di erosioni sanguinanti può provocare uno shock ipovolemico. ▪ Sindrome di Mallory Weiss o lacerazione gasrtoesofagea. ◦ melena: definita sulla base delle caratteristiche delle feci, deriva da sanguinamenti che non si trovino al di sotto del legamento di treitz. ◦ Enteroraggia e Colonraggia che possono essere determinate da: ▪ diverticolite con complicanza acuta. ▪ Angiodisplasie: alterazioni della mucosa colica dove il sanguinamento è importante e non tende ad andare incontro a remissione spontanea. ◦ Perdite interne di sangue in toto: ▪ emotorace. ▪ Emoperitoneo, generalmente di origine traumatica: molto spesso si hanno traumi chiusi a seguito di incidenti. Tra i fenomeni emorragici più gravi la rottura della milza. ▪ Ematomi retroperitoneali: tipicamente avviene nella aorta addominale con aneurismi importanti. ▪ Ematomi delle parti molli che possono essere secondari a contusioni degli arti, un tipico esempio è la rottura di un vaso nelle parti molli dato da una frattura ossea. ▪ Rottura, molto rara, di aneurismi nel tubo digerente: l'emorragia è alta solitamente e provoca ematemesi e melena. • PERDITA DI COMPONENTI LIQUIDE, avviene in caso di: ◦ vomito profuso. ◦ Diarrea. ◦ Malattie da ustione: si tratta di alterazioni della superficie corporea tali da 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock provocare enormi perdite di liquidi. Ci si aspetta uno shock ipovolemico nel momento in cui vi sia una alterazione della cute: ▪ del 10% nell'adulto. ▪ Del 20% nel bambino. ◦ Disidratazione: una disidratazione può dipendere da una perdita importante di liquido tramite sudorazione o per una mancanza di integrazione dei liquidi perduti, ma può anche dipendere, in modo molto importante, da una OCCLUSIONE INTESTINALE.

CASO CLINICO: Una paziente con una anamnesi di operazione chirurgica risalente a 10 anni prima operata per una rivascolarizzazione diretta con impianto di un bypass vascolare si presenta in stato di shock ipovolemico in pronto soccorso. La protesi dopo 10 anni ha determinato, probabilmente per problemi a carattere infettivo, una erosione della parete del duodeno con conseguente emorragia interna. Nel caso specifico la patologia si manifesta con: • shock ipovolemico. • Melena. Tramite esami endoscopici si individua la protesi a livello del lume duodenale.

LO SHOCK IPOVOLEMICO RELATIVO: lo shock ipovolemico relativo può avvenire per cause molto diverse, tra di esse sicuramente ricordiamo L'ASSUNZIONE DI FARMACI, soprattutto antipertensivi che possono provocare questi quadri: la assunzione contemporanea di ACE INIBITORI e FARMACI ANESTETICI utilizzati a fini chirurgici, può provocare shock ipovolemici molto forti. RISPOSTA FISIOPATOLOGICA ALLO SHOCK IPOVOLEMICO: la risposta allo stato di shock ipovolemico si compone di quattro elementi: • RISPOSTA NEUROENDOCRINA. • RISPOSTA IMMUNOLOGICA. • RISPOSTA EMODINAMICA. • RISPOSTA METABOLICA. Sicuramente nello shock di tipo ipovolemico registriamo una risposta prevalentemente neuroendocrina ed emodinamica mentre la risposta di natura immunologica è prevalente nello shock settico. La risposta metabolica, a prescindere da tutto, è sempre presente. La finalità della risposta si riassume in questi tre punti: • mantenere una adeguata PERFUSIONE DEGLI ORGANI VITALI. • RIPRISTINARE LA VOLEMIA adeguata a mantenere attivo un flusso in periferia. • FACILITARE ED OTTIMIZZARE L'UTILIZZO DI PRODOTTI ENERGETICI utili a risponder all'insulto che ha determinato lo shock. LA RISPOSTA NEUROENDOCRINA: questo tipo di risposta si basa fondamentalmente su quattro tipi di recettori: • BAROCETTORI del seno carotideo e dell'arco aortico, sensibili alla pressione arteriosa. • VOLOCETTORI posti a livello atriale che percepiscono la qualità del riempimento atriale che è strettamente correlato alla potenziale gittata. • CHEMOCETTORI del glomo caroditeo: capaci di percepire variazioni del chimismo del plasma, questi recettori controllano soprattutto le concentrazioni ematiche di ossigeno e anidride carbonica. • OSMOCETTORI ipotalamici utili a determinare se sono presenti delle variazioni 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock effettive di volume o meno. • NOCICETTORI cutanei e viscerali sensibili a diversi stimoli e capaci di innescare risposte simpatiche. Si tratta di sistemi capaci di percepire la presenza di un danno o di una insufficienza e di provvedere al suo compenso. LA FUNZIONE DELLA RISPOSTA NEUROENDOCRINA: La risposta neuroendocrina ha la funzione di: • incrementare il livello di ormoni ad azione metabolicamente favorevole nel sangue quali: ◦ catecolamine. ◦ Angiotensina e, in generale, gli ormoni del sistema RAAAS. Risposte fondamentali e precoci interesseranno quindi IL RENE E IL CUORE. • Mantenere una perfusione adeguata al circolo periferico, sarà fondamentale quindi aumentare la GITTATA CARDIACA. Nel complesso quindi: ◦ bisogna aumentare il ritorno venoso al cuore bypassando la vasocostrizione periferica, questo è reso possibile dalla presenza di una metarteriola nei microcircoli periferici. ◦ Bisogna aumentare la attività cardiaca, questo avviene grazie alla azione INOTROPA E CRONOTROPA POSITIVA DEL SISTEMA SIMPATICO. • REDISTRIBUIRE IL FLUSSO SANGUIGNO; determinati distretti verranno esclusi dalla perfusione a favore di distretti più nobili, nello specifico SI CENTRALIZZA IL VOLUME EMATICO CIRCOLANTE: ◦ a favore di cervello e cuore. ◦ A sfavore del distretto splancnico. EFFETTI CLINICI DELLA RISPOSTA NEUROENDOCRINA: sicuramente si possono apprezzare degli effetti macroscopici: • un incremento della frequenza cardiaca, il paziente risulta tachicardico a causa della attività dei recettori e della attivazione simpatica. • Vasocostrizione cutanea, il paziente è fondamentalmente freddo. • sudore freddo, determinato dal forte stimolo simpatico. • Vasocostrizione: ◦ muscolare. ◦ Splancnica. ◦ Renale dove la costrizione aumenta anche la attività del sistema RAAAS al fine di: ▪ Tamponare la acidosi che si potrà verificare nei minuti successivi a causa della ipoperfusione. ▪ Ripristinare la volemia. Tutto questo è finalizzato ad incrementare LA VASOCOSTRIZIONE E QUINDI IL RITORNO VENOSO. LA RISPOSTA METABOLICA: la risposta metabolica è fondamentale al fine di incrementare la capacità dei tessuti di rispondere energeticamente alla ipovolemia, nello specifico si registrano: • IPERGLICEMIA dovuta all'aumento della attività di: ◦ glucagone. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ◦ Cortisolo. ◦ Adrenalina. Si instaura anche una certa INSULINO RESISTENZA PERIFERICA che può risultare anche di difficile gestione. L'incremento della glicemia è fondamentale in ogni caso a garantire il funzionamento dell'encefalo e di altri organi capaci di metabolizzare unicamente il glucosio. • LISI DEL GLICOGENO EPATICO E LIPOLISI: l'organismo ricava energia dalla lisi di questi elementi, in primis sicuramente il glicogeno epatico, più fruibile, quindi i lipidi del tessuto adiposo e del fegato stesso. • IPERCATABOLISMO MUSCOLARE: innescato in parte immediatamente ma significativo nelle fasi più avanzate della patologia, questo ipercatabolismo sarà utile a mettere in circolo glucosio tramite gluconeogenesi basata su amminoacidi. Di fatto la massa muscolare viene attivamente degradata. LE FASI DELLO SHOCK IPOVOLEMICO: lo shock ipovolemico si suddivide abitualmente in quattro fasi: • INIZIO determinato nella stragrande maggioranza dei casi da una copiosa perdita ematica. • FASE DI COMPENSO caratterizzata da: ◦ aumento del ritorno venoso. ◦ Tachicardia. ◦ iperventilazione: il polmone è il primo organo che va incontro a sofferenza durante uno shock e una iperventilazione dispnoica è abituale. Dal punto di vista pratico la iperventilazione: ▪ facilita la ossigenazione. ▪ Predispone ad una condizione di alcalosi respiratoria, potenzialmente utile a contrastare la acidosi ipovolemica. ▪ Incrementa il ritorno venoso diminuendo la pressione negativa intratoracica. ◦ Riduzione della perfusione renale e del filtrato glomerulare, questo avviene per cali della pressione intorno ai 100­90mmHg. Si assiste quindi a: ▪ aumento della natriemia. ▪ Aumento della volemia e calo della diuresi. È fondamentale mantenere una perfusione renale adeguata a garantire una diuresi superiore ai 30ml all'ora, sotto questa soglia si parla di oliguria1. Il danno che si registra in questa fase è unicamente funzionale: non c'è un danno organico che si estrinseca nei tubuli e nel glomerulo, ma se la disfunzione a carattere funzionale va avanti, si trasforma inevitabilmente in una disfunzione a carattere biologico. ◦ INNESCO DEI MECCANISMI DI REFILLING; si tratta di un meccanismo che si innesta nel momento in cui il microcircolo sia compromesso in modo consistente. Normalmente un microcircolo si compone di: ▪ distretto capillare ▪ arteriola con sfintere precapillare. ▪ Venula con sfintere postcapillare. ▪ metarteriola o shunt che consente la comunicazione arteria­venula in modo 1 Non è possibile in situazioni critiche come questa valutare il volume delle urine nelle 24 ore chiaramente.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock

diretto. IL REFILLING È UN MECCANISMO DI COMPENSO che prevede il passaggio di liquido DAL COMPARTIMENTO EXTRAVASCOLARE A QUELLO VASCOLARE, questo meccanismo si innesta tipicamente in caso di ostruzione determinata dalla attività sfinteriale del microcircolo: ▪ il sangue arterioso in arrivo si riversa direttamente nel sangue venoso tramite la metarteriola. ▪ IL VERSANTE CAPILLARE BYPASSATO ENTRA IN FASE DI SOFFERENZA. Nel distretto capillare la pressione sanguigna DIMINUISCE notevolmente FINO AD ARRIVARE AL DI SOTTO DEL LIVELLO DI PRESSIONE TISSUTALE, di conseguenza una certa percentuale di liquido, stimabile intorno ai fino a 70­ 150cc all'ora, si porta al circolo ematico. Questo fenomeno si manifesta tipicamente in una diluizione ematica. LA FASE DI COMPENSO NON DURA PIÙ DI UNO O DUE MINUTI e durante questa fase il paziente è comunque compensato. Si possono registrare: ◦ una pressione arteriosa normale: l'organismo tramite meccanismi di compenso è capace di mantenere perfuso ogni distretto periferico. ◦ Sicuramente la perfusione cerebrale e miocardica è buona. ◦ Lo stato di coscienza viene mantenuto. ◦ Il circolo capillare viene escluso e inizia un processo di ANOSSIA ISCHEMICA che, in questi minuti, può arrivare ad interessare ANCHE L'80% DEI MICROCIRCOLI DELL'ORGANISMO: questo fenomeno, se non corretto, si aggraverà e porterà al danno cellulare permanente. FASE DI SCOMPENSO: se la ipovolemia non viene corretta e il tempo intercorso è troppo lungo, il paziente passa alla fase di scompenso. Nel complesso possiamo dire che l'organismo si comporta in questo modo: ◦ la funzione epatica, per le caratteristiche proprie del tessuto, si mantiene attiva. ◦ Riduzione delle resistenze vascolari periferiche dovuta all'accumulo di metaboliti ad azione dilatativa, nello specifico possiamo dire che: ▪ lo sfintere arteriolare è molto sensibile a questi stimoli e cede facilmente aprendosi. ▪ Lo sfintere venulare è meno sensibile e permane occluso per un tempo più prolungato. Nel complesso il microcircolo viene inondato di fluidi che non possono superarlo. ◦ acidosi metabolica con glicolisi anerobia e iperproduzione di acido lattico: questo determina una dilatazione del sistema vascolare ancora più marcata. ◦ Alterazione delle membrane cellulari: il danno comincia AD ASSUMERE CARATTERE BIOLOGICO. In questa fase gli interventi esterni di incremento della volemia SONO INUTILI, i liquidi giunti a livello arterioso infatti non incontrano ostacoli e congestionano il microcircolo non potendo oltrepassare la barriera dello sfintere postcapillare. IL REFILLING INVERSO: in questa fase si verifica quello che viene definito fenomeno di REFILLING INVERSO: l'incremento del volume capillare e l'incremento della pressione determinato dalla presenza della ostruzione a valle del circolo FANNO SI CHE LA PRESSIONE 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock CAPILLARE SUPERI QUELLA TISSUTALE PROVOCANO UN NOTEVOLE PASSAGGIO DI FLUIDI VERSO L'ESTERNO DEL CIRCOLO. Anche le catecolamine non saranno in questo caso più utili in quanto la situazione risulta eccessivamente compromessa. • FASE IRREVERSIBILE, in questa fase registriamo fondamentalmente: ◦ IPOSSIA E ACIDOSI. ◦ DANNO ENDOTELIALE A AUMENTO DELLA PERMEABILITÀ. ◦ TRASDUZIONE DI LIQUIDO anche proteico al di fuori del vaso E CREAZIONE DI UN DANNO CELLULARE CHE FA SI IL CORPO NON SIA PIÙ IN GRADO DI REAGIRE. È fondamentale quindi controllare nel modo più precoce possibile la perdita di volume. MOD o MULTIPLE ORGAN DISFUNCTION: si tratta di una disfunzione complessa che: • interessa tutto l'organismo. • trova la sua radice nella mancata utilizzazione di ossigeno. • determina una INSUFFICIENZA DI DIVERSI ORGANI. diversi organi rispondono poi in modo differente alla condizione di stress, sicuramente il polmone presenta una elevata sensibilità, al contrario il tubo gastroenterico tollera generalmente abbastanza bene tali condizioni. La gravità del quadro dipende da: • DURATA DELLO SHOCK E GRAVITÀ DELLA CONDIZIONE. • RESISTENZA DEI TESSUTI ALLA IPOSSIA E ALLA IPOPERFUSIONE. • CONDIZIONI CLINICHE DI BASE E RISERVA FUNZIONALE: condizioni cliniche di partenza, comorbidità e simili sono fondamentali a determinare quello che sarà il risultato della condizione di stress. Gli organi tipicamente coinvolti sono in ordine di tempo e gravità: • polmone. • Rene. • Cuore. • Fegato. • Sangue: si parla di crasi ematica cioè disturbi della coagulazione. • Sistema nervoso centrale. • apparato gastroenterico. Nello shock ipovolemico sicuramente sono maggiormente coinvolti IL POLMONE E IL RENE. IL POLMONE: sicuramente si tratta di un organo sensibilissimo e coinvolto in modo estremamente precoce, sicuramente registriamo: • incremento della permeabilità microvascolare. • Edema interstiziale • alterazione della membrana alveolare. la membrana alveolo capillare perde la sua capacità di garantire i meccanismi di scambio di gas e il paziente va incontro ad una insufficienza respiratoria acuta O ARDS: SINDROME DA DISTRESS RESPIRATORIO DELL'ADULTO. L'insufficienza è tanto grave da poter richiedere un ausilio meccanico alla ventilazione. RENE: il rene gioca un ruolo importantissimo nelle prime fasi di compenso soprattutto tramite la 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock attivazione del sistema RAAAS incrementando la ritenzione di sodio e acqua. • Una ipovolemia controllata stimola il rene nella sua attività. • Se l'ipovolemia diviene tanto importante da ridurre la pressione di perfusione renale a 80mmHg, si verifica un vero e proprio DANNO ORGANICO AL RENE che si traduce in una ISCHEMIA DEL PARENCHIMA. Il paziente va incontro ad una insufficienza renale organica che può portare anche alla anuria e alla morte. Al fine di impedire un coinvolgimento renale letale è fondamentale mantenere una pressione di perfusione abbastanza elevata. QUADRO CLINICO: la sintomatologia del paziente sotto shock ipovolemico comprende fondamentalmente: • PALLORE. • SUDORAZIONE FREDDA. • VASOCOSTRIZIONE. • CONTRAZIONE DELLA DIURESI FINO ALLA ANURIA: si tratta di una condizione in evoluzione dove il paziente esperimenta prima una oliguria che peggiora ad anuria. • IPOTENSIONE ARTERIOSA: la pressione è inizialmente conservata, va calando nelle fasi di scompenso fino ad arrivare a valori molto bassi. • TACHICARDIA; possono comparire però delle bradicardie su base ipossica e ischemica anche rilevanti. • CAUDATA DELLA PRESSIONE VENOSA CENTRALE. • DIFFICOLTÀ NEL MANTENIMENTO DELLA STAZIONE ERETTA. • STATO DI COSCIENZA INIZIALMENTE CONSERVATO ma che DIVIENE RAPIDAMENTE ALTERATO se la alterazione non viene corretta. • DISPNEA: sintomo estremamente comune e soprattutto sempre presente in caso di shock ipovolemico in fase di scompenso. Possiamo dire che complessivamente la ipotensione e la tachicardia non sono considerati oggi segni PRECOCI di shock ipovolemico: nelle prime fasi infatti fenomeni di compenso o alterazioni della attività cardiaca possono portare alla loro non emersione. CLASSIFICAZIONE CLINICA DELLO SHOCK IPOVOLEMICO: nel complesso vengono prese in considerazione due classificazioni cliniche dello shock: • LIEVE, MODERATO, GRAVE: questo tipo di classificazione viene poco utilizzato. • La ATLS (advanced trauma life support) ha proposto un sistema di valutazione diviso in quattro classi di gravità sulla base della entità di volume perduto e della sintomatologia. ◦ CLASSE I: la perdita di volume ematico è del 10­15%, 750cc circa. Si osservano: ▪ Segni della lesione causale come una emorragia o una ustione. ▪ Segni di vasocostrizione, soprattutto sete, paziente pallido, sudato e freddo. ▪ Pressione arteriosa normale o lievemente diminuita: il cuore è in grado in ogni caso di mantenere una adeguata perfusione, la perdita non è consistente. ▪ Frequenza cardiaca aumentata, non supera mai i 100bpm in questi casi. ▪ Diuresi normale. Se in questa fase l'emorragia viene bloccata, non ci sono problemi. ◦ CLASSE II: la perdita di volume ematico arriva al 15­30%, 750­1000cc circa. Si registrano: ▪ modeste turbe della coscienza. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ▪ Incremento della frequenza cardiaca a livelli superiori a 100bpm. ▪ calo della pressione differenziale: tende a calare la pressione sistolica, ma grazie alla vasocostrizione periferica la pressione diastolica si mantiene alta garantendo una perfusione accettabile. ▪ Riduzione della pressione venosa centrale. ▪ Oliguria: si registra un progressivo calo della diuresi. ◦ CLASSE III con perdita di volume ematico fino al 40%, 2000cc circa. Nel complesso possiamo apprezzare: ▪ alterazione dello stato di coscienza che diviene via via più importante. ▪ tachicardia molto importante. ▪ Pressione al di sotto di 90mmHg. ▪ Tachipnea: il polmone ha notevoli difficoltà a controllare gli scambi di gas. ▪ Oligoanuria: la diuresi cala in modo consistente. IL PAZIENTE RISPONDE ANCORA ALLA TERAPIA DA INFUSIONE, gli sfinteri sono ancora attivi. A questo punto è possibile infondere anche fino a 1500cc di liquidi: si dovrebbe apprezzare un incremento della pressione arteriosa in 30 minuti, intervallo di tempo determinato per il monitoraggio di questo parametro in questi casi. ◦ CLASSE IV la perdita di sangue è decisamente eccessiva, sopra i 2000cc. A questo punto la terapia farmacologica non può nulla. Il paziente risulta fortemente: ▪ tachicardico. ▪ Ipoteso. ▪ Tachipnoico. ▪ Oligurico. ▪ Ipotermico a livello della cute. Il paziente non è cosciente e la terapia di infusione è completamente inutile. CLASSIFICAZIONE ATLS DELLO SHOCK IPOVOLEMICO ENTITÀ DELLA PERDITA CLASSE I

10-15% - 750cc

CLASSE II

15-30% - 750-100cc

CLASSE III

40% - 2000cc

CLASSE IV

Sopra 40% - 2000cc

SINTOMI FREQUENZA VASCOLARI CARDIACA vasocostrizione, sete, sudore Tra 80 e 100 bpm freddo, pallore

pallore

DIURESI

PRESSIONE

PSICHE E SENSORIO

normale

normale

normale

sopra i 100 bpm

oliguria

differenziale aumentata, calo lievemente pressione venosa centrale alterato

molto alta

oligoanuria

Sistolica minore di 90mmHg alterato

molto alta

anuria

Netta ipotensione

alterato

RESPONSIVITÀ presente presente presente (1500cc aumento pressione in 30min) assente

DIAGNOSI DI SHOCK IPOVOLEMICO: ad eccezione dei casi evidenti, può essere necessario porre una diagnosi per questo tipo di patologia, si ricorre a: • VALUTAZIONE CLINICA fondamentale anche nel valutare l'efficacia della terapia. • VALUTAZIONE DELLA DIURESI. • VALUTAZIONE DELLA IPOTENSIONE ARTERIOSA. • RIDOTTA PRESSIONE VENOSA CENTRALE. • VALUTAZIONE LABORATORISTICA DI PARAMETRI QUALI ACIDOSI, GLICEMIA E INDICI DI SOFFERENZA. 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock TRATTAMENTO: il trattamento prevede: • ABC: airway breath circulation, è fondamentale mantenere le vie aeree pervie e garantire la massima possibilità di ventilazione. • Avere due accessi venosi periferici attivi al fine di infondere fisiologica, sangue e cristalloidi. • Terapia farmacologica. • È fondamentale arrestare immediatamente la emorragia, soprattutto se digestiva: ◦ endoscopia con emostasi: prevede la istillazione di coagulanti e sclerotizzanti sull'ulcera o varice causa del sanguinamento. ◦ Radiologia interventistica, anche in questo caso poco invasiva. ◦ Intervento chirurgico, solo se indispensabile. • reintegrare nutrizionalmente il malato al fine di garantire all'organismo un adeguato nutrimento.

LO SHOCK MISTO:

in ambito clinico spesso non è possibile definire in modo assoluto una situazione di shock come tale e spesso una situazione patologica di shock si accompagna ad altre patologie. Dal punto di vista clinico definiamo quindi: • SHOCK PURO associato ad una causa ben determinata. • SHOCK MISTO nei casi in cui ad uno shock ipovolemico si accompagnino: ◦ un evento patogenetico come la sepsi: nel caso in cui la sepsi non sia arginabile in quanto non viene identificata la fonte della infezione o non si riesca a spegnere la risposta umorale. ◦ Mancanza di risposta sistemica di compenso, si tratta di una evenienza relativamente rara ma possibile, si verifica per: ▪ pazienti oncologici o immunodepressi che non rispondono bene alla terapia o alla sepsi se presente. ▪ comorbidità vascolari molto importanti, soprattutto cardiache. ◦ Tempestività dell'intervento e di identificazione della fonte della infezione e dell'intervento. LO SHOCK TRAUMATICO: un tipico esempio di shock misto è lo shock da TRAUMA che si sviluppa generalmente in questo modo: • ipovolemia assoluta determinata dalla emorragia, spesso interna ma anche esterna. • Vasoplegia midollare: la paralisi vascolare determinata dalla lesione del midollo spinale che spesso si verifica in caso di incidenti stradali, provoca una forte vasodilatazione. • Alterazione cardiaca determinata da un trauma da cintura di sicurezza che può provocare una compressione cardiaca molto forte. • Iperdinamismo circolatorio: una sepsi post traumatica, originata per esempio da ascessi intraperitoneali con sepsi terziaria, può provocare un iperdinamismo circolatorio con vasodilatazione fortissima. Lo sviluppo di uno shock di questo tipo può richiedere tempo e spesso si verifica anche a seguito di un intervento chirurgico.

LO SHOCK SETTICO:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock al contrario di quanto avviene nello shock ipovolemico, NELLO SHOCK SETTICO LA ALTERAZIONE DEL METABOLISMO CELLULARE È PRIMITIVA e viene COMPENSATA DA UN INCREMENTO DEL FLUSSO: TALE INCREMENTO DEL FLUSSO TUTTAVIA NON È IN GRADO DI COMPENSARE UNA ALTERAZIONE CHE È PRIMITIVA e viene meno nel momento in cui l'organismo non è più in grado di sostenerlo. La patologia cellulare primitiva dipende fondamentalmente dalla presenza di: • Batteri. • Virus. • Miceti. E loro prodotti nell'organismo. I batteri sono sicuramente la causa più frequente di questo tipo di patologia e nel corso degli ultimi anni si è osservata una variazione della tendenza epidemiologica soprattutto in relazione alle INFEZIONI NOSOCOMIALI che sono sempre più spesso, al contrario di un tempo, dovute a BATTERI GRAM POSITIVI soprattutto MULTIRESISTENTI come i SAMR (staffilococcus aureus meticillin resistent) che è la causa del 25­30% delle sepsi nosocomiali. Altre eziologie sono in ogni caso possibili: • virale, anche se molto di rado. • Soprattutto in caso di INFEZIONI NOSOCOMIALI per pazienti a condizioni generali compromesse, la eziologia PUÒ ESSERE MICOTICA. INFEZIONI COMUNITARIE E NOSOCOMIALI: come accennato in precedenza le sepsi e le infezioni dal punto di vista epidemiologico possono essere distinte in due grandi categorie: • INFEZIONI NOSOCOMIALI contratte da un paziente ricoverato da almeno 48­72 ore: il paziente in questo arco di tempo ha avuto la possibilità di acquisire una flora batterica che non è quella tipica del territorio. • INFEZIONI COMUNITARIE che invece si sviluppano tipicamente fuori dall'ospedale. Esiste poi una terza categorie di infezioni che oggi rientra nella categoria delle infezioni nosocomiali, si tratta di INFEZIONI CORRELATE ALLA ASSISTENZA EXTRAOSPEDALIERA che riguardano soprattutto la popolazione anziana in: • CASA DI RIPOSO o STRUTTURE DI ASSISTENZA come le RSA (residenza sanitaria assistenziale) dove spesso il paziente dimesso dall'ospedale prosegue la sua convalescenza. • CLINICHE ESTERNE ALL'OSPEDALE. Ad oggi è stato dimostrato che la flora batterica che si trova in queste strutture è sempre più sovrapponibile a quella rinvenuta in ospedale: si tratta di problematiche molto serie in quanto in queste strutture i pazienti malati e debilitati sono estremamente numerosi. FREQUENZA E TIPO DI INFEZIONI: come accennato vi è una profonda differenza tra la flora batterica comunitaria e quella nosocomiale, questa differenza si traduce in una differente incidenza delle infezioni: • in COMUNITÀ le infezioni più ricorrenti riguardano: ◦ ADDOME. ◦ POLMONE. • In ambito NOSOCOMIALE le infezioni più comuni sono sicuramente: ◦ URINARIE. ◦ DEL SITO CHIRURGICO. 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock EZIOLOGIA DELLO SHOCK SETTICO: la patologia cellulare indotta dalla infezione scatena una risposta fisiopatologica importante capace di generare i sintomi caratteristici di sepsi e shock; analogamente al caso precedente la risposta dell'organismo riguarda quattro punti fondamentali: • risposta NEUROENDOCRINA. • Risposta IMMUNOLOGICA. • Risposta EMODINAMICA. • Risposta METABOLICA. nello shock di tipo settico SICURAMENTE LA RISPOSTA IMMUNOLOGICA È PREVALENTE ma si accompagna sempre ad una risposta di tipo NEUROENDOCRINO E METABOLICO essenziali nel tentativo di affrontare il problema. LO SHOCK SETTICO RICONOSCE DUE COMPONENTI EZIOLOGICHE FONDAMENTALI: • il focolaio SETTICO che attivamente infetta il paziente. • La RISPOSTA IMMUNITARIA del paziente. DEFINIZIONI: l'infezione è un processo localizzato che riguarda i tessuti di un solo organo, causato prevalentemente da microorganismi patogeni, che sono in grado di dare una reazione infiammatoria locale. Le infezioni localizzate possono assumere carattere molto differente da caso a caso. A prescindere da questo esiste una classificazione risalente al 1992 e rinnovata nel 2002 ed ancor oggi utilizzata per questo tipo di patologia. Si definiscono: • SIRS o risposta infiammatoria sistemica dell'organismo. Qualunque organismo da una risposta allo stato infiammatorio indotto da un qualsiasi stimolo esterno, non necessariamente infettivo; alcuni esempi sono: ◦ pancreatite acuta: generalmente non è determinata nelle prime fasi da microorganismi. ◦ Postoperatorio dove il paziente è sempre compromesso. ◦ Trauma. ◦ Ustioni. Questo è importante anche dal punto di vista terapeutico: l'innesco di una SIRS può portare alla somministrazione di farmaci e terapie superflui. La SIRS si manifesta con due o più dei seguenti segni: ◦ iperpiressia o temperatura corporea inferiore a 36°C. ◦ Frequenza cardiaca superiore a 90 battiti al minuto. ◦ Frequenza respiratoria maggiore di 20 atti al minuto o pressione di CO2 inferiore a 32mmHg. ◦ Globuli bianchi presenti in numero maggiore di 12000/mm3 o minore di 4000/mm3 o una presenza nella popolazione dei leucociti di almeno il 10% di forme immature. • SEPSI si tratta di una condizioni in cui si registrano: ◦ UNA INFEZIONE DOCUMENTATA. ◦ DUE O PIÙ SEGNI DI SIRS. può essere causata da una broncopolmonite non complicata, infezioni urinarie o infezioni addominali come la appendicite. • SEPSI SEVERA che si caratterizza invece per: 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ◦ segni caratteristici di SIRS. ◦ Presenza di una infezione DOCUMENTATA. ◦ DISFUNZIONE D'ORGANO che coinvolte UN SINGOLO ORGANO e che si manifesta a livello sistemico con: ▪ acidosi da acido lattico. ▪ Ipotensione: L'EMODINAMICA GENERALE COMINCIA AD ESSERE ALTERATA ma il paziente è in uno stato compensato e può essere trattato efficacemente. ▪ Oliguria. ▪ Deterioramento acuto dello stato mentale. Tipiche cause di sepsi severa sono: ▪ infezioni polmonari, soprattutto nei pazienti compromessi. ▪ Infezioni addominali complicate cioè peritoniti acute generalizzate, perforazioni intestinali, empiema della colecisti, appendicite gangrenosa. ▪ Mediastiniti: il mediastino raramente viene invaso da microorganismi in modo massivo, ma quando questo avviene la patologia è estremamente grave. A livello qunidi di microcircolo di un organo si crea una condizione patologica estremamente grave. • SHOCK SETTICO dove il paziente sviluppa: ◦ IPOTENSIONE che non risponde alla fluidoterapia: il microcircolo è del tutto compromesso e quanto viene infuso si riversa nell'interstizio. ◦ Segni di disfunzione d'organo molto importanti, nello specifico: ▪ acidosi da acido lattico. ▪ Oliguria. ▪ Deterioramento acuto dello stato mentale. a questo punto non c'è più modo di controllare la situazione, il paziente spesso muore. • MOD disfunzione multipla d'organo. Si assiste in questo frangente alla perdita della funzione di numerosi organi differenti che in particolare si manifesta nell'innesco di situazli quali: ◦ ARDS insufficienza respiratoria acuta in questo caso funzionale. ◦ IRA insufficienza renale acuta che aggrava il quadro di insufficienza funzionale a insufficienza organica, causata cioè da alterazioni elettrolitiche e dell'equilibrio acido base. ◦ DIC coagulazione intravascolare disseminata. Si hanno quadri sempre più gravi fino alla morte del paziente. LA RISPOSTA DELL'ORGANISMO ALL'INFEZIONE: A QUALUNQUE TIPO DI INFEZIONE che determina una risposta locale FA SEGUITO UNA RISPOSTA DELL'ORGANISMO che può essere di tipo: • bioumorale. • Immunomediata. • Metabolica. questo tipo di risposta è essenziale a difendere l'organismo dai danni provocati dal microorganismo. I fattori che influiscono sull'esito della patologia infettiva sono: • la carica batterica e la virulenza batterica: possono essere importanti, ma non fondamentali. 14


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock La capacità difensiva dell'organismo ha un ruolo fondamentale: un paziente immunocompromesso va chiaramente incontro a problemi molto seri. • La quantità e la qualità di tossine prodotte, i danni prodotti da questi fattori umorali vanno limitati li più possibile. • La capacità dell'organismo di generare un aumento dell'apporto di ossigeno ai tessuti che devono essere adeguatamente nutriti. Queste sono LE FINALITÀ DELLA RISPOSTA DELL'ORGANISMO che si estrinsecano fondamentalmente tramite: • ATTIVAZIONE DI MONOCITI MACROFAGI E POLIMORFONUCLEATI. • PRODUZIONE DI CITOCHINE da parte delle cellule precedentemente attivate: i mediatori così prodotti sono essenziali nel limitare il focolaio settico. LE FASI DELLA INFEZIONE: nel complesso una infezione si caratterizza per: • una FASE PRECLINICA dove l'infezione non è ancora evidente. • una FASE CLINICA dove si possono osservare: ◦ UNA FASE DI COMPENSO che se individuata e controllata resta tale e si risolve. ◦ UNA FASE DI INSUFFICIENZA DI SINGOLA FUNZIONE durante questa fase il danno è già parzialmente presente e interessa, generalmente, il polmone. ◦ UNA FASE DI SCOMPENSO che se non controllata porta alla INSUFFICIENZA POLIORGANO (MOD) potenzialmente mortale. La fase di compenso e la fase di insufficienza di singola funzione sono fondamentalmente REVERSIBILI e CONTROLLABILI da parte dell'organismo soprattutto in presenza di ausilio medico. LA GRAVITÀ DELLA DISFUNZIONE D'ORGANO: la gravità della disfunzione d'organo, dovuta alla insufficiente fornitura periferica di ossigeno, assume quadri di gravità differente a seconda dei casi: • GRAVITÀ E DURATA: più importante è l'infezione e più duratura nel tempo, tanto più sarà grave il quadro di disfunzione. Per questo motivo nel momento in cui si sospetti una infezione è indispensabile iniziare la terapia il più presto possibile. • LIVELLO DI RESISTENZA DELL'ORGANO: tanto più l'organo soggetto allo stress è debole, tanto prima andrà incontro ad una disfunzione. Generalmente per intrinseca sensibilità agli eventi la insufficienza d'organo interessa: ◦ anzitutto il polmone. ◦ Quindi il rene. ◦ Infine il fegato: si tratta dell'ultimo organo che subisce gli effetti dello shock. • CONDIZIONI CLINICHE DI BASE E RISERVA FUNZIONALE DEL PAZIENTE: si tratta di una condizione fondamentale, il problema risulta estremamente serio se un quadro settico si verifica in un paziente cirrotico con compromessa funzione epatica. LA RISPOSTA ALLO SHOCK SETTICO: come accennato in precedenza l'organismo monta una risposta allo shock che è principalmente IMMUNOLOGICA in questo caso ma che è anche e in modo molto importante METABOLICA. LA RISPOSTA METABOLICA ALLO SHOCK: la risposta è di fatto prettamente catabolica, l'organismo sfrutta tutte le risorse a sua disposizione: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock • CATECOLAMINE. • CORTISOLO. • GLUCAGONE. Per il forte incremento della catabolizzazione del glicogeno quindi, IL PAZIENTE SARÀ IPERGLICEMICO, d'altro canto le modificazioni del metabolismo tendono a favorire l'utilizzo di altri tipi di substrati e si innescano meccanismi di: • LIPOLISI. • CATABOLISMO DEL MUSCOLO. il catabolismo proteico aumenta quindi in modo molto importante nel tentativo di aumentare il livello di amminoacidi presenti in circolo. Degli amminoacidi mobilitati: • GLI AMMINOACIDI RAMIFICATI sono ESTREMAMENTE UTILI. • GLI AMMINOACIDI AROMATICI NON VENGONO UTILIZZATI e PERMANGONO IN CIRCOLO MOLTO A LUNGO. L'aumento degli amminoacidi aromatici provoca una ENCEFALOPATIA molto importante: • aumentano gli amminoacidi aromatici. • Gli amminoacidi aromatici oltrepassano la barriera ematoencefalica. • Si forma una grave encefalopatia. Il paziente è compromesso quindi anche sul versante di PSICHE E SENSORIO a causa di FEBBRE, IPOTENSIONE ED ENCEFALOPATIA DA AMMINOACIDI AROMATICI. Il quadro si aggrava ancora di più a causa della alterazione della produzione epatica di proteine dove: • AUMENTANO: ◦ PCR. ◦ FIBRINOGENO. • DIMINUISCE L'ALBUMINA. Il CALO DELLA ALBUMINA diviene una CONCAUSA DI ARDS: cala la pressione oncotica nel vaso polmonare e questo facilita in modo molto importante la fuoriuscita di fluidi. LA RISPOSTA IM MUNOLOGICA ALLO SHOCK: l'importanza della efficacia dei meccanismi legati alla RISPOSTA IMMUNITARIA è FONDAMENTALE DAL PUNTO DI VISTA PRATICO, se questa non è sufficiente: • si possono sovrapporre delle infezioni nosocomiali • germi opportunisti presenti nell'organismo o con cui il paziente entra in contatto POSSONO VIRULENTARE. • Incrementa il rischio di traslocazione batterica a livello intestinale: la barriera mucosale intestinale risulta molto spesso COMPROMESSA e CONSENTE IL PASSAGGIO DI PATOGENI DAL TRATTO GASTROENTERICO, soprattutto colico, VERSO LE PARTI INTERNE DELL'ORGANISMO. Una tipica conseguenza di questo tipo di problema sono le PERITONITI TERZIARIE: si tratta di patologie gravi determinate dalla presenza di alterazioni immunologiche infettive e nutrizionali che seguono alla terapia medica e chirurgica di peritoniti importanti. Una sepsi NONOSTANTE LA ERADICAZIONE DEL FOCOLAIO INFETTIVO PUÒ AVER RAGGIUNTO UN LIVELLO DI EVOLUZIONE TALE DA NON POTER ESSERE BLOCCATA: i processo diviene autocatalitico. LA RISPOSTA BIOUMORALE ALLO SHOCK: i mediatori umorali sono ESSENZIALI come accennato, ricordiamo: • IL o INTERLEUCHINE, prodotti fondamentali. 16


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock PROTEINE DELLA FASE ACUTA. PROTEINE DEL COMPLEMENTO. PRODOTTI VASOATTIVI come: ◦ chinine. ◦ Istamina. ◦ Serotonina. ◦ Endotelina. • MDF: myocardial depressive factor, fattore importantissimo che riduce la attività cardiaca ma prodotto solo TARDIVAMENTE rispetto agli altri elementi infiammatori umorali. • TNF molto importante, soprattutto il TNF alfa che la citochina a potere sistemico maggiormente attiva nell'organismo. • OSSIDO NITRICO, fattore vasoattivo estremamente importante. Questi mediatori SONO PRODOTTI E AGISCONO IN MANIERA ACUTA cioè REPENTINAMENTE. La azione di tali mediatori è fondamentalmente quella di innescare: • leucocitosi. • Aumento di numero e attività dei linfociti T, base essenziale della risposta immunitaria specifica. • Aumento della temperatura corporea. • Aumento del catabolismo muscolare. • Aumento della sintesi delle proteine della fase acuta: ◦ aumentano soprattutto PCR e FIBRINOGENO. ◦ Diminuiscono i livelli di ALBUMINA. • Mobilitazione di substrati energetici. Un paziente con substrati energetici alterati, che presenta cioè: • uno stato di iponutrizione con BMI inferiore a 20. • uno stato di obesità con BMI superiore a 30. presenta una risposta immunitaria di qualità nettamente inferiore rispetto ad un paziente che invece presenta depositi energetici di livello sufficientemente elevato. Oltre alla terapia diretta alla cura della malattia quindi, è indispensabile correggere questi difetti di fondo. AZIONI POTENZIALMENTE DANNOSE DEI MEDIATORI UMORALI: i mediatori umorali favoriscono inevitabilmente condizioni negative per lo stato del microcircolo del paziente: • aggregazione di leucociti e piastrine a livello intravascolare che provoca un aggravamente della condizione di ipoperfusione periferica favorendo un metabolismo anaerobio. • Attivazione di enzimi proteolitici che possono agire dal punto di vista organico sull'endotelio del microcircolo: se si instaura un danno organico diretto, si perde il controllo dei meccanismi di filtrazione endoteliale. • diminuzione del tono a livello delle METAARTERIOLE DEI MICROCIRCOLI che favorisce il passaggio di sangue dal versante venoso a quello arterioso riducendo ancora di più la perfusione del tessuto. Nel complesso quindi CALA L'UTILIZZO PERIFERICO DI OSSIGENO e si INNESCANO MECCANISMI DI METABOLISMO ANAEROBIO. Una volta giunti allo stadio finale del processo il danno si estrinseca coma un SOFFERENZA • • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock DI TUTTI GLI ORGANI: • POLMONE: gli aggregati piastrinici e cellulari formatisi a seguito del rilascio di molecole attive sono dannosi per l'endotelio polmonare in quanto alterano la permeabilità e quindi la funzionalità della membrana alveolo capillare inficiando gli scambi respiratori. Il primo organo ad andare incontro a sofferenza è anche in questo caso il polmone e abbiamo molto spesso una ARDS. • ATTIVAZIONE DEL SISTEMA COAGULATIVO che interessa i microcricoli di tutto l'organismo. SPESSO ANCHE UNA VOLTA ELIMINATA LA CAUSA DELLA SEPSI NON SI È IN GRADO DI CONTROLLARE LA RISPOSTA IMMUNOMETABOLICA INNESCATA. FASI CLINICHE DELLO SHOCK SETTICO: dal punto di vista clinico distinguiamo tre fasi essenziali della evoluzione della sepsi: • IPERDINAMICA. • IPODINAMICA. FASE IPERDINAMICA (shock caldo) : si tratta della fase definita ad ALTO FLUSSO caratterizzata dalla presenza di basse resistenze periferiche determinata dall'incremento caratteristico della attività cardiaca, in questo momento la carica batterica e l'effetto della infezione superano le difese dell'organismo che si stanno attivando in senso: • neuroendocrino. • Immunitario. • Metabolico. Dei numerosi e diversi mediatori umorali che si attivano in questa fase, sicuramente è fondamentale L'OSSIDO NITRICO, questo composto presenta effetti: • FAVOREVOLI perché sicuramente contribuisce a mantenere la perfusione a livello del microcircolo contrastando la attività delle endoteline, fortemente vasocostrittive. • SFAVOREVOLI in quanto mantiene una vasodilatazione periferica eccessiva incrementando il calo delle resistenze e favorendo la ipotensione. LA RISPOSTA IN QUESTO STADIO È ABBASTANZA EFFICACE, possiamo dire che: • aumenta il flusso periferico grazie al compenso neuroendocrino efficacemente attivato, di conseguenza: ◦ aumenta la gittata cardiaca. ◦ Aumenta la perfusione periferica grazie alla dilatazione: ▪ arteriolare. ▪ Degli shunt arterovenosi. Che complessivamente diminuisce le resistenze periferiche. Quindi: ◦ la volemia è adeguata. ◦ La gittata cardiaca è adeguata e resterà tale fintanto che il cuore sarà in grado di garantirla. ◦ L'emodinamica è stabile. • In questa fase si mostrano i primi veri e propri danni: comincia ad essere escluso il microcircolo dal flusso ematico. Il danno vascolare si estrinseca con: ◦ aumento della permeabilità vascolare. ◦ Aumento dei processi edematosi eventualmente presenti o formazione di nuovi 18


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock edemi tramite fenomeni di refilling. Durante questa fase si possono osservare delle INSUFFICIENZE VASCOLARI in diverse regioni dell'organismo ma NON IN MODO DIFFUSO, si tratta di un fenomeno a macchia di leopardo dove in determinate zone la ipoperfusione è più accentuata. In ogni caso in questa fase la pressione SISTOLICA resta NORMALE. ARDS IN FASE COMPENSATA: è possibile che durante questa fase di compenso venga a verificarsi una ARDS (acute respiratory distress syndrome) dove la riorganizzazione vascolare determinata dalla azione di fattori vasoattivi può portare alla formazione di: • zone mal ventilate e ben perfuse del polmone soprattutto a livello della parte SUPERIORE dello stesso dove: ◦ il flusso ematico è inficiato dalle alterazioni emdinamiche. ◦ Il flusso d'aria è incrementato dalla iperventilazione. Si crea un effetto di SPAZIO MORTO. • zone mal perfuse e ben ventilate soprattutto nella parte INFEROPOSTERIORE del polmone dove: ◦ il flusso ematico è abbondante a causa delle alterazioni emodinamiche. ◦ Il flusso di aria è spesso ridotto: ▪ lo stravaso degli elementi infiammatori induce un inspessimento della membrana respiratoria. ▪ La sofferenza degli pneumociti di tipo II riduce fortemente la produzione di surfactante e alcuni alveoli nelle regioni basali del polmone tendono al collasso. Passa quindi attraverso il circolo polmonare del sangue che non viene ossigenato, si parla di EFFETTO SHUNT. Se si instaura una ARDS il paziente necessita di un ausilio meccanico alla respirazione. Questa situazione può risultare aggravata dalla presenza di vere e proprie ATELETTASIE a livello soprattutto delle regioni inferiori del polmone: tali alterazioni possono favorire l'accumulo di germi e l'insorgenza di ulteriori focolai infettivi. FASE IPODINAMICA (shock freddo) : a questo punto lo stato settico persiste, non è possibile ridurre la risposta immunitaria in modo efficace, di conseguenza: • si scatenano i mediatori umorali in modo imponente e il DIFETTO METABOLICO SI ACCENTUA fino al punto in cui la CELLULA NON È IN GRADO DI MANTENERE UN METABOLISMO ADEGUATO: in questa fase viene meno non solo la capacità di metabolizzare i glucidi ma anche quella di metabolizzare i lipidi. • DIMINUISCE LA CAPACITÀ CONTRATTILE CARDIACA con conseguente RIDUZIONE DELLA GITTATA CARDIACA: il cuore non è più in grado di fornire substrati al circolo periferico. L'instaurarsi di questa situazione può: ◦ non avvenire per giorni o settimane, tutto dipende dalla resistenza che dimostra il cuore allo stress emodinamico. ◦ Precipitare se comincia ad essere presente in circolo MDF fattore depressivo miocardico, che aggrava molto la condizione del paziente. • Si scatena infine una IPOVOLEMIA con IPOPERFUSIONE PERIFERICA. Si tratta di una situazione simile a quella di uno shock ipovolemico marcato dove si 19


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock registrano: • acidosi metabolica da acido lattico. • Imponente alterazione delle membrane cellulari. • Riduzione della diuresi. • Stato mentale confuso. LA SITUAZIONE È TANTO COMPROMESSA CHE NON È PIÙ POSSIBILE CORREGGERE IL

Il tratteggio rosso indica i pazienti in sepsi, quello blu i pazienti in shock ipovolemico a basso flusso: il paziente settico si colloca in un'area in cui la gittata cardiaca è alta e la resistenza periferica bassa, con l'evolvere della situazione la sepsi porta al collasso della capacità del cuore di fare fronte a tali condizioni.

GITTATA CARDIACA in L/min

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10

5

0 0

1000

2000

RESISTENZE PERIFERICHE Dine al secondo per cm3

3000

LA INSUFFICIENZA D'ORGANO: la eziologia della sofferenza organica è determinata da una PROFONDA ALTERAZIONE DELLA ATTIVITÀ METABOLICA dovuta all'esaurimento dell'effetto di mediatori ormonali precedentemente prodotti e all'innesco di un meccanismo che riduce il consumo di ossigeno a livelli molto bassi a causa di blocchi enzimatici multipli. Nel complesso possiamo dire che: • SI PERDE COMPLETAMENTE L'EMOSTASI GLUCIDICA a causa di due fenomeni fondamentali: ◦ il fegato non è più in grado di mobilitare glicogeno che è esaurito nelle fasi precedenti. ◦ Vi è un importante deficit ENZIMATICO DELLE PIRUVICO DEIDROGENASI, enzima fondamentale per la trasformazione del piruvato ad acetil CoA, elemento essenziale per la prima fase del ciclo di krebs. • BLOCCO DELLA ATTIVITÀ METABOLICA DEGLI AMMINOACIDI dovuta presumibilmente a problemi metabolici, che genera: ◦ blocco dell'uso degli amminoacidi presenti in circolo. ◦ Blocco della gluconeogenesi. ◦ Blocco della attività protidosintentica, molto rilevante in questo frangente per quanto concerne proteine della fase acuta e anticorpi. • BLOCCO DEL METABOLISMO LIPIDICO determinato anche in questo da deficit enzimatici probabilmente correlati anche al venir meno di cofattori essenziali per la beta ossidazione. 20


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock mentre l'eziologia della sofferenza d'organo è fondamentalmente sempre la stessa, le manifestazioni sono estremamente variabili a seconda di quale organo viene interessato, generalmente in ordine di tempo sono interessati: • POLMONI dove si verifica una ARDS chiaramente dovuta a: ◦ incremento della permeabilità endoteliale. ◦ Formazione di edemi interstiziali. ◦ Formazione di infiltrati cellulari. Si manifesta radiologicamente con un quadro di addensamento parenchimale importante. • RENI dove si registra una vera e propria IRA (insufficienza renale acuta) organica dove: ◦ la vasocostrizione contribuisce a ridurre il flusso ematico. ◦ Si registra una azione diretta di batteri e prodotti batterici sul circolo e sul parenchima renale. Si manifesta con OLIGURIA prima e ANURIA nelle fasi più avanzate. • CUORE il cui interessamento come accennato dipende dalla CONDIZIONE PRIMITIVA DELL'ORGANO: cardiopatie preesistenti riducono in modo molto importante la capacità di questo organo di supplire all'enorme carico di lavoro che gli viene richiesto. Il quadro più comune è quello della insufficienza cardiaca ad alta gittata. • FEGATO che in grado di sopportare una ipoperfusione anche del 50% rispetto al suo flusso normale (è uno degli ultimi organi ad essere interessati) ma nel momento in cui il quadro divenga particolarmente grave si registrano: ◦ ITTERO INGRAVESCENTE ◦ INDICI DI STASI BILIARE E CITOLISI AUMENTATI: fattori infiammatori, soprattutto IL1 e TNF alfa, e fattori batterici, come la LPS, sono in grado di inibire i meccanismi di trasporto caratteristicamente coinvolti nel metabolismo della bilirubina. Nel caso specifico risultano inibiti: ▪ trasporto di sali biliari dalle sinusoidi epatiche al fegato. ▪ Trasporto di bilirubina dall'epatocita al canalicolo biliare. La bilirubina viene quindi NORMALMENTE CONIUGATA ma NON VIENE TRASPORTATA ALLA VIA BILIARE. Le vie biliari quindi seppur soffrenti non sono congeste. ◦ IPOGLICEMIA: il fegato perde la sua capacità di gestire il metabolismo glucidico e non è in grado di rifornire adeguatamente l'organismo. Clinicamente si tratta di un FATTORE FONDAMENTALE: lo stato di salute del fegato correla direttamente con la prognosi dello shock settico. • SISTEMA NERVOSO CENTRALE, il paziente va incontro ad una forte alterazione di psiche e sensorio, nello specifico: ◦ l'encefalopatia iniziale è caratterizzata da iperventilazione, confusione e tremori. ◦ Se non trattata la encefalopatia può portare a: ▪ allucinazioni. ▪ Movimenti tonico clonici. ▪ Segni di neuropatia periferica. ▪ Coma. 21


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock Mentre nella fase iniziale può giocare un ruolo importante la febbre, nelle fasi avanzate sembra che la causa sia da imputarsi allo squilibrio precedentemente descritto tra amminoacidi ramificati e aromatici, questo porterebbe a livello encefalico alla sintesi di neurotrasmettitori definiti FALSI cioè: ▪ OCTOPAMINA. ▪ FENILENTANOLAMMINA. Capaci di provocare problemi molto seri. Si tratta di un quadro di EPS encefalopatia portale sistemica. Dal punto di vista clinico è scarsamente rilevabile in quanto il paziente è quasi sempre sedato. • CRASI EMATICA SICURAMENTE MOLTO IMPORTANTE dove la ostruzione del microcircolo potrebbe condurre ad UNA CID con conseguenti: ◦ ANEMIA. ◦ PIASTRINOPENIA. Si possono poi evidenziare delle alterazioni leucocitarie importanti come accennato. Dal punto di vista clinico si possono avere: ◦ diatesi emorragiche importanti con grandi sanguinamenti. ◦ Quadri di CID coagulazione intravascolare disseminata. • APPARTO GASTROENTERICO che può essere interessato anche in forma precoce da questo tipo di patologia, nello specifico: ◦ a livello di flusso splancnico si verifica una ISCHEMIA che può provocare un DANNO VASCOLARE DELLA MUCOSA capace di dare: ▪ lesioni ulcerative che si approfondano nella parete e che favoriscono la penetrazione batterica. ▪ Emorragie importanti fino eventualmente allo SHOCK COMPLESSO capace di scompensare ancora di più la sepsi. ◦ CALO DEL FLUSSO EMATICO ALLA MUCOSA che PUÒ FAVORIRE LA TRASLOCAZIONE BATTERICA come accennato in precedenza. La virulentazione di germi opportunisti e la formazione di una condizione di emorragia possono portare ad uno SHOCK COMPLESSO. MANIFESTAZIONI CLINICHE: il modo migliore per trattare una condizione di questo tipo è sicuramente la diagnosi precoce ricordando soprattutto come la mortalità per una MODS si aggiri nonostante tutti i progressi intorno al 60%. Come accennato esistono dal punto di vista clinico diverse fasi: • FASE PRECLINICA dove non sono registrabili evidenze cliniche di malattia o evidenti focolai infettivi, in ogni caso il paziente presenta: ◦ un amento delle proteine della fase acuta. ◦ Una leucocitosi. ◦ Un aumento dell'urea determinato dell'incremento del catabolismo proteico muscolare e periferico. ◦ Una iperglicemia che ha la caratteristica di essere resistente alla insulina e di difficile controllo, soprattutto in un diabetico. • FASE IPERDINAMICA o di SEPSI FLORIDA dove il quadro comincia ad essere importante, il compenso è comunque presente e si parla di shock ad alto flusso con basse resistenze periferiche, quindi il paziente: 22


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ◦ è roseo e ben perfuso, si possono apprezzare eventualmente delle iniziali marezzature a livello cutaneo in zone meno perfuse. ◦ Febbre chiaramente presente: la febbre può essere elevata, continua o subcontinua, spesso accompagnata da brivido. In circolo sono sempre presenti germi che si moltiplicano e spesso la febbre si presenta: ▪ UROSETTICA O BILIOSETTICA che si presenta: • priva di regolarità. • Esordio brusco ed improvviso. • Ascesa con brivido squassante. • Caduta per crisi. ▪ SUPPURATIVA che invece si presenta: • regolare e quotidiana. • Sale nel pomeriggio verso le 17. • raggiunge un picco non molto elevato. • Al mattino scompare. ▪ Febbre settica elevata: • continua o remittente. • Con puntate molto alte. ◦ Tachicardia. ◦ Iperventilazione dovuta a: ▪ Polipnea. ▪ Alcalosi respiratoria generalmente modesta vista la fase iniziale. ▪ Ipossiemia moderata. ◦ Diuresi conservata: volemia e perfusione sono sufficienti a garantire una diuresi normale. ◦ Pressione arteriosa normale: la pressione arteriosa non dimostra ipotensioni ma potrà risultare incrementata la PRESSIONE DIFFERENZIALE a causa di un calo delle resistenze periferiche che provoca un decremento della pressione diastolica. ◦ Edemi iniziali, sintomo di deficit del microcircolo. ◦ Iniziale stato confusionale: il deficit mentale può essere in questa fase dovuto alla febbre ma non è ancora estremamente grave. Dal punto di vista LABORATORISTICO possiamo dimostrare: ◦ leucocitosi: in presenza di sepsi da gram negativi tuttavia può verificarsi una leucopenia. ◦ Iperazotemia e iperglicemia. ◦ Acidosi metabolica: lentamente il microcircoli periferici cominciano a necessitare di un metabolismo anaerobio. ◦ Ipocolesterolemia determinata da un deficit di attività epatica. ◦ Aumento di LATTATI e PCR. LA MISURAZIONE DEGLI INDICI DI FLOGOSI: tra i diversi indici di flogosi utilizzabili in clinica ricordiamo: ◦ PCR è sicuramente un esame: ▪ disponibile. ▪ Economico. 23


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ▪ Facilmente e rapidamente disponibile. Non si correla in modo preciso con la gravità della sepsi, ma soprattutto nei quadri iniziali può essere molto utile. ◦ PROCALCITONINA si tratta di un indice: ▪ molto specifico per quanto riguarda stati INFETTIVI. ▪ Poco specifico per quanto riguarda invece la SIRS. ▪ Molto costoso, non viene utilizzato nella pratica clinica ma solo nella terapia intensiva. ◦ VALUTAZIONE DELLE CITOCHINE INFIAMMATORIE: altro test estremamente sensibile ma poco utilizzato in termini clinici in quanto costoso; anche questo test viene richiesto prevalentemente in termini di terapia intensiva. • FASE IPODINAMICA O DI SCOMPENSO sovrapponibile ad uno SHOCK IPOVOLEMICO che si caratterizza per: ◦ ipotensione che non risponde alla terapia. ◦ Tachicardia. ◦ Oliguria fino alla anuria. ◦ Ipotermia cutanea. ◦ Ipossiemia e dispnea. ◦ Ittero e alterazione dello stato di coscienza fino eventualmente al coma. In questa fase lo stress cardiaco può essere tanto importante da generare delle aritmie e degli scompensi che possono aggravare lo shock settico con una componente cardiogena. LA DIAGNOSI: come accennato la diagnosi precoce è fondamentale, dal punto di vista pratico si può dimostrare la presenza di: • UN FOCOLAIO, si possono utilizzare: ◦ RX: ▪ TORACICA importante a fini diagnostici in quanto consente di valutare lo stato di densità del polmone. ▪ ADDOMINALE che aiuta soprattutto ad individuare la presenza di perforazioni intestinali. ◦ ECO. ◦ TC ADDOME. In presenza di focolai di piccolo calibro si possono eventualmente eseguire interventi di radiologia interventistica funzionali allo svuotamento del processo suppurativo. • UN GERME PATOGENO dove la MICROBIOLOGIA è essenziale al fine di tipizzare i germi responsabili della infezione. Si eseguono quindi delle: ◦ EMOCULTURE: ▪ in maniera seriata nella febbre persistente almeno tre volte al giorno. ▪ Nelle puntate febbrili, quando la febbre sale in particolare se accompagnata da brivido: si tratta del momento più adatto per rinvenire il germe in circolo. Nel 30% dei casi le emoculture danno risultato negativo e risulta essenziale quindi un trattamento antibiotico empirico. ◦ Tamponi e studio dell'escreato polmonare. ◦ Esame delle urine soprattutto da cateteri, generalmente urocultura. 24


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ◦ Eventualmente rimozione e messa in coltura di CVC e device eventualmente presenti. ◦ Controllo dei drenaggi addominali. TERAPIA: la terapia deve essere diretta a diversi livelli: • ERADICARE IL FOCOLAIO SETTICO soprattutto in presenza di perforazioni, colecistiti o appendiciti è FONDAMENTALE, si eseguono quindi: ◦ TERAPIA ANTIBIOTICA che deve essere attentamente valutata anche quando empirica, il solo conoscere la sede di una perforazione intestinale, gastrica o colica, può influire sulla scelta della terapia da somministrare. Tale terapia: ▪ va iniziata subito. ▪ Va eseguita a dosi appropriate: va modulata sulla base del peso del paziente e molto spesso viene sottodosata. ▪ La posologia deve essere adeguata e la somministrazione endovenosa. La terapia antibiotica deve essere rivalutata una volta noto il germe responsabile della patologia. ◦ DRENAGGIO DELLE RACCOLTE ASCESSUALI che può essere eseguito: ▪ tramite radiologia interventistica. ▪ con intervento chirurgico. • FRONTEGGIARE LE RICHIESTE METABOLICHE DELL'ORGANISMO: ◦ mantenere adeguato il volume ematico e sostenere la funzione cardiaca è fondamentale. ◦ Correggere l'ipercatabolismo: il paziente non deve andare incontro ad un depauperamento eccessivo delle risorse endogene. È indispensabile a questo proposito quindi: ◦ REINTEGRARE LA VOLEMIA tramite fluidoterapia. ◦ SOMMINISTRARE INOTROPI POSITIVI al fine di favorire la gittata. ◦ OSSIGENO TERAPIA e GINNASTICA RESPIRATORIA eventualmente RESPIRAZIONE MECCANICA. ◦ CONTROLLO DEL DOLORE che aiuta la ventilazione. ◦ SOSTENERE LA FUNZIONE RENALE tramite: ▪ DIURETICI. ▪ CVVH: emofiltrazione arterovenosa. Si tratta di un meccanismo emodialitico importante che consente di eseguire contemporaneamente: • una dialisi normale. • Eliminazione dei fattori infiammatori presenti in circolo tramite filtrazione. ▪ DIALISI. ◦ CORREGGERE LA ACIDOSI. ◦ CORREGGERE LA COAGULOPATIA. ◦ CORREGGERE L'APPORTO CALORICO dove vanno somministrate almeno 25­ 30kcal/Kg/die. Se il paziente non è in grado di nutrirsi in modo autonomo si possono eseguire: ▪ nutrizione parenterale totale tramite CVC: il catetere venoso centrale può dare anche seri problemi. 25


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: fisiopatologia chirurgica 1: lo schock ▪ Nutrizione ENTERALE tramite: • sondini nasogastrici. • Digiunostomia che consente di bypassare eventuali ostacoli al flusso del bolo alimentare. La nutrizione enterale favorisce anche il mantenimento della integrità della mucosa e di conseguenza tende a diminuire le potenziali traslocazioni batteriche. Terapie in fase di studio prevedono l'utilizzo di: • anticorpi anti LPS. • Anticorpi anti MEDIATORI INFIAMMATORI. • Antagonisti delle INTERLEUCHINE E DEI MEDIATORI INFIAMMATORI. QUADRO CLINICO

PATOGENESI ESAMI UTILI

CLASSIFICAZIONE CLINICA DEI PRINCIPALI TIPI DI SHOCK EMORRAGICO CARDIOGENO SETTICO NEUROGENO pallore pallore febbre cute calda cute sudata e fredda cute sudata e fredda brividi tachicardia tachicardia aritmie cute calda oliguria oliguria oliguria tachicardia ipotensione ipotensione ipotensione oliguria alterazioni della coscienza riduzione della gittata difetto cellulare dell'utilizzo di emorragia vasoplegia cardiaca ossigeno ­ ematocrito + enzimi cardiaci leucocitosi ­ emoglobina ECG emocolture positive

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Emorragia interna

SHOCK IPOVOLEMICO RELATIVO

Farmaci Anestetici + ACEinh

ASSOLUTO

Aumento non Compensato del letto vascolare

QUADRO CLINICO: ●PA normale. ●Perfusione cerebrale e miocardica buona ●Psiche e sensorio integri ●Anossia ischemica periferica

● ● ● ●

QUADRO CLINICO: Non responsivo ●PA bassa ●Psiche e sensorio alterato ●Anossia ischemica diffusa Sfintere venulare chiuso – sfintere arteriolare aperto Glicolisi anaerobia con produzione di acido lattico ↑ contr.venula + ↓ contr arteriola = ↑ pressione capillare e iperemia passiva = Passaggio liquido nell'interstizio

● ● ●

Pallore Sudorazione fredda ●Vasocostrizione ●Oliguria fino ad anuria ●Ipotensione arteriosa ●Tachicardia ●Caduta pressione venosa centrale ●Psiche e sensorio alterato ●Dispnea ● ●

Calo delle resistenze periferiche Acidosi metabolica Perdita integrità membrane cellulari Refilling inverso

Facilita la ossigenazione + alcalosi + vis a fronte PP 90mmHg

↑ natriemia + ↑ volemia

↑ contrazione sfinteri vascolari = ↓ pressione capillare = Passaggio di liquido nei vasi

TENERE DIURESI > 30ml/h 70-150 cc/h

DANNO BIOLOGICO

Ipossiemia e acidosi. Danno endoteliale con aumento della permeabilità Creazione di danno cellulare

MOD POLMONE

ARDS

Eliminazione di liquido

DANNO IRREVERSIBILE ●

QUADRO CLINICO: Non responsivo

1-2 FASE DI COMPENSO min Aumentato ritorno venoso Tachicardia Iperventilazione Riduzione della perfusione renale Refilling capillare

FASE DI SCOMPENSO ●

Emorragia esterna

Perdita di sangue o di Liquido

Incremento permeabilità vascolare. Edema interstiziale. ●Alterazione membrana alveolare.

Altri organi: Cuore Fegato Sangue SNC GI

CLASSIFICAZIONE ATLS DELLO SHOCK IPOVOLEMICO ENTITÀ DELLA PERDITA CLASSE I

10-15% - 750cc

CLASSE II

15-30% - 750-100cc

CLASSE III

40% - 2000cc

CLASSE IV

Sopra 40% - 2000cc

RENE Iperattivazione del RAAAS. Se la pressione di perfusione arriva sotto gli 80mmHg il danno diventa biologico.

SINTOMI FREQUENZA VASCOLARI CARDIACA vasocostrizione, sete, sudore Tra 80 e 100 bpm freddo, pallore

pallore

DIURESI

PRESSIONE

PSICHE E SENSORIO

normale

normale

normale

sopra i 100 bpm

oliguria

differenziale aumentata, calo lievemente pressione venosa centrale alterato

molto alta

oligoanuria

Sistolica minore di 90mmHg alterato

molto alta

anuria

Netta ipotensione

alterato

RESPONSIVITÀ presente presente presente (1500cc aumento pressione in 30min) assente


SHOCK SETTICO QUADRO CLINICO: stabile fintanto che il cuore lo mantiene ●Pressione sistolica normale. ●Paziente roseo e ben perfuso. ●Febbre uro o biliosettica, settica o suppurativa. ●Tachicardia. ●Iperventilazione. ●Diuresi conservata. ●Edemi. ●Stato confusionale. ●Si può verificare una ARDS dovuta a: ● Aumento effetto shunt ● Aumento effetto spazio morto ●Possibili focolai infettivi polmonari QUADRO CLINICO: Non rispondente alla terapia ●Ipotensione non responder ●Tachicardia. ●Oligoanuria. ●Ipotermia cutanea. ●Ipossiemia e dispnea. ●Ittero. ●Alterazione della coscienza.

FASE PRECLINICA Fase di infezione non evidente ma in corso di sviluppo QUADRO CLINICO: Aumento proteine della fase acuta. ●Leucocitosi. ●Aumento urea da catabolismo muscolare ●Iperglicemia insulino resistente ●

FASE IPERDINAMICA Basse resistenze perferiche e aumento della attività cardiaca ● Liberazione di mediatori ● Aumento del flusso periferico ● Danno vascolare periferico iniziale a macchia di leopardo.

NO° → + dilatazione ma - pressione Dilatazione arteriolare e venulare ↑ permeabilità + ↑ edema insterstiziale

FASE IPODINAMICA Difetto metabolico e cedimento della pompa cardiaca ●Acidosi metabolica da acido lattico. ●Alterazione membrane cellulari. ●Oliguria e anuria. ●Stato mentale confuso. INSUFFICIENZA ORGANICA

CUORE

SNC

CRASI EMATICA

La situazione si determina per: Mancato controllo dei glucidi dovuto a: ● esaurimento del glicogeno. ● inattivazione della piruvico deiderogenasi. ●Blocco del metabolismo amminoacidico dovuto a: ● blocco della gluconeogenesi. ● blocco protidosintetico. ●Blocco del metabolismo lipidico dovuto a blocco della attività di enzimi della beta ossidazione. ●

INSUFFICIENZA ENCEFALOPATIA

RENI

FEGATO

IRA

ITTERO STASI BILIARE (da infiammazione) E IPOGLICEMIA

CID

GI ISCHEMIA TRASLOCAZIONE BATTERICA

POLMONE ARDS


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite

LE FERITE le ferite sono soluzioni di continuo dei tessuti determinare da un agente lesivo esterno. Le ferite possono essere classificate sulla base di numerosi e diversi aspetti, sicuramente ricordiamo la possibilità di suddividere le ferite su base: • ANATOMOPATOLOGICA. • PATOGENETICA.

CLASSIFICAZIONE DELLE FERITE:

anzitutto possiamo distinguere le ferite in quattro categorie: • ABRASIONE O ESCORIAZIONE che interessa solo gli strati più superficiali della cute, non supera cioè l'epidermide. Guarisce con restitutio ad integrum dopo la caduta di una crosta necrotico fibrinosa. • FERITA SUPERFICIALE che interessa cute e sottocute. • FERITA PROFONDA che interessa strutture fasciali e sottofasciali. • FERITA PERFORANTE che raggiunge la cavità addominale o toracica provocando una comunicazione della stessa con l'esterno. Sono in questo caso quindi coinvolte strutture sierose: ◦ PERITONEO PARIETALE. ◦ PLEURA PARIETALE. LA LESIONE TRAUMATICA: le lesioni traumatiche possono essere classificate un due grandi categorie: • NON PENETRANTI in particolare in presenza di lesioni: ◦ dirette inferte da un coltello per esempio. ◦ Da contraccolpo dove distinguiamo: ▪ lesioni da scoppio determinate per esempio da un proiettile. ▪ Decelerazioni dove l'impatto provoca, molto spesso, lesioni interne. • PENETRANTE la cui gravità dipende sostanzialmente dalla velocità con cui viene inferto il colpo: ◦ a bassa velocità come le armi da taglio. ◦ ad alta velocità come le armi da fuoco, soprattutto in presenza di scoppio. Risulterà nettamente differente nei due casi il carattere della lesione. Sulla base dell'agente vulnerante distinguiamo generalmente: • FERITE DA ARMA BIANCA. • FERITE DA ARMA DA FUOCO. • FERITE DA TRAUMA CONTUSIVO. LE FERITE DA ARMA BIANCA: le ferite da arma bianca si possono dividere in tre grandi categorie: • DA TAGLIO causate generalmente da coltelli, rasoi, bisturi e vetro: ◦ danno SOLUZIONI DI CONTINUO LINEARI. ◦ È possibile DETERMINARE LA PROFONDITÀ della lesione. • DA PUNTA causate per esempio da chiodi o aghi: ◦ danno SOLUZIONI DI CONTINUO PUNTIFORMI O TONDEGGIANTI. ◦ NON È POSSIBILE DETERMINARE LA PROFONDITÀ della lesione. ◦ la forma riprende in sezione quella dell'agente lesivo: il tamponamento 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite immediato della ferita determinato dalla contrazione della cute crea una obliterazione parziale del punto di inserzione che non consente di determinare con certezza il calibro dell'agente lesivo. Sono classiche lesioni presenti nei tentativi di suicidio. • DA PUNTA E TAGLIO dove i due elementi si combinano tra loro. LE FERITE DA PUNTA: le ferite da punta possono assumere quindi una conformazione: • NON PERFORANTE e a seconda della direzione del colpo possono essere: ◦ superficiali con andamento ortogonale ◦ superficiali con andamento semicanalare. ◦ profonde • PERFORANTI che a seconda della profondità e localizzazione della sezione possono essere: ◦ trapassanti: perforano completamente una cavità come per esempio quella addominale. ◦ Penetranti: sono ferite che generano la comunicazione di una cavità con l'esterno ma presentano un'uscita sola. ◦ Transfossa: perforano la parete della cavità e un organo contenuto al suo interno, per esempio un'ansa intestinale. È importante ricordare che in presenza del corpo estraneo penetrante in situazioni non di sicurezza non va mai rimosso il corpo estraneo, il rischio è quello di provocare una emorragia molto importante.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite

FERITE DA PUNTA

FORO NON PERFORANTE chiuso

profonda Superficiale ortogonale

PERFORANTE aperto

trapassante

penetrante

transfossa

Superficiale semicanalare

LE FERITE DA TAGLIO: queste ferite possono essere classificate in ferite:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite •

DA INCISIONE che può risultare: ◦ superficiale. ◦ profonda semplice cioè che non penetra una cavità interna. ◦ profonda penetrante che penetra cioè fino alla cavità interna del corpo. DA ESCISSIONE che possono provocare la formazione di una escissione: ◦ PARZIALE con formazione di un lembo libero. ◦ COMPLETA con distacco di una certa quantità di sostanza. Ferita da escissione della sinistra. Questo tipo di lesione può poi essere SUPERFICIALE mano immagine tratta da wikipedia come una abrasione o PROFONDA.

FERITE DA TAGLIO

FORO INCISIONE chiuso

Superficiale

Profonda semplice

ESCISSIONE aperto

Profonda penetrante

Escissione parziale

Escissione completa

VALUTAZIONE CLINICA DELLA FERITA DA ARMA BIANCA: è fondamentale nel momento in cui si abbia a che fare con ferite di questo calibro: • controllare l'emorragia, interna o esterna che sia. • escludere la presenza di lesioni vascolari che inficino la vascolarizzazione periferica. • Escludere lesioni a livello della cavità: al fine di valutare se siano o meno presenti 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite perforazioni del peritoneo si esegue una laparoscopia di controllo. LE FERITE DA ARMA DA FUOCO: l'entità di una ferita da arma da fuoco dipende da vari fattori, tra questi sicuramente ricordiamo: • distanza dalla quale viene inferto il colpo. • Tipologia del proiettile che può essere molto rilevante, ricordiamo l'esistenza di: ◦ proiettili di forma normale. ◦ Proiettili cavi che tendono a collassare su stessi permanendo nell'organismo come corpi estranei. ◦ Proiettili rinforzati che penetrano maggiormente in profondità e generalmente oltrepassano l'interno corpo. • carica di esplosivo presente nel proiettile: maggiore è la carica, maggiore sarà generalmente il danno. • Entità della penetrazione del proiettile: la presenza di ostacoli come per esempio vestiti o simili può influire in modo molto importante. Per una ferita da arma da fuoco si definiscono quindi: • PESTAMENTO o CONTUSIONE determinato dall'impatto del proiettile sul tessuto, varia in base alla velocità del proiettile e alla presenza di protezioni. • USTIONE in rapporto alla fiamma di uscita dalla canna che spara il colpo, si individua solo a distanza ravvicinata. • TATUAGGIO prodotto dalla presenza di residui carboniosi sul tessuto, polveri di piombo e frammenti trasportati: è evidente solo nelle ferite ravvicinate. • PERFORAZIONE o PENETRAZIONE cioè l'entità della penetrazione del proiettile nel tessuto, la perforazione è massima e regolare per proiettili ad alta velocità. • CAVITAZIONE cioè la capacità del proiettile di formare una cavità nel tessuto che il proiettile incontra sulla sua strada, nello specifico ricordiamo che il proiettile presenta due forze: ◦ di penetrazione. ◦ Di rotazione che a seconda del tessuto che incontrano possono dare effetti differenti. La cavitazione è maggiore ovviamente se lo scoppio avviene a distanza ravvicinata e dipende in modo importante da: ◦ superficie di impatto. ◦ Densità del tessuto. ◦ Forza viva o cinetica e forma del proiettile. LA VELOCITÀ DEL COLPO: definiamo tre categorie di colpi da arma da fuoco: • A BASSA VELOCITÀ con impatto a 130­300 m/s: ◦ danno un danno limitato al tessuto. ◦ Danno effetto simile alle ferite da arma bianca, • MEDIA VELOCITÀ con impatto a velocità variabile tra 300 e 800 m/s. • ALTA VELOCITÀ dove la velocità di impatto supera gli 800m/s. CLASSIFICAZIONE DELLE FERITE DA ARMA DA FUOCO: le ferite da arma da fuoco possono essere classificate in ferite:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite •

DA PROIETTILE che possono essere a loro volta: ◦ FERITE DI STRISCIO dove si viene a creare una ferita a DOCCIA che tende ad essere superficiale. Il colpo è tangenziale con angolo più o meno acuto. ◦ A SETONE dove la ferita non si approfonda fino alla cavità, ma crea un canale: GENERALMENTE UNA MASSA OSSEA INTERNA DEVIA IL PROIETTILE che forma quindi un canale di penetrazione piuttosto particolare. Nel complesso si individuano: ▪ foro di entrata. ▪ Foro di uscita. Ferita da arma da fuoco causata da un proiettile. Ma non ci sono lesioni delle cavità. immgine tratta da wikipedia Un tipico esempio è quello del proiettile che penetra sul torace, colpisce una costa e viene deviato ed esce dal corpo senza penetrare la pleura parietale. ◦ A FONDO CIECO dove il proiettile penetra, ma non esce dall'organismo, distinguiamo quindi: ▪ foro di entrata. ▪ Proiettile ritenuto che può creare problemi anche importanti: in generale il proiettile tende a creare una reazione granulomatosa da corpo estraneo. La decisione di rimuovere o meno il corpo estraneo dipende da diversi fattori, tra questi ricordiamo: ▪ TESSUTO. ▪ PROFONDITÀ DEL PROIETTILE o PALLINO DA CACCIA. La rimozione è indicata nel momento in cui vi siano: ▪ evidenze di infezione sistemica con focolaio sul corpo estraneo: questo avviene per esempio nel momento in cui il proiettile penetri trascinando vestiti. ▪ Rischio di intossicazione da piombo: si tratta di una evenienza molto rara, difficilmente il numero di pallini è sufficiente a provocare una cosa del genere. ◦ TRAPASSANTI che presentano due fori e un tramite. DA SCOPPIO dovute a: ◦ proiettili dotati di grande forza esplosiva. ◦ Schegge da detonazione che penetrano nei tessuti. È indispensabile quindi fare molta attenzione in quanto la rimozione dei frammenti del proiettile esploso non possono essere sottoposti a bruschi movimenti soprattutto se si collocano in tessuti liquidi o morbidi.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite

FERITE DA ARMA DA FUOCO

FORO

PROIETTILE

SCOPPIO

cavità

striscio

A setone

Fondo cieco

trapassante

Scoppio ravvicinato

Schegge

Per una ferita da arma da fuoco possiamo quindi distinguiere: • foro di entrata: ◦ piccolo. ◦ Rotondo. ◦ Dotato di bordi introflessi e rientranti frammisti a parti di vestiti. Attorno al foro di entrata, come accennato, possiamo trovare un tatuaggio: si tratta di un orletto nerastro dovuto al deposito di polvere esplosiva sulla cute. • Foro di uscita che si presenta: ◦ più grande del foro di entrata. ◦ Rotondo. ◦ dotato di bordi estroflessi. COMPLICAZIONI: le ferite da arma da fuoco sono MOLTO SPESSO CONTAMINATE: si possono spesso avere infezioni con mionecrosi determinata da batteri anaerobi, soprattutto CLOSTRIDI. FERITE DA CONTUSIONE: le ferite da contusione possono essere classificate in due grandi categorie: • LACERAZIONI con impatto tangenziale che provoca strappamento, possono essere: ◦ superficiali come le escoriazioni. ◦ Profonde come le ferite lacero contuse vere e proprie. Tipico esempio è il morso del cane: il dente penetra e strappa il tessuto. La ferita da morso di cane ha anche lo svantaggio di essere una ferita infetta. • FISSURAZIONI dove l'impatto è ORTOGONALE, un COLPO DIRETTO che provoca SCHIACCIAMENTO. Nel complesso si generano delle compressioni più o meno 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite improvvise che interessano ossa muscoli o strutture contigue. Si dividono in: ◦ ESTERNA come la frattura esposta dove il moncone osseo è esposto. ◦ INTERNA dove abbiamo la frattura ossea con soluzione di continuo che non interessa le strutture superficiali o muscolari, ma per esempio le strutture ossee sottostanti. Le ferite da contusione possono assumere aspetto differente quindi dal punto di vista morfologico: • FERITE LINEARI dove i bordi sono netti e continui segna segni di sofferenza tissutale. • CONTINUE dove i margini sono ischemici e si compromette generalmente la guarigione ideale della ferita. • LACERE dove la ferita non è lineare ma frastagliata con bordi poco vitali. • LACEROCONTUSE con margini irregolari e ischemici.

GUARIGIONE DELLE FERITE:

una ferita aperta va anzitutto incontro ad un processo di emostasi che genera la formazione di un COAGULO formato da piastrine e fibrina che con la sua retrazione favorisce l'avvicinamento dei margini. Una volta formatosi il coagulo la ferita evolve verso la guarigione tramite tre fasi fondamentali: • FASE INFIAMMATORIA. • FASE DI GRANULAZIONE o PROLIFERATIVA. • FASE DI CICATRIZZAZIONE PROPRIAMENTE DETTA. LA FASE INFIAMMATORIA: la fase infiammatoria si caratterizza per: • un processo di MIGRAZIONE DI LEUCOCITI, in particolare MONOCITI funzionali a RIPULIRE LA FERITA da: ◦ fibrina in eccesso. ◦ Detriti cellulari. • Una ENTITÀ DETERMINATA IN FUNZIONE DELLA TIPOLOGIA DELLA FERITA: una ferita lineare e ben vascolarizzata andrà incontro ad un processo infiammatorio relativamente limitato. • Una SECREZIONE DI FATTORI DI CRESCITA già presente dopo UN'ORA DALL'EVENTO essenziale a favorire: ◦ la formazione di nuove cellule endoteliali ◦ la migrazione e attivazione di fibroblasti. Grazie ai quali il processo continuerà. Tutte le ferite che non siano superficiali (escoriazioni) guariscono con la formazione di una cicatrice. LA FASE PROLIFERATIVA: si caratterizza per la formazione di nuovo tessuto connettivale o tessuto di GRANULAZIONE e procede già a partire dal secondo­terzo giorno. Nel complesso questo tessuto risulta: • molto vascolarizzato • composto da: ◦ componenti cellulari: ▪ FIBROBLASTI: si tratta in questo caso di una cellula staminale adulta. Questa 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite cellula ha la possibilità di diversificarsi nelle sue funzioni dando vita a MIOFIBROBLASTI che presentano fibre muscolari e favoriscono in modo fondamentale la retrazione della cicatrice. ▪ CELLULE INFIAMMATORIE che sono ancora molto presenti, le due fasi infiammatoria e di granulazione si sovrappongono. ▪ ABBOZZI VASCOLARI che nascono da PERICITI che: • migrano dalla periferia della lesione. • Formano un cordone vascolare centrale. • Danno vita a fenomeni di cavitazione. • si sviluppano formando capillari ematici e linfatici. ◦ Componenti extracellulari che compongono per esempio: ▪ RETE DI FIBRINA che sostiene la attività cellulare. ▪ COMPONENTI ELABORATE DAI FIBROBLASTI quali: • ACIDO JALURONICO E GAG essenziali ad organizzare i processi di cicatrizzazione. • PROCOLLAGENE che si sviluppa nel tempo dando vita a: ◦ tropocollagene. ◦ miofibrille. ◦ fibrille di collagene. Con il tempo si forma una vera e propria cicatrice. Il tessuto di granulazione che si crea è un tessuto fragile e facilmente sanguinante. Per ferite profonde ricordiamo che: • NON SI RIFORMANO MAI GLI ANNESSI CUTANEI. • Il PROCESSO DI GUARIGIONE PROCEDE CON L'EVOLUZIONE DEL TESSUTO DI GRANULAZIONE dando vita a : ◦ una ferita detersa dove le cellule della infiammazione tendono a scomparire. ◦ Nuovi capillari attivi. ◦ Molti fibroblasti attivi. Il processo di granulazione continua e raggiunge stadi differenti a seconda delle caratteristiche della lesione: • UNA ESCORIAZIONE SUPERFICIALE guarisce semplicemente con la caduta della crosta coagulativo necrotica. • UNA FERITA MAGGIORMENTE PROFONDA se PICCOLA e A MARGINI RAVVICINATI tende a dare fenomeni DI RIEPITELIZZAZIONE per cui: ◦ il tessuto sottostante in granulazione cresce e si sviluppa fino al margine superiore del derma. ◦ Si blocca per fenomeni di inibizione da contatto. ◦ Si attiva il tessuto epiteliale soprastante e: ▪ si formano dei ponti cellulari tra i margini della ferita. ▪ Si richiude la ferita per riepitelizzazione. IL RIMODELLAMENTO DELLA CICATRICE: man mano che il tempo passa il tessuto diviene meno infiammato e meno vascolarizzato rispetto alla fase di rigenerazione e diviene: • elastico duro. • Poco irrorato e chiaro. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite Composto fondamentalmente di collagene che diviene via via più rappresentato. Dotato di una cellularità sempre più scarsa, i fibroblasti divengono fibrociti e dismettono la loro attività. La cute diviene fragile, traslucida, inestensibile e priva di annessi cutanei. Il processo di rimodellamento della cicatrice può durare dai 12 giorni fino a mesi e si compone di due fasi fondamentali: • CONTRAZIONE caratterizzata dalla contrazione dei miofibroblasti • RETRAZIONE determinata dall'aumento di spessore e aggregazione delle fibrille collagene. • •

LO SVILUPPO DELLA CELLULARITÀ DELLA FERITA: la popolazione cellulare della ferita varia in modo molto importante nel tempo, nello specifico possiamo dire che: • NEUTROFILI sono una popolazione molto rappresentata fino al quarto giorno. • MONOCITI sono una componente rappresentata quarto sesto giorno anche se in misura minore rispetto ai neutrofili. • FIBROBLASTI sono una popolazione cellulare più tardiva, compaiono al secondo giorno, ma permangono in sede fino anche all'ottavo decimo giorno. La presenza di queste popolazioni cellulari si accompagna a variazioni strutturali della cicatrice dove: • i capillari si sviluppano soprattutto a partire dal secondo giorno. • Grandi quantità di collagene vengono depositate a partire dal quarto giorno. fisiologicamente il processo È COMPLETO GIÀ DOPO 12 GIORNI ma la cicatrice va incontro nei mesi successivi fino anche ad un anno a modificazioni importanti. La cicatrice, inoltre, non tornerà mai ad avere la medesima resistenza del tessuto originariamente presente.

FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA GUARIGIONE DELLA FERITA: possiamo distinguere fattori: 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite ESOGENI: ◦ nutrizione: si tratta di un aspetto fondamentale, denutrizione e obesità influiscono negativamente su questi processi. ◦ Infezioni: la presenza di infezioni purulente soprattutto riduce moltissimo la capacità di guarigione della ferita, in questi casi la pulizia e il trattamento sono fondamentali e non si devono mai avvicinare i margini di una ferita contaminata e infetta. ◦ corpi estranei che dovrebbero essere sempre rimossi se possibile, soprattutto se inficiano la cicatrizzazione. ◦ compressioni eccessive che possono essere estremamente dannose, due esempi sono: ▪ le piaghe da decubito. ▪ Le trazioni eseguite sui tessuti durante una operazione chirurgica. ◦ Radiazioni a fine iatrogeno principalmente rendono difficile la guarigione della lesione. ◦ terapie immunosoppressive: pazienti con malattie croniche soprattutto o immunosoppressioni croniche da malattia autoimmune guariscono molto più lentamente dalle ferite. ◦ traumi associati alla ferita dove la lesione è traumatizzata in modo molto importante e contusa e per questo spesso meno vascolarizzata. ◦ Scorretto affrontamento dei margini: i margini devono essere BEN AFFRONTATI, in caso contrario la ferita guarirà molto difficilmente. • ENDOGENI: ◦ ipossia e ipovolemia. ◦ Turbe metaboliche tra cui soprattutto il DIABETE. È ampiamente dimostrato che il processo di cicatrizzazione nel paziente diabetico è alterato a causa di: ▪ una minore risposta infiammatoria iniziale. ▪ Una alterazione della vascolarizzazione. ◦ malattie cutanee come la psoriasi in fase attiva possono essere molto dannose: si cerca di generalmente di attendere lo spegnimento della patologia per valutare poi come innescare un processo di guarigione adeguato. LA GUARIGIONE DELLE FERITE INTESTINALI: la classica ferita intestinale chirurgica è la ferita da anastomosi, questa ferita va incontro ad una guarigione in due stadi: • nei primi 4 giorni si viene a creare nello strato mucoso accostato una rigenerazione di: ◦ endotelio dei vasi. ◦ Mucosa intestinale. Con la ricostruzione dei villi e delle cripte. • Dal quinto al ventesimo giorno si innesca la fase PROLIFERATIVA VERA E PROPRIA, nello specifico si formano: ◦ fibre di collagene. ◦ Processi di riconnessione di fasci di muscolatura liscia essenziali a far aumentare la forza tensile e la elasticità della anastomosi. In questo caso è fondamentale il ruolo svolto dai fibroblasti. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite ◦ Rigenerazione del plesso mioenterico che collabora alla ricostituzione della peristalsi. UNA ANASTOMOSI SI CONSIDERA SICURA UNA VOLTA PASSATA LA OTTAVA GIORNATA POSTOPERATORIA, infatti la formazione di fistole e aperture: • si forma in caso di anastomosi ben fatta ma contesto intestinale alterato entro la settima giornata generalmente. • Si forma ancora prima se la anastomosi è stata eseguita male: ◦ con eccessiva trazione dei margini che sono lontani tra loro. ◦ Con margini non vascolarizzati adeguatamente. FATTORI CHE INFLUISCONO SULLA GUARIGIONE DI UNA ANASTOMOSI: fattori che possono rendere maggiormente difficoltosa la chiusura di una anastomosi sono sicuramente: • CONTAMINAZIONE BATTERICA. • TRAUMI. • MATERIALI ESTRANEI NON IRRORATI. Una notevole difficoltà di rimarginazione si nota per esempio nella terapia successiva alla colenectomia, nello specifico si eseguono nell'ordine: • radiochemioterapia. • Colenectomia parziale1. il fatto che il territorio sia stato radiotrattato grava su una maggiore probabilità di fallimento nella formazione della anastomosi: per questo motivo molto spesso di applicano delle derivazioni esterne funzionali a rendere più resistente la anastomosi. FERITE DI PRIMA, SECONDA E TERZA INTENZIONE: a seconda di come si sviluppa la guarigione della ferita possiamo definire: • GUARIGIONE DI PRIMA INTENZIONE dove abbiamo: ◦ una perdita di sostanza limitata. ◦ bordi netti ed avvicinati in maniera precisa. ◦ Emostasi accurata ◦ Assenza di raccolte di sangue o siero. ◦ Assenza di contaminazione. ◦ Assenza di infezione suppurativa. Sono assenti cioè tutti i fattori che possono influire negativamente sulla guarigione della ferita. • GUARIGIONE DI SECONDA INTENZIONE caratteristica delle ferite lacerocontuse e di altri tipi di ferite non trattate, nello specifico interessa: ◦ margini discosti o perdite di sostanza eccessive che non consentono l'avvicinamento degli stessi. ◦ Complicanza suppurativa. ◦ Fatti essudativi di sangue e siero. ◦ Processo di guarigione lento: tanto più la ferita essuda, tanto più lento è il processo di guarigione. ◦ Abbondante tessuto di granulazione. Tipico esempio è quello della PIAGA, soluzione di continuo della cute che si forma 1 Se la neoplasia interessa invece il retto e l'intervento richiede la rimozione della ampolla rettale, si deve provvedere alla ricostruzione della stessa tramite l'utilizzo di anse intestinali di altro tipo.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite

per compressione cronica generalmente: ◦ tende alla guarigione anche se con difficoltà. ◦ Da spesso fenomeni essudativi ◦ presenta abbondante tessuto di granulazione MA QUESTO RISULTA SCARSAMENTE RESPONSIVO. Un tipico esempio è quello delle piaghe da decubito che si formano in zone dove: ◦ c'è poco tessuto sottocutaneo, le sporgenze ossee generalmente. ◦ C'è una eccessiva compressione. Si formano tipicamente negli immobilizzati a livello di gomito, lombi e sacro. GUARIGIONE DI TERZA INTENZIONE una ferita di seconda intenzione dotata di un tessuto di granulazione ben formato e sufficientemente reattivo, può essere sottoposta a trattamento chirurgico per accelerarne la guarigione. Quindi: ◦ si avvicinano i margini dopo aver eseguito eventualmente una detensione tramite scollamento dei tessuti. ◦ Si esegue una copertura con innesti cutanei dermoepidrmici. Di fatto la ferita si chiude in modo simile ad una guarigione di prima intenzione.

ESAME OBIETTIVO DELLE FERITE:

anzitutto è fondamentale individuare tipo e modalità del trauma, soprattutto se penetrante o non penetrante: questo aspetto è, come accennato, fondamentale. È indispensabile quindi controllare sempre: • la ricerca di lesioni specifiche vascolari, nervose, ossee o tendinee. • entità e natura della emorragia. • vitalità dei lembi. • corpi estranei presenti. • palpazione dei polsi e vascolarizzazione: va sempre eseguito un controllo del polso controlaterale al fine di valutare quelle che possono essere le alterazioni dovute al trauma. Si esegue una eventuale ESPLORAZIONE della ferita eventualmente con anestesia locale o generale al fine anche di rimuovere residui necrotici presenti.

TRATTAMENTO DELLA FERITA:

La ferita complessa va quindi: • medicata con garza sterile eseguendo una compressione che sia adeguatamente emostatica. • Se l'emorragia interessa vasi arteriosi maggiori si esegue una pressione manuale o una medicazione compressiva con LACCIO EMOSTATICO. Il laccio emostatico non deve mai essere mantenuto in sede per più di 10­15 minuti, è indispensabile infatti garantire un adeguato ritorno venoso alla zona lesa. • È indispensabile infine eseguire una corretta pulizia della ferita: ◦ evitare la rasatura se possibile, c'è un potenziale rischio di contaminazione maggiore. ◦ lavaggio con acqua fisiologica sterile e ipoclorito di sodio al 5% se le ferite sono superficiali. ◦ Disinfezione che viene eseguita con: ▪ polivinlpirrolidone iodio ▪ periossido di idrogeno in soluzione acquosa al 3% soprattutto se le ferite sono 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite lacero contuse. Questo trattamento NON VA ESEGUITO SE SI SOSPETTA UNA FERITA PENETRANTE: l'acqua ossigenata in questo caso può penetrare nella cavità e provocare una grave irritazione diffusa. Ricordiamo due termini fondamentali per quanto concerne il trattamento delle ferite: • DEBREEDMENT indica la pulizia a livello superficiale e profondo della soluzione di continuo, non solo superficiale. • RECINTAZIONE DEI MARGINI indica una pulizia della ferita che si limita agli strati superficiali. INDICAZIONI PER IL TRATTAMENTO: • chiusura della ferita di prima intenzione, si esegue nel momento in cui: ◦ i bordi siano ben ravvicinati. ◦ Vi sia una adeguata esclusione di lesioni più profonde. • Indicazioni per la dilazione della chiusura chirurgica: ◦ Ferita contaminata . ◦ Ferita LACERO CONTUSA. In particolare in questo secondo caso: ◦ Si trasforma poi la ferita LACEROCONTUSA in una ferita LINEARE con bordi sufficientemente lineari. ◦ Si drenano tutte le raccolte e si provvede alla eliminazione degli spazi morti che possono rappresentare una importante sede di infezione. ◦ Si eseguono se necessari dei drenaggi per asciugare la ferita. • Indicazioni per una prima intenzione differita: fondamentalmente si controlla che la ferita proceda bene nel suo processo di riparazione e se questo avviene correttamente, si procede poi alla chiusura per prima intenzione. LA SUTURA: indicazioni generali per eseguire una sutura sono le seguenti: • non va mai eseguita su un tessuto infetto. • L'emostasi deve essere garantita fermo restando che una raccolta ematica in sede potrebbe provocare quadri di: ◦ ematoma che deve essere svuotato il più presto possibile. ◦ infezione dell'ematoma che può essere anche molto grave. molto importante soprattutto se si parla di FERITE CHIRURGICHE dove i germi potrebbero essere di tipo NOSOCOMIALE e provocare quindi problemi consistenti. • assenza di tensione che è sicuramente foriera di Ferita suturata con punti non una cicatrice scadente dal punto di vista funzionale riassorbibili. immagine tratta da wikipedia ed estetico, a livello intestinale sicuramente una tensione di sutura favorisce la fistolizzazione. • Eventualmente si possono svolgere chiusure per strati successivi eliminando o 14


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite drenando cavità e spazi vuoti non fisiologici. • Preciso accostamento dei margini che devono essere il più possibile regolari: la pressione valvolare esercitata sui lembi chirurgici può rendere difficile la chiusura. MATERIALI DI SUTURA: si utilizzano fili atraumatici con ago e filo di calibro differente, a seconda poi del tessuto che deve essere suturato si possono utilizzare aghi di PUNTA e FORMA DIFFERENTI: • punta tagliente per penetrare tessuti spessi. • punta rotonda per le anastomosi per esempio. Oggi si utilizzano FILI SINTETICI mentre un tempo si utilizzavano principalmente LINO E SETA, un generale un buon filo da sutura deve essere: • maneggevole. • Scorrevole. • Di buona tenuta del nodo. • Ben visibile. • Non costoso se possibile. Il carattere del filo dipende anche dalle necessità d'uso: • IN CHIRURGIA GENERALE INTESTINALE si utilizzano FILI CHE HANNO UN RIASSORBIMENTO PIÙ LENTO • IN CHIRURGIA VASCOLARE per esempio che prevede monofilamenti, si utilizzano FILI NON RIASSORBIBILI.

COMPLICANZE LEGATE ALLA FERITA:

una ferita può andare incontro a due categorie di complicazioni: • COMPLICAZIONI IMMEDIATE come: ◦ ematoma di entità più o meno importante e più o meno espanso. Se il campo non è contaminato e se la complicanza è precoce, una volta asciugato l'ematoma la ferita può essere richiusa. ◦ Infezione che nella ferita fatta guarire per prima intensione si manifesta soprattutto verso la settima ottava giornata, la ferita risulta ovviamente: ▪ arrossata. ▪ Dolente. ▪ Eventualmente PURULENTA. Spesso responsabili possono essere cocchi o germi intestinali. Al fine di evitare di contaminare il campo chirurgico, si cerca di proteggere la parete intestinale con dispositivi di plastica, nello specifico cerchi, che si applicano alla laparotomia e la proteggono dalla contaminazione da parte di perdite endocavitarie. L'infezione può essere: ▪ superficiale. ▪ Profonda e interessare quindi: • muscoli o fasce. • Organi e spazi: un tipico esempio è la sede di rimozione della colecisti. La infezione può poi avvenire A BREVE TERMINE o anche fino A TRENTA GIORNI DALLA SUTURAZIONE DELLA FERITA. LA PULIZIA DEL CAMPO OPERATORIO: generalmente si definisce un intervento chirurgico sulla base della contaminazione del campo operatorio che, seppur sterile non potrà mai essere al 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite

100%, potrà presentarsi più o meno alterato. Distinguiamo quindi interventi: ▪ PULITI: si presume non ci sia contaminazione del campo. Alcuni esempi sono relativi alla chirurgia: • della mammella. • Della tiroide e paratiroide. • Plastica della parete addominale con o senza posizionamento di rete. • chirurgia vascolare a meno che non ci sia un bypass su tessuto gangrenoso chiaramente. • Cardiochirurgia. • Neurochirurgia. • Interventi di elezione in ortopedia, soprattutto per la sostituzione di legamenti e la apposizione di protesi. Ci aspettiamo in questi interventi una frequenza di infezione inferiore al 3% dei casi, queste ferite devono guarire in modo completo e senza complicanze. ▪ PULITI CONTAMINATI dove viene aperto un viscere ma privo di una carica batterica importante. Alcuni esempi sono: • isterectomie. • Colecistectomie. • Interventi delle vie urinarie. • Interventi su stomaco e duodeno. aumenta il livello atteso di infezione ma non supera mai il 6­7%. ▪ CONTAMINATI dove invece si apre un viscere intestinale, soprattutto il crasso e in particolare il colon dove la carica batterica è molto elevata. Si eseguono delle procedure preparatorie antibiotiche e il rischio di infezione è del 10­ 15%. ▪ SPORCHI INFETTI dove la contaminazione è molto importante. Alcuni esempi sono: • peritoniti da perforazione per esempio con riversamento nella cavità peritoneale di liquido endoluminale o biliare. • Drenaggio di empiema pleurico. • trattamento di ferita esposta di femore. Nei primi tre casi si esegue una profilassi composta di una dose antibiotica preoperatoria non ripetibile, mentre nell'intervento sporco infetto una vera e propria terapia antibiotica. ◦ Deiscenza: il cedimento della chiusura chirurgica della ferita può portare alla formazione di vere e proprie EVISCERAZIONI per cui bisogna riportare immediatamente il paziente in sala operatoria. Si differenzia dalla laparocele dove il viscere si insinua in una sacca, non provoca il cedimento della sutura. COMPLICAZIONI TARDIVE che possono essere: ◦ Cicatrici IPERTROFICHE dove registriamo la presenza di: ▪ molto tessuto di granulazione con intensa attività angioblastica, il margine inferiore dell'epidermide non rappresenta il limite di arresto di questo tessuto di riparazione che risulta esuberante. ▪ È generalmente circoscritta e spesso va incontro a riduzione spontanea. ▪ La cicatrice in questa fase è rossastra e dolente spesso, il cordoncino è 16


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 2: le ferite rilevato. ◦ CHELOIDI dove si verificano: ▪ deposito di abbondante quantità di collagene e sostanza amorfa. ▪ Il tessuto supera i confini della ferita originale e non tende alla regressione nel tempo. ▪ Si individuano tensione locale, fattori costituzionali e alterazioni del connettivo come possibili basi per questo fenomeno ancora non del tutto chiarito. Ricordiamo che: • la razza nera sicuramente è maggiormente predisposta rispetto a quella caucasica. • Sicuramente la presenza di bordi intensione rappresenta un fattore di rischio importante per questo tipo di patologia. IL CHELOIDE SE SI FORMA IN SEDI ESTESE, come avviene per esempio a seguito di ustioni di terzo grado, o in POSIZIONI PARTICOLARMENTE DELICATE come il gomito o la fossa poplitea, PUÒ DARE MOLTI PROBLEMI. ◦ LAPAROCELE cioè la formazione di un'ERNIA SU CICATRICE, nello specifico si tratta di una complicanza che avviene generalmente nel primo anno dopo l'intervento e generalmente in una ferita che è andata incontro a guarigione per seconda intenzione.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 3: la solidificazione

LA SOLIDIFICAZIONE con il termine solidificazione si intende la FORMAZIONE DI UN ELEMENTO SOLIDO ALL'INTERNO DI UN LUME A PARTIRE DAL SECRETO LIQUIDO FISIOLOGICAMENTE PRESENTE AL SUO INTERNO, nel complesso questo tipo di patologia può interessare: • LUME VASCOLARE dove si formano dei TROMBI, il trombo presenta carattere: ◦ reversibile in relazione alla fibrinolisi. ◦ Mobile come dimostra la frequente tendenza alla embolizzazione. • LUME INTESTINALE nel caso specifico il tratto più interessato è IL COLON dove si registra la maggior parte delle alterazioni della COPROSINTESI che possono provocare la formazione di COPROLITI O FECALOMI: ◦ i coproliti sono solidificati: ▪ irreversibili. ▪ Non mobili. ◦ i fecalomi sono invece solidificati: ▪ reversibili. ▪ Mobili. • DOTTI dove si formano fondamentalmente CALCOLI: ◦ Possiamo dire che la LITIASI nel 99% dei casi è la formazione di un calcolo derivato dalla precipitazione di un contenuto a carattere IRREVERSIBILE: ad eccezione dei calcoli di colesterolo puro che possono formarsi nella colecsiti, i calcoli sono sempre irreversibili. ◦ Il calcolo è mobile, può spostarsi lungo il dotto in cui si trova. TUTTI QUESTI FENOMENI SONO IN GRADO NELLA LORO MIGRAZIONE O NELLA LORO POSIZIONE DI PROVOCARE FENOMENI LESIVI quali: • sindromi irritative dei lumi in cui si sono formati. • Sindromi stenotiche con conseguente: ◦ mancanza di flusso. ◦ accumulo a monte. ◦ eventuale virulentazione batterica.

ALTERAZIONI DELLA COPROSINTESI:

in un determinato segmento dell'intestino si viene a creare un ESSICCAMENTO DEL MATERIALE FECALE, che generalmente interessa: • il colon di sinistra. • Appendice o meglio il punto di passaggio tra cieco e appendice. • Alterazioni patologiche di parete come i diverticoli. Il tutto si manifesta con la formazione di: • FECALOMI, questi fenomeni si manifestano in particolare: ◦ nel colon di sinistra. ◦ Nei segmenti che sono PARTICOLARMENTE SINUOSI: si parla di dolicosigma. ◦ IN ASSENZA DI LIQUIDI. Nel complesso possiamo dire che il riassorbimento che agisce su una massa fecale importante che non si muove ne provoca l'essiccamento e quindi una importante aggregazione generando un fecaloma. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 3: la solidificazione Si tratta di un fenomeno tipico del paziente ANZIANO POCO IDRATATO: spesso provoca un accesso al pronto soccorso per falsa ostruzione intestinale. • COPROLITI: che si formano invece principalmente a livello appendicolare o di un diverticolo che si viene a formare in dati punti dell'intestino (generalmente il sigma). Il diverticolo è una sacca della parete intestinale costituita di: ◦ mucosa. ◦ Sottomucosa. ◦ Un colletto muscolare. di fatto la sacca che si viene a formare non presenta quindi un rivestimento muscolare. Si tratta di una patologia funzionale tipica nella popolazione anziana e che coinvolge mucosa e sottomucosa, si parla inoltre di diverticolo nel momento in cui l'introflessione sia di almeno 5 millimetri. Dal punto di vista pratico ricordiamo che, essendo generalmente il colletto molto piccolo: ◦ il materiale entra nel diverticolo. ◦ Non esce dal diverticolo stesso in quanto è assente la parete muscolare. Mucosa e sottomucosa mantengono la loro capacità di assorbimento in ogni caso e riducono la massa fecale fino ad indurirla in modo molto importante formando i cosiddetti coproliti. CONSEGUENZE DELLA FORMAZIONE DI FECALOMI: la presenza di questa massa secca che si colloca all'interno del lume intestinale provoca: • compressione della mucosa circostante. • Inficio della capacità di assorbimento. • Infiammazione della parete che risponde con la formazione di EDEMA E INFIAMMAZIONE. Edema e infiammazione potranno reidratare il fecaloma e provocarne una canalizzazione parziale. QUADRO CLINICO: nel complesso il quadro clinico del paziente evolverà attraverso tre stadi: • turbe del traffico intestinale determinate dalla presenza del fecaloma. • Reidratazione del fecaloma determinata dalla presenza di: ◦ risposta della mucosa intestinale stessa. ◦ Reidratazione medica. • il materiale LIQUIDO FILTRA quindi TRA IL FECALOMA E LA MUCOSA INTESTINALE generando una RICANALIZZAZIONE PARZIALE che si manifesta con una FALSA DIARREA. TERAPIA: è indispensabile eseguire due misure dal punto di vista clinico: • idratare il paziente. • controllare che non siano presenti occlusioni a valle della coprostasi: in presenza di stenosi il problema si ripresenterà rapidamente. Il paziente è spesso anziano e sarà indispensabile quindi EDUCARLO ad una corretta idratazione ed eventualmente al riconoscimento dei sintomi tipici come la falsa diarrea. CONSEGUENZE DELLA FORMAZIONE DEL COPROLITA: le conseguenze della formazione del coprolita sono legate fondamentalmente al suo DECUBITO: il coprolita decombe sulla mucosa e ne provoca l'erosione fino al cedimento. Le 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 3: la solidificazione complicanze possono essere anche molto gravi. Diverticoli del colon.

immagine tratta da wikipedia

LA LITIASI: la litiasi è la formazione di un aggregato solido all'interno del lume di un organo escretore, nello specifico può interessare: • il sistema biliare dove può interessare: ◦ come sede di formazione in particolare la colecisti, i dotti intraepatici e il dotto biliare comune. ◦ Come sede di migrazione, secondaria quindi il dotto cistico e il dotto biliare comune. • Il sistema pancreatico. • Il sistema delle ghiandole salivari. • Il sistema urinario dove può interessare: ◦ come sede di formazione calici renali, pelvi renale e vescica. ◦ Come sede di migrazione pelvi, uretere e vescica. La patologia si manifesta a SEGUITO DELLA PRESENZA DI UN CALCOLO SOLIDO NEL LUME DEL DOTTO, i calcoli presenti possono essere molto variabili in termini Calcoli dell'uretere e della vescica. di: immagine tratta da wikipedia • numero. • Dimensione. • Forma. • Composizione. • Mobilità. EZIOLOGIA: a prescindere da quale sia il sistema interessato dalla formazione della litiasi, la sua è eziologia è determinata dal fatto che si viene a creare una alterazione dei rapporti tra i componenti costituenti il liquido che precipitano facilmente. Il calcolo si può formare quindi nel momento in cui: • c'è un eccesso di uno dei soluti o più. • c'è una alterazione del rapporto tra soluto e solvente. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 3: la solidificazione

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CALCOLI DELLA VIA BILIARE: i calcoli della via biliare sono nel 90% di casi calcoli secondari di derivazione della colecisti, solo nel 10% dei casi si formano direttamente a livello della via biliare extraepatica e solo nel momento in cui vi sia un fenomeno di stasi che favorisce l'aggregazione. Normalmente la bile è formata di diversi elementi: • pigmenti biliari. • Sali biliari. • Acidi biliari. • Colesterolo. • Fosfolipidi. IL TRIANGOLO DI ADMIRAND SMALL: si tratta di un triangolo teorico che riporta sui suoi tre lati la concentrazione delle tre principali componenti responsabili della litiasi: • colesterolo. • Fosfolipidi. 100 0 • Sali biliari. Questo triangolo può essere suddiviso in quattro regioni di cui una fisiologica e tre patologiche una delle quali si caratterizza BILE per la copresenza di elementi che PATOLOGICA favoriscono la precipitazione, in particolare Tre fasi MICELLE, VESCICOLE E CRISTALLI. Nel DUE complesso il calcolo potrà essere quindi: FASI DUE FASI • di colesterolo puro: questi calcoli, come accennato, se piccoli e unici BILE FISIOLOGICA 100 possono andare incontro a remissione 0 spontanea. 0 100 SALI BILIARI • calcoli misti composti invece di TRIANGOLO DI ADMIRAND SMALL: diverse componenti. Solo la fase colorata in verde è la fase fisiologica, A favorire la formazione del calcolo possono alterazioni percentuali delle concentrazioni delle tre componenti essere quindi: • alterazioni della concentrazione delle -sali biliari -fosfolipidi componenti della bile. -colesterolo Possono portare alla formazione di una bile • stasi biliare. • infezioni: IL NUCLEO LITOGENO composta di fasi differenti da quella fisiologica (in micelle). PUÒ PRESENTARE NATURA ESOGENA come per esempio una desquamazione di parete ad eziologia infettiva. Se il paziente sviluppa quindi una calcolosi della colecisti nella stragrande maggioranza dei casi la colecisti stessa è tanto malata da dover essere rimossa. IL QUADRO CLINICO DELLA CALCOLOSI: la evoluzione di un quadro di calcolosi può portare alla genesi di problemi seri quali: • OSTRUZIONE DEL DOTTO ESCRETORE sia a livello di sede primitiva del calcolo, sia di sede secondaria. Dal punto di vista sintomatologico possiamo avere una ostruzione: ◦ ACUTA che provoca una COLICA che è un dolore che sale e raggiunge un acme 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 3: la solidificazione

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per cadere quindi per crisi. La colica è determinata dal movimento del calcolo all'interno della via escretrice. Caratteristico della ostruzione della via biliare. ◦ CRONICA che provoca invece un DOLORE GRAVATIVO dove il calcolo si incunea e il dotto a monte dell'ostacolo si dilata. Si manifesta tipicamente nella calcolosi renale dove il dolore da idronefrosi è un dolore continuo e gravativo appunto. TRAUMA PARIETALE che tipicamente può provocare problemi correlati al sanguinamento dell'organo, un tipico esempio è l'ematuria. INFEZIONE LUMINALE: un calcolo che ostruisce in modo più o meno completo un dotto provoca sicuramente un fenomeno di stasi che può generare una VIRULENTAZIONE BATTERICA. Nello specifico si verificano fenomeni di: ◦ dilatazione. ◦ stasi del materiale presente che dovrebbe essere generalmente sterile ma è molto spesso seppur lievemente contaminato. ◦ Virulentazione. La manifestazione classica è quella della FEBBRE URO SETTICA O BILIO SETTICA: una febbre erratica che sale rapidamente fino a temperature elevate per poi cadere per lisi.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 4: le fistole

LE FISTOLE una FISTOLA è una anomalia di comunicazione di una cavità naturale o patologica con un'altra o con l'esterno. Possiamo avere fistole: • INTERNE che provocano una comunicazione tra due cavità interne. • ESTERNE che provocano la comunicazione tra una cavità interna e l'esterno del corpo. Questa comunicazione patologica che si viene a creare è composta di: • un orifizio interno, di pertinenza della cavità di origine. • Un tramite intermedio. • Un orifizio esterno. tra questi due orifizi ci sarà il passaggio di materiale liquido che può essere monodirezionale, come avviene nella maggioranza dei casi, o bidirezionale. A seconda della diversa sede in cui il fenomeno si manifesta avremo sintomatologie differenti.

CLASSIFICAZIONE DELLE FISTOLE:

le fistole possono essere classificate un due grandi categorie: • FISTOLE CONGENITE che sono fistole: ◦ interne. ◦ associate a malformazioni stenosanti connatali quali: ▪ stenosi esofagea. ▪ Imperforazione anale. • FISTOLE ESTERNE O ACQUISITE che sono fistole che si vengono a creare: ◦ in cavità patologiche con sede superficiale. ◦ A causa della evacuazione del fluido contenuto nella cavità verso l'esterno. Alcuni esempi possono essere le fistole biliari con drenaggio esterno iatrogeno o fistole con tramite diretto intestino­cute.

Immagine schematica di una fistola perineale. immagine tratta da wikipedia

FATTORI CONDIZIONANTI LA GRAVITÀ E LA NATURA DI UNA FISTOLA: i fattori da prendere in considerazione sono i seguenti: • IL CONTENUTO DELLE DUE CAVITÀ, distinguiamo quindi: ◦ FISTOLE OMOLOGHE che mettono in comunicazione segmenti a contenuto analogo come arteria e vena. ◦ FISTOLE ETEROLOGHE che mettono in comunicazione regioni differenti come per esempio la fistola intestino biliare. • CARATTERI QUANTITATIVI come LA PORTATA cioè quanto la fistola è in grado in termini di volume di portare all'esterno. Dal punto di vista pratico distinguiamo: ◦ fistole a bassa portata che veicolano meno di 100cc. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 4: le fistole ◦ Fistole ad alta portata che veicolano più di 1000cc. ◦ Fistole a media portata che veicolano una quantità variabile tra 100 e 1000cc. • CARATTERISTICHE QUALITATIVE del PASSAGGIO DI FLUIDI che può essere molto rilevante: nelle fistole omologhe il fluido è fondamentalmente lo stesso, ma nelle fistole per esempio bilio coliche il fluido è differente. • NATURA DEL SETTORE DI DEFLUSSO che è fondamentale anche in termini sintomatologici. FATTORI CHE DIFFERENZIANO IL QUADRO CLINICO: i fattori da prendere in considerazione nel momento in cui si valuti lo stato clinico del paziente sono: • importanza fisiologica del contenuto, se grandi quantità di fluidi importanti sono perdute, possiamo avere conseguenze serie. • Lesività del fluido che può provocare gravi danni nella sede in cui si porta. • Portata della fistola che determina quanto liquido vi passi.

FISTOLE COMUNI IN CHIRURGIA GENERALE:

sicuramente le fistole più comuni sono: • FISTOLA DIVERTICOLARE determinata dalla pressione esercitata dal coprolita sulla parete del diverticolo, nello specifico può interessare: ◦ la VESCICA. ◦ La VAGINA. Questi fenomeni si verificano soprattutto a seguito della formazione di aderenze tra strutture vicine indotte dalla infiammazione della parete del diverticolo. La fistola diverticolare sarà una fistola: ◦ ACQUISITA ETEROLOGA. ◦ A PORTATA RELATIVAMENTE LIMITATA vista la dimensione della fistola soprattutto. ◦ DI MATERIALE MOLTO IMPORTANTE, nello specifico si potranno verificare nell'ordine: ▪ infezioni. ▪ Pneumaturia. ▪ Fecaluria. Nelle donne isterectomizzate la formazione di fistole con la vagina può essere molto importante. • FISTOLA COLECISTO DUODENALE O COLECISTO COLICA determinata dalla presenza di grossi calcoli della colecisti che decombono sulla parete della stessa esercitando una pressione importante. La fistola può interessare: ◦ IL DUODENO, si tratta della evenienza più comune, il calcolo: ▪ avanza lungo il tratto gastroenterico grazie alla peristalsi. ▪ migra e si arresta a valle lungo uno dei restringimenti del tenue, il punto più classico è sicuramente la VALVOLA ILEOCECALE. Si manifesta con una ostruzione ed ileo biliare. ◦ IL COLON, in questo caso: ▪ la fistola è abbastanza grande e il colon abbastanza largo da consentire il deflusso del calcolo e la sua uscita con le feci. ▪ La apertura di un tramite di comunicazione tra la colecisti e un organo a 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 4: le fistole carico batterico tanto importante provoca delle colecistiti e colangiti importanti.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni

LE OCCLUSIONI: la occlusione è una sindrome con eziologia multifattoriale caratterizzata dall'arresto completo e persistente del transito intestinale. Tale sindrome si caratterizza per: • UNA COMPARSA che può essere BRUSCA o PROGRESSIVA in relazione all'agente eziologico. • UNA CHIUSURA DELL'ALVO A FECI E GAS: differisce per questo da una PSEUDOOSTRUZIONE dell'alvo, tipica per esempio della stasi fecale e della formazione di un fecaloma. CLASSIFICAZIONE: dal punto di vista pratico distinguiamo due tipi di occlusione: • OCCLUSIONE FUNZIONALE dove non sono presenti ostacoli organici, si parla di occlusione: ◦ SPASTICA. ◦ PARALITICA. • OCCLUSIONE ORGANICA O MECCANICA si tratta dell'evenienza più frequente in assoluto, può derivare da: ◦ OSTRUZIONE dove sia presente un ostacolo. ◦ STROZZAMENTO nel quale alla chiusura del lume intestinale si associa alla chiusura dei vasi del meso che irrora una o più anse. Dal punto di vista clinico distinguiamo inoltre due tipi di occlusione: • ALTA che interessa le regioni fino al TENUE compreso. • BASSA che interessa le regioni intestinali a partire dal COLON. I meccanismi fisiopatologici e le conseguenze degli stessi possono essere differenti soprattutto per quanto concerne il tempo che intercorre tra la OSTRUZIONE e la COMPARSA DELLA SINTOMATOLOGIA. OSTRUZIONE INTESTINALE SPASTICA: si tratta di una occlusione INTESTINALE in cui i PICCOLI SEGMENTI DI TENUE VANNO INCONTRO AD UNA INCOORDINAZIONE DELLA ATTIVITÀ DI PERISTALSI CHE SI TRADUCE IN UNA CONTRAZIONE SPASTICA CHE PROVOCA UN RESTRINGIMENTO DEL LUME. Possiamo dire che si riscontra: • nelle primissime fasi di un INFARTO INTESTINALE, 2­3 ore dopo l'evento ischemico. • In presenza di AVITAMINOSI.

ILEO PARALITICO:

si tratta della perdita completa di TONO E PERISTALSI che interessa tutto il tratto gastroenterico, dall'intestino tenue al colon. Anche in questo caso abbiamo una INTEGRITÀ DI PARETE CONSERVATA almeno fino al momento in cui non risulti inficiata anche la vascolarizzazione dei segmenti interessati. Le cause di ostruzione possono essere: • CHIRURGICHE. • MEDICHE dove il paziente presenta sintomi e obiettività tipici del paziente occluso, ma dove il momento che sostiene l'arresto del transito è dovuto ad una patologia medica. Anche in questo caso è indispensabile differenziare tale patologia dalla 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni PSEUDOOSTRUZIONE: anche in questo caso infatti è presente un arresto del flusso ma non accompagnato dalla presenza dimostrabile di un OSTACOLO FISICO al deflusso intestinale. CAUSE: le cause di un ileo paralitico possono essere molto differenti, nel complesso queste vengono suddivise in INTRAADDOMINALI suddivisibili a loro volta in INTRAPERITONEALI ED EXTRAPERITONALI, e cause EXTRAADDOMINALI a loro volta imputabili ad una patologia D'ORGANO o SISTEMICA. • CAUSE INTRAADDOMINALI: si tratta di tutte quelle forme patologiche che possono provocare un evento infiammatorio dell'intestino che interessi la parete addominale. Questo può dar luogo ad un ileo paralitico che potrà presentarsi come: ◦ DIFFUSO dove l'interessamento dell'anse addominali è molto vasto. ◦ LOCALIZZATO dove i processi alla base della patologia sono invece LOCALIZZATI. Possiamo quindi dimostrare cause: ◦ INTRAPERITONEALI, nello specifico: ▪ tutti i tipi di LAPAROTOMIA, sicuramente nel periodo post operatorio vanno valutati: • peristalsi. • Canalizzazione. La durata della paralisi è molto variabile e dipende fondamentalmente da tre fattori: • entità della laparotomia. • Durata ed entità della eviscerazione. • Raffreddamento che le anse esposte subiscono durante l'intervento. La durata e la invasività della procedura operatoria sono molto importanti in termini di recupero della funzione intestinale, nello specifico: • 72 ore nella laparotomia. • 24 ore nella laparoscopia. Possono poi emergere dei processi suppurativi da contaminazione che possono peggiorare il quadro di ileo paralitico. ▪ PERITONITE dove TANTO PIÙ SEVERO E DIFFUSO È IL GRADO DI CONTAMINAZIONE, TANTO PIÙ GRAVE È IL PROCESSO DI DEGENERAZIONE. ▪ IRRITAZIONE DA CORPI ESTRANEI O FLUIDI: • FLUIDI come sangue, bile, urine o simili. • CORPI ESTRANEI VERI E PROPRI. ▪ INSUFFICIENZA VASCOLARE MESENTERICA: dove l'ileo paralitico si verifica in una fase in cui l'integrità intestinale è già compromessa e il quadro è piuttosto avanzato. ◦ EXTRAPERITONEALI come: ▪ EVENTI RETROPERITONEALI dove il foglietto posteriore del peritoneo si infiamma, si possono quindi verificare per esempio: • fratture pelviche. • pancreatite acuta: in questi casi può essere presente una ansa sentinella che dilatandosi può essere un segno precoce di diagnosi. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni

• rottura di un aneurisma della aorta. ▪ Dolore importante. CAUSE EXTRAADDOMINALI O PSEUDOPERITONITI, nello specifico: ◦ CONDIZIONI PATOLOGICHE D'ORGANO quali: ▪ BRONCOPOLMONITI E TRAUMI DEL TORACE: una broncopolmonite basale può provocare un ileo dinamico ma senza interessare direttamente le anse intestinali. ▪ INFARTI DEL MIOCARDIO ▪ EMORRAGIA E TROMBOSI CEREBRALE. ◦ CONDIZIONI PATOLOGICHE SISTEMICHE: ▪ IPOCALIEMIE. ▪ ALTERAZIONI METABOLICHE GENERALI. ▪ ALTERAZIONI INDOTTE DA FARMACI nello specifico narcotici, ganglioplegici e anticolinergici che possono inficiare in modo molto importante la ricanalizzazione. Si parla in questo caso di ADDOME METAPNEUMONICO.

LA OCCLUSIONE INTESTINALE MECCANICA:

le cause possono essere: • CONGENITE come atresie esofagee o imperforazioni anali, spesso diagnosticate in fase prenatale. Queste occlusioni spesso danno vita a fistolizzazioni. • ACQUISITE, in particolare sono due i quadri da prendere in considerazione: ◦ occlusione meccanica. ◦ Strozzamento cioè compromissione del transito meccanico accompagnata da una compromissione vascolare. EZIOLOGIA: come accennato possiamo avere delle manifestazioni occlusive meccaniche o dei fenomeni di strangolamento. EZIOLOGIA DELLE OCCLUSIONI INTESTINALI: un quadro di ostruzione può essere determinato da tre fattori fondamentali: • PRESENZA DI OSTACOLI NEL LUME, ricordiamo: ◦ ILEO BILIARE sicuramente LA CAUSA PIÙ COMUNE IN ASSOLUTO, conseguente, come accennato, alla formazione di una fistola colecistoduodenale. ◦ MECONIO sicuramente la causa più comune in assoluto nel BAMBINO. ◦ CORPI ESTRANEI, in particolare: ▪ fitobezoari. ▪ Tricobezoari. Si tratta di ammassi di capelli, terra e peli che vengono masticati dal paziente e inghiottiti, alla lunga possono andare incontro ad accrescimento, migrazione nel tratto gastroenterico e blocco del lume intestinale, sono particolarmente evidenti in: ▪ pazienti handicappati. ▪ Pazienti che hanno la abitudine masticarsi i capelli. Il quadro in questo caso è abbastanza BRUSCO, l'occlusione meccanica quasi sempre immediata. • PRESENZA DI UNA ESPANSIONE DI PARETE che può essere dovuta a: 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni ◦ TUMORI DI PARETE quali: ▪ adenocarcinoma della mucosa intestinale, molto più frequente a livello colico che a livello del tenue. ▪ GIST o gastrointestinal stromal tumor, si tratta di leiomiosarcomi o linfomi, sono patologie abbastanza frequenti che si dividono dal punto di vista sintomatologico in due grandi categorie: • GIST di colon, tenue e duodeno che tendono a dare fenomeni di OCCLUSIONE. • GIST dello stomaco che da spesso fenomeni EMORRAGICI. Possono presentare un accrescimento ESOFITICO, cioè esterno al lume, o ENDOLUMINALE, sono in generale molto meno aggressivi dell'adenocarcinoma. ◦ MALATTIE INFIAMMATORIE quali: ▪ MORBO DI CROHN che generalmente da problemi di perforazione, ma può dare dei fenomeni di ostruzione. ▪ MALATTIE DIVERTICOLARI che possono provocare numerosi eventi infiammatori accompagnati da deposito di tessuto fibroso che alla lunga da una chiusura del lume. ◦ CICATRICI DI FISTOLE CHIRURGICHE che possono dare stenosi importanti, si tratta di fenomeni abbastanza comuni. ◦ STENOSI INDOTTA DA RADIOTERAPIA, si parla di ENTERITE ATTINICA che si caratterizza per: ▪ Irritazione e diarrea. ▪ Quadro di stenosi del lume fino alla subocclusione. Si tratta di un quadro; ▪ comune nella isterectomia con radioterapia conseguente. ▪ Molto meno comune oggi per carcinomi del colon retto che sono generalmente PRECEDUTI da una radiochemioterapia preoperatoria. • PRESENZA DI COMPRESSIONE AB ESTRINSECO causata per esempio da: ◦ NEOPLASIE quali: ▪ NEOPLASIE DELLA TESTA DEL PANCREAS che preme sul DUODENO per esempio. ▪ NEOPLASIE GINECOLOGICHE soprattutto OVARICHE. ▪ Neoplasie a sede RETROPERITONEALE come sarcomi molto voluminosi. ▪ LINFONODI che possono provocare compressioni rilevanti soprattutto a livello DUODENALE. ◦ FLOGOSI dove la causa prima è SICURAMENTE LA BRIGLIA ADERENZIALE, fenomeno aderenziale che si verifica tipicamente a seguito di una peritonite. EZIOLOGIA DELLO STROZZAMENTO INTESTINALE: lo strozzamento come accennato si caratterizza per il coinvolgimento delle strutture vascolari intestinali, nello specifico può essere causato da: • ischemia d'ansa con eventuale: ◦ infarto dei vasi del mesentere. ◦ Emorragia dei vasi arteriosi mesenterici. • Gangrena intestinale diretta. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni Le cause possono essere: • VOLVOLO: si tratta di una TORSIONE DI ALMENO 360° DEI UN'ANSA INTESTINALE ATTORNO ALL'ASSE RAPPRESENTATO DAL SUO MESO. Dal punto di vista anatomico interessa: ◦ nell'adulto il sigma. ◦ Nel bambino prevalentemente il tratto ileo colico. Torsioni minori a 360° difficilmente tornano alla loro conformazione normale e possono evolvere per azione della peristalsi ad un vero e proprio volvolo. EVOLUZIONE DEL VOLVOLO: Condizione fondamentale perché si crei un VOLVOLO È LA PRESENZA DI UNA SUFFICIENTE MOBILITÀ: normalmente la lamina di Toldt rende il COLON BEN ACCOLLATO ALLA PARETE, ma per esempio in presenza di un DOLICOSIGMA anche la assenza di questa lamina può provocare problemi seri con la formazione di intestini molto lunghi e molto mobili. La regione del sigma è l'unica regione nell'adulto ad avere una mobilità tale da poter andare incontro ad un processo del genere, nello specifico possiamo avere una VOLVOLAZIONE cioè la rotazione del sigma su se stesso, osserviamo quindi: ◦ una OCCLUSIONE MECCANICA dovuta al restringimento del lume. ◦ Una OCCLUSIONE DA STROZZAMENTO con coinvolgimento VASCOLARE IMPORTANTE, sono coinvolti nell'ordine: ▪ il drenaggio VENOSO con incremento della difficoltà di drenaggio, nello specifico si forma una mucosa: • iperemica. • Dilatata a causa della presenza dell'ostacolo. ▪ Il flusso ARTERIOSO in particolare nella seconda fase soprattutto se la situazione di volvolazione perdura, si avranno quindi dei fenomeni ischemici che interesseranno: • prima la parete interna. • Quindi tutte le tuniche intestinali. Con conseguente gangrena e peritonite diffusa. LA SITUAZIONE È ACUTA: il sintomo predominante sarà sicuramente il DOLORE CONTINUO ESACERBANTE SENZA REMISSIONI. • INVAGINAZIONE (o intussuscezione) cioè la PENETRAZIONE TELESCOPICA DI UN SEGMENTO INTESTINALE NEL TRATTO SOTTOSTANTE, questo avviene unicamente in direzione ISOPERISTALTICA. Distinguiamo due fenomeni fondamentali: ◦ INVAGINAZIONE ILEO CECO COLICA dove l'ileo si invagina nel cieco e quindi nel colon, si tratta di nuovo di una CONDIZIONE TIPICA DEL BAMBINO, non dell'adulto. ◦ INVAGINAZIONE DI TRATTI INTESTINALI ALTERATI in presenza soprattutto di: ▪ TUMORI PEDUNCOLATI. ▪ CORPI ESTRANEI. ▪ DIVERTICOLO DI MECKEL, evenienza molto rara, l'invaginazione si verifica inoltre solo se la dimensione del diverticolo lo consente. INVAGINAZIONE NELL'ADULTO: 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni

Un polipo peduncolato o una qualsiasi estroflessione sottoposta a movimento peristaltico tende a trainare l'ansa intestinale soprastante verso il basso, quindi verso il segmento intestinale sottostante, avremo quindi: ◦ occlusione da ostruzione determinata dal restringimento dovuto alla invaginazione telescopica dei due segmenti. ◦ Occlusione da STROZZAMENTO dovuta al fatto che viene TRAINATO DENTRO IL SEGMENTO SOTTOSTANTE ANCHE IL SEGMENTO DI MESO CHE SOSTIENE LA VASCOLARIZZAZIONE DEL TRATTO CHE VA AD INVAGINARSI. Anche in questo caso la situazione è ACUTA E SI CARATTERIZZA PER LA PRESENZA DI UN FORTE DOLORE ISCHEMICO, si tratta di un dolore CONTINUO SENZA ALCUNA REMISSIONE E MOLTO INTENSO. Soprattutto nel bambino ed eventualmente nel paziente magro possiamo apprezzare la presenza di: ◦ una tumefazione oblunga a salsicciotto. ◦ Dolore per irritazione del peritoneo. INVAGINAZIONE NEL BAMBINO: questo quadro si verifica spesso nel bambino piccolo, sotto l'anno di età, sembra che questo sia dovuto a: ◦ presenza di una lamina di fissità molto poco stabile. ◦ Variazione della ALIMENTAZIONE del bambino dove con lo svezzamento si passa da una dieta liquida ad una non solida ma più formata. La condizione di strozzamento può portare a SOFFERENZA DI ANSA E PERITONITE, il quadro sarà quello di un bambino: ◦ che piange in modo irrefrenabile. ◦ La presenza in fossa iliaca destra di una tumefazione a salsicciotto che sarà molto dolente. INTERVENTO: l'intervento più tipico è quello del il CLISMA D'ARIA: la immissione di aria a pressione spinge la testa invaginata dell'ansa verso l'alto. Questo intervento: ◦ si esegue solo se l'ansa non è palesemente sofferente. ◦ Se l'ansa viene spinta verso l'alto e ha subito un danno non particolarmente importante ma comunque a carattere ischemico, la sua irritazione e il suo sanguinamento daranno probabilmente una DIARREA CON FECI MISTE A MUCO E SANGUE, una dissenteria, di lieve durata. BRIGLIE ADERENZIALI: la briglia post peritonitica se si forma in determinate posizioni in particolare può CREARE UN ASSE DI AVVOLGIMENTO per cui si formano: ◦ UNO STROZZAMENTO dove L'INTESTINO SI AVVOLGE PER LA AZIONE DELLA PERISTALSI attorno alla briglia stessa. ◦ UNO STRANGOLAMENTO dove OLTRE ALL'INTESTINO È COINVOLTO ANCHE IL MESO CHE LO VASCOLARIZZA. In termini chirurgici è indispensabile attendere e valutare se la briglia recisa si rivascolarizza adeguatamente o questo non avviene. ERNIE INTERNE ED ESTERNE che possono essere sottoposte a STROZZAMENTO, nello specifico avremo una sofferenza d'ansa dovuta spesso sia alla compressione che 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni alla torsione del meso coinvolto. Distinguiamo ernie: ◦ ESTERNE che si formano invece per la incarcerazione di un'ansa in una porta erniaria. ◦ INTERNE: che si formano generalmente a seguito di interventi chirurgici che prevedono la apertura di un meso che non viene adeguatamente richiuso. Può interessare anche il forame degli epiploon o di Wilson, ma si tratta di una evenienza molto rara. L'ansa entra quindi in sofferenza. OSTRUZIONE MECCANICA

OSTRUZIONE

STRANGOLAMENTO

intraluminale -trico e fitobezoari. -fecalomi e meconio. -Calcoli biliari.

extraluminale volvolo

-tumefazioni neoplastiche, displastiche o flogistiche. -briglie aderenziali.

briglie parietale -tumori maligni. -cicatrici da anastomosi. -morbo di Crohn. -enterite attinica.

Strozzamento erniario

invaginazione

FREQUENZA: sicuramente le occlusioni più frequenti sono le occlusioni MECCANICHE, di queste: • i 2/3 delle ostruzioni interessa il TENUE, OCCLUSIONI DEL TENUE 66% 50­60% nello specifico ricordiamo che le cause più aderenze ernie esterne 15­20% comuni sono: neoplasie 15% ◦ briglie aderenziali come avviene nel 50­ ernie interne 5% 60% dei casi. invaginazione intestinale 3% volvolo 4% ◦ Strozzamento dell'ernia come avviene OCCLUSIONE DEL CRASSO 33% nel 15­20% dei casi. 75% ◦ GIST che non superano il 15% in neoplasie volvolo 10% termini di frequenza. diverticolite 8% 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni I 1/3 delle ostruzioni interessa invece il COLON, le cause principali sono: ◦ neoplasie come avviene nel 75% dei casi. ◦ Volvolo che non supera in frequenza il 10%. ◦ stenosi da malattia diverticolare: si tratta di un quadro avanzato ormai piuttosto raro in quanto il paziente viene operato generalmente prima che la occlusione sia completa. FISIOPATOLOGIA: nel paziente che vada incontro ad una OCCLUSIONE INTESTINALE registreremo sicuramente: • la attivazione di meccanismi di compenso che diventeranno, alla lunga, insufficienti. • La distensione dell'intestino in maniera via via più rilevante con il passare del tempo. Nel complesso abbiamo quindi sicuramente: • ACCUMULO DI GAS. • ACCUMULO DI LIQUIDI soprattutto a causa di: ◦ riduzione del potere di riassorbimento della parete dovuto allo stress da occlusione. ◦ Turbe della secrezione intestinale dove il flusso, a causa della irritazione, si inverte, e la mucosa si edemizza e secerne. I GAS INTESTINALI: in condizioni fisiologiche assumiamo circa 100cc di gas al giorno, a seconda poi della flora batterica presente nell'intestino, di quanto assunto con la dieta e di altre condizioni legate alla attività intestinale in generale, ne espelliamo una quantità molto variabile (300­ 2000cc). Il gas espulso è principalmente composto di: • AZOTO e OSSIGENO derivati dalla respirazione. • IDROGENO derivato dalla fermentazione batterica. • ANIDRIDE CARBONICA derivata da tre fonti differenti: ◦ neutralizzazione dell'acido cloridrico. ◦ Fermentazione batterica prevalentemente di provenienza colica. ◦ Diffusione dal sangue. • METANO derivato dal metabolismo dei batteri del colon. I LIQUIDI INTESTINALI: i liquidi presenti normalmente nell'intestino nel tratto gastroenterico prossimale hanno un volume di circa 7000cc e possono derivare da: • ALIMENTI. • SECREZIONI salivari, biliari, gastriche, pancreatiche. Se i meccanismi di riassorbimento fisiologici procedono NORMALMENTE: • nel cieco troviamo non più di 1,5L di liquido. • Nelle feci troviamo anche meno di 200cc di liquido. Capiamo come la perdita per il mancato assorbimento di tutto questo materiale liquido potrebbe ad UNO SHOCK IPOVOLEMICO. ALTERAZIONE DEI PROCESSI FISIOLOGICI: nel complesso possiamo registrare sicuramente: • UN INCREMENTO DEI VOLUMI DI GAS a MONTE DELLA OCCLUSIONE determinato: ◦ in un primo momento dalla presenza di aria ingerita tramite la dieta. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni ◦ In un secondo momento dalla presenza di una importante alterazione della flora batterica e quindi la produzione di gas catabolito fermentativi. • UN INCREMENTO DEI VOLUMI DI LIQUIDI A MONTE DELL'OCCLUSIONE, la dinamica dei liquidi è piuttosto complessa come accennato: ◦ da un lato il liquido si trova nel lume intestinale in quanto ingerito e non riassorbito a causa della situazione di sofferenza che caratteristicamente si forma. ◦ Dall'altro il liquido trasuda dalla mucosa intestinale a causa della reazione infiammatoria che si viene a formare. ◦ Alla condizione di IPOVOLEMIA che si viene a creare CONTRIBUISCE sicuramente anche il PASSAGGIO DI FLUIDI DAL LUME INTESTINALE VERSO IL PERITONEO con la formazione di raccolte peritoneali di fluidi che possono peggiorare il quadro. • UNA TRASFORMAZIONE DELLA FLORA BATTERICA, nel complesso possiamo dire che nella occlusione AUMENTA IL NUMERO DEI BATTERI ANAEROBI NELLE DIVERSE SEDI, anche se di fatto questo incremento sembra non sia in grado di rappresentare un problema se non in presenza di una alterazione della barriera mucosale intestinale. Le possibilità di alterazione della mucosa sono fondamentalmente due: ◦ in caso di STRANGOLAMENTO la PERFORAZIONE dell'intestino che segue alla sofferenza vascolare provoca IL RIVERSARSI DI UN LIQUIDO FRANCAMENTE SETTICO NEL CAVO PERITONEALE. ◦ In caso di OCCLUSIONE SEMPLICE assisteremo invece ad un quadro di TRASLOCAZIONE BATTERICA determinato dalla MANCATA INTEGRITÀ FUNZIONALE DELLA MUCOSA INTESTINALE. Sicuramente la traslocazione batterica si manifesta con il passaggio di batteri nei linfonodi mesenterici, il patogeno più comunemente isolato a questo livello è sicuramente ESCHERICHIA COLI. A prescindere da questo sicuramente uno stato settico indotto da questi fenomeni peggiora il quadro occlusivo del paziente. • MODIFICAZIONI DEL FLUSSO EMATICO: generalmente il flusso ematico risulta RIDOTTO rispetto alla MUCOSA e AUMENTATO rispetto alla TONACA MUSCOLARE. • ALTERAZIONI DEI PROCESSI DI COAGULAZIONE determinate DAL MANCATO ASSORBIMENTO DI VITAMINA K. • ALTERAZIONI SISTEMICHE A CARICO DELL'APPARTO CARDIORESPIRATORIO: si tratta di alterazioni frequenti e che sono alla base generalmente della mortalità anche postoperatoria da occlusione intestinale. I MECCANISMI DI COMPENSO E LORO ALTERAZIONE: i meccanismi di compenso sono variabili a seconda che si parli di una occlusione da OSTRUZIONE o di una occlusione a carattere INFIAMMATORIO. OCCLUSIONE DA OSTRUZIONE: il quadro si sviluppa in modo progressivo generalmente e la perdita della canalizzazione è progressiva molto spesso. Osserviamo quindi nell'ordine a: • IPERPERISTALTISMO dove AUMENTA LA MOBILITÀ INTESTINALE, osserveremo: ◦ una peristalsi molto vivace. ◦ Un dolore crampiforme che il paziente descrive in maniera estremamente 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni precisa: il dolore raggiunge un acme e sparisce per poi ripresentarsi. PERDITA DELL'IPERPERISTALTISMO con conseguente: ◦ ipomobilità del lume intestinale che perde in tono fino alla atonia. ◦ Svuotamento dell'intestino a valle della ostruzione. ◦ Distensione addominale monte dell'ostruzione per accumulo di liquidi e gas. • La distensione intestinale PREGIUDICA LA CAPACITÀ DI RIASSORBIMENTO con conseguente formazione di una IPERTENSIONE LUMINALE. Possiamo dire che la pressione nel lume: ◦ normalmente non supera i 2­4cmH2O. ◦ In questi casi arriva fino a 30­50cmH2O. Incrementa di conseguenza LA PRESSIONE VENOSA: ◦ prima a livello della mucosa, questo provoca generalmente una alterazione della permeabilità con conseguente formazione di: ▪ edema e trasudato: • intraluminale. • Peritoneale. Con possibili fenomeni di TRASLOCAZIONE BATTERICA e quindi FORMAZIONE DI PERITONITI MOLTO GRAVI. ▪ Aumento della pressione endoluminale e calo dell'assorbimento intestinale. Questo quadro si protrae anche anche per 12­24 ore. ◦ IPERTENSIONE PORTALE. ◦ QUINDI STASI VENOSA COMPLESSIVA. Se la pressione endoluminale arriva a 70­100mmHg, cioè una dilatazione che nel cieco dove questo si verifica soprattutto per la presenza della valvola ileocecale di 9­ 12cm, si raggiunge il limite tenuta della parete e la perforazione è molto facile. QUADRO CLINICO: tutta questa situazione si traduce in un QUADRO CLINICO ben preciso: • perdita di ACQUA ED ELETTROLITI dovuta a: ◦ vomito che ha caratteri diversi a seconda del livello di ostruzione: ▪ occlusione da stenosi pilorica dove il vomito è acido e misto a cibo. ▪ Occlusione da testa del pancreas dove abbiamo vomito biliare. ▪ Occlusione a livello dell'ileo che si manifesta con vomito enterico. ▪ Occlusione bassa che si manifesta con vomito fecaloide: il vomito è molto tardivo in questo caso sia perché il tratto gastroenterico è molto lungo, sia perché molto spesso LA VALVOLA ILEOCECALE, essendo continente, NON CONSENTE IL PASSAGGIO NEI PRIMI MOMENTI DI MATERIALE IN SENSO RETROGRADO. ◦ Assorbimento abolito, la funzione della mucosa risulta infatti compromessa. • Perdita di plasma per trasudazione endoluminale e peritoneale. • Riassorbimento di tossine dall'intestino che possono portarsi a livello peritoneale. Si forma quindi uno SHOCK IPOVOLEMICO CON SQUILIBRIO ELETTROLITICO, SI TRATTA DELLA CAUSA PIÙ COMUNE DI MORTE DA OSTRUZIONE MECCANICA INTESTINALE. I sintomi caratteristici sono in ogni caso quattro: • ALVO CHIUSO A FECI E GAS. • VOMITO. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni • DOLORE ADDOMINALE. • DISTENSIONE ADDOMINALE. In un quadro di questo tipo la necessità è non solo di ricanalizzare il paziente, ma anche di risolvere le alterazioni elettrolitiche eventualmente presenti: • OSTRUZIONE SOPRAVATERIALE come la stenosi pilorica, si caratterizza per: ◦ PERDITA DI HCl. ◦ PERDITA DI POTASSIO. E quindi la formazione di una ALCALOSI IPOCALIEMICA. • OSTRUZIONE BASSA che si caratterizza per: ◦ PERDITA IONI BASICI derivati dal succo pancreatico ed enterico ricchi di bicarbonato di sodio. ◦ PERDITA DI POTASSIO. Ci aspettiamo quindi una ACIDOSI IPOCALIEMICA. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: possiamo distinguere i due quadri clinici della occlusione del TENUE e del CRASSO in modo abbastanza preciso: • OCCLUSIONE DEL TENUE che si caratterizza per: ◦ accumulo di gas e liquidi a monte della ostruzione con conseguente DISTENSIONE. ◦ Dilatazione parietale con conseguente calo dell'assorbimento e aumento della secrezione. Si forma quindi UN TERZO SPAZIO cioè lo spazio del lume dell'ansa e del suo interstizio, normalmente non ricchi di liquido, NON IN COMUNICAZIONE DINAMICA CON IL SANGUE E CHE OSPITA UNA GRANDE QUANTITÀ DI LIQUIDO. Il paziente va ovviamente incontro ad uno shock ipovolemico, questo terzo spazio provoca: ◦ disidratazione. ◦ Disionia, alterazione dell'equilibrio elettrolitico. tanto più alta sarà l'ostruzione e tanto più prolungata sarà, tanto più grave sarà il quadro di alterazione. L'occlusione del tenue può inoltre essere suddivisa topogarficamente in: ◦ OSTRUZIONE DEL TENUE PROSSIMALE che si caratterizza per: ▪ vomito precoce, che si manifesta prima delle 24 ore. ▪ Distensione meno evidente, sarà presente a livello dei quadranti centrali. ▪ Squilibrio acido base ed elettrolitico importante, soprattutto ACIDOSI METABOLICA. Lo squilibrio elettrolitico e idrico è meno importante rispetto a quanto non avvenga per una ostruzione a livello colico, questo: • sia perché la diagnosi è più precoce vista la rapidità con cui si manifestano i sintomi. • Sia perché non c'è una stasi precoce determinata dalla tenuta della valvola ileocecale. ◦ OSTRUZIONE DEL TENUE DISTALE che si caratterizza per: ▪ vomito più tardivo. ▪ Distensione intestinale evidente, potremmo avere un addome detto a “pizzo” dove si osserva un incremento di globosità nei compartimenti centrali. Nei 11


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni pazienti molto molto magri si possono osservare eventualmente anche i movimenti peristaltici. ▪ Squilibrio elettrolitico a sviluppo più lento ma presente. • OCCLUSIONE DEL COLON, nello specifico si caratterizza per: ◦ si tratta di una occlusione distale che: ▪ in presenza di una valvola ileocecale continente si forma una OCCLUSIONE A DOPPIA VALVOLA dove: • a livello distale troviamo l'ostruzione patologica. • A livello prossimale troviamo la valvola ileocecale. Incrementa quindi molto la pressione endoluminale e si formano: • microperforazioni. • Perforazione diastasica, cioè a monte di un tratto ostruito, del cieco. Quando la dilatazione arriva a 8­10 cm, valutabile radiologicamente, la occlusione VA OPERATA immediatamente. ▪ Se la valvola ileocecale è invece incontinente, cambia molto il quadro clinico, infatti: • Il potere di riassorbimento colico risulta mantenuto per un tempo più lungo. • Si assiste ad una progressiva DILATAZIONE DEL LUME con ALTERAZIONE DEL FLUSSO EMATICO PARIETALE. • Se la situazione non si sblocca si va incontro a PERFORAZIONE DA DIASTASI. Il tutto avviene in modo meno acuto. complessivamente ci aspettiamo in ogni caso: • una trattabilità di parete mantenuta, anche a seguito di distensione importante, fintanto che la integrità della mucosa è mantenuta: se filtra del materiale in peritoneo o si ha una risposta infiammatoria assistiamo allo sviluppo di un quadro di obiettività quantomeno localizzata. • Un addome disteso, in modo generalmente simmetrico. ANATOMOPATOLOGIA DELLA OCCLUSIONE MECCANICA: dal punto di vista anatomopatologico si registrano: • alterazioni delle anse che risultano: ◦ dilatate a monte della occlusione, dotate di parete distesa e fragile. ◦ Vuote e collassate a valle della occlusione. • Alterazioni trofiche da vascolarizzazione, soprattutto ULCERE. OCCLUSIONE DA STRANGOLAMENTO: come accennato è causata da una interruzione brusca della vascolarizzazione di segmenti intestinali, nello specifico si caratterizza per: • aumento della pressione nei vasi mesenterici. • Stasi venosa intraumurale. • Rottura dei capillari sottoposti a stress. • Ischemia. Dalla ischemia segue rapidamente generalmente una PERFORAZIONE. ANATOMOPATOLOGIA DELLO STRANGOLAMENTO: possiamo osservare sicuramente due fasi dell'evento ischemico: 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni PRIMA FASE caratterizzata dalla stasi ematica che consegue alla occlusione, si manifesta con: ◦ ischemia d'ansa in uno o due punti. ◦ Formazione di un'ansa edematosa, a pareti ispessite e violacea. Il deficit è in questa fase prettamente venoso. • SECONDA FASE caratterizzata invece dal quadro di necrosi, nello specifico si manifesta con: ◦ ansa con parete atonica, sottile e nerastra. ◦ Formazione di versamenti liberi peritoneali: si forma una peritonite stercoracea dove l'ansa necrotica riversa il suo contenuto nel peritoneo. In questa fase il deficit è ARTERIOSO. QUADRO CLINICO: il quadro clinico è differente da quelli precedentemente descritti: • IL DOLORE non è un dolore tipo colica, si tratta di un dolore ISCHEMICO che: ◦ presenta un inizio brusco. ◦ Non si risolve in nessun modo. • IL VOMITO è MOLTO PRECOCE in quanto INDOTTO DA UN MECCANISMO RIFLESSO DOVUTO ALLA ISCHEMIA DELLE ANSE: chiaramente la natura del vomito non è in questo caso indicativa della localizzazione della occlusione. • LA CHIUSURA DELL'ALVO è MOLTO PRECOCE. •

DIAGNOSI DI OCCLUSIONE INTESTINALE:

giocano un ruolo fondamentale nella diagnosi: • ANAMENSI, nello specifico è indispensabile ricordare: ◦ se ci sono stati precedenti interventi chirurgici: anche interventi banali di tipo ginecologico per esempio, si possono osservare occlusioni da briglie aderenziali che possono emergere anche a distanza di anni dalla operazione. ◦ Se c'è stata una chiusura dell'alvo. ◦ Dolore. ◦ Sindrome di Koenig, si tratta di una sindrome caratterizzata da: ▪ dolore crampiforme a livello addominale dovuto ad una substenosi. ▪ Iperperistaltismo. ▪ Emersione di rumori di filtrazione: il materiale: materiale gassoso e liquido passa attraverso la substenosi e libera l'ansa a monte. Con lo svuotamento dell'ansa la sintomatologia sparisce. La causa è spesso una NEOPLASIA che sicuramente può danneggiarsi e sanguinare nel lume andando a provocare: ▪ sangue occulto nelle feci. ▪ Anemizzazione. • ESAME OBIETTIVO, si possono evidenziare aspetti differenti a seconda della causa della occlusione: ◦ OCCLUSIONE DINAMICA: ▪ paziente ansioso, immobile a causa della reazione peritoneale al movimento, con: • addome spesso globoso. • respiro costale. 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni

▪ Manovra di Blumberg positiva. ▪ Ipertimpanismo ileocolico diffuso. ▪ Silenzio peristaltico dovuto alla paralisi delle anse: questo non si verifica nella occlusione intestinale da ostruzione. ◦ OCCLUSIONE DA OSTRUZIONE: ▪ in una prima fase sicuramente addome mobile con movimenti peristaltici visibili a pizzo o batraciano, il segno di von Wahl è positivo in questo caso (ipertimpanismo nelle regione occlusa). Con il tempo evolve ad una paralisi. ▪ Addome trattabile, al contrario di quanto avviene nella occlusione dinamica. ▪ Ipertimpanismo. ▪ Paralisi metallica: rumore di gocce che cadono sul fondo di un secchio di metallo, si tratta di un rumore dovuto al movimento di liquido e gas a livello intestinale. ◦ OCCLUSIONE DA STROZZAMENTO: ▪ nella prima fase i movimenti peristaltici sono evidenti, nelle fasi successive cessano: di fatto il paziente arriva alla attenzione del medico quando questa fase è finita e al peristalsi è assente. Tale fase può essere più prolungata in presenza di invaginazione. ▪ La parete è inizialmente trattabile, con l'innesco dei processi infiammatori acquisisce una reazione di difesa. ▪ Silenzio peristaltico. ▪ LA DISTENSIONE può essere variabile a seconda della causa: • il rigonfiamento di un volvolo può essere particolarmente evidente. • La invaginazione può risultare particolarmente evidente come una tumefazione a salsicciotto in fossa iliaca destra generalmente. In presenza di un sospetto di occlusione vanno sempre eseguiti: ◦ ESPLORAZIONE RETTALE, possiamo: ▪ trovare una ampolla vuota. ▪ Sentire una neoformazione. ◦ ESPLORAZIONE DELLE PORTE ERNIARIE: sempre valutare che non siano presenti ernie inguinali o crurali strozzate. VALORI DI LABORATORIO che possono essere molto utili. ◦ EMOCROMO che evidenzia sicuramente: ▪ aumento dell'ematocrito dovuto alla perdita di liquidi nel terzo spazio. ▪ Anemizzazione eventuale ◦ ALTERAZIONI DEL PROFILO ELETTROLITICO. RX DIRETTA ADDOME, molto importante in termini pratici, dimostra generalmente: ◦ distensione gassosa e livelli idroaerei a monte della ostruzione. ◦ A livello del tenue la RX restituisce una immagine Tipica immagine radiologica addominale a livelli idroaerei. a “pila di piatti”: l'ansa intestinale nella prima fase immagine tratta da wikipedia 14


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni si distende e presentando ancora una sua dinamicità contraendosi sviluppa delle contratture verticali che, essendo tra loro parallele, danno il tipico aspetto a pila di piatti. ◦ A livello del colon sono presenti delle AUSTRATURE ACCENTUATE. La radiografia va eseguita: ◦ preferenzialmente in posizione ortostatica di modo da favorire lo sviluppo dei livelli idroaerei. ◦ Ove non sia possibile, in decubito laterale di modo da poter evidenziare la presenza di livelli idroaerei lateralmente. In casi molto rari di ileo biliare potremmo osservare: ◦ la opacità determinata dalla presenza del calcolo. ◦ La presenza di pneumobilia. • CLISMA OPACO. • COLONSCOPIA: può essere molto utile in presenza di una ostruzione non critica controllare se sia o meno presente una neoplasia di parete. È possibile eventualmente anche porre una endoprotesi al fine di garantire il passaggio di materiale fecale e quindi posticipare l'intervento che resta in ogni caso necessario. DIAGNOSI DIFFERENZIALE DI STROZZAMENTO: nella stragrande maggioranza dei casi la ostruzione è DEL TENUE e DOVUTA A BRIGLIE ADERENZIALI, tuttavia lo strozzamento è sicuramente una evenienza molto grave che si distingue da occlusione e ileo paralitico per alcune manifestazioni particolari: • l'esordio improvviso e brusco. • Il dolore che è intenso e continuo. • La compromissione dello stato generale che è piuttosto precoce. • Febbre e agitazione. • Addome con risposta di difesa. • Leucocitosi elevata. • Presenza di una RX che evolve tardivamente in un quadro radiografico tipico di una occlusione. Questo assume una importanza fondamentale se si pensa che mentre la ostruzione è una urgenza chirurgica differibile, LO STROZZAMENTO È UNA URGENZA CHE VA RISOLTA IMMEDIATAMENTE, non può essere differita.

TRATTAMENTO:

il trattamento prevede due priorità: • IL RIEQUILIBRIO ELETTROLITICO DEL PAZIENTE. • ASPIRAZIONE TRAMITE SONDINO NASOGASTRICO A SCOPO DECOMPRESSIVO. L'INTERVENTO: l'intervento chirurgico può essere molto differente, si possono utilizzare: • RESEZIONE INTESTINALE CON O SENZA COLOSTOMIA: la colostomia si esegue a fine detensivo, di fatto oggi si cerca, soprattutto in presenza di una neoplasia, di eseguire un intervento unico di resezione senza esporre il paziente a rischi superflui. • COLOSTOMIA DECOMPRESSIVA. • APPOSIZIONE DI ENDOPROTESI. La scelta dipende alla condizione del paziente e dal tipo di ostruzione che ci si trova ad affrontare: nel paziente giovane si possono eseguire interventi invasivi e importanti, è poi 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia 5: le occlusioni fondamentale valutare, soprattutto in presenza di neoplasie, se sia il caso di eseguire un intervento chirurgico specifico o sia il caso invece di porre una endoprotesi e impostare una chemioterapia.

LA PSEUDOOSTRUZIONE:

la pseudoostruzione cronica è un ILEO PARALITICO, una stasi cioè dove non c'è una STENOSI ORGANICA, ma A CARATTERE SEGMENTARIO: il blocco della peristalsi è LOCALIZZATO E NON DIFFUSO A TUTTE LE ANSE INTESTINALI. • QUESTA ADINAMIA può interessare: ◦ duodeno e tenue. ◦ Colon dove si può verificare la cosiddetta SINDROME DI OGILVIE, si tratta di una sindrome da paralisi intestinale. • Spesso ha CAUSE INCERTE, si tratta di forme idiopatiche fondamentalmente. SINTOMATOLOGIA DELLA SINDROME DI OGILVIE: si tratta di una tipica sindrome da occlusione, ma presenta delle caratteristiche: • da fasi di evoluzione e remissione intermittenti. • Può portare a importanti perforazioni intestinali. La patologia interessa fondamentalmente il crasso a partire dalla FLESSURA SPLENICA. La causa della patologia è incerta, tuttavia sappiamo che si associa a: • agangliosi segmentaria dove viene meno la capacità di coordinare adeguatamente la peristalsi. • massive terapie con steroidi. LA DIAGNOSI VIENE POSTA IN QUESTO CASO IN QUANTO NON C'È NESSUN OSTACOLO FISICO AL DEFLUSSO DELLE FECI, la terapia prevede fondamentalmente: • colonscopia a scopo detensivo. • Cecostomia: si porta l'estremità chiusa del cieco verso la parete aprendo un breccia sulla stessa al fine di consentire di decomprimere la parete intestinale. • La resezione diventa obbligatoria se il quadro viene trattato tardivamente. è possibile tramite la somministrazione di STIMOLANTI COME LA PROSTIGMINA INDURRE UNA PERISTALSI DEL SEGMENTO PARALIZZATO, ma i risultati della terapia medica sono in questo caso piuttosto scarsi.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti

LE PERITONITI ACUTE il peritoneo è una sierosa che riveste la parete interna della cavità addominale composta di due componenti: • parietale che rappresenta il limite della cavità stessa. • Viscerale che riveste gli organi interni al cavo addominale e ne garantisce l'atraumatico movimento reciproco. È importante ricordare che mentre nel paziente maschio il peritoneo è una cavità completamente chiusa, nella donna esiste una apertura naturale di questa cavità con l'esterno che è rappresentata dal piccolo spazio che si colloca tra l'ovaio e la tuba di Falloppio. CARATTERISTICHE MACROSCOPICHE: Dal punto di vista macroscopico il peritoneo è una sierosa di dimensione variabile tra 1,5 e 2 m2, rappresentato da un mesotelio che poggia su un sottilissimo strato di connettivo. Nel contesto dei due foglietti che lo compongono troviamo: • una fitta rete di vasi linfatici che svolgono una fondamentale funzione di drenaggio dei liquidi. • Una grande quantità di linfonodi. Il peritoneo in condizioni normali è una cavità VIRTUALE, all'interno della quale non sono normalmente presenti liquidi ad eccezione di un volume normale di 100cc essenziale per PERMETTERE LO SCORRIMENTO ATRAUMATICO E OMOGENEO DELLE ANSE INTESTINALI UNA SULL'ALTRA. Il peritoneo è una mucosa: • rosea. • Sottile. In presenza di alterazioni di qualsiasi tipo il carattere macroscopico del peritoneo muta radicalmente, soprattutto per quanto riguarda colore e spessore. LE LOGGE SOTTODIAFRAMMATICHE E COLLETTORI PERITONEALI: il peritoneo presenta delle regioni che strutturalmente e funzionalmente svolgono un ruolo molto particolare nella dinamica dei fluidi: • LOGGE SOTTODIAFRAMMATICHE, in sede sottodiaframmatica: ◦ la rete cellulare del peritoneo si caratterizza per la presenza di alcune zone ad alta permeabilità, ricche di GAPS CHE CONSENTONO UNA COMUNICAZIONE DIRETTA CON LA RETE LINFATICA POSTA AL DI SOTTO DELLO STRATO SOTTOMESOTELIALE. ◦ È presente una pressione negativa fisiologica che assorbe liquidi dalle restanti parti 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti

del peritoneo. Le funzioni di queste logge sono: ◦ riassorbire liquido presente in eccesso. ◦ Assorbire particelle batteriche presenti nel cavo peritoneale. ◦ riassorbire delle sostanze tossiche. La comunicazione è unidirezionale, dal peritoneo verso la rete linfatica. COLLETTORI PERITONEALI, sono delle regioni che per ragioni anatomiche rappresentano la TIPICA SEDE DI ACCUMULO DI FLUIDI PRESENTI ALL'INTERNO DEL CAVO PERITONEALE in virtù anche di una pressione positiva vigente in queste sedi, si tratta di: ◦ RECESSO DEL DOUGLAS, rappresenta la porzione extraperitoneale del retto, importante soprattutto in posizione supina e in ortostatismo. ◦ DOCCE PARIETOCOLICHE destra e sinistra. Al termine di un intervento chirurgico sono le sedi in cui più di frequente vengono posti dei drenaggi.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti DIVISIONE ANATOMICA DEL CAVO PERITONEALE: il cavo peritoneale può essere macroscopicamente suddiviso in due grandi aree: • regione sovramesocolica • regione sottomesocolica, tale regione a sua volta si suddivide in diverse regioni: ◦ regione ileale o centrale. ◦ Recesso del douglas o terzo inferiore del retto. ◦ Docce parietocoliche. Altra componente FONDAMENTALE del peritoneo è il GREMBIULE OMENTALE: il grande omento, molto vascolarizzato e ricco di vasi linfatici, è in grado di esercitare una importantissima azione di assorbimento richiamata e attivata dalla presenza di un processo infiammatorio o lesivo. Sia in sede sovramesocolica che in sede sottomesocolica, il peritoneo sarà in grado di andare a tamponare un processo infiammatorio intestinale. La clearance peritoneale sarà tanto più importante quanto più integro sarà il peritoneo. CLASSIFICAZIONE DELLE PERITONITI ACUTE: le peritoniti acute possono essere classificate in due grandi categorie: • PERITONITI ACUTE GENERALIZZATE O PAG, a loro volta classificabili in: ◦ PRIMITIVE che: ▪ rappresentano il 10% delle PAG. ▪ tendono ad essere monomicrobiche. ◦ SECONDARIE la maggior parte delle peritoniti sono per lo più polimicrobiche, potranno interessare: ▪ bambino. ▪ Adulto. NON OSPEDALIZZATI: si tratta infatti di infezioni a carattere COMUNITARIO. Le peritoniti acute generalizzate secondarie possono derivare da diversi processi infettivi: ▪ sepsi addominali complicate come una appendicite o colecistite. ▪ Traumi generalmente contusivi ma anche perforazioni che possono interessare: • milza, con conseguente riversarsi di sangue nel cavo peritoneale. • bile, per esempio dopo a seguito di una colangiografia transepatica finalizzata porre un drenaggio per trattare un ittero ostruttivo, si può assistere alla dislocazione del drenaggio stesso e al riversarsi di bile nel peritoneo. • Urine a causa di una perforazione vescicale. ▪ Post operatoria, secondaria ad intervento chirurgico. ◦ Terziarie che si verificano soprattutto in ambito di TERAPIA INTENSIVA: ▪ esordiscono come peritoniti secondarie. ▪ Viene somministrato un trattamento che non risulta efficace. ▪ Il processo flogistico va incontro a riacutizzazione a causa soprattutto di ulteriori sovrapposizioni batteriche. I germi sono spesso tipici della flora ospedaliera e quindi multiresistenti. • PERITONITI ACUTE CIRCOSCRITTE O PAC, si tratta dei cosiddetti ASCESSI 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti INTRAPERITONEALI: non si tratta di una definizione del tutto appropriata, non è presente infatti una parete neoformata e il materiale purulento è contenuto in un cavo anatomicamente costituito dagli organi addominali, sarebbe più giusto parlare quindi di empiema.

LA PERITONITE ACUTA GENERALIZZATA:

la peritonite acuta generalizzate è una flogosi acuta di tutta la struttura peritoneale: • causata da agenti batterici o chimici: si possono distinguere quindi come accennato PAG chimiche, batteriche o miste. • Caratterizzata da un decorso acuto. • Accompagnata da un grave interessamento dello stato generale del paziente secondario generalmente a: ◦ perdita di volume nel cavo peritoneale e nel terzo spazio. ◦ Assorbimento di sostanze tossiche. Si tratta di un tipico shock settico. EZIOLOGIA: la eziologia è variabile in relazione al tipo di peritonite presa in considerazione ovviamente. PERITONITI PRIMITIVE: avvengono in assenza di infezione sistemica batterica evidente, sono rare, distinguiamo: • peritonite spontanea nel bambino • peritonite della giovane donna dovuta alla risalita di batteri dalla via genitale. • Peritonite del paziente in dialisi peritoneale: il posizionamento e l'utilizzo del catetere peritoneale inducono chiaramente un incremento del rischio di virulentazione batterica e quindi di peritonite generalizzata. • Peritonite batterica spontanea nel cirrotico. Questo giustifica la eziologia monobatterica tipica della peritonite. Dal punto di vista eziologico queste peritoniti possono originare: • per via ematogena, tipica nel bambino: ◦ la peritonite deriva in questo caso da un focolaio infettivo attivo come LE TONSILLE O IL POLMONE generalmente. ◦ I patogeni coinvolti sono gram positivi, generalmente streptococchi. • Traslocazione batterica nella cavità: ◦ dovuta soprattutto a batteri gram negativi. ◦ Tipica del paziente cirrotico con ascite. La causa prima di questo tipo di traslocazione è sicuramente la non adeguata perfusione del tratto gastroenterico dovuta alla ipertensione portale, in ogni caso ricordiamo che il cirrotico si presenta quasi sempre: ◦ ipoproteinemico. ◦ Immunodepresso. Aspetti che peggiorano la gravità del quadro. • Invasione diretta ab estrinseco; si tratta di una evenienza molto rara. • Per via transtubarica. La sintomatologia è in questi casi inizialmente larvata, SI TRATTA DI UNA PERITONITE MENO 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti SINTOMATICA INIZIALMENTE. Il paziente più a rischio resta comunque il paziente cirrotico. PERITONITI SECONDARIE: si tratta di eventi frequentissimi, tipicamente dovuti a: • perforazione di un viscere, per a seguito di: ◦ ulcera gastrica o ulcera duodenale: ulcere complicate possono spesso sanguinare o perforarsi, questi quadri peggiorano molto in caso di uso e abuso di FANS. Generalmente con la perforazione si forma una soluzione di continuo con il passaggio di: ▪ aria prima. ▪ Elementi chimici irritanti poi. ▪ Elementi batterici e infettivi nella fase finale. Se la patologia viene riconosciuta immediatamente, ci sono margini di trattamento endoscopici, in caso contrario sarà necessario eseguire una laparotomia. ◦ Appendiciti, soprattutto appendiciti nelle quali il livello di coinvolgimento della parete sia molto importante e causate da: ▪ gram negativi. ▪ anerobi in presenza dei quali si parla di APPENDICITE GANGRENOSA. A volte il quadro è tanto grave che la appendice può autoamputarsi. ◦ Colecistite GANGRENOSA che può dare una peritonite generalizzata a causa di: ▪ perforazione. ▪ Propagazione, la perforazione generalmente si verifica in caso di sovrapposizione di GERMI ANEROBI, si tratta di un evento tipico nel paziente con colecistite alitiasica. ◦ Diverticolo di Meckel o diverticoli del sigma che vanno incontro a perforazione. ◦ Megacolon tossico: situazione rara nelle nostre latitudini, tipica in paesi come Inghilterra e non solo dove le malattie infiammatorie croniche intestinali sono più comuni, è la peggiore conseguenza della rettocolite ulcerosa. ◦ Perforazione diastasica del cieco ad eziologia per lo più tumorale nel colon sinistro. ◦ Neoplasia maligna di colon e tenue: la perforazione avviene a livello della neoplasia stessa, sono comuni nel colon e molto meno frequenti nel tenue. ◦ Perforazone in corso di colonscopia: si tratta di un evento raro e la peritonite che ne consegue, grazie alla pulizia addominale caratteristica, è relativamente poco aggressiva in quanto il contenuto fecale è scarso. All'interno del peritoneo quindi assisteremo a: ◦ passaggio di aria che si porta tra il diaframma e il fegato, visibile tramite DIRETTA ADDOME. ◦ Attivazione dell'omento che si porta a tamponare la soluzione di continuo. SEDE PERFORAZIONE

DI CAUSA PRINCIPALE

CARATTERE PERITONITE

DELLA CARATTERE DEL DOLORE INIZIALE

PERFORAZIONE GASTRICA DUODENALE

Generalmente O complicanza di ulcere.

Peritonite chimica iniziale Dolore a pugnalata in sede seguita da peritontite epigastica. batterica in 4­5 ore.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti PERFORAZIONE Generalmente Peritonite chimica non Dolore sordo e ingravescente in DELLA VIA BILIARE O complicanza di una molto intensa, seguita non ipocondrio destro, spesso COLECISTI calcolosi o di colecistite sempre da peritonite irradiato a scapola e spalla. gangrenosa. batterica. PERFORAZIONE DEL Generalmente TENUE strozzamenti d'ansa.

Peritonite batterica a Dolore immediato a colpo di sviluppo rapido. pugnale, in sede ombelicale o periombelicale.

PERFORAZIONE DEL Dovuto a malattia Peritonite batterica ad Dolore meno intenso in sede COLON diverticolare, neoplasie, evoluzione estremamente della perforazione, ad colite ulcerosa, colite rapida ed estremamente evoluzione rapida. ischemica. grave, stercoracea,

Propagazione di un focolaio infettivo o infiammatorio a livello addominale, per esempio: ◦ appendicite acuta: raramente una appendicite acuta da una peritonite acuta generalizzata, nella maggior parte dei casi si sviluppa in una peritonite acuta circoscritta alle regioni prossime alla appendice stessa, differenti a seconda della sua localizzazione: ▪ fossa iliaca destra. ▪ Pelvica. ▪ Sottoepatica. ◦ Colecistite acuta che, analogamente alla appendicite, può dare fenomeni di peritonite acuta circoscritta preferenzialmente, ma anche fenomeni di peritonite acuta generalizzata. Ricordiamo che: ▪ la peritonite litiasica si associa con maggiore frequenza ad empiema della colecisti. ▪ Le colecistiti gangrenose, tipiche del diabetico, sono potenzialmente maggiormente pericolose da questo punto di vista. ◦ Diverticolite: una malattia diverticolare conclamata localizzata al colon di sinistra può dare un quadro clinico definito di “appendicite di sinistra”. ◦ Ileite: quadro molto raro e legato alla acutizzazione di forme molto acute di morbo di Chron, soprattutto se interessa le ultime anse del tenue. ◦ Ascesso epatico: molto raramente da peritoniti acute generalizzate, fanno eccezione patologie parassitarie e batteriche esotiche potenzialmente molto pericolose. ◦ Pelviperitonite, tipica della salpingite acuta per esempio che evolve in peritonite. Ischemia con conseguente evoluzione gangrenosa, di un viscere cavo, per esempio: ◦ infarto intestinale, soprattutto in caso di diagnosi tardive, per esempio in associazione alla formazione di briglie, si parla nel caso specifico di aspetto a foglia morta alla laparotomia. ◦ Strozzamento erniario, soprattutto per ernie di tipo: ▪ inguinale e ombelicale. ▪ Crurale: nella donna, soprattutto in caso di pinzettametno laterale d'ansa: il danno nel caso specifico può essere secondario ad un rientramento parziale 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti dell'ernia che provoca un traumatismo che ne inficia la vascolarizzazione. ◦ Volvolo, soprattutto nel momento in cui la diagnosi sia tardiva e non venga eseguito alcun intervento, la condizione è ancora più grave in presenza di una briglia aderenziale. • Traumi, si parla di peritoniti acute generalizzate post traumatiche. Possibili cause sono: ◦ contusioni viscerali legate a traumi chiusi e caratterizzate da livelli di contaminazione differenti: ▪ milza, la contaminazione è assente, ma si forma un importante ematoma che espandendosi lacera la capsula provocando un emoperitoneo: • si sviluppa inizialmente un danno irritativo. • Si sviluppa successivamente una eventuale contaminazione batterica se c'è una setticemia in corso. ▪ Necrosi intestinale da danno successivo a trauma che può interessare: • vasi mesenterici: la eventuale contusione di un vaso addominale può compromettere la vascolarizzazione dell'ansa • Mesi: la formazione di un ematoma nel contesto del meso andrà sicuramente incontro ad una remissione, ma l'ansa potrebbe a causa del trauma vascolare andare incontro a necrosi. ▪ Traumi chiusi con lesioni associate a scoppio del vicere, tipicamente: • rottura dello stomaco. • Rottura della vescica. ▪ Lesioni viscerali da ferite penetranti che ledano la integrità, qunidi, del peritoneo parietale. ▪ complicanze iatrogene soprattutto in presenza di colonscopia operativa soprattutto o eventualmente colangiografia. Il danno iatrogeno generalmente si estrinseca in questi casi in due modi generalmente: • a livello del tenue soprattutto nell'angolo duodenodigunale dove si colloca il legamento del Treitz, se l'endoscopista insuffla eccessivamente si possono avere dei fenomeni di perforazione intestinale da scoppio dell'ansa. • Perforazione duodenale: in questo caso nella stragrande maggioranza dei casi non avremo uno pneumoperitoneo generalmente la perforazione interessa principalmente la parete posteriore del duodeno, avremo quindi un RETROPNEUMOPERITONEO caratterizzato da: ◦ dolore riferito. ◦ Documentazione strumentale positiva. È importante identificare il fatto che non si tratta di uno pneumoperitoneo, in questi casi può essere anche sufficiente attendere e valutare successivamente la possibilità di un intervento. ▪ Corpi estranei. PERITONITI TERZIARIE: le peritoniti terziarie sono principalmente legate a processi infettivi complessi in pazienti in ambito di terapia intensiva e dovute a: 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti da DEISCENZA ANASTOMOTICA: la anastomosi può essere stata eseguita male o può cedere semplicemente. • Da SEVERA CONTAMINAZIONE BATTERICA INTRAOPERATORIA : in alcuni casi dei recessi all'interno del peritoneo possono non essere esplorati adeguatamente, si tratta soprattutto si sedi sottofreniche e dei collettori. Queste peritoniti permangono e persistono anche dopo una terapia adeguata per PAG primitiva o secondaria, questo può essere dovuto a: • insufficienza di meccanismi di difesa dell'organismo, tipici del paziente che presenta: ◦ denutrizione. ◦ Malattie immunitarie che deprimano lo stato del paziente o terapie immunosoppressive. ◦ Neoplasie maligne allo stato avanzato soprattutto. A parità di infezione batterica il paziente non è in grado di rispondere alla infezione. • Importante stato infettivo come avviene nella peritonite stercoracea: nonostante l'intervento il cavo peritoneale è tanto contaminato, soprattutto da materiale fecale, ed è presente una carica batterica potentissima. • Invasioni polimicrobiche caratterizzate da patogeni ospedalieri quali: ◦ pseudomonas aeruginosa. ◦ Staffilococchi. ◦ Enterobacteriacee. ◦ Enterococchi. ◦ Miceti che spesso si sovrappongono al quadro infettivo. Questi pazienti spesso sviluppano uno shock settico che evolve poi in una MOD. MECCANISMI FISIOPATOLOGICI: dal punto di vista fisiopatologico le peritoniti possono essere definite: • CHIMICHE, irritative legate alla presenza di un liquido irritante che si riversa nel peritoneo, sia esso gastrico o di altra natura. • BATTERICHE che possono presentarsi come: ◦ primitive cioè primariamente batteriche e legate alla perforazione di un viscere ad alta carica batterica come il colon. ◦ Secondarie cioè secondariamente batteriche e legate ad una sovrainfezione successiva ad una perforazione di viscere a contenuto batterico intermedio. • MISTE causate dalla perforazione di un viscere, tipicamente lo stomaco, e caratterizzate da una progressione di questo tipo: ◦ inizialmente con la perforazione del viscere si riversano nel peritoneo ARIA e CONTENTO DEL VISCERE, si sviluppa una PERITONITE CHIMICA. ◦ Seppur la carica batterica è molto bassa molto spesso, per esempio nello stomaco, dopo circa 6­7 ore si sviluppa un quadro di peritonite BATTERICA dovuta al passaggio di batteri nel cavo peritoneale. La carica batterica deve essere comunque significativa per poter evolvere a peritonite infettiva, devono essere presenti almeno 100.000 UFC/ml nel fluido che si riversa nel cavo peritoneale, in caso contrario il quadro può tranquillamente permanere in fase subclinica: un tipico •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti esempio è quello della perforazione gastrica nel momento in cui si intervenga entro le 5­6 ore. PERITONITI CHIMICHE: la peritonite chimica può essere causata dal versamento peritoneale di: • acido cloridrico. • Sangue. • Bile. • Urine. il quadro sintomatologico e semeiologico è profondamente differente da quello tipico del materiale intestinale: in forma più o meno circoscritta si sviluppa una reazione peritoneale che diviene poi sistemica e si sviluppa generalmente in una SIRS. LA RISPOSTA PERITONEALE: il peritoneo si irrita in modo molto importante, fondamentalmente la reazione è simile a quella di una ustione chimica caratterizzata da: • IPEREMIA. • ESSUDAZIONE. Questi due fenomeni saranno poi più o meno importanti dal punto di vista della estensione a seconda dei casi, si svilupperanno quindi: • essudazione peritoneale soprattutto di fibrina: assieme all'omento lo stravaso di fibrina circoscrive la patologia infiammatoria, in caso di deficit coagulativo o deficit di produzione di fibrina in generale, non sarà possibile arginare adeguatamente la patologia. • Edema sottosieroso. • Formazione di ILEO PARALITICO cioè blocco della peristalsi con perdita della capacità di assorbimento e formazione di un terzo spazio. Mutano completamente: • aspetto macroscopico che diventa iperemico e fortemente danneggiato. • Aspetto funzionale del tratto gastroenterico, si FORMA, come accennato, UN SETTORE IDRICO ISOLATO, UN TERZO SPAZIO in conseguenza a: ◦ mancato riassorbimento peritoneale e a livello dell'ansa. ◦ Aumento della secrezione a livello del peritoneo. Con conseguente evoluzione di uno SHOCK IPOVOLEMICO a rapida insorgenza. PERITONITI BATTERICHE: le peritoniti batteriche sono peritoniti che si sviluppano: • rapidamente in caso di perforazione di visceri ad altissimo contenuto batterico come il colon. • Tardivamente come evoluzione di una peritonite chimica. Si sviluppano quindi in questo caso: • essudazione di liquidi e fibrina con conseguente perdita di liquido a causa anche della formazione di un terzo spazio, in modo analogo a quanto accennato per la peritonite chimica, il rischio è quello di uno SHOCK IPOVOLEMICO. • blocco della clearance batterica: un certo grado di clearance batteirca permane, ma in questo caso LA CARICA BATTERICA È TALE CHE LA CONSEGUENZA È QUELLA DI 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti PROPAGARE LA PATOLOGIA A LIVELLO SISTEMICO, si possono avere fenomeni di: ◦ SEPSI SEVERA. ◦ SHOCK SETTICO. Complessivamente si sviluppa uno SHOCK COMPLESSO. EVOLUZIONE DELLA PERITONITE BATTERICA: la evoluzione della malattia procede attraverso quattro stadi, inizalmente una IPOVOLEMIA che evolve a SEPSI con ILEO PARALITICO, tardivamente si formano VERE E PROPRIE ADERENZE. • IPOVOLEMIA, si sviluppa in questo modo: ◦ iperemia sierosa peritoneale con essudazione liquida, fibrinosa e cellulare. ◦ severa alterazione dell'equilibrio elettrolitico con evoluzione di un terzo spazio in sede: ▪ peritoneale. ▪ Intraluminale. ◦ inteso riassorbimento di liquidi, tossine e batteri in sede sottodiaframmatica: la raccolta di questi elementi provoca un incremento del riassorbimento in sede LINFATICA e quindi SISTEMICA. • SEPSI dipendente da: ◦ carica batterica che, come accennato, deve essere superiore a 100.000 UFC/ml. ◦ Presenza di elementi estranei che possono compromettere la attività peritonale e dare fenomeni di segregazione batterica e ascessualizzazione. Elementi estranei caratteristici sono: ▪ feci. ▪ Sangue. ▪ Bile. ▪ Residui alimentari, soprattutto in caso di perforazione gastrica. • ILEO PARALITICO: qualsiasi irritazione è in grado, per la legge di stokes, di provocare una paralisi della muscolatura liscia delle anse. Il rischio è quello di sviluppare una SINDROME COMPARTIMENTALE caratterizzata da un INCREMENTO DELLA PRESSIONE ENDOADDOMINALE con gravi conseguenze a livello di organi di altre sedi. Tipiche cause di una sindrome compartimentale possono essere: ◦ rottura di un aneurisma aortico. ◦ Peritonite acuta terziaria con conseguente ileo paralitico e distensione molto grave tale da inficiare la chiusura meccanica dell'addome. ◦ pancreatite acuta. In un intervento laparoscopico si impone una pressione endoaddominale cavitaria di 14mmHg sufficienti in alcuni pazienti per provocare conseguenze fisiopatologiche importanti, in alcuni casi si possono raggiungere pressioni molto superiori in questa sindrome, tali da provocare: ◦ un deficit polmonare dovuto ad innalzamento del diaframma che provoca una importante alterazione della dinamica respiratoria: durante l'intervento l'anestesista deve esercitare delle elevate pressioni respiratorie. 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti ◦ Conseguenze cardiovascolari importanti: già con 14mmHg di pressione intraddominale, si comprime la vena cava inferiore in modo eventualmente tanto importante da generare una compressione cavale che inficia il ritorno venoso e quindi la gittata cardiaca. ◦ Incremento della tensione della parete addominale e conseguente incremento della pressione all'interno dei vasi fino alla compromissione della vitalità della stessa. In casi particolarmente gravi si possono verificare delle vere e proprie eviscerazioni. ◦ Ischemie della parete intestinale: la riduzione del flusso portale e mesenterico provoca una compromissione della vascolarizzazione d'ansa fino eventualmente a provocare una ischemia. A livello delle anse si verificheranno tipicamente: ▪ viraggio del metabolismo in fase di anerobiosi. ▪ Acidosi. In terapia intensiva tipicamente si misura la acidità della mucosa anale e rettale. ◦ compromissione renale con conseguente compressione del parenchima renale riduzione DEL FILTRATO GLOMERULARE, con il tempo anche questa insufficienza renale diviene organica. LA SOGLIA DI PRESSIONE INTRADDOMINALE IN GRADO DI PROVOCARE QUESTA PATOLOGIA È DI 20­25mmHg: la pressione intaddominale può essere valutata in sede intravescicale, se vengono raggiungi i 25mmHg, si procede ad una LAPAROTOMIA DECOMPRESSIVA. • FORMAZIONE DI ADERENZE: le aderenze si formano principalmente a causa dello stravaso di fibrina tipico di queste patologie, tali aderenze possono provocare la formazione di: ◦ conglutinamento delle anse che provoca difficoltà di trattamento importanti, si parla di PERITONITE PLASTICA nella quale LA MATASSA INTESTINALE È AVVOLTA DA ADERENZE MOLTO DIFFUSE. ◦ Briglie: cordoni sottesi tra peritoneo parietale e ansa intestinale o tra due anse intestinali, inizialmente questi fenomeni possono circoscrivere il processo infiammatorio ma a lungo andare possono essere foriere di occlusioni meccaniche. MODIFICAZIONI ANATOMOPATOLOGICHE: dal punto di vista anatomopatologico riscontriamo la formazione di: • sierosa iperemica, edematosa e opaca. • Formazione di pseudomembrane, cioè secrezioni fibrinose e biancastre che possono formare importanti aderenze nelle fasi successive: se questi aggregati fibrinosi non si staccano facilmente dall'ansa,è meglio non rimuoverli al fine di non compromettere strutturalmente l'ansa stessa. • Versamento endoperitoneale molto vario sia per qualità che per quantità: ◦ può presentare aspetto sieroso torbido o purulento. ◦ A seconda della natura del viscere possiamo osservare la presenza di gas, succo gastrico, materiale ileale o colico. Il materiale intraperitoneale può poi accumularsi in sede dei collettori o sottofrenica.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti

Anatomia patologica di una peritonite acuta da perforazione gastrica, si nota molto bene il piastrone fibropurulento superficiale.

ASPETTI CLINICI E DIAGNOSI: segni e sintomi tipici della peritonite possono essere suddivisi in tre grandi categorie, incostanti, ingannatori e rilevatori, questi si accompagnano a segni di tipo sistemico. • SEGNI INCOSTANTI, segni che consentono di fare diagnosi, ma non sono sempre presenti, tipici esempi sono: ◦ dolore a pugnalata, tipico della perforazione del viscere cavo, localizzazione ed entità del dolore, e in parte anche le sue caratteristiche, possono essere differenti. ◦ Scomparsa della ottusità epatica dovuta a perforazione di viscere cavo, dipendente in termini di entità dalla natura del viscere. ◦ Addome a tavola: contrattura diffusa di tutta la muscolatura striata dell'addome, tipica di quadri molto molto tardivi. Si possono ancora registrare in quadri ad evoluzione estremamente acuta come negli infarti massivi intestinali nel paziente anziano. • SEGNI INGANNATORI O TARDIVI quali: ◦ distensione addominale da ileo paralitico. ◦ scomparsa della peristalsi. ◦ Chiusura dell'alvo a feci e gas. 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti ◦ Vomito eventualmente fecaloide. ◦ Stato di profonda disidratazione fino alla facies peritonitica eventualmente. Il paziente in generale cerca di evitare il contatto con l'addome e lo protegge allontanandosi dall'esaminatore in alcuni casi. • SEGNI RIVELATORI, estremamente importanti, sono espressione di una irritazione peritoneale e si presentano costantemente: ◦ decubito obbligato supino. ◦ Dolore spontaneo. ◦ Esame obiettivo che dimostra: ▪ dolore provocato e resistenza peritoneale circoscritta o diffusa alla palpazione superficiale. ▪ Blumberg positivo. ▪ Scomparsa della ottusità epatica in presenza di perforazione di viscere a contenuto aereo. ▪ Ipertimpanismo diffuso: si tratta di un segno tardivo, speriamo di arrivare prima alla diagnosi. ▪ Peristalsi ridotta o assente: nei quadri precoci la peristalsi è solo ridotta. ▪ Cavo del Douglas dolente alla esplorazione rettale. • SEGNI E SINTOMI SISTEMICI: ◦ febbre ad andamento incostante, variabile in relazione alla causa della patologia, possiamo avere una febbre: ▪ settica. ▪ Purulenta. ▪ Difficilmente ci sarà una febbre di tipo urosettico o billiosettico. ◦ tachicardia e tachipnea. ◦ Disidratazione e oliguria se non anuria. Questi segni possono evolvere tipicamente in uno shock ipovolemico. CRITERI DIAGNOSTICI: la diagnosi di peritonite è fondamentalmente CLINICA, in pazienti: • dotati di soglia del dolore molto alta. • Poco responsivi dal punto di vista infiammatorio o infettivo. La attenzione DEVE ESSERE MASSIMA e la diagnosi può essere molto difficile. AUSILI DIAGNOSTICI NON CLINICI: ausili diagnostici che possono essere richiesti sono sicuramente: • laboratoristici, si possono registrare: ◦ neutrofilia o leucopenia. ◦ Aumento dell'ematocrito legato al passaggio di fluidi nel terzo spazio. ◦ Squilibrio elettrolitico. • RX diretta addome che ci può consentire di individuare: ◦ falce di aria libera al di sotto del diaframma. ◦ Distensione ileocolica. 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti Analogamente a quanto detto in altra sede, la radiografia dovrebbe essere eseguita a paziente in posizione eretta, dove non sia possibile a paziente sul fianco. In alcuni casi si può richiedere una TAC che consente di individuare bolle d'aria di dimensioni più piccole. • ECOGRAFIA che consente di individuare il liquido libero in cavo peritoneale, possono essere rinvenute: ◦ raccolte vere e proprie in sede per esempio della colecisti. ◦ Raccolte ascessuali. • TC o tomografia computerizzata CON MEZZO DI CONTRASTO, molto utile in alcuni casi, tale esame va eseguito sempre e solo una volta valutata la funzione renale, in caso contrario c'è il rischio di provocare seri danni. LA TERAPIA: dobbiamo cercare di controllare lo squilibrio elettrolitico e la ipovolemia che seguono allo sviluppo della peritonite ed eventualmente prevenire la disseminazione sistemica della infezione. Complessivamente quindi: • trattamento delle conseguenze sistemiche: ◦ la sepsi va controllata con una antibiotico terapia di tipo empirico basata sul quadro eziologico, per esempio: ▪ in alcuni casi nella peritonite da perforazione gastrica è sufficiente una profilassi della durata di 5 giorni a dosaggio adeguato. ▪ In caso di perforazione intestinale va eseguita una profilassi molto più importante. Spesso non è nemmeno necessario individuare il germe se la peritonite è secondaria o primaria, mentre la IDENTIFICAZIONE DEL PATOGENO È FONDAMENTALE NELLA PERITONITE TERZIARIA IN PRESENZA DI GERMI OSPEDALIERI spesso resistentei a numerosi antibitoici: ▪ si inizia una terapia antibiotica empirica. ▪ Individuato il batterio si esegue una descalation. ◦ La ipovolemia va controllata con il ripristino dei fluidi ed eventualmente la somministrazione di catecolamine. • Trattamento delle conseguenze locali cioè: ◦ il focolaio infettivo. ◦ L'ileo paralitico. ◦ La formazione di aderenze. La terapia è tipicamente chirurgica in questo caso: ◦ eliminare la causa di contaminazione: ▪ rafia in caso di perforazione intestinale: tali interventi in alcuni casi si possono eseguire per via laparoscopica, ma generalmente per via laparotomica. È indispensabile prestare attenzione alla possibilità che la causa della perforazione sia una neoplasia, soprattutto nel contesto di un'ulcera gastrica. ▪ Eliminare la appendice o la colecisti è fondamentale. ▪ Exeresi: in caso di segmento intestinale, perforazione o infarto, sarà necessario 14


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti valutare se eseguire: • una anastomosi diretta. • Una derivazione esterna. ◦ Rimuovere gli agenti contaminanti: generalmente si esegue un GRANDE LAVAGGIO PERITONEALE meccanico con 8­10 litri di fisiologica. ◦ prevenire la formazione di aderenze: nonostante numerose ricerche, ad oggi non esiste un metodo vero e proprio, è possibile solo LAVARE MOLTO BENE I TESSUTI E RIMUOVERE LA FIBRINA ELIMINABILE CON FACILITÀ. Estrema attenzione va posta alla possibilità che si sviluppino aderenze strutturali soprattutto in caso di interventi pelvici che possono dare sterilità da legatura tubarica. ◦ Posizionamento di drenaggi che vanno messi nelle sedi più sensibili: ▪ logge sottodiaframmatiche ▪ cavo del douglas ▪ docce parietocoliche. ▪ Recesso laterale sigmoideo. TERAPIA DELLA SINDROME COMPARTIMENTALE: nel momento in cui la pressione vescicale sia superiore ai 20­25mmHg, è indispensabile agire: • si esegue una laparotomia decomrpessiva. • Si imposta una bogota bag per ricoprire la parete: ◦ si pende una borsa bogota, utilizzata per altri usi normalmente. ◦ La si taglia di modo da ottenere una superficie adatta. ◦ Si associa nelle sue due estremità alla parete addominale. ◦ Si medica la regione di tanto in tanto. Una volta risolto il processo infiammatorio a ripristinate le pressioni intraddominali, i lembi si adatteranno per seconda intenzione fino a richiudersi. Sicuramente il paziente andrà incontro a LAPAROCELI. • Si possono utilizzare delle protesi riassorbibili: sono protesi particolari composte di: ◦ Parte interna riassorbibile che si associa alle anse intestinali. ◦ Parte esterna non riassorbibile e in grado di mantenere la contenzione della parete.

PERITONITI ACUTE CIRCOSCRITTE:

le peritoniti acute localizzate SONO RACCOLTE PURULENTE BEN LOCALIZZATE CHE SI SVILUPPANO A SEGUITO DELLA REAZIONE PLASTICA DELLA SACCA PERITONEALE. Un tempo definite ascessi peritoneali, oggi vengono definite peritoniti acute circoscrtte, infatti non è presente una parete vera e propria e la raccolta purulenta è limitata dalla presenza di strutture anatomiche circostanti. Anche in questo caso sono coinvolti: • batteri piogeni. • Batteri anerobi. La flora, generalmente polimicrobica, può poi presentare fenomeni di resistenza anche molto importanti. LO SVILUPPO DEL PROCESSO SUPPURATIVO: una peritonite acuta circoscritta si può sviluppare in due modi: 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti esordisce come una PAG nella quale la reazione peritoneale circostante provoca un netto incremento della attività plastica omentale per cui il processo permane circoscritto a livello: ◦ sopramesocolico. ◦ Sottomesocolico. • Esordisce direttamente come una peritonite circoscritta, per esempio in un paziente che presenti una alterazione peritoneale già presente: ◦ un pregresso episodio di peritonite. ◦ Un pregresso intervento chirurgico. • Si sviluppa per una diffusione linfoematica, si tratta di un caso rarissimo. Anche in queste peritoniti LA DINAMICA DEI FLUIDI PUÒ RISULTARE COMPROMESSA. CLASSIFICAZIONE DELLE PERITONITI ACUTE CIRCOSCRITTE: anche le peritoniti circoscritte possono essere classificate come: • primitive dovute a: ◦ perforazione di un viscere nel cavo peritoneale o in sede già circoscritta da aderenze. ◦ Propagazione per contiguità di infezione in sede intraperitoneale. • Secondarie legate invece a: ◦ complicanze di irritazioni o infezioni localizzate come avviene in caso di: ▪ ematomi. ▪ Deiscenze anastomotiche che possono dare fenomeni circoscritti. ◦ Manovre invasive diagnostiche o terapeutiche: ▪ endoscopie digestive. ▪ Agobiopsie. ▪ Clismi. ▪ drenaggi percutanei: un tipico esempo è l'autosfilamento di un catetere utilizzato per la colangiografia, la perforazione iatrogena che ne consegue può provocare: • peritonite acuta generalizzata. • Formazione di tipo circoscritto, anche se in misura meno frequente. ▪ Revisioni uterine, per esempio raschiamenti. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI GENERALI: complessivamente ci possiamo aspettare di trovare alterazioni importanti delle strutture addominali: • PARETE della raccolta composta generalmente di: ◦ omento. ◦ Peritoneo parietale. ◦ Visceri contigui. Uniti e commisti tra loro per la presenza di una flogosi peritoneale; la sede del processo MUTA MOLTO L'APPROCCIO TERAPEUTICO: ◦ in sede sopramesocolica potremo eventualmente eseguire un drenaggio semplice. ◦ In sede sottomesocolica l'intervento chirurgico in laparotomia sarà indispensabile. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti La parete immediatamente adiacente il processo suppurativo sarà composta di: ◦ cellule della serie bianca e fibroblasti. ◦ Tessuto reattivo e sclerotico. • CAVITÀ che potrà essere: ◦ unica. ◦ Pluriconcamerata. In caso di cavità concamerate sarà essenziale andare a valutare a eventuale necessità di eseguire dei singoli drenaggi. ASPETTI CLINICI GENERALI: sicuramente anche in questo caso registreremo una sintomatologia: • GENERALE caratterizzata da: ◦ febbre suppurativa. ◦ Tachicardia. • LOCALE generalmente caratterizzata da un ILEO DINAMICO O MECCANICO, a seconda della causa della patologia, questi sintomi sono dipendenti dalla localizzazione del processo: ◦ nel distretto sovramesocolico l'ileo sarà meno importante. ◦ Nel distretto sottomesocolico l'ileo sarà molto più importante. Distinguiamo quindi dal punto di vista clinico: • ASCESSI SOTTOFRENICI o sovramesocolici. • ASCESSI SOTTOMESOCOLICI che a loro volta essere classificati in tre grandi categorie: ◦ MESOCELIACI che si collocano nel mesogastrio. ◦ PARIETOCOLICI cioè nelle due docce parietocoliche, i due collettori laterali. ◦ PELVICI, detti anche perlviperitoniti. Se individuati e trattati questi ascessi non danno grossi problemi, ma se questo non avviene possono evolvere a: • peritonite acuta generalizzata. • Fistolizzazione in: ◦ cavo pleurico. ◦ viscere cavo: questo avviene soprattutto nelle pelviperitoniti che possono fistolizzare in sede peritoneale. • Sepsi, shock settico e sepsi severa eventualmente. SPECIFICHE TIPOLOGIE DI ASCESSO PERITONEALE: gli ascessi peritoneali possono essere classificati anzitutto in tre grandi categorie: • SOVRAMESOCOLICI O ASCESSI SOTTOFRENICI compresi tra mesocolon transverso e diaframma; dal punto di vista anatomico possono interessare diverse sedi che si collocano in tale regione anatomica: ◦ sovraepatico: ▪ destro. ▪ Sinistro o della loggia splenica. ◦ Sottoepatico: 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti ▪ destro, che si colloca tra fegato e mesocolon transverso. ▪ Sinistro, che si colloca anteriormente al piccolo omento e allo stomaco. ◦ Della retrocavità degli epiploon che si colloca tra la faccia anteriore del pancreas e quella posteriore dello stomaco. Comunica con la restante parte del cavo peritoneale tramite il forame di Wilson. Gli ascessi sovraepatici e sottoepatici sono spesso in comunicazione tra loro e dal punto di vista clinico, come vedremo, raramente l'interessamento è relativo ad una sola sede o è ben delimitabile. • SOTTOMESOCOLICI classificabili in: ◦ ASCESSI PELVICI. ◦ ASCESSI MESOCELIACI. ◦ ASCESSI DELLE DOCCE PARIETOCOLICHE. GLI ASCESSI SOTTOFRENICI: gli ascessi sottofrenici dal punto di vista clinico possono presentarsi in tre forme distinte fondamentalmente: • ASCESSO SOTTOEPATICO DESTRO, questo ascesso risulta meglio identificabile in: ◦ sottoepatico destro anteroinferiore. ◦ Sottoeaptico destro posterosuperiore. • ASCESSO PERIEPATICO SINISTRO che interessa gli spazi sovra e sotto epatico sinistri. • ASCESSO DELLA RETROCAVITÀ DEGLI EPIPLOON. FISIOPATOLOGIA: dal punto di vista fisiopatologico le raccolte che si formano in sede sottofrenica sono legate a processi di riassorbimento fisiologicamente presenti nel peritoneo e garantiti dalla presenza di pressioni negative presenti a livello della regione sottofrenica stessa. Tali raccolte si formano quindi nel momento in cui venga ad essere contaminato il cavo peritoneale per qualsiasi motivo; fisiopatologicamente si parla quindi di: • ASCESSO SOTTOFRENICO IN CORSO DI PAG dove le raccolte non sono state adeguatamente drenate. • ASCESSO SOTTOFRENICO PRIMITIVO associato a: ◦ perforazione di ulcera peptica. ◦ Appendiciti sottoepatiche. ◦ Empiema della colecisti: si formano delle cavità uniloculari o multiloculari in cui la parete è rappresentata da OMENTO, FEGATO E COLECISTI. ◦ Ascessi epatici. ◦ Perforazione dei diverticoli del colon o neoplasie. • ASCESSO SOTTOFRENICO SECONDARIO associato a complicanze chirurgiche di interventi relativi a: ◦ chirurgia gastrica. ◦ Chirurgia del pancreas. ◦ Chirurgia delle vie biliari. ASPETTI CLINICI: 18


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti anche in questo caso riconosciamo analogamente a quanto detto per la sintomatologia generale: • quadro clinico generale sovrapponibile a quello di una qualsiasi raccolta purulenta. • Quadro clinico locale associato a: ◦ alvo generalmente aperto a feci e gas. ◦ Singhiozzo, primo segno di irritazione del nervo frenico conseguente alla infiammazione del peritoneo sottodiaframmatico. ◦ Vomito ed eruttazioni: generalmente dovuto all'accumulo di pus nella retrocavità degli epiploon che infiamma lo stomaco o ne altera la funzione. • Esame obiettivo che risulta spesso non diagnostico, si possono registrare: ◦ talora una resistenza localizzata se l'ascesso è in sede sottoepatica, in sede sovraepatica non è naturalmente percepibile. ◦ Si possono percepire dei riscontri toracici di un ascesso sottofrenico sovraepatico, la pleura si irrita e risponde con una essudazione liquida importante: ▪ si parla di VERSAMENTO PLEURICO REATTIVO che può permanere un semplice trasudato o divenire un essudato e dare vita ad un empiema vero e proprio. ▪ Si possono percepire riduzioni del murmure vescicolare. La diagnosi può essere: • clinica con le limitazioni sopra osservate. • Laboratoristica: gli indici di infiammazione sono elevati. • Ecografia: non essendo presente un ileo paralitico diffuso, i livelli idroaerei delle anse non inficiano la visualizzazione di raccolte o la eventuale patologia di origine. • TC con mezzo di contrasto. • RX del torace. Dal punto di vista terapeutico le possibilità sono due: • intervento chirurgico diretto con accesso transperitoneale o extraperitoneale. • Drenaggio della raccolta tramite tecniche radiologiche: ◦ drenaggio eco guidato. ◦ Drenaggio TC guidato. Per questa seconda procedura è indispensabile prestare attenzione alla presenza di raccolte multiloculate potenzialmente difficili da individuare e drenare completamente. ASCESSI PELVICI: si tratta di raccolte di pus nel cavo del Douglas, recesso in assoluto più caudale del cavo peritoneale. Dal punto di vista fisiopatologico riconosciamo come cause possibili: • PAG che si traduce in un ascesso pelvico. • Ascesso pelvico secondario a: ◦ flogosi ad origine endopelvica: ▪ ginecologica, soprattutto salpingiti e miometriti. ▪ Appendiciti pelviche. ▪ Diverticoli complicati. ◦ Post operatoria, si tratta di fenomeni di deiscenza di anastomosi colorettali basse. 19


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti Se non trattati questi ascessi possono: • diffondersi verso le regioni superiori del peritoneo. • Farsi strada verso zone di minor resistenza come un viscere cavo, per esempio la vagina o il retto. • Formare delle fistole. ASPETTI CLINICI: i sintomi sono associati a: • generazione di un ileo segmentario che : ◦ nelle prime fasi, irritative, si manifesta con una diarrea. ◦ Nelle fasi successive può simulare una occlusione intestinale. • Irritazione degli organi vicini alla raccolta: ◦ tenesmo rettale, cioè stimolazione alla defecazione ma impossibilità di eseguirla completamente. ◦ Disuria e pollacchiuria che possono essere confuse con una cistite. All'esame obiettivo registriamo: • un addome trattabile e privo di obiettività, si possono nei pazienti magri osservare delle asimmetrie legate alla presenza di un ileo segmentario. • Esplorazione rettale o vaginale che può far emergere: ◦ dolore, soprattutto alla stimolazione del cavo del Douglas. ◦ Sensazione di pastosità, cioè fluttuazione, in corrispondenza della raccolta. DIAGNOSI: la diagnosi si avvale di metodiche quali: • ecografia transvaginale o transrettale. • TC. TERAPIA: in questo caso si esegue un drenaggio o svuotamento della raccolta sotto guida TC o ECO, prestando sempre estrema attenzione alla possibilità che vi siano delle raccolte pluriconcamerate. ASCESSI MESOCELIACI: si tratta di ascessi rari localizzati tra le anse del tenue, dal punto di vista fisiopatologico possono derivare da: • appendicite acuta con localizzazione mesoceliaca. • Complicanze di una malattia infiammatoria cronica come il morbo di Chron. • Perforazione di un diverticolo di Meckel. • Complicanze di un intervento chirurgico. ASPETTI CLINICI: sicuramente possiamo riconoscere dei sintomi importanti quali: • dolore. • Febbre. Che sono comunque piuttosto generici, anche all'esame obiettivo i segni rilevabili possono non essere particolarmente utili: • distensione addominale minima, spesso non percepibile, legata sia alla raccolta sia alla 20


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 1: le peritoniti paralisi di ansa. • Zona di resistenza e pastosità, eventualmente si registra una zona di difesa circoscritta. • Alla palpazione profonda diviene percepibile un piastrone. • Timpanismo ileocolico aumentato. • Peristalsi ridotta. La diagnosi può essere eseguita tramite: • RX dell'addome, utile se è presente una concomitante perforazione. • TC. TERAPIA: la terapia in questo caso è solo chirurgica, non sono possibili drenaggi superficiali con aspirazione, la presenza delle anse del tenue rende la raccolta troppo distribuita e di difficile accesso. OBIETTIVI GENERICI DELLA TERAPIA DELLE PAC: gli obiettivi in generale, a prescidere dalla sede della raccolta, sono: • drenaggio della raccolta ascessuale. • Eliminazione del focolaio primitivo della infezione. • Somministrazione di una terapia antibiotica finalizzata a prevenire le complicanze a distanza della infezione.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale

ISCHEMIA INTESTINALE l'insufficienza vascolare celiaco mesenterica si può manifestare in diverse forme dal punto di vista clinico, tuttavia in termini pratici si tratta sempre di un'ALTERAZIONE DELLA CIRCOLAZIONE ARTERIOSA E VENOSA DELL'INTESTINO TENUE O CRASSO che può presentarsi: • acuta e parliamo di infarto. • Cronica e parliamo di ischemia. Non è una patologia frequente: rappresenta circa il 2% della PATOLOGIA ACUTA ADDOMINALE, nel suo complesso,riconoscerla è tuttavia molto importante in quanto presenta una prognosi severa. Il quadro incrementerà in gravità in termini di incidenza a causa dell'incremento dei livelli di ateroscelrosi.

L'INFARTO INTESTINALE:

la conseguenza più pericolosa dell'infarto intestinale resta la possibile evoluzione a necrosi di parete, tale necrosi può essere più o meno estesa in funzione: • del segmento di vaso che viene interessato dalla occlusione. • dalla tempestività della diagnosi. • dalla possibilità o meno che si possano creare circoli collaterali in grado di vicariare la cessazione del flusso ematico. I meccanismi fisiopatologici in grado di causare un infarto intestinale sono fondamentalmente due: • UNA OCCLUSIONE DEL VASO: una vera e propria ostruzione del vaso che interessi il versante arterioso o venoso, generalmente viene maggiormente interessato il versante arterioso. • DEFICIT DI FLUSSO SU BASE FUNZIONALE, in assenza di una stenosi o occlusione di un vaso, una ischemizzazione acuta si può avere in caso di deficit di flusso: ◦ deficit di pompa cardiaca legato ad infarto del miocardio soprattutto: spesso si verifica un danno di parete ma questo risulta poco evidente a causa del preponderante quadro legato all'infarto. ◦ Fase di compenso dello shock ipovolemico che potrebbe condizionare la emersione un infarto intestinale a causa della vasocostrizione splancnica. ◦ Insufficienza cardiaca congestizia a bassa portata. ◦ Azione iatrogena associata a farmaci che possono agire sulla circolazione splancnica, per esempio delle amine biogene somministrate nel trattamento di uno scompenso di uno shock ipovolemico. ◦ Intossicazioni da cocaina: si tratta di casi rari di vasospasmo intestinale secondario alla assunzione di cocaina, complessivamente generalmente non è tanto il quadro clinico, quanto il tipo di paziente a indurre un sospetto clinico. PATOGENESI: nella stragrande maggioranza dei casi gli infarti intestinali sono legati ad una occlusione a livello ARTERIOSO, quindi come nella arteriopatia degli arti inferiori, su base trombotica o 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale embolica, tali quadri patologici possono essere gravati da elevata morbidità e mortalità: si tratta di pazienti generalmente anziani che spesso hanno subito altri accidenti vascolari e non solo e che possono risultare, come conseguenza, immunodepressi. In linea generale ricordiamo che: • la malattia è embolica o trombotica circa nel 50­70% dei casi. • Forme non occlusive a basso flusso accontano circa per il 20­50% dei casi. • Le forme unicamente venose sono rare, circa il 15% dei casi. • Altre cause possibili sono compressione estrinseca, traumi e dissecazione aortica. Dal punto di vista della incidenza non si tratta di patologie molto diffuse: rappresentano la causa di 1 ogni 1000 ricoveri ospedalieri. OSTRUZIONI ARTERIOSE E VENOSE: come accennato le occlusioni possono essere venose o arteriose, a seconda della loro natura, presenteranno poi uno specifica causa differente: • OCCLUSIONE ARTERIOSA: ◦ EMBOLIA, tra le possibili cause ricordiamo: ▪ fibrillazione atriale che può essere misconosciuta a causa del grave quadro di ischemia che si viene a creare, bisogna prestare massima attenzione alla terapia anticoagulante cui il paziente è sottoposto molto spesso. ▪ Endocarditi capaci di provocare emboli settici. ▪ Lesioni valvolari. ▪ Infarto del miocardio che generalmente è più rilevante nel quadro clinico e può distogliere la attenzione da una possibile ischemia intestinale. ▪ Miocarditi. ◦ TROMBOSI, tra le cause in questo caso troviamo sicuramente: ▪ aterosclerosi, causa principale. ▪ Arteriti. ▪ Lupus eritematoso sistemico e artrite reumatoide. ▪ Aneurisma dissecante della aorta toraco­addominale. Il quadro clinico può essere quindi estremamente variabile da caso a caso, in ogni modo ricordiamo che pazienti sottoposti ad un trattamento immunosoppressivo, per esempio se malati di lupus eritematoso sistemico, possono andare incontro a sovrainfezioni o simili. • OCCLUSIONE VENOSA che può interessare grossi tronchi di drenaggio quali: ◦ Vena porta. ◦ Vena mesenterica superiore. ◦ Vena mesenterica inferiore. Sia per quanto concerne il ramo principale sia per quanto concerne rami di entità inferiore. Complessivamente possiamo distinguere diverse cause di occlusione venosa: ◦ CAUSE EMATOLOGICHE, ovviamente una trombosi venosa può essere causata da una qualsiasi alterazione di uno degli elementi della triade di Wirchov, tuttavia la causa principale sono sicuramente i fenomeni di IPERCOAGULABILITÀ legati a deficit di: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale ▪ Antitrombina III. ▪ Proteina S. ▪ Proteina C. ▪ Fattore V leiden. Non essendo analizzati routinariamente, questi elementi possono non essere identificati anche per lungo tempo, di conseguenza un controllo specifico, in caso di ischemia intestinale ad eziologia non chiara, va sempre eseguito. ◦ FLEBOTROMBOSI TRONCULARI o DISCENDENTI che possono accompagnarsi a fenomeni di: ▪ trombosi portale. ▪ cirrosi epatica. ▪ Splenomegalia cronica. ◦ FLEBOTROMBOSI RADICOLARI o ASCENDENTI, si verificano in caso di: ▪ peritoniti, appendicite acuta, diverticolite. ▪ Traumi chirurgici, soprattutto dopo una splenectomia. ANATOMIA E ORGANIZZAZIONE DELLA VASCOLARIZZAZIONE MESENTERICA: la vascolarizzazione intestinale è configurata dal punto di vista fisiologico e anatomopatologico in modo molto particolare, si compone infatti di tre grossi rami arteriosi: • tripode celiaco composto di: ◦ arteria gastrica inferiore. ◦ Arteria epatica comune. ◦ Arteria splenica o lineale. • arteria mesenterica superiore, che irrora un territorio pari al 70% della matassa intestinale, interessa: ◦ tutto l'intestino tenue. ◦ L'intestino creasso fino a metà del colon trasverso. • Arteria mesenterica inferiore che irrora il territorio restante: ◦ tutto il colon sinistro a partire da metà del colon transverso. ◦ Retto e ano. Dal punto di vista fisiopatologico ricordiamo quindi che: • La arteria mesenterica superiore è sicuramente maggiormente passibile di danno. • Le trombosi del tronco celiaco sono molto rare: possono esserne causa eventualmente deficit coagulativi soprattutto in donne giovani che fanno uso di anticoncezionali. I tre distretti sono tra loro anastomizzati in modo molto importante tramite la presenza di circoli di collegamento specifici quali: • ARCATA DI RIOBRANCO che collega tra loro: ◦ tripode celiaco. ◦ arteria mesenterica superiore. • ARCATA DI RIOLANDO che collega tra loro: ◦ arteria mesenterica superiore. ◦ Arteria mesenterica inferiore. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale Sicuramente rispetto a questo complesso sistema di irrorazione esistono dei punti anatomicamente dotati di maggiore sensibilità quali: • griffith. • Sudec. • Segmento critico di Reiner come vedremo. sono punti dotati di angolatura elevata dove una riduzione del flusso può essere difficile da gestire.

Arterie mesenterica superiore, a sinistra, e inferiore, a destra:

in verde il segmento critico di Reiner.

In giallo il punto critico di Griffith.

In rosso il punto critico di Sudeck.

ASPETTI FISIOPATOLOGICI: distinguiamo complessivamente due tipi di compromissione vascolare acuta: • INFARTO OSTRUTTIVO: ◦ INFARTO ARTERIOSO; normalmente il flusso vascolare intestinale aumenta nelle fasi immediatamente post prandiali, si possono registrare: ▪ a digiuno un flusso ematico corrispondente al 20% del totale. ▪ In fase post prandiale il flusso ematico aumenta fino a raggiungere il 30% del 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale totale. Al fine di garantire una adeguata perfusione costante a livello dei visceri addominali, sono attivi diversi meccanismi di AUTOREGOLAZIONE DEL FLUSSO E DELLA PRESSIONE di perfusione. Possiamo dire che la pressione di perfusione media dovrebbe essere superiore ai 70mmHg: ▪ se scende sotto i 70mmHg, cominciano a verificarsi i primi segni di ipoperfusione. ▪ Giunti a 40­50mmHg si cominciano a registrare veri e propri danni organici: • inizialmente a livello di mucosa e sottomucosa a causa di alterazioni degli enterociti stessi. • Con il tempo a livello di tutta la parete intestinale. L'effetto del calo di pressione locale di perfusione dipende complessivamente da: ▪ sede dell'ostacolo. ▪ presenza di circoli collaterali. Il punto in assoluto più sensibile a questo proposito è il SEGMENTO CRITICO DI REINER, si tratta del tratto della arteria mesenterica superiore da cui originano: ▪ arteria ileocolica. ▪ Arteria colica destra. ▪ Arteria colica media. In caso di occlusione del flusso ematico a livello di tale segmento, risulta CONDIZIONATA TUTTA LA VASCOLARIZZAZIONE DAL TENUE FINO A METÀ DEL COLON TRASVERSO. In caso di deficit vascolare a livello della arteria mesenterica inferiore, allora risulterà interessato anche tutto il colon sinistro. ◦ INFARTO VENOSO; in caso di infarto venoso l'ansa va incontro ad un processo di ipertensione INTRAMURALE; quando la pressione diviene superiore a quella tollerabile a livello del microcircolo locale, si registra un fenomeno di questo tipo: ▪ anzitutto la compromissione del versante venoso provoca un deficit di flusso. ▪ Tardivamente si genera un deficit arterioso da ostacolo al flusso che, naturalmente, genera un deficit misto complessivo. • INFARTO NON OSTRUTTIVO; che interessa il versante arterioso, provoca: ◦ un decremento della pressione di perfusione. ◦ Un conseguente spasmo arteriolare. In questo caso, al contrario di quanto avviene nell'infarto ostruttivo, è sufficiente somministrare degli antispastici per ottenere un risultato terapeutico. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: anche dal punto di vista anatomopatologico distinguiamo infarto venoso e infarto arterioso. INFARTO ARTERIOSO: il danno ischemico si estrinseca sempre e comunque a partire DALLO STRATO PIÙ ESTERNO VERSO QUELLO PIÙ INTERNO, il danno si sviluppa quindi in questo modo: • ISCHEMIA MUCOSA: si verificano delle alterazioni regressive della mucosa seguite da alterazioni della funzione di barriera intestinale: ◦ perdita della funzione di assorbimento. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale ◦ Perdita della funzione di barriera con potenziale rischio di traslocazione batterica. In questa fase registriamo il cosiddetto “addome acuto senza addome acuto” c'è cioè dolore, ma non c'è contrattura di difesa. Cronologicamente il danno si sviluppa repentinamente: ◦ immediatamente si registra una iniziale contrattura della muscolatura liscia della parete con conseguente IPERPERISTALTISMO, si possono avere: ▪ dolore di tipo crampiforme. ▪ Rari casi di diarrea. ◦ Dopo 10­20 minuti inizia il vero e propri danno danno endoteliale, capillare ed enterocitario. ◦ Dopo 3 ore viene meno la produzione di muco e quindi si perde la funzione protettiva della mucosa. • ISCHEMIA DI MUCOSA, SOTTOMUCOSA E MUSCOLARE: il danno non è ancora transmurale e l'addome permane trattabile. • DANNO TRANSMURALE COMPLETO che si realizza dopo 6 ore ed è accompagnato da evidente lisi cellulare, salgono quindi i valori di: ◦ CPK. ◦ Fosfati. ◦ LDH. Si sviluppa un addome acuto chiaramente e le alterazioni della permeabilità della mucosa divengono tanto evidenti che le traslocazioni batteriche possono provocare una peritonite con conseguente SIRS ed eventualmente sepsi e shock settico. STADIAZIONE ANATOMOCLINICA DELLA ISCHEMIA INTESTINALE: sulla base del processo di evoluzione del danno alla parete intestinale, si riconoscono tre stadi dal punto di vista anatomopatologico: • STADIO I o COLITE TRANSITORIA, in questa fase ansa e mucosa saranno pallide, avremo eventualmente un danno enterocitario e una vasodilatazione legata a meccanismi di compenso periferici. In questa fase l'ischemia è completamente reversibile: la disostruzione del vaso risolve completamente il problema. • STADIO II o INFARTO COLICO, con il tempo si sviluppa una ischemia sottomucosa, osserveremo quindi: ◦ dilatazione e congestione del lume. ◦ Ulcere sottomucose. ◦ Petecchie. In questa fase la rivascolarizzazione può non essere sufficiente e i residui cicatriziali possono dare delle forme di stenosi. • STADIO III o GANGRENA, a questo punto il danno è transmurale, in caso di perforazione si svilupperà ovviamente una peritonite. INFARTO VENOSO: in caso di infarto venoso, l'aspetto della mucosa sarà completamente differente: • inizialmente avremo un infarcimento emorragico: i vasi risulteranno pieni di sangue, l'ansa rossa e tumefatta. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale A livello del meso risulta conservato per un certo periodo di tempo un flusso ematico sufficiente. • In caso di mancato intervento, la patolgia evolve a forma MISTA e si sviluppa ovviamente un effetto GANGRENA. ASPETTI CLINICI: viste le forti differenze fisiopatologiche e anatomopatologiche delle forme di ostruzione arteriosa e venosa, anche i quadri clinici saranno, almeno per alcuni aspetti, differenti: • INFARTO ARTERIOSO ci aspettiamo di trovare: ◦ dei pazienti anziani, vasculopatici, spesso con patologie arteriose degli arti inferiori. ◦ Spesso insorge un dolore: ▪ improvviso. ▪ Continuo e vivo. ▪ Senza remissioni. ▪ Diffuso. ▪ Ingravescente. ◦ Vomito. ◦ Diarrea, la diarrea viene descritta abbastanza spesso e frequentemente è una DIARREA MUCOSANGUINOLENTA dovuta a: ▪ irritazione della muscolatura liscia. ▪ danno ischemico che può divenire effettivamente emorragico. Si manifesta nel 25­30% dei casi. ◦ Chiusura dell'alvo e distensione dell'addome. ◦ Paziente soffrente: a discapito di un quadro addominale che può essere non dirimente, il paziente risulta estremamente sofferente. ◦ La temperatura può essere incrementata ma generalmente in modo poco importante, il polso è piccolo e frequente. LO SVILUPPO DEL DANNO NEL TEMPO: ◦ 1­3 ore: ▪ le lesioni ischemiche sono assenti o irrilevanti. ▪ Dolore addominale, vomito, diarrea e iperperistalsi sono caratteristici. ▪ L'esame obiettivo dell'addome da poche informazioni. ◦ 24 ore: si parla di fase paralitica. In questo caso: ▪ Le lesioni risultano anatomopatologicamente rilevanti ma: • spesso ancora LIMITATE ALLA MUCOSA. • In alcuni casi TRANSMURALI MA DI LIEVE ENTITÀ. ▪ Dolore addominale. ▪ Alvo chiuso. ▪ Addome trattabile. ▪ Paralisi d'ansa assente. ◦ Dopo un certo periodo di tempo si sviluppa una vera e propria fase PERITONITICA, caratterizzata da: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale ▪ lesioni ischemiche diffuse e non reversibili. ▪ Peritonite. ▪ Shock. • INFARTO VENOSO, caratterizzato da: ◦ instaurazione lenta e progressiva. ◦ Comparsa di una distensione addominale accompagnata ad ileo. ◦ Nausea e vomito eventualmente. In alcuni casi si possono avere anche delle ipertensioni portali con l'evoluzione di un quadro di tipo ascitico. DIAGNOSI: la diagnosi, come accennato in precedenza, può non essere affatto agevole, si può ricorrere a: • anamnesi. • Esame obiettivo, che risulta relativamente poco utile. • Esami di laboratorio che evidenziano: ◦ LEUCOCITOSI NEUTROFILA, estremamente altra, oltre i 30­35.000 bianchi: tali valori non vengono mai raggiunti in corso di una appendicite acuta o ascesso diverticolare. ◦ FOSFOREMIA: esame non disponibile in tutti i laboratori, è un prodotto della degradazione cellulare, generalmente viene riassorbito a livello portale epatico, ma se molto importante può effettivamente generare una vera e propria fosforemia. ◦ ACIDOSI METABOLICA che documenta il viraggio metabolico caratteristico delle condizioni di ischemizzazione. ◦ CPK e LDH, altri indici di sofferenza cellulare. • LE INDAGINI RADIOLOGICHE AIUTANO RELATIVAMENTE POCO, tuttavia si possono eseguire: ◦ diretta addome, può evidenziare un ileo paralitico ma è poco utile. ◦ Angio TC, evidenzia: ▪ anche senza mezzo di contrasto lo stato di riempimento dei vasi. ▪ In presenza di mezzo di contrasto evidenzia la presenza di una vera e propria ischemia. Prima di eseguire una angio TC è fondamentale valutare che il paziente non presenti segni di insufficienza renale. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: in alcuni casi può essere presente un quadro di insufficiente vascolarizzazione in caso di IMA, shock ipovolemico o condizioni simili, tali situazioni possono essere molto difficili da identificare effettivamente. Complessivamente si procede grazie al seguente ALGORITMO DIAGNOSTICO: • vanno esclusi immediatamente: ◦ Occlusione. ◦ Peritonite. ◦ Infezione intraddominale. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale Vanno valutati i fattori di rischio. Vanno valutati con attenzione: ◦ esami ematochimici. ◦ Enzimi di citolisi. ◦ Rialzo dei globuli bianchi. TERAPIA: le modalità di terapia e soprattutto il loro successo dipendono dalla precocità con cui viene fatta diagnosi, complessivamente: • per cause di tipo NON OSTRUTTIVO, bisogna incrementare il flusso a livello dell'ansa utilizzando dei VASODILATATORI: non sempre questo approccio ha successo e sovente sono presenti condizioni di alterazione vascolare più complesse che inducono la necessità di eseguire altri interventi. • dal punto di vista chirurgico: ◦ l'intervento ideale è sempre quello di rivascolarizzazione diretta: ▪ in caso di EMBOLIA si esegue immediatamente una embolectomia tramite catetere di Fogarty. ▪ in caso di TROMBOSI l'approccio può essere più difficoltoso, potrebbero essere necessari interventi di vario tipo come: • tromboendoarterectomia, anche se risulta difficoltosa su vasi danneggiati. • Bypass. La decisione relativa al tipo di intervento dipende molto anche dal tipo di paziente che si ha davanti. ◦ Se l'intervento risulta tardivo, sarà necessaria una resezione d'ansa, un tempo semplicemente veniva eseguita una anastomosi diretta dopo la resezione, ad oggi, essendo alto il rischio di ischemie residue, si opera in modo differente: ▪ Second look; si esegue un taglio con suturatrice meccanica e si lasciano i due monconi liberi: • se i due monconi sono sani, vengono semplicemente ricuciti insieme. • se i due monconi o uno dei due risulta ischemico, si esegue un ulteriore taglio e quindi si cuce. ▪ Massima attenzione va posta alla possibilità, in caso di resezioni eccessive, di provocare una sindrome da intestino corto. • INFARTO VENOSO: in caso di infarto venoso generalmente il paziente non viene portato in sala, il decorso è più tranquillo e si valuta la situazione sia clinicamente sia tramite una angio TC che consente di valutare direttamente la vascolarizzazione di parete. Questi pazienti sono trattati: ◦ immediatamente con EPARINA. ◦ La terapia eparinica viene quindi sostituita con ANTICOAGULANTI ORALI somministrati per un periodo di almeno 6 mesi. SINDROME DA INTESTINO CORTO: la asportazione di un tratto di intestino eccessivamente lungo può provocare una serie di sintomi molto difficili da gestire e inquadrabili nella sindrome da intestino corto, nello • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale specifico ricordiamo che: • il transito è molto accelerato a causa di una riduzione della superficie di assorbimento. • Si registrano praticamente sempre: ◦ diarrea. ◦ Perdita di peso. • Questa sindrome si registra: ◦ generalmente a seguito di importanti resezioni, tipi quadri sono: ▪ resezioni secondarie a morbo di Chron nell'adulto. ▪ Enterocoliti necrotizzanti che possono nel bambino provocare la necessità di eseguire degli interventi demolitivi importanti. ◦ Raramente può risultare visibile anche nella enterite post attinica: la radioterapia può essere impostata come trattamento adiuvante di una neoplasia chirurgica, soprattutto nel basso retto o nell'utero. La terapia è naturalmente più mirata il possibile, ma è possibile si verifichino: ▪ prima una sindrome irritativa, una enterite. ▪ Quindi con il tempo un quadro di malassorbimento se la patologia è molto estesa. Dal punto di vista chirurgico si parla di SINDROME DA INTESTINO CORTO quando L'ENTITÀ DELLA RESEZIONE PORTA AD UNA RIDUZIONE DELLA LUNGHEZZA DEL TENUE SOTTO I 200cm, l'effetto clinico dipende poi anche dal tipo di segmento che viene ad essere reciso. Ricordiamo infatti che: • Complessivamente l'intestino è in grado di vicariare in maniera molto buona alla resezione, sicuramente: ◦ si registra una iniziale ipertrofia dei villi già dopo 48 ore. ◦ Aumenta la attività di mediatori umorali ad azione spesso locale: ▪ gastrina. ▪ Epidermal growth factor. ▪ Prostaglandine. che stimolano il trofismo della mucosa e ne incrementano la attività. • La resezioni di alcuni tratti di intestino risulta particolarmente deleteria per il paziente: ◦ la resezione anche di un tratto inferiore a 100cm di tenue e parte di colon costringe il paziente alla NUTRIZIONE PARENTERALE TOTALE. ◦ La resezione di 50cm di TENUE, COLON E VALVOLA ILEOCECALE la nutrizione ENTERALE SARÀ COMUNQUE POSSIBILE. • È importante ricordare inoltre che la rimozione di specifici segmenti di intestino può portare alla perdita di specifiche funzioni che vanno vicariate dall'esterno: ◦ una resezione del DIGIUNO induce la perdita dell'assorbimento di: ▪ ferro. ▪ Folati. ▪ Calcio. La rimozione dell'intero digiuno è un evenienza molto rara nelle patologie 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale ischemiche: generalmente anche la interruzione della vascolarizzazione a livello del segmento critico di Reiner interessa il digiuno a partire dalla seconda ansa. ◦ Eliminando buona parte dell'ILEO sicuramente può risultare inficiato l'assorbimento di: ▪ vitamina B12. ▪ Sali biliari. ◦ Se viene rimossa LA VALVOLA ILEOCECALE l'effetto è duplice: ▪ può essere rimossa una barriera funzionale essenziale contro la risalita di batteri dal tenue al colon e la loro virulentazione. ▪ Viene incrementata la velocità del transito. Con lo sviluppo di una sindrome da intestino corto il paziente potrà sviluppare chiaramente: • segni clinici più o meno evidenti quali: ◦ riduzione dell'assorbimento. ◦ Diarrea dovuta alla perdita di liquido ed elettroliti fino eventualmente alla disionia. L'obiettivo terapeutico è quello naturalmente di bilanciare la condizione di malassorbimento tramite una nutrizione adegauta, dove sia possibile una nutrizione ENTERALE è sempre da preferire ad una PARENTERALE TOTALE. • La terapia consiste quindi in: ◦ iniziale bilancio delle perdite e riequilibrio elettrolitico. ◦ Nutrizione enterale fintanto che questa risulta possibile. ◦ Incremento del numero delle fibre. ◦ Riduzione dell'apporto di carboidrati finalizzato a ridurre l'accumulo osmotico di liquidi nel tubo gastorenterico. ◦ Tra i lipidi la scelta ricade sui TRIGLICERIDI A CATENA CORTA: sono sicuramente i lipidi più semplici da digerire ed assorbire. ◦ Se il paziente è giovane e può giovare di tale terapia, si può pensare ad un TRAPIANTO DI INTESTINO, a volte molto efficace.

COLITE ISCHEMICA ACUTA:

ove il quadro ischemico si prolunghi molto nel tempo, si potrà sviluppare UNA COLITE ISCHEMICA ACUTA caratterizzata dall'interessamento degli strati più interni della parete intestinale che non risulta in ogni caso transmurale. Le cause possibili sono: • aterosclerosi con placche più o meno critiche in termini di occlusione. • Condizioni a basso flusso dovute a riduzione della gittata cardiaca. • Vasculiti che interessino vasi di medio e piccolo calibro. • Iatrogena: in caso di chirurgia di un aneurisma dell'aorta addominale, la vascolarizzazione intestinale può risultare strutturalmente molto alterata. Complessivamente: ◦ viene interrotta molto spesso la vascolarizzazione della arteria mesenterica inferiore. ◦ Si innescano dei fattori emodinamici legati alla presenza delle arcate di Riobranco e Riolando che possono dare dei fenomeni di furto di sangue. ◦ L'area interessata dalla privazione di flusso va incontro ad ischemia. 11


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale Tali eventi si verificano in meno del 10% dei casi di intervento per aneurisma della Aorta addominale, nei casi più gravi si possono avere fenomeni di necrosi della mucosa e della muscolare. ASPETTI CLINICI: si possono registrare: • dolore più o meno intenso, generalmente di tipo crampiforme ai quadranti soprattutto sinistri interessati dalla ischemizzazione a causa della compromissione molto spesso del segmento critico di Reiter. • Diarrea spesso mista a sangue rosso scuro, cioè colorragia. • Febbre modesta, nausea e vomito. La patologia può evolvere e complicarsi se non viene compensata dall'organismo o se non viene trattata: • dolore diffuso. • Difesa addominale in caso di perforazione, evento in ogni caso piuttosto raro, meno del 10% dei casi. DIAGNOSI: la diagnosi può essere difficoltosa se non vi è un sospetto clinico, sicuramente aiutano molto: • EMOCROMO che dimostra una importante leucocitosi. • ACIDOSI METABOLICA. • RX diretta addome. • ENDOSCOPIA che dimostra la presenza di: ◦ un edema della mucosa. ◦ Un arrossamento con ansa rosso scuro. ◦ Ispessimento d'ansa. ◦ Formazione di ulcere superficiali. TERAPIA: la terapia può essere: • MEDICA, si procede con: ◦ fluidoterapia. ◦ Terapia antibiotica per endovena, essenziale ad evitare le complicanze infettive. Il follow up endoscopico è in ogni caso fondamentale per valutare il successo dell'approccio terapeutico. • CHIRURGICA, le indicazioni sono: ◦ gangrena, soprattutto nelle primissime fasi. ◦ Mancata risposta alla terapia medica, definita tale dopo 15 giorni dall'inizio della stessa. ◦ Stenosi ed occlusione, eventi che si verificano per la cicatrizzazione della parete dopo circa 6­7 settimane.

INSUFFICIENZA CRONICA DEL TRATTO MESENTERICO:

si tratta di una riduzione cronica del flusso splancnico, quadro di insufficienza funzionale durante le fasi di maggiore richiesta di sangue, si tratta di una patologia ad evoluzione cronica 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale che colpisce principalmente i maschi sopra i 60­70 anni, spesso fumatori e panvasculopatici. EZIOLOGIA: anche in questo caso le cause possono essere fondamentalmente: • placca ateromasica di dimensioni consistenti, almeno 1­2 cm in presenza di una compromissione globale della circolazione mesenterica. • Dissezioni di arterie viscerali. • Morbo di Buerger. • Artrite reumatoide e Lupus. ASPETTI CLINICI: perché una condizione di ischemia del tratto gastroenterico si manifesti attivamente la ostruzione deve essere sufficientemente significativa da determinare una ischemia reversibile nei periodi di massima richiesta, generalmente ricordiamo che: • in fase post prandiale il flusso ematico al tratto gastroenterico sale dal 20 al 30%, durante tali fasi una ischemia provvisoria può manifestarsi a carico di: ◦ mucosa del tenue. ◦ Pancreas. • Un fenomeno di iperemia si può manifestare normalmente dopo 30­90 minuti dal pasto, ma può perdurare anche per 4­6 ore. • Se la pressione di perfusione scende sotto i 70­60 mmHg, la condizione può divenire molto grave. Dal punto di vista clinico distinguiamo tre forme di insufficienza cronica del tratto mesenterico: 1. FORME ASINTOMATICHE come si verifica nella maggior parte dei casi. 2. SINDROME DA MALASSORBIMENTO INTESTINALE legata a ipovascolarizzazione. 3. STENOSI INTESTINALI DI ORIGINE ISCHEMICA, determinata dal rimarginarsi continuo di lesioni a carattere ischemico. I sintomi sono solitamente: • ANGINA ABDOMINIS, si tratta di: ◦ un dolore addominale: ▪ crampiforme in sede epimesogastrica. ▪ Ad insorgenza circa 15­30 minuti dopo il pasto. ▪ A risoluzione progressiva nelle ore successive, generalmente in 1­3 ore. Tale dolore è naturalmente molto più importante quando il paziente assume pasti abbondanti, mentre meno importante in caso di pasti più leggeri. ◦ Tale dolore non recede con antispastici ma con vasodilatatori: il paziente molto spesso presenta una terapia con trinitrina per alleviare sintomi cardiaci anginosi, questi farmaci, assunti dal paziente i modo indipendente, spesso ritardano la diagnosi. • CALO PONDERALE: il paziente si rende conto che mangiando molto il dolore si manifesta più facilmente, tendono a diminuire l'entità dei pasti, spesso per questo dimagriscono. • DIARREA che si associa spesso a malassorbimento. 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 2: ischemia intestinale DIAGNOSI: la diagnosi di insufficienza arteriosa del circolo mesenterico si basa su: • ANAMENSI abbastanza suggestiva se ben raccolta. • ASPETTI CLINICI, sicuramente i sintomi all'ingresso in ospedale, eventualmente all'esame obiettivo, se il paziente è magro, si può individuare un soffio epimesogastrico. • ESCLUSIONE DI ALTRE PATOLOGIE, vanno indagate sempre altre possibilità tramite: ◦ EDGS. ◦ TC dell'addome. • DIAGNOSTICA PER IMMAGINI, possono essere utili: ◦ ecocolordoppler, funzionale a valutare l'integrità dell'albero vascolare. ◦ Angio TC. ◦ Angiografia: l'angiografia sicuramente è il metodo diagnostico più sicuro in quanto consente una visualizzazione diretta dell'albero arterioso. INDICAZIONI PER LA TERAPIA CHIRURGICA: la terapia chirurgia non è sempre indicata in questi pazienti e l'approccio è generalmente medico, tuttavia un intervento chirurgico può essere eseguito in caso di quadri conclamati ed evidenti; gli approcci possono essere: • bypass aortomesenterico. • Endoarterectomia. • Angioplastica percutanea.

SINDROME DA COMPRESSIONE ESTRINSECA DEL TRONCO CELIACO:

si tratta di una insufficienza vascolare mediata da compressione ab estrinseco di strutture arteriose facenti parte del tronco celiaco, complessivamente le possibilità sono due: • FIBRE DEL LEGAMENTO ARCUATO MEDIANO DEL DIAFRAMMA in fase di contrazione tendono a comprimere l'origine di tali arterie. • COMPRESSIONE DA PARTE DEL GANGLIO CELIACO, come avviene nel 50% dei casi. il quadro clinico è differente da quello visto in precedenza per fenomeni ischemici a carattere prevalentemente degenerativo, il paziente è infatti molto differente: • giovane, generalmente tra i 40 e i 50 anni di età. • In due casi su tre si tratta di una donna. • Spesso il dolore è postprandiale ed epimesogastrico, persistente: ◦ si accompagna a diarrea e vomito. ◦ Spesso la paziente, come avviene per la insufficienza celiaco mesenterica, riduce il volume e l'entità dei pasti e va incontro ad un calo ponderale significativo. Ricordiamo che: • la diagnosi generalmente si fa per esclusione e viene eventualmente confermata dalla ANGIOGRAFIA che dimostra la presenza di una lesione isolata stenosante del tripode celiaco. • La terapia prevede la sezione del legamento.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon

DIVERTICOLI DEL COLON i diverticoli del colon sono una patologia frequentissima nel nostro paese e nella popolazione adulta di numerosi paesi del mondo. Un diverticolo è una estroflessione più o meno importante emergente dalla parete di un organo cavo, complessivamente distinguiamo: • DIVERTICOLI FALSI cioè estroflessioni della mucosa e della sottomucosa di un organo cavo attraverso la tonaca muscolare. Il diverticolo falso è una condizione acquisita ACQUISITA ed è composto quindi di: ◦ mucosa. ◦ Sottomucosa. ◦ Sierosa. Le poche fibre muscolari che residuano in periferia si collocano nel colletto della struttura del diverticolo. • DIVERTICOLI VERI, si tratta di estroflessioni che interessano tutta la parete e che coinvolgono quindi: ◦ mucosa. ◦ Sottomucosa. ◦ Tonaca muscolare. ◦ Sierosa. I diverticoli soprattutto falsi si possono formare in qualunque sede dell'intestino: • esofago nel 25% dei casi. • stomaco nel 5% dei casi. • duodeno nel 40% dei casi. • tenue nel 2­5% dei casi. questi possono poi essere definiti diverticoli VERI o FALSI A SECONDA DEI CASI E SOPRATTUTTO DELLA LOCALIZZAZIONE.

IL DIVERTICOLO DI MECKEL:

si tratta di un residuo onfalo mesenterico che si localizza in un segmento ben definito del tenue, in particolare: • tra 45 e 120cm dalla valvola ileocecale, generalmente si trova a 60 cm dalla valvola. • Residua dalla mancata o incompleta chiusura del dotto onfalomesenterico: ◦ in alcuni casi si presenta nella sua forma COMPLETA e un legamento fibroso lo associa alla parte interna dell'ombelico. ◦ In buona parte dei casi troviamo il solo diverticolo, una estroflessione vera della mucosa anche piuttosto voluminosa. • È un diverticolo vero, composto di tutte le strutture della parete intestinale.

Diverticolo di Meckel

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon Si accompagna ad eterotopie tissutali di varia natura: ◦ gastrica. ◦ Pancreatica. ◦ Endometriale. Molto spesso la patologia intestinale si manifesta con un sanguinamento importante dovuto sovente a queste eterotopie. In età infantile rappresenta la prima causa di emorragia gastrointestinale. MANIFESTAZIONI CLINICHE: molte volte si tratta di un rilievo casuale in corso di altri interventi addominali, per esempio una appendicectomia: molto spesso in sala operatoria si esegue una esplorazione degli ultimi 120 cm di tenue alla ricerca del diverticolo di Meckel, se non da problemi e sembra non possa essere in futuro, per la sua struttura, foriero di complicazioni, viene lasciato in sede. COMPLICANZE: relativamente comuni, si tratta di: • EMORRAGIA frequente soprattutto in età pediatrica come accennato, generalmente a sanguinare è la mucosa gastrica eterotopica stessa che, soggetta ai normali stimoli dovuti alla acidità prodotta, può andare incontro alla formazione di un'ulcera. L'emorragia si manifesta come una vera e propria ENTERORAGIA che può essere anche importante. In questi casi si esegue generalmente una SEZIONE DEL DIVERTICOLO e DELLE ANSE VICINE, prestando attenzione alle sindromi da intestino corto. • OCCLUSIONE generalmente dovuta a fenomeni di invaginazione. • FLOGOSI che si associa generalmente ad algie IMPORTANTI: il pericolo, come accennato, è quello di confondere una flogosi diverticolare con una appendicite. • PERFORAZIONE INTESTINALE che può essere: ◦ arginata se la soluzione di continuo è piccola e circoscritta: si forma in questo caso un ascesso mesoceliaco generalmente. ◦ Se non arginata a causa delle dimensioni della perforazione si forma una peritonite acuta. • ERNIA DI LITTRÈ, cioè ernia contenente il diverticolo di Meckel, può presentarsi come: ◦ ombelicale. ◦ Inguinale. ◦ Crurale. • rarissime sono le NEOPLASIE BENIGNE O MALIGNE che coinvolgono il diverticolo. DIAGNOSI: il diverticolo di meckel si può studiare tramite diverse tecniche, ricordiamo: • PASTO BARITATO difficile da interpretare, raramente da risultati sufficientemente buoni. • ENTERO TC. • ENTERO RMN. • SCINTIGRAFIA CON GLOBULI ROSSI MARCATI che dimostra la presenza di un accumulo di radioattività nella presunta sede del sanguinamento. Potrebbe essere orientativo ma il sanguinamento deve essere sufficientemente voluminoso. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon •

ESPLORAZIONE DIRETTA CON VIDEOCAPSULA, nonostante il principio di funzionamento sia ottimale, difficilmente si ottengono risultati probanti.

I DIVERTICOLI DEL COLON:

si tratta, come accennato, di una delle affezioni più comuni nei paesi industrializzati, complessivamente presentano: • un incidenza di per se stessa elevata che si presenta: ◦ in aumento. ◦ In rapporto con l'invecchiamento. • È una patologia: ◦ della VI­VIII DECADE, ma viene sempre più spesso diagnosticata anche nella V decade. ◦ Può evolvere o complicarsi a malattia diverticolare. • In ordine di frequenza si manifesta a livello di: ◦ sigma, come avviene nel 65% dei casi. ◦ Colon discendente. ◦ Colon ascendente. ◦ Cieco. Portandosi quindi dalla regione più caudale dell'intestino verso quella più craniale, l'incidenza scende progressivamente. È importante in ogni caso ricordare il fatto che In Giappone la distribuzione di queste lesioni è inversa: ◦ è molto più comune nei primi tratti del tenue. ◦ Sono generalmente polipi congeniti e veri. Un aspetto fondamentale da prendere in considerazione è il fatto che la formazione dei diverticoli dipende dalla presenza delle TENIE COLI, si tratta di ispessimenti strutturali della tonaca muscolare che possono andare incontro a processi di cedimento o accompagnare la formazione di diverticoli: tali TENIE SONO RAPPRESENTATE IN NUMERO DI TRE O DI DUE LUNGO TUTTO IL CRASSO FINO AL RETTO SUPERIORE, di conseguenza i diverticoli si possono formare unicamente fino al limite inferiore o eventualmente alla parte superiore del retto. Diverticoli del sigma.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon FATTORI EZIOLOGICI: i fattori eziologici evocati per giustificare la formazione dei diverticoli sono numerosi: • MODIFICAZIONI DIETETICHE, una dieta povera di fibre si caratterizza per: ◦ ridotta massa fecale e massa dotata di maggiore consistenza. ◦ maggiore transito intestinale, soprattutto in caso di oligocolon: si tratta di una forma di colon dritto e corto nel quale il transito è più rapido. ◦ maggiore deterioramento meccanico delle fibre della parete colica. • CONDIZIONI AMBIENTALI che possono sfavorire la normale attività intestinale, nello specifico: ◦ stress emotivi. ◦ Soppressione volontaria dello stimolo. ◦ Vita sedentaria. • RIDUZIONE DELLA RESISTENZA DELLA PARETE che può essere dovuta a: ◦ sindromi congenite del collagene come la sindrome di marfan. ◦ Sindromi acquisite come la involuzione senile cioè la perdita di tessuto elastico necessario a garantire la integrità della parete. LE CONTRAZIONI PER ISTALTICHE E IL LORO RUOLO NELLA FORMAZIONE DEI DIVERTICOLI: le contrazioni peristaltiche possono essere suddivise in due categorie: • PROPULSIVE che consentono la progressione del materiale fecale fino alla ampolla rettale. • SEGMENTARIE che si associano invece ad una contrazione di tipo CIRCONFERENZIALE E SEGMENTARIA, sono capaci cioè di dare forme di SEGMENTAZIONE DEL MATERIALE FECALE. Il meccanismo di funzionamento è il seguente: ◦ si crea una camera di peristalsi all'interno della quale la pressione, per la contrazione della muscolatura liscia, aumenta. ◦ Si aprono alternativamente, e mai contemporaneamente, la parte superiore e inferiore della camera. ◦ Il materiale fecale passa quindi alternativamente verso la parte superiore e verso la parte inferiore del tratto intestinale. In questo modo il materiale contenuto viene rimescolato. In nessun caso è previsto che entrambi i segmenti, superiore o inferiore, siano aperti o chiusi in contemporanea. Nel momento in cui la peristalsi di tipo segmentario risulti alterata e IL FLUSSO VERSO L'ALTO O VERSO IL BASSO DEL MATERIALE SIA INFICIATO, allora si creerà una CAMERA AD ALTA PRESSIONE nella quale: • Incrementa la pressione basale e si riduce lo svuotamento delle austrature. • Incrementa la pressione endoluminale e si sviluppa una progressiva ipertrofia della tonaca muscolare e delle tenie ad essa associate. A livello del SIGMA IL LUME È PIÙ STRETTO, risulta quindi FAVORITO LO SVILUPPO DI TALE ALTERAZIONE della motilità che non è sufficiente a generare il diverticolo in ogni caso, ma in presenza di fattori predisponenti quali: • ridotta massa fecale e rallentamento del transito. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon Ulteriore riduzione del lume o alterazione della parete per processi cicatriziali o di invecchiamento. • Aumento della pressione endoaddominale. • aumento della segmentazione colica. Si verifica un CEDIMENTO DELLA PARETE INTESTINALE soprattutto nei punti di minore resistenza, cioè in corrispondenza dei vasi retti nella parete intestinale E QUINDI LA FORMAZIONE DI DIVERTICOLI. ANATOMIA PATOLOGICA: dal punto di vista anatomopatologico il diverticolo colico falso si caratterizza per: • un primo strato mucoso. • Un secondo strato sieroso. • Un esile strato muscolare in corrispondenza del colletto. Per quanto riguarda la sua localizzazione GENERALMENTE SI TROVA, come accennato, TRA LA TENIA MESENTERICA E LA TENIA ANTIMESENTERICA: • non rappresentano mai lo sfondamento diretto di una tenia dove la muscolatura è più spessa. • sono in stretto rapporto con i vasi intramurali, tanto che si formano in corrispondenza degli stessi. • Le tenie sono in ogni caso, vista la presenza di una alterazione della segmentazione, ispessite ed accorciate. A livello microscopico anche in un quadro asintomatico si possono ritrovare segni di flogosi. CLINICA: dal punto di vista clinico si possono definire: • DIVERTICOLOSI cioè la presenza di diverticoli del colon, si tratta di una condizione asintomatica individuata per caso. • MALATTIA DIVERTICOLARE LIEVE spesso nominata: ◦ colon irritabile. ◦ Stato prediverticolare. Presentano una certa importanza clinica, si manifestano in pazienti con: ◦ predisposizione individuale. ◦ Dieta povera di fibre ◦ stimoli psicogeni. In questi casi si rinvengono una serie di stimoli condizioni infiammatorie lievi associate probabilmente a fattori non identificabili completamente. • MALATTIA DIVERTICOLARE CONCLAMATA o DIVERTICOLITE che si può manifestare come: ◦ diverticolite acuta. ◦ diverticolite recidivante. In questo caso oltre che istologica, la flogosi è sistemica o comunque sintomatica e dovuta a: ◦ presenza nel diverticolo e di un coprolita che ristagna all'interno provocando un danno di tipo meccanico. •

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◦ Fenomeni di microperforazione: non si tratta di una complicanza vera e propria, ma di piccole fissurazioni legate a danni di tipo ischemico dati dal decubito del coprolita sul fondo del diverticolo. La perforazione è documentabile istologicamente ma permane un processo flogistico localizzato, non si sviluppa una peritonite né acuta né generalizzata. DIVERTICOLITE COMPLICATA caratterizzata cioè da vere e proprie complicanze, si tratta di complicanze: ◦ ACUTE come: ▪ ASCESSO SECONDARIO generalmente ad una microperforazione accompagnata da peridiverticolite con formazione di una raccolta colliquata spesso contenuta nel mesentere e fortemente limitata. Una serie di condizioni concomitanti può poi indurre lo sviluppo di una peritonite acuta generalizzata, per esempio: • la perforazione del mesentere. • La formazione di aderenze. • Il mancato tamponamento dal parte dell'omento. Generalmente la flogosi è circoscritta. ▪ PERFORAZIONE: si tratta di una perforazione vera e propria in cavità libera con conseguente peritonite acuta. Tale peritonite può svilupparsi: • come una peritonite generalizzata stercoracea. • Come un quadro circoscritto con conseguente formazione di un ascesso diverticolare. La perforazione può avvenire: • spontaneamente. • Per intervento iatrogeno eventualmente cioè in caso di utilizzo di un clisma liberatorio. ▪ OCCLUSIONE che si verifica nel 25% dei casi: • sono pazienti che presentano episodi recidivanti di diverticolite nei quali si è venuto a creare un ispessimento della parte del colon molto importante che interessi tutte le tonache, a questo punto anche un piccolissimo ostacolo, anche dei semplici semi di pomodoro, può provocare la completa occlusione del lume. • A seguito dello sviluppo di una peritonite, generalizzata ma anche localizzata, si possono avere dei fenomeni di tipo paralitico. ▪ EMORRAGIA che si verifica nell'11­25% dei casi: si tratta di una patologia molto frequente in caso di malattia diverticolare associata a terapia anticoagulante non controllata adeguatamente, si manifesta come una COLORAGGIA che non sarà tanto importante da dare uno shock ipovolemico, ma sicuramente darà delle potenziali anemizzazioni. CLASSIFICAZIONE DELLA MALATTIA DIVERTICOLARE COMPLICATA SECONDO HICHEY: ▪ STADIO I o ascesso mesocolico, si tratta di un ascesso sottoepatico. ▪ STADIO II ascesso pericolico o pelvico circoscritto. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon ▪ STADIO III peritonite acuta diffusa purulenta. ▪ STADIO IV peritonite acuta diffusa stercoracea. ◦ CRONICHE le complicanze croniche possono essere infatti: ▪ STENOSI INFIAMMATORIE, non si tratta di una patologia della mucosa ma di un effetto fibrotico della flogosi che a lungo termine genera una serie di modificazioni quali: • ispessimento della parete. • restringimento ab estrinseco. • angolature, che spesso possono inficiare la possibilità di eseguire esami di natura endoscopica, infatti: ◦ l'esame diviene doloroso. ◦ Aumenta molto il rischio di perforazione. Generalmente si verifica nella parte terminale del sigma. • In un paziente non obeso potremmo reperire una tumefazione palpabile, sarà una tumefazione: ◦ oblunga che ripercorre la topografia del colon e si fissa sui piani profondi. ◦ mobile sui piani superficiali. ◦ Generalmente NON DOLENTE: non ci sono fenomeni di flogosi attiva o reazioni di tipo peritoneale. La sintomatologia sarà quella di una subocclusione con potenziale perforazione diastasica cecale. L'occlusione intestinale potrà essere: • reversibile. • Irreversibile. ▪ EMORRAGIE RECIDIVANTI che generalmente si autolimitano ma possono essere molto frequenti: • non daranno praticamente mai una disfunzione elettrolitica o disionie importanti, ne condurranno ad uno shock. • Potrebbero condurre ad emorragie recidivanti e continue, abbastanza importanti da portare ad anemizzazioni. ▪ FISTOLE 2­8% dei casi, si tratta di una evenienza relativamente rara, nel caso specifico la fistola viene a crearsi: • con la vescica, si tratta dell'evenienza più frequente, 50­65% dei casi. • Con la vagina soprattutto nelle donne isterectomizzate, si verifica nel 10­25% dei casi: si tratta di fistole eterologhe, tutto dipenderà dalla contaminazione del liquido intestinale commisto con il fluido naturale presente nella vagina o nella vescica. • corpo uterino: si tratta di fistole estremamente rare visto lo spessore del miometrio. • ileo, la fistola potrebbe essere silente, si tratta infatti di una fistola omologa. • Uretere. 7


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Cute, molto rare.

QUADRO CLINICO:

il quadro clinico varia sulla base della gravità della malattia: • MALATTIA DIVERTICOLARE LIEVE, si tratta di una alterazione di tipo FUNZIONALE, non riconosciamo particolari caratteristiche cliniche: ◦ sicuramente sono presenti delle alterazioni di tipo contrattile della muscolatura intestinale. ◦ Sicuramente sono presenti delle MINIME ALTERAZIONI ANATOMICHE come: ▪ lieve edema parietale. ▪ Ipertrofia muscolare secondaria. la alterazione è di tipo funzione e giustifica un quadro di alterazione estremamente modesto, PREVALENTEMENTE: ◦ UNA ALTERAZIONE STIPTICA DELL'ALVO, sicuramente la più comune. ◦ Possibili scariche diarroiche in alcune ore della giornata. ◦ Modesta sintomatologia di tipo crampiforme in fossa iliaca destra in caso di dolicosigma, la proiezione potrebbe portarsi a livello del MESOGASTRIO O DELL'IPOGASTRIO, non va sottovalutata. • MALATTIA DIVERTICOLARE CONCLAMATA, cioè una vera e propria FLOGOSI ACUTA causata da MICROPERFORAZIONI, la flogosi è in questo caso: ◦ intramurale, a tutto spessore. ◦ Periviscerale o peridiverticolare. Dal punto di vista sintomatologico il paziente presenterà un quadro SIMILE A QUELLO DI UNA APPENDICITE ACUTA MA LOCALIZZATA AI QUADRANTI DI SINISTRA QUINDI: ◦ dolore in fossa iliaca sinistra o proiettato all'ipogastrio. ◦ Febbre. ◦ Reazione di difesa peritoneale. All'esame obiettivo l'addome sarà mobile, ma registreremo un dolore spontaneo e provocato in fossa iliaca destra ed eventualmente una vera e propria reazione di difesa localizzata. Queste manifestazioni si potranno accompagnare a: ◦ alterazione dell'alvo chiuso ma non in modo assoluto. ◦ Leucocitosi e indici di flogosi elevati. In questo caso le ALTERAZIONI ANATOMICHE IRREVERSIBILI e di natura CICATRIZIALE, la microperfoazione infatti induce evento di flogosi ripetuta che possono evolvere a: ◦ fibrosi. ◦ Tumori di tipo infiammatorio. • MALATTIA DIVERTICOLARE COMPLICATA dove la sintomatologia varia con il variare del tipo di complicazione considerata, nello specifico possiamo avere: ◦ PERFORAZIONE: ▪ dolore acuto. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon ▪ Difesa addominale. ▪ Peritonite acuta generalizzata DA PERFORAZIONE. L'evento potrà insorgere per esempio: ▪ in maniera spontanea, ▪ in caso di clismi di pulizia che possono essere effettuati per risolvere la coprostasi. ◦ FISTOLE che si potranno manifestare con: ▪ aria e materiale maleodorante in vagina. ▪ cisti recidivanti, pneumaturia, fecaluria ed altre forme di irritazione come stranguria e altro. ▪ urinoculture positive, espressione iniziale della formazione di fistole conclamate. Il quadro va individuato e trattato più precocemente il possibile. ◦ EMORRAGIA, si possono registrare: ▪ delle vere e proprie COLORAGGIE, sanguinamenti della mucosa colica con: • sangue rosso vivo. • Quantità più o meno discreta ma mai di entità tale da provocare uno shock. ▪ Delle semplici anemizzazioni. Come accennato sono condizioni di tipo autolimitante. STORIA NATURALE DELLA MALATTIA: la presenza di diverticoli è un reperto estremamente comune, a partire dai 60 anni in poi il 70­ 80% della popolazione ne risulta affetta, generalmente si tratta di fattori degenerativi, non associati ad alcuna condizione patologica o sintomatologia. Dal punto di vista della storia naturale quindi: • il 75% dei casi risultano ASINTOMATICI comprendendo in questo insieme anche pazienti affetti da colon irritabile, spesso definito come STATO PREDIVERTICOLARE. • Il 25% dei casi si presenta invece SINTOMATICO e presenta una malattia diverticolare COMPLICATA, questa può presentarsi al primo episodio come: ◦ DIVERTICOLITE come avviene nel 50% dei casi, di questi pazienti: ▪ 1/3 va incontro: • ad un secondo episodio di diverticolite che potrà essere seguito poi da una complicanza. • Ad una complicanza vera e propria al secondo episodio. ▪ 1/3 va incontro ad una modesta sintomatologia senza conseguenze. ▪ 1/3 evolve ad una condizione a sintomatologia estremamente limitata. ◦ ASCESSO E PERFORAZIONE come si verifica nel 25% dei casi. ◦ EMORRAGIA come si verifica nel restante 25% dei casi. DIAGNOSI: dal punto di vista pratico la diagnosi può essere condotta tramite: • ANAMNESI ED ESAME OBIETTIVO che aiutano molto ad identificare il quadro clinico, tuttavia: ◦ nella forma lieve non si individua nessuna particolare lesione. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon ◦ Nella forma complicata spesso la presentazione clinica è urgente. • INDAGINI STRUMENTALI come: ◦ DIRETTA ADDOME sempre eseguita per eliminare il dubbio relativo alla presenza di altre patologie o per inquadrare il paziente. ◦ CLISMA OPACO estremamente utile al fine di controllare lo stato del tratto gastroenterico: in presenza di angolature o restringimenti un clisma opaco può visualizzare aree che endoscopicamente sono irraggiungibili. ◦ PANCOLONSCOPIA sicuramente si tratta dell'esame ideale, consente infatti: ▪ di escludere la presenza di altre malattie. ▪ Di valutare l'entità della malattia e la sua distribuzione. Si tratta di un esame che tuttavia: ▪ NON VA FATTO in caso di DIVERTICOLITE ACUTA durante la quale c'è un ragionevole rischio di provocare perforazioni, va eseguita dopo 30 giorni dalla risoluzione clinica della malattia. ▪ VA SEMPRE FATTA in caso di complicanza emorragica e in assenza ovviamente di perforazione: • si esegue in caso di emorragia colorettale. • Si valuta prima di procedere l'assetto dell'emocromo che può essere scompensato. • Trattandosi spesso di pazienti scoagulati, va sempre valutato l'INR che può essere estremamente alto. Nei rari casi in cui la patologia non si autolimita e troviamo un vaso beante all'interno del colon, è estremamente utile la colonscopia. ◦ TC, esame utilizzatissimo per la diagnostica addominale, complessivamente consente di inquadrare: ▪ dolore ipogastrico. ▪ Alterazioni viscerali di diversa natura. Consente nel caso specifico della malattia diverticolare: ▪ in fase acuta di definire l'entità della flogosi e il quadro di ispessimento parietale di edema e fibrosi. ▪ presenza di un ascesso, quindi una situazione di malattia diverticolare hichey I o II. ▪ Evoluzione del processo infiammatorio. ▪ Dal punto di vista operativo consente anche IL DRENAGGIO DELL'ASCESSO SOTTO GUIDA TC: il successo di tale operazione e la sua fattibilità sono chiaramente legate alla posizione dell'ascesso. ◦ CISTOSCOPIA E CISTOGRAFIA che consentono di valutare la presenza di tramiti fistolosi. VALUTAZIONE DELLA GRAVITÀ DELL'EMORRAGIA: nel complesso la valutazione dell'emorragia può essere condotta tramite: • Esplorazione rettale. • colonscopia che può essere estremamente utile ma in presenza di una coloraggia 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon irraggiungibile per esempio a causa di angolature, non consente di visualizzare nulla. ANGIO­TC che consente di evidenziare la presenza di uno stravaso tramite il mezzo di contrasto. • In caso di EMORRAGIA IMPORTANTE, evenienza abbastanza rara, potremmo documentarne la portata tramite SCINTIGRAFIA MESENTERICA: ◦ la portata deve essere di almeno 0,5ml/min. ◦ L'intervento, se non eseguibile tramite colonscopia, viene condotto tramite embolizzazione. • ANGIOGRAFIA MESENTERICA che può essere rapidamente convertita in OPERATIVA e consentire la eliminazione dell'emorragia direttamente. • CLISMA OPACO. INDICAZIONI TERAPEUTICHE: dal punto di vista chirurgico ricordiamo che: • NELLA DIVERTICOLOSI non si interviene chirurgicamente, si impostano: ◦ terapia medica. ◦ Misure igieniche come per esempio una dieta ricca di scorie ed un adeguato apporto finalizzate a: ▪ aumentare la massa fecale. ▪ Ridurre la segmentazione. Tra frutta, crusca e simili andrebbero assunti almeno 15g di fibre al giorno. • MALATTIA DIVERTICOLARE CONCLAMATA dove l'intervento varia a seconda dell''età del paziente, in generale si somministrano: ◦ antibiotici per ridurre la flogosi in atto, la riduzione della flogosi intestinale è estremamente utile dal punto di vista clinico, di conseguenza: ▪ viene eseguita nel paziente ospedalizzato. ▪ Non viene eseguita nel paziente che non necessita di tale intervento. ◦ Dieta nulla o liquida. ◦ Fluidoterapia. ◦ Mesalazina si tratta di un FANS AD AZIONE UNICAMENTE TOPICA GASTROINTESTINALE, riduce infiammazione ed edema. Con una terapia di questo tipo generalmente il quadro acuto si risolve nel giro di 4­5 giorni, una TC potrà eventualmente documentare la scomparsa del processo di flogosi. Le indicazioni variano poi a seconda della ricorrenza degli episodi, per episodi ricorrenti, in numero di 2­3 il rischio di complicanza aumenta, quando il rischio di perforazione o complicazione in generale diventa abbastanza alto, si procede alla resezione, preferibilmente per via laparoscopica. • MALATTIA DIVERTICOLARE COMPLICATA che necessita di un intervento chirurgico immediato generalmente. L'approccio chirurgico varia a seconda del grado di complicanza ovviamente: ◦ MALATTIA DIVERTICOLARE COMPLICATA ACUTA: ▪ HICHEY I­II, cioè la formazione di un ascesso in presenza di malattia diverticolare, si tratta della complicanza più frequente, si eseguono: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon terapia antibiotica endovena per evitare complicanze sistemiche della infezione ascessualizzata. • Intervento sull'ascesso che non è generalmente diretto: ◦ per prima cosa si esegue una pulizia dell'ascesso: ▪ Si punge l'ascesso generalmente sotto guida ECO o TC, spesso si tratta di un approccio difficoltoso a causa di: • ileo paralitico segmentario. • Presenza di una capsula che circonda l'ascesso. ▪ Si drena laparoscopicamente l'ascesso. Spesso l'intervento è difficoltoso. ◦ Una volta risolto il quadro acuto localizzato, si procede alla resezione della parte interessata dalla malattia. In alcuni casi se l'ascesso occupa una doccia parietocolica, il processo infiammatorio può non coinvolgere la parete e di conseguenza non dare segni di irritazione peritoneale. ▪ HICHEY III­IV, in questo caso si procede: • ad una resezione con anastomosi diretta dopo aver risolto il quadro peritonitico. • Ad una resezione secondo hartmann, si tratta di un intervento in due tempi reso necessario dalla presenza di: ◦ peritonite stercoracea. ◦ Compromissione generale del paziente. Che rendono impossibile l'esecuzione di una resezione­anastomosi in un solo tempo. ◦ Nella prima fase: ▪ si esegue una colectomia totale del sigma allargata alla porzione prossimale del retto. La resezione inferiore va eseguita con una suturatrice meccanica per via transanale di modo da avere la certezza di eseguire una resezione completa della regione a rischio di malattia diverticolare. ▪ Si confeziona una colostomia terminale in fossa iliaca sinistra. ▪ Affondamento del moncone rettale in sede retroperitoneale. In questo modo si elimina tutta la porzione colica coinvolta nella malattia diverticolare. ◦ Nella seconda fase, una volta raffreddatasi la condizione patologica intestinale, si procede con: ▪ rimobilizzazione dei monconi, cioè parte del retto e segmento componente la stomia. ▪ Riapertura degli stessi segmenti. Generalmente si esegue tale procedura dopo 6 mesi. ◦ MALATTIA DIVERTICOLARE COMPLICATA CRONICA: ▪ EMORRAGIE, come già sottolineato difficilmente grave, provoca una •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali 3: i diverticoli del colon anemizzazione la cui causa deve essere risolva. Clinicamente: • si mette a riposo l'intestino nel paziente ospedalizzato. • Si pone una diagnosi differenziale tra: ◦ cancro. ◦ Colite ischemica. ◦ Diverticoli. ◦ Altre condizioni che possano provocare una emorragia. • Si eseguono quindi: ◦ colonscopia diagnostica e operativa. ◦ Angiografia diagnostica e operativa. Un grosso rischio è rappresentato dal paziente scoagulato che presenta un INR particolarmente basso, in questi casi la terapia deve essere aggressiva. ▪ FISTOLE, ricordiamo che l'intervento è di indicazione assoluta per fistole: • con la vescica. • Con il cul di sacco vaginale che come accennato è comune nella donna isterectomizzata. Fortunatamente spesso la contaminazione non è eccessivamente estesa ed è sufficiente andare ad eseguire una resezione per poi suturare il tutto. Il mantenimento del catetere per visualizzare lo stato delle urine dopo l'intervento è consigliato per circa una decina di giorni.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee

PATOLOGIE FUNZIONALI DELL'ESOFAGO da un punto di vista puramente funzionale possiamo suddividere l'esofago in due grandi porzioni: • SFINTERIALE composto di: ◦ sfintere esofageo superiore che si colloca a 19cm dalla arcata dentale, si tratta di un complesso anatomico vero e proprio composto di muscoli e strutture fibrose associate. ◦ Sfintere esofageo inferiore, si tratta di una struttura UNICAMENTE FUNZIONALE dove vige cioè un regime di pressione incrementata. • NON SFINTERIALE che corrisponde a tutto il resto dell'esofago. L'esofago fa parte del tratto fondamentale del tubo digerente che veicola il bolo alimentare verso la prima vera sede di digestione, cioè lo stomaco, di fatto il suo ruolo rientra in un complesso ordinato di eventi di DEGLUTIZIONE, fenomeno suddiviso in tre fasi: • fase orale. • Fase faringea. • Fase esofagea. quindi, fisiologicamente con la masticazione si innesca una sequenza di deglutizione che prevede: • un movimento posteriore della lingua, che si porta verso il fondo del cavo orale. • Creazione di un gradiente di pressione tra la lingua e il primo tratto della faringe. • Innesco del rilassamento dello sfintere esofageo superiore, essenziale ad impedire che il materiale ingerito finisca nella via respriatoria: ◦ normalmente la pressione è molto elevata, va da 24 fino a 80mmHg. ◦ Durante la fase di deglutizione la pressione si abbassa fino ad arrivar a zero per UN SECONDO, il tempo sufficiente a far passare il bolo alimentare. LA PERISTALSI ESOFAGEA: la peristalsi esofagea è un fenomeno fondamentale per garantire un adeguato passaggio di materiale alimentare attraverso il tratto digerente, nel complesso si compone di: • ONDE DI PERISTALSI PRIMARIA O SINCRONE: si tratta di onde che: ◦ si propagano a tutto l'esofago in modo ordinato. ◦ Sono in grado di innescare la apertura dello sfintere esofageo inferiore: si tratta di uno sfintere dotato di: ▪ una pressione inferiore rispetto a quella dello sfintere esofageo superiore, circa di 10­30mmHg. ▪ Di lunghezza di 3­4 cm, come accennato non si tratta però di un'entità anatomica a se stante. Di modo da garantire il passaggio del bolo alimentare allo stomaco. • ONDE DI PERISTALSI SECONDARIA che si innescano solo se necessario al fine di INCREMENTARE LA PRESSIONE NECESSARIA A PORTARE IL MATERIALE CONTENUTO NELL'ESOFAGO VERSO LO STOMACO: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ sia in ambito fisiologico nel momento in cui del bolo alimentare non sia adeguatamente spinto verso il basso dalla contrazione esofagea. ◦ Sia nel momento in cui un reflusso gastroesofageo di tipo acido o basico (bilare) si porti all'esofago. Si tratta di onde che generano a livello dell'esofago medio. • PERISTALSI TERZIARIA o PATOLOGICA caratterizzata da onde non sincronizzate o incoordinate che inducono unicamente ODINOFAGIA. IL CARDIAS O GIUNTO ESOFAGO­GASTRICO. Il cardias è la regione di passaggio tra la struttura dell'esofago e quella dello stomaco, nel complesso: • Deve consentire l'agevole passaggio del bolo alimentare. • Deve impedire che si verifichi un reflusso gastroesofageo. • Deve consentire la eruttazione: uno dei rischi più importanti nel corso di un intervento finalizzato ad incrementare la pressione dello sfintere esofageo inferiore è quello di provocare una GAS BLOAT SYNDROME, una condizione piuttosto fastidiosa. • Deve consentire il vomito quando necessario. Vista la sua parziale permeabilità capiamo come il reflusso gastroesofageo sia una condizione parzialmente fisiologica, solo la sua frequenza e intensità lo rendono patologico. FATTORI DI CONTENIMENTO DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE: si parla di APPARATO ANTIREFLUSSO, si tratta di un vero e proprio sistema anatomico e funzionale finalizzato ad impedire che materiale di provenienza gastrica si porti all'esofago provocando eventualmente seri danni, nello specifico sono essenziali in questo sistema: • FATTORI INTRINSECI legati alla continenza dello sfintere stesso, IN REALTÀ DI PER SE STESSO È SUFFICIENTE QUESTO FATTORE PER MANTENERE LA TENUTA DELLO SFINTERE. • fattori estrinseci anatomici CHE CONSENTONO IL MANTENIMENTO IN SEDE DELLE STRUTTURE ANATOMICHE ANTIREFLUSSO, nello specifico ricordiamo: ◦ ANGOLO DI HIS o ANGOLO CARDIALE: si tratta dell'angolo che si colloca tra parete gastrica ed esofago, più si presenta acuto, più è stabile il complesso antireflusso. ◦ LAMINA PERITONEALE O DEL BERTELLI, che mantiene in sede il complesso gastroesofageo. ◦ LEGAMENTI FRENOESOFAGEI che si collocano in prossimità della linea Z che si colloca al confine tra la mucosa gastrica ed esofagea, particolarmente visibile vista la differenza tra le due mucose (la prima rossastra e lucida, la seconda rosea). Generalmente questa linea è regolare, ma potrebbe presentare delle alterazioni importanti come: ▪ fiammate di mucosa rossastra che salgono verso l'alto i modo più o meno importante, segno di esofago di Barrett. ▪ Soluzioni di continuo. ◦ PILASTRI DIAFRAMMATICI, si tratta di elementi fondamentali, i due pilastri del diaframma si legano alla struttura della colonna vertebrale per costituire una fionda che tiene in posizione la parte terminale dell'esofago rispetto a quella dello stomaco. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee Tanto più è ampia la zona tra i due pilastri, tanto più grave può essere una eventuale disfunzione dello jato. LA REGOLAZIONE DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE: normalmente l'azione si pressione esofagea è garantita dalla presenza di un tono muscolare riconducibile alle strutture muscolari circostanti, nello specifico però sono numerosi i fattori di regolazione che possono influire sulla attività di tale sfintere come: • FATTORI INIBITORI quali: ◦ secretina. ◦ Glucagone. ◦ Progesterone ed estrogeni che riducono il tono dello sfintere per esempio durante la gravidanza, assommando questo effetto da un aumento della pressione addominale legato alla presenza del fegato, otteniamo un effetto complessivo di incremetno del rischio di reflusso. ◦ Teofillina, caffeina e teobromina. ◦ Grassi. ◦ Nicotina. ◦ Etanolo. • INFLUENZE ECCITATORIE come: ◦ gastrina. ◦ Motilina. ◦ Proteine. ◦ Antiacidi. ◦ Metoclopramide.

DISCINESIE DEL CORPO ESOFAGEO:

si tratta di entità cliniche di riscontro recente, identificate con il progredire della peristalsi, nella maggioranza dei casi la eziopatogenesi è sconosciuta, si inquadrano in un contesto genetico di iperattività muscolare. Complessivamente: • possono accompagnarsi a problemi di motilità gastrica. • Possono interferire con la normale deglutizione e con la progressione del bolo alimentare nello stomaco. I disordini di motilità possono essere tra i più vari e diversi, ricordiamo sicuramente quelli più importanti e rilevanti clinicamente che possono essere: • SPECIFICI come; ◦ acalasia, sia nella sua forma classica che vigorosa. ◦ Spasmo esofageo diffuso. ◦ Esofago a schiaccianoci. si manifestano con dolore CRAMPIFORME che si pone subito in diagnosi differenziale con un dolore di tipo cardiaco, suggestivo soprattutto per pazienti con esofago a cavaturaccioli. • ASPECIFICI, generalmente rari, si tratta di: ◦ ipertensione dello sfintere esofageo inferiore. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ Peristalsi di ampiezza diminuita o assente. ◦ Aumento della durata delle contrazioni o PPCD (prolonger peristaltic contractile duration). Sono sicuramente malattie non frequenti, ma che in alcuni casi si possono vedere. Tali discinesie possono essere suddivise in sulla base della loro natura in: • ipercinesie. • Ipocinesie. • Acinesie. • Sfinteri con tono di base alterato o riflessi di coordinazione alterati. le discinesie del corpo esofageo possono essere: • primitive, come per esempio la acalasia. • Secondarie per esempio: ◦ ad un reflusso gastroesofogeo. ◦ Ad una malattia sistemica del connettivo come la sclerodermia. ◦ Ad una malattia neurogena cronica. Dal punto di vista funzionale distinguiamo quindi: • APERISTALSI IDIOPATICA O CHAGASICA CON ACALASIA DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE. • ACALASIA VIGOROSA. • SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO. • SCLERODERMIA. • DA INGESTIONE DI CAUSTICI • IN ASSOCIAZIONE A DIVERTICOLI DEL TERZO MEDIO O INFERIORE E DA OSTRUZIONE DISTALE. LA ACALASIA: un tempo definita macroesofago o cardiospasmo, un tempo veniva infatti vista come una malattia di origine cardiaca, la acalasia si caratterizza per: • una enorme dilatazione esofagea fino al MEGAESOFAGO. • Una APERISTALSI CON mancato comando di rilasciamento del LES DA PARTE DI UN CORPO ESOFAGEO APERISTALTICO. Nel complesso non si verifica la parte terminale del processo di deglutizione, epidemiologicamente ricordiamo che: • presenta una incidenza di 1:100.00 pazienti circa. • L'età media di insorgenza è tra 20 e 50 anni di età, si tratta quindi generalmente di una malattia dell'adulto anche se possono presentarsi anche nell'anziano, spesso l'acalasia viene confusa, vista la sua sintomatologia, con una patologia di tipo psichiatrico. CLASSIFICAZIONE: la acalasia si divide fondamentalmente in due grandi categorie: • CHAGASICA cioè secondaria alla malattia di Chagas, malattia causata dal tripanosoma cruzi agente infettivo che libera una tossina che ha un tropismo importante per la 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee muscolatura liscia di ogni organo tra cui anche il PLESSO MIOENTERICO. Generalmente il quadro tipico non è quello di una acalasia, ma di altri tipi di patologia, una patologia infettiva in particolare CARATTERIZZATA DA: ◦ malattia acuta febbrile. ◦ In un paziente pediatrico. ◦ Accompagnata da miocardiopatia. ◦ Accompagnata da sindrome da MEGAVISCERI, si registrano infatti spesso: ▪ megaesofago. ▪ Megacolon. ▪ Megaueretere. Ancora oggi si registra una mortalità intorno al 10%. • IDIOPATICA ad eziologia cioè ignota, come avviene tipicamente nell'adulto: ◦ interessa pazienti tra 20­60 anni. ◦ Colpisce il plesso mioenterico di Auerbach. Da studi di tipo autoptico sembra che la alterazione anatomopatologica interessi soprattutto LA ZONA CARDIALE DELL'ESOFAGO, LO SVILUPPO DELLA MALATTIA NEL TEMPO: la caratteristica principale della malattia è UN DEFICIT DI APERTURA DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE che non perde il suo tono durante la deglutizione: • la peristalsi primaria non ha funzionalità. • il corpo esofageo comincia a dilatarsi a causa dell'accumulo di materiale alimentare. • La dilatazione assume gradi via via maggiori. Le conseguenze a lungo termine sono: • la assenza di una progressione del bolo alimentare: ◦ nel lume ristagnano alimenti e saliva. ◦ Molto lentamente il paziente va incontro ad un bilancio nutritivo in deficit. ◦ Il paziente steso riduce la assunzione di alimenti. • L'esofago si dilata lentamente nel tempo fino ad assumere la dimensione per gradi: ◦ STADIO I con diametro alla RX fino a 4cm. ◦ STADIO II con diametro alla RX tra 4 e 6 cm. ◦ STADIO III con diametro alla RX superiore a 6cm, si parla di DOLICOMEGAESOFAGO vista la conformazione estremamente contorta che assume. Ricordiamo che l'approccio alla patologia cambia moltissimo a seconda dello stadio in cui ci si trova. ASPETTI CLINICI: sicuramente ricordiamo che: • i sintomi durano da uno a dieci anni. • Il sintomo che porta alla consultazione del medico è generalmente una DISFAGIA, legata al mancato proseguimento del bolo lungo la via alimentare, questa può presentarsi in forma di DISFAGIA PARADOSSA: ◦ il paziente assume materiale alimentare. 5


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◦ Questo si blocca dando una disfagia. ◦ Solo per gravità visto l'accumulo del materiale stesso, il passaggio attraverso il LES sarà possibile. genearalmente la disfagia è innescata da FENOMENI TRIGGER: ◦ alimenti trigger, caldi o freddi per esempio. ◦ situazioni di stress. Il paziente cerca di facilitare la progressione del bolo alimentare, mangia infatti molto lentamente, molto spesso aiutano a terminare il processo di deglutizione delle posizioni particolari tanto che spesso il tutto viene interpretato come un abitus psicologico. LA SINTOMATOLOGIA TENDE IN OGNI CASO AD EVOLVERE NEL TEMPO, distinguiamo infatti: ◦ UNA FASE PRODROMICA detta anche ACALASIA VIGOROSA durante la quale lo sfintere esofageo inferiore non è coordinato in termini di apertura rispetto alla peristalsi primaria e indurrà quindi una serie di contrazioni peristaltiche di tipo secondario particolarmente potenti, si avranno quindi: ▪ una FASE INIZIALE caratterizzata da attività contrattile molto intestina ma inefficace dal punto di vista funzionale composta fondamentalmente di ONDE TERZIARIE. ▪ Dilatazione esofagea OCCASIONALE. ▪ frequente DOLORE RETROSTERNALE. ▪ Eventuali forme di spasmo esofageo. ◦ UNA FASE INIZIALE caratterizzata da dolore che può essere: ▪ ODINOFAGIA in caso di acalasia alta. ▪ DOLORE RETROSTERNALE in caso di acalasia bassa. ◦ UNA FASE PIÙ TARDIVA durante la quale il materiale si accumula in modo importante fino alla FERMENTAZIONE E AL RIGURGITO accompagnato da alitosi, questo rigurgito si può presentare: ▪ modesto o abbondante. ▪ Generalmente non acido. ▪ Accompagnato da: • alitosi. • Polmoniti ab ingestis. ▪ Si manifesta con il SEGNO DEL CUSCINO BAGNATO, cioè mentre il paziente dorme in posizione di decubito laterale, emette del materiale che poi si trova sul cuscino al risveglio. ◦ NELLE FASI TARDIVE della malattia si registrano: ▪ Magrezza fino alla cachessia. ▪ Deficit nutrizionali. ▪ Anemia, evento raro e tardivo. ▪ Formazione di epiteliomi a livello esofageo, sono dovuti alla fermentazione di materiale tossico, molto pericoloso. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee DIAGNOSI: la diagnosi di acalasia è: • Clinica, non vanno sottovalutati i problemi che questo paziente presenta: ◦ problematiche legate alla assunzione del cibo. ◦ Dolore retrosternale. Possono far pensare ad un habitus psichiatrico o psicologico. • STRUMENTALE tramite l'uso di: ◦ ESOFAGOGRAMMA che prevede la assunzione per via orale di mezzo di contrasto, nello specifico: ▪ ACALASIA CLASSICA che dimostra la presenza di un esofago dilatato che si restringe verso il basso fino a formare una coda di TOPO. ▪ Assenza della bolla gastrica normalmente visibile nel fondo dello stomaco. ▪ Apertura a scatto dello sfintere esofageo inferiore, particolarmente evidente alla gastroscopia ma percepibile anche con il contrasto. ◦ EDGS che consente la diagnosi differenziale, la sua esecuzione può essere molto difficoltosa, l'esofago è infatti praticamente sempre ricco di materiale alimentare, tale materiale va ovviamente eliminato prima di procedere con l'esofagoscopia, il rischio è quello di: ▪ indurre inalazione e quindi polmonite ab ingestis. ▪ Eseguire un esame futile visto che l'endoscopista non vede nulla. ◦ MANOMETRIA ESOAGEA, eseguita la diagnosi si impone infatti la VALUTAZIONE FUNZIONALE DELL'ESOFAGO: ▪ Nella stragrande maggioranza dei casi lo sfintere esofageo inferiore si mantiene a livelli di pressione normale, ma in alcuni casi si registra una vera e propria ipertensione del LES. ▪ È assente la attività motoria peristaltica. A sinistra un esofagogramma che dimostra il tipico becco di uccello, a destra il risultato di una manometria esofagea in corso di acalasia.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee TERAPIA: trattandosi di una patologia funzionale la terapia è fondamentalmente palliativa e consente una adeguata nutrizione per via orale, nel complesso si utilizzano: • FARMACI che possano RIDURRE IL TONO DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE, la loro efficacia non è ottimale ma possono essere utili: ◦ nitroglicerina e ntirati, danno risultati modesti a scapito di effetti collaterali molto importanti. ◦ Nifedipina (ADALAT®), si tratta di un calcio antagonista che, se assunto mezz'ora prima dei pasti, induce una riduzione della pressione sfinteriale. Si tratta di terapie generalmente riservate a pazienti ad alto rischio operatorio. • Educazione ed accorgimenti dietetici, essenziali per evitare alimenti trigger. • TERAPIA ENDOSCOPICA, si possono utilizzare: ◦ NEUROTOSSINE che inducono un rilassamento dello sfintere esofageo inferiore come la tossina botulinica: ▪ i risultati iniziali sono soddisfacenti, ma si registra una progressiva recidivizzazione ed un peggioramento della patologia nel tempo. ▪ Generalmente questi pazienti presentano a lungo termine una SCLEROSI E FIBROSI dell'area sfinteriale che rendono più difficile l'intervento. ◦ DILATAZIONI PNEUMATICHE, un tempo si utilizzavano delle sonde di Savary, oggi si utilizzano dei palloncini, che consentono di dilatare e lacerare le fibre muscolari cardiali: ▪ si possono utilizzare dilatatori meccanici o pneumatici. ▪ Possibile complicanza è la perforazione dell'esofageo che si regista nell'1% dei casi, una perforazione mediastinica molto grave. ▪ Trattandosi di un intervento traumatico, induce la formazione di cicatrici e fibrosi, non si possono eseguire più di tre interventi. Il problema principale legato a questa terapia è che giunti dal chirurgo questi pazienti presentano una tale alterazione dell'apparato sfinteriale da non poter essere trattati in modo adeguato chirurgicamente. • INTERVENTO DI HELLER, cioè la MIOTOMIA CON SEZIONE LONGITUDINALE COMPLETA DELLE FIBRE DELLO SFINTERE ESOFAGEO INFERIORE, SI VA A SEZIONARE LA MUSCOLARE: ◦ consente la apertura permanente del LES. ◦ Deve essere sempre accompagnato da UNA EMIFUNDUPLICATIO O PLASTICA JATALE essenziale al fine di proteggere il paziente dal reflusso che sicuramente presenterà. Bisogna prestare massima attenzione alla lunghezza della incisione che si pratica nel momento in cui si esegue una miotomia di questo tipo, si recidono generalmente 6cm superiormente allo sfintere e 2 inferiormente ad esso. LO SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO: si tratta di un disordine motorio che interessa la parete muscolare dell'esofago in modo diffuso dando delle contrazioni diffuse e IPERMOTILITÀ: 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee eziopatogenesi sconosciuta. Si registra anatomoaptologicamente solamente una ipertrofia della muscolatura esofagea. ASPETTI CLINICI: dal punto di vista clinico registreremo un esofago IPERMOBILE che si traduce in un DOLORE di tipo retrosternale residuo di onde di tipo terziario, ripetitive e di ampiezza elevata. Nel caso specifico il paziente lamenterà: • dolore toracico retrosternale. • Abituale e frequente. • Dotato di caratteristiche irradiazioni: ◦ mandibola, ◦ arti superiori. ◦ Regione interscapolare. Questi aspetti pongono la condizione in diagnosi differenziale con un dolore di tipo CARDIACO e va per questo indagato IMMEDIATAMENTE IN SENSO ANAMNESTICO, va cioè controllato dal punto di vista della insorgenza e del tipo di fattori che possono essere ad esso associati. Raramente in questi casi avremo: • dilatazione esofagea. • Acalasia. DIAGNOSI; indotto un sospetto clinico alla anamnesi, si procede con la valtuazione di: • esofagogramma che dimostra la presenza di un esofago a CAVATURACCIOLO. • EGDS che non da nessun risultato particolare, lo sfintere esofageo è funzionante così come la parete. • È essenziale eseguire per dimostrare la diagnosi la presenza di una MANOMETRIA STANDARD che ci consente di valutare: ◦ la presenza di contrazioni non efficaci. ◦ La durata della peristalsi esofagea. La manometria normale tuttavia, essendo eseguita per una durata di circa 20 minuti, NON È SUFFICIENTE PER FARE DIAGNOSI in quanto queste condizioni sono indotte solo in certi momenti della giornata e in date condizioni, per esempio in associazione alla assunzione di dati alimenti, bisogna quindi eseguire sempre UNA MANOMETRIA COMPUTERIZZATA Esofago a cavaturacciolo (corkscrew) NELLE 24 ORE. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: Se volessimo quindi distinguere tra le tre patologie da dismotilità esofagea più comuni, cioè ACALASIA, ACALASIA VIGOROSA E SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO, sfruttiamo le seguenti • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee indicazioni: • ACALASIA CLASSICA: ◦ il dolore non è presente, non ci sono onde terziarie che ne giustifichino la presenza. ◦ Si registra una ostruzione costante che induce dilatazione. ◦ Il rigurgito è presente. ◦ Disfagia presente. ◦ esofagogramma che dimostra una dilatazione del lume, fino eventualmente al dolicoesofago. ◦ Manometria che dimostra un mancato rilasciamento continuo dello sfintere esofageo inferiore. • ACALASIA VIGOROSA che si caratterizza per: ◦ dolore molto frequente, le onde di peristalsi esofagea sono molto forti infatti. ◦ Abitualmente ma non costantemente come nella acalasia classica si registra ostruzione. ◦ Rigurgito, non ci sarà dilatazione del lume esofageo. ◦ Manometria esofagea che dimostra un incompleto rilasciamento del LES e ONDE PERISTALTICHE SIMULTANEE E INCOORDINATE E INEFFICACI. • spasmo esofageo diffuso che si caratterizza per: ◦ dolore costante ◦ occlusiobne occasionale ma con LES funzionante, di conseguenza: ▪ non c'è rigurgito. ▪ Non c'è ristagno. ◦ Aspetto a cavaturaccioli. ◦ Normale rilasciamento dello sfintere esofageo inferiore. ◦ La manometria assume un valore fondamentale. TERAPIA: la terapia può essere di impostazione molto difficile, infatti molto spesso è presente a valle un deficit di natura anche psicologica, in ogni caso ricordiamo che: • è indispensabile capire se lo spasmo sia associato ad ernia jatale. • Si possono utilizzare antispastici come: ◦ nifedipina. ◦ Nitrati. Che attenuano la sintomatologia. • Si possono esesguire, con le limitazioni sopra descritte, dilatazioni pneumatiche o iniezioni di tossina botulinica. • Miotomia lunga che chirurgicamente parlando, risulta l'unico intervento risolutivo.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ESOFAGO A SCHIACCIANOCI: entità clinica di recente introduzione, si tratta di una sindrome caratterizzata da un ESOFAGO IPERCONTRATTILE, SI PARLA DI PERISTALSI ESOFAGEA SINTOMATICA, causa estremamente frequente di dolore toracico di origine non cardiaca tanto da rappresentarne fino al 25­50% dei casi. La differenza fondamentale rispetto allo spasmo esofageo diffuso è legata al fatto che in questo caso le onde iperespresse sono PERISTALTICHE. Registriamo in questo caso: • onde peristaltiche di tipo terziario, elevate, intense e frequenti. • La diagnosi viene eseguita con Manometria esofagea tipica di un esofago a schiaccianoci. manometria nelle 24 ore. • Il paziente riferisce un dolore di tipo ANGINOSO che spesso viene etichettato come cardiaco mentre può essere legato ad un disordine motorio dell'esofago. DISCINESIE FARINGO­ESOFAGEE: si tratta di discinesie legate alla disfunzione dello sfintere esofageo superiore che, come accennato, rappresenta una entità anatomica vera e propria, queste discinesie possono essere: • PRIMITIVE, per esempio in caso di diverticolo faringoesofageo. • SECONDARIE per esempio: ◦ ad un reflusso gastroesofageo dove lo sfintere superiore si contrae esercitando una FUNZIONE PROTETTIVA ESSENZIALE sia per la sua integrità che per le strutture superiori. ◦ Ad un danno di tipo ORGANICO come: ▪ paralisi del ricorrente che può essere secondaria a vari tipi di danno anche chirurgico per esempio da rimozione della tiroide. ▪ Deficit centrali. ◦ In corso di malattie neuromiogene croniche come: ▪ sclerosi laterale amiotrofica. ▪ Sclerosi multipla. ▪ Parkinson. QUADRO CLINICO: clnicamente si tratta di una disfagia alta, molto precoce nel quadro della malattia che viene percepita come UN BLOCCO ALIMENTARE A LIVELLO IMMEDIATAMENTE RETROSTERNALE, si caratterizza per: • ODINOFAGIA. 11


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee Non potendosi innescare la fase di deglutizione si registra un RIGURGITO IMMEDIATO fino eventualmente a: ◦ irritazione dell'albero respiratorio. ◦ Polmonite ab ingestis. • Tosse. • Scialorrea. TERAPIA: la terapia purtroppo è limitata, nelle forme primitive non si può fare praticamente nulla, nelle forme secondarie possiamo: • fare un trattamento sistemico se la malattia è neuromuscolare, come avviene per la sclerosi multipla. • Manovre ed atteggiamenti posturali possono essere d'aiuto. • Dilatazione endoscopica, da eseguire con attenzione. • Terapia chirurgica in caso soprattutto di DIVERTICOLI, si esegue una MIOTOMIA EXTRAMUCOSA DELLO SFINTERE ESOFAGEO SUPERIORE, questo sottopone però il paziente a rischi enormi di complicanze in caso di GERD che si possono sviluppare nelle fasi successive. •

I DIVERTICOLI DELL'ESOFAGO:

i diverticoli sono estroflessioni della parete del tubo digerente come noto, nel caso dell'esofago questi possono essere: • CONGENITI caratterizzati da un difetto di sviluppo embrionale con parete completa composta di tutte le sue tonache e spesso accompagnato da aree di mucosa ectopica. • ACQUISITI dovuti cioè a: ◦ PULSIONE fenomeno in cui viene spinta una parte della parete verso l'esterno, in corrispondenza di PUNTI DI DEBOLEZZA, questo tipo di diverticolo: ▪ tende a creare una strada alternativa al bolo alimentare e spesso si riempie e svuota. ▪ È generalmente un diverticolo di tipo falso, di conseguenza nel momento in cui si riempie eccessivamente per fenomeni di gravità tende a cadere verso il basso. ◦ TRAZIONE, si tratta di elementi rari, caratterizzati dalla presenza di una forza flogistica o di altra natura che tende ad estroflettere le strutture della parete, sono generalmente più piccoli. Anche questi diverticoli possono presentarsi VERI o FALSI. I diverticoli che si possono rinvenire a livello dell'esofago possono essere molto diversi, nel caso specifico distinguiamo diverticoli: • FARINGEOESOFAGEI. • JUXTRABRONCHIALI. • EPIFRENICI, diverticolo che compare in prossimità del diaframma. • DIVERTICOLOSI ESOFAGEA, condizione diffusa. • DIVERTICOLI CONGENITI simili o paragonabili a FORME DI DUPLICAZIONE ESOFAGEA, si tratta di eventi molto rari. 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee In linea generale dal punto di vista epidemiologico sono patologie della IV­VI DECADE e colpiscono prevalentemente MASCHI. DIVERTICOLO FARINGOESOFAGEO O DI ZENKER: si tratta di un diverticolo tipico della parte superiore dell'esofago: • si forma in corrispondenza della ipofaringe, al di sopra dello sfintere esofageo superiore. • Si tratta di un diverticolo da PULSIONE, per la sua formazione sono necessari quindi due eventi fondamentali: ◦ UNA DISCINESIA che favorisce l'aumento pressorio all'interno del tubo digerente, per esempio una forma di ACALASIA ma non solo che condiziona un aumento di pressione a livello della parte più profonda della faringe. Fondamentalmente: ▪ manca una adeguata apertura dello sfintere esofageo superiore all'arrivo del bolo alimentare. ▪ Si instaura una pressione che aumenta gradualmente sempre di più fino a provocare un CEDIMENTO DEL GIUNTO FARINGOESOFAGEO che si verifica gradualmente e costantamente. Le cause possono essere fondamentalmente: ▪ FORME PRIMITIVE intrinseche o neurogene, si tratta di evenienze rare. ▪ FORME SECONDARIE SOPRATUTTO AD UNA MALATTIA DA REFLUSSO, si tratta di cause comuni: la malattia da reflusso induce un incremento della tenuta dello sfintere esofageo superiore che protegge in questo modo se stesso e le strutture superiori dal reflusso stesso. ◦ Zona di minore resistenza: c'è un punto tra le fibre muscolari che si chiama triangolo di KILLIAN. Si colloca: ▪ al di sopra delle fibre che compongono lo sfintere esofageo superiore (o sfintere faringeo inferiore). ▪ Al di sotto del muscolo costrittore inferiore della faringe. Solo in presenza di queste due condizioni concomitanti si forma un diverticolo. Il diverticolo di Zenker: • si proietta a livello delle vertebre toraciche V­VI generalmente. • Si caratterizza per la protrusione di mucosa e sottomucosa, non muscolare, è un diverticolo di conseguenza FALSO. • Come per ogni diverticolo si formano: ◦ corpo. ◦ Fondo. ◦ Colletto. • La massa in questione continua a protrudere assumendo un aspetto a SPINA DI ROSA. • la continuità del lume è nelle prime fasi conservata, il bolo alimentare arriva allo stomaco. • Il quadro si aggrava nel tempo: la pressione aumenta nel tempo e il diverticolo si accresce. • Del contenuto si accumula al suo interno, questo può essere: 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ SALIVA. ◦ CIBO. Il diverticolo tende quindi ad ingrossarsi nel tempo. • Con il passare del tempo questa estroflessione diviene sempre PIÙ GRANDE E PESANTE, di conseguenza: ◦ si riempie sempre di più. ◦ Non è in grado di svuotarsi, infatto il diverticolo non presenta tonaca muscolare. ◦ Tende per gravità protrudendo nello spazio latero e retro esofageo, a portarsi verso il basso. ◦ Comincia a COMPRIMERE AB ESTRINSECO L'ESOFAGO STESSO, si manifesta a questo punto con: ▪ disfagia. ▪ Bilancio nutrizionale in deficit. Il diverticolo può divenire tanto grande da essere obiettivabile in fossa sovraclaveare sinistra, AVENDO UNA CONSISTENZA MOLLE ELASTICA PUÒ ADDIRITTURA ESSERE SPREMUTO E SVUOTARSI DANDO RIGURGITO. LA STADIAZIONE DELLA MALATTIA: il diverticolo esofageo può essere classificato sulla base del suo stadio in: • STADIO I, fase precoce, la sintomatologia è: ◦ IRRITATIVA, si registra una sensazione di corpo estraneo a livello della inferiore della faringe. ◦ SCIALLORREA. ◦ LIEVE DISFAGIA. • STADIO II che generalmente è quello che porta il paziente alla attenzione medica, con la crescita del diverticolo si cominciano a registrare: ◦ odinofagia e disfagia. ◦ deglutizione rumorosa. ◦ saltuario rigurgito. Si tratta di una disfagia alta ovviamente, non da dolore retrosternale. • STADIO III in cui il diverticolo È TANTO GRANDE DA PROVOCARE UNA OSTRUZIONE VERA E PROPRIA si registrano: ◦ rigurgito costante. ◦ Difficoltà di alimentazione per cui il paziente tende ad assumere posizioni particolari per deglutire adeguatamente. ◦ decadimento organico generalizzato. Il materiale ristagna in questo caso a lungo nel diverticolo. QUADRO CLINICO: dal punto di vista clinico il paziente può presentare: • se il diverticolo È MOLTO GRANDE: ◦ COMPLICANZE SETTICHE legate a polmoniti ab ingestis. ◦ COMPLICANZE DA COMPRESSIONE che possono interessare i gangli simpatici o il 14


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee nervo vago dando: ▪ sindrome di Claude Bernard Horner. ▪ Episodi sincopali. • Raramente insorgenza di un vero e proprio CANCRO esofageo. L'obiettività raramente è presente, eventualmente si possono registrare una deglutizione rumorosa e la presenza di una tumefazione a livello del collo. DIAGNOSI STRUMENTALE: dal punto di vista diagnostico si utilizzano: • esofagogramma, consente di identificare: ◦ sede del diverticolo. ◦ La presenza di un suo eventuale svuotamento. ◦ Dimensione del diverticolo stesso. • Esame endoscopico, da eseguire con estrema attenzione, in fase di esofagoscopia si rischia di prendere la strada del diverticolo e di provocarne la rottura. In ogni caso consente la valutazione di: ◦ è molto utile per valutare l'eventuale patologia che stia alla base del diverticolo stesso come per esempio un GERD. ◦ la presenza del colletto. ◦ La consistenza e la dimensione dello sperone che si crea tra diverticolo e la parete. Esofagogramma di un diverticolo di Zenker ◦ La presenza di un'ernia jatale eventualmente presente. TERAPIA: la terapia prevede fondamentalmente l'esecuzione di: • DIVERTICOLECTOMIA, cioè la eliminazione del diverticolo. • MIOTOMIA cioè il taglio dello sfintere. • In presenza di un reflusso GASTROESOFAGEO PATOLOGICO È FONDAMENTALE L'ESECUZIONE DI UNA PLASTICA ANTIREFLUSSO, la rimozione dello sfintere superiore espone in caso contrario il paziente a problematiche molto serie di pertinenza pneumologica e otorinolaringoiatrica. Chirurgicamente l'accesso è cervicale sinistro a partire dal muscolo sternocleidomastoideo, si isola il diverticolo e lo si seziona con una suturatrice meccanica lineare che pone una doppia o tripla fila di punti meccanici in modo estremamente preciso, si sezionano quindi le fibre muscolari dello sfintere superiore. Nella fase post operatoria il paziente viene tenuto a digiuno per 6­7 giorni. Nel caso in cui il paziente non sia operabile per la sua condizione fisiologica e fisiopatologica complessiva, si procede per VIA ENDOSCOPICA alla SEZIONE DELLA PARETE COMUNE DI DIVERTICOLO ED ESOFAGO: 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee • si parla di esofago­diverticulo­tomia endoscopica. • Non va eseguita se di dimensioni superiori a 8cm. DIVERTICOLI MEDIO ESOFAGEI O TORACICI: si tratta di diverticoli praticamente sempre secondari a FENOMENI DI TRAZIONE, possono essere rarissimamente secondari a fenomeni pulsori legati ad uno spasmo esofageo diffuso, ma si tratta di forme molto rare. Trattandosi di diverticoli da trazione: • sono piccoli in dimensione. • Hanno uno sviluppo orizzontale. • Non si sviluppano inferiormente secondo gravità. • Essendo diverticoli da trazione sono diverticoli VERI, forniti di tutte le tuniche dell'esofago. In linea generale sono asintomatici, si tratta di REPERTI CASUALI che NON NECESSITANO DI TERAPIA. EZIOLOGIA: eziologicamente sono dovuti a fenomeni flogistici, nella maggior parte dei casi si tratta di FENOMENI SECONDARI ALL'INTERESSAMENTO LINFONODALE TUBERCOLARE: • un linfonodo prossimo all'esofago subisce un processo di interessamento infettivo. • Si forma una flogosi diffusa con fibrosi. • Si formano delle aderenze con strutture esofagee. • La trazione esercitata dalla maturazione del processo di flogosi induce la formazione del diverticolo. DIVERTICOLO EPIFRENICO: si tratta di un diverticolo che si colloca negli ultimi 10cm dell'esofago toracico, si tratta di un diverticolo: • da pulsione, condivide quindi alcune caratteristiche con diverticoli pulsori come quello di Zenker. • È secondaria a fenomeni: ◦ di ACALASIA. ◦ Di DISCINESIA di altro tipo. ◦ Di GERD. • Si forma, come in ogni situazione, A LIVELLO DEI PUNTI DI MINOR RESISTENZA: ◦ non esistono fisiologicamente punti di minor resistenza in questo ambito, non si tratta infatti di uno sfintere anatomicamente organizzato. ◦ Spesso si tratta di fenomeni SECONDARI A TRAUMI, generalmente MISCONOSCIUTI O NON RITENUTI RILEVANTI che danno vita a zone cicatriziali che provocano una riduzione della tenuta della struttura della parete. ASPETTI CLINICI: clinicamente parlando il diverticolo epifrenico: • è praticamente sempre ASINTOMATICO. • Nel momento in cui si presenti SINTOMATICO, la sintomatologia sarà secondaria: ◦ AD ERNIA JATALE O MALATTIA DA REFLUSSO, si manifesterà cioè con: 16


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ▪ PIROSI. ▪ DOLORE toracico retrosternale abbinato a RIGURGITO. ▪ Possibili polmoniti ab ingestis. ▪ disfagia. ◦ Può potenzialmente dare fenomeni di: ▪ diverticolite. ▪ Microperforazione. ▪ Perforazione: la perforazione è una perforazione MEDIASTINICA, di conseguenza ESTREMAMENTE PERICOLOSA si manfiesta con una mediastinite che può divenire anche letale. TERAPIA: la terapia è tipicamente chirurgica, si possono eseguire: • diverticolectomia. • miotomia dello sfintere esofageo inferiore o di un tratto dell'esofago. • Va sempre eseguita anche una FUNDUPLICATIO essenziale a proteggere le strutture della parte inferiore dell'esofago. Si tratta di un intervento che, inevitabilmente, finisce per interessare le strutture DEL TORACE, vanno eseguite quindi: • TORACOTOMIA. • VATS.

ERNIA DIAFR AMMATICA:

con il termine ERNIA DIAFRAMMATICA si indica una condizione di erniazione di un viscere attraverso lo iato diaframmatico, distinguiamo: • ernia jatale, sicuramente la forma più comune di ernia diaframmatica. • ernia non jatale, si tratta di forme di ernia che si possono presentare: ◦ congenite come: ▪ ernia di Morgagni­Larrey, antero laterale. ▪ Ernia di Bochdalek, postero laterale. Si formano in punti di debolezza della struttura diaframmatica, possono interessare generalmente il paziente giovane o pediatrico. ◦ Traumatiche che possono essere: ▪ secondarie a rotture complete del diaframma sul versante peritoneale con la formazione di una breccia attraverso la fibra muscolare e la pleura, in questo caso il contenuto addominale passa nel mediastino: • in assenza di una sacca erniaria, in contatto diretto con i visceri mediastinici. • Si tratta di un evento molto acuto e pericoloso caratterizzato da: ◦ Occupazione di spazio da parte della struttura erniata. ◦ Problematiche infettive legate agli organi del mediastino. ◦ Sintomatologia occlusiva, da strozzamento. Un intervento in toracotomia sarà in questo caso essenziale. ▪ trauma chiuso in corrispondenza del quale si viene a creare una contusione che 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee va incontro ad un processo di cicatrizzazione e formazione di fibrosi, a seguito di un aumento della pressione addominale per qualsiasi ragione: • i visceri compressi premono sulla parete addominale, in ogni direzione. • Il contenuto addominale si fa strada attraverso la zona di debolezza esito del trauma contusivo sul diaframma. • Si apre una breccia diaframmatica e il contenuto addominale si porta nel torace. In questo caso l'ernia presenta una sacca e risulta quindi aggredibile anche dal versante addominale, senza dover eseguire una toracotomia. ◦ Eventrazione diaframmatica. FATTORI CONDIZIONANTI: perché si verifichi un'ernia diaframmatica devono essere presenti alcune condizioni specifiche quali: • CONDIZIONI ANATOMICHE: ◦ deve essere presenta una PORTA ERNIARIA che può essere: ▪ CONGENITA anche fisiologica. ▪ ACQUISITA patologica. ◦ Ci deve essere una certa LASSITÀ DELLE STRUTTURE DI FISSAZIONE DEI VISCERI ADDOMINALI, organi mobili potranno erniarsi con una certa facilità, organi fissi come il colon ascendente o discente no. • CONDIZIONI FISIOPATOLOGICHE quali: ◦ gradiente pressorio, fisiologicamente presente in sede sottodiaframmatica. ◦ Dislocazione del viscere. ◦ Porta erniaria congenita. ◦ Jato diaframmatico aperto. L'ERNIA JATALE: l'ernia jatale è un'ernia dovuta al passaggio nella cavità toracica di visceri endoaddominali, in particolare LO STOMACO, attraverso uno jato esofageo abnormemente dilatato. Lo jato esofageo fisiologicamente ospita: • Esofago. • Neri vaghi ad esso accollati. Si colloca davanti all'orifizio aortico, all'altezza di T9­T10. La tenuta strutturale di questo jato è garantita in modo molto importante dalla presenza e dalla attività dei pilastri esofagei. Le ernie jatali possono essere classificate: • in tre tipologie: ◦ TIPO I o con brachiesofago. ◦ TIPO II per scivolamento. ◦ TIPO III per rotazione. si tratta di una classificazione ritenuta obsoleta. • Sulla base della loro eziologia, si parla di classificazione di Skinner, distinguiamo quindi: 18


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ ernia per scivolamento, sicuramente la più frequente, dall''80 al 90% delle ernie jatali. ◦ Ernia per rotazione, attraverso lo jato dilatato: ▪ migra il fondo gastrico. ▪ Rimane in sede la linea Z. non viene quindi dislocato l'apparato antireflusso che mantiene la sua integrità, QUEST'ERNIA QUINDI NON È SOGGETTA A MALATTIA DA REFLUSSO. ◦ Ernia Mista, nella quale si accompagnano entrambi i meccanismi. ◦ Ernia Per scivolamento intraesofageo, si viene a creare un prolasso della mucosa gastrica dal basso verso l'alto, di tipo Diversi tipi di ernia iatale: mucoso. • A condizione normale. ◦ Ernia Mista nella quale si accompagnano • B condizione di predisposizione, riduzione fenomeni di: dell'angolo di Hiss. ▪ scivolamento. • C ernia da scivolamento. • D ernia da rotazione. ▪ Scivolamento intraesofageo. ERNIA JATALE PARAESOFAGEA O PER ROTAZIONE: ernia jatale rara, non rappresenta più del 5% dei casi di qeusta patologia, come accennato tutto l'apparto antireflusso resta in questo caso in posizione e lo jato è abnormemente dilatato e debole. Generalmente questo tipo di patologia si verifica per un indebolimento della parete superiore dell'addome, il fondo dello stomaco esegue una rotazione che va da destra verso sinistra e dal basso verso l'alto: • se la pressione endoaddominale è alta, può risalire anche tutto lo stomaco fino eventualmente a trascinare anche il duodeno. • il bulbo duodenale si porta verso sinistra. • La grande curvatura che migra versi l'alto esercita una trazione sui vasi gastrici brevi con conseguente rischio di emorragia. • Se il processo non si ferma possono migrare anche parti del tenue e la milza. Questo tipo di ernia tende ad allargarsi sempre di più nel mediastino provocando seri danni: • difficoltoso svuotamento della porzione gastrica erniata. • Ulcera. • Stasi venosa nella tasca erniata con conseguente emorragia cronica. • Disfagia. • Incarceramento e complicazioni conseguenti. La manifestazione clinica di questa particolare ernia è la TRIADE DI BROSHARD, simile al volvolo gastrico: 19


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee 1. dolori violenti. 2. Conati di vomito ma impossibilità di vomitare. 3. Blocco della progressione del sondino nasogastrico. La conseguenza più temibile è la perforazione gangrenosa della sacca erniata, l'indicazione chirurgica è quindi in questi casi assoluta. ERNIA DA SCIVOLAMENTO INTRAESOFAGEO: si tratta di una forma di ernia JATALE CARATTERIZZATA DALLA MIGRAZIONE ESCLUSIVA DELLA MUCOSA GASTRICA CHE SCIVOLA SULLA SOTTOMUCOSA e PROTRUDE NELL'ESOFAGO, si valuta solo endoscopicamente e come tutti i prolassi tende a ritirarsi. Dal punto di vista clinico ha significato SOLO IN PRESENZA DI REFLUSSO. ERNIA DA SCIVOLAMENTO: si tratta della forma di ernia jatale più comune in assoluto, si forma per una serie di fattori favorenti quali: • presenza di una porta erniaria congenita. • Lassità dei pilastri diaframmatici e conseguente lassità dello jato. • Incremento del gradiente pressorio in senso cronico, si tratta di una condizione caratteristica di situazioni parafisiologiche quali: ◦ obesità. ◦ Ascite. ◦ Gravidanza. ◦ Cifoscoliosi. ◦ Vomito. ◦ Tosse importante. ◦ Stipsi se questa costringe il paziente a manovre di valsalva continue. • Fattori legati alla dinamica del torace possono favorirne lo sviluppo come: ◦ Spasmo esofageo diffuso, la ipercontrattilità esofagea favorisce una azione traente verso l'alto da parte dell'esofago stesso. ◦ Traumi chiusi che possono provocare alterazioni anatomiche dello jato esofageo. ◦ Manovre chirurgiche come una vagotomia che inficia l'integrità e la tenuta dello jato esofageo. • Triade di Saint, condizione caratterizzata dalla presenza di: ◦ Ernia da scivolamento. ◦ Calcolosi della colecisti. ◦ Diverticoli del colon. ASPETTI FISIOPATOLOGICI: dal punto di vista fisiopatologico l'ernia jatale può dare: • occupazione dello spazio toracico, si tratta di una condizione rarissima, non è mai infatti tanto grande da provocare un danno diretto. • Se di grandi dimensioni può irritare il vago e dare dei disturbi del ritmo e conseguentemente dolore anginoide. • Un'ernia da scivolamento, essendo associata a dislocazione verso l'alto dell'apparto 20


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee antireflusso. rappresenta una possibile causa di reflusso gastroesofageo da maltenuta del LES. • Esofagite che può arrivare a provocare delle alterazioni ulcerose della tasca gastrica erniata. ASPETTI CLINICI: clinicamente parlando tale ernia si presenta: • non sempre associata a reflusso, dipende dalla tenuta dell'apparato antireflusso, tuttavia se diminuisce il gradiente pressorio tra FONDO GASTRICO e LUME ESOFAGEO IL PAZIENTE MANIFESTA UN REFLUSSO IMPORTANTE, basico o acido a seconda che provenga dal solo stomaco o dal duodeno. • Alterazione della pressioni dello sfintere esofageo inferiore, essendo dislocato infatti perde parte della sua tenuta pressoria anche se funzionalmente, come appena detto, può essere normale: ◦ la pressione normalmente presente è di 20mmHg. ◦ In caso di ernia jatale si può arrivare a 4mmHg. ◦ In caso di RGE in assenza di ernia, condizione caratterizzata da ipotonia di questo sfintere, la pressione arriva anche a 3mmHg: a condizionare tale diminuzione della pressione è praticamente sempre una riduzione dell'ampiezza dell'angolo di Hiss.

IL REFLUSSO GASTROESOFAGEO:

il reflusso gastroesofageo è una patologia caratterizzata dalla formazione di un reflusso di materiale gastrico nell'esofago, si tratta di una condizione che può essere: • FISIOLOGICA, come avviene molto spesso. • PATOLOGICA se: ◦ il numero dei reflussi presenti tende nelle 24 ore molto a superare i 21 episodi, in alcuni casi arriva anche a 100 o più episodi al giorno. ◦ Il reflusso risulta sufficientemente lungo per esercitare un danno. ◦ Il reflusso risulta sufficientemente acido o alcalino per generare un danno. Nella valutazione della presenza di un reflusso gastroesofageo dobbiamo valutare quindi anche: • la funzionalità della peristalsi secondaria: il paziente sano non presenta una malattia da reflusso gastroesofageo perché il corpo esofageo tramite contrazioni di peristalsi secondaria elimina il materiale, liquido o solido, in eccesso, compreso quello espulso durante il reflusso. Va quindi valutata la possibile presenza di una discinesia esofagea. • Alterazioni della motilità gastrica che potrebbero favorire il ristagno di materiale nell'esofago. • La presenza di saliva elemento fondamentale che aiuta a deglutire il materiale alimentare: ◦ è alcalina e quindi tampona molto bene la acidità gastrica. ◦ Innesca deglutizione e peristalsi, di conseguenza favorisce la eliminazione del materiale. • Alterazioni della mucosa esofagea che di per se stessa presenta due meccanismi di difesa fondamentali: 21


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ Strato molto superficiale di muco, integrato da alcuni trattamenti per il reflusso gastroesofageo. ◦ Giunzioni molto strette dello strato intermedio che bloccano la azione lesiva del materiale acido o basico CHE PENETRA IN PROFONDITÀ provocando seri danni. Ha la funzione di proteggere soprattutto dal materiale BASICO. • Qualità del materiale refluito, il reflusso gastroesofageo può presentarsi infatti: ◦ ACIDO, dallo stomaco, è in grado di provocare un danno che aumenta la permeabilità della mucosa determinando: ▪ uno stato di flogosi con iperemia ed essudazione. ▪ Sofferenza ischemica. ▪ Passaggio transmucoso di ioni idrogeno. ▪ Danno sottomucoso da reflusso di tipo acido. ▪ Danno anatomico vero e proprio. ◦ ALCALINO capace di dare un danno mucosale determinato dalla azione degli acidi biliari che rompono le giunzioni intercellulari estremamente strette. ◦ MISTO capace di provocare danni molto seri di duplice natura. • Forza di gravità. L'ESOFAGITE PEPTICA: si tratta di una condizione INFIAMMATORIA legata alla presenza di un danno PROLUNGATO DA PARTE DI UN REFLUSSO ACIDO O BASICO NEI CONFRONTI DELLA MUCOSA ESOFAGEA, se il contatto è prolungato infatti, il danno si manifesta in modo esteso a tutti gli strati della parete esofagea. Il processo di esofagite procede attraverso step istologici ben precisi: • lesioni istologiche reversibili. • Iperemia e flogosi, infiltrazione di neutrofili. • Desquamazione dell'epitelio superficiale e ispessimento della zona basale che prolifera in forma di compenso. • Formazione di ulcere vere e proprie. • Approfondimento del danno alla parete che interessa anche i plessi nervosi sottostanti, si sviluppa uno SPASMO ESOFAGEO da irritazione con conseguente DOLORE IMPORTANTE. • Sviluppatasi un'ulcera la restitutio ad integrum è impossibile, si avranno qundi: ◦ sicuramente una cicatrice. ◦ Sicuramente una riepitelizzazione, questa può essere: ▪ piatta come fisiologicamente atteso. ▪ Metasplastica, si possono sviluppare delle cellule colonnari, si parla di metaplasia intestinale. Si tratta di una condizione tipica dell'ernia esofagea da scivolamento: circa ¼ dei pazienti con ernia jatale presenta una esofagite peptica, i restanti ¾ non soffrono di questa patologia. CLASSIFICAZIONE DELL'ESOFAGITE DA REFLUSSO: esistono due tipi di classificazione endoscopica della esofagite da reflusso: 22


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee CLASSIFICAZIONE DI SAVARY: ◦ stadio I caratterizzato da: ▪ erosioni singole o multiple. ▪ Eritema e/o essudato. ◦ stadio II: ▪ erosioni confluenti. ▪ Ulcerazioni che non interessano l'intera circonferenza. ◦ stadio III: ▪ erosioni confluenti. ▪ Ulcerazioni che interessano l'intera circonferenza. ◦ stadio IV cioè la stenosi cicatriziale. ◦ Stadio V cioè esofago di Barrett, accompagnato o meno da ulcerazioni o stenosi. • SECONDO LOS ANGELES: ◦ A lesioni inferiori a 5mm. ◦ B lesioni superiori a 5mm. ◦ C lesioni che non interessano più del 75% della circonferenza. ◦ D lesioni che interessano più del 75% della circonferenza. Questa seconda classificazione viene maggiormente utilizzata in ambito endoscopico dai gastroenterologi. ESOFAGO DI BARRETT: si tratta di una metaplasia colonnare della mucosa esofagea, si suddivide in due tipologie: • TIPO A o metaplasia ad isole che si collocano nelle regioni alte dell'esofago, CERVICALE E TORACICA: ◦ non hanno nulla a che vedere con il GERD, si tratta di isole di mucosa che nella embriogenesi non vanno incontro ad una trasformazione in epitelio squamoso. ◦ Sono ad alto rischio di degenerazione cancerosa. • TIPO B, molto più frequente, può presentarsi : ◦ omogenea caratterizzata quindi dalla DISLOCAZIONE DELLA LINEA Z VERSO L'ALTO: ▪ fisiologicamente si trova a 39­40cm dalla arcata dentaria. ▪ In questi casi arriva fino a 33cm dalla arcata dentaria. ◦ a fiammate: si tratta di lingue di mucosa gastrica che si espandono all'interno dell'esofago fino a 33cm dalla arcata dentaria. A prescindere dalla disposizione, rappresentano il segno di un reflusso di tipo CRONICO. Si tratta di una condizione che colpisce il 3­5% dei pazienti affetti da GERD, soprattutto maschi. CLASSIFICAZIONE: dal punto di vista classificativo l'esofago di Barrett può essere definito: • CLINICAMENTE, dal punto di vista gastroenterologico, distinguiamo: ◦ long Barrett di lunghezza superiore ai 3cm. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ short Barrett di lunghezza inferiore a 3cm. ◦ ultra short Barrett estremamente breve ma avvalorato da biopsie che dimostrano la presenza di una alterazione epiteliale con metaplasia. • ISTOPATOLOGICAMENTE, possiamo distinguere tale patologia sulla base dell'epitelio metaplastico che si viene a formare: ◦ epitelio fundico, relativamente grave, la patologia può semplicemente essere osservata nel tempo. ◦ Epitelio colonnare, di tipo colico, si parla di metaplasia intestinale che rappresenta il rischio maggiore di evoluzione a neoplasia, va controllata nel tempo in modo molto attento. ◦ Displasia di basso grado. ◦ Displasia di alto grado che va sottoposto a terapia di ablazione quando possibile. La diagnosi è endoscopica così come la prima valutazione, solo ottenuta una conferma istologica si procede con l'eventuale intervento. Non è chiaro se una rimozione della causa scatenante l'esofago di Barrett sia in grado di risolvere la patologia e di riportare la situazione alla normalità, è noto però che anche in caso di funduplicatio un controllo endoscopico va sempre eseguito. COMPLICANZE DEL REFLUSSO GASTROESOFAGEO: le complicanze caratteristiche sono: • STENOSI, 20% dei casi dovuta a ESITO CICATRIZIALE: ◦ variabile per forma e sede. ◦ Si formano delle ostruzioni dette anelli shatzky, si tratta di diaframmi caratterizzati dalla presenza di un epitelio: ▪ esofageo superiormente. ▪ Gastrico inferiormente. • ULCERA 4% dei casi, generalmente si forma al confine tra le due mucose (transizionale) si presenta: ◦ profonda. ◦ Ovalare. ◦ Talora in sede di stenosi. • DEGENERAZIONE NEOPLASTICA 11% dei casi, frequente in caso di metaplasia intestinale. CLASSIFICAZIONE DEL QUADRO CLINICO DI REFLUSSO GASTROESOFAGEO: il quadro clinico di reflusso gastroesofageo è un quadro che può manifestarsi in tre modi differenti: • ERD o erosive refluxe disease, si caratterizza per: ◦ sintomatologia caratteristica. ◦ Alterazioni del pH esofageo. ◦ Lesioni identificabili alla EDGS. • NERD o non erosive refluxe disease, si caratterizza per: ◦ sintomatologia caratteristica. 24


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ Alterazioni del pH esofageo. ◦ Assenza di lesioni identificabili alla EDGS. • ESOFAGO IPERSENSIBILE che si caratterizza per: ◦ sintomatologia caratteristica. ◦ Assenza di alterazioni del pH esofageo. ◦ Assenza di lesioni identificabili alla EDGS. Di tutti i casi di GERD il 61% si presenta in forma di NERD, in assenza quindi di danno organico, solo il 30­50% dei casi si associa ad una vera e propria esofagite e solo il 5% sviluppa complicanze. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia tipica del reflusso, acido o alcalino che sia, è la seguente: • PIROSI RETROSTERNALE espressione del reflusso patologico, tale sintomo: ◦ va valutato con attenzione in termini di durata e quantità. ◦ Per essere definito patologico deve durare almeno 3 mesi. ◦ Varia con la posizione. • SENSO DI INTOPPO RETROSTERNALE, può essere espressione di: ◦ malattia da reflusso che interessi i plessi nervosi. ◦ Dismotilità esofagea. • ERUTTAZIONI FREQUENTI soprattutto in presenza di ERNIA JATALE. Anche questa condizione può essere esacerbata da dati alimenti. I sintomi nel complesso della malattia da reflusso possono essere suddivisi in: • TIPICI come: ◦ pirosi retrosternale, dolore urente che si irradia verso l'alto. ◦ Rigurgito, generalmente con un gusto amaro in bocca, variabile con la posizione. ◦ Sciallorrea. ◦ Odinofagia. ◦ Disfagia. • ATIPICI: ◦ dolore toracico simil­anginoso, piuttosto che puramente retrosternale può irradirasi in regioni quali: ▪ dorso. ▪ Collo. ▪ Mandibola. ▪ Arti superiori. ◦ Sintomi respiratori e otorinolaringoiatrici come: ▪ tosse cronica e persistente evocata da un riflesso di stimolazione vagale. ▪ Crisi asmatiche ricorrenti, da broncoaspirazione o broncospasmo riflesso. ▪ Polmonite ab ingestis. ▪ Raucedine e laringiti. ◦ Sciallorrea. ◦ Odinofagia. 25


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee DI ALLARME: ◦ disfagia, progressiva e non paradossa. ◦ Emorragia, evento raro. DIAGNOSI: la diagnosi si avvale di: • anamensi. • RX del tubo digerente. • EDGS e biopsia, come accennato essenziali. • PH metria nelle 24 ore: ◦ valuta il numero dei reflussi. ◦ Valuta il tempo totale della durata del reflusso che deve essere maggiore di 5 minuti per essere patologico. ◦ Distanza temporale tra i vari reflussi. ◦ Durata del reflusso più lungo. • PH metria combinata gastrica ed esofagea, utile a identificare i reflussi MISTI ed ALCALINI altrimenti non identificabili. • Manometria utile nel valutare la tenuta dello sfintere. TERAPIA: gli obiettivi sono quelli chiaramente di migliorare i sintomi e quindi la qualità della vita, nonché di risolvere l'esofagite e ridurre il rischio di neoplasia. • RIDUZIONE DELLA ENTITÀ DEL REFLUSSO eliminando le condizioni favorenti: ◦ accorgimenti dietetici. ◦ Accorgimenti posizionali: ▪ evitare di coricarsi subito dopo il pasto. ▪ Dormire con la testa rialzata. • AZIONE DIRETTA SULLA EZIOLOGIA DELLA MALATTIA DA REFLUSSO: ◦ procinetici che migliorano la qualità della peristalsi esofagea nel suo complesso, dalla peristalsi secondaria alla apertura del LES. ◦ Riduzione della cloridria tramite: ▪ antiacidi. ▪ anti H2. ▪ Inibitori di pompa protonica. ▪ Protettori di mucosa come l'acido alginico combinato con un antiacido, ideale nel paziente che non può assumere inibitori di pompa come la donna gravida. • TERAPIA CHIRURGICA, si esegue dopo 3­6 mesi in caso di fallimento della terapia medica, spesso si effettua in pazienti giovani che non vogliono assumere farmaci, l'obiettivo è RICOSTRUIRE IN MODO FUNZIONALE IL GIUNTO ESOFAGO GASTRICO, si eseguono: ◦ riduzione del viscere erniato, stomaco ed esofago vengono riportati in cavo addominale. ◦ Fissazione sottodiaframmatica al fine di ripristinare il gradiente pressorio. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie funzionali: patologie esofagee ◦ Ricostruzione dello jato esofageo. L'intervento può risultare: ◦ eccessivamente efficace e provocare un blocco del flusso di gas dallo stomaco vero il cavo orale, si parla di GAS BLOAT SYNDROME. ◦ Troppo poco efficace e dare vita quindi nuovamente ad una malattia da reflusso. Intervento caratteristico è la FUNDUPLICATIO SECONDO NISSEL che prevede la plicatura dello stomaco a 360° attorno all'esofago: ◦ si può eseguire per via laparoscopica. ◦ Le indicazioni sono: ▪ esofagite di III o IV grado. ▪ Esofagite non regredita dopo trattamento medico. ▪ Patologia polmonare ab ingestis secondaria al reflusso. In presenza di stenosi sono essenziali la dilatazione e la funduplicatio.

Funduplicatio secondo Nissel

LA TERAPIA DEL PAZIENTE CON ESOFAGO DI BARRETT: l'esofago di Barrett va controllato endoscopicamente in modo periodico, è indispensabile controllare i sintomi e ridurre il rischio di degenerazione, il timing del follow up è: • se si tratta di un Barrett short o ultra short in presenza di metaplasia non diplastica: ◦ si esegue un follw up ogni 2­3 anni. ◦ Si procede ad una plastica antireflusso. • In caso di displasia grave: ◦ o si procede alla esofagectomia dove possibile. ◦ O si procede alla ablazione mucosale endoscopica, questa può essere eseguita anche con laser. 27


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago

IL CARCINOMA DELL'ESOFAGO il carcinoma esofageo è una patologia relativamente rara, rispetto a questa rarità fanno eccezione zone dove vi sia una particolare predisposizione legata a fattori ambientali e non solo, tale patologia infatti risulta più comune: • in caso di abuso di etanolo. • Nell'età anziana. • Nel maschio. Nel nord est italiano si riscontra con una maggiore frequenza. FATTORI DI RISCHIO: i fattori di rischio tipicamente associati a questo tipo di patologia sono: • PER QUANTO RIGUARDA IL CARCINOMA SQUAMOSO: ◦ alcool. ◦ Tabacco. ◦ dieta con carenza di vitamine A, C e RIBOFLAVINE. ◦ Nitrosamine. • PER QUANTO RIGUARDA L'ADENOCARCINOMA: ◦ fumo. ◦ Diete ipercaloriche ed iperlipidiche. ◦ Obesità. ◦ Helicobacter pylori: il ruolo dell'helycobacter in questo contesto è tutto fuor che provato, si tratta di una supposizione.

EZIOPATOGENESI, CONDIZIONI E LESIONI PRECANCEROSE:

come per qualsiasi neoplasia sicuramente è molto spesso presente anche in questo caso: • una mutazione del gene oncosoppressore p53. • Una inattivazione dei geni di riparazione del DNA. Queste lesioni, più o meno numerose, a carico del genoma, si possono riscontrare anche in alcune lesioni precancerose. LE CONDIZIONI PRECANCEROSE: condizioni che possono favorire lo sviluppo di un carcinoma sono sicuramente: • stasi alimentare legata per esempio a: ◦ diverticoli. ◦ Acalasia. ◦ Stenosi da caustici. Questi fattori inducono un aumento del tempo di contatto tra parete e materiale alimentare: le sostanze cancerose presenti negli alimenti presentano in questo caso un contatto molto più prolungato con la mucosa e di conseguenza possono indurre alterazioni molto importanti delle sue strutture cellulari. In alcuni casi di diverticolosi si possono avere veri e propri fenomeni di fermentazione. • Altre patologie: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago ◦ sindrome di Plummer­Vinson: sindrome genetica che determina alterazioni di tutti gli epiteli. ◦ tilosi palmo plantare: altra condizione che determina problematiche relative allo sviluppo di epiteli di tipo pavimentoso stratificato. ◦ Leucoplachia, macchie biancastre caratteristiche della metaplasia squamosa. ◦ reflusso gastroesofageo: condizione tipicamente associata all'esofago di Barrett, lesione precancerosa. LESIONI PRECANCEROSE: lesioni precancerose vere e proprie sono: • metaplasia intestinale su esofago di Barrett: in alcuni casi definito come una metaplasia gastrica in altri casi definito come una metaplasia intestinale sovrapposta all'esofago di Barrett, in ogni caso si tratta di una condizione precancerosa. • Displasia che si inserisce sulla metaplasia registrata precedentemente, è una fase di passaggio verso il cancro vero e proprio.

Esofago di Barrett con displasia di basso grado

Esofago di Barrett con displasia di alto grado

Esofago di Barrett alla endoscopia

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

dal punto di vista anatomopatologico ricordiamo che si registrano: • aspetti macroscopici, il cancro può presentarsi in forme: ◦ vegetante. ◦ Infiltrativa. ◦ Ulcerata. Nel 10% dei casi risulta MULTICENTRICO: molto spesso questo cancro presenta diverse zone di origine e coinvolgimento, ma PIÙ CHE UNA MULTICENTRICITÀ SPESSO REGISTRIAMO LA PRESENZA DI UNA SERIE DI METASTASI INTRA­ ORGANO LEGATE ALLA PRESENZA DI UNA FITTA RETE LINFATICA ESOFAGEA. ◦ Generalmente si parla si diffusione a Adenocarcinoma esofageo salto di pulce. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago

◦ Molto spesso si ritiene più adatto eseguire una esofagectomia totale per evitare il rischio di ricorrenza. Aspetti microscopici, riconosciamo numerosi e diversi istotipi possibili, complessivamente distinguiamo: ◦ carcinoma squamoso. ◦ Carcinosarcoma. ◦ Carcinoma adenoide cistico. ◦ Adenocarcinoma. ◦ Carcinoma a piccole cellule. ◦ Melanoma maligno. Dal punto di vista statistico in ogni caso: ◦ la forma prevalentemente diffusa è quella EPITELIALE SQUAMOSA. ◦ La forma tipicamente associata a GERD è la FORMA ADENOCARCINOMATOSA legata alla metaplasia di Barrett. nei paesi industrializzati, di pari passo con la diffusione del GERD, si registra un incremento della forma adenocarcinomatosa.

DIFFUSIONE:

come tutte le neoplasie, anche il cancro dell'esofago diffonde: • PER CONTINUITÀ a faringe e stomaco. • CONTIGUITÀ tutto quanto adiacente all'esofago, organo estremamente lungo, può essere interessato; possono essere poi coinvolte nei casi più gravi: ◦ trachea e bronco sinistro. ◦ pericardio e vena polmonare inferiore. • VIA LINFATICA che può COINVOLGERE: ◦ rete linfatica mucosa e sottomucosa: ▪ In senso craniocaudale tramite le già citate metastasi a salto di pulce. ▪ In forma circonferenziale, colpendo tutto l'esofago nella sua circonferenza a livello: • sottomucoso. • Muscolare. Possono essere poi interessati: ◦ linfonodi laterocervicali. ◦ Linfonodi mediastinici. ◦ Linfonodi paracardiali. ◦ Linfonodi della piccola curvatura. ◦ Linfonodi della arteria gastrica sinistra. ad oggi si è visto che non è escluso il coinvolgimento di nessun linfonodo, ma generalmente se la neoplasia è di piccolo calibro le sedi distali rispetto al drenaggio linfatico esofageo non vengono rimosse. • VIA EMATICA, il cancro dell'esofago diffonde molto più spesso ad organi differenti dal fegato, questo per la assenza di filtro epatico per quanto riguarda almeno una buona 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago parte del suo drenaggio venoso, in ogni caso: ◦ il fegato, permane la sede più comune di metastasi. ◦ Polmone molto frequente. ◦ Surrene. ◦ Rene. ◦ Pancreas. ◦ Ossa. ◦ Cervello.

QUADRO CLINICO:

purtroppo la sintomatologia è tardiva, il tumore da segno di se quando ha raggiunto dimensioni importanti, i sintomi principali sono: • DISFAGIA che si verifica nel momento in cui il lume sia ridotto almeno del 50%, si tratta di una disfagia: ◦ ingravescente. ◦ Progressiva. • Odinofagia: se la stenosi è alta, il dolore sarà riferito a livello del collo e della base del cranio, si parla quindi di odinofagia. • Dolore toracico costrittivo se la stenosi è localizzata più in basso. • Scialorrea prima saltuaria poi costante: anche la saliva non può essere adeguatamente deglutita. • Rigurgito: il fato che il bolo non progredisca, provoca rigurgiti soprattutto se il paziente assume una posizione sdraiata. • calo ponderale e astenia, la causa può essere duplice: ◦ da un lato la disfagia. ◦ Dall'altro la cachessia tumorale. • Emorragie, come tutti i cancri anche il carcinoma esofageo tende al disfacimento: ◦ generalmente si tratta di microemorragie che si manifestano poi come anemie croniche. ◦ In alcuni casi si possono avere fenomeni di ematemesi da interessamento di arterie esofagee. ◦ In rari casi si possono avere emorragie massive legate all'interessamento della aorta o delle carotidi. • Tosse e polmonite ab ingestis: il materiale rigurgitato o in stasi passa nelle vie aeree provocando non solo irritazioni ma vere e propri broncopolmoniti. • Disfonia: sintomo subdolo, può essere dovuta alla infiltrazione del nervo ricorrente da parte del cancro esofageo o da parte di una metastasi a livello della finestra aorto­ polmonare. In alcuni rari casi può precedere la disfagia.

DIAGNOSI:

una volta innescato una sospetto clinico si possono eseguire: • ENDOSCOPIA CON BIOPSIA, può essere non dirimente o perché risulta difficile colpire esattamente la neoplasia, o perché l'endoscopio non può raggiungerla a causa di 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago ostruzione. In linea generale comunque: ◦ soprattutto se la stenosi è importante si può eseguire un BRUSHING. ◦ È possibile eseguire una CROMOENDOSCOPIA che evidenzia zone ad alta riproduzione cellulare su cui eseguire delle biopsie. Marcatori utili possono essere: ▪ liquido di Lugol. ▪ Blu di toluidina. • ESOFAGOGRAMMA CON DOPPIO CONTRASTO. In ambito endoscopico è sicuramente importante che l'endoscopista indichi la sede del cancro esofageo a partire dall'orifizio, questa viene indicata a partire dalla arcata dentaria in centimetri, ricordiamo che: • lo sfintere esofageo superiore si colloca a 15cm dalla arcata dentaria. • Tra sfintere esofageo superiore e diaframma ci sono circa 23­25cm • lo sfintere inferiore si torva a 38­40cm.

CLASSIFICAZIONE DEL CARCINOMA:

generalmente dal punto di vista clinico individuiamo: • SUPERFICIAL ESOPHAGEAL CANCER: si tratta di un carcinoma limitato alla mucosa o alla sottomucosa, in presenza o assenza di metastasi linfonodali. • EARLY ESOPHAGEAL CANCER: si tratta di un tumore localizzato alla mucosa e sottomucosa, senza metastasi linfonodali. Permane in ogni caso fondamentale LA STADIAZIONE CLINICA TNM, dobbiamo definire quindi i diversi parametri caratteristici: • T, è fondamentale valutare la INFILTRAZIONE IN PROFONDITÀ della neoplasia, in questo caso, si definisce tramite: ◦ Ecoendoscopia: esame ideale, l'unica difficoltà permane la riduzione del lume esofageo. ◦ TC che ci dice solo se il tumore ha superato la parete dell'esofago o meno. ◦ Tracheobroncoscopia, per le neoplasie che si sviluppano a livello cervicale o nei terzi superiori del torace, va sempre eseguita, i rapporti con la parete tracheale sono infatti estremamente stretti e si possono verificare; ▪ fistole. ▪ Infiltrazione delle vie aeree che deve essere valutata prima di procedere all'intervento. • N, valutabile tramite: ◦ esame obiettivo per quanto riguarda i linfonodi laterocervicali, molto ben percepibili. ◦ Ecoendoscopia, consente eventualmente l'agobiopsia in presenza di caratteristiche sospette. ◦ TC. • M valutabile tramite: ◦ Radiografia standard del torace. ◦ TC. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 1: il cancro dell'esofago ◦ laparoscopia, che consente di valutare lo stato di interessamento di tutti gli organi addominali: il rischio è quello che un carcinoma della parte bassa dell'esofago raggiunga il suo rivestimento sieroso addominale e induce una carcinosi peritoneale di difficile trattamento. Si possono poi eventualmente prelevare linfonodi addominali sospetti.

IL CANCRO DEL CARDIAS:

si parla di cancro del cardias, non si tratta di una neoplasia a se stante chiaramente, ma vista la sua posizione e il suo carattere clinico, la sintomatologia può essere relativamente semplice da valutare: • storia di reflusso gastroesofageo. • A volte evolve fino a dare restringimenti del cardias e quindi disfagia e dolore, sintomi che ricordano il cancro dell'esofago. • Dal punto di vista anatomopatologico si identifica come un cancro che si colloca nella regione cardiale, cioè all'interno dei seguenti limiti: ◦ da 5cm superiori alla linea z, dove troviamo prevalentemente carcinomi squamosi. ◦ Fino a 5cm sotto la linea z dove troviamo prevalentemente adenocarcinomi. È molto importante distinguere il carcinoma cardiale in queste due categorie in quanto cambia il trattamento, soprattutto chirurgicamente: ◦ al di sopra della linea z il carcinoma si tratta con resezione esofagea. ◦ Al di sotto della linea z il carcinoma si tratta con resezione gastrica.

TRATTAMENTO:

la terapia resta comunque di tipo CHIRURGICO anche se questi tumori sono sensibili alla radiochemioterapia, oltre alla resezione esofagea si possono eseguire: • interventi palliativi: generalmente si tratta dell'inserimento di una protesi o della riduzione di una massa al fine di rendere meno importante la disfagia. • Radiochemioterapia in alcuni casi tanto efficace da risultare risolutiva: nei carcinomi in sede cervicale si cerca di risolvere la patologia tramite questo approccio, senza ricorrere alla chirurgia.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco

CANCRO DELLO STOMACO dopo il cancro del colon e del polmone, il cancro dello stomaco è uno dei cancri più comuni in assoluto. Dal punto di vista pratico ricordiamo che tutti i carcinomi epiteliali originano da una DISPLASIA o LESIONE PRECANCEROSA che si può caratterizzare per: • alterazioni delle strutture cellulari. • Sovvertimenti della citoarchitettonica tissutale complessiva. Dal punto di vista anatomopatologico si possono individuare almeno tre categorie di displasia: • displasia lieve. • displasia media. • displasia grave. vi sono poi delle condizioni dette condizioni PRECANCEROSE: si tratta di SINDROMI O MALATTIE i cui portatori presentano un rischio maggiore rispetto alla popolazione normale di sviluppare un cancro, questi pazienti possono sviluppare un carcinoma, ma non avviene necessariamente.

EPIDEMIOLOGIA:

il cancro dello stomaco complessivamente: • rappresenta il terzo cancro nel maschio, quarto nella donna. • In lieve diminuzione nella donna. • Aumenta l'incidenza con l'età. • Si registra una maggiore incidenza nel gruppo sanguigno A. FATTORI DI RISCHIO: i fattori di rischio che si registrano appartengono a diverse categorie e possono essere molto importanti: • FATTORI GENETICI quali: ◦ inattivazione dei geni oncosoppressori, in particolare il gene FHIT posto sul locus p14,2 del cromosoma 3 ad opera di: ▪ nitrosamine. ▪ Radicali liberi. ▪ Metaboliti del tabacco: il fumo è un fattore di rischio che agisce su geni oncosoppressori. ▪ Helicobacter pylori: il ruolo dell'helycobacter nel cancro dello stomaco è molto discusso, alcuni sostengono favorisca lo sviluppo di neoplasie altri no, quello che è certo è che L'HELICOBACTER PYLORI È FONDAMENTALE NEL LINFOMA GASTRICO E NELL'ULCERA PEPTICA. • FATTORI DIETETICI E SOCIOECONOMICI, sicuramente ricordiamo: ◦ nitrosamine che provocano nitrosazione di amminoacidi e tipicamente presenti in carni e formaggi. ◦ idrocarburi policicilici aromatici presenti soprattutto nelle carni affumicate. ◦ Sale utilizzato come conservante. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco ◦ Normalmente l'ambiente gastrico, a causa del suo bassissimo pH, risulta ASETTICO, condizioni quali: ▪ gastrite atrofica. ▪ Anastomosi gastroduodenali. Che alzano il pH gastrico, possono provocare sovrainfezioni e quindi produrre problematiche importanti da questo punto di vista. ◦ Fumo di tabacco. ◦ Agricoltori e minatori sono soggetti a rischio: qualsiasi esposizione ad agenti carcinogenetici agisce su cellule del tratto gastroenterico che sono cellule ad alto livello di proliferazione. In generale tutti questi fattori di rischio sono incrementati in termini di pericolosità in caso di aumento del pH nello stomaco. La assunzione di antiossidanti rappresenta un fattore PROTETTIVO IMPORTANTISSIMO: nei pazienti affetti da neoplasie maligne in generale, la vitamina C viene somministrata a dosi elevatissime al fine di ridurre lo sviluppo di ulteriori reazioni ossidative pericolose. • FATTORI INFETTIVI come l'helycobacter pylori che provocano: ◦ infiammazione cronica. ◦ Produzione di mutageni correlati alla infiammazione. ◦ blocco della secrezione attiva di vitamina C nel succo gastrico. • ALTRI FATTORI come radiazioni ionizzanti. LE CONDIZIONI PRECANCEROSE: le condizioni precancerose sono sindromi o malattie che provocano una alterazione della mucosa che non necessariamente evolvono a cancro, ma aumentano la probabilità della sua incidenza, complessivamente distinguiamo: • gastrite cronica atrofica accompagnata ad anemia perniciosa: la diminuzione della secrezione di fattore intrinseco e di conseguenza dell'assorbimento ileale di vitamina B12. L'incidenza è abbastanza alta, raggiunge anche il 5­10%. • Polipi gastrici che possono essere: ◦ iperplastici che danno un incremento del rischio dello 0,4%. ◦ adenomatosi che danno un incremento del rischio molto maggiore, circa il 5­ 25%. • gastrite ipertrofica o malattia menetrier. • ulcera gastrica: dal punto di vista dell'incidenza e della correlazione con il cancro dello stomaco il problema dell'ulcera gastrica è stato molto ridimensionato, un tempo la gastroscopia era un esame estremamente difficile e spesso si valutava Polipo del fondo gastrico come un'ulcera gastrica un cancro nella sua forma ulcerata. La percentuale di 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco degenerazione, sappiamo oggi, è relativamente bassa: ◦ le ulcere gastriche acute non degenerano mai. ◦ Le ulcere gastriche croniche possono degenerare. Ulcera peptica dello stomaco analizzata tramite biopsia rivelando la presenza di un cancro dello stomaco. Rimossa per gastrectomia parziale.

immagine tratta da wikipedia

Resezione gastrica dopo 15 anni dall'intervento, un tempo la resezione gastrica era l'unico intervento possibile per l'ulcera gastrica, non esistevano infatti inibitori di pompa, oggi utilizzatissimi, o antistaminici anti H2. L'intervento poteva essere fondamentalmente: ◦ resezione vagale che diminuisce l'acidità gastrica e di conseguenza provoca un aumento del pH incrementando il rischio di neoplasia. ◦ Resezione della struttura dello stomaco, al fine di consentire il passaggio del bolo alimentare in caso di resezione del piloro, si eseguiva una anastomosi con: ▪ duodeno: il pH del succo enterico provoca una diminuzione del pH gastrico e di conseguenza un incremento del rischio. ▪ Digiuno, il contenuto intestinale passa nello stomaco incrementando il rischio di infezione. Sono condizioni di rischio che si instaurano lentamente nel tempo, sono necessari 10­15 anni dall'intervento per poter osservare un effettivo incremento del rischio. LESIONI PRECANCEROSE: sono lesioni diplastiche valutabili o dallo specimen chirurgico o dalla biopsia prelevata tramite endoscopia, complessivamente si registrano: • DISPLASIA che può essere classificata come: ◦ lieve: si tratta di una displasia rigenerativa senza atipie evidenti. ◦ Moderata. ◦ Severa, che rappresenta un carcinoma in SITU di fatto, si caratterizza per: ▪ atipie nucleari e mitosi numerose. ▪ Alterazioni della citoarchitettonica. • METAPLASIA, trasformazione dell'epitelio gastrico in epitelio di natura intestinale con la comparsa di cellule caliciformi; non è chiaro ad oggi se si tratti di una lesione precancerosa o pericancerosa, secondo alcuni studiosi è la displasia che si genera nell'ambito della metaplasia ad essere la lesione precancerosa. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco IL FOLLOW UP DEI PAZIENTI CON LESIONI PRECANCEROSE: ad oggi il controllo GASTROSCOPICO È FONDAMENTALE e la frequenza con cui questo viene eseguito è variabile da caso a caso: • ogni 3­5 anni per condizioni quali: ◦ anemia perniciosa. ◦ Metaplasia intestinale antropilorica. ◦ Gastroenteroanastomosi eseguita da più di 15 anni. • OGNI ANNO per: ◦ polipi iperplastici. ◦ Polipi adenomatosi multipli. Individuati dei polipi adenomatosi in alta quantità è indispensabile prestare attenzione alla possibilità che si tratti di una sindrome di Gardner. Aree di displasia grave e polipi vanno rimossi il più velocemente possibile.

STORIA NATURALE DELLA MALATTIA:

la storia naturale della malattia passa attraverso una evoluzione di questo tipo: • metaplasia gastrica. • displasia lieve che nel tempo diviene grave. • early gastric cancer. • Advanced gastric cancer. È fondamentale quindi dare una stadiazione della patologia a fini terapeutici. LA DIFFUSIONE DELLA NEOPLASIA: analogamente ad altre neoplasie solide anche in cancro dello stomaco si propaga nell'organismo tramite diversi meccanismi: • diffusione locale per: ◦ continuità che può interessare: ▪ ESOFAGO generalmente tramite i linfatici della sottomucosa. ▪ DUODENO solitamente il duodeno non è infiltrato oltre il centimetro di distanza dal piloro: probabilmente la trasformazione della struttura della parete e della vascolarizzazione linfatica muta tanto radicalmente da non consentire ulteriori meccanismi di diffusione. ◦ Contiguità, la diffusione interessa in questo caso sicuramente: ▪ omento. ▪ Fegato. ▪ Pancreas. ▪ Colon. ▪ Colecisti. ▪ Milza tramite principalmente il legamento gastrosplenico. • Metastasi a distanza per via: ◦ linfatica; in linea di massima le stazioni linfonodali interessate per prime sono quelle lungo gli assi vascolari che irrorano lo stomaco. ◦ Ematica, che interessa in particolare: 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco ▪ fegato tramite la vena porta. ▪ Polmone tramite il circolo cavale ovviamente. ▪ Tutto l'organismo. ◦ Endocelomatica, tramite cioè diffusione attraverso la sierosa, possiamo registrare: ▪ carcinosi peritoneale che coinvolge tutto il peritoneo. ▪ Metastasi ovariche che a volte rappresentano la prima manifestazione della malattia.

SINTOMATOLOGIA:

la sintomatologia può essere estremamente ingannevole: • ASINTOMATICO ha un tempo di latenza molto lungo tra la comparsa della neoplasia e la comparsa dei primi sintomi, anche da 6 mesi e 1 anno: nonostante la latenza sia molto alta e la neoplasia se diagnosticata precocemente sia trattabile in modo ottimale, non si eseguono misure di screening (al contrario di quanto avviene in Giappone) a causa della relativamente scarsa incidenza della patologia. • SINTOMATICO che sono generalmente SCARSAMENTE SIGNIFICATIVI, si registrano: ◦ dispepsia, senso di digestione difficoltosa, un peso gastrico post prandiale molto importante. ◦ dolore gravativo a livello epigastrico; l'ulcera peptica presenta un dolore ritmato con i pasti e spesso stagionale, nel momento in cui questo ritmo venga perso o alterato, le possibilità sono fondamentalmente due: ▪ l'ulcera è diventata penetrante. ▪ L'ulcera è degenerata a cancro. ◦ Nausea. ◦ Anemia e relativa astenia dovuta principalmente al sanguinamento cronico determinato dal cancro: ▪ il sanguinamento raramente risulta clinicamente evidente, ma quando succede si possono manifestare ematemesi e melena. ▪ Il sanguinamento generalmente è occulto e cronico. • IN FASE AVANZATA che nel complesso si caratterizza per: ◦ anoressia. ◦ Sarcofobia. ◦ Rigurgito dovuto a stenosi cardiale. ◦ Vomito dovuto a stenosi pilorica. ◦ Astenia. ◦ Dimagrimento. ◦ Emorragie. Soprattutto nel paziente anziano, in presenza di sintomi di questo tipo, va eseguita sempre una gastroscopia. Sintomi insoliti di insorgenza possono essere correlati a metastasi o infiltrazione: • epato e splenomegalia. • Tumefazioni ovariche. • Ascite: in assenza di cause specificamente correlate allo sviluppo di una ascite, bisogna 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco sempre valutare la possibilità che si tratti di una neoplasia gastrica. • Ittero ostruttivo dovuto a compressione linfonodale del peduncolo epatico. • Dolori ossei. • Lifoadenopatia sopraclaveare, fondamentalmente lo sviluppo di un linfonodo di troisier. ESAME OBIETTIVO: l'esame obiettivo è raramente positivo: se la neoplasia risulta palpabile generalmente è estremamente avanzata. INDAGINI DI LABORATORIO E STRUMENTALI: si possono individuare: • in alcuni casi i marcatori neoplastici possono essere utili. • ESOFAGOGASTRODUODENOSCOPIA: una volta individuata una lesione simil ulcerosa o neoplastica, vanno sempre eseguite delle biopsie, possibilmente: ◦ nelle regioni periferiche e non centrali che si presentano ricche di fenomeni necrotici. ◦ In numero di almeno 4 prelievi, fino a 10. ◦ si possono eseguire delle valutazioni con colorante vitale: tale colorante viene assorbito della zone della mucosa dotate di maggiore tasso di replicazione. • RX del tubo digerente, non si tratta di un esame utile in questo caso.

TNM CLINICO E ALTRI TIPI DI STADIAZIONE E CLASSIFICAZIONE:

come per tutte le neoplasie solide, distinguiamo tre criteri di classificazione TNM fondamentali: • T grado di infiltrazione nella parete del viscere, si tratta di un parametro fondamentale: con l'aumentare della vascolarizzazione degli strati più profondi della parete dell'organo, incrementa ovviamente il rischio di metastasi che è nullo per la neoplasia in situ, massimo per la neoplasia che ha invaso la tonaca muscolare. • N numero e tipo dei linfonodi coinvolti. • M metastasi sistemiche. la stadiazione della neoplasia è fondamentale dal punto di vista clinico per iniziare il trattamento e influisce in modo fondamentale nell'approccio al paziente: • PARAMETRO T cioè la infiltrazione della parete, risulta valutabile in due modi fondamentalmente: ◦ ECOENDOSCOPIA, strumento che unisce endoscopio ed ecografo e consente di valutare lo spessore della infiltrazione. ◦ TC che presenta un limite fondamentale: ci consente di valutare lo spessore della lesione, ma non di rapportarlo alla struttura della parete gastrica, NON CONSENTE CIOÈ DI INDIVIDUARE GLI STRATI DELLA PARETE STESSA, consente di distinguere lo stadio T4 dagli stadi precedenti in quanto quest'ultimo infiltra le strutture circostanti. • PARAMETRO N, cioè linfonodi, vanno valutati fondamentalmente tramite: ◦ ecoendoscopia. ◦ TC. ◦ laparoscopia. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco Sia encoendoscopia che TC non hanno una sensibilità sufficientemente alta: ◦ non identificano lesioni di dimensione dimensione intorno al centimetro, le strumentazioni più sensibili non superano in ogni caso il mezzo centimetro. ◦ Anche una volta individuato il linfonodo potenzialmente coinvolto, questi strumenti non sono in grado di determinare se tali linfonodi siano infiltrati dalla neoplasia o infiammati. Sono allo studio nuove metodiche diagnostiche basate sulla risonanza magnetica con contrasto, che potrebbero incrementare la soglia di sensibilità. • PARAMETRO M, vanno indagate in modo molto importante: ◦ METASTASI EPATICHE indagabili tramite: ▪ TAC che mette in evidenza le metastasi epatiche. ▪ ECOGRAFIA. ▪ LAPAROSCOPIA che è estremamente utile soprattutto in caso di carcinosi peritoneale: prima di cominciare un intervento vero e proprio, si può valutare la presenza di infiltrazioni peritoneali la cui presenza determina inoperabilità, la malattia è sistemica. ◦ METASTASI POLMONARI identificabili tramite RX del torace ed eventualmente TC. ◦ METASTASI DI ALTRI ORGANI che vengono individuate eventualmente con indagini mirate: ▪ TAC PET che consente una indagine total body che risulta però molto costosa. ▪ Indagini mirate sulla base di sospetti clinici: scintigrafia ossea, radiografie e molto altro. Come accennato la valutazione del TNM clinico è fondamentale nel determinare quello che sarà l'approccio terapeutico e differisce, come noto, dal TNM anatomopatologico o pTNM. ALTRI TIPI DI STADIAZIONE: la classificazione della patologia, oltre che sul TNM clinico e patologico, può basarsi su diversi fattori: • classificazione clinica della malattia non TNM. • Classificazione su base microscopica. • Classificazione su base macroscopica o di BORMANN. • Classificazione sulla base del comportamento biologico o di LAUREN. • Classificazione sulla base della profondità della lesione in EARLY E ADVANCED GASTRIC CANCER. STADIAZIONE CLINICA NON TNM: esiste una stadiazione clinica specifica molto utilizzata in ambito clinico che consente di identificare diversi tipi di cancro dello stomaco: • stadio 0: ◦ neoplasia limitata alla mucosa. ◦ Neoplasia trattabile per resezione mucosale e in ogni caso senza necessità di terapia radiante o chiemiterapia. • stadio I: ◦ IA cioè penetrazione del secondo o terzo strato della parete gastrica, trattabile anche 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco solo chirurgicamente. ◦ IB penetrazione del secondo strato della parete gastrica e interessamento linfonodale, diventa necessaria la chemioterapia, eseguita generalmente con 5 fluoro uracile. • stadio II: ◦ penetrazione del secondo strato della parete e di linfonodi non della catena linfonodale più prossima. ◦ Penetrazione del terzo strato della parete e dei linfonodi prossimi. ◦ Penetrazione del quarto strato della parete gastrica, in assenza di interessamento linfonodale. • stadio III cioè: ◦ penetrazione del terzo strato della parete e di linfonodi distanti. ◦ Penetrazione del quarto strato della parete con interessamento linfonodale prossimo o dei tessuti vicini. • stadio IV, la malattia è sistemica: ◦ interessamento dei tessuti vicini e linfonodi. ◦ Interessamento metastatico di altri organi. CLASSIFICAZIONE MICROSCOPICA: consente di identificare la patologia sulla base della sua derivazione istologica, nello specifico identifichiamo: • ADENOCARCINOMI a loro volta classificabili sulla base di: ◦ comportamento istologico in papillare, tubulare e mucinoso. ◦ Differenziazione tramite GRADING in ▪ G1 ben differenziato. ▪ G2 mediamente differenziato. ▪ G3 scarsamente differenziato. • FORME RARE come: ◦ carcinoma adenosquamoso. ◦ Carcinoma epidermoide. ◦ Carcinoma a piccole cellule. ◦ Carcinoma indifferenziato. CLASSIFICAZIONE MACROSCOPICA O DI BORMANN: consente di identificare la patologia sulla base del suo aspetto macroscopico in quattro tipologie: • TIPO I polipide a base larga di impianto. • TIPO II ulcerato a margini demarcati e senza infiltrazione. • TIPO III ulcerato con margini non netti e infiltrazione: la ulcerazione può penetrare fino alla sierosa. • TIPO IV diffusamente infiltrante o piatto: se interessa tutto il viscere si parla di LINITE PLASTICA, visibile nell'immagine. linitis plastica

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco

CLASSIFICAZIONE DI LAUREN: si tratta di una delle classificazioni più utilizzate in ambito chirurgico, complessivamente si identificano due tipologie di cancro dello stomaco, INTESTINALE E DIFFUSO. TIPO INTESTINALE TIPO DIFFUSO Tipico delle regioni a bassa prevalenza

Tipico delle regioni ad alta prevalenza.

Pazienti anziani: • frequente nelle regioni antrali. • Da formazioni simil ghiandolari. • Ha un ampio spettro di differenziazione.

Pazienti giovani: • generalmente non antrale. • Le cellule neoplastiche non sono coese. • C'è una marcata reazione tissutale.

La crescita è ESPANSIVA

La crescita è INFILTRATIVA

Segue generalmente ad una METASPLASIA

Non segue ad una METAPLASIA

La prognosi è buona

La prognosi è meno buona.

Le differenze tra le due tipologie sono molto importanti come emerge dalla tabella, sicuramente i due aspetti da tenere maggiormente a mente per distinguere le due tipologie sono: • il fenotipo del paziente, anziano per il tipo intestinale e giovane per il tipo diffuso. • La presenza di una lesione metaplastica predisponente alla patologia che è presente solo nel tipo intestinale. CLASSIFICAZIONE SULLA BASE DELLA PROFONDITÀ DELLA LESIONE: 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 2: il cancro dello stomaco come accennato distinguiamo due tipologie di cancro dello stomaco, nello specifico: • EARLY GASTRIC CANCER che si presenta: ◦ limitato alla mucosa e alla sottomucosa. ◦ A prescindere da: ▪ estensione superficiale della neoplasia. ▪ Presenza o meno di metastasi linfonodali. Il cancro ha in ogni caso una BUONA PROGNOSI. ◦ Classificazione MACROSCOPICA che consente di identificare: ▪ TIPO I polipoide o protrudente. ▪ TIPO II superficiale: • IIa lievemente elevato. • IIb piatto. • IIc lievemente depresso. ▪ TIPO III escavato. ◦ Classificazione MICROSCOPICA che consente di identificare DUE GRADI DI EVOLUZIONE DELLA NEOPLASIA, in particolare disinguiamo l'early gastric cancer: ▪ MUCOSO che non supera la muscolaris mucosae. ▪ SOTTOMUCOSO che attraversa la muscolaris mucosae e infiltra la sottomucosa. A livello della muscolaris mucosae e della sottomucosa sicuramente è presente una rete linfatica e vascolare che incrementa il rischio di metastasi peggiorando la prognosi. ◦ Valutazione della INFILTRAZIONE LINFONODALE: nell'early gastric cancer i linfonodi colpiti sono relativamente pochi. Possiamo ricordare che: ▪ per EGC non ulcerati che interessino solo la mucosa, la probabilità di metastasi linfonodale è nulla. ▪ Per EGC ulcerati che interessano solo la mucosa, la probabilità di metastasi è intorno al 2­3%. ▪ per EGC sottomucoso, la probabilità di metastasi linfonodale è molto più alta, intorno al 20­30%. PROGNOSI E SOPRAVVIVENZA sono variabili in relazione alla infiltrazione della sottomucosa, ma sono comunque generalmente buone: ◦ per EGC ad estensione mucosa la sopravvivenza a 5 anni è del 90­100%. ◦ per EGC ad estensione sottomucosa la sopravvivenza a 5 anni è dell'81­96%. • ADVANCED GASTRIC CANCER cioè un cancro dello stomaco che, a prescindere da altri fattori, abbia superato la sottomucosa e infiltrato la tonaca muscolare, complessivamente la sopravvivenza dipende a questo punto dalla stadiazione sopra descritta ed è molto più bassa, a 5 anni infatti: ◦ lo stadio II ha una sopravvivenza del 43%. ◦ lo stadio III ha una sopravvivenza del 19­30%. ◦ lo stadio IV ha una sopravvivenza dello 0.5%.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 3: i tumori benigni dello stomaco

I TUMORI BENIGNI DELLO STOMACO i tumori benigni dello stomaco possono presentarsi in forme differenti come: • polipo gastrico. • Forme non polipoidi. Sicuramente la forma più comune in assoluto resta quella del POLIPO GASTRICO, tale polipo può presentare poi forme differenti, distinguiamo: • polipi neoplastici adenomatosi. • polipi neoplastici non adenomatosi. • Polipi similtumorali, si tratta di polipi: ◦ amartomatosi. ◦ Infiammatori. ◦ Da eterotopia pancreatica. ◦ Pseudolinfomatosi.

I POLIPI ADENOMATOSI:

si tratta di condizioni precancerose relativamente frequenti, tali polipi: • compaiono principalmente in età anziana. • Si presentano unici nei 2/3 dei casi. • Come i polipi del colon si possono presentare in forme: ◦ tubulari. ◦ villose o papillari. ◦ Tubulovillose. • Sono generalmente presenti in sede antrale. SINTOMI: dal punto di vista sintomatologico: • generalmente NON DANNO NESSUN DISTURBO. • Possono dare DISTURBI DI TIPO Polipo del fondo gastrico ASPECIFICO come: ◦ dispepsia. ◦ Sintomatologia similulcerativa. ◦ Positività per il sangue occulto nelle feci e quindi anemizzazione cronica. ◦ Emorragie evidenti. ◦ Occlusione con vomito alimentare, generalmente si tratta di una occlusione pilorica. DIAGNOSI: la diagnosi si esegue con: • endoscopia, sicuramente il sistema migliore. • Rx del tubo digerente con doppio contrasto.

TUMORI BENIGNI NON ADENOMATOSI: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 3: i tumori benigni dello stomaco si tratta generalmente di GIST, ad origine dai tessuti di sostegno: • leiomiomi. • Leiomioblastomi. • Tumori vascolari. • Tumori neurogeni. • Tumori connettivali. Questi tumori si accrescono generalmente nella parete gastrica e possono presentarsi quindi: • intraparietali, non formano quindi polipi. • Esofitici, si tratta di grandi masse associate allo stomaco da un peduncolo più o meno largo. • Intracavitari. A partenza dall'interno della parete possono farsi quindi strada in posizioni diverse. Trattandosi di masse a crescita prevalentemente esofitica o eventualmente sanguinanti, la sintomatologia è identica a quella delle forme adenomatose. DIAGNOSI: anche in questo caso è fondamentale la diagnosi strumentale: • endoscopia, esame fondamentale. • ecografia e TC dell'addome, molto utili sopratutto per le forme esofitiche. È fondamentale il controllo istologico del polipo ed eventualmente la sua rimozione.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue

PATOLOGIA DELL'INTESTINO TENUE l'intestino tenue può essere affetto da numerose patologie differenti, tra queste ricordiamo sicuramente: • malformazioni dell'intestino tenue. • Residui onfalo mesenterici. • Tumori benigni e polipi. • Tumori maligni. Complessivamente si tratta di patologie molto differenti tra loro e, molto spesso, di difficile diagnosi vista la scarsa accessibilità endoscopica dell'intestino tenue.

MALFORMAZIONI DELL'INTESTINO TENUE:

le malformazioni del tenue possono essere patologie molto differenti, tra queste ricordiamo sicuramente: • atresia del tenue, si tratta di una rara malformazione nella quale uno o più residui permangono completamente impervi, semplicemente non canalizzano. Complessivamente ricordiamo: ◦ la patogenesi è legata ad una mancata ricanalizzazione di un tratto più o meno lungo del tratto intestinale fetale durante il periodo tra la V e la X settimana. ◦ Esistono diverse forme di atresia del tenue: ▪ diaframma, ostruzione di entità ed estensione limitata nello spazio. ▪ ostruzione senza continuità anatomica con il resto dell'intestino. ◦ La sede può essere variabile, in ordine di frequenza ricordiamo: ▪ ileo. ▪ Digiuno. ▪ Duodeno. ▪ In casi eccezionali può presentarsi multipla. ◦ Si associa a sindrome di Down e a vizi cardiaci. ◦ Si manifesta con: ▪ vomito biliare, generalmente già alla prima giornata di vita. ▪ Emissione di poche feci grigie e asciutte, molto differenti dal meconio caratteristico del bambino. ▪ Distensione più o meno marcata dell'addome, variabile sulla base della sede. ▪ Iperperistaltismo. ◦ La diagnosi si conferma generalmente con una diretta addome. • stenosi congenita, si tratta di una incompleta canalizzazione dell'intestino dopo la fase intermedia del suo sviluppo, più tardivamente quindi rispetto alla atresia del tenue quindi. Tale patologia: ◦ interessa generalmente il duodeno, molto raramente il colon. ◦ Si manifesta con: ▪ vomito, generalmente biliare, alla prima giornata di vita. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue

▪ Emissione di feci grigiastre e asciutte, differenti, come nel caso precedente, dal meconio. ▪ Distensione addominale più o meno marcata a seconda della sede interessata. vizi di posizione del tenue: si tratta di una malformazione dovuta ad anomalie di rotazione e fissazione del mesentere. Si manifesta generalmente per la presenza di una appendice nella parte sinistra dell'addome ed è dovuta alla presenza di una alterata rotazione ed inserzione del mesentere durante il suo sviluppo. Complessivamente il meso si sviluppa: ◦ da sinistra verso destra. ◦ Dall'alto verso il basso. Le possibili alterazioni di tale movimento sono: ◦ MANCATA ROTAZIONE IN SENSO ANTIORARIO SULL'ASSE DELL'ARTERIA MESENTERICA SUPERIORE a partire dalla X fino alla XII settimana. ◦ MANCA ADESIONE ALLA PARETE POSTERIORE dell'addome. La sintomatologia in questo caso può essere dovuta a: ◦ compressione sul duodeno che si manifesta con una sindrome del compasso mesenterico dovuta alla compressione della mesenterica superiore, si manifesta con: ▪ sintomatologia precoce. ▪ Vomito alimentare tinto di bile. ◦ Volvolo, che può comparire in qualsiasi momento della vita con: ▪ dolore. ▪ Vomito. ▪ Chiusura dell'alvo a feci e gas. duplicazione intestinale, si tratta di una patologia rara che spesso anche se presente può non dare segno di se fino ad età adulta: si tratta di una formazione di tipo cistico o tubulare posta in stretta connessione anatomica con il canale alimentare, se di piccole dimensioni possono essere scambiate per diverticoli. Complessivamente esistono due forme: ◦ CISTICHE o cisti enterogene, difficili da distinguere sono in rapporto sia con il tenue che con il colon. ◦ TUBULARI poste in prossimità della giunzione ileocecale possono dare fenomeni di ULCERAZIONE a causa di una ETEROTOPIA GASTRICA. La sintomatologia raramente è assente, generalmente si manifesta precocemente ma può anche essere tardiva, complessivamente può provocare: ◦ soprattutto per le duplicazioni cistiche possiamo avere: ▪ disturbi da compressione. ▪ Tumefazioni palpabili. ◦ Per le duplicazioni tubulari possiamo avere: ▪ dolore. ▪ Anemia cronica. ▪ Melena. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue ▪ Perforazione. Si tratta di una sindrome simile a quella di un diverticolo di Meckel con eterotopia gastrica, la produzione di acido provoca questi sintomi.

RESIDUI ONFALO MESENTERICI:

si tratta di alterazioni del normale processo di atrofia del canale onfalo mesenterico che mette in comunicazione il sacco vitellino con l'ansa ombelicale dell'intestino primitivo; tale residuo può permanere in forma di: • legamento fibroso. • legamento fibroso contenente cisti. • Cisti. • Altre forme particolari. La permanenza di tali residui, più o meno sintomatica, è stimata in 1/70 pazienti, è prevalente nel sesso maschile. CLASSIFICAZIONE DEI RESIDUI ONFALO MESENTERICI: complessivamente distinguiamo; • LEGAMENTO CORDONIFORME ENTERO­OMBELICALE; il legamento residuo può formare un tralcio fibroso che può dare adito a: ◦ formazione di una porta di un'ernia interna. ◦ Avvolgimento dell'intestino. Il quadro clinico è quello di un'ernia interna. • CISTI INTRALEGAMENTOSA: tale cisti può formare un tralcio fibroso che viene a costituire la porta di un'ernia interna, anche in questo caso il quadro è quello di una occlusione. • DIVERTICOLO DI MECKEL: sicuramente si tratta del residuo onfalo mesenterico più comune, presenta una incidenza intorno al 2%. Si tratta di un diverticolo: ◦ composto di tutte e tre le tonache della mucosa. ◦ Si associa in un terzo dei casi ad una ectopia mucosale che può essere: ▪ gastrica nel 90% dei casi. ▪ Pancreatica. ◦ lungo circa 2­12cm. ◦ Localizzato nel bordo antimesenterico. ◦ Con sede negli ultimi 100cm di ileo nel 75% dei casi. ◦ Possibilità di unione con la parete intestinale dovuto alla presenza di un residuo legamento, si tratta di Diverticolo di Meckel un'evenienza rara, generalmente è un semplice diverticolo. dal punto di vista clinico: ◦ è generalmente asintomatico. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue

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◦ Se è sintomatico, come avviene nel 20% dei casi circa, si manifesta con: ▪ emorragia ▪ occlusione. ▪ Perforazione. ▪ Infiammazione. ▪ Erniazione, si parla in questo caso di ERNIA DI LITTRÈ. ▪ Cancerizzazione. La diagnosi va ipotizzata in caso di: ◦ emorragia digestiva acuta o cronica, è importante pensare ad un possibile diverticolo di Meckel che, vista la sua ectopia gastrica, provoca sanguinamenti e ulcerazioni del tenue, tali sanguinamenti: ▪ non sono giustificati dalla presenza di lesioni coliche. ▪ Non sono giustificati dalla presenza di lesioni gastriche. Vanno poste a questo punto in diagnosi differenziale: ▪ emobilia che si riconosce in quanto accompagnata da: • ittero. • Dolore crampiforme tipo colica. ▪ Lesioni pancreatiche che sono difficili da dimostrare clinicamente ma possono essere individuate con la TC. ▪ Il caso più comune resta comunque il diverticolo di Meckel. ◦ occlusione intestinale da tenue, valutabile tramite laparoscopia o laparotomia. ◦ Perforazione dovuta alla ulcerazione della mucosa generalmente. ◦ Infiammazione che si sviluppa in un quadro simil appendicolare: si può in alcuni casi, anche se molto difficilmente, distinguere tra una infiammazione del diverticolo di Meckel e una appendicite in quanto il dolore non si colloca propriamente in corrispondenza del punto di Mac Burney, ma è generalmente posto medialmente. La diagnosi può essere posta tramite le seguenti metodiche: ◦ clisma del TENUE, dotato di scarsa sensibilità. ◦ Clisma opaco caratterizzato da reflusso nelle ultime anse ileali: si esegue un clisma opaco con attraversamento da parte del contrasto della valvola ilececale se questa è incontinente. ◦ Scintigrafia con tecnezio 99, anche con questo metodo la lesione può non essere individuata. fistola entero ombelicale. cisti dell'ombelico: la cisti che si forma nel residuo onfalo mesenterico tende a gonfiarsi e liberare il suo contenuto sulla parete dell'addome, una volta richiusa, tende a gonfiarsi di nuovo per poi scaricare ciclicamente il suo contenuto all'esterno. epitelioma tubulare a cellule cilindriche: tutti i residui onfalomesenterici possono potenzialmente degenerare e dare vita ad EPITELIOMI A CELLULE CILINDRICHE.

I TUMORI BENIGNI DEL TENUE:

i tumori del tenue, sia maligni che benigni, sono evenienze rare, rappresentano circa il 7% di 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue tutti i tumori intestinali. Questa scarsa predisposizione allo sviluppo di condizioni neoplastiche è legata al fatto che: • il tenue presenta una scarsa carica batterica. • il passaggio attraverso il tenue è generalmente rapido, di conseguenza sostanze cancerose eventualmente presenti passano attraverso di esso senza agire in modo particolarmente efficace. • Il tenue nella sua parte più distale è ricco di linfonodi e di vasi linfatici, di conseguenza è altamente sorvegliato dal punto di vista sintomatologico. I tumori benigni del tenue possono essere: • leiomioma, sicuramente il più comune, si registra nel 30­40% dei casi. • Adenoma, si registra nel 20­30% dei casi. • Lipoma si registra nel 15­20% dei casi. • Emangioma, relativamente raro, meno del 10% dei casi. • Linfangioma, sotto il 5%. • Fibroma. • Neurinoma, ganglioneuroma, neurofibroma, estremamente rari. Tutti i tumori che interessano le strutture di sostegno sono accomunate sotto l'etichetta di GIST o gastrointestinal stromal tumor. I POLIPI DEL TENUE: come noto con il termine polipo si intende una qualsiasi neoformazione che aggetta nel lume intestinale, il polipo può avere diverse origini: • proliferazione della mucosa. • Proliferazione delle cellule di sostegno che si sviluppa verso il lume intestinale sollevando una mucosa che è, in ogni caso, indenne. POSSIBILI EVOLUZIONI: il polipo del tenue, come quello del colon, quando possibile deve essere reciso ed esaminato istologicamente, il polipo infatti è generalmente un adenoma ma rappresenta una condizione PRECANCEROSA che in un tempo più o meno lungo darà vita ad un cancro. Sono due gli aspetti da prendere in considerazione: • Una volta analizzato istologicamente il polipo, si valuta il grado di displasia delle sue componenti: se la displasia è di lieve entità, la rimozione è sufficiente, se la displasia è invece grave, allora il polipo va assimilato al carcinoma in situ e trattato come tale. • Tra le diverse forme del polipo sicuramente la più pericolosa resta il polipo VILLOSO: essendo dotato di una base maggiormente estesa, sicuramente ha una maggiore probabilità di invasione delle strutture sottostanti. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è: • assente nel 50% dei casi. • Presente per polipi di grosse dimensioni che possono provocare: ◦ dolore. ◦ Ostruzione intestinale dovuta a: ▪ restringimento del lume legato alla presenza del polipo stesso. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue ▪ Invaginazione intestinale mediata dal trascinamento del segmento intestinale da parte del polipo. ◦ Sanguinamento: generalmente si tratta di un sanguinamento cronico accompagnato da anemizzazione, a volte si manifesta come enterorragia. DIAGNOSI: il sospetto clinico va posto in caso di: • emorragia intestinale cronica con gastroscopia e colonscopia negative. • Ostruzione e perforazione. La diagnosi strumentale è piuttosto difficile, il tenue è infatti un tratto dell'intestino estremamente lungo e dotato di una difficile accessibilità, dal punto di vista pratico si possono utilizzare: • DIRETTA ADDOME in caso di addome acuto, metterà in evidenza livelli idroaerei. • CLISMA DEL TENUE, piuttosto impreciso. • ENTEROTAC che: ◦ va eseguita con doppio mezzo di contrasto. ◦ Da una visione molto precisa delle pareti del tenue. • ENTEROSCOPIA, che non è, come accennato, in grado di indagare tutto il tenue: ◦ si esegue con gastroscopi molto lunghi che consentono di superare la C duodenale, ma non vanno oltre i primi centimetri del digiuno. ◦ Si esegue una colonscopia retrograda fino all'ultima ansa del tenue visualizzando gli ultimi centimetri dell'ileo. • VIDEOCAMERA: si fa ingerire al paziente la capsula contenente una piccola videocamera con un ricevente esterno, a tempo debito le immagini vengono trasmesse e registrate. La loro valutazione consente eventualmente la diagnosi. • In caso di emorragia in atto la sede può essere valutata tramite: ◦ Scintigrafia con globuli rossi marcati. ◦ Arteriografia. Per ottenere una positività è necessaria una portata di almeno 1cc al minuto, in caso contrario la lesione non sarà visibile.

TUMORI MALIGNI DEL TENUE: I

le forme istologiche maligne ad origine dall'intestino tenue sono fondamentalmente: • Adenocarcinoma, come avviene nel 45% dei casi, la localizzazione prevalente è nel digiuno. • Carcinoide, si registra nel 25% dei casi, sono prevalentemente ileali. • Linfoma, si registra circa nel 20% dei casi. • tumori stromali che si registrano circa nel 10% dei casi, sono ubiquitari come posizione. Nel momento in cui venga individuato in un polipo una formazione maligna, è necessario valutare se sia necessario provvedere alla asportazione di un tratto più consistente di intestino, complessivamente ricordiamo che: • se il tumore si colloca nella parte più esterna del polipo e all'interno della membrana basale, la eliminazione del polipo sarà sufficiente. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue Se viene infiltrato l'asse stromale allora è necessaria la resezione con eventuale asportazione dei linfonodi coinvolti. ADENOCARCIOMA: come accennato l'adenocarcinoma resta la patologia più come in assoluto dal punto di vista neoplastico maligno. Ricordiamo che i fattori di rischio sono fondamentalmente delle lesioni precancerose, nel complesso si può trattare di: • adenomi. • Sindrome di gardner o poliposi adenomatosa familiare. • Morbo di Crohn che, essendo una condizione altamente infiammatoria, provoca un incremento del rischio di neoplasia maligna. • Sindrome di Peutz­Jeghers, altra condizione genetica caratterizzata dalla produzione di polipi che possono potenzialmente divenire maligni. SIN T OMATOLO G IA: dal punto di vista sintomatologico non ci sono molte differenze rispetto a quanto si registra nella patologia benigna, ricordiamo la presenza di: • dolore intestinale intermittente. • Potenziale occlusione intestinale. • Sanguinamento. DIFFUSIONE: la diffusione della neoplasia è fondamentalmente identica a quella registrata per altri tipi di patologie cancerose: • contiguità. • Continuità. • Via linfatica. • Via ematica con interessamento ovviamente soprattutto del fegato. DIAGNOSI STRUMENTALE: anche in questo caso la diagnosi strumentale non è molto differente in termini di metodiche rispetto alla patologia benigna; il problema diagnostico permane sempre lo stesso: la neoplasia quando viene diagnosticata, essendo il tenue poco accessibile, è generalmente piuttosto avanzata. Complessivamente: • in presenza di un addome acuto si esegue anzitutto una diretta addome che consente sicuramente di valutare la presenza di alcune complicanze. • Clisma del tenue. • TC dell'addome tramite la quale può essere difficile identificare differenze tra adenocarcinoma e carcinoma. • Enteroscopia. PROGNOSI: la prognosi purtroppo non è affatto buona proprio perché la diagnosi è tardiva: la sopravvivenza globale a 5 anni è del 5­30%. Tale scarsa percentuale migliora se si estrapolano dal campione i tumori negativi per metastasi linfonodali: mentre nel colon infatti le stazioni linfonodali sono anatomicamente ben distinte ed identificabili, per quanto riguarda il tenue il drenaggio linfatico È MOLTO MENO PRECISO COME ORGANIZZAZIONE e l'area di •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue riferimento È MOLTO VASTA raramente è possibile rimuovere tutti i linfonodi correlati. La terapia permane unicamente chirurgica, terapia adiuvante e coadiuvante sono ancora in fase di sperimentazione. IL LINFOMA: l'ileo dopo lo stomaco rappresenta la seconda sede come incidenza per lo sviluppo di linfomi associati al tratto gastroenterico: • si verifica soprattutto nel maschio dopo la quinta decade. • Si associa a fattori di rischio ben precisi quali: ◦ celiachia. ◦ Morbo di Chron. ◦ Trapianti. ◦ AIDS. ◦ Malattie reumatiche. Nel 15% dei casi la malattia È MULTIFOCALE e generalmente si tratta di un LINFOMA NON HODGKIN, SINTOMATOLOGIA: dal punto di vista clinico ricordiamo che: • la sintomatologia è spesso ASPECIFICA, si caratterizza per: ◦ calo ponderale. ◦ Malessere. ◦ Affaticamento. ◦ Dolore addominale. • I segni specifici correlati generalmente al linfoma sono difficilmente presenti: febbre, sudorazione profusa e prurito raramente si accompagnano a questa malattia. • Nel 25% dei casi si manifesta direttamente come una complicanza: ◦ perforazione. ◦ Occlusione franca ◦ Sanguinamento. • A volte diviene evidente in forma di una tumefazione addominale, circa nel 35% dei casi. DIAGNOSI: anche in questo caso ci si avvale di: • diretta addome, soprattutto in caso di addome acuto naturalmente. • Clisma del tenue. • TC dell'addome. STADIAZIONE E PROGNOSI: la stadiazione è fondamentale per la prognosi della patologia, complessivamente riconosciamo la presenza di una serie di stadi: • I E: confinato all'intestino, assenza di metastasi linfonodali. • II E: positività per i linfonodi locoregionali. • III E: metastasi linfonodali a distanza, 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue • IV E: coinvolgimento di organi non linfatici. La sopravvivenza a 5 anni si colloca intorno al 60% per le forme di I E e II E, non supera l'anno per le forme di stadio superiore al III E. IL GIST: come accennato con il termine GIST si indicano tutte le neoplasie di origine stromale dell'intestino, si tratta di una serie molto varia di patologie. Per la maggior parte dei casi si tratta di noduli solitari, anche se una eccezione importante è rappresentata dai pazienti malati di AIDS dove la patologia può essere multifocale. In alcuni casi non è possibile identificare l'origine istologica della malattia: naturalmente in questo caso la prognosi è decisamente peggiore. IL COMPORTAMENTO BIOLOGICO: non si può parlare del GIST come di un tumore a malignità intermedia, il comportamento è infatti molto simle a quello di un sarcoma e presenta un accrescimento locale con una serie di recidive importanti, metastatizzano tuttavia tardivamente generalmente. I criteri utili a definire la malignità della lesione sono: • dimensioni superiori a 5cm. • Presenza di fenomeni di necrosi. • Presenza di emorragia. • Ipercellularità diffusa. • Atipia nucleare. • attività mitotica che rappresenta l'indice più importante. • Differenziazione neurale. In presenza di fattori indicativi di malingità sarà necessario intervenire con la rimozione e procedere ad una terapia farmacologica per impedire la formazione di recidive. METASTASI: la metastasi si verifica generalmente per via: • locale ovviamente, per contiguità o per continuità. • A distanza, per via linfatica in modo meno importante rispetto all'adenocarcinoma. • Per via ematica dove, come per tutte le neoplasie stromali, la metastasi è più comune, si verifica generalmente a livello di FEGATO E POLMONI. • Per via endocelomatica. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è molto simile a quella delle forme benigne: è molto difficile fare diagnosi in fase preoperatoria, a volte è perfino difficile diagnosticare la patologia in presenza di un esame estemporaneo. Le caratteristiche cliniche, istologiche e anatomopatologiche sopra descritte sono fondamentali per determinare se la neoplasia sia maligna o benigna. DIAGNOSI: analogamente a quanto detto in precedenza: • diretta addome in presenza di addome acuto. • Clisma del tenue. • TC dell'addome. SOPRAVVIVENZA: 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 4: neoplasie del tenue a 5 anni la sopravvivenza è: • del 60­80% per le forme a bassa malignità. • del 20% nelle forme a ad alta malignità. TUMORI INTESTINALI SECONDARI: la presenza di neoplasie secondarie, cioè metastatiche, nel tenue è relativamente rara, tale evento può riguardare: • tumori di colon o del sigma o dello stomaco tramite fenomeni di contiguità. • Tumori che per via ematogena provocano metastasi, si tratta di: ◦ melanoma. ◦ Carcinoma renale. ◦ Carcinoma mammario. ◦ Carcinoma polmonare. a questo punto il trattamento è purtroppo unicamente palliativo: l'intervento è finalizzato a risolvere l'eventuale quadro di occlusione piuttosto che presentare una finalità risolutiva vera e propria.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto

IL CANCRO DEL COLON RETTO il cancro del colon retto è una patologia neoplastica estremamente comune, complessivamente: • colpisce individui di età superiore ai 50 anni. • Rappresenta la seconda causa di morte nei paesi occidentali. • Presenta una incidenza di circa 15­50 casi su 100.000 abitanti all'anno. Analogamente ad altre neoplasie del tratto gastroenterico riconosciamo anche per il cancro colorettale la presenza di una serie di stadi di sviluppo molto importanti clinicamente: • iperplasia della mucosa. • polipi adenomatosi che crescono verso il lume intestinale: presentando origine dalla mucosa questi polipi sono detti adenomatosi, sono cioè tumori benigni della mucosa, nell'ambito della alterazione della proliferazione cellulare che li caratterizza, questi polipi possono dare fenomeni di displasia. • Displasia lieve. • Displasia grave. • Carcinoma.

MECCANISMI PATOGENETICI:

la causa prima di una alterazione della proliferazione cellulare è chiaramente LA FORMAZIONE DI UNA SERIE DI MUTAZIONI GENICHE, come per tutte le neoplasie si possono registrare sia mutazioni che danno vita ad oncogeni sia mutazioni che inattivano antioncogeni. Complessivamente è importante ricordare due aspetti: • sono necessarie almeno 4­5 mutazioni per ottenere un cancro vero e proprio. • Se alla nascita sono presenti delle mutazioni, la patologia presenterà uno sviluppo maggiormente precoce. FATTORI DI RISCHIO E LESIONI PRECANCEROSE: i fattori di rischio per questo tipo di patologia si dividono in due grandi categorie, a questi fattori di rischio si assomma la presenza di lesioni precancerose vere e proprie, cioè i polipi colorettali: • FATTORI DI RISCHIO NON GENETICI quali: ◦ dieta ricca di grassi. ◦ Carne soprattutto se contenente nitrosamine. ◦ Tabacco. Esistono poi dei fattori PROTETTIVI legati alla dieta quali: ◦ fibre non solubili. ◦ Carotenoidi. ◦ Vitamine C ed E. ◦ folati. ◦ Acidi grassi di tipo omega­3. • SINDROMI EREDITARIE come: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto ◦ poliposi familiare o sindrome di Gardner caratterizzata da una mutazione del gene APC. ◦ Cancro colo rettale ereditario non legato a poliposi, viene detto SINDROME DI LYNCH, tale sindrome può presentarsi in due forme: ▪ tipo I associato al solo cancro colorettale. ▪ tipo II associato invece a neoplasie di altri organi quali: • endometrio. • Ovaio. • Stomaco. • Fegato e vie biliari. La sindrome è relativamente rara, è responsabile di circa il 6% dei cancri del colon retto. I geni coinvolti nello sviluppo di questa patologia sono molto differenti, i due più comuni sono: ▪ hMSH2. ▪ hMSH1. In un paziente giovane è sempre importante sospettare la presenza di un carcinoma colorettale in presenza di una familiarità di questo tipo: ▪ 3 o più parenti con cancro del colon retto documentato. ▪ 1 dei tre parenti deve essere di primo grado. ▪ Caso di carcinoma del colon retto in 2 o più generazioni. ▪ 1 o più neoplasie maligne colorettali in età inferiore ai 50 anni di età. Naturalmente previa esclusione della presenza di una poliposi familiare. In presenza di una anemizzazione con sangue occulto nelle feci, va sempre considerata la possibilità la causa sia un carcinoma colorettale: se necessario è possibile valutare la presenza di una sindrome di Lynch tramite lo striscio di mucosa labiale. • POLIPI ADENOMATOSI che rappresentano le SINDROMI PRECANCEROSE di questo tipo di neoplasia, nello specifico tendono a degenerare con una percentuale di circa il 5% dei casi in 5­10 anni. I polipi adenomatosi possono presentarsi in tre forme distinte: ◦ tubulari dotati di un solo asse vascolare. ◦ Tubulo villosi dotati di un asse che si divide in diversi rami. ◦ Villosi dotati per la loro conformazione anatomica di un alto rischio di invasione sottomucosale. Nel polipo villoso il rapporto superficie volume è molto alto rispetto a quanto non lo sia nel polipo tubulare, di conseguenza il rischio di metastasi è sicuramente maggiormente elevato. Nella valutazione del rischio legato ad una poliposi isolata vanno presi in considerazione sicuramente: ◦ Dimensioni del polipo. ◦ displasia, che risulta grave nel 5­10% dei polipi rimossi. ◦ aree di degenerazione cancerosa eventualmente presenti. LA PREVENZIONE: nel corso di questi anni si è valutata la possibilità, al fine di ridurre la incidenza di questa patologia tanto diffusa, di eseguire misure di prevenzione: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto PREVENZIONE PRIMARIA, dove sicuramente la DIETA gioca un ruolo fondamentale, sono stati sperimentati approcci differenti come la assunzione di: ◦ selenio. ◦ Antinfiammatori. I risultati tuttavia sono stati abbastanza discordanti. • PREVENZIONE SECONDARIA che consiste nella identificazione delle lesioni precancerose, complessivamente si possono eseguire: ◦ sangue occulto nelle feci a cadenza annuale o biennale. ◦ Se viene identificato un adenoma va eseguita una colonscopia ogni 2­5 anni; certamente la colonscopia è la misura di screening più adatta, tuttavia: ▪ i costi sono maggiori. ▪ La compliance del paziente può risultare molto più scarsa. Nel momento in cui si imposti un follow up tramite colonscopia per un cancro colorettale bisogna prendere in considerazione alcuni aspetti: • pazienti operati di cancro colorettale devono eseguire un follow up colonscopico: il cancro tende a disseminarsi per via endoluminale, un controllo è essenziale per valutare la presenza di impianti a valle eventualmente non visibili al momento dell'intervento. • Il cancro è associato a poliposi, oltre a quello individuato possono essere presenti altri polipi o altri polipi possono formarsi nel tempo, il paziente va sempre controllato quindi. • Rettocolite ulcerosa: si tratta di una condizione patologica precancerosa; rispetto alla popolazione normale questi pazienti hanno un alto rischio di sviluppare carcinomi colorettali e vanno per questo sottoposti a controlli. • Poliposi familiare diffusa che si manifesta in età molto giovane, intorno ai 10 anni se non prima, si esegue quindi sempre una rettosigmoidoscopia annuale in questi pazienti: ◦ in età infantile o prepuberale si rimuovono polipi adenomatosi presenti. ◦ Con l'età adolescenziale e adulta si esegue una vera e propria procoto­colectomia totale: tale intervento è fondamentale ad evitare la formazione di carcinomi colorettali, ma non può essere eseguita precedentemente in quanto la assenza del colon compromette lo sviluppo dell'organismo. • Sindrome di Lynch: in presenza di una mutazione coprovata si esegue una coloscopia ogni 2 anni. LE SINDROMI POLIPOSICHE: le sindromi poliposiche sono sindromi ereditarie e sporadiche che si manifestano con lesioni amartomatose, angiodisplastiche e adenomatose. Tra queste ricordiamo: • POLIPOSI ADENOMATOSE come la poliposi familiare, distinguiamo dal punto di vista pratico: ◦ POLIPOSI ADENOMATOSA FAMILIARE, legata a mutazioni del cromosoma 5. ◦ SINDROME DI GARDNER si tratta di una forma di FAP associata a: ▪ osteomi. ▪ Fibromatosi. ▪ Cisti epidermiche. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto

◦ SINDROME DI TURCOT, si tratta di una forma di FAP associata a neoplasie del sistema nervoso. POLIPOSI NON ADENOMATOSE come: ◦ SINDROME DI PEUTZ­JEGHERS: sindrome autosomica dominante a penetranza variabile caratterizzata da manifestazioni a carico della cute e del tratto gastroenterico. Generalmente: ▪ colpisce entrambi i sessi. ▪ Interessa la II­III decade. Le manifestazioni sono: ▪ POLIPI AMARTOMATOSI principalmente Poliposi adenomatosa familiare legati a proliferazione della muscolaris mucosae nel tenue: • La possibilità di degenerazione è bassa, sotto il 2%. • possono essere associate ad altre neoplasie. • Se si manifestano con dolore e sanguinamento cronico, possono essere rimossi. Le indicazioni alla rimozione chirurgica sono: • nello stomaco e nel tenue si asportano solo i polipi sopra il centimetro e mezzo. • Nel colon si tolgono tutti i polipi sopra gli 0,5 cm. Viene normalmente condotto un follow up ogni 2 anni. ▪ LENTIGNOSI: • in corrispondenza della zona peribuccale. • Della regione anale. • Delle palme delle mani. ◦ SINDROME DI CRONKHITE­CANADA, patologia rarissima caratterizzata da: ▪ poliposi diffusa di tipo amartomatoso. ▪ Alopecia. ▪ Ipopigmentazione. nella maggior parte dei casi sono interessati stomaco e duodeno, raggiungibili endoscopicamente. ◦ SINDROME DI COWDEN, malattia ereditaria autosomica dominante caratterizzata da: ▪ manifestazioni cutanee e della mucosa orale. ▪ Polipi gastrointestinali. ◦ NEUROFIBROMATOSI DI VON RECKLINGHAUSE, caratterizzata da: ▪ neurofibromi cutanei. ▪ Poliposi. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto ▪ Varie e diverse manifestazioni. ◦ POLIPOSI GIOVANILE AMARTOMATOSA: si tratta di una poliposi giovanile caratterizzata dalla presenza di polipi adenomatosi. ◦ SINDROME DI RENDU­OSLER­WEBER detta anche TELENGECTASIA EMORRAGICA EREDITARIA, si associa spesso a poliposi adenomatosa giovanile.

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

analogamente a quanto detto per il carcinoma gastrico, anche per il cancro colorettale si possono risconoscere quadri di presentazione macroscopica differenti: • ulcerato. • Polipoide o vegetante. • Anulare o stenosante. • Infiltrante.

Esempi di carcinoma del colon retto, a sinistra una forma ulcerativo infiltrativa e a destra una forma tipicamente polipide

Anche la sede di insorgenza può essere molto variabile, ricordiamo: • si colloca nelle regioni del retto e del sigma nel 55% dei casi. • Si colloca nel colon discendente in circa l'8% dei casi. • Nel colon transverso si registra circa nel 13% dei casi. • Nel colon ascendente circa nell'11% dei casi. • Nel cieco infine nel 13% dei casi circa. Dal punto di vista istologico le neoplasie del colon retto possono presentare natura: • EPITELIALE ed essere quindi: ◦ ADENOCARCINOMI di tipo mucinoso, ad anello con castone, squamoso o adenosquamoso. ◦ CARCINOIDI: che producono soprattutto serotonina ma anche noradrenalina, possono provocare la cosiddetta sindrome da carcinoide. Lo sviluppo di questa patologia è il seguente: ▪ inizialmente vengono prodotti elementi catecolaminergici e serotoninergici, ma il 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto sangue colorettale, giunto al fegato, viene depurato da queste sostanze dalle MAO in questa sede particolarmente presenti. ▪ Nel momento in cui il carcinoide dia delle metastasi a livello epatico queste cominceranno a produrre catecolamine e serotonina dando sintomi sistemici evidenti. • NON EPITELIALI come: ◦ leiomiosarcomi, i più comuni. ◦ Sarcomi e altre neoplasie dei tessuti stromali. • NEOPLASIE LINFATICHE cioè veri e propri linfomi. La patologia neoplastica più frequente resta comunque l'adenocarcinoma. IL GRADING: si distinguono tre gradi di displasia dal punto di vista anatomopatologico: • I ben differenziato, si registra nel 20% dei casi. • II moderatamente differenziato si registra nel 60% dei casi. • III scarsamente differenziato o anaplastico, si registra in circa il 20% dei casi.

ASPETTI CLINICI:

dal punto di vista clinico possiamo sicuramente riconoscere una serie di sintomi più o meno evidenti e ovviamente delle complicanze che possono risultare letali. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia si divide abbastanza nettamente in due categorie a seconda che il cancro sia colico o rettale: • CANCRO DEL COLON, distinguiamo due quadri: ◦ accrescimento e conseguente ostacolo meccanico alla progressione del contenuto intestinale. Registriamo quindi: ▪ Stipsi, diminuzione della frequenza dell'alvo, varia molto sulla base di diversi aspetti: presenza di un dolicocolon, dieta, e altri fattori di importanza più o meno significativa. Ricordiamo che fisiologicamente il transito intestinale può durare fino ad un massimo di 96 ore, quindi una frequenza dell'alvo anche di 1 volta ogni 4 giorni viene considerata normale. Dal punto di vista clinico: • una stipsi può in alcuni casi essere presente senza altri motivi particolari. • Una tendenza al rallentamento dell'alvo deve dare adito a maggior sospetto. ▪ la parte solida delle feci forma una subocclusione che impedisce il transito delle feci provocando nel corso del tempo un quadro di questo tipo: • dolori crampiformi. • La mucosa produce, a causa della infiammazione, liquidi che sciolgono parte della occlusione. • Parte del flusso colorettale si libera e delle feci scendono a valle della occlusione. Si parla di ALVO ALTERNANTE: il paziente non va di corpo per qualche giorno, riprende poi con il tempo il transito intestinale. Si parla spesso di sindrome di Koenigh. ▪ Occlusione definitiva, evento tardivo ma possibile. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto ◦ Come il tumore cresce, le parti più esterne vanno in necrosi, si formano delle aree di degenerazione e sanguinamenti interni al lume: ▪ generalmente occulti. ▪ Raramente emorragie evidenti cioè coloraggia. Si possono avere delle anemizzazioni estremamente importanti. ◦ La possibilità di palpare masse addominali è estremamente rara. Altra differenza importante dal punto di vista sintomatologico si può registrare tra i due segmenti colici destro e sinistro: ◦ il colon destro è più largo e presenta un contenuto di feci meno formate. ◦ Il colon sinistro è più stretto e presenta un contenuto di feci più formate. Di conseguenza il quadro subocclusivo e occlusivo sono più tipici del colon sinistro, nella parte destra del colon la massa può essere asintomatica più a lungo. • CANCRO DEL RETTO, la neoplasia in questo caso può collocarsi: ◦ nella ampolla rettale ove difficilmente darà occlusioni visto l'importante diametro che caratterizza il lume. ◦ Nelle parti meno ampie del retto dove la sintomatologia sarà maggiormente evidente. Complessivamente i sintomi possono essere: ◦ Mucorrea. ◦ Rettoralgia. ◦ Nella ampolla sono presenti delle terminazioni nervose responsabili della sensazione di riempimento della ampolla stessa: la stimolazione alla sensazione di dover andare di corpo ma non riuscirci provoca un tenesmo. ◦ se viene infiltrata la fascia pelvica si possono verificare dei dolori per infiltrazione del nervo sciatico. ◦ Se viene infiltrato il piano sfinteriale anale si verificheranno dei dolori a livello del piano sfinteriale, in regione peritoneale. COMPLICANZE: complicanze tipiche di questo tipo di neoplasia sono: • OCCLUSIONE INTESTINALE. • ASCESSUALIZZAZIONE: dovuta principalmente a colonizzazione dei fenomeni di necrosi dovuti ad agenti infettivi intestinali, provoca la formazione di un CANCRO ASCESSO con tutta la sintomatologia che ne consegue. • PERFORAZIONE avviene generalmente a causa di una ostruzione, si tratta di una PERFORAZIONE DIASTASICA che generalmente avviene in questo caso a livello del cieco, si manifesta con: ◦ occlusione. ◦ Segno di blumberg positivo a desta. Di conseguenza: ◦ prima di eseguire una appendicectomia in un paziente sospetto è sempre meglio controllare la possibilità che la causa della patologia sia una neoplasia colorettale sinistra. 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto ◦ Prima di somministrare un purgante ad un paziente è indispensabile controllare che non vi siano delle occlusioni di qualsiasi tipo e a maggior ragione di questo: la rottura del cieco, che avviene per regimi pressori abbastanza alti, intorno ai 70mcH2O, provoca delle peritoniti stercoracee difficilissime da trattare. Dal punto di vista clinico IL PAZIENTE OCCLUSO NON PRODUCE NE FECI NE GAS, IL PAZIENTE STITICO SOLO GAS, ma il suo alvo non è completamente chiuso. • FISTOLIZZAZIONE dovuta ad infiltrazione di organi circostanti e conseguente necrosi, possono essere coinvolti: ◦ apparato urinario. ◦ Vagina. ◦ Intestino. ◦ Cute. Sono fistole NEOPLASTICHE in questo caso. Le complicanze ad oggi sono raramente il sintomo di presentazione della malattia. INFILTRAZIONE METASTATICA: analogamente ad altre patologie neoplastiche, anche il cancro colorettale può dare fenomeni di metastasi ovviamente, nel caso specifico: • per continuità e contiguità tramite cui può raggiungere praticamente qualsiasi organo vicino, nello specifico ricoriamo che: ◦ le neoplasie maligne del cieco non superano praticamente mai la valvola ileocecale. ◦ Le neoplasie del sigma possono farsi strada verso il basso ed invadere il canale anale interessandolo completamente. • Per contiguità possono essere infiltrati: ◦ COLON dove possono essere interessati omento, anse intestinali, milza, fegato, retroperitoneo principalmente. ◦ RETTO che può invece invadere gli apparati genitali maschile o femminile, vescica, ed eventualmente gli ureteri soprattutto: la metastasi ureterale finisce per provocare la stenosi dell'uretere stesso con conseguente idroureteronefrosi e insufficienza renale. • Via linfatica tramite cui possono essere raggiunte diverse sedi a seconda delle aree di drenaggio, ricordiamo: ◦ il colon destro drena tramite la vena colica destra alla mesenterica superiore. ◦ Il colon trasverso drena alla vena colica media e quindi alla mesenterica superiore. ◦ Il colon sinistro drena alla vena mesenterica inferiore tramite la colica sinistra. ◦ Il sigma drena alla vena mesenterica inferiore. ◦ Il retto ha un drenaggio linfatico variabile, distinguiamo infatti tre parti dotate di drenaggio linfatico differente: ▪ regione prossimale che drena alla vena mesenterica inferiore. ▪ Regione laterale che si presenta intermedia per drenaggio tra le vene mesenterica inferiore e i vasi iliaci interni. ▪ Distale che invece fa capo a: • linfonodi perianali. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto

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• Linfonodi della fossa ischio pubica. • Linfonodi inguinali. In alcuni casi può essere presente un intasamento metastatico dei vasi linfatici tale da precludere il drenaggio verso le parti superiori del corpo e ingrossando quindi le regioni di drenaggio inferiori. ◦ Il drenaggio linfatico dell'ano coinvolge: ▪ linfonodi della fossa ischiorettale. ▪ Linfonodi perianali. Per via ematica la neoplasia può interessare: ◦ FEGATO, come accennato in precedenza è la prima stazione vascolare a partire dall'area colica e rettale. ◦ POLMONE. ◦ SURRENE. ◦ CERVELLO. ◦ Qualsiasi parte del corpo. via endocelomatica: superata la sierosa lo sfogliamento delle cellule nel lume può provocare una importante carcinosi peritoneale. Via endoluminale: come accennato in precedenza le cellule si sfogliano e si piantano a valle lungo il lume intestinale.

DIAGNOSI:

si fa con: • ESAME OBIETTIVO DELL'ADDOME, raramente positivo, spesso è fondamentale il controllo tramite esplorazione rettale che VA SEMPRE ESEGUITO. • RICERCA DEI MARKERS TUMORALI come: ◦ CEA che aiuta soprattutto nel controllo post operatorio. ◦ TAG­72. ◦ CO17­1A • COLONSCOPIA CHE RAPPRESENTA L'ESAME FONDAMENTALE GENERALMENTE DIAGNOSTICO. • CLISMA OPACO: esame radiologico che si basa sulla radiopacità data dal un clisma fatto con bario che mette in evidenza la conformazione delle pareti del colon. Non è un esame di prima scelta in quanto per la diagnosi sono essenziali delle biopsie. In caso di DOLICOSIGMA o DI ALTERAZIONI CONFORMAZIONIALI DEL COLON, per esempio a seguito di flogosi diverticolare cronica con angolature, può risulta essenziale. • COLONSCOPIA VIRTUALE TC eseguita con mezzo di contrasto che permette la ricostruzione tridimensionale del colon senza necessità di eseguire colonscopie. Si tratta di una tecnologia ancora in fase di sperimentazione.

STADIAZIONE DELLA NEOPLASIA:

anche in questo caso è fondamentale la stadiazione per la scelta del trattamento, distinguiamo: • IL CANCRO DEL COLON dove l'intervento è dettato da ragioni anatomiche oltre che dalla stadiazione. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 5: cancro del colon retto CANCRO DEL RETTO, dove invece la stadiazione della neoplasia è fondamentale al fine di CONSERVARE LA FUNZIONE SFINTERIALE IL PIÙ POSSIBILE, in caso contrario il rischio è di condannare il paziente alla colostomia. La terapia neoadiuvante a questo proposito è fondamentale. PARAMETRO T: si esegue con: • esplorazione rettale: se c'è una massa fissa significa che il tumore ha già infiltrato gli strati profondi della parete, se permane mobile la prognosi è migliore. • ECOENDOSCOPIA che da indagini decisamente più precise. • TC ed RMN che presentano limiti molto seri come per tutte le altre patologie, sicuramente la RM in questo caso è più utile. PARAMETRO N: che può essere valutato tramite: • ECOENDOSCOPIA. • RM che anche in questo caso è superiore alla TC. PARAMETRO M: vanno sempre valutati: • RX TORACE per escludere metastasi polmonari. • TC dell'addome per valutare metastasi epatiche. • Altre indagini vanno svolte su guida clinica, sulla base cioè dei sintomi registrati. •

PROGNOSI:

ovviamente strettamente correlata alla stadiazione della malattia, nel complesso: • se la patologia interessa solo mucosa e sottomucosa, la prognosi è tra 81 e 95%. • se la patologia interessa la tona muscolare la prognosi peggiora. • Se sono interessati anche linfonodi locali la prognosi è pessima. Per la diagnosi più precoce possibile si consiglia sempre una colonscopia dai 45­50 anni in su.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 6: malattie della appendice

PATOLOGIA DELLA APPENDICE le patologie della appendice sono ritrovamenti clinicamente estremamente comuni, si parla di: • APPENDICITE ACUTA. • MUCOCELE APPENDICOLARE. • NEOPLASIE MALIGNE DELLA APPENDICE come: ◦ carcinoide ◦ cistoadenocarcinoma mucinoso ◦ adenocarcinoma ◦ linfomi maligni

APPENDICITE ACUTA:

patologia estremamente comune che compare praticamente a qualsiasi età: • prevalente nell'adolescenza e nell'età infantile. • Solo 1% dei pazienti è in età pediatrica, con un picco verso i 12 anni. • i maschi ne sono maggiormente colpiti. Gli agenti infettivi coinvolti sono fondamentalmente PIOGENI come coli, staffilococchi, streptococchi e pneumococchi, e ANEROBI, questi possono raggiungere l'appendice: • per via enterogena attraversando la mucosa. • Per via ematogena. EVOLUZIONE ANATOMOPATOLOGICA E CLINICA: l'evoluzione anatomopatologica della malattia appendicolare acuta corrisponde e si presenta parallela alla evoluzione clinica della stessa, da questo punto di vista riconosciamo tre forme: 1. CATARRALE, caratterizzata da una flogosi relativamente limitata. 2. FLEMMONOSA simile ad una peritonite acuta circoscritta. 3. GANGRENOSA estremamente grave e rapida nella sua evoluzione può portare a peritonite.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 6: malattie della appendice

Appendicite acuta, flogosi non particolarmente importante, la appendice è allargata certamente e la mucosa arrossata, la colecisti è stata rimossa prima che si verificassero complicanze acute come perforazione o necrosi di parete.

COMPLICANZE POSSIBILI: le complicanze possibili di una appendicite sono FONDAMENTALMENTE PERITONITI, queste possono essere: • da diffusione. • Da perforazione. E presentarsi a seconda della plasticità peritoneale e della gravità del quadro come GENERALIZZATE o LOCALIZZATE, generalmente rientrano in questa seconda categoria. L'ascesso che viene a formarsi in questi casi risulta correlato per sede alla posizione della appendice, nello specifico: • normale. • Ileolombare. • Mesoceliaco. • Pelvico. • Sottoepatico. Dando quadri estremamente differenti in termini di presentazione clinica che può risultare a volte fuorviante. SINTOMATOLOGIA: dal punto di vista clinico la patologia si presenta con: • dolore inizialmente epi mesogastrico, non ben localizzato. • Spostamento del dolore e sua localizzazione in fossa iliaca destra. • Irradiazione del dolore, generalmente nelle ore successive: ◦ obelico. ◦ Bacino. ◦ Coscia, soprattutto se l'appendice si colloca in prossimità dello PSOAS. ◦ Regione lombare. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 6: malattie della appendice • Nausea e vomito, tipici sintomi neurovegetativi. • Tachicardia. • Febbre, evidente in particolare il rialzo della temperatura rettale. • Possibile iniziale diarrea. ESAME OBIETTIVO: l'obiettività nel paziente affetto da APPENDICITE NELLA SUA FORMA CLASSICA è estremamente eloquente, sicuramente riscontriamo: • una contrattura di difesa, più o meno evidente e diffusa, si manifesta generalmente più tardivamente. • Segni di BLUMBERG e ROVSING positivi. • Dolore dei punti appendicolari. • Dolore lungo la cresta iliaca, soprattutto se l'appendice si colloca in sede retrocecale. • Punto di douglas dolente se la appendice è in sede pelvica. INDAGINI DI LABORATORIO: dal punto di vista laboratoristico riconosciamo la presenza di: • LEUCOCITOSI che può essere assente o tardiva in caso di infezione da batteri gram negativi. • NEGATIVITÀ DELL'ESAME DELLE URINE consente di eliminare la possibilità che si tratti di una colica ureterale. INDAGINI RADIOLOGICHE: dal punto di vista dell'imaging ricordiamo che si possono utilizzare: • RX diretta addome. • Ecografia, con eventuale drenaggio dell'ascesso se pungibile. • TC dell'addome. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: l'appendicite rappresenta un importante problema in termini di diagnosi differenziale, in termini pratici infatti sono numerossime le patologie che possono mimare una appendicite e viceversa: • gastroenterite. • Ulcera perforata. • Morbo di crohn. • Adenomesenterite acuta. • Colica ureterale destra e pielite. • Colecistite. • Diverticolite di Meckel. • Pleuropolmonite destra. • Patologie di natura ginecologica: ◦ annessite destra. ◦ Gravidanza extrauterina destra. ◦ Cisti ovarica. ◦ Endometriosi. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 6: malattie della appendice

IL MUCOCELE APPENDICOLARE: con il termine MUCOCELE APPENDICOLARE si indica una lunga serie di patologie in grado di provocare UNA DILATAZIONE CISTICA DEL LUME APPENDICOLARE CON CONSEGUENTE ACCUMULO DI MUCO. EPIDEMIOLOGIA: si tratta di una patologia: • relativamente rara, rappresenta lo 0,1­0,4% delle patologie dell'appendice. • Presenta una maggiore incidenza nel sesso femminile. • Colpisce soprattutto pazienti sopra i 50 anni. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: dal punto di vista anatomopatologico può essere causato da una lunga serie di patologie differenti come: • RITENZIONE CISTICA CON ATROFIA MUCOSALE, si tratta di una forma poco comune, circa il 18% dei casi. • IPERPLASIA DELLA MUCOSA SENZA ATIPIE come avviene nel 20% dei casi. • CISTOADENOMA MUCINOSO che si caratterizza per la presenza di: ◦ mucosa iperplastica mucosecernente. ◦ Formazioni papillifere e atipie cellulari limitate. Rappresenta il 52% dei casi. • CISTOADENOCARCINOMA MUCINOSO, dotato di alto grado di atipie e invasione delle strutture vicine, rappresenta circa il 10% dei casi. ASPETTI CLINICI: il mucocele appendicolare si presenta: • spesso asintomatico, in una percentuale variabile tra 11 e 47%. • dolore nella fossa iliaca destra, come avviene nel 65% dei casi. • Tumefazione palpabile come avviene raramente, circa il 5% dei casi. • A volte si può manifestare direttamente in forma di complicanza tramite: ◦ occlusione. ◦ Invaginazione ileocolica. ◦ Peritonite. ◦ Rettoralgia. ◦ Pseudomixoma peritoneale, si regista circa nel 6% dei casi. DIAGNOSI: dal punto di vista della diagnosi si possono utilizzare: • ecografia. • TC. • clisma opaco. • Endoscopia,

NEOPLASIE MALIGNE DELL'APPENDICE:

le neoplasie maligne dell'appendice sono fondamentalmente: • CARCINOIDE, rappresenta: 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 6: malattie della appendice ◦ lo 0,2% delle patologie appendicolari. ◦ 80­90% dei tumori dell'appendice. • CISTOADENOCARCINOMA MUCINOSO, rappresenta circa l'8% dei casi. • ADENOCARCINOMA, raro. • LINFOMI MALIGNI, molto raro. ASPETTI CLINICI: clinicamente sono patologie difficili da riconoscere che spesso entrano in diagnosi differenziale con altre patologie appendicolari, in generale danno: • dolore localizzato. • Nausea. • Vomito. Sintomi molto aspecifici, entrano per questo entrano spesso in diagnosi differenziale con: • appendicite. • Annessite. • Neoplasie del cieco. • Neoplasie dell'ovaio destro.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali

LE PATOLOGIE DELL'ANO le patologie anali sono patologie estremamente comuni e che possono essere spesso poste in diagnosi differenziale con problematiche molto importanti quali, per esempio carcionomi del tratto gastroenterico. Tra le patologie dell'ano ricordiamo: • le emorroidi. • La ragade anale. • Ascessi anorettali. • Malattia di Vernuil. • Fistole.

LE EMORROIDI:

le emorroidi sono delle varici cioè delle dilatazioni della parete venosa dovute o associate alla alterazione della struttura della parete della vena stessa localizzate al plesso venoso emorroidario. Il plesso emorroidario è un plesso venoso di importanza fondamentale che si colloca a livello della parete dell'ano, nello specifico: • si colloca in sede sottomucosa. • È tributario di due sistemi venosi che sono messi in comunicazione tra loro tramite tali vene: ◦ IL SISTEMA PORTALE che comunica con le vene emorroidarie superiori. ◦ IL SISTEMA CAVALE che comunica con le vene emorroidarie inferiori e medie tramite la vena ipogastrica inferiore. La presenza di queste comunicazioni fisiologiche assume una importanza fondamentale nella comprensione della eziologia di tali patologie. EPIDEMIOLOGIA: è importante ricordare il fatto che L'INCIDENZA REALE È DIFFICILE DA DEFINIRE vista la scarsa rilevanza clinica della patologia, in ogni caso non si registrano differenze in termini di sesso, età e razza. FATTORI DI RISCHIO: dal punto di vista fisiopatologico distinguiamo due tipi di emorroidi: • EMORROIDI SINTOMATICHE conseguenza di una ipertensione portale. • EMORROIDI IDIOPATICHE, non per questo asintomatiche, associate a fattori quali: ◦ AUMENTO DELLA PRESSIONE ENDOADDOMINALE, per esempio in caso di: ▪ gravidanza: • l'utero gravidico incrementa la pressione nell'addome. • La gravidanza si associa ad un incremento della lassità della muscolatura liscia come noto. ▪ Ascite. ▪ Tumori pelvici. ◦ DIETA, influiscono in modo importante cibi irritanti, caffè e alcool. ◦ FATTORI FAMILIARI: patologie associate ad alterazioni della tenuta delle fibre elastiche possono essere causa di varici, ernie e simili. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali PATOGENESI: dal punto di vista patogenetico sono due le cause dirette di emorroidi: • IPERTONO SFINTERIALE alla base generalmente della EMORROIDE IDIOPATICA. • IPERTENSIONE PORTALE alla base come accennato della EMORROIDE SINTOMATICA. CLASSIFICAZIONE: le emorroidi possono essere clinicamente classificate in quattro gradi: • I GRADO cioè un aumento di volume della vena in assenza di prolasso esterno, si parla di emorroidi interne. • II GRADO protrusione all'esterno a seguito di ponzamento, in questo caso: ◦ si forma un vero e proprio prolasso. ◦ con la cessazione della spinta l'emorroide torna alla sua posizione originale spontaneamente. • III GRADO protrusione all'esterno con ponzamento: ◦ analogamente al grado precedente, si forma un prolasso. ◦ La riduzione della emorroide in sede avviene solo manualmente. • IV GRADO o prolasso irriducibile, visibile nell'immagine. ASPETTI CLINICI: dal punto di vista clinico è importante ricordare che le emorroidi si presentano al medico molto spesso per due motivi: • prolasso mucoso, rappresentano la prima causa di prolasso mucoso nell'adulto. • Sanguinamento con le feci.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali Clinicamente le emorroidi possono apparire all'esame obiettivo: • protrusioni a disposizione ad ore 11, 7 e 3: si tratta della posizione anatomica normale dei tre pilastri principali del plesso emorroidario. • Protrusioni a disposizione disorganizzata, in alcuni casi non sono riscontrabili geometrie vere e proprie. • Forme trombizzate: ◦ generalmente sono di colore violaceo. ◦ Possono ridursi nella loro posizione originale, ma restano generalmente comunque visibili. • Forme di prolasso mucoso: tutta la mucosa dell'ano protrude e diviene visibile, eventualmente si può arrivare ad osservare la linea pettinata, si parla in questo caso anche di prolasso rettale.

SINTOMI; di base le emorroidi sono asintomatiche, ma soprattutto in presenza di pulizia inadeguata si possono avere: • sintomi relativamente importanti quali: ◦ prurito. ◦ Bruciore. Tra i più comuni accusati dal paziente. • Complicanze vere e proprie che spesso portano il paziente alla attenzione medica: ◦ emorragia: l'emorragia da emorroidi avviene A SEGUITO DEL PONZAMENTO con l'uscita del cilindro fecale che traumatizza la mucosa, dando un sanguinamento superficiale. ◦ Trombosi che, come accennato generalmente si manifesta come una colorazione 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali bluastra della vena. ◦ Strozzamento, l'emorroide diviene spesso nera. DIAGNOSI: la diagnosi è relativamente agevole se viene condotta una ESPLORAZIONE RETTALE, questa risulta fondamentale nel momento in cui sia necessario escludere la presenza di un carcinoma. Vanno valutati: • la presenza di tumefazioni procidenti dall'ano seprate da pliche radiali con eventuale presenza di segni di flogosi. • Come accennato le tumefazioni di maggior volume si collocano generalmente ad ore 3­ 7­11. • Riducibilità della emorroide. • Consistenza che deve essere molle elastica. • Valutare la presenza di ipertono sfinterico eventualmente. • Valutare se lungo l'emorroide risulti apprezzabile: ◦ una soluzione di continuo sanguinante. ◦ Un coagulo o erosione segno di pregresso sanguinamento. Al termine dell'esplorazione rettale è indispensabile essere CERTI CHE IL SANGUINAMENTO EVENTUALMENTE REGISTRATO PROVENGA DALLE EMORROIDI, in caso contrario vanno prescritti degli approfondimenti quali: • ANOSCOPIA, cioè con un visualizzatore del canale anale per approfondire la presenza di eventuali altre patologie. • COLONSCOPIA sopratutto se il paziente ha più di 50 anni. • MANOMETRIA per valutare il tono dello sfintere e la sua funzione. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: è fondamentale distinguere le emorroidi da patologie quali: • carcinomi di: ◦ retto. ◦ Ano. Queste tumefazioni presentano generalmente una consistenza dura alla esplorazione rettale. • Prolasso rettale dove tutte e tre le tuniche del retto sono interessate, non solo la mucosa.

RAGADE ANALE:

la ragade anale è un'altra patologia frequente e spesso le emorroidi stesse si associano a ragadi anali. Si tratta di ulcerazioni dermoepidermiche a forma di fessura situate nel fondo di una piega raggiata dell'ano. La sede più comune di insorgenza è la COMMISSURA POSTERIORE, A ORE 6. Molto spesso la tasca che si forma a seguito dello scollamento delle tuniche nella ragade provoca la emersione di una emorroide sentinella, non si tratta di una vera e propria emorroide, ma di una tumefazione macroscopicamente simile. EPIDEMIOLOGIA: si tratta di una patologia che colpisce anche persone giovani, trenta­quarant'anni, non colpisce 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali il sesso femminile in maniera particolare. PATOGENESI: dal punto di vista patogenetico il processo è fondamentalmente questo: • si innesca un ipertono sfinteriale generalmente a causa di fattori predisponenti. • Il paziente, soprattutto se stitico, emette feci dure. • l'evacuazione diviene difficoltosa. Il cilindro fecale che si forma è molto duro e traumatizza la mucosa costantemente comportando prima una piccola erosione che poi si approfondisce fino a diventare UN'ULCERA: • c'è difficoltà nella guarigione, vista la zona in cui si colloca la soluzione di continuo. • Si instaura un meccanismo PERVERSO PER CUI IL DOLORE ALLA DEFECAZIONE AUMENTA IL TONO SFINTERIALE E QUINDI IL TRAUMA ALLA DEFECAZIONE SUCCESSIVA. • L'evacuazione diviene sempre più difficoltosa. La ragade con il tempo e i traumatismi continui diviene cronica. ASPETTI CLINICI: la localizzazione della ragade è: • nell'80% dei casi nella commissura posteriore. • raramente nella commissura anteriore. • Eccezionale nella commissura laterale. Spesso alla ispezione si presenta con: • margini sottominati. • Presenza di un diverticolo che può essere esterno, come avviene praticamente sempre, è l'emorroide sentinella, laterale o interno. SINTOMATOLOGIA: Ragade anale dal punto di vista sintomatologico ricordiamo che la ragade si presenta sicuramente accompagnata da: • DOLORE che è sicuramente il sintomo principale. • STIPSI: il dolore alla defecazione aumenta il tono simpatico e quindi quello sfinteriale, d'altro canto si insatura un meccanismo psicologico che induce una riluttanza ad andare di corpo a causa del dolore stesso. • SANGUINAMENTO simile a quello visibile nelle emorroidi eventualmente: modesto, rosso e vivo durante la defecazione. ESAME OBIETTIVO: all'esame obiettivo si possono evidenziare: • divaricando l'ano alla ispezione possiamo individuare direttamente la soluzione di continuo. • Si può individuare la emorroide sentinella. • L'esplorazione rettale in questi pazienti è difficile in quanto è tutto molto dolorabile: ◦ bordi dell'ulcera. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali ◦ Spessore e rilievo dell'ulcera. IL BORDO DELLA RAGADE VA SEMPRE ANALIZZATO DALL'ANATOMOPATOLOGO, il rischio è infatti quello che si possa trattare di un carcinoma dell'ano. Spesso la sola divaricazione manuale delle natiche può provocare dolore, è indicato quindi utilizzare una garza imbevuta di ANESTETICO LOCALE come la XILOCAINA o una pomata a base di LIDOCAINA prima di eseguire qualsiasi altra manovra. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: anche in questo caso può essere importante la diagnosi differenziale con condizioni quali: • fistole anali. • Ulcere trabecolari. • ulcere luetiche terziarie. • morbo di Chron: da sospettare sempre in presenza di lesioni recidivanti e multiple, può interessare anche l'ano come noto. • Carcinoma anale come accennato in precedenza.

ASCESSO ANORETTALE:

si tratta di una condizione abbastanza frequente, nel complesso ricordiamo che tale patologia: • è più comune nell'uomo, tre volte di più. • Colpisce individui tra 30 e 40 anni. PATOGENESI: un ascesso anorettale si verifica in presenza di una delle seguenti condizioni: • infezione in corrispondenza di una ghiandola criptica. • Sovrainfezione di una ragade. • Trauma. • Intervento chirurgico. Nel complesso l'agente patogeno coinvolto può essere: • GRAM NEGATIVO nella maggior parte dei casi: escherichia coli o proteus vulgaris. • GRAM POSITIVO, staffilococchi, streptococchi o anerobi, si tratta di evenienze più rare ma possibili, la colonizzazione arriva dalla cute in questo caso generalmente. ASPETTI CLINICI: l'ascesso anorettale può collocarsi in cinque sedi differenti: • MARGINALE cioè nel punto di passaggio tra ano e derma. • SOTTOMUCOSO cioè immediatamente sotto la mucosa. • INTERSFINTERICO cioè all'interno del piano dello sfintere. • ISCHIORETTALE all'esterno dell'apparto sfinteriale. • PELVIRETTALE al di sopra del muscolo elevatore dell'ano: sono forme estremamente profonde rispetto a quelle precedentemente descritte, questi ascessi per divenire evidenti devono oltrepassare il muscolo elevatore dell'ano e portarsi alla cute. SINTOMATOLOGIA: anche nelle forme profonde alcuni sintomi sono presenti. La sintomatologia generalmente è la seguente: • dolore che aumenta con: 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali ◦ defecazione. ◦ Tosse. ◦ Pressione. Si registra in misura minore nelle forme ischiorettale e pelvirettale eventualmente, diviene evidente con il tempo. • febbre che si presenta: ◦ inizialmente continua e dovuta al flemmone diffuso. ◦ Con l'organizzazione della raccolta si forma un ascesso vero e proprio con febbre di tipo suppurativo, pomeridiana. • Malessere generale, c'è un interessamento di tutto l'organismo. • Caratteri dell'ascesso se sono visibili: la esplorazione rettale può essere fondamentale in questi casi, si palpa generalmente una deformazione dolente della parete da compressione della parete esterna. DIAGNOSI: la diagnosi è: • CLINICA per gli ascessi a localizzazione normale. • TRAMITE RADIOIMAGING per ascessi di tipo SOVRASFINTERICO, si utilizzano: ◦ TC. ◦ ECO TRANSRETTALE.

MALATTI A DI VERNEUIL:

la malattia di verneuil è una IDROSOADENITE perineale che si traduce nel tempo in una malattia infiammatoria cronica del tessuto sottocutaneo: tali raccolte possono essere prossime al contorno anale ma non interessano direttamente l'ano come gli ascessi, sono di pertinenza perineale. Complessivamente si tratta di una patologia: • rara. • Che non compare prima della pubertà quando cioè le ghiandole apocrine sudoripare assumono la loro funzione matura. EVOLUZIONE DELLA MALATTIA: una volta originato il processo suppurativo la patologia può evolvere: • ad una fistola non comunicante con il lume intestinale. • Ad epitelioma spino cellulare, può infatti cancerizzare nel 3.5% dei casi. SINTOMATOLOGIA: la patologia si manifesta con: • una tumefazione IPODERMICA dolente nella fase ACUTA. • Una tumefazione ipodermica non dolente nella fase CRONICA. A seconda del grado di gravità e della evoluzione della malattia, possono formarsi: • tumefazioni multiple suppurate con gemizio di liquido sieropurulento inodore. • Piastrone perineale violaceo teso e dolente, spesso con tramiti fistolosi. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: la patologia va distinta da: • foruncolosi, generalmente maggiormente localizzata e meno grave. 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali • • • •

Antrace cutaneo che generalmente assume una colorazione nerastra più importante. cisti pilonidali. fistole anali. acne conglobata.

FISTOL E :

come noto le fistole sono dei tramiti patologici che uniscono uno o più visceri o vasi o aree di flogosi (calda o fredda) alla cute o tra loro. Il tramite in questo caso è: • aperto sulla cute del perineo. • Interessa l'ultima porzione del tratto intestinale. • Origina da ascessi perianali o perirettali. Anche se incisi chirurgicamente gli ascessi anali possono esitare in una fistola: se l'ascesso trae origine da una infiammazione delle ghiandole contenute nelle cripte anali, permane anche dopo il drenaggio una comunicazione con l'interno dell'ano da cui i germi penetrano e mantengono il processo di flogosi. Se la comunicazione cessa con l'intervento, non si producono conseguenze, ma se permane, allora si formerà probabilmente una fistola. CLASSIFICAZIONE: le fistole possono essere classificate sulla base di: • STRUTTURA in: ◦ CIECA INTERNA: dotata del solo orifizio interno. ◦ CIECA ESTERNA: dotata del solo orifizio esterno. Esistono perplessità legate alla esistenza di tale tipo di fistola: molti studiosi ritengono che l'orifizio interno sia sempre presente ma sia tanto limitato da non poter essere individuato. ◦ COMPLETA, è la più comune e caratterizzata cioè da: ▪ orifizio interno anale. ▪ Uno o più orifizi esterni. • ANATOMICAMENTE rispetto al suo rapporto con le strutture sfinteriali, questo aspetto è fondamentale nel definire la strategia chirurgica: ◦ INTRASFINTERICA con decorso completamente interno agli sfinteri che può essere sottocutaneo o sottomucoso. ◦ TRANSFINTERICA che attraversa le fibre di entrambi gli sfinteri. Se passa tra i due sfinteri viene definita INTERSFINTERICA. ◦ EXTRASFINTERICA quando presenta un percorso esterno agli sfinteri: ▪ un orifizio è nel retto quindi, non nell'ano. ▪ Il decorso è nello spazio ischio rettale. Se attraversa lo spazio pelvirettale si parla di fistola SOPRASFINTERICA. SINTOMATOLOGIA: normalmente la fistola drena semplicemente delle perdite di liquido, spesso sieroso ma la cui natura dipende dal grado di contaminazione batterica. Nella maggior parte dei casi: • il liquido cessa di fluire. • La fistola si tappa, l'orifizio esterno si chiude. • Entrano germi dall'orifizio interno nella cavità ascessuale. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 7: malattie anali • Si individuano molto bene i segni dell'infiammazione a questo punto. A questo punto la fistola può tornare a drenare dall'orifizio primitivo o aprirsi all'esterno in un altro punto. Nella maggior parte dei casi lo scarico è continuo o intemittente con feci e gas se è coinvolto il retto. ESAME OBIETTIVO: all'esame obiettivo emergono: • alla ispezione si individuano piccoli orifizi all'intorno all'ano, più o meno vicini tra loro. • Con la esplorazione rettale si percepisce lo sbocco interno della fistola come una piccola depressione della mucosa, generalmente posteriormente. • Specillando il tramite fistoloso si segue il suo tragitto: se il percorso non è troppo serpiginoso si può far uscire all'interno del canale anale lo specillo. • Anoscopia o rettoscopia che possono far individuare l'orifizio interno. • Fistolografia: si esegue una iniezione di mezzo di contrasto nella fistola attraverso orifizio esterno e si valuta dove questo emerga. • Ecografia transrettale: aiuta molto a valutare lo stato degli sfinteri anali che possono essere eventualmente stati lesi da pregressi interventi chirurgici. Anche in questo caso va fatto sempre eseguito l'esame istologico della lesione: la cronicizzazione della fistola infatti può stimolare la formazione di un cancro che va escluso prima il possibile ovviamente.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti

COLELITIASI la calcolosi è sicuramente la patologia più comune per quanto riguarda le patologie della colecisti e delle vie biliari, acconta infatti per il 90% dei casi di patologia a carico della colecisti. Si tratta di un problema:  estremamente frequente che spesso emerge a livello di medicina generale.  molto significativo dal punto di vista dei costi in quanto richiede esami radiodiagnostici, visite specialistiche e, molto spesso, interventi chirurgici di colecistectomia. EPIDEMIOLOGIA: la prevalenza incrementa generalmente con l'età e risulta tanto significativa che circa:  il 10% degli uomini.  il 20% delle donne. o presenta una calcolosi biliare o è stato colecistectomizzato; è importante ricordare a questo proposito che se alla ecografia:  il calcolo risulta di 2­3 cm e non presenta sintomatologie particolari, non viene rimosso.  il calcolo risulta di dimensioni minori e non presenta sintomi, viene generalmente rimosso. INCIDENZA: ogni anno 4­6 persone ogni 1000 sviluppano una calcolosi che circa in 2 casi ogni 1000 porta alla rimozione della colecisti. L'incidenza del cancro della colecisti nei pazienti con calcoli è piuttosto elevata, 0,015­0,02%, circa 500 pazienti all'anno muoiono di questa patologia neoplastica.

PATOGENESI:

la patogenesi della calcolosi della colecisti è fondamentalmente da imputarsi a tre fattori:  BILE LITOGENA: si tratta di una bile sovrasatura, particolarmente concentrata, tanto che le componenti che la costituiscono tendono a precipitare.  NUCLEAZIONE fenomeno che si verifica nel momento in cui:  le concentrazioni della bile siano elevate.  sia presente del muco che neutralizza le cariche dei soluti.  Vi sia un processo infettivo o infiammatorio in corso che FAVORISCE IN MODO MOLTO IMPORTANTE LO SVILUPPO DI UNA CALCOLOSI. si assiste a nucleazione dei sali e precipitazione degli stessi.  STASI la stasi è una caratteristica di queste patologie: la colecisti risulta poco mobile o comunque anomala e questo favorisce la formazione di calcoli. Anche la rimozione di un calcolo generalmente non è sufficiente a ristabilire le normali condizioni di lavoro della colecisti e si hanno molto spesso delle recidive. I calcoli si formano fondamentalmente in due sedi: • la colecisti. • Il dotto coledoco. Dal punto di vista clinico, in linea di massima possiamo dire che i calcoli del coledoco sono calcoli che provengono dalla colecisti e migrano in seguito nella via biliare: sicuramente una 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti

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eccezione importante è rappresentata dalla formazione del calcolo nel paziente colecistectomizzato dove la calcolosi delal via biliare è legata alla presenza di modificazioni fisiopatologiche della via biliare stessa. LE COMPONENTI DELLA BILE E LA ALTERAZIONE DELLE SUE COMPONENTI: la bile è una soluzione sovrasatura fisiologicamente composta di: • MUCINA. • PIGMENTI. 100 0 • SALI MINERALI. • ACIDI GRASSI E LECITINE. • SALI BILIARI. • COLESTEROLO. BILE Dal punto di vista fisiopatologico è importante PATOLOGICA Tre fasi ricordare che: • I SALI BILIARI SONO GLI ELEMENTI CHE DUE TENDONO A MANTENERE IN SOLUZIONE FASI DUE FASI LE ALTRE COMPONENTI DELLA BILE. BILE • LA PARETE DELLA COLECISTI È UNA FISIOLOGICA 100 PARETE ATTIVA: secerne muco da un lato 0 0 e riassorbe liquidi dall'altro contribuendo a 100 SALI BILIARI mantenere un equilibrio complessivo. TRIANGOLO DI ADMIRAND SMALL: Complessivamente ricordiamo che: Solo la fase colorata in verde è la fase fisiologica, • il rapporto tra sali biliari e colesterolo deve alterazioni percentuali delle concentrazioni delle tre componenti essere maggiore di 10. -sali biliari • il rapporto tra fosfolipidi e colesterolo deve -fosfolipidi essere maggiore di 3. -colesterolo dal punto di vista dinamico l'equilibrio tra le Possono portare alla formazione di una bile di fasi differenti da quella fisiologica (in componenti della bile è ben rappresentato dal composta micelle). triangolo di ADMIRAND SMALL che mette in relazione le tre principali componenti di questo fluido biologico. FATTORI FAVORENTI LA FORMAZIONE DI UNA BILE LITOGENA: i fattori favorenti lo sviluppo di una bile litogena sono sicuramente: • MALATTIE EMOLITICHE che provocano un incremento del livello dei sali biliari determinando una alterazione degli equilibri. • IPERCOLESTEROLEMIA. • OBESITÀ E RAPIDO CALO PONDERALE. • DIABETE. • MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DELL'INTESTINO. • FIBROSI CISTICA. • GOTTA.

I CALCOLI BILIARI:

i calcoli biliari possono essere fondamentalmente di tre tipi: 1. calcoli di colesterolo. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti 2. calcoli di pigmento. 3. calcoli misti. CALCOLI DI COLESTEROLO: i calcoli di colesterolo possono essere classificati a loro volta in:  CALCOLI DI COLESTEROLO PURO che si caratterizzano per:  un peso secco in colesterolo superiore al 75%,  sono radiotrasparenti generalmente. si formano quasi sempre a livello della colecisti.  CALCOLI MISTI DI COLESTEROLO:  hanno un contenuto in colesterolo in peso secco dal 25 al 75%.  contengono oltre al colesterolo BILIRUBINA E CALCIO  sono quasi sempre radiotrasparenti. si formano generalmente nella colecisti, ma anche in altre sedi. CALCOLI DI PIGMENTO: si tratta di calcoli:  PIGMENTARI NERI costituiti di:  bilirubinato di calcio.  carbonato di calcio.  fosfato di calcio. sono nel 40% dei casi radiotrasparenti, nel 60% dei casi radiopachi; si formano quasi sempre nella colecisti.  PIGMENTARI MARRONI costituiti di:  bilirubinato di calcio.  palmitato di calcio. sono generalmente radiotrasparenti e si formano principalmente nelle VIE BILIARI, al di fuori della colecisti. I calcoli di tipo PIGMENTARIO sono ricchi in BILIRUBINA e si formano generalmente in pazienti affetti da anemia emolitica. Calcoli pigmentati neri e marroni.

immagine tratta da wikipedia immagine tratta da wikipedia

Possono essere utilizzate delle sostanze utili a disciogliere i calcoli, tuttavia risultano poco efficaci contro i calcoli ricchi di calcio come quelli sopra descritti. LA SABBIA BILIARE: costituita di:  sali di calcio.  cristalli di colesterolo. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti  mucina. spesso la presenza di sabbia biliare è predittiva della formazione di calcoli, possiamo dire che:  nel 18% dei casi scompare.  nel 14% dei casi da vita ad una calcolosi.  nel 19% dei casi da vita ad una colecistite alitasica. FREQUENZA DEI DIVERSI TIPI DI CALCOLI: i calcoli sicuramente maggiormente presenti nei paesi occidentali sono i calcoli DI COLESTEROLO MISTI, rappresentano il 75% dei casi di calcolosi della colecisti.  il 15% sono pigmentari.  il 10% sono di colesterolo puro. dal punto di vista radiologico possiamo dire che:  il 10% è RADIOPACO: i calcoli radiopachi sono:  generalmente PIGMENTARI come avviene nel 75% dei casi.  saltuariamente DI COLESTEROLO MISTI, come avviene nel 25% dei casi.  il 90% è RADIOTRASPARENTE, di questi calcoli:  l'80% è di colesterolo.  il 20% è pigmentario. Possiamo dire che il 90% dei calcoli si forma a livello della COLECISTI che questi calcoli possono rimanere silenti anche per ANNI: da qui si possono poi sviluppare calcolosi della colecisti più consistenti o altre patologie delle vie biliari. Generalmente i calcoli che si trovano nelle vie biliari sono il risultato di una migrazione di calcoli formatisi nella colecisti.

ANAMNESI:

risulta fondamentale nel momento in cui si sospetti una calcolosi della colecisti, eseguire una diagnosi:  FAMILIARE:  per malattie emolitiche eventualemente genetiche.  calcolosi della colecisti spesso associata ad obesità.  FISIOLOGICA:  l'età è importante, generalmente questi problemi si manifestano al di sopra dei 50 anni.  sesso dove il rapporto tra maschi e femmine è a favore del maschio: l'incidenza nelle donne è 3 volte superiore.  gravidanza.  obesità.  PATOLOGICA REMOTA:  malattie emolitiche regresse.  ipercolesterolemia precedentemente diagnosticata.  PATOLOGICA PROSSIMA:  coliche biliari pregresse.  fattore scatenante che può essere un pasto grasso, movimento o altri fattori: pasti particolarmente grassi stimolano la produzione di colecistochinina che stimola la contrazione della colecisti provocando eventualmente un dolore significativo.  tipo di dolore. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti segni di complicanze quali febbre, dolore e ittero che possono essere presenti. La assenza di queste complicanze VA SEMPRE E COMUNQUE SEGNALATA NELLA CARTELLA CLINICA. IL FENOTIPO A RISCHIO: il fenotipo a rischio più caratteristico presenta le seguenti caratteristiche: • sesso femminile. • Pluripara. • Sovrappeso. • Età maggiore a 50 anni. La predisposizione nel sesso femminile è dovuta al fatto che estrogeni e progesterone danno una GENERALIZZATA DIMINUZIONE DELLA ATTIVITÀ DELLA MUSCOLATURA LISCIA, compresa quella colecisti. 

QUADRO CLINICO:

dal punto di vista clinico la colelitiasi può essere classificata in due grandi categorie:  CALCOLOSI NON COMPLICATA.  CALCOLOSI COMPLICATA che coinvolge eventualmente:  colecisti.  dotto cistico.  vie biliari.  perforazioni delle strutture della colecisti o delle vie biliari.  fistole biliari.  cancerizzazione. CALCOLOSI NON COMPLICATA: generalmente asintomatica come avviene nel 75­90% dei pazienti, sintomi eventualmente presenti possono essere:  COLICA BILIARE.  DISPEPSIA, cioè flatulenza, eruttazine nausea e soprattutto DIFFICOLTÀ DIGESTIVE, risulta però in questo caso un sintomo poco specifico: spesso pazienti con colelitiasi e dispesia presentano quest'ultima per altre cause. LA COLICA BILIARE: quadro caratterizzato da un dolore molto forte generato dalla colecisti:  un calcolo presente nella colecisti si porta verso l'infundibolo della colecisti e si incunea in esso.  la colecisti nel tentativo di eliminare l'ostacolo al deflusso della bile si contrae con forza FINO A GENERARE UNA CONTRAZIONE SPASTICA. generalmente compare dopo un pasto grasso ma può avvenire in qualsiasi ora del giorno e della notte, se la contrazione spastica della colecisti riesce a riportare il calcolo alla sua posizione, il problema si risolve da solo. Lo spostamento del calcolo nel coledoco di fatto RAPPRESENTA UNA COMPLICANZA DELLA COLELITIASI. CLINICA: si tratta di:  un forte dolore di intensità rapidamente crescente, raggiunto l'acme permane stabile, si 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti localizza:  LA MAGGIORE INTENSITÀ si ha: ■ ipocondrio destro ■ epigastrio. IN VIRTÙ DELLA VIA SIMPATICA COLLEGATA AL NERVO GRANDE SPLANCNICO.  il dolore IRRADIATO si ha a livello della REGIONE SOTTOSCAPOLARE DELLO STESSO LATO.  il dolore riferito si osserva a livello DELLA SPALLA grazie all'interessamento del NERVO FRENICO. Si può avere una irradiazione anche a livello delle regioni trigeminali eventualmente, questo a causa dell'interessamento del nervo vago. Le zone interessate dal dolore sono chiaramente IPERALGESICHE. Punti specificamente interessati dalla irradiazione del dolore sono:  ANTERIORMENTE: ■ punto cistico a livello dell'ipocondrio destro. ■ punto epigastrico. ■ regione coledocico pancreatica di Chuffart Rivet. ■ punto frenico. ■ articolazione della spalla.  POSTERIORMENTE: ■ punti di MakCanzie a livello delle vertebre dorsali da ottava a undicesima. ■ punto all'apice della scapola. ■ punto paravertebrale.  si accompagna a nausea e vomito: il dolore È TIPICAMENTE VISCERALE E DI CONSEGUENZA SI ACCOMPAGNA A SINTOMI NEUROVEGETATIVI.  Si possono registrare altri sintomi quali:  ittero fugace.  Bocca amara al mattino.  Dispepsia, oltre ai sintomi descritti, sicuramente si registra spesso una difficoltà nella digestione, in tal caso vanno sempre valutati anche: ■ fegato. ■ Via biliare. ■ Pancreas.  dura dalla mezz'ora alle 3­6 ore.  non si accompagna generalmente a febbre.  la risoluzione sembra COMPLETA.  spesso i sintomi si ripresentano nel tempo a distanza anche di ANNI tra gli episodi. ESAME OBIETTIVO: l'esame obiettivo da dei risultati unicamente nella fase CRITICA DELLA PATOLOGIA nel periodo inter critico non da risultati a meno che non siano presenti complicanze. Possiamo avere:  positività della manovra di Murphy alla stimolazione del punto cistico: tale manovra si ritiene positiva per questo tipo di patologia solo se il respiro si arresta, in caso contrario 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti si parla di punto cistico dolente. Naturalmente in caso di epatomegalia il punto cistico va ricercato scendendo verso il basso in corrispondenza del margine del fegato.  iper algesia nei punti correlati al dolore riferito. ALTRE INDAGINI UTILI:  DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:  modesta leucocitosi.  eventuale subittero fugace.  DIAGNOSTICA PER IMMAGINI:  Rx diretta dell'addome può rivelarsi utile ma generalmente non evidenzia direttamente i calcoli. I calcoli sono meno evidenti alla radiografia in quanto sono più poveri di calcio rispetto ai calcoli renali per esempio.  TC dell'addome: sicuramente si tratta dell'esame più utile, consente di determinare la presenza di complicanze e lo stato del viscere e delle vie biliari extraepatiche. Si possono avere dei reperti casuali relativi alla presenza del calcolo nella via biliare, si tratta di eventi rari: difficilmente il quadro è radiopaco. COLELITIASI COMPLICATA: la calcolosi della colecisti, come accennato, non sempre da segni clinici rilevabili, tuttavia a lungo andare soprattutto, può dar vita a complicanze molto importanti quali: • COLECISTITE ACUTA O CRONICA: in generale la calcolosi induce una importante stasi e riduce in modo molto importante il deflusso della bile provocando un quadro di stasi. • BLOCCO DEL DOTTO CISTICO che può provocare: ◦ IDROPE DELLA COLECISTI: processo non infiammatorio dovuto al blocco del flusso della bile lungo il dotto cistico, in questo caso la colecisti continua a secernere muco e si dilata fino a raggiungere anche la fossa iliaca destra. ◦ EMPIEMA DELLA COLECISTI: processo suppurativo che si sovrappone ad una occlusione del dotto cistico con conseguente virulentazione batterica. • PERFORAZIONE DELLA COLECISTI. • CALCOLOSI DELLA VIA BILIARE: dove il calcolo, soprattutto se piccolo, può portarsi nel coledoco e dare conseguenze importanti dal punto di vista clinico. • ILEO BILIARE: occlusione intestinale legata alla fistolizzazione della colecisti con: ◦ colon. ◦ Duodeno. E conseguente passaggio del calcolo nella via digestiva: il quadro più comune è quello di un ILEO MECCANICO generato da BLOCCO DELLA VALVOLA ILEOCECALE seguito da COLECISTITE DA VIRULENTAZIONE BATTERICA. • FISTOLE BILIO­DIGESTIVE. • EMOBILIA: sangue nella bile. • CANCERIZZAZIONE. COLECISTITE CRONICA CALCOLOSA: complicanza più comune della calcolosi della colecisti, può emergere come tale o essere il risultato di una complicanza di una colelitiasi precedentemente presente. Possiamo dire che UN PROCESSO FLOGISTICO CRONICO porta ad alterazioni consistenti della struttura della 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti colecisti le cui conseguenze sono di fatto:  flogosi.  fibrosi.  edema.  retrazione. QUADRO CLINICO: risulta poco evidente dal punto di vista clinico, possiamo dire che:  il dolore che generalmente si manifesta con COLICHE BILIARI DI LIEVE ENTITÀ MA MAGGIORMENTE PROTRATTE NEL TEMPO; il dolore:  generalmente si colloca in ipocondrio destro o a livello epigastrico.  si riacutizza per esempio in caso di pasti ricchi in lipidi.  i segni di flogosi sistemici sono poco presenti.  solo nelle fasi maggiormente acute si possono avere sintomatologie simili a quella della forma acuta.  Febbricola. ESAME OBIETTIVO: all'esame obiettivo possiamo riscontrare:  un addome trattabile.  un ipocondrio dolorabile.  un punto cistico dolorabile.  la manovra di Murphy risulta non sempre positiva. generalmente il paziente non presenta febbre. ESAMI DI LABORATORIO:  diagnostica di laboratorio:  si osserva una MODESTA LEUCOCITOSI.  gli indici di flogosi quali PCR e VES risultano relativamente aumentati.  diagnostica per immagini:  analogamente alla colelitiasi non complicata, all'RX del torace i calcoli sono raramente visibili.  L'ecotomografia permane l'esame elettivo in quanto consente di avere un quadro completo sia delle caratteristiche del calcolo sia delle caratteristiche del viscere interessato dalla patologia. COLECISTITE ACUTA: complicanza tipicamente associata allo spostamento di un calcolo nel DOTTO CISTICO dove si incunea, il calcolo in questione provoca inevitabilmente una STASI BILIARE, che provoca a sua volta:  distensione della parete con conseguente DANNEGGIAMENTO ISCHEMICO DELLA PARETE STESSA.  probabile proliferazione batterica con eventuale DANNEGGIAMENTO DELLA MUCOSA. Nel 90­95% dei casi si accompagna ad una calcolosi della colecisti, molto spesso LA MUCOSA RISULTA, a causa dei numerosi fattori di stress, ALTERATA, si forma quindi una COLECISTITE. CONSEGUENZE DELLA ALTERAZIONE DELLA PARETE: la COLECISTI può risultare: 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti infiammata a livello di parete in modo consistente a seguito di questi traumi e può andare incontro a processi di:  flogosi catarrale.  flogosi purulenta.  flogosi flemmonosa.  flogosi gangrenosa.  andare incontro ad una colelitiasi: la stasi associata a fenomeni flogistici porta di fatto ad un incremento della probabilità di formazione di ulteriori calcoli. Avviene nel 15­ 26% dei casi. CLINICA: dal punto di vista clinico tale patologia risulta in:  un dolore significativo a livello di IPOCONDRIO DESTRO ED EPIGASTRIO, tale dolore:  risulta molto forte, simile ad una colica per intensità.  diventa quasi continuo.  si acuisce con i movimenti.  Aumenta con i movimenti del paziente, il quadro è estremamente acuto: il paziente è generalmente immobile a letto e supino e presenta un respiro costale. In presenza di colecistite il dolore è CONTINUO non ci sono intervalli liberi tra gli eccessi come avviene invece nel caso di colica della via biliare.  febbre che NON È BILIOSETTICA in questo caso, è una febbre continua.  accompagnata a TACHICARDIA E POLIPNEA.  sintomi riflessi sono NAUSEA E VOMITO. ESAME OBIETTIVO:  ISPEZIONE:  paziente immobile.  respiro costale e superficiale.  PALPAZIONE i cui risultati sono variabili in relazione al momento in cui viene eseguita:  inizialmente il segno di blumberg risulta localmente positivo.  Si sviluppa abbastanza rapidamente una contrattura di difesa.  Formazione del piastrone: l'omento, i versamenti infiammatori e i sovvertimenti della architettura tissutale sono tali da generare la formazione del cosiddetto piastrone.  PERCUSSIONE: il timpanismo risulta aumentato.  ASCOLTAZIONE: i rumori digestivi risultano assenti o torpidi, si sviluppa spesso un ILEO DINAMICO. ESAMI UTILI:  DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:  dimostra una leucocitosi elevata con un forte incremento della NEUTROFILIA.  aumento di PCR e VES.  si può riscontrare un lieve aumento della bilirubina a causa della stasi delle vie biliari.  DIAGNOSTICA PER IMMAGINI:  alla RX diretta dell'addome si possono evidenziare più spesso i CALCOLI e la 

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti PARALISI DELL'ILEO. anche in questo caso la ECOTOMOGRAFIA è l'esame elettivo in quanto consente di determinare non solo lo stato della litiasi ma anche lo stato del viscere interessato. COMPLICANZE DELLA COLECISTITE ACUTA:  sepsi da batteri gram negativi, principali responsabili delle infezioni di questo tipo.  perforazione libera nel cavo peritoneale e conseguente peritonite.  fistolizzazione che può interessare:  il duodeno.  il colon transverso. il calcolo prodotto a livello della colecisti può quindi passare nell'ileo e provocare altri danni. FORME PARTICOLARI: la colecistite acuta in alcuni casi può presentarsi in modo anomalo: • non litiasica, rara come accennato. • Enfisematosa: altro evento raro, si verifica circa nell'1% dei casi in associazione alla infezione da clostridi che producono grandi quantità di gas: ◦ la mortalità è maggiormente elevata. ◦ Il quadro è maggiormente compromesso. • Perforazione della colecisti: si verifica circa nel 3% dei casi di colecistite acuta, evolve rapidamente a peritonite ovviamente. Il quadro clinico dipende dal momento in cui avviene la perforazione: ◦ INIZIALMENTE quando il peritoneo non è ancora in grado di tamponare al processo flogistico, IL QUADRO PERITONITICO SI ALLARGA RAPIDAMENTE. ◦ TARDIVAMENTE se si è già formato il piastrone, si forma generalmente un ASCESSO PERICISTICO. ◦ FISTOLE COLECISTO CUTANEE. OCCLUSIONE DEL DOTTO COLEDOCO : si verifica nel momento in cui un piccolo calcolo si incunei nel dotto coledoco ostruendolo, dopo una prima fase in cui la colecisti tenta con le sue contrazioni di vincere l'ostacolo, la colecisti si sfianca e non si contrae più, si possono avere quindi:  IDROPE DELLA COLECISTI.  EMPIEMA. IDROPE DELLA COLECISTI: si verifica nel caso in cui la bile bloccata nella colecisti sia STERILE, la distensione e la continua stimolazione della parete provocano:  riassorbimento continuo della bile.  secrezione di muco e liquidi dalla parete. la colecisti si RIGONFIA E DIVIENE EVENTUALMENTE PALPABILE, raramente il paziente realizza la presenza della patologia, dal punto di vista pratico può avvertire una PESANTEZZA addominale e una difficoltà digestiva. Naturalmente non ci sono segni di flogosi, di conseguenza la parete RISULTA TRATTABILE e risulta palpabile una TUMEFAZIONE 

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti teso elastica. a superficie liscia.  rotondeggiante.  non dolente.  poco mobile, si muove con gli atti del respiro in modo solidale al fegato. se l'ostacolo si muove, la tumefazione TENDE A REGREDIRE DA SOLA, in alternativa può aumentare fino alla linea ombelicale trasversa e oltre. EMPIEMA DELLA COLECISTI: si verifica nel momento in cui la bile in fase di stasi sia NON STERILE, si ha in questo caso una proliferazione batterica fino alla formazione di una FLOGOSI che si ALLARGA ALLE STRUTTURE CIRCOSTANTI E AL PERITONEO.  Il quadro clinico è analogo a quello di una colecistite ACUTA.  i segni di flogosi sono SEMPRE MOLTO SIGNIFICATIVI. Si possono tipicamente sviluppare: • peritoniti generalizzate o saccate e fistole intestinali. • Flemmone di petit che può provocare una fistola cutanea. PERFORAZIONE DELLA COLECISTI: una perforazione della colecisti può derivare da diversi quadri patologici:  trombosi vasale.  necrosi flogistica.  necrosi da compressione. a prescindere dalla causa a seguito della perforazione si possono avere delle peritoniti che possono essere:  saccate.  diffuse. FISTOLE BILI ODIGESTIVE: si tratta di una conseguenza generalmente di un processo flogistico:  il processo flogistico porta allo stravaso di fibrina dalla struttura della colecisti.  colecisti e organi circostanti, quali colon transverso o duodeno o qualsiasi altra parte dell'intestino, aderiscono tra loro a causa della formazione di un piastrone.  la flogosi, associata alle cause di perforazione sopra elencate, porta alla PERFORAZIONE DELLA PARETE COMUNE AI DUE VISCERI formando una FISTOLA.  Si riversa del materiale di provenienza della colecisti nel viscere coinvolto. Il processo di fistolizzazione può interessare: • fistole colecisto duodenali. • Fistole colecisto coliche. • Fistole colecisto gastriche. • Fistole colecisto coledociche: si parla in questo caso di sindrome di MIRIZZI di tipo II Le conseguenze possono essere molto rilevanti:  una emorragia durante il passaggio del calcolo attraverso la parete lesa del viscere coinvolto nella fistolizzazione.  Occlusione intestinale che si può verificare a livello:  

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti DUODENO PILORICO e si parla di SINDROME DI BOUVERET. ILEO CECALE e si parla di sindrome di LERICHE.  nel caso in cui il calcolo si porti a livello del COLON, questo verrà eliminato con le feci, sarà tuttavia molto probabile la formazione di una infezione della colecisti in quanto il colon è particolarmente ricco di batteri, al contrario del duodeno. CLINICA:  pregressi sintomi associati a patologie delle vie biliari sono indicativi.  dolore acuto epigastrico molto forte.  ematemesi o melena.  episodi bilio­settici.  ileo meccanico da occlusione della valvola ileocecale, si tratta sicuramente della evenienza più comune. INDAGINI UTILI:  diagnosi laboratoristica:  leucocitosi.  aumento di VES e PCR.  possibile aumento della bilirubina ed enzimi di stasi biliare.  diagnostica per immagini:  alla RX diretta dell'addome si evidenzia a volte la presenza di calcoli, spesso risulta evidente l'ileo meccanico quando presente.  alla ECOTOMOGRAFIA è possibile valutare la presenza di una PNEUMOBILIA, presenza dei aria nella colecisti. Molto utile in questi casi come emerge dall'immagine.  alla COLANGIO RMN si può evidenziare la presenza della FISTOLA BILIO DIGESTIVA.  

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti EMOBILIA: l'emobilia, seppur rara, va tenuta presente come possibile causa di melena sicuramente; complessivamente la sintomatologia è relativa a: • melena che segue ad una colica biliare. • Triade di Owens: ◦ ittero ◦ Coliche biliari. ◦ Melena. Il quadro di colica è legato al fatto che il sangue che si porta nella via biliare inizialmente COAGULA e forma un OSTACOLO CHE OSTRUISCE IL COLEDOCO: l'ostacolo è facilmente superabile tramite la contrazione del coledoco stesso che genera però un ulteriore sanguinamento che provoca la melena. I calcoli della colecisti sono la causa di circa il 5% delle emobilie, si tratta quindi di eventi rari. CARCINOMA DELLA COLECISTI: come accennato in precedenza spesso un carcinoma della colecisti si associa a patologie legate alla colecisti, dal punto di vista statistico possiamo dire che: • solo l'1­2% dei pazienti con calcolosi della colecisti presenta un cancro della colecisti una volta rimossa la colecisti. • Il 90% dei pazienti operati a causa di una calcolosi presenta un calcolo. Non si esegue quindi la rimozione preventiva della colecisti in caso di calcoli della via biliare, non è giustificata in termini preventivi la esposizione del paziente ad un rischio operatorio del genere. Tra le associazioni più importanti ricordiamo sicuramente LA COLECISTITE CRONICA CALCOLOSA soprattutto se presente da lungo tempo.  generalmente si forma a livello del fondo o dell'infundibolo.  diffonde per CONTINUITÀ rapidamente al dotto CISTICO e al dotto COLEDOCO.  infiltra per CONTIGUITÀ il vicino fegato. La sintomatologia di questo tipo di patologia spesso viene confusa con quella della litiasi cronica presente inizialmente, questo è tanto vero che spesso la diagnosi È INTRAOPERATORIA. L'ittero in questo caso è una conseguenza tardiva di questo tipo di processi e consente solo molto tardi di distinguere un carcinoma da una colelitiasi cronica. ESAME OBIETTIVO: quando la tumefazione, generalmente:  dura.  a margini non netti.  a superficie irregolare.  localizzata in sede colecistica. È GIÀ ALLO STADIO AVANZATO e risulta NON OPERABILE, lo stesso criterio vale per la comparsa dell'ittero. ESAMI UTILI:  DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:  si possono evidenziare markers sierici di neoplasia quali CEA e CIGA. 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti eventuale aumento della bilirubina e di enzimi associati a stasi biliare. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI:  ecotomografia.  TAC.  ERCP o tramite ENDOSCOPIA RETROGRADA COLANGIOPANCREATOGRAFIA, sfrutta del liquido di contrasto per individuare la alterazione. COLEDOCOLITIASI: passaggio o formazione di un calcolo a livello DELLE VIE BILIARI PRINCIPALI o VBP, si verifica nel 10% dei pazienti con litiasi biliare. Nella stragrande maggioranza dei casi si possono avere delle litiasi del coledoco per il passaggio di calcoli dalla colecisti alle vie biliari principali, in caso contrario, cosa che avviene molto raramente, il calcolo può essere nativo della via biliare e risulta composto di bilirubinato di calcio principalmente.  i calcoli che possono passare nel coledoco sono generalmente di PICCOLE DIMENSIONI.  una volta giunti nel coledoco possono MUOVERSI LIBERAMENTE o LOCALIZZARSI nei diversi tratti del dotto stesso:  tratto medio.  tratto inferiore.  papilla.  al passaggio del calcolo consegue quasi sempre una IRRITAZIONE DELLA PARETE con conseguente:  FORMAZIONE DI EDEMA e OSTACOLO AL FLUSSO BILIARE.  INCREMENTO DELLA TENSIONE INTERNA ALLA VIA BILIARE.  DILATAZIONE DELLE VIE BILIARI sia intra che extra epatiche. la parziale ostruzione della via biliare può portare a:  ITTERO CAPRICCIOSO ittero che si presenta: ■ a periodi alterni. ■ di intensità differente. nel caso in cui il calcolo SI MUOVA SPONTANEAMENTE MUTANDO LA SUA POSIZIONE.  la stasi biliare può favorire la VIRULENTAZIONE DEI GERMI PRESENTI NELLA BILE e portare ad una COLANGITE.  SE IL CALCOLO SI INCUNEA NELLA ZONA PAPILLARE e INTERESSA EVENTUALMENTE IL DOTTO PANCREATICO può portare ad una pancreatite.  Nella STRAGRANDE MAGGIORANZA DEI CASI IL QUADRO EVOLVE A COLANGITE ACUTA. Dal punto di vista clinico questi calcoli possono RIMANERE SILENTI PER LUNGO TEMPO O SUBIRE DIVERSI DESTINI come:  passaggio nel duodeno.  ostruzione del dotto biliare e del dotto pancreatico. COMPLICANZE:  ittero che, come accennato, risulta capriccioso in questi casi.  colangite da batteri GRAM NEGATIVI.  pancreatite biliare. 

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti  cirrosi biliare secondaria. SINTOMATOLOGIA: a volte, come accennato, risulta asintomatica per lunghissimi periodi, nel caso in cui emergano sintomi si possono avere:  dolore epigastrico a carattere di colica o continuo, la dolorabilità alla palpazione è presente.  possibile irradiazione alle zone vicine.  ittero a bilirubina diretta in quanto viene meno il processo di smaltimento postepatico cui possono conseguire alterazioni della cromia fecale e urinaria.  in caso di colangite si possono avere segni di flogosi e febbre. ESAMI UTILI:  DIAGNOSTICA DI LABORATORIO:  aumento della bilirubina e degli enzimi di stasi biliare.  leucocitosi.  aumento di PCR e VES.  DIAGNOSTICA PER IMMAGINI:  ECOTOMOGRAFIA sempre molto utile nella valutazione dello stato dei visceri coinvolti.  colangio RMN o, in alternativa, Magnetic resonance cholangiopancreatography, molto utile come emerge dall'immagine.  ERCP.

LA COLANGITE ACUTA: 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti complicazione tipica di processi di STASI BILIARE DEL COLEDOCO, generalmente, ma non sempre, si verifica in presenza di coledocolitiasi, generalmente si manifesta con la triade di CHARCOT VILLARD:  DOLORE legato alla colica biliare.  ITTERO che risulta generalmente un ittero CAPRICCIOSO: raggiunge valori di bilirubina intorno a 5­6 per poi scendere. Naturalmente esistono delle eccezioni: un ittero stabile nel tempo può conseguire all'incunearsi di un calcolo nella via biliare in modo più stabile.  FEBBRE BILIOSETTICA: si tratta di una febbre erratica che sale rapidamente con sudorazione profusa e cade poi per lisi. questi tre segni sono presenti nel 70% dei pazienti affetti da colangite acuta, se sono presenti anche: • shock settico, come avviene nel 10% dei casi. • Alterazione del sensorio. Si parla di pentalogia di Reynaud. In questi casi l'esame obiettivo È SPESSO NEGATIVO: per quanto infiammato sia il coledoco, il peritoneo non sarà mai raggiunto dal processo flogistico se non molto tardivamente, non si registreranno mai quindi blumberg e altri segni di irritazione peritoneale. Clinicamente: • Si può risvegliare dolore al punto cistico e nell'area colecodico pancreatica. • Si possono avere delle colecisti distese in alcuni casi. Spesso sono presenti dei sintomi premonitori eventualmente legati al fatto che l'85% di questi pazienti presenta una litiasi delle vie biliari. EZIOLOGIA BATTERICA: i batteri coinvolti comunemente in questo tipo di processi sono:  escherichia coli.  klebsiella pneumoniae.  streptococcus pneumoniae.  enterococchi.  batteri anaerobi, circa nel 15% dei casi. ESAMI DI LABORATORIO: esami utili possono essere:  emocromo con formula che evidenzia una leucocitosi generalmente: non sempre la leucocitosi si manifesta immediatamente e in presenza di una INFEZIONE DA GRAM NEGATIVI e insorgenza di una SIRS il numero dei leucociti può risultare anche diminuito.  Indici di colestasi elevati:  bilirubina.  Fosfatasi alcalina.  Gamma GT. Sicuramente molto importanti per identificare il problema.  Indici di necrosi epatica, sopratutto SGOT e SGPT: la valutazione di questi indici è importante in quanto a volte l'ittero accompagnato a dolore, anche se non sempre crampiforme, può essere dovuto ad una epatite virale. Naturalmente la colestasi 16


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 8: calcolosi della colecisti

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provoca un incremento di questi indici che poi può risultare maggiore o minore. Marcatori neoplastici come AFP, CEA, TPA, ca19.9. Amilasi indice come noto di patologia pancreatica, spesso determinata da:  blocco meccanico dello svuotamento del virsung.  Edema della papilla.  Meccanismo riflesso che provoca una occlusione della papilla.

DIAGNOSTICA PER IMMAGINI NELLA CALCOLOSI DELLA COLECISTI:

in linea generale dal punto di vista della diagnostica per immagini possiamo individuare: • ECOTOMOGRAFIA che aiuta a definire: ◦ la presenza di un calcolo nella colecisti. ◦ Lo stato della parete della colecisti. ◦ La presenza di una dilatazione delle vie biliari. ◦ Raramente è impossibile individuare il calcolo: solitamente questi pazienti presentano meteorismo e distensione delle anse tale per cui la via biliare è difficilmente individuabile in tutto il suo percorso. • COLANGIO RMN ideale per valutare la presenza di calcoli della via biliare: si individua molto bene la via biliare e il livello della ostruzione. • ERCP: endoscopia retrograda colangiopancreatrografica: ◦ consente di posizionare del mezzo di contrasto nella papilla e quindi nelle vie biliari al fine di valutarne la struttura. ◦ Consente un approccio interventistico: in alcuni casi si possono rimuovere i calcoli del coledoco tramite ERCP. Questo esame presenta chiaramente dei rischi importanti e di conseguenza non va eseguito come primo esame, ma eventualmente in seconda battuta quando la presenza del calcolo È NOTA e a fine interventistico o di approfondimento. • PTC parietal transepatic colangiography: altro esame molto invasivo. • RADIOGRAFIA DIRETTA DELL'ADDOME che risulta in questo caso poco utile come accennato.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare

TUMORI DELLA VIA BILIARE le neoplasie della via biliare si possono classificare, come tutte le patologie del nostro corpo, in benigne e maligne.

NEOPLASIE BENIGNE DELLA VIA BILIARE:

le neoplasie benigne della via biliare si suddividono in due grandi categorie: • adenomi o papillomi adenomatosi. • Papillomatosi multiple. • Mioblastoma a cellule granulari. • Leiomiomi. • Tumori di provenienza stromale. la sintomatologia è variabile, dipende dalla forma del tumore e dalla sua struttura, sicuramente possiamo riconoscere: • ITTERO intermittente: ◦ INTERMITTENTE inizialmente: se si tratta di un tumore di forma polipoide, una minima parte di esso può andare in necrosi e generare una apertura parziale della via biliare: ▪ fisiologicamente la via biliare è spessa 5m. ▪ Per generare un ittero, è necessario che il calibro sia ridotto a due millimetri. Una piccola necrosi apicale della parte che protrude nel lume è quindi sufficiente a disostruire il lume e risolvere provvisoriamente l'ittero. ◦ INGRAVESCENTE E PROGRESSIVO nelle fasi successive. • COLANGITE, infiammazione della via biliare.

NEOPLASIE MALIGNE DELLA VIA BILIARE:

le patologie maligne della via biliare si suddividono fondamentalmente in tre grandi categorie: • DEI DOTTI INTRAEPATICI che si collocano spesso profondamente nel fegato, si parla spesso di COLANGIOCARCINOMA INTRAEPATICO PERIFERICO. Rappresenta circa il 50­70% dei carcinomi della via biliare. • DEI DOTTI EXTRAEPATICI. • DELLA COLECISTI. NEOPLASIE MALIGNE DELLA VIA BILIARE INTRAEPATICA: si parla in questo caso di CARCINOMA COLANGIOCELLULARE, si tratta di un carcinoma che trae origine dalle vie biliari intraepatiche e in particolare dai dotti interlobulari. È importante ricordare che esiste anche una forma MISTA, si parla di EPATOCOLANGIOCARCINOMA, neoplasia tipica della quinta o sesta decade. EPIDEMIOLOGIA: dal punto di vista epidemiologico ricordiamo che: • rappresenta circa il 5­30% dei carcinomi epatici. • È prevalente nel sesso maschile, il rapporto è circa 3 a 1. • è tipico della quinta o sesta decade. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare FATTORI FAVORENTI lo sviluppo di tale patologia sono: • colangiti sclerosanti che accompagnano spesso il morbo di Crohn e la colite ulcerosa. • Emocromatosi. • Malattia policistica. • Colestasi cronica. • Infestazione da Clonorchis sinensis che induce tale patologia molto di frequente. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: il carcinoma colangiocellulare si caratterizza per una serie di aspetti macro e microscopici che possono aiutare a distinguerlo da un carcinoma epatico: • si manifesta in forma di un nodulo unico, al contrario del carcinoma epatocellulare. • Presenta dimensioni notevoli spesso in quanto la diagnosi è tardiva. • Raramente si associa a cirrosi: mentre l'epatocarcinoma è praticamente sempre associato a fibrosi, il carcinoma colangiocellulare lo è solo nel 20­30% dei casi. • Istologicamente distinguiamo: ◦ elementi cellulari disposti a formare tubuli e strutture alveolari. ◦ Aspetto scirroso. ◦ Assenza di capillari sinusoidali. • Tende rapidamente ad invadere gli spazi perineurali e periduttali tanto che molto spesso recidivano in quanto dopo la rimozione permangono cellule residue in sede. • Presenta una spiccata immunoreattività per elementi quali: ◦ CEA. ◦ CA­19,9. Al contrario del carcinoma epatico che presenta invece generalmente la alfafetoproteina come marcatore tumorale. • Tende a dare fenomeni di diffusione: ◦ linfatica tramite i linfatici del peduncolo epatico. ◦ Ematica ad altre parti del fegato e al polmone. ◦ Endoluminale.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare Colangiocarcinoma intraepatico, si notano bene alcuni caratteri anatomopatologici: • si tratta di un nodulo unico a crescita infiltrativa. • Il fegato circostante la neoplasia non è cirrotico.

ASPETTI CLINICI: essendo lo sviluppo della malattia intraepatico e lento nel tempo, il tumore cresce senza dare segno di se per lungo tempo fino a divenire una grossa massa e il paziente comincia a presentare: • dolore gravativo ipocondriaco. • Astenia. • Inappetenza. • Calo ponderale. • Febbricola. • Anemizzazione. • Ittero e ascite, sintomi tardivi che si sviluppano quando IL TESSUTO EPATICO È SOSTITUITO GIÀ IN BUONA PERCENTUALE tanto da generare una insufficienza epatica. DIAGNOSI: dal punto di vista strumentale si possono eseguire: • ecotomografia, mette in evidenza la tumefazione e la sua eventuale capsula. • TC con mezzo di contrasto che consente di valutare la natura della lesione in modo maggiormente preciso. • COLANGIO RMN che può essere molto utile. • BRUSHING tramite ERCP che consente l'esame citologico preoperatorio. • Angiografia epatica che DIMOSTRA LA PRESENZA DI UNA MASSA VASCOLARIZZATA anche se l'angio TC risulta meno invasiva e ottiene risultati analoghi. • per avere la documentazione istologica si esegue una biopsia: ◦ con ago sottile e ad assorbimento. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare ◦ Con tru­cut: ▪ si inserisce un ago dotato di uno scomparto di contenimento nel quale il tessuto si accomoda. ▪ Si fa scorrere all'interno una copertura esterna affilata che circonda tutto l'ago. ▪ Con l'inserimento di tale copertura il tessuto accomodato nello scomparto dell'ago permane integro al suo interno. La fetta di tessuto ricavata in questo modo presenta una strutture più compatta e coesa e può essere analizzata in modo maggiormente dettagliato. PROGNOSI: la prognosi è pessima purtroppo in quanto molto spesso TARDIVA, la sopravvivenza media va da sei mesi ad un anno. NEOPLASIE MALIGNE DELLA VIA BILIARE EXTRAEPATICA: i tumori maligni della via biliare extraepatica si suddividono in: • TUMORI DEL DOTTO EPATICO, si parla di tumore di Klatskin, che possono interessare: ◦ il dotto epatico comune. ◦ Il dotto epatico destro. ◦ Il dotto epatico sinistro. I tumori di klatskin possono essere suddivisi in tre categorie: ◦ KALTSKIN I con convergenza dei dotti epatici pervia. ◦ KLATSKIN II con convergenza dei dotti epatici compromessa. ◦ KLATSKIN III con convergenza dei dotti epatici compromessa e sviluppo in uno dei due dotti epatici. Il tumore può risalire tanto all'interno della via biliare da raggiungere il fegato. L'intervento chirurgico necessario sarà poi differente da caso a caso. • TUMORI DEL DOTTO COLEDOCO. • TUMORI DELLA AMPOLLA DI VATER. • TUMORI DELLA COLECISTI. EPIDEMIOLOGIA: per quanto concerne gli aspetti epidemiologici nell'ordine le neoplasie della via biliare sono: • cancro della colecisti. • Tumori di klatskin e della ampolla di Vater. • Cancro del coledoco. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: generalmente queste neoplasie si presentano: • possono presentarsi in forma: ◦ anulare. ◦ Vegetante e villoso papillare: queste forme possono andare in necrosi dando luogo ad un ittero capriccioso da ostruzione intermittente. ◦ Forma infiltrante diffusa con stenosi indurativa. • Diffusione che può presentarsi: ◦ perineurale. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare ◦ Intracanalicolare. ◦ Linfatica, nel 25­30% dei casi. ◦ Ematica, molto rara. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è quella di una ostruzione della via biliare: • ittero ingravescente e progressivo, talora, come visto, inermittente nella fase iniziale. • Colangite. • Inappetenza. • Astenia. • Calo ponderale. • Melena: sanguinamento di tumori epatici o delle vie biliari. • Ascite. Dal punto di vista della OBIETTIVITÀ possiamo avere: • SEGNO DI COURVASIER TERRIER cioè un ingrossamento ad idrope della colecisti, nello specifico si registra per tumori di: ◦ coledoco. ◦ Ampolla di Vater. Devono essere infatti pervi i dotti epatici e il dotto cistico per poter dare una sintomatologia di questo tipo. • Epatomegalia. • Ascite. DIAGNOSI STRUMENTALE: dal punto di vista della diagnosi strumentale sicuramente registriamo: • esami di laboratorio che evidenziano: ◦ aumento della bilirubina totale. ◦ Aumento degli indici di colestasi. • ecotomografia che evidenzia alterazioni della colecisti, dilatazioni della via biliare e in alcuni casi evidenzia anche il livello dell'ostacolo anche se non consente di dire nulla relativamente alla sua natura effettiva. • TC con mezzo di contrasto, individua la stenosi ed eventualmente la presenza di infiltrazione nelle regioni vicine. • Colangio RMN che aiuta nella valutazione della infiltrazione in modo simile alla TC, valuta sopratutto: ◦ pancreas. ◦ Vena porta e arteria epatica. L'infiltrazione di questi organi rappresenta un criterio di operabilità per la patologia, se risultano invasi non si può fare nulla. • SE IL TUMORE È ALTO SI ESEGUE UNA PTC (percutaneous transepatic colangiography): si esegue un prelievo della bile per esame citologico e si pone uno stent. • SE IL TUMORE È BASSO SI ESEGUE UNA ERCP che consente di eseguire un brushing 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare diretto o un prelievo della bile. • angiografia epatica. • FNAB o biopsia con Tru­cut. Naturalmente PTC, ERCP E FNAB si eseguono tardivamente, nel momento in cui vi sia un fondato sospetto diagnostico, si tratta infatti di operazioni particolarmente pericolose.

IL CANCRO DELLA COLECISTI:

rispetto alle neoplasie della via biliare sopra descritte, il cancro della colecisti rappresenta una realtà a se stante. In linea generale: • l'incidenza risulta maggiore nella donna. • Colpisce pazienti tra 50 e 70 anni. • Si associa a: ◦ calcoli della colecisti. ◦ Polipi della colecisti di diametro maggiore a 1cm. L'ecografia individua generalmente dei polipi che si aggettano nel lume, questi possono presentarsi come: ◦ POLIPI veri e propri. ◦ DEPOSITI DI COLESTEROLO che si aggettano nel lume. L'approccio è chiaramente molto differente nei due casi, ma se: ◦ la tumefazione presenta dimensioni superiore al centimetro C'È INDICAZIONE ALLA RIMOZIONE DELLA COLECISTI . ◦ La tumefazione è inferiore al centimetro, si esegue un follow up del paziente. • FATTORI FAVORENTI come: ◦ cisti del coledoco. ◦ Malattie infiammatorie croniche intestinali. ◦ Poliposi del colon. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: generalmente tale neoplasia si manifesta in forma: • infiltrante, più comune. • Vegetante, meno comune. Si tratta di un adenocarcinoma nella stragrande maggioranza dei casi tuttavia può presentarsi anche in forme: • indifferenziata. • Squamosa. • Mista. • Neuroendocrina, a piccole cellule. DIFFUSIONE: in linea generale possiamo dire che tale cancro tende alla diffusione: • per continuità nella parete della colecisti e delle vie biliari. • Per contiguità invadendo: ◦ colon. ◦ parete addominale. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare ◦ Fegato. ◦ Duodeno. • Per via endocanalicolare ad altre sedi della via biliare. • Per via linfatica. • Per via ematica, molto raramente e tardivamente. SINTOMATOLOGIA: la sintomatologia è molto spesso TARDIVA se non coesiste una CALCOLOSI DELLA VIA BILIARE, generalmente si manifesta con: • Anoressia. • Calo ponderale. • Nausea. • Vomito. • Ittero. Generalmente l'ittero risulta di tipo PROGRESSIVO E NUDO. SOSPETTO CLINICO: vista la tardività dei sintomi, il sospetto clinico è fondamentale: • colelitiasi in pazienti: ◦ anziani dove è probabile che il calcolo si presenti in sede per lungo tempo. ◦ colecisti a porcellana da depositi di calcio in un quadro di infiammazione cronica. ◦ Colecisti a fragola da depositi di colesterolo in un quadro di alterazione cronica della bile. ◦ Variazione della sintomatologia nel tempo rispetto a quanto atteso da una calcolosi. ◦ Calo ponderale importante. • Polipi o adenomi pregressi della colecisti. • Cisti del coledoco. DIAGNOSI STRUMENTALE: la diagnosi strumentale è fondamentale in termini di identificazione del problema, si parla di: • ecografia. • ecoendoscopia che consente di valutare la infiltrazione degli organi vicini. • Ecolaparoscopia, molto utile. • TC con mezzo di contrasto che evidenzia regioni infiltrate. • Colangio RMN • PTC ED ERCP. • FNAB biopsia con ago sottile. TNM E PROGNOSI: dal punto di vista prognostico il fattore principalmente coinvolto è sempre e comune il fattore T: • Tx con tumore non identificabile. • Tis tumore in situ. • T1 invasione di mucosa (a) o muscolaris propria (b). • T2 parete muscolare. 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 9: tumori della via biliare • T3 sierosa e organi circostanti. • T4 più organi o il fegato con una tumefazione di dimensione maggiore di 2cm. La sopravvivenza GLOBALE è ESTREMAMENTE VARIABILE dal 13 al 61%, estrapolando le singole categorie tuttavia la variabilità è ancora maggiore: • Tis­T1a ha una sopravvivenza a 5 anni del 80­100%. • T2 ha una sopravvivenza a 5 anni del 40­90%. • lo stadio IV, cioè: ◦ T4. ◦ N2. ◦ M1. ha una SOPRAVVIVENZA MEDIA DI 25 MESI.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 10: le pancreatiti acute

LE PANCREATITI ACUTE la pancreatite acuta è una flogosi acuta del parenchima pancreatico e dei tessuti peripancreatici secondaria alla attivazione degli enzimi pancreatici a alla liberazione di citochine con conseguenti fenomeni di autodigestione a livello locale e potenziale coinvolgimento sistemico. Generalmente la sequenza di eventi è la seguente: • la pancreozimina e colecistochinina, indotte dai processi digestivi, provocano un incremento della secrezione pancreatica. • Un ostacolo si oppone al flusso del succo pancreatico verso il duodeno. • La stasi del succo pancreatico, le cui componenti presentano attività autocatalitica, provoca una attivazione precoce e anomala degli enzimi digestivi. • Si sviluppa la pancreatite acuta. EPIDEMIOLOGIA: l'incidenza è di circa 29 casi ogni 100.000 abitanti l'anno, ricordiamo che: • è particolarmente elevata nei paesi occidentali. • Colpisce i maschi tra i 45 e 55 anni. • Colpisce le femmine tra 55 e 65 anni. Non è del tutto chiaro per quale motivo vi sia questa differenza di età.

CLASSIFICAZIONE DELLE PANCREATITI ACUTE:

sicuramente la classificazione più tipica è relativa al quadro clinico del paziente, distinguiamo quindi: • PANCREATITE LIEVE che si verifica nel 75­80% dei casi e si caratterizza per: ◦ scarsa o assente alterazione funzionale. ◦ Decoroso privo di complicanze. La condizione interessa praticamente il solo pancreas e si traduce spesso in un edema pancreatico. • PANCREATITE SEVERA che si verifica nel 20­25% dei casi e si caratterizza per: ◦ complicanze locali quali ascite, necrosi e infezione. La necrosi pancreatica può poi evolvere a: ▪ pseudocisti pancreatiche. ▪ Ascesso pancreatico. ◦ Complicanze generali quali SIRS, sepsi, insufficienza renale e respiratoria, MOD. si registra una vera e propria necrosi pancreatica.

EZIOLOGIA:

nella stragrande maggioranza dei casi la causa è di tipo BILIARE, un piccolo calcolo può: • chiudere l'ampolla di Vater per ostruzione diretta. • Passando attraverso la via biliare provocare un edema della papilla e quindi ridurre il flusso del succo pancreatico. Alte cause possibili sono sicuramente: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 10: le pancreatiti acute • • • • •

alcol, e si parla di pancreatite alcolica, acconta circa per il 10­30% dei casi, l'incidenza è molto variabile in relazione alle abitudini della popolazione in esame. Sostanze tossiche e farmaci. Metaboliti: iperparatiroidismo che provoca un aumento della calcemia. Trami: traumi del pancreas possono provocare edema ed eventualmente necrosi del pancreas stesso. Infezioni: il pancreas istologicamente è molto simile ad una ghiandola salivare e come tale può risultare interessato da una infezione da VIRUS DELLA PAROTITE EPIDEMICA, sia nell'adulto che nel bambino. Spesso si manifesta con : ◦ dolore addominale. ◦ segni di pancreatite. ◦ Parotite precedentemente diagnosticata. È importante ricordare in ogni caso che la presenza di una sola amilasemia in queste condizioni non è sufficiente a determinare la diagnosi in quanto anche la necrosi delle ghiandole salivari libera amilasi. alterazioni della vascolarizzazione che si traducono in pancreatiti acute da ipoperfusione, possono essere causate da: ◦ traumi. ◦ Ustioni. ◦ Prolungato stato di ipoperfusione viscerale come nello shock ipovolemico.

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

come accennato esistono due forme di pancreatite clinicamente parlando, queste generalmente trovano un corrispettivo anatomopatologico in: • forma edematosa, meno grave e caratterizzata da alterazioni strutturali del pancreas limitate. • forma necrotico emorragica o PANE: ◦ non si registrano generalmente grosse ed importanti emorragie, queste possono verificarsi nel momento in cui siano interessati i grossi vasi peripancreatici. ◦ Si formano generalmente delle microemorragie legate a fenomeni TROMBOTICI dei piccoli vasi che causano la necrosi. La forma necrotico emorragica può evolvere a seconda dei casi in forme differenti, ricordiamo: ◦ completo riassorbimento e restitutio ad intregrum della ghiandola, si tratta dell'evenienza migliore in assoluto chiaramente. ◦ Colliquazione del tessuto necrotico con formazione di PSEUDOCISTI cisti cioè non limitate da un epitelio vero e proprio come le cisti pancreatiche. Le pseudocisti a loro volta possono: ▪ riassorbirsi. ▪ Accrescersi: sarà necessario quindi un intervento chirurgico per poterle eliminare. ◦ Formazione di una pancreatite necrotico infetta o PANI: dopo circa 7­10 giorni la 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 10: le pancreatiti acute raccolta necrotica va incontro ad un processo infettivo vero e proprio, va distinta clinicamente dalla febbre caratteristica del processo post infiammatorio, prima di 7 giorni, non si parla mai di PANI. ◦ ascesso pancreatico che rappresenta una PANI localizzata. Prima di eseguire un qualsiasi intervento chirurgico si attende per due motivi: • il primo è che una pancreatite non complicata non viene trattata chirurgicamente. • Il secondo è che con il tempo, sotto controllo medico naturalmente, le aree di necrosi pancreatica tendono ad autolimitarsi e divenire chirurgicamente più facilmente individuabili e trattabili. Nel momento in cui sarà necessario eseguire l'intervento quindi, bisognerà eliminare i tessuti: • pancreatici compromessi. • Peripancreatici.

ASPETTI CLINICI:

come accennato i due quadri clinici di pancreatite acuta severa e lieve si distinguono per la presenza nella prima di un interessamento sistemico, distinguiamo quindi: • SINTOMI LOCALI comuni sia alla pancreatite acuta lieve che a quella severa e che possono essere più intensi nella seconda. Ricordiamo: ◦ DOLORE generalmente post prandiale tardivo, circa 2­3 ore dopo pasti importanti, di tipo: ▪ intenso. ▪ Terebrante. ▪ Epigastrico, la sede specifica dipende dall'area di parenchima pancreatico primitivamente interessato dalla flogosi. ▪ Si irradia agli ipocondri a cintura, in direzione anteroposteriore al dorso. ▪ Possono risultare interessati per dolore riferito anche: • punti frenici. • Spalla. Il paziente si presenta presenta a busto piegato in avanti, mani incrociate sull'epigastrio sul quale esercita una pressione, NON C'È CONTRATTURA DI DIFESA IN QUESTO CASO. ◦ DISTENSIONE ADDOMINALE: la flogosi interessa tutto il peritoneo posteriore e può manifestarsi in un ILEO PARALITICO LOCALIZZATO DELLA PRIMA ANSA DIGIUNALE SOPRATTUTTO. Si registra spesso, nel 65­80% dei casi. ◦ TUMEFAZIONE EPIGASTRICA, che si regista nel 5­20% dei casi. ◦ ASCITE PANCREATICA. ◦ SEGNO DI CULLEN cioè una ecchimosi in regione periombelicale o lombare, Segno di Cullen 3


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dovuta alla digestione dei tessuti retroperitoneali che, superficializzandosi, si manifesta in questo modo. ◦ SEGNO DI GRAY TURNER cioè lo sviluppo di ecchimosi della medesima eziologia a livello dei fianchi. SINTOMI GENERALI caratteristici della pancreatite acuta grave e molto variabili in intensità, sono: ◦ NAUSEA. ◦ VOMITO. ◦ FEBBRE come accennato. ◦ ITTERO che si registra nel 15­30% dei casi e può verificarsi per due cause: ▪ calcolo incuneato nella via biliare tanto che generalmente il quadro inizia con una colica di tipo biliare. ▪ Edema della testa del pancreas o aree necrotiche sviluppatesi con la flogosi che comprimono il coledoco nel suo tratto intrapancreatico bloccando il deflusso della bile. ◦ DISPNEA se si manifesta una ARDS. ◦ EMORRAGIE DIGESTIVE. ◦ SHOCK generalmente derivato da una SIRS che si registra molto spesso, può evolvere a seconda delle condizioni concomitanti a: ▪ shock ipovolemico. ▪ Shock settico. ▪ Shock misto: generalmente le componenti eziologiche di questo shock sono miste e difficili da controllare. Evolve molto spesso a disfunzione multipla d'organo. DEFIZIONE DI SIRS, SEPSI, SEPSI SEVERA E SHOCK SETTICO TEMPERATURA

SIRS SEPSI SEPSI SEVERA SHOCK SETTICO

<36°o >38°

FREQUENZA CARDIACA

FREQUENZA GLOBULI BIANCHI RESPIRATORIA >20 atti minuto o >12.000 o <4000 o >90 bpm paCO2 >32mmhg >10% forme immature 2 o più segni di SIRS 2 o più segni di SIRS 2 o più segni di SIRS

INFEZIONE MOD IPOTENSIONE no

no

no

sì sì sì

no sì sì

no no sì

DIAGNOSI:

la diagnosi di pancreatite acuta si avvale di: • quadro sintomatologico abbastanza evidente a chiaro. • INDAGINI DI LABORATORIO: ◦ Amilasemia e amilasuria, presenti ed elevate anche nelle infezioni o affezioni delle ghiandole salivari. ◦ Lipasemia e lipasuria che sono invece ESCLUSIVE DELLE PANCREATITI. ◦ Leucocitosi neutrofila. ◦ ipocalcemia: il calcio ematico tende in caso di pancreatite a depositarsi in corrispondenza della aree necrotico emorragiche e cala la sua concentrazione dopo qualche giorno. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 10: le pancreatiti acute ◦ Iperglicemia dovuta ad una alterata regolazione del metabolismo glucidico dovuto alla morte delle cellule delle isole pancreatiche. ◦ Incremento della LDH, indice molto generico. ◦ Alterazioni di SGOT/SGPT. ◦ acidosi metabolica o mista. • INDAGINI RADIOLOGICHE che risultano fondamentali in quanto sono le uniche che consentono di quantificare il danno pancreatico: ◦ TC con mezzo di contrasto, si tratta dell'esame principe, consente di visualizzare: ▪ lesioni pancreatiche e raccolte sieroematiche eventualmente presenti. ▪ Interessamento dei tessuti peripancreatici. ▪ La sede delle raccolte ematiche e sierose extrapancreatiche addominali: si possono analizzare le docce parietocoliche destra e sinistra e i recessi peritoneali. In rari casi la raccolta di liquido prosegue verso lo jato di Bochtelev o lo jato Aotico del diaframma provocando delle GRAVI MEDIASTINITI individuabili solo grazie a questa metodica. ◦ ECOGRAFIA ha presenta dei forti limiti per due motivi: ▪ generalmente il paziente è molto robusto e l'adipe non consente una visualizzazione adegauta. ▪ L'ileo paralitico impone una distensione delle anse che riduce la possibilità di penetrazione da parte degli ultrasuoni. Tale indagine è in ogni caso utile per valutare che non vi siano dei danni a livello DELLA COLECISTI e va SEMPRE E COMUNQUE FATTA. ◦ DIRETTA ADDOME: può dimostrare la presenza di livelli ideoaerei o eventualmente, molto raramente, la presenza di un calcolo. ◦ COLANGIO RMN capace di visualizzare calcoli eventualmente presenti. ◦ ECOENDOSCOPIA sempre molto utile nella ricerca del calcolo. ◦ ERCP che IN QUESTO CONTESTO HA UN VALORE UNICAMENTE TERAPEUTICO IN QUANTO CONSENTE DI ELIMINARE IL CALCOLO, va eseguita possibilmente entro le prime 72 ore, dopo di che il danno diviene tanto irreversibile che la procedura, nonostante l'eventuale successo, non migliora la prognosi. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: valutando la sintomatologia generalmente la diagnosi differenziale è abbastanza agevole: • colecistite acuta che si caratterizza per un dolore completametne differente: ◦ dolore localizzato all'ipocondrio destro. ◦ contrattura di difesa che manca completamente nella pancreatite. • Occlusione intestinale: se meccanica da dei dolori completamente differenti, di tipo crampiforme. • Perforazioni gastriche o intestinali che provocano generalmente un dolore a pugnalata seguito dal rapido sviluppo di una contrattura di difesa dovuto alla irritazione peritoneale. • Infarto intestinale, in alcuni casi difficile da differenziare: 5


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• • •

◦ il dolore iniziale presenta caratteristiche molto simili. ◦ La localizzazione può essere spesso, per la struttura della vascolarizzazione intestinale la stessa. ◦ Non da contrattura di difesa almeno nelle prime fasi. Una differenza importante è legata al fatto che tale dolore al contrario di quello della pancreatite, anche se non è sempre vero, si può verificare in qualsiasi momento della giornata senza alcun rapporto ben preciso con i pasti. Dal punto di vista laboratoristico generalmente amilasi e lipasi non aumentano. Infarto del miocardio: se interessa la parete inferiore del cuore la diagnosi differenziale può risultare difficile, il dolore è infatti molto simile. Fissurazione e rottura di un aneurisma aortico: segni di shock e ipotensione sono decisamente preponderanti in questo caso. Polmonite franca lobare che può dare una distribuzione del dolore all'addome, in sede sottodiaframmatica. La diagnosi può essere: ◦ relativamente agevole se viene eseguito un esame obiettivo del polmone. ◦ Difficile se ad una pancreatite si sovrappone, per effetto dei mediatori infiammatori, un interessamento mediastinico con versamento pleurico secondario.

COMPLICANZE:

le complicanze possono essere molto importanti clinicamente parlando: • COMPLICANZE LOCALI cioè: ◦ infezioni della necrosi del pancreas che può derivare da germi presenti: ▪ nell'intestino, soprattutto tenue naturalmente. ▪ Nelle vie biliari. ▪ Nel sangue. ◦ emorragia da pseudoanerisma arterioso. ◦ emorragie digestive. ◦ fistole intestinali e necrosi coliche dovute a trombosi acuta dei vasi mesenterici soprattutto. ◦ idroureteronefrosi: si verifica se il processo infiammatorio è tale da provocare una espansione del pancreas che interessi anche l'uretere. • SHOCK che può evolvere ad ARDS e MOD. • INSUFFICIENZA RENALE SECONDARIA. • COAGULAZIONE INTRAVASCOLARE DISSEMINATA. INCIDENZA DELLE COMPLICANZE: l'incidenza globale di queste complicanze, locali o generalizzate, del 30% circa, • 80% dei casi nella PANE. • 9% nella pancreatite edematosa. È però importante ricordare il fatto che il rischio di infezione della necrosi pancreatica aumenta in modo considerevole nel tempo: alla seconda settimana raddoppia e alla terza raggiunge il 60%. PROGNOSI: 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 10: le pancreatiti acute nel 70% dei casi si assiste ad una guarigione completa nell'arco di 3 settimane, ma in caso di pancreatite acuta severa il rischio di mortalità è piuttosto elevato e variabile nelle diverse settimane: • I settimana: ◦ la mortalità è del 50%. ◦ la causa di morte è una disfunzione multipla d'organo dovuta a SHOCK MISTO. • II settimana durante la quale la mortalità è del 20%, relativamente bassa. • III settimana, durante la quale: ◦ il rischio di mortalità è del 70%. ◦ si verifica la maggior parte delle infezioni. Nella sua forma acuta quindi, la patologia è estremamente pericolosa. INDICI DI EVOLUZIONE DELLA MALATTIA NEL TEMPO: gli indici di evoluzione della malattia, molto utili per valutare la prognosi del paziente sono: • PCR. • interleuchina 1β. • Interleuchina 6. dei tre generalmente viene valutata la PCR, si tratta dell'indice meno costoso e più facile da valutare. La valutazione del paziente può essere in ogni caso eseguita tramite: • criteri di GLASGOW, che consentono la attribuzione di un punteggio di gravità. • Criteri di RANSON che consentono la valutazione complessiva del paziente sia all'ingresso in reparto sia dopo 48 ore in modo differente a seconda che la pancreatite presenti causa biliare o meno.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 11: pancreatiti croniche

LE PANCREATITI CRONICHE la pancreatite cronica è una malattia infiammatoria cronica del pancreas, caratterizzata istologicamente da: • processi FOCALI DI FIBROSI ed ATROFIA del tessuto acinoso. • lesioni OSTRUTTIVE DUTTALI. Una pancreatite cronica, visti i correlati anatomopatologici, si traduce in una COMPLETA DEFUNZIONALIZZAZIONE DEL PANCREAS che viene sostituito da tessuto fibroso. EPIDEMIOLOGIA: si tratta di una patologia non infrequente, soprattutto nel nord est italiano, si accompagna infatti ad un elevato consumo di etanolo. In linea generale ricordiamo che: • nei paesi occidentali colpisce circa 3­6 persone su 100.000 abitanti. • È prevalente nel sesso maschile. • L'età di insorgenza è tra 30 e 40 anni.

CLASSIFICAZIONE EZIOLOGICA:

le pancreatiti croniche si possono dividere in diverse categorie: • PANCREATITE DUTTALE O D'AMONT, si forma a monte di una stenosi o substanosi ed è dovuta alla formazione di una ipertensione a livello degli acini con conseguente retrodiffusione enzimatica e danno tissutale nel parenchima pancreatico. Si verifica in caso di: ◦ odditi. ◦ Neoplasie: ogni area neoplastica del panceas si circonda di una regione di pancreatite cronica che può rendere difficile la diagnosi. ◦ stenosi successiva ad una pancreatite acuta di tipo: ▪ cicatriziale. ▪ da pseudocisti. • PANCREATITE CRONICA NON DUTTALE, si caratterizza per la presenza di due fattori fondamentali: ◦ un fattore genetico predisponente, si parla di: ▪ gruppo 0. ▪ antigene di istocompatibilità HLA B13. ◦ Un fattore ambientale o contestuale come: ▪ assunzione di etanolo. ▪ Malnutrizione. ▪ Ipercalcemia. ▪ Iperlipidemia. ▪ Emocromatosi. In questo caso infatti si formano DEI TAPPI PROTEICI che tendono A CALCIFICARE dovuti ad una alterazione della composizione del succo pancreatico, complessivamente possiamo registrare: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 11: pancreatiti croniche ◦ Aumento della componente proteica. ◦ aumento delle concentrazioni di calcio. Come fattori inducenti tale fenomeno e capaci di generare una ipertensione localizzata. • PANCREATITI A CAUSA GENETICA come: ◦ fibrosi cistica. ◦ Morbo di Wilson. • PANCREATITI CRONICHE DA VASCULOPATIA, le vasculopatie che possono indurre una riduzione della vascolarizzazione pancreatica e conseguentemente una pancreatite cronica, soprattutto a nell'età anziana. Si parla spesso di pancreatite cronica senile. • PANCREATITI IDIOPATICHE: ◦ pancreatite cronica giovanile. ◦ Pancreatite cronica infiammatoria essenziale. PATOGENESI: dal punto di vista della patogenesi possiamo dire che i PROCESSI PATOGENETICI EFFETTIVAMENTE COINVOLTI nella maggior parte dei casi sono due: • IPERASSUNZIONE DI ETANOLO, l'etanolo infatti: ◦ perossida i lipidi di membrana. ◦ Altera la concentrazione proteica nel succo pancreatico, in particolare altera il rapporto tra: ▪ tripsinogeno. ▪ Inibitori. Che normalmente è di 1:1. Aumenta inoltre la concentrazione proteica generale. ◦ induce la formazione di tappi proteici. ◦ Diminuisce la attività della PSP, pancreatic stone protein, che stabilizza il calcio in soluzione. • DIMINUZIONE PSP, pancreatic stone protein, che stabilizza il calcio in soluzione.

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

come accennato in precedenza il processo è principalmente di natura FIBROSANTE, complessivamente registriamo: • un aumento di volume del pancreas che si dimostra con: ◦ aree di colorito biancastro grigiastro. ◦ consistenza dura ◦ tumefazioni discrete a volte difficilmente distinguibili dal carcinoma pancreatico. • dotto di wirsung calcoloso, fortemente alterato nella sua conformazione e spesso invaso da calcoli. • Ectasia dei dotti collaterali di I e II ordine. • Presenza di cisti e pseudocisti. • Sclerosi del tessuto pancreatico.

ASPETTI CLINICI:

il quadro clinico, come accennato, può presentarsi: • ASINTOMATICO, si tratta di pancreatiti croniche che evolvono senza dolore e possono 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 11: pancreatiti croniche presentare: ◦ MALASSORBIMENTO. ◦ STEATORREA, presenza di lipidi nelle feci. ◦ CREATORREA, presenza di fibre muscolari indigerite nelle feci. • SINTOMATICO, caratterizzato da: ◦ dolore nel 90% dei casi, si presenterà: ▪ terebrante e continuo anche se raramente può presentarsi crampiforme, sicuramente il dolore si presenterà: • di lunga durata. • Ricorrente. ▪ Postprandiale. A lungo termine, con l'esaurimento della funzione pancreatica e la fibrosi completa dell'organo, il dolore scompare. ◦ Ittero lieve e di breve durata, si registra di circa il 30% dei casi. ◦ Nausea e vomito. Generalmente il dolore locale permane locale e non si registra un interessamento sistemico vero e proprio. • COMPLICATO, le complicanze in questo caso sono praticamente ineluttabili, il processo interessa infatti anche i tessuti circostanti e la ghiandola diventa sempre più dura e alterata: ◦ ittero ingravescente e progressivo: simile a quello registrato in caso di neoplasia pancreatica avanzata, in alcuni casi solo la anamnesi consente di distinguere tra i due aspetti. ◦ stenosi duodenale con conseguente vomito. ◦ ipertensione portale settoriale: la compressione interessa la vena splenica che può essere compressa o addirittura chiusa. ◦ Possono risultare a causa della pressione sulla vena splenica, interessate le vene del fondo dello stomaco che divengono turgide e possono eventualmente sanguinare. ◦ Diabete mellito: a lungo termine possono divenire stenotiche le arteriole che irrorano le insule pancreatiche provocando una insufficienza delle stesse che si traduce in un diabete mellito. OBIETTIVITÀ: sicuramente possiamo distinguere la presenza di: • un decadimento del trofismo generale. • Tumefazione pancreatica. • Dolore elettivo alla palpazione dell'addome.

DIAGNOSI:

dal punto di vista pratico la diagnosi può essere supportata da: • ASPETTI LABORATORISTICI, ricordiamo che amilasemia e milasuria permangono alte solo nella fase acuta, nella fase cronica difficilmente lo sono, di conseguenza: ◦ in presenza di valori di amilasemia elevati, si deve pensare ad una pseudocisti. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 11: pancreatiti croniche ◦ Si possono valutare le concentrazioni di bicarbonati ed enzimi pancreatici nel succo duodenale, dopo la stimolazione con CCK o pancreatozimina. ◦ Si possono determinare i livelli di lipidi e proteine nelle feci. ◦ Si possono dosare i livelli di enzimi pancreatici nelle feci. • ASPETTI DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI, complessivamente si possono utilizzare: ◦ diretta addome, poco utilizzata oggi, un tempo poteva essere utile per individuare regioni calcificate a livello del pancreas. ◦ Ecografia che nel paziente magro da ottimi risultati. ◦ TC, esame principe in questo caso. ◦ Biopsia transparietale guidata che consente di distinguere tra pancreatite cronica e cancro molto spesso. ◦ Biopsia transduodenale. ◦ ERCP: consente il prelievo diretto del succo pancreatico e sua analisi, se positivo per neoplasia consente di fare diagnosi, in caso contrario sono necessari ulteriori approfondimenti. ◦ Pasto baritato, consente di eliminare altre possibili cause. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: questa condizione infiammatoria e fibrosante va distinta essenzialmente da: • CANCRO DEL PANCREAS, condizione estremamente pericolosa, come accennato a volte l'approccio bioptico è essenziale. • Ulcera gastrica o duodenale, confondibile eventualmente in termini di sintomatologia. • litiasi biliare che può dare vita a pancreatiti acute ricorrenti o a fenomeni comunque di interessamento pancratico. • Angina pectoris. • Insufficienza vascolare celiaco mesenterica. • Aneurisma della aorta addominale. • Porfiria. • Enterite segmentaria.

TERAPIA

la terapia è fondamentalmente chirurgica e si esegue in caso di complicanze le indicazioni sono: • dolore resistente alla terapia medica o che induce dipendenza dalla stessa. • Complicanze clinicamente rilevanti.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 12: malattia cistica del pancreas

LE CISTI PANCREATICHE E I TUMORI CISTICI DEL PANCREAS le cisti pancreatiche sono sono formazioni cistiche che insorgono nell'ambito del parenchima pancreatico o in continuità con esso. Si tratta di una patologia tipica del pancreas e presenta una importanza relativa clinicamente parlando, ricordiamo tuttavia che esistono tumori cistici del pancreas, maligni, che si presentano in modo molto simile a cisti pancreatiche ma presentano, chiaramente, prognosi e trattamento molto differenti. Le cisti pancreatiche possono essere anzitutto classificate in: • CISTI VERE dotate cioè di una parete epiteliale composta di un epitelio cuboidale tipico dei dotti. Possono essere: ◦ CONGENITE: generalmente si accompagnano a cisti renali, epatiche o spleniche, eventualmente di altri organi. ◦ ACQUISITE, che possono essere confuse con tumori cistici. • PSEUDOCISTI che possono rappresentarsi: ◦ come evoluzione, come visto in precedenza, di aree di necrosi pancreatica diffusa. ◦ Come evoluzione di traumi pancreatici. ◦ Idiopatiche. Sono prive di rivestimento epiteliale interno. Aspetto fondamentale dal punto di vista dell'approccio terapeutico è definire SE VI SIA O MENO UNA COMUNICAZIONE CON IL DOTTO PANCREATICO O MENO: • se si tratta di una necrotica pancreatica colliquata che non comunica con il dotto pancreatico, è sufficiente pungerla e drenare il liquido. • Se c'è una comunicazione con il dotto pancreatico, non è sufficiente vuotare la raccolta in quanto questa si riformerà rapidamente riempiendosi di succo pancreatico. Le cisti comunicanti tendono spesso ad assumere delle dimensioni enormi e si manifestano con un ingrossamento dell'addome del tutto inatteso: il paziente non si nutre o non mangia a causa della insufficienza pancreatica, ma il suo addome si gonfia a causa della cisti.

QUADRO CLINICO:

registriamo fondamentalmente la presenza di: • TUMEFAZIONE che diviene sicuramente palpabile, eventualmente anche visibile. • ALTERAZIONI DELLA ATTIVITÀ DEL TRATTO DIGERENTE dovuta alla compressione degli organi circostanti, in particolare: ◦ duodeno fino eventualmente al vomito. ◦ Dotto coledoco fino eventualmente all'ittero.

DIAGNOSI:

la diagnosi di cisti pancreatica può non essere semplice, aiutano sicuramente: • LABORATORISTICA, relativamente utile normalmente ma ricordiamo che nelle fasi successive ad una pancreatite acuta, se dopo alcuni mesi amilasemia e lipasemia non tornano a livelli normali, è probabile che si formata una cisti pancreatica. • DIAGNOSTICA PER IMMAGINI, si possono eseguire:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 12: malattia cistica del pancreas ◦ ECOGRAFIA, utile soprattutto in quanto il paziente è generalmente magro e la cisti di dimensioni considerevoli. ◦ TC con contrasto. ◦ RMN, aiuta a definire soprattutto se vi sia una comunicazione con il dotto pancreatico. ◦ ERCP che sicuramente: ▪ consente di dimostrare la presenza di una comunicazione eventuale Cisti pancreatica di grosse dimensioni, da sintomi di sazietà con il dotto di virsung. precoce. ▪ Con la iniezione del liquido di contrasto può provocare la contaminazione del della cisti e quindi un ascesso.

TUMORI CISTICI DEL PANCREAS:

i tumori cistici del pancreas si distinguono delle cisti pancreatiche in quanto sono ricchi di sepimenti interni, cosa che non si verifica nella cisti normalmente, non si tratta naturalmente di una regola, in alcuni casi solo una volta eseguito il drenaggio si determina la necessità di rimuovere l'intera struttura cistica. Dal punto di vista epidemiologico ricordiamo che: • si tratta di neoplasie rare, interessano circa: ◦ 1% dei tumori del pancreas. ◦ 10% delle cisti pancreatiche. • Sono prevalenti nel sesso femminile. • Sono tipici della quarta e sesta decade. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: dal punto di vista anatomopatologico distinguiamo: • neoplasie cistiche mucinose che possono essere adenomatose o adenocarcinomatose naturalmente: ◦ sono sicuramente la maggior parte dei tumori cistici, rappresentano il 50% dei casi circa. ◦ Sono molto prevalenti nel sesso femminile (80% dei casi). ◦ Colpiscono tutte le fasce d'età. Dal punto di vista anatomopatologico sono: ◦ lisce e capsulate. ◦ Raggiungono i 25cm di diametro e li possono anche superare. Maggiore è la dimensione, maggiore è il grado di malignità generalmente. ◦ Sono dotate di sepimenti e sono quindi multiloculate. ◦ Il contenuto è mucoso. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 12: malattia cistica del pancreas

◦ Sono più comuni nel corpo e nella coda. Vanno rimosse il più velocemente possibile, possono infatti rapidamente evolvere a forme maligne: si passa da neoplasie francamente benigne a cistoadenocarcinomi veri e propri. Esiste anche una forma analoga detta NEOPLASIA DUTTOECTASICA o ECTASIA DUTTALE MUCOSA, presenta la stessa potenzialità di trasformazione maligna di una neoplasia cistica mucinosa. Ricordiamo che: ◦ epidemiologicamente risulta: ▪ prevalente nel sesso maschile. ▪ Tipico dell'età adulta, dopo la VI decade. ◦ Tende ad evolvere attraverso diversi stadi: ▪ iperplasia dell'epitelio duttale. ▪ Displasia. ▪ Neoplasia in situ e poi infiltrante. ▪ Crescita prima intraduttale poi infiltrante il parenchima. Neoplasie cistiche sierose: ◦ prevalente nella donna come succede nel 60­80% dei casi. ◦ Colpisce soprattutto pazienti anziani, tra 60 e 70 anni. ◦ Dal punto di vista anatomopatologico: ▪ hanno dimensione variabile. ▪ Sono prevalenti a livello della testa. ▪ Hanno pareti lisce. ▪ Presentano una struttura spugnosa. ◦ Il comportamento biologico è generalmente benigno, la malignità si registra in meno dell'1% dei casi. Neoplasie cistiche papillari: ◦ sono molto rare. ◦ Interessano prevalentemente il sesso femminile. ◦ Colpiscono la II­III decade. ◦ Hanno un comportamento biologico benigno, sono neoplasie: ▪ a lenta crescita. ▪ Scarsamente infiltranti e metastatizzanti. Con l'età avanzata e nel sesso maschile le probabilità di malignità sono maggiori.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 12: malattia cistica del pancreas

Neoplasia pancreatica cistica, a sinistra la forma sierica, a desta la forma mucinosa.

QUADRO CLINICO: si tratta di neoplasie: • molto spesso asintomatiche come avviene nel 50% dei casi. • Possono dare una sintomatologia aspecifica tanto che sovente si arriva alla diagnosi anche dopo 10 anni dall'esordio della malattia, quando la tumefazione diviene cioè palpabile. Complessivamente si possono avere: ◦ dolore gravativo nell'epigastrio. ◦ Nausea e vomito soprattutto post prandiali. ◦ Sintomi maggiormente tardivi quali: ▪ perdita di peso. ▪ Malnutrizione. • Sopratutto nelle neoplasie dutto­ectasiche, si può registrare la presenza di un ostacolo al deflusso del secreto pancreatico capace di generare EPISODI RICORRENTI DI PANCREATITI ACUTE. • In alcuni rari casi si possono rompere nel peritoneo e quindi dare delle EMORRAGIE. DIAGNOSI: l'approccio diagnostico può essere condotto: • dal punto di vista LABORATORISTICO tramite la ricerca di markers specifici quali: ◦ CA19­9 che aumenta in caso di neoplasie pancreatiche e biliari. ◦ Amilasemia che spesso risulta in questi pazienti normale al contrario di quanto si registra invece nelle pseudocisti. • Dal punto di vista RADIODIAGNOSTICO tramite imaging: ◦ sono generalmente facilmente visibili alla ECOGRAFIA. ◦ TAC e RMN danno definizioni più elevate e sono molto utili per determianre il tipo di approccio chirurgico necessario. ◦ ERCP che può essere estremamente: si esegue spesso un prelievo di liquido del secreto pancreatico si esegue una valutazione citologica; eventualmente si può eseguire un BRUSHING grattando la parete del virusng. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 12: malattia cistica del pancreas Agobiopsia: soprattutto nel CARCINOMA MUCINOSO ad alto rischio di malignità. Si registra in alcuni casi un incremento del rischio di disseminazione peritoneale, per questo si presta molta attenzione alla esecuzione di questo tipo di procedura. PROGNOSI: la prognosi dipende ovviamente dal risultato dello studio istologico: • le forme benigne guariscono nella totalità dei casi se rimosse. • Le forme maligne presentano una prognosi MIGLIORE DELL'ADENOCARCINOMA: la sopravvivenza è intorno al 50­75% a 5 anni se l'intervento è sufficientemente precoce. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 13: cancro del pancreas

CANCRO DEL PANCREAS il cancro del pancreas è una neoplasia abbastanza comune, non tanto importante in termini di incidenza quanto piuttosto di MORTALITÀ che risulta molto elevata: rappresenta la quarta causa di morte per cancro dopo polmone, colon e mammella. • La sua incidenza è in aumento. • Si registrano circa 9,5 casi su 100.000 all'anno. • Nell'80% dei casi la fascia d'età interessata è tra 60 e 80 anni. • Il rapporto maschio femmina è di circa 2 a 1. FATTORI DI RISCHIO: i fattori di rischio noti per cancro del pancreas sono: • fumo. • Dieta ricca di grassi animali e contemporaneamente etanolo. • Probabilmente la pancreatite cronica anche se la associazione non è del tutto chiara. • Alterazioni cromosomiche, nello specifico sono tre i geni coinvolti: ◦ p53. ◦ DPC4. ◦ MTS1.

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

dal punto di vista anatomopatologico riconosciamo la presenza di neoplasie di diversa origine istologica: • NEOPLASIE DI ORIGINE DUTTALE che rappresentano l'80% delle neoplasie del pancreas, possono essere: ◦ displasia duttale severa. ◦ Adenocarcinoma duttale. • CARCINOMA A CELLULE ACINARI. • TUMORE A CELLULE GIGANTI. • PANCREATOBLASTOMA. • CARCINOMA SOLIDO PSEUDOPAPILLARE. Dal punto di vista della localizzazione il cancro del pancreas si può trovare: • nel 60% dei casi a livello della testa. • Nel 13% dei casi a livello del corpo. • Nel 5% dei casi a livello della coda. • Nel 20% dei casi si presenta multifocale. DIFFUSIONE: come tutte le neoplasie la diffusione avviene: • PER CONTINUITÀ. • PER CONTIGUITÀ invadendo: ◦ il tessuto nervoso peripancreatico. ◦ I vasi vicini nel 50% dei casi. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 13: cancro del pancreas

• • •

◦ Duodeno. ◦ Fegato. ◦ Stomaco. ◦ Rene. ◦ Milza. ◦ Colon. Per via linfatica. Per via ematica a fegato, polmone e pleura. Per via endocelomatica.

ASPETTI CLINICI:

la sintomatologia può essere estremamente difficile da riconoscere: • molto spesso è vaga ed aspecifica e si manifesta con: ◦ dispepsia. ◦ Dolenzia toraco lombare. • Dolore, tale dolore può essere: ◦ sordo e gravativo. ◦ Simile a quello di un'ulcera peptica. Si riscontra in circa il 50% dei casi. • Ittero: ◦ è presente all'esordio solo nel 30% dei casi, ma si sviluppa nel tempo fino a presentarsi nel 90% dei casi. ◦ È un ittero nudo, ingravescente e progressivo. • Vomito. • Cachessia, presente in un gran numero di casi, circa il 90%. • Sindromi paraneoplastiche. • Segni aspecifici come: ◦ anemia. ◦ Amilasemia. ◦ Alterazioni degli enzimi epatici e di stasi biliare. Spesso la diagnosi è tardiva, al momento della scoperta del cancro infatti: • solo nel 10% dei casi la patologia è confinata al pancreas. • Nel 20% dei casi si riscontra la presenza di metastasi ai linfonodi vicini. • Nel 70% dei casi si riscontrano metastasi sistemiche. Tanto che la mortalità entro un anno è circa del 90%. esistono dei markers neoplastici per questo tipo di patologia che presentano i limiti di tutti i markers neoplastici, questi sono: • CEA. • Ca 19.9. questi markers: • risultano aumenati anche in altre patologie pancreatiche come le pancreatiti acute e croniche e in patologie epatiche. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 13: cancro del pancreas • sopratutto il Ca19.9 è utile nel follow up. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI: sicuramente possono essere utili: • ecografia. • TAC. • RMN. • Angiografia. • ERCP. • Ecografia endoscopica. • PET. • Pancreatoscopia. • Laparoscopia. TC che evidenzia la presenza di un adenocarcinoma macrocistico.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 14: ascesso epatico

ASCESSO EPATICO si tratta di una raccolta di materiale purulento nell'ambito di una cavità neoformata nel parenchima epatico, può essere secondario alla infezione da parte di due tipi di patogeni: • BATTERI. • ENTOAMOEBA HISTOLYTICA.

ASCESSO BATTERICO:

l'ascesso da batteri è sempre ovviamente secondario ad un processo infettivo che può derivare da: • dalla via biliare ascedente. • Dal sistema venoso portale. • Dal sistema arterioso a causa di una setticemia diffusa. • Per estensione di una infezione intraperitoneale. • Secondariamente ad un trauma epatico. QUADRO CLINICO: il quadro è relativamente caratteristico: • febbre. • Vomito. • Nausea. • Anoressia. • Dolore generalmente tardivo. • Ittero raramente. Dal punto di vista dell'obiettività sicuramente riscontriamo: • epatomegalia. • Dolorabilità. • Ottusità alla base polmonare destra molto spesso. INDAGINI SPECIFICHE: Per quanto riguarda le indagini laboratoristiche: • leucocitosi, si arriva a 18.000­20.000 globuli bianchi. • Anemizzazione. • Emocoltura positiva, questo si verifica purtroppo solo nel 30% dei casi. Dal punto di vista radiologico sono molto utili: • ecografia. • Angio TC. • Diretta addome ed RX del torace. PROGNOSI: la prognosi non è affatto buona, soprattutto se la malattia viene sottovalutata e si espande, la mortalità risulta: • in caso di ascesso unico circa del 24%. • in caso di ascessi multipli circa del 70%. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 14: ascesso epatico •

in presenza di ascessi non drenati si arriva al 100%.

ASCESSO AMEBICO:

dal punto di vista epidemiologico si tratta di una patologia abbastanza diffusa: • circa il 3­4% delle autopsie risulta nel riscontro di un ascesso di questo tipo. • Questi ascessi vengono riconosciuti solo nell'1­25% dei casi clinicamente. • Il sesso maschile è colpite 9 volte di più rispetto a quello femminile. • L'età media di insorgenza è tra 40 e 50 anni. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: si tratta di una GROSSA LESIONE SFERICA caratterizzata da: • parete sottile con tessuto di granulazione di pochi millimetri e scarsa fibrosi reattiva. • Sede generalmente: ◦ prevalente nel lobo destro. ◦ In prossimità della cupola o della superficie inferiore. • Istologia generalmente caratterizzata da: ◦ materiale necrotico granuloso ed eosinofilo. ◦ Presenza di amebe in periferia. ◦ Brusco passaggio tra tessuto necrotico e normale. ◦ Assenza di leucociti polimorfonucleati, si tratta di un ascesso parassitario. Ascesso epatico amebico.

ASPETTI CLINICI: clinicamente distinguiamo nettamente due tipi di decorso: • ACUTO di durata inferiore alla settimana. • CRONICO di durata anche di parecchi mesi. Clinicamente generalmente si inserisce in un contesto di: • dissenteria amebica. 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 14: ascesso epatico • Dolore, come avviene nel 90% dei casi. • Tosse secca come avviene nel 50% dei casi. • Febbre anche molto alta, fino alla iperpiressia. • Nausea e vomito. • Ittero, raramente. Per quanto concerne l'obiettività: • margine epatico aumentato in volume e dolente. • Dolore alla palpazione degli spazi intercostali. ASPETTI LABORATORISTICI: dal punto di vista delle analisi di laboratorio riscontriamo: • leucocitosi. • Anemia. • Aumento della VES. • Esame delle feci, positivo per l'ameba nel 15% dei casi. • Test sierologici anticorpali: ◦ emoagglutinazione diretta. ◦ Fissazione del complemento. ◦ Precipitazione e diffusione. DIAGNOSTICA PER IMMAGINI: si possono eseguire: • ecografia. • TC. • drenaggio sotto guida ecografica o TC, restituisce un liquido di color marrone cioccolato. • RX del torace. POSSIBILI COMPLICANZE: complessivamente le complicanze per questo tipo di patologia sono numerose: • pleuropolmoniti. • Fistole bronco epatiche. • Perforazioni peritoneali. • Rottura in sede duodenale, gastrica o colica. • Pericardite purulenta con conseguente tamponamento cardiaco. • Ascesso cerebrale.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato

NEOPLASIE DEL FEGATO come tutte le neoplasie dell'organismo i tumori del fegato si classificano in: • BENIGNI classificabili sulla base della loro origine istologica in: ◦ VASCOLARI come gli ANGIOMI, sicuramente i più comuni in assoluto. ◦ EPITELIALI come; ▪ iperplasia nodulare focale. ▪ Adenoma. ▪ CISTICI come: • cisti semplici. • Malattia policistica dell'adulto. • Cistoadenoma. ◦ DI ORIGINE STROMALE. • MALIGNI classificabili in: ◦ epatocarcinoma. ◦ Colangiocarcinoma intraepatico ed epatocolangiocarcinoma. ◦ Sarcomi.

L'ANGIOMA EPATICO:

rappresenta la patologia epatica neoplastica benigna più comune in assoluto, ricordiamo che: • si tratta di un AMARTOMA. • Presenta una incidenza: ◦ del 2­4% nella popolazione generale. ◦ Il rapporto maschio femmina è sbilanciato, colpisce principalmente le donne. ANATOMIA PATOLOGICA: dal punto di vista anatomopatologico si tratta di una malattia che: • è mutipla nel 70% dei casi. • Si localizza più di frequente nel lobo destro del fegato. • Il diametro passa da pochi centimetri fino anche a 30 centimetri, lo si definisce gigante se supera i 10 cm. • È una formazione: ◦ espansiva. ◦ Di colorito rosso scuro. ◦ Spesso ma non sempre capsulato. Dal punto di vista pratico è molto poco preoccupante, raramente si accresce raggiunta una certa taglia, così come raramente si rompe provocando emorragie, la degnerazione maligna non è stata segnalata. SINTOMATOLOGIA: essendo una patologia benigna e a crescita limitata generalmente, il riscontro è quasi sempre CASUALE, se diviene gigante, superando i 10cm, si sviluppa generalmente un dolore: • gravativo. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato • Pulsante. • In sede epigastrica o dell'ipocondrio destro. DIAGNOSI: dal punto di vista diagnostico ci si può avvalere di: • laboratorio che dimostra la assenza di alterazioni della funzione epatica. • Ecografia, dotata di: ◦ sensibilità elevata. ◦ Specificità in rapporto alle alle dimensioni. • Eco doppler che rappresenta L'INDAGINE DI PRIMO LIVELLO per questa neoplasia. • TC dotata di alta sensibilità e bassa specificità. • Scintigrafia con emazie marcate, dotata di alta specificità. • RMN con gadolino. • Agobiopsia. TERAPIA: la terapia è chiaramente CHIRURGICA, va eseguita per pazienti: • sintomatici. • Nei quali vi sia un dubbio diagnostico.

IPERPLASIA NODULARE FOCALE:

l'ipreplasia nodulare focale è una condizione BENIGNA DI ORIGINE EPITELIALE SECONDARIA ALLO SVILUPPO DI UN PARENCHIMA IPERVASCOLARIZZATO PER LA PRESENZA DI UNA MALFORMAZIONE VASCOLARE ARTERIOSA. EPIDEMIOLOGIA: si tratta di una patologia: • che colpisce principalmente il sesso femminile. • Pazienti tra 20 e 40 anni, soprattutto DONNE CHE FANNO USO DI ESTROPROGESTINICI. • In rapporto all'adenoma è 10 volte più frequente. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: dal punto di vista della anatomia patologica la lesione risulta: • nodulare, di dimensioni inferiori a 5cm generalmente. • Unica in 3 casi su 4. • generalmente supericiale, a volte anche a sviluppo esofitico. • Provvisto di capsula. • Istologicamente si caratterizza per: ◦ lamine di epatociti normali separati da setti connettivali. ◦ Assenza di aree necrotiche emorragiche caratteristiche dell'adenoma. EVOLUZIONE: generalmente tende ad aumentare in volume lentamente nel tempo, ma come l'angioma non tende a rompersi o sanguinare, ne tende a degenerare. ASPETTI CLINICI: generalmente è asintomatico, può presentarsi con forme di dispepsia, pesantezza post 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato prandiale o dispepsia, dal punto di vista diagnostico ricordiamo che: • anche in questo caso il laboratorio non resititusce alterazioni della funzione epatica. • Ecografia. • Ecodoppler. • TC. • scintigrafia con tecnezio. • RMN. • Agobiopsia. TERAPIA: la terapia è la rimozione chirurgica, viene eseguita: • nei casi sintomatici. • In caso di dubbio diagnostico.

ADENOMA EPATOCELLULARE:

si tratta di un tumore benigno del fegato ad origine epatocellulare estremamente raro, caratteristico del sesso femminile e strettamente associato all'uso di ESTROPROGESTINICI. Generalmente: • colpisce donne in età fertile. • I fattori favorenti sono: ◦ terapia con estroprogestinici. ◦ Gravidanza. Si tratta di una neoplasia particolarmente ormono sensibile. ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI: dal punto di vista anatomopatologico risulta: • composto di noduli unici generalmente, tra 5 e 10cm. • Consistenza parenchimatosa o molle. • Presenta fenomeni regressivi al suo interno. • La capsula è spesso incompleta. • Dal punto di vista istologico: ◦ si presenta come una semplice proliferazione di epatociti e sinusoidi senza cellule di kupfer e simili. ◦ In caso di epatocarcinoma ben differenziato, la diagnosi può essere difficoltosa. DIAGNOSI: • ecografia che dimostra la presenza di una struttura disomogenea. • Eco doppler che dimostra la presenza di una ricca vascolarizzazione. • TC. • RMN. TERAPIA: a volte la sospensione dell'estroprogestinico fa regredire la patologia, ma la terapia resta sempre CHIRURGICA, eventualmente a seguito di una EMBOLIZZAZIONE PREOPERATORIA.

CISTI EPATICHE:

le cisti epatiche sono patologie relativamente infrequenti che si inquadrano in un contesto di: 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato 1. cisti biliari semplici. 2. Malattia policistica. 3. Cistoadenoma biliare. Non sono in quindi comunicanti con la via biliare. CISTI BILIARI SEMPLICI: sono cisti caratterizzate da: • parete interna costituita di epitelio biliare. • Liquido sieroso chiaro all'interno. • Volume estremamente variabile. • Uniche nel 50% dei casi, possono essere più di 3 nel 10% dei casi. • Predominanza femminile, il rapporto è di 2 a 1. • le cisti di dimensioni maggiori, generalmente diagnosticate, si manifestano sopra i 50 anni di età. ASPETTI CLINICI: generalmente sono un reperto casuale, ma se particolarmente grandi possono dare sintomi quali: • dolore gravativo. • Disturbi di tipo meccanico. • Possono divenire palpabili. Queste cisti possono dare delle complicazioni quali: • compressione della vena porta e della via biliare principale. • Torsione in caso di presenza di peduncolo. • Rottura in peritoneo. • Infezione. • Emorragia intracistica. DIAGNOSI: il contenuto cistico rende la diagnosi più semplice rispetto a quanto non lo sia per altre lesioni epatiche, si possono sfruttare: • TC. • RMN. MALATTIA POLICISTICA DELL'ADULTO: malattia autosomica dominante caratterizzata dalla presenza di cisti multiple identiche a cisti semplici, si associa a malattia policistica renale. In linea generale: • l'incidenza è uguale nei due sessi. • Compare generalmente successivamente a cisti renali, la sua incidenza aumenta con l'età, raggiungendo il massimo a 60 anni. DIAGNOSI: la diagnosi può essere: • sospettata clinicamente per la presenza di una epatomegalia. • Ecografia che dimosta la presenza di concomitanti cisti renali nel 50% dei casi. • TC. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato • RMN. TERAPIA: la terapia prevede la RIMOZIONE CHIRURGICA DELLA CISTI, in caso di: • fenomeni e sintomi da compressione. • Eccessivo aumento di volume dell'addome. • Grave insufficienza epatica. CISTOADENOMA EPATICO: adenoma a carattere cistico caratterizzato da: • parete con epitelio cubico cubico o cilindrico. • Cellule parietali con citoplasma ricco di mucina. • Liquido mucinoso all'interno. • Presenza di setti e invaginazioni intracistiche. Si tratta di una condizione: • MOLTO RARA. • DOTATA DI UN ALTO RISCHIO DI DEGENERAZIONE NEOPLASTICA. SINTOMATOLOGIA. La sintomatologia legata fondamentalmente a COMPRESSIONE E AUMENTO DI VOLUME DELL'ADDOME. DIAGNOSI: ci si può avvalere di: • ecografia. • TC. • agobiopsia. TERAPIA: analogamente agli altri casi la TERAPIA È DI TIPO UNICAMENTE CHIRURGICO.

EPATOCARCINOMA:

patologia neoplastica maligna che trae origine dagli epatociti, nel maschio rappresenta il settimo cancro per incidenza e risulta essere una patologia maggiormente comune dove vi sia un'alta incidenza di cirrosi secondaria. EPIDEMIOLOGIA: ricordiamo che: • il rapporto maschio:femmina è di 5 a 1. • l'età di insorgenza della patologia è variabile da caso a caso: ◦ maggiore di 40 anni in Europa e in Nord America. ◦ Minore di 40 anni in Asia. ◦ Risulta endemico in Αfrica Subsahariana e Cina. FATTORI DI RISCHIO: la associazione tra epatocarcinoma e fattori di rischio ben precisi è nota da lungo tempo, ricordiamo: • cirrosi. • Epatiti di tipo B e C. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato emocromatosi. Fattori legati alla dieta e alla inalazione o assunzione di nitrosamine, cloruro di vinile a alcune micotossine. • Trattamento prolungato con androgeni ad alte dosi. • Fumo di sigaretta e alcol. EZIOPATOGENESI: oltre ai fattori di rischio sopra citati, esistono dei fattori patogenetici noti come: • CANCEROGENI CHIMICI quali la aflotossina dell'aspergillus flavus. • VIRUS EPATITICI tra cui ovviamente soprattutto: ◦ HBV in presenza di una epatite cronica attiva, cioè presenta di HBsAg in circolo, il rischio aumenta di 98 volte. ◦ HCV in presenza del quale si sviluppa un carcinoma dopo 30 anni circa. • STEATOEPATITE NON ALCOLICA. • CONSUMO CRONICO DI ALCOL. La presenza di cirrosi non è un vero e proprio momento patogenetico, ma favorisce lo sviluppo di epatocarcinoma in quanto presenta con esso un gran numero di cause comuni. ANATOMIA PATOLOGICA: dal punto di vista anatomopatologico riconosciamo: • proliferazione epatocitaria importante accompagnata da grado variabile di displasia. • Formazione da parte delle cellule maligne di: ◦ noduli solidi. ◦ Trabecole variamente anastomizzate. ◦ Strutture pseudoghiandolari. • Spesso si accompagna a cirrosi. Generalmente si tratta di un nodulo unico ma la distribuzione può essere anche multicentrica. DIFFUSIONE DELLA NEOPLASIA: la diffusione può essere: • intraepatica. • Extraepatica con interessamento soprattutto di: ◦ linfonodi dell'ilo epatico. ◦ Linfonodi mediastinici e cervicali. ◦ Altri organi come polmone, scheletro ed encefalo. ASPETTI CLINICI: la sintomatologia è variabile, ricordiamo: • dolore profondo, sordo e mal localizzato, a volte in sede di ipocondrio destro, a volte mesogastrio, in alcuni casi anche posteriormente. • Distensione addominale secondaria a: ◦ ascite, generalmente tardiva e secondaria malattia epatica. ◦ Aumento delle dimensioni della massa tumorale. • Disturbi gastrointesinali e sistemici come: ◦ nausea. • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato ◦ Anoressia. ◦ Pesantezza, soprattutto postprandiale. • Rapido dimagrimento. • Febbricola. • Ittero: ◦ incostante, non sempre presente. ◦ Diviene costante e stabile in presenza di una compressione dei grossi dotti biliari. ESAME OBIETTIVO: si possono riscontrare: • EPATOMEGALIA, segno abbastanza comune: ◦ irregolarità del margine inferiore. ◦ Consistenza dura. ◦ In assenza di distensione della glissoninana o flogosi del peritoneo, generalmente il dolore non è presente. • SOFFIO IN SEDE EPATICA, a causa della alterazione della vascolarizzazione epatica. • ASCITE. • SPLENOMEGALIA secondaria alla ipertensione portale. SINDROMI PARANEOPLASTICHE: sono sindromi possibili, si possono sviluppare, come per tutte le sindromi paraneoplastiche, in presenza di neoplasia nota o prima che questa sia diagnosticata, sono per questo molto importanti. Per quanto riguarda il carcinoma epatico possono essere: • ipoglicemia. • Eritrocitosi. • Ipercalcemia. • Ipercolesterolemia. • Disfibrinogenemia. • Sindrome da carcinoide. • Modifiche dei caratteri sessuali. • Porfiria cutanea. STADIAZIONE DELLA NEOPLASIA: la patologia può essere stadiata: • tramite criteri TNM. • Tramite CLIP, metodo di stadiazione di ideazione italiana, valuta: ◦ numero dei noduli tumorali. ◦ Percentuale di sostituzione del parenchima epatico. ◦ Child­pugh score, accennato a proposito della cirrosi. ◦ Livelli di alfa feto proteina. ◦ Presenza di trombosi venosa portale. • Tramite la stadiazione OKUDA che valuta: ◦ dimensione del tumore. ◦ Ascite. 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 15: neoplasie del fegato ◦ Livelli di albumina. ◦ Livelli di bilirubina. ESAMI DI LABORATORIO: gli esami di laboratorio utili sono: • alfa feto proteina sierica, marcatore tumorale utile soprattutto nel follow up. • Des­gamma­carbossiprotrombina, indice della disponibilità di vitamina K. • CEA. • Vitamina B12. • Ricerca dei virus epatitici. ESAMI STRUMENTALI: si possono eseguire: • ECOTOMOGRAFIA, utile in quanto evidenzia lesioni di piccole dimensioni e lo stato di vascolarizzazione. • SCINTIGRAFIA, poco utilizzata. • ANGIOGRAFIA IN CASO DI INTERVENTO CHIRURGICO. • RISONANZA MAGNETICA. • TC CON CONTRASTO. • BIOPSIA che definisce la diagnosi. PROGNOSI E TERAPIA: la prognosi non è affatto buona, la diagnosi è tardiva e generalmente l'intervento difficoltoso, le terapie possibili sono: • resezione chirurgica della neoplasia. • Trapianto di fegato. Il problema è sempre correlato allo stato del paziente che spesso è ampiamente compromesso dalla patologia cirrotica sistemica.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 16: colite amebica

COLITE AMEBICA la colite amebica è una malattia infettiva causata dalla ENTAMEBA HYSTOLYTICA, si tratta di un parassita quindi il cui ciclo infettivo si svolge in questo modo: • la forma cistica giunge nel colon dove, essendo l'ambiente adatto, da vita alla forma VEGETATIVA. • La forma vegetativa penetra attraverso la mucosa del colon. • Moltiplicandosi e producendo elementi tossici induce aree di necrosi. • Si sviluppano: ◦ ulcere. ◦ Ascessi. Il patogeno è tipico delle aree tropicali mentre nelle nostre regioni e nelle regioni temperate in generale, rappresenta un patogeno poco comune, una volta inseritosi nel colon il patogeno si porta: • nel sangue. • Al fegato. • Al polmone.

ASPETTI ANATOMOPATOLOGICI:

dal punto di vista anatomopatologico la colite amebica si presenta: • a livello di colon ascendente e trasverso e a livello del cieco. • Provoca la formazione di ascessi a bottone di camicia. • Da alla mucosa una aspetto polipoide, soprattutto in forma cronica. • Da spesso una trombosi venosa da invasione. • Provoca spesso necrosi di parete. • Può provocare a lungo termine dei fenomeni di PERFORAZIONE.

ASPETTI CLINICI:

dal punto di vista clinico distinguiamo due tipi di colite amebica: • FORME ACUTE caratterizzate da: ◦ dissenteria emorragica. ◦ Compromissione dello stato generale legato alla disionia e agli effetti della infezione. • FORME CRONICHE che possono essere anche misconosciute e rappresentare un reservoire infettivo. COMPLICANZE POSSIBILI: le conseguenze di una colite amebica possono essere anche molto gravi: • PERFORAZIONE che può dare vita a: ◦ peritonite generalizzata. ◦ Peritonite saccata. • AMEBOMA o granuloma amebico. DIAGNOSI: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica; malattie meccaniche 16: colite amebica la diagnosi può essere confermata da: • ricerca della ameba nelle feci. • Ricerca della ameba nel campione bioptico chirurgico.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali

LE MALATTIE INFIAMMATORIE INTESTINALI le malattie infiammatorie dell'intestino sono fondamentalmente ragruppabili in tre categorie: 1. COLITE ULCEROSA caratterizzata da ulcerazioni infiammatorie del colon. 2. MORBO DI CROHN caratterizzata da una infiammazione transmurale che può tradursi in: 1. ileite. 2. Colite. 3. Ileocolite. Può interessare cioè praticamente tutto il tratto intestinale. 3. ALTRE COLITI spesso definite coliti indeterminate, come: 1. colite microscopica. 2. Colite da diversione. 3. Colite da diverticoli. 4. Pouchite (infiammazione del reservoir ileale). Rappresentano circa il 10­15% delle IBD. IN LINEA GENERALE POSSIAMO DIRE CHE UNA MALATTIA INFIAMMATORIA CRONICA È IL RISULTATO DI UNA INAPPROPRIATA RISPOSTA ALLA FLORA BATTERICA ENDOGENA, CON O SENZA COMPONENTE AUTOIMMUNE. EPIDEMIOLOGIA: nel complesso si tratta di patologie tipiche dei paesi occidentali industrializzati e, non è noto perché, si presentano con maggiore frequenza nei paesi nordici come la svezia. Nel corso dei decenni l'incidenza delle due patologie classicamente definite infiammatorie intestinali (colite ulcerosa e morbo di Chron) è aumentata: le due patologie presentano ad oggi una incidenza paragonabile che si attesta: • intorno a 4­6 casi su 100.000 di popolazione per il morbo di chron: ◦ il gradiente di incidenza aumenta da nord a sud e da ovest a est. ◦ Incidenza generalmente a partire dai trent'anni. • Intorno ai 10 casi su 100.000 di popolazione per la colite ulcerosa: ◦ predilige giovani adulti. ◦ Si presenta in modo eguale nei due sessi. L'insorgenza è tipicamente intorno ai 20­40 anni e si accompagna ad alcuni fattori di rischio molto importanti: • FUMO che presenta effetto: ◦ inducente il morbo di Chron. ◦ Protettivo rispetto alla colite ulcerosa: sembra che l'acido nicotinico in qualche misura riduca il rischio di sviluppare tale malattia. • APPENDICECTOMIA che: ◦ non si associa ad un aumento del rischio per il morbo di Chron, ma ne incrementa la gravità se eseguita durante il corso della malattia. ◦ Diminuisce il rischio di colite ulcerosa. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali ECCESSO DI IGIENE IN ETÀ INFANTILE: ◦ si associa ad un incremento del rischio per il morbo di Chron. ◦ Non si accompagna a variazioni del rischio di contrarre colite ulcerosa. Sembra che i bambini esposti a maggiori quantità di antigeni nell'infanzia maturino il loro sistema immunitario in modo più completo. • ASSUNZIONE DI ELEVATE QUANTITÀ DI CARBOIDRATI RAFFINATI che incrementa il rischio di colite ulcerosa. EZIOLOGIA: l'eziologia di queste patologie non è del tutto chiara, nel complesso ricordiamo: • INFEZIONI PERSISTENTI, anche se non è del tutto chiaro il ruolo degli agenti infettivi, sappiamo che diversi mycobatteri non direttamente patogeni possono provocare in modelli animali quadri di morbo di Crohn, non è chiaro quali siano i fattori che possono indurre lo sviluppo di questi eventi nell'uomo. • DISEQUILIBRI DELLA FLORA INTESTINALE anche non correlati allo sviluppo di una infezione vera e propria. • ALTERAZIONI DELLA INTEGRITÀ DELLA MUCOSA che permette la infiltrazione di microorganismi. • ALTERAZIONI DELLA RISPOSTA IMMUNITARIA quali: ◦ perdita di tolleranza rispetto ad una flora intestinale normale. ◦ Iperattivazione cellulare. ◦ Riduzione dei processi fisiologici di apoptosi. PATOGENESI: i processi patogenetici coinvolti nello sviluppo delle malattie croniche infiammatorie intestinali rientrano in tre grandi categorie: • SUSCETTIBILITÀ GENETICA dimostrata dal fatto che: ◦ c'è una suscettibilità familiare alla malattia, la concordanza tra gemelli omozigoti risulta: ▪ del 50% nel morbo di Chron. ▪ Del 15% nella colite ulcerosa. ◦ Molti geni posti su diversi cromosomi contribuiscono allo sviluppo della malattia. ◦ Una mutazione correlata allo sviluppo del morbo di Chron è relativa al gene NOD­2: si tratta di un recettore per l'LPS e si pensa che possa essere coinvolto in questi meccanismi di iperreattività. • ANTIGENI INTESTINALI la cui presenza è fondamentale, ricordiamo che: ◦ la riduzione della alimentazione per bocca blocca la fase acuta della malattia riducendo i substrati utili ai batteri presenti a livello intestinale. ◦ È fondamentale un equilibrio tra la flora probiotica e la flora pro­infiammatoria per garantire un adeguato comportamento della mucosa. • TRIGGER AMBIENTALI che giocano un ruolo molto importante: ◦ alterazioni della flora batterica determinate da dieta ed antibiotici. ◦ Alterazioni della mucosa intestinale determinati da: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali ▪ ▪ ▪ ▪

infezioni. Antinfiammatori non steroidei. Fumo. Stress.

LA COLITE ULCEROSA:

la colite ulcerosa è una patologia infiammatoria cronica intestinale che: • coinvolge solo il crasso, al contrario del morbo di Chron. • Può interessare solo uno o più segmenti del colon. • Colpisce solo la mucosa, non penetra nelle regioni sottostanti. • Provoca la formazione di lesioni continue. IPOTESI EZIOPATOGENETICA SPECIFICA: sono due le ipotesi ritenute maggiormente valide: • I IPOTESI, che prevede la coesistenza di due fattori: ◦ un fattore infettivo in grado di innescare un incremento della produzione di: ▪ ossido nitrico. ▪ Radicali liberi dell'ossigeno. ◦ Un fattore genetico caratterizzato dalla presenza di una minore produzione di antiossidanti. • II IPOTESI che di nuovo prevede la presenza di due fattori: ◦ la attivazione di geni che svolgono una attività protettiva nei confronti della mucosa intestinale rispetto a batteri ivi presenti. ◦ Un miglioramento delle condizioni igieniche che, riducendo gli antigeni batterici, incrementa il rischio di autoimmunità. QUADRO ANATOMOPATOLOGICO: il quadro anatomopatologico di questo tipo di patologie non è patognomico e l'istologia non consente di dare una diagnosi definitiva, nel complesso in ogni caso si possono osservare: • ulcerazione. • Ascessi criptici cioè dovuti all'accumulo di neutrofili nelle cripte intestinali. • Deplezione di muco. • Presenza di un infiltrato infiammatorio cronico di linfociti e macrofagi. Dal punto di vista della localizzazione ricordiamo che: • inizia sempre dal RETTO. • Interessa progressivamente il colon sinistro e quindi tutto il colon. • Giunge infine all'ileo terminale provocando la cosiddetta “backwash ileitis”. QUADRO CLINICO: il quadro clinico anche in questo caso è abbastanza generico: • diarrea cronica muco­ematica. • Dolori crampiformi. • Nausea e vomito. • Febbre, soprattutto nelle fasi acute. Esistono diverse varietà in termini di quadro clinico, distinguiamo infatti: 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali ACUTO, un episodio unico di durata di due­tre settimane. SUBACUTO A POUSSES SUCCESSIVE caratterizzato da: ◦ fasi di riaccensione di qualche settimana o mese. ◦ Periodi di asintomaticità di durata anche molto prolungata, fino ad un anno. • INIZIALMENTE SUBACUTO E POI CRONICO­CONTINUO. • VARIETÀ CRONICA CON SINTOMATOLOGIA CONTINUA. • COMPLICANZE che possono essere: ◦ emorragia massiva. ◦ Megacolon tossico. ◦ Perforazione libera. ◦ Occlusione. ◦ Ascessi e fistole perianali. ◦ Carcinoma. ESAMI DI LABORATORIO: il quadro è molto simile a quello del morbo di Chron, si possono registrare: • anemizzazioni. • Aumento del numero delle piastrine. • Incremento di VES e PCR. • Incremento del numero di globuli bianchi nelle feci. • Calo della albumina ematica. • •

IL MORBO DI CHRON:

il morbo di chron differisce in modo importante dalla colite ulcerosa in quanto: • il coinvolgimento delle strutture intestinali può essere completo, le ulcerazioni possono andare dal cavo orale fino all'ano. Generalmente il coinvolgimento è limitato ad ileo e cieco almeno nelle prime fasi, raramente coinvolge il solo colon. • Il pattern di infiammazione è segmentale: segmenti di intestino sono colpiti dalla patologia, non c'è continuità nelle lesioni. • La mucosa presenta un andamento a CIOTTOLATO dovuto alla presenza di una alternanza tra ulcere trasversali e ulcere orizzontali e mucosa normale. • La infiammazione interessa anche gli strati più profondi della parete, predisponendo alla formazione di fistole. IPOTESI EZIOPATOGENETICA SPECIFICA: complessivamente si pensa che il morbo di Crohn insorga a seguito di un processo patogenetico complesso: • una predisposizione genetica che si manifesta in un difetto della REGOLAZIONE IMMUNITARIA. • Lo sviluppo di una stimolazione persistente delle cellule immunitarie gastrointestinali, mediata in particolare da: ◦ FATTORI AMBIENTALI predisponenti come: ▪ alimenti. ▪ Fumo. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali Sopratutto, ma anche altri. ◦ FATTORI INFETTIVI legati alla esposizione ad antigeni, in particolare: ▪ micobatteri. ▪ Elementi della flora intestinale. ▪ Elementi batterici e fungini occasionalmente presenti nel tratto gastroenterico. • Questo processo infiammatorio tende alla cronicità e libera grandi quantità di: ◦ prostanoidi. ◦ Leucotrieni. ◦ PAF. ◦ Metaboliti reattivi dell'ossigeno. QUADRO ANATOMOPATOLOGICO: quando rivenute, esistono in questo caso delle lesioni PATOGNOMICHE, SI TRATTA DI GRANULOMI CON CELLULE GIGANTI, queste sono tuttavia riscontrabili solo nel 10% dei casi. La localizzazione è: • ileo e altre localizzazioni nell'80% dei casi. • Ileo nel 40­60% dei casi. • Colon nel 20­40% dei casi. • Cavo orale nel 10­20% dei casi. • L'interessamento digiunale, di stomaco e duodeno e di esofago è un evento sporadico. QUADRO CLINICO: tipicamente il quadro clinico del morbo di Chron è: • diarrea cronica: ◦ muco ematica in caso di interessamento colico. ◦ Non ematica ma con grandi quantità di feci liquide se colpisce l'ileo. • Dolori crampiformi. • Nausea e vomito. • Febbre, soprattutto nelle fasi acute. Il quadro clinico è variabile in relazione alla forma in cui la malattia si presenta, in relazione cioè a: • localizzazione. • Estensione. • Comportamento anatomopatologico che può presentarsi. ◦ Infiammatorio. ◦ Fibrosante. ◦ Perforativo. ESORDIO CLINICO: l'esordio clinico può presentarsi: • subdolo, aspecifico e non inquadrabile. • Acuto, di tipo: ◦ similappendicolare. ◦ Complicato da: 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali ▪ occlusione. ▪ Emorragia. ▪ Perforazione. ▪ Megacolon tossico. ESAMI DI LABORATORIO: analogamente a quanto detto per la colite ulcerosa, si registrano sicuramente: • anemizzazioni. • Aumento del numero delle piastrine. • Incremento di VES e PCR. • Incremento del numero di globuli bianchi nelle feci. • Calo della albumina ematica. COMPLICANZE: sicuramente il morbo di Chron rappresenta una entità clinica maggiormente pericolosa in termini di possibili complicanze, nello specifico si posso formare: • quadri infiammatori acuti evidenti con: ◦ dolore addominale. ◦ Addome pastoso alla palpazione profonda. ◦ Febbricola. ◦ Diarrea. ◦ Anoressia. • Fistolizzazioni, molto gravi ed indotte da danneggiamento della mucosa a tutto spessore: ◦ con altre sezioni dell'intestino e possono risultare asintomatiche. ◦ Con la vescica e danno quindi luogo a pneumaturia e fecaluria e infezioni ricorrenti delle vie urinarie. ◦ Retroperitoneali che possono provocare i segni di un ascesso dello psoas: ▪ dolore a schiena, anca e coscia. ▪ Zoppicamento. ◦ Con la vagina dando quindi luogo alla emissione di feci o aria. ◦ Con l'addome o con la cute perianale, si osserverà in questo la fuoriuscita di feci dalla cute: generalmente tali fistole si formano su cute debole, per esempio a livello di ombelico o cicatrici chirurgiche. • Ostruzioni e subocclusioni derivate da fenomeni cicatriziali prolungati; è tipico in questi pazienti lo sviluppo di una sindrome di Koenigh, si tratta di una sindrome caratterizzata da: ◦ dolore crampiforme a livello addominale dovuto ad una substenosi. ◦ Iperperistaltismo. ◦ Emersione di rumori di filtrazione: materiale gassoso e liquido passa attraverso la substenosi e libera l'ansa a monte. I sintomi tipici sono: ◦ crampi post prandiali. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali

◦ Distensione. ◦ Borborigmi. ◦ Vomito. Microperforazioni che si accompagna a quadri: ◦ di simil appendicite se si verificano nella parte terminale dell'ileo. ◦ Di simil peritonite se si verificano nella parte terminale del sigma.

MANIFESTAZIONI EXTRAINTESTINALI DELLE IBD:

si tratta di manifestazioni molto differenti tra loro, nel complesso riconosciamo: • a livello del cavo orale la formazione di AFTE, espressione diretta della malattia nel caso del morbo di Chron. • A livello dell'OCCHIO possiamo avere: ◦ episclerite. ◦ Uveite. • ARTRITI anche molto significative e coincidenti solitamente con le fasi acute della malattia, si presentano: ◦ monoarticolari. ◦ Asimmetriche. ◦ Maggiormente importanti a livello delle grandi articolazioni. Non c'è nessun interessamento della siniovia e non compaiono noduli sottocutanei, la artrite inoltre è quasi sempre sieronegativa. • SPONDILITE ANCHILOSANTE E SACROILEITE, generalmente ad andamento indipendente (non si associano alle fasi acute della malattia). • ERITEMA NODOSO. • COMPLICAZIONI VASCOLARI tipiche delle malattie infiammatorie. • MALATTIE DEGENERATIVE DELL'OSSO COME OSTEPENIA ED OSTEOPOROSI, lo sviluppo di queste patologie si associa a fattori di rischio ben precisi come razza, dieta, storia familiare di osteoporosi, scarsa attività fisica, menopausa, infiammazione, uso di corticosteroidi e malassorbimento che coinvolga il calcio. • COLANGITE SCLEROSANTE, malattia discussa in precedenza, da un ittero ostruttivo con coinvolgimento epatico importante. • CANCRO COLON RETTALE, conseguenza maggiormente temuta, possiamo dire che: ◦ il rischio comincia a crescere dopo 10 anni di malattia. ◦ Il rischio dopo 30 anni di malattia aumenta del 20%. fattori di rischio aggiuntivi sono sicuramente relativi all'età di insorgenza e alla estensione della malattia. Dal punto di vista preventivo ricordiamo che: ◦ se la malattia colpisce il colon, si eseguono serialmente dei controlli con 4 prelievi: ▪ ogni 10 cm nel colon prossimale. ▪ Ogni 5 cm a partire dal sigma. Se viene identificato un evento displastico, si procede al trattamento. ◦ Se viene colpito l'ileo il rischio di neoplasia è praticamente nullo. Il morbo di Chron nello specifico può anche provocare: 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali • • •

un aumento del rischio di calcolosi biliare legato al calo del riassorbimento di sali biliari e della circolazione enteroepatica. Fenomeni di malassorbimento. Il profilo infiammatorio può provocare il deposito di amiloide sistemico.

DIAGNOSI:

la diagnosi non è sempre semplice, anzi spesso richiede un tempo abbastanza lungo, sicuramente: • PER QUANTO RIGUARDA LA COLITE ULCEROSA, che colpisce il colon, LA DIAGNOSI COLONSCOPICA è la opzione migliore, si possono registare: ◦ iperemia. ◦ Sanguinamento. ◦ Ulcere. Se la patologia perdura da molto tempo, essendo spesso presenti delle ulcere sottominate, si possono formare dei processi RIGENERATIVI che assumono la forma di pseudopolipi: parte della mucosa beante nel lume sviluppa appunto la forma di uno pseudopolipo. • PER QUANTO RIGUARDA IL MORBO DI CHRON che spesso colpisce il tenue, l'approcio endoscopico non ha significato, di fatto si utilizzano: ◦ enteroTC. ◦ Videocapsule. ◦ RX. si possono notare: ◦ restringimento del lume intestinale. ◦ Aspetto nodulare dell'immagine con edemi e ulcere. In caso di interessamento colico, sarà possibile individuare delle lesioni prima aftoidi e poi maggiormente profonde nella mucosa intestinale.

LA TERAPIA:

gli obiettivi della terapia sono: 1. indurre una remissione della fase acuta, si possono utilizzare: 1. per la COLITE ULCEROSA: ➢ aminosalicilati. ➢ Corticosteroidi. ➢ Azotioprina. ➢ Ciclosporina. 2. Per il MORBO DI CHRON ➢ aminosalicilati. ➢ Antibiotici. ➢ Corticosteroidi. ➢ Immunomodulatori. ➢ Diete ben definite. 2. Mantenere lo stato di remissione più a lungo il possibile, si possono utilizzare: 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: malattie meccaniche 17: le malattie infiammatorie intestinali 1. per la COLITE ULCEROSA: ➢ aminosalicilati. ➢ Azotioprina. 2. Per il MORBO DI CHRON: ➢ immunomodulatori. ➢ Amminosalicilati. ➢ Antibiotici. 3. Incrementare la qualità della vita. 4. Evitare la tossicità a lungo termine della malattia e della terapia. LA TERAPIA CHIRURGICA: le indicazioni alla terapia chirurgica sono differenti nel morbo di Crohn e nella colite ulcerosa: • MORBO DI CROHN: ◦ fallimento o intolleranza della terapia medica. ◦ Tutte le complicanze che vanno trattate acutamente. ◦ Cancerizzazione. ◦ Grave alterazione dell'accrescimento staturo­ponderale nel bambino. • RETTOCOLITE ULCEROSA: ◦ fallimento o intolleranza alla terapia medica. ◦ Complicanze. ◦ Cronicizzazione. ◦ Cancerizzazione. ◦ Grave alterazione dell'accrescimento staturo­ponderale nel bambino.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide

LE NEOPLASIE DELLA TIROIDE le neoplasie della tiroide possono essere classificate in due grandi categorie come per tutte le neoplasie del nostro organismo: • benigne. • Maligne. A livello della ghiandola tiroide tali neoplasie possono originare da numerose e diverse cellule presenti: • follicoli tiroidei. • cellule C o parafollicolari che producono calcitonina. • Linfociti. • cellule stromali. • cellule vascolari. • Cellule metastatiche provenienti da altri organi. Mente le neoplasie benigne sono fondamentalmente ADENOMI dotati poi di presentazioni differenti, le neoplasie maligne si dividono nettamente in tre grandi categorie clinicamente parlando: • neoplasie provenienti dai FOLLICOLI EPITELIALI, si tratta di: ◦ CARCINOMI BEN DIFFERENZIATI suddivisibili a loro volta in: ▪ papilliferi, dotati di numerose varianti, rappresentano l'80­90% delle forme di carcinoma tiroideo. ▪ Follicolari. ▪ A cellule di Hurtle. sono neoplasie a bassissima malignità se diagnosticate rapidamente. ◦ CARCINOMI NON DIFFERENZIATI o ANAPLASTICI, rappresentano l'estremo opposto e sono dotati di una prognosi decisamente peggiore. • neoplasie delle cellule C, si collocano generalmente posteriormente alla tiroide e danno origine al cosiddetto carcinoma MIDOLLARE, relativamente raro (10%), si tratta di forme: ◦ sporadiche. ◦ Familiari. ◦ Associate a MEN, multiple endocrine neoplasia. • ALTRE MALIGNITÀ COME: ◦ linfomi tiroidei. ◦ Sarcomi. ◦ Metastasi.

GLI ADENOMI DELLA TIROIDE:

le neoplasie benigne della tiroide sono praticamente tutte neoplasie follicolari, cioè fondamentalmente ADENOMI. Si riconoscono diverse forme di neoplasie benigne della tiroide: • adenomi macrofollicolari. 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide Adenomi normofollicolari. Adenomi microfollicolari. Adenomi trabecolari. Adenomi a cellule di Hurtle: le cellule di hurtle sono delle cellule ricche di mitocondri che assumono, di conseguenza, una colorazione particolare dal punto di vista istologico, di fatto possono essere presenti in numerose e diverse patologie tiroidee, sia neoplastiche che non. Si tratta, si pensa, di cellule tiroidee invecchiate. Circa il 5­10% della popolazione è portatrice di queste patologie; grazie alla indagine ecografica si possono valutare regioni del collo altrimenti non indagabili e l'incidenza risulta di conseguenza: • IN AUMENTO visto l'elevato numero di indagini eseguite. • SOTTOSTIMATA proprio perché molto spesso non vengono individuate. Dal punto di vista clinico è l'adenoma è praticamente sempre COMPLETAMENTE SILENTE: • non da origine ad ormoni. Adenoma tiroideo • Non comprime le strutture circostanti. L'ADENOMA TOSSICO: anche l'adenoma tiroideo può presentarsi: • eutiroideo. • Ipertiroideo e ipercaptante. • Ipotiroideo e ipocaptante. Nel momento in cui la tiroide cominci a produrre grandi quantità di ormoni tiroidei, si parla di ADENOMA TOSSICO si tratta di vere e proprie patologie dove le cellule del tumore perdono il controllo centrale basato sul TSH. Generalmente il quadro del paziente è il seguente: • Cala il TSH ematico. • si sviluppa nell'ambito della ghiandola solo la regione interessata dalla neoplasia che capta grandi quantità di iodio. • Le regioni limitrofe possono, se non stimolate per lungo tempo dal TSH, andare in ATROFIA. Dal punto di vista scintigrafico si tratta di un nodulo caldo e generalmente: • non evolve a patologie maligne. • Se sono presenti cellule di Hurtle la attività tiroidea è maggiore generalmente. I NODULI CISTICI: molto spesso i noduli tiroidei si sviluppano in forma di noduli CISTICI, dotati cioè di: • contenuto liquido o misto. • • • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide • Parete piuttosto fine. Dal punto di vista clinico le formazioni sono definite cisti in quanto il loro aspetto ecografico è decisamente suggestivo o perché all'agoaspirato restituiscono della colloide. Complessivamente: • Molte cisti si presentano miste: presentano una componente cistica e una solida, a prescindere da questo il contenuto va punto e indagato. • Molte cisti tendono a recidivare, la asportazione in questo caso è necessaria e va tolta non solo la cisti, ma l'intero lobo. TERAPIA DELLE NEOFORMAZIONI BENIGNE: le neoformazioni benigne, vista la pericolosità dell'intervento chirurgico, non vengono sempre operate, spesso si agisce farmacologicamente: • limitando l'attività del TSH tramite la somministazione di ormone tiroideo quando possibile (quando cioè il quadro di ipertiroidismo non è tanto importante), nel tentativo di limitare lo stimolo proveniente dall'ipofisi. • Controllo con follow­up del volume della tiroide tramite ecografia. • Se dopo 6­12 mesi di terapia il nodulo non diminuisce in dimensione, allora si interviene chirurgicamente se necessario. GOZZO NODULARE TOSSICO: la terapia migliore in assoluto resta la SOMMINISTRAZIONE DI IODIO RADIOATTIVO: tale radioisotopo agisce in modo estremamente specifico sulla struttura del gozzo nodulare tossico, che è ipercaptante, ed è minimamente invasiva.

I CARCINOMI DELLA TIROIDE:

i carcinomi della tiroide SONO LE NEOPLASIE PIÙ FREQUENTI NELL'AMBITO DEL SISTEMA ENDOCRINO anche se rappresentano nel complesso: • l'1% delle neoplasie complessivamente presenti. • Meno dello 0,5% delle cause di morte per carcinoma. • Presentano una incidenza di circa 9 casi su 100.000 persone all'anno, tale incidenza aumenta fino a 50 anni per poi mantenersi stabile. • l'incidenza autoptica è piuttosto alta, variabile dall'1,5 al 4%. • la prognosi è molto particolare, infatti: ◦ se la patologia emerge tra i 20 e i 45 anni la prognosi è splendida in caso di trattamento. ◦ Se la patologia emerge dopo i 45 anni la prognosi diventa meno buona. • nella femmina la patologia è più comune in assoluto, ma il sesso maschile presenta una prognosi peggiore. • nella maggioranza dei casi la sopravvivenza si aggira intorno all'80%. EZIOPATOGENESI: i fattori di rischio si suddividono in diverse categorie: • FATTORI GENETICI: ◦ mutazione del protoncogene RET che presenta: ▪ trasmissione autosomica dominante ad alta penetranza. ▪ spesso si associa ad altri tumori endocrini. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide

▪ si associa spesso a carcinomi midollari della tiroide. ◦ Molto spesso sono presenti patologie di altro genere quali: ▪ FAP o sindrome di Gardner che generalmente porta alla morte del paziente per sviluppo di patologie cancerose coliche: in questo contesto si inserisce spesso un carcinoma papillifero della tiroide. ▪ malattia di Cowden, spesso associata a patologie neoplastiche della tiroide. In caso di patologie di tipo familiare, essendo il carcinoma spesso silente, una indagine maggiormente approfondita va sempre fatta. ◦ Storia familiare di carcinoma papillifero che provoca un rischio abbastanza importante di sviluppare una neoplasia tiroidea: si tratta di forme differenti dalla MEN accennata in precedenza, in questo caso si registrano mutazioni a carico dei CROMOSOMI: ▪ 10 nel carcinoma papillifero. ▪ 3 nel carcinoma follicolare. FATTORI ORMONALI che sicuramente vengono presi in considerazione per giustificare la rilevante differenza di incidenza di patologie della tiroide tra uomo e donna. Naturalmente nell'ambito femminile è maggiormente colpita la donna in età fertile, si individuano quindi dei fattori di rischio quali: ◦ multiparità. ◦ Età avanza della prima gravidanza. ◦ Allattamento recente. Si tratta di tre condizioni associate anche se non è chiaro esattamente per quale motivo o come. LESIONI PRECEDENTEMENTE DIAGNOSTICATE O PRESENTI che possono andare incontro a degenerazione, nel complesso individuiamo un RISCHIO RELATIVO di degenerazione: ◦ di 3 in presenza di tiroidite: soprattutto se di tipo autoimmune tale patologia si associa allo sviluppo di linfomi. ◦ Di 27 in presenza di in unico adenoma, un singolo nodulo della tiroide aumenta molto la possibilità di sviluppare un carcinoma. ◦ Di 8 in presenza di un gozzo. ◦ Di 3,8 in caso di ipertiroidismo nella realtà dei fatti tale rischio relativo è variabile in relazione alla causa di ipertiroidismo: ▪ 6 nel morbo di Basedow­Graves. ▪ 4 nel gozzo tossico multinodulare. ▪ 4,5 nel gozzo tossico uninodulare: in alcuni casi nel morbo di Plumer si registra la presenza di un CARCINOMA CHE RISIEDE VICINO AL NODULO IPERCAPTANTE ED È FREDDO, non caldo. ◦ Di 1,5 in caso di ipotiroidismo, soprattutto se di tipo autoimmune. ESPOSIZIONE A RADIAZIONI, nel caso specifico sono tre i radioisotopi principalmente coinvolti: ◦ iodio radioattivo: si associa ad un incremento del rischio di sviluppare un carcinoma 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide tiroideo in età infantile o adolescenziale, porta allo sviluppo soprattutto di carcinomi papilliferi. ◦ Stronzio90. ◦ Cesio137. Il contatto con lo iodio radioattivo avviene molto spesso tramite latte contaminato a causa della assunzione da parte della mucca di erba contaminata. A seguito della esposizione il rischio: ◦ aumenta in modo inversamente proporzionale all'età del paziente. ◦ Aumenta con la dose assunta. • ABITUDINI ALIMENTARI: si pensa che tale associazione ci sia, ma di fatto non è mai stata del tutto dimostrata. FORME BEN DIFFERENZIATE: le forme ben differenziate di carcinoma sono fondamentalmente due: • carcinoma papillifero. • Carcinoma follicolare. IL CARCINOMA PAPILLIFERO: si tratta di un carcinoma derivato dalle cellule follicolari della tiroide e capace di formare delle papille visibili al microscopio ottico, si associa spesso a: • atipie nucleari importanti. • Formazione di depositi di calcio, si verificano circa nel 50% dei casi. Complessivamente si tratta di una forma: • È multifocale nel 29% dei casi. • Se il diametro risulta minore di 1 centimetro si parla di microcarcinoma. • esistono diversi istotipi o varianti istologiche, nello specifico distinguiamo carcinomi di tipo: ◦ follicolare. ◦ Diffuso. ◦ Sclerosante. ◦ A cellule alte. • Il carcinoma ha la tendenza accrescendosi ad infiltrare la capsula tiroidea a diffondere nelle strutture vicine nel 14% dei casi circa, complessivamente risultano interessati: ◦ muscoli che si collocano anteriormente alla tiroide come avviene nell'8% dei casi. ◦ Il nervo ricorrente come avviene nel 6% dei casi, generalmente si tratta di sindromi da compressione. ◦ Trachea come avviene nel 5% dei casi, si tratta di casi rari soprattutto perché deviazione e compressione devono essere molto consistenti. • Si tratta di neoplasie estremamente LINFOFILE, tendono a provocare una diffusione linfatica in un terzo dei casi: ◦ a livello linfonodale cervicale nel 35% dei casi. ◦ a distanza, si verificano: ▪ nel 2% dei casi la momento dell'intervento. 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide ▪ Nel 4% dei casi al follow up: • generalmente si tratta di metastasi polmonari. • raramente si tratta di metastasi di altro tipo. PRESENTAZIONE CLINICA: clinicamente tale patologia si presenta come: • una massa cervicale palpabile di eziologia chiaramente tiroidea. • Una massa palpabile linfonodale non giustificabile in termini di: ◦ indici di flogosi. ◦ Caratteristiche cliniche del paziente. • In assenza di metastasi a distanza. • In presenza di anamnesi positiva per: ◦ irradiazione della regione del collo. ◦ Carcinoma della tiroide. L'esordio clinico può essere variabile: • nei 2/3 dei casi si manifesta come un nodulo tiroideo singolo; un gozzo singolo ha maggiori probabilità di essere un carcionoma, si presenta: ◦ duro alla palpazione. ◦ Presenta margini regolari. ◦ Nelle restanti parti la ghiandola non è palpabile e risulta normale. • Altri possibili casi sono: ◦ 1 caso su 10 si presenta come una linfoadenopatia isolata, soprattutto sotto i 17 anni di età la metastasi linfonodale si registra nel 90% dei casi. ◦ Massa neoplastica di grosse dimensioni, raramente risulta maggiore di 4 centimetri. ◦ Presenza di metastasi a distanza: si tratta di casi RARISSIMI. ◦ ecografia cervicale eseguita per sospetto di patologia non tiroidea: vista la facilità con cui si utilizza ad oggi l'ecografia, si tratta di casi sempre più frequenti. CARCINOMI FOL L ICOLARI: molto spesso si utilizza il termine di LESIONI FOLLICOLARI in quanto risulta difficile capire se si tratti effettivamente di un adenoma follicolare o di un carcinoma, anche dal punto di vista anatomopatologico: • l'esame estemporaneo è praticamente impossibile: il risultato è di lesione di tipo follicolare non meglio identificata. • Il citologico non è affatto semplice da interpretare, spesso anche in questo caso si parla di lesione di tipo follicolare non meglio identificata. Solo la analisi istologica può identificare effettivamente se si tratti di un carcinoma o meno e in questo contesto ne identificherà la natura istologica, si parla di carcinomi: • minimamente invasivi. • Largamente invasivi. • Istotipi particolari come carcinoma a cellule di Hurtle o a cellule chiare. Dal punto di vista istologico e microscopico si individuano fondamentalmente fenomeni di: • INFILTRAZIONE DELLA CAPSULA. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide • INFILTRAZIONE DEI VASI. Nonostante questi criteri molto spesso si parla comunque di lesione follicolare generica. Nel momento in cui la lesione risulti MULTIFOCALE è indispensabile pensare che si tratti di un carcinoma papillifero nella sua forma follicolare, questo carcinoma infatti è praticamente sempre unifocale. ANATOMIA PATOLOGICA: esistono numerosissimi istotipi e metodi di colorazione utilizzabili, tuttavia anche tramite queste tecniche può essere molto difficile la diagnosi. QUADRO CLINICO: si tratta generalmente di: • una donna giovane tra 30 e 50 anni. • Si presenta con un nodulo o massa tiroidea isolata. • Dal punto di vista semeiologico è identico al carcinoma papillifero. • consistenza sovente meno dura a causa di una emorragia inralesionale: in questo tipo di patologia succede abbastanza di frequente. • il riscontro della linfoadenopatia metastatica avviene nel 15­20%: questo carcinoma è molto meno linfofilo degli altri. • il riscontro di metastasi a distanza all'esordio clinico è del 10­15%: si tratta di metastasi generalmente POLMONARI E OSSEE, queste ultime spesso generano delle FRATTURE PATOLOGICHE. SEGNI E SINTOMI COMUNI AI CARCINOMI DIFFERENZIATI: carcinoma follicolare e carcinoma papillifero presentano alcuni segni e sintomi in comune, nello specifico: • massa palpabile a livello del collo, si può trattare di: ◦ noduli tiroidei. ◦ Noduli cervicali. • Sintomi da compressione locale quali: ◦ disfonia, raucedine, voce bitonale, paralisi della corda vocale da infiltrazione del nervo laringeo inferiore. ◦ dispnea da compressione o infiltrazione tracheale, si tratta di un evento raro. ◦ disfagia da compressione o da infiltrazione esofagea. • metastasi a distanza sintomatiche: si verificano in meno dell'1% dei casi, se si verificano interessano generalmente il bambino e la prognosi è pessima. TUMORE ANAPLASTICO DELLA TIROIDE: si tratta di una neoplasia rara, si verifica circa nel 3­5% dei casi ed è tipica dell'anziano: • anche in questo caso colpisce quasi solo le donne. • Risulta di classificazione istologica difficile: molto spesso distruggono tutto quanto ricorda il tessuto tiroideo normale circostante. Complessivamente si distinguono due forme: ◦ a piccole cellule. ◦ A cellule giganti. Solo tecniche di immunoistochimica a volte possono consentire di distinguere tra queste 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide forme e un linfoma. In un caso su 3 il carcinoma anaplastico risulta derivare da un carcionoma BEN DIFFERENZIATO che, trascurato, evolve in questa forma maligna. • Più del 20% di questi tumori ha una anamnesi positiva per tumore ben differenziato o adenoma. QUADRO CLINICO: complessivamente: • si tratta di carcinomi dotati di alta invasività, di conseguenza si registrano: ◦ grande volume. ◦ grande capacità di dare un diffusione metastatica locoregionale o a distanza. Il paziente tipico è: ◦ una donna anziana ◦ presenta una storia di: ▪ gozzo multinodulare o uninodulare precedentemente visibile. ▪ Crescita rapida e recente di tale gozzo, tanto da preoccupare medico Carcinoma anaplastico della tiroide, si notano subito e paziente. l'enorme volume della neoplasia e la crescita ◦ Sintomi da compressione e infiltrazione vascolare aberrrante che esita in necrosi in diverse parti della massa. di strutture vicine come: ▪ disfagia. ▪ Raucedine. ▪ Dispnea. ▪ Dolore cervicale. ▪ sindrome di Claude­Bernard­Horner. ▪ Tireotossicosi che spesso risulta presente: si tratta di un tumore anaplastico dotato di grandi aree di necrosi di conseguenza può immettere grandi quantità di ormoni in circolo. all'esame obiettivo si registrano: ◦ tumefazione di grande volume, superiore anche a 5cm. ◦ Consistenza dura. ◦ Margini regolari. ◦ Adesa ai tessuti circostanti: in un caso su 4 si registra una infiltrazione al momento della diagnosi. ◦ Linfoadenopatia solitaria. ◦ diffusione metastatica polmonare o sistemica. • Essendo un tumore che si associa a neoangiogenesi importante, può dare forme di crescita esplosive. DIAGNOSI: •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide la diagnosi generalmente, vista la esplosività della sindrome, è abbastanza immediata: • il quadro clinico è spesso diagnostico. • FNAC o fine needle aspiration citology conferma spesso il sospetto clinico posto e consente di distinguere il carcinoma anaplastico da altre forme cancerose gravi. • Risonanza magnetica e TAC aiutano a definire il quadro: ◦ consentono di valutare la presenza di diagnosi. ◦ Consentono di visualizzare le infiltrazioni. PROGNOSI: come accennato la prognosi è pessima: la sopravvivenza media è di 4­6 mesi circa e il tumore ricresce rapidamente anche dopo un intervento chirurgico di rimozione. Una sopravvivenza superiore all'anno fa pensare ad un errore diagnostico: non si tratta di un carcinoma anaplastico ma di un linfoma o di un'altra neoplasia. TERAPIA: l'obiettivo della terapia è praticamente sempre palliativo e si basa sul MANTENIMENTO DELLA PERVIETÀ DELLE VIE AEREE: • la chirurgia può essere utile se la diagnosi è molto precoce, solo eccezionalmente si possono eseguire rimozioni totali e ottenere un cosiddetto R0. • generalmente si esegue un debulking dopo chemio o radio terapia: generalmente la massa diminuisce del 30% del suo volume. IL CARCINOMA MIDOLLARE: come accennato tale carcinoma deriva dalle cellule C o parafollicolari, complessivamente: • rappresenta in modo variabile il 3­15% dei carcinomi tiroidei, è raro quindi. • Può presentarsi in tre forme: ◦ sporadico, nell'80% dei casi. ◦ Ereditario, nel 20% dei casi circa, e associato a forme familiari quali: ▪ MEN 2a e 2b, caratterizzate da tumori endocrini in generale. ▪ FORMA FAMILIARE. Tale tumore si colloca principalmente nella parte posteriore o nei due terzi superiori della tiroide, di conseguenza: • è difficile da palpare. • Può sfuggire ad una indagine ecografica soprattutto ad un ecografista poco esperto. Generalmente nel suo sviluppo passa al di sotto del legamento di Berry (legamento sospensore della tiroide) che fissa la tiroide al primo e secondo anello tracheale. LE CELLULE C O PARAFOLLICOLARI: si tratta di cellule: • neuroendocrine. • Non captanti il TSH, sono regolate nella loro attività direttamente dal calcio ematico. • rappresentano normalmente meno dell'1‰ della massa cellulare tiroidea. • producono calcitonina, ma se si sviluppano in forma di neoplasie possono produrre: ◦ prostaglandine. ◦ Serotoinina, ◦ ACTH. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide ◦ CEA. ◦ Peptide correlato al gene della calcitonina. Prodotti spesso da altre ghiandole. • La calcitonina fisiologicamente prodotta è un ormone: ◦ peptidico. ◦ Dotato di un ruolo minimo nella omeostasi calcica. QUADRO CLINICO: generalmente si tratta di una paziente donna: • 40­50 anni di età. • Il nodulo è duro e a volte dolente. • più del 50% dei casi si registra una linfoadenopatia associata. • Genera delle metastasi relativamente spesso. • Difficilmente da fenomeni di compressione estrinseca, non si tratta di neoplasie di grande volume. • Da spesso delle forme di DIARREA ACQUOSA come sindrome paraneoplastica da produzione ormonale, si tratta di una conseguenza della produzione di: ◦ prostaglandine. ◦ Chinine. ◦ VIP. Raramente si possono avere forme cushingoidi. In caso di diarrea ad eziologia ignota bisogna sempre valutare la possibile presenza di una neoplasia midollare della tiroide. DIAGNOSI. Il 20% sono casi presenza eziologia familiare, una anamnesi accurata aiuta sicuramente, in ogni caso si registrano: • livelli sierici di calcitonina basale e dopo test di stimolazione sono essenziali, si utilizzano calcio gluconato o pentagastrina o entrambe: ◦ se i livelli salgono in presenza di stimolazione sopra 10 volte quelli basali si tratta eventualmente di metastasi. ◦ Valori borderline possono essere dovuti alla presenza di forme di iperplasia delle cellule C che si incontra in caso di: ▪ carcinomi follicolari della tiroide. ▪ tiroide di Hashymoto. ▪ forma neoplastiche in evoluzione. In questi casi si rinvia il controllo a qualche mese. • AGO ASPIRATO che risulta positivo su un nodulo freddo in caso di scintigrafia convenzionale. • DOSAGGIO SELETTIVO NEL SANGUE DI DRENAGGIO su guida eco: ◦ si prepara un ago aspirante di piccole dimensioni. ◦ Si incanula un vaso sanguigno di drenaggio. ◦ Si dosa il sangue che si colloca nel sangue di drenaggio diretto della ghiandola. 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide Ecotomografia, TAC, RMI, OCREOSCAN che sfrutta cioè una tac con radioistopo (Indio 111). • Dosaggio del CEA utile nel follow up postoperatorio. • Si associa spesso a: ◦ MEN 2a e 2b. ◦ Si associa spesso a feocromocitoma: bisogna prestare massima attenzione a questi casi dove le manovre anestesiologiche possono avere une effetto quasi mortale sul paziente. TERAPIA: si esegue un intervento molto specifico detto MTC, si tratta di una TIROIDECTOMIA TOTALE CON LINFOADENECTOMIA MONO O BILATERALE a seconda dei casi. Eseguito l'intervento: • se al rimozione risulta completa, si procede con la chemioterapia. • Se la rimozione è risultata difficoltosa si procede con radioterapia. in caso di intervento radicale la calcitonina si normalizza nelle 24 ore, si conseguenza i livelli di tale ormone vanno controllati in intervalli molto stretti. La sopravvivenza a 10 anni, in assenza di metastasi linfonodali, è piuttosto alta, circa il 90%, e scende al 45% in loro presenza. LINFOMA TIROIDEO: nella tiroide sono fisiologicamente presenti delle cellule linfoidi capaci di dare vita ad un LINFOMA NON HODGKIN A GRANDI CELLULE B generalmente, si tratta di una forma relativamente rara: • si presenta nell'80% dei casi in corso di tiroidite di Hasymoto: non sempre naturalmente bisogna rimuovere la tiroide, ma un controllo accurato deve essere eseguito. • il linfoma a piccole cellule veniva spesso assimilato al carcinoma anaplastico a piccole cellule: la distinzione è fondamentale in quanto la prognosi, come accennato, è molto diversa, la diagnosi differenziale spesso è possibile solo tramite tecniche di immunoistochimica. • neoplasia della donna anziana, anche se nel 50% dei casi si diagnostica sotto i 60 anni. • Risulta più comune nella donna. QUADRO CLINICO: generalmente clinicamente si presenta in questo modo: • donna di 60 anni o più d'età. • Anamnesi positiva per tiroidite di Hashymoto. • cresce e da fenomeni da compressione. • Si associa a linfoadenopatia che risulta sempre e comunque presente. TERAPIA: il linfoma NON HA TERAPIA CHIRURGICA, un tempo l'intervento veniva eseguito per eseguire la diagnosi, complessivamente: • la chirurgia è utile solo se il linfoma è piccolo e interno alla tiroide. • Va fatta sempre eseguita una radio e chemioterapia prima di intervenire. • Nei casi avanzati è fondamentalmente il mantenimento della pervietà delle vie aeree. LA PROGNOSI È ESTREMAMENTE BUONA: a 5 anni la sopravvivenza è dell'85%. •

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ALTRE NEOPLASIE MALIGNE DELLA TIROIDE:

complessivamente possiamo avere oltre alle forme carcinomatose delle neoplasie: • CONNETTIVALI come i sarcomi tiroidei soprattutto, si tratta di forme: ◦ eccezionalmente rare. ◦ Di origine di tutti i tessuti i tessuti stromali della tiroide. la diagnosi differenziale è difficile in alcuni casi con carcinoma anaplastico, la prognosi è in ogni caso infausta. • METASTATICHE, si tratta anche in questo caso di forme: ◦ rare. ◦ Le più frequenti sono di origine renale ma molto spesso si parla di carcinoma unknown primary. ◦ Agoaspirato tiroideo, molto utile nella diagnosi. ◦ In rari casi è indicata la tiroidectomia: dipende dalla prognosi legata al tumore primitivo e al suo controllo. La prognosi dipende dalla natura del tumore primitivo e dalla presenza di metastasi.

DIAGNOSI DIFFERENZIALE DEI NODULI TIROIDEI:

come accennato dal punto di vista epidemiologico i noduli della tiroide sono: • patologie nella stragrande maggioranza dei casi benigne. • Maggiormente comuni nella donna. Per quanto concerne invece il CARCINOMA della tiroide, ricordiamo che: • in Europa: ◦ rappresenta solo l'1% di tutti i caricnomi. ◦ Colpisce circa 4 persone ogni 100.000 abitanti all'anno. ◦ La mortalità molto bassa, inferiore a 1/100.000 abitanti all'anno. Questo quadro epidemiologico riflette la rarità con cui si presenta il cosiddetto carcinoma tiroideo anaplastico, la forma più rara e più aggressiva di carcinoma tiroideo. • Una importante differenza epidemiologica si registra nelle aree colpite da contaminazioni di radioisotopi, nello specifico ricordiamo che per esempio a Cernobyll: ◦ l'incidenza di carcinoma tiroideo a partire dal famoso incidente, risulta di 3 volte superiore. ◦ L'incidenza relativa a carcinomi riguarda nello specifico carcinomi PAPILLIFERI e soprattutto NEL BAMBINO. • in Italia: ◦ l'incidenza di carcinoma tiroideo è abbastanza simile a quella Europea, colpisce circa 4 casi su 100.000 abitanti. ◦ L'incidente di Cernobyll non ha portato modifiche significative in termini di incidenza di carcinoma tiroideo se non nella zona di Cernobyll. • Negli stati uniti l'incidenza risulta ancora simile, circa 4 casi ogni 100.000 abitanti all'anno. È evidente che tali tumori sono ABBASTANZA RARI a dispetto della grande frequenza delle patologie benigne a carico della tiroide, soprattutto le tiroiditi, ma anche i noduli della tiroide, 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide che sono estremamente FREQUENTI. I noduli della tiroide possono essere espressione di patologie: • benigne. • Maligne. il nodulo è una QUALSIASI LESIONE DISCRETA INTRATIROIDEA DISTINGUIBILE DAL PARENCHIMA TIROIDEO ADIACENTE che risulta normale. La frequenza del reperto di un nodulo tiroideo è estremamente frequente, possiamo dire che: • l'incidenza di un nodulo palpabile è corrispondente al prodotto di uno e della decade di appartenenza, cioè in una serie di 100 pazienti di 60 anni, il 6% presenta un nodulo tiroeo. • L'incidenza di un nodulo rilevabile ecograficamente è corrispondente al prodotto di 10 e della decade di appartenenza, cioè in una serie di 100 pazienti di 60 anni, il 60% presenta un nodulo tiroideo. La frequenza è quindi ESTREMAMENTE ELEVATA: all'interno di questa ENORME MASSA DI NODULI TIROIDEI è indispensabile IDENTIFICARE QUALE NODULO SIA ESPRESSIONE DI UN CARCINOMA. CRITERI DI IDENTIFICAZIONE DEI TUMORI MALIGNI: sicuramente nella valutazione del paziente che presenti un nodulo tiroideo sono fondamentali: • ANAMNESI, soprattutto relativa al fatto che il paziente possa essere stato esposto a: ◦ radiazioni ionizzanti, per esempio nel contesto di: ▪ incidente di Cernobyll o i recenti eventi di Fukushima in Giappone: aumenta molto l'incidenza di carcinoma papillifero nel bambino, anche di 30 volte. ▪ Iatrogena, generalmente terapeutica: la terapia radiante è estremamente utile nel trattamento dei linfomi, soprattutto a livello cervicale. A seguito della esposizione massiccia a radiazioni per questi fini, si registra un incremento dell'incidenza di carcinoma intorno al 12%. Per un certo periodo negli stati uniti la terapia radiante è stata utilizzata per i trattamento di patologie quali: • acne. • Patologie delle tonsille e tonsilliti ricorrenti. Una parte quindi abbastanza ampia della popolazione è stata esposta nel passato a radiazioni ionizzanti in età giovane. L'esposizione a radiazioni ionizzanti risulta in termini di incidenza particolarmente pericolosa al di sotto dei 15 anni e, come accennato, si abbassa con l'età. ◦ ANAMNESI FAMILIARE che può evidenziare per esempio: ▪ la presenza di un carcinoma midollare familiare. ▪ FAP o poliposi adnenomatosa familiare o sindrome di Gardner. ▪ Carcinoma midollare nel contesto di patologie genetiche come: • MEN 2a e 2b. • RET, a livello del cromosoma 10. • ESAME OBIETTIVO che consente di identificare la presenza di noduli e le loro caratteristiche, nello specifico un nodulo può presentarsi: ◦ mobile o fisso. 13


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◦ Duro: tutto quello che si presenta duro, nel contesto di un parenchima soffice, rappresenta molto spesso un problema. ◦ Crescita rapida, in alcuni casi addirittura esplosiva. ◦ Associazione ad adenopatia cervicale, abbiamo detto si tratta di patologie molto linfofile. Naturalmente le indicazioni correlate all'esame obiettivo sono indicazioni di massima che possono spingere alla esecuzione di maggiori approfondimenti diagnostici ma non sono ovviamente indicative di malignità. ESAMI DI LABORATORIO, nello specifico sono due i markers utilizzati: ◦ TIREOGLOBULINA SIERICA: si tratta di un prodotto estremamente specifico correlato alla attività tiroidea, è molto utile nel FOLLOW UP POST OPERATORIO, in caso di rimozione completa della tiroide e della neoplasia infatti, tale valore deve arrivare a 0, annullarsi completamente. ◦ Calcitonina sierica, che nel 50% dei casi risulta falsamente positiva. Questi markers sono estremamente utili in termini di follow up ma NON DANNO NESSUNA INDICAZIONE RELATIVAMENTE ALLA IDENTIFICAZIONE BENIGNA O MALIGNA DELLA PATOLOGIA. SCINTIGRAFIA altro esame estremamente importante nella valutazione complessiva delle patologie tiroidee, per quanto riguarda le patologie maligne ricordiamo che: ◦ nello 0­4% dei casi i noduli maligni risultano caldi. ◦ Nel 5­16% dei casi i noduli maligni risultano freddi. Un tempo era prassi eliminare tutti i noduli freddi, tuttavia si è notato oggi come intervenire in questo senso sia eccessivamente aggressivo. Secondo le attuali indicazioni diagnostiche, la SCINTIGRAFIA va fatta solo nel momento in cui il TSH risulta alterato. ECOGRAFIA esame con il quale molto spesso si identificano numerosi noduli, come accennato in un numero 10 volte superiore di casi rispetto a quanto non avvenga con l'ecografia. Possiamo quindi valutare: ◦ il numero dei noduli: un nodulo isolato, singolo viene definito NODULO TIROIDEO UNICO, la possibilità che ci si tratti di un carcinoma è di 5­7 VOLTE PIÙ ALTA RISPETTO A NODULI MULTIPLI. ◦ Taglia dei noduli, altro fattore ben correlato con la natura del nodulo stesso: ▪ sotto il centimetro meno del 5% dei carcinomi sono maligni. ▪ Sopra i 3cm il rischio di malignità sale al 30%. ◦ Contenuto, aspetto facilmente valutabile alla ecografia, complessivamente si possono individuare noduli di tipo: ▪ Solido. ▪ Misto. ▪ Cistico. La probabilità di malignità è tanto più alta quanto più lo è la solidità della massa, si passa dal 21% in caso di noduli solidi, al 7% in caso di noduli cistici. ◦ Struttura ecografica, complessivamente definiamo i noduli tiroidei come: 14


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▪ ISOECOGENI: presentano la stessa ecogenicità delle strutture circostanti il nodulo, circa il 7% dei carcinomi presenta queste caratteristiche. ▪ IPERECOGENI, un nodulo isoiperecogeno in generale è poco probabilmente un carcinoma. ▪ IPOECOGENI: si tratta di un criterio di sospetto importante, circa UN NODULO TIROIDEO IPOECOGENO SU 5 PRESENTANO NATURA MALIGNA. IN OGNI MODO L'ECOGRAFIA DA SOLA NON CONSENTE DI STABILIRE CON CERTEZZA CHE IL NODULO SIA BENIGNO O MALIGNO anche se ci da dei criteri di selezione estremamente importanti. POWER DOPPLER: in casi estremamente selezionati DI NODULI FREDDI L'USO DEL POWER DOPPLER PER VALUTARE LA VASCOLARIZZAZIONE PRESENTA UNA SENSIBILITÀ DEL 100% E UNA SPECIFICITÀ DEL 78% RISPETTO ALLA ISTOLOGIA NELL'IDENTIFICAZIONE DI UN NODULO MALIGNO. Ricordiamo che il power doppler identifica la presenza di pattern di vascolarizzazione differenti come: ◦ pattern centrale. ◦ Pattern periferico. Dove il pattern centrale è sicuramente il pattern più suggestivo di neoplasia. FINE NEEDLE ASPIRATION CITOLOGY (FNAC), si tratta di una tecnica di prelivo bioptico citologico estremamente importante e sicuramente la tecnica maggiormente affidabile: ◦ si tratta della metodica diagnostica principale nel definire la natura del nodulo. ◦ Deve essere eseguita per ogni nodulo che presenti dimensione superiore a 8mm o al centimetro. ◦ In un gozzo multinodulare si eseguiranno delle biopsie su: ▪ noduli che presentano caratteri di sospetto. ▪ Noduli dominanti. Il campione raccolto in questo modo può dare risultati molto differenti, sicuramente può risultare: ◦ DIAGNOSTICO e identificare quindi: ▪ lesioni benigne. ▪ Lesioni maligne. ▪ Lesioni indeterminate o sospette, si tratta di condizioni tipiche del carcinoma follicolare nelle quali è difficile citologicamente definire di che patologia si tratti. ◦ NON DIAGNOSTICA o non soddisfacente, questo può essere dovuto al fatto che: ▪ ci sono poche cellule. ▪ Il citologo non è in grado di definire la natura della lesione. Generalmente lo studio citologico restituisce una gradazione detta TIR: ◦ TIR0 che definisce l'impossibilità diagnostica per la carenza di cellule. ◦ TIR5 che definisce la lesione francamente carcinomatosa. Tutti i referti di TIR 4 E 5 vanno operati, TIR 3 è generalmente in discussione. ESECUZIONE DEL FNAC: ◦ un tempo si prendeva il nodulo tra le dita e lo si pungeva. 15


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide ◦ Oggi tale prelievo va eseguito sempre e comunque sotto guida ecografica e consente di identificare e pungere un nodulo in modo estremamente preciso. Dal punto di vista della affidabilità, ricordiamo che questo esame presenta: ◦ circa il 30% di falsi negativi. ◦ Un valore predittivo negativo intorno al 70%. ricordiamo inoltre che: ◦ nel 25% dei casi i pazienti irradiati presentano un carcinoma tiroideo che si colloca al di fuori del nodulo. ◦ Nel 40­51% dei casi di nodulo in un paziente irradiato, è presente un carcinoma. In presenza quindi di un nodulo tiroideo in paziente irradiato, va eseguita la rimozione della tiroide direttamente, senza attendere il risultato della FNAC. CRITERI PROGNOSTICI: i criteri prognostici sono lievemente variabili sulla base del carcinoma preso in considerazione. CARCINOMA NON ANAPLASTICO : un carcinoma dei derivazione follicolare può essere valutato secondo criteri prognostici che risultano clinicamente molto importanti: • infiltrazione della capsula, estremamente importante, più delle metastasi linfonodali. • Presenza di metastasi a distanza. • Diametro che come accennato è un fattore spesso correlato con il rischio di malignità della lesione. Si tratta dei tre fattori principali e più importanti nella valutazione dei tumori ben differenziati, sicuramente molto importante è ad oggi il sistema di stadiazione MACIS: • Metastasis. • Age of the patient. • Compleatness of primary surgical resection, • Invasion of extrathyroideal tissues. • Size of the primary tumor. La valutazione di questi indici consente di ricavare un numero che correla in modo abbastanza preciso con la prognosi del paziente:

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide A 5 anni la sopravvivenza cambia molto sulla base del MACIS SCORE: i pazienti che non presentano uno score elevato hanno una sopravvivenza dell'83%, molto alta quindi. Al fine di facilitare la valutazione del quadro, generalmente si rimuove la tiroide con una buona parte dei tessuti antistanti lasciando in sede solo una piccola parte delle strutture muscolari presenti: in questo modo l'istologo può valutare direttamente se vi sia o meno coinvolgimento capsulare e la sua entità.

CARCINOMA ANAPLASTICO: come accennato si tratta della neoplasia in assoluto più grave nell'ambito della tiroide, la sopravvivenza media si aggira intorno a 4­6 mesi e la sopravvivenza a 5 anni intorno all'1­ 7,1%. LINFOMI DELLA TIROIDE: un tempo operati al fine di eseguire diagnosi differenziale con il carcinoma anaplastico, ad oggi queste neoplasie vengono radiochemiotrattate, complessivamente ricordiamo che: • se il linfoma risulta localizzato nella ghiandola, la sopravvivenza permane a livelli accettabili. • Se il linfoma oltrepassa la capsula, allora la prognosi peggiora decisamente. Globalmente la sorpavvivenza a 5 anni è dell'85%, molto più alta di quanto non sia per il carcinoma anaplastico. Anche in questo caso si tratta di una neoplasia delle donne anziane.

INDICAZIONI CHIRURGICHE GENERALI NELLA PATOLOGIA TIROIDEA:

le indicazioni chirurgiche nella patologia tiroidea sono molto più complesse di quanto non si pensi, nel complesso riconosciamo infatti diverse condizioni che possono richiedere questo intervento. IL GOZZO TIROIDEO: le indicazioni variano a seconda dei casi, tra le variabili più importanti ricordiamo: • GOZZO DI GROSSE DIMENSIONI: ◦ gozzo che abbia una estensione cervicale importante. ◦ Gozzo immerso che si porti nel mediastino. I sintomi sono fondamentalmente legati a fenomeni di tipo COMPRESSIVO, si arriva alla compressione e fodero di sciabola della trachea o alla compressione esofagea, rarissima. • BASSA MORBIDITÀ OPERATORIA che non è in ogni caso mai nulla. • PRESENZA DI IPERTIROIDISMO: ◦ EVIDENTE. ◦ SUBCLINICO. Condizione grave dal punto di vista cardiologico NEL PAZIENTE ANZIANO, si valuta in caso di: ◦ FALLIMENTO DELLA TERAPIA SOPPRESSIVA ORMONALE che presenta fattori di 17


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide rischio importanti: ▪ fibrillazione atriale. ▪ Osteoporosi. ◦ FALLIMENTO DELLA TERAPIA DI RIDUZIONE DELLA ATTIVITÀ TIROIDEA. • FATTORI ESTETICI. INDICAZIONI GENERALI: • pazienti con sintomi di compressione delle vie respiratorie o digerenti. • Pazienti che presentino massa di notevoli dimensioni, sopra i 5cm in caso di nodulo unico, in caso di più noduli il cut off è intorno ai 3-4 cm. • Dislocazione asintomatica di trachea ed esofago. • pazienti che presentano un gozzo che scende nel mediastino e può prendere contatto con grossi vasi. • pazienti con certezza o sospetto che nel gozzo ci sia un carcinoma. • pazienti anziani con ipertiroidismo preclinico. GOZZO NON TOSSICO: in linea generale in caso di GOZZO NON TOSSICO: • EMITIROIDECTOMIA, non va tolta mai meno della metà della tiroide. ◦ le percentuali di recidiva sono molto importanti: la fibrosi che si produce nelle fasi post operatorie, renderà molto difficile riconoscere la patologia, la rimozione deve essere quindi più precoce il possibile. ◦ Si tolgono lobo e istmo nel caso in cui ci sia un gozzo unilaterale: lasciare l'istmo significa inevitabilmente lasciare una tumefazione a livello della parte anteriore del collo molto ben visibile. • TIROIDECTOMIA TOTALE O SUBTOTALE, si possono lasciare in sede dei piccoli residui al di sotto della paratiroide, si esegue nel momento in cui IL GOZZO È MULTINODULARE E BILATERALE. Un tempo veniva rismosso il solo nodulo, ma il rischio di recidive conduceva generalmente il paziente nuovamente ad un intervento qualche anno dopo, inoltre è alto in caso di recidive il rischio di ledere i ricorrenti bilateralmente costringendo il paziente alla tracheostomia. In caso di pazienti già trattati chirurgicamente, è preferibile spesso utilizzare lo iodio radioattivo. GOZZO MULTINODULARE: La tiroidectomia totale è il GOLD STANDARD PER IL TRATTAMENTO DEL GOZZO MULTINODULARE, infatti: • non da rischio di recidiva. • Prevede la terapia sostitutiva. NODULO UNICO FUNZIONANTE: se il nodulo è tossico, allora si eseguono: • lobectomia. • Se il paziente è ad alto rischio per la presenza di malattie concomitanti si fa una terapia con IODIO 131 che nel 50% dei casi È EFFICACE. MORBO DI BASEDOW: in alcuni casi può essere necessario intervenire, nello specifico si opera in caso di: • ipertiroidismo scarsamente trattabile con terapia medica. 18


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 1: la tiroide • Sospetto di carcinoma concomitante. La scintigrafia va sempre eseguita in questo caso, il riscontro di un nodulo freddo in corso di morbo di Basedow da una probabilità del 30-35% di malignità. L'intervento ideale è la rimozione della tiroide subtotale lasciando una paratiroide in sede, il rischio è sempre quello di recidive importanti. CARCINOMA: davanti ad un paziente che presenta una affezione neoplastica della tiroide maligna e ben differenziata, si procede: • alla tiroidectomia totale, la tiroide deve essere tolta in toto. • Linfoadenectomia, tale escissione della tiroide viene eseguita in presenza di: ◦ linfonodi palpabili. ◦ Linfoadenopatia cervicale con neoplasia della tiroide non palpabile. ◦ Linfonodi patologici, ingrossati cioè sopra il centimetro.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico

NEOPLASIE ENDOCRINE DEL TRATTO GASTROENTERICO un tempo definite tumori APUDomini, in quanto ritenute generare dalle cellule APUD del tratto gastroenterico, oggi sappiamo derivano da cellule che si trovano lungo tutto il tratto digerente, si parla quindi generalmente di TED, tumori endocrini dell'apparato digerente. Queste neoplasie si dividono in due grandi cateogorie: • TE neuroectodermici come il carcinoma midollare della tiroide e i feocromocitomi. • TE GEP (tumori endoctini gastro­entero­pancreatici) neoplasie a prognosi globalmente migliore, si trovano ovunque in tutto il tratto gastroenterico, si tratta di un gruppo estremamente eterogeneo di neoplasie dotate di proprietà secretorie molto importanti. Complessivamente tali neoplasie si distinguono in quanto dotate di: ◦ proprietà secretorie. ◦ Patogenesi. ◦ Presentazione clinica. ◦ Evoluzione. ◦ Prognosi. Estremamente differenti. EPIDEMIOLOGIA: complessivamente si tratta di tumori: • rari, circa l'1% dei tumori complessivamente diagnosticati. • Risultano in aumento in: ◦ USA. ◦ Italia. ◦ Svezia. ◦ Svizzera. ◦ Francia. Dal punto di vista clinico l'aumento della incidenza è giustificato anche e soprattutto dall'aumento del numero delle diagnosi legato all'uso della TC. • l'età media di insorgenza è più bassa rispetto ad altri carcinomi digestivi: ◦ 67anni per l'uomo. ◦ 65 anni nella donna. • Tre quarti di questi tumori SONO NON FUNZIONANTI, NON PRODUCONO CIOÈ ORMONI e non presentano un quadro clinico legato alla espressione ormonale: in questi casi In questi casi la neoplasia si manifesta per effetto MASSA o per la presenza di un SANGUINAMENTO o DI METASTASI EPATICHE. • Quasi l'85% di queste neoplasie è ben differenziato, istologicamente tali tumori infatti NON SONO AGGRESSIVI. LOCALIZZAZIONE: nel complesso le neoplasie endocrine di questo tipo si localizzano: • per 1/3 dei casi nel sistema broncopolmonare, in particolare a livello di: 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ◦ laringe. ◦ Timo. ◦ Bronchi. • Per 2/3 dei casi si collocano nel tratto gastroenterico, soprattutto nel pancreas, in ogni caso vengono generalmente classificati sulla base della loro sede di origine: ◦ 4­11% si trovano nello stomaco. ◦ 2­8% si trovano nel duodeno. ◦ 1­5% si trovano nel pancreas. ◦ 7­27% si trovano nella appendice. ◦ A livello del retto e delle parti terminali del tratto gastroenterico sono ESTREMAMENTE RARI. CLASSIFICAZIONE: valutare il grado di malignità di queste neoplasie è molto difficile, si devono valutare: • grado di differenziazione istologica, elemento fondamentale che consente di definire un tumore come: ◦ ben differenziato. ◦ A malignità incerta. ◦ Carcinoma endocrino ben differenziato. ◦ Carcinoma endocrino poco differenziato. • Grado di necrosi che come sappiamo correla con il grado di crescita della neoplasia e con la sua gravità. • Taglia, dimensione: più una neoplasia è grande, più è probabile si tratti di un carcinoma o di tumore a malignità incerta. Complessivamente si distinguono due cut off differenti: ◦ a livello di TENUE E STOMACO sotto il centimetro è raro che si tratti di un tumore maligno, in caso contrario si tratterà di una patologia a malignità incerta genralmente. ◦ APPENDICE COLON RETTO E PANCREAS dove la soglia di riferimento è due centimetri. • Invasione locale, che più è importante, peggio è dal punto di vista prognostico. • Invasione vascolare che risulta: ◦ sempre assente nelle neoplasie benigne. ◦ Eventualmente presente nei carcinomi endocrini e nelle forme a malignità incerta. • indice mitotico, cioè il numero di mitosi in 10 campi al microscopio ad alto ingrandimento: al di sopra di 2 su 10 generalmente la neoplasia è maligna. • Indice di proliferazione: cioè la percentuale di cellule marcate con MBI­1 che si fissa su cellule che hanno una tendenza alla proliferazione: ◦ sotto il 2% generalmente il tumore è benigno. ◦ se supera il 2% si entra nell'ambito del carcinoma. ◦ se supera il 15% si entra nel campo del carcinoma poco differenziato. • Metastasi: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ◦ assenti chiaramente nelle forme benigna e a malignità incerta. ◦ Possibili nelle diverse forme di carcinoma. Definire il grado di differenziazione del carcinoma è fondamentale, questo correla infatti in modo molto stretto con la sopravvivenza: • carcinomi non differenziati hanno una sopravvivenza a 5 anni praticamente nulla. • Carcinomi ben differenziati presentano una sopravvivenza a 5 anni intorno al 50%.

CARATTERISTICHE DEI TE­GEP:

queste neoplasie assumono caratteri estremamente differenti a seconda della regione in cui si collocano, tradizionalmente l'intestino viene suddiviso in tre parti, anteriore, medio e posteriore, sulla base del suo sviluppo embrionale: • INTESTINO ANTERIORE, in queste sedi: ◦ possono essere prodotti numerosi ormoni, i marker biologici utili ad identificare queste neoplasie sono quindi molto diversi. Distinguiamo: ▪ carcinoide che, producendo serotonina, produce come marker indiretto la cromogranina A. ▪ Gastrinomi, che si collocano spesso anche a livello del duodeno. ▪ Insulinomi, derivano dalle cellule beta del pancreas. ▪ Glucagonomi, che derivano dal cellule alfa del pancreas. ▪ Lipomi. ▪ VIPomi. ▪ Somatostatinomi, di origine praticamente sempre pancratica. ▪ Tumori che producono glucocorticoidi pur non presentando una origine surrenalica. ▪ Sindrome da carcinoide. ◦ Si inseriscono spesso in sindromi da predisposizione ereditaria: circa il 25% di queste neoplasie presenta un origine di questo tipo. • INTESTINO MEDIO dove si riscontrano: ◦ una minore probabilità che vi sia una produzione ORMONALE. ◦ Generalmente viene prodotta serotonina con conseguente possibile sindrome da carcinoide. ◦ La predisposizione ereditaria diviene meno importante in questo tratto. • INTESTINO POSTERIORE dove si registrano: ◦ la produzione di ormoni è eccezionale, non esistono quindi marcatori specifici. ◦ La predisposizione ereditaria è molto meno importante. Le forme non differenziate sono molto rare. FATTORI PROGNOSTICI E DI SOPRAVVIVENZA: sicuramente i fattori prognostici maggiormente importanti sono: • differenziazione del carcinoma, come accennato la sopravvivenza varia in modo estremamente importante. Ricordiamo che: ◦ nel 60% dei casi circa il carcinoma è ben differenziato. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ◦ Nel 5% dei casi circa il carcinoma è non differenziato. • Localizzazione, a 5 anni la sopravvivenza è infatti molto variabile: ◦ le forme ben differenziate e pancreatiche hanno una sopravvivenza del 30­60% a 5 anni. ◦ Le forme ben differenziate e appendicolari di circa il 31­94%. ◦ Le forme ben differenziate in sede digiuno­ileale hanno una sopravvivenza a 5 anni del 36­65%. • metastasi a distanza. • Dimensione del tumore. • presenza di metastasi linfonodali. • Indice mitotico. • Radicalità dell'intervento chirurgico. INDICAZIONI ALLA CHIRURGIA: le indicazioni sono estremamente importanti dal punto di vista clinico, ricordiamo che si possono eseguire diversi tipi di intervento chirurgico: • DEMOLITIVO. • AGGRESSIVO. • CURATIVO. • PALLIATIVO, spesso capita, quando si interviene su un paziente che presenta un carcinoma ad uno stadio molto avanzato, si interviene per: ◦ ridurre le complicanze, per esempio l'occlusione intestinale. ◦ Controllare la secrezione ormonale. ◦ Allungare la attesa di vita. In ogni caso: • l'intervento può essere condotto di prima o seconda intenzione. • Un corretto trattamento medico preoperatorio è fondamentale. • La presenza di metastasi epatiche non controindica l'exeresi delle forme primitive, vanno sempre valutate quelle che sono le possibilità terapeutiche successive. ATTI PREPARATORI ALL'INTERVENTO: prima di eseguire l'intervento chirurgico è necessario: • verificare la diagnosi clinica e di laboratorio. • eseguire delle biopsie per valutare la differenziazione e l'indice mitotico. • Trattare i sintomi e le complicazioni se possibile. • Definire il carattere genetico o sporadico della neoplasia, è fondamentale questo aspetto: in caso di neoplasie a carattere genetico si potranno poi eseguire specifici test su parenti ed eseguire un follow up più ristretto. • Definire la assenza o presenza di altri tipi di neoplasia associata. • Identificare la presenza di cardiopatie specifiche: si parla, come vedremo, di cardiopatie specifiche da carcinoide. • Valutazione del potenziale evolutivo della lesione tramite la esecuzione di 2 TC O DI 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico OCTREOSCAN a distanza di 6 mesi una dall'altra. L'INTERVENTO CHIRURGICO: l'intervento chirurgico è ovviamente variabile sulla base della sede in cui viene identificata la neoplasia: • PANCREAS, anche in questo caso l'approccio varia: ◦ se la neoplasia si colloca in sede distante dal virsung, si può semplicemente enucleare. ◦ se è di dimensione è superiore a 2­3cm o la neoplasia è prossima al Virsung (con conseguente rischio di fistole pancreatiche): ▪ se si colloca nel corpo si può eseguire una pancreasectomia centrale. ▪ Se si colloca a sinistra si esegue una pancreasectomia sinistra. ▪ Se si colloca in profondità, si deve eseguire una duodenocefalopancreatosomia, intervento estremamente complesso che prevede la rimozione di: • duodeno fino all'angolo duodenodigiunale. • Testa del pancreas. • Antro gastrico. • Colecisti. • Due terzi della via biliare. La sezione cade in corrispondenza della vena porta. • GASTRICO, in questo caso: ◦ se di dimensione sotto il centimetro si rimuove una piccola sezione. ◦ Se di dimensione sopra i 2cm si devono togliere; ▪ due terzi dello stomaco o l'intero organo. ▪ I linfonodi adiacenti. • INTESTINO TENUE: ◦ sotto 0,5 centimetri si rimuove solo una piccola parte. ◦ Al di sopra del centimetro, si eliminano parti di intestino maggiormente ampie, e il ventaglio di linfonodi associati, si rimuove una sezione a V di mesentere. • APPENDICE, in questo caso l'intervento varia sulla base della infiltazione: ◦ se non risulta infiltrato il mesenteriolo, si rimuove semplicemente la appendice. ◦ Se risulta invaso il mesenteriolo, allora si passa alla emicolectomia destra. • COLON: è prevista una resezione colica. • RETTO, anche in questo caso dipende dalla dimensione: ◦ se la massa è sotto il centimetro e polipoide, si esegue una polipectomia endoscopica con elettrocoagulazione. ◦ Se la massa è di 1­2cm, si deve eseguire una ecoendoscopia per valutare l'approccio necessario. ◦ Se la massa è sopra i 2cm si esegue une exeresi anatomica.

DIVERSI TIPI DI T E­GEP:

esistono diversi tipi di TE­GEP, nello specifico: 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico •

GASTRINOMA, neoplasia che produce gastrina e da di conseguenza sintomi tipici di una iperproduzione di acido, nel complessi si manifesta con: ◦ Dolore ulcerativo. ◦ Diarrea. ◦ Esofagite generalmente da reflusso. La diagnosi si basa sulla concentrazione della gastrina a digiuno. Tale neoplasia si localizza: ◦ nel 40% dei casi nel duodeno. ◦ Nel 60% dei casi nel pancreas. Circa il 20% dei gastrinomi si inserisce in una forma ereditaria. INSULINOMA: comune tra i TE­GEP, tale Sindrome di Zollinger Ellison neoplasia deriva dalle cellule BETA del pancreas e produce insulina. Tale neoplasia: ◦ provoca una forte e ingiustificata ipoglicemia. ◦ È unicamente pancreatica. ◦ Raramente è maligna. ◦ Nel 10% dei casi circa si inserisce in un quadro di MEN, multiple endocrin neoplasia. LIPOMA che in questo caso produce un peptide molto importante cioè il VIP, ◦ dal punto di vista clinico si registrano: ▪ diarrea acquosa. ▪ Ipocaliemia e ipocloridria. ◦ La diagnosi si basa sul dosaggio del VIP che deve essere superiore a 250pg/h. ◦ La localizzazione è quasi unicamente pancreatica e duodenale. ◦ La malignità è presente quasi nel 50% dei casi. ◦ Raramente si inserisce in un contesto di sindrome multiendocrina. GLUCAGONOMA, produce glucacone, complessivamente si caratterizza: ◦ clinicamente per: ▪ calo di peso. ▪ Rash cutaneo. ▪ Diabete. ◦ Il dosaggio consente di fare diagnosi di laboratorio e deve collocarsi sopra i 500pg. ◦ La localizzazione è unicamente pancreatica. ◦ Nel 70% dei casi è maligno. ◦ Da un tipico eritema necrolitico migrante, manifestazione cutanea caratteristica. SOMATOSTATINOMA, produce somatostatina, altro ormone importante: ◦ clinicamente si caratterizza per: ▪ diabete. 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ▪ Calcolosi biliare. ▪ Steatorrea. ◦ Dal punto di vista della localizzazione si trova nel 50% dei casi nel pancreas, nel 50% dei casi nel duodeno. ◦ La probabilità di malignità è alta, intorno al 70%. • GRFoma, PRODUCE l'ormone che INDUCE LA LIBERAZIONE DEL GH provocando conseguentemente una ACROMEGALIA. • ACTHoma, produce ACTH, indurrà quindi una sindrome di Cushing. • PTH­like­oma, ormone simile al paratormone. • NEUROTENSINOMA che da un quadro clinico di: ◦ tachicardia. ◦ Ipotensione. ◦ Ipocaliemia. • CALCITONIN SECREATING NEOPLASIA, producono calcitonina. • NON FUNZIONALI, come accennato sono la maggior parte e sono gravati da un ritardo diagnostico molto importante. L'INSULINOMA: l'insulinoma si caratterizza tipicamente per una sintomatologia legata alla IPOGLICEMIA, complessivamente si riconoscono quindi sintomi: • NEUROGLICEMICI dovuti allo scarso apporto di glucosio all'encefalo: ◦ confusione. ◦ Cefalea. ◦ Disorientamento. ◦ difficoltà visive. ◦ Comportamento irrazionale. ◦ Coma. • DA ECCESSO SECONDARIO DI CATECOLAMINE dovuto al rilascio di noradrenalina e adrenalina in risposta alla ipoglicemia, avremo quindi: ◦ sudorazione. ◦ Tremore. ◦ Palpitazioni. LA DIAGNOSI: il paziente deve essere tenuto a digiuno per 72 ore, il digiuno deve essere osservato in modo rigoroso e controllato se necessario, alla comparsa dei sintomi da ipoglicemia si valutano: • INSULINA: se l'insulina risulta superiore a 5µU litro e sono presenti sintomi da ipoglicemia, LA DIAGNOSI È CERTA. • GLICEMIA E ALTRI INDICI, generalmente non necessari. LA LOCALIZZAZIONE: vista la collocazione delle cellule beta del pancreas, principalmente presenti a livello del corpo e della coda, la localizzazione sarà principalmente in queste aree. Una localizzazione precisa è 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico fondamentale a fine terapeutico e chirurgico, si possono quindi eseguire delle indagini: • NON INVASIVE come: ◦ TC, ottimo esame che consente la identificazione nell'80% dei casi. ◦ OCTROSCAN, altrettanto buono. ◦ RMN addominale. • INVASIVE come: ◦ ECOENDOSCOPIA: portando a contatto della parete gastrica e duodenale una sonda, la distanza tra la sonda stessa e la neoplasia è minima, anche di qualche centimetro, nel 90% dei casi si individua la lesione. ◦ ARTERIOGRAFIA SELETTIVA, cioè stimolando: ▪ con calcio. ▪ con secretina. la liberazione di insulina e valutando la CONCENTRAZIONE DELLA INSULINA NEI SINGOLI VASI PANCREATICI INCANULATI, dove si registra il maggiore aumento, si trova probabilmente la neoplasia. Nonostante queste importanti tecniche diagnostiche di imaging, il 20% degli insulinomi non viene identificato. • IN SEDE INTRAOPERATORIA si possono utilizzare: ◦ palpazione, significativa ma non molto utile. ◦ Ecografia diretta dell'organo, individua il 99% degli insulinomi. Nonostante tutto, l'1% permane non localizzato. GASTRINOMA: come accennato questa patologia produce GASTRINA, tale ormone, tuttavia, può risultare incrementato in una serie enorme di situazioni differenti: • carcinoma dell'ovaio gastrina secernente. • Iperplasia delle cellule G antrali che normalmente la producono. • Stenosi pilorica con stasi. • Intervento di resezione gastrica malcondotto chirurgicamente: invece di eseguire una sezione a valle del piloro, si trancia l'organo troppo prossimalmente e al momento della ricostruzione una parte della mucosa gastrica permane presente e vitale e libera di produrre gastrina. Nel complesso si distinguono due condizioni: ◦ ANTRO ESCLUSO: durante il processo di resezione gastrica viene lasciata in sede una parte dell'antro gastrico, al di sopra del PILORO, che viene escluso dal transito e resta in sede. ◦ ANTRO RITENUTO: durante la resezione gastrica resta in sede un pezzo di ANTRO, non escluso dal transito, cioè associato alla parte che viene anastomizzata a valle. • Stato di shock. • Feocromocitoma. • Ipercalcemia. • Turbe del metabolismo della gastrina: ◦ insufficienza renale dove si registra una ridotta eliminazione. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ◦ Cirrosi epatica o interventi che eliminino il filtro epatico. ◦ Resezioni. • Si può registrare anche in assenza di ipersecrezione acida, in caso di perdita di funzione dovuta a mancanza dell'organo bersaglio, il meccanismo a feedback non inibisce la produzione di questo ormone. Si registrano casi simili a seguito di: ◦ resezione gastrica. ◦ Ulcera estesa. ◦ anemia perniciosa o gastrite atrofica. ◦ Vagotomia. • iperparatiroidismo primitivo che con l'aumento del calcio ematico induce un incremento della gastrinemia. DIAGNOSI: il sospetto clinico è indotto, come accennato, da: • iperacidità. • Reflusso. • Diarrea. Dal punto di vista laboratoristico si possono quindi misurare: • GASTRINA che risulta sensibile se maggiore di 100pg/mL. • Se la gastrina è sensibilmente alta, si esegue una valutazione BAO o basic acid output che risulta significativa se maggiore di 15meq/h. • Se anche la valutazione BAO risulta positiva, si esegue un test della secretina: si inietta della secretina, se i livelli di gastrinemia arrivano sopra i 200pg/ml, la probabilità di gastrinoma è molto alta. LA LOCALIZZAZIONE: A questo punto è fondamentale individuare questa neoplasia al fine di trattarla chirurgicamente eventualmente, analogamente a quanto detto per l'insulinoma si possono utilizzare metodi: • NON INVASIVI quali: ◦ SCINTIGRAFIA sicuramente è la tecnica migliore, con somatostatina marcata, risulta tuttavia disponibile solo in alcuni centri estremamente specializzati. ◦ TC, esame fondamentale in quanto disponibile in ogni centro, ha un'ottima sensibilità. ◦ MRI. ◦ OCTREOSCAN: si tratta di una buona tecnica ma non distingue sempre tra pancreas e duodeno. • INVASIVI, come: ◦ ecoendoscpia, essenziale anche in questo caso ha percentuali globali di identificazione intorno all'80%, e praticamente del 100% rispetti ai gatrinomi pancreatici. ◦ Arteriografia con stimolazione, metodo simile a quello utilizzato per l'insulinoma, presenta il diffetto di non poter sempre distinguere tra localizzazione pancreatica e 9


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duodenale. INTRAOPERATORIO, si possono valutare: ◦ palpazione: estremamente interessante per quanto riguarda il duodeno dove consente di individuare circa il 100% delle neoplasie. ◦ ecografia intraoperatoria, fondamentale soprattutto per il pancreas. In questo caso nel complesso circa il 5% delle neoplasie non viene individuato con precisione.

SEDE: la sede è molto variabile, complessivamente possiamo dire che: • nel 56% dei casi si trova nella prima porzione del duodeno. • Nel duodeno medio troviamo circa il 32% di queste neoplasie. • Nella coda troviamo circa il 48% delle neoplasie, • Nel pancreas, a livello della testa, circa il 30%. • Nel corpo circa il 22% TERAPIA: come accennato, circa il 20% dei gastrinomi presenta eziologia familiare, l'80% circa si presenta invece sporadico, non legato ad una mutazione genetica. Dal punto di vista pratico: • per pazienti con sindrome di Zollinger Ellison, la chirurgia è fondamentale. • Nelle forme MEN associate, generalmente la neoplasia è di piccola taglia e si rimuove semplicemente. • La duodenotomia è fondamentale ogni volta se si sia certi che la localizzazione non sia pancreatica: si controlla palpatoriamente e si recide. • L'intervento è variabile da caso a caso: ◦ sotto i 5mm si rimuove semplicemente la mucosa prossimale. ◦ Sopra i 5mm si valuta la situazione, ma generalmente si procede alla resezione. • In ogni caso la prognosi è abbastanza buona: circa il 60­85% a 10 anni sopravvive. IL CARCINOIDE: il carcinoide è una neoplasia a produzione serotoninergica che si colloca: • per 1/3 dei casi in sede extraintestinale, a livello di: ◦ bronchi. ◦ Timo. ◦ Ovaio. ◦ Utero. • Per i 2/3 a livello gastrointestinale, spesso nello stomaco. La produzione ormonale è molto variabile e non sempre la serotonina viene prodotta, si possono registrare infatti: • a livello di timo e polmoni la produzione di: 10 Carcinoide del tratto gastroenterico


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 2: neoplasie endocrine del tratto gastroenterico ◦ ACTH. ◦ CTRF. ◦ ADH. ◦ GH. ◦ GASTRINA. • A livello del duodeno la produzione di: ◦ GASTRINA. ◦ ISTAMINA. • A livello dell'intestino medio e posteriore è prodotta PRINCIPALMENTE SEROTONINA. Queste neoplasie in ogni caso sono in grado di produrre sindromi molto differenti: • sindrome di cushing. • Sindrome di Zollinger­Ellison. • Sindrome da CARCINOIDE, la più caratteristica. LA SINDROME DA CARCINOIDE: la sindrome da carcinoide è una sindrome da sovraproduzione di serotonina caratterizzata da: • flush cutanei. • Diarrea. • Cardiopatia da fibrosi valvolare o cardiopatia da carcinoide, estremamente caratteristica. • fibrosi mesetnerica e retroperitoneale. • Cachessia. • Denutrizione. La percentuale di casi in cui tale sindrome si sviluppa, varia con il variare della localizzazione del tumore: • INTESTINO ANTERIORE dove si verificano anche precocemente: ◦ flush cutanei. ◦ Lacrimazione e rinite. ◦ Orticaria se la localizzazione è gastrica soprattutto. In questa sede e in caso di localizzazione extraintestinale, la sindrome da carcinoide è maggiormente precoce e si può mostrare IN ASSENZA DI METASTASI. • INTESTINO MEDIO, in questo caso registriamo: ◦ i sintomi sottolineati in precedenza. ◦ Una insorgenza tardiva, questo perché LA SINDROME DA CARCINOIDE SI VERIFICA PER QUESTI TUMORI SOLO DOPO LA METASTASI EPATICA: fintanto che il fegato si interpone tra il tumore e il circolo sistemico, le MAO qui presenti sono in grado di bloccarne le manifestazioni. • INTESTINO POSTERIORE dove lo sviluppo di tale sindrome è molto molto raro. DIAGNOSI. oltre che attraverso le diverse metodiche diagnostiche, si possono utilizzare dei markers quali: • 5HIAA o acido 5 idrossindolacetico: si tratta del metabolita epatico della serotonina che 11


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viene eliminato con le urine. CROMOGRANINA A SIERICA: altro prodotto della degradazione della serotonina, se si intende ottenere un risultato veritiero, bisogna sospendere per almeno 4 settimane gli inibitori di pompa che inducono un incremento della cromogranina sierica.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN

MEN MULTIPLE ENDOCRIN NEOPLASIA con il termine MEN o multiple endocrin neoplasia si indica una serie di patologie molto differenti tra cui ricordiamo: • MEN 1. • MEN 2. • FHP o iperparatiroidismo familiare (familiara hyperparatirodism). • SINDROMI DA CARCINOMA TIROIDEO NON MIDOLLARE FAMILIARE. • FEOCROMOCITOMA FAMILIARE NON MEN­2. • ALTRE SINDROMI ENDOCRINO NEOPLASTICHE. LE MEN si definiscono come un gruppo SINCRONO O METACRONO nello stesso individuo o in più membri di una famiglia di lesioni IPERPLASTICHE o NEOPLASTICHE, BENIGNE O MALIGNE, in genere ipersecernenti, in due o più diversi tessuti endocrini non legati tra loro da interrelazioni funzionali evidenti. Si tratta di malattie: • familiari. • Trasmesse geneticamente. • Caratterizzate da coinvolgimento: ◦ multifocale nell'ambito della stessa ghiandola. ◦ Multicentrico, più lesioni cioè nell'ambito di una singola serie di ghiandole, per esempio le paratiroidi. ◦ Multighiandolare, che suggerisce la presenza di una sindrome complessa. • Diverse ben distinte alterazioni genetiche che predispongono allo sviluppo di queste neoplasie e possono provocare un eccesso di produzione di ormoni. IN LINEA GENERALE possiamo dire che le sindromi di questo tipo si caratterizzano per la presenza di neoplasie di tipo differente:

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una caratteristica abbastanza tipica di questo tipo di neoplasie quindi, è la IPERPLASIA PARATIROIDEA, quantomeno per quanto riguarda le men 1 e 2a. APPROCCIO GENERALE ALLE MEN: in linea generale una patologia di questo tipo: • va sospettata in caso di: ◦ feocromocitoma. ◦ Neoplasia del pancreas endocrino. ◦ Iperparatiroidismo che si registra molto spesso. ◦ Nodulo tiroideo. • Vanno sempre valutati quindi: ◦ anamnesi accurata, soprattutto familiare. ◦ Conoscenza dei quadri sintomatologici che variano da caso a caso, a volte si sommano più neoplasie endocrine o una di esse può permanere silente e svilupparsi nel tempo in una massa di grossissime dimensioni. ◦ Ricerca di neoplasie non secernenti. ◦ Una volta stabilito che si tratta di una MEN, è necessario sottoporre: ▪ il paziente stesso. ▪ La sua discendenza. 2


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A controlli pluriennali. Il trattamento di una MEN deve essere diretto non ad una neoplasia d'organo ma ad un tessuto patologico o potenzialmente tale, infatti si registrano praticamente sempre: ◦ plurifocalità intraghiandolare del danno. ◦ lesioni multighiandolari. ◦ Lesioni ectopiche, extraghiandolari. È sempre richiesta una analisi genetica, sia del paziente sia di suoi parenti.

LA MEN 1:

la MEN1 è la sindrome da neoplasia endocrina multipla più comune in assoluto, complessivamente: • presenta una prevalenza di 2­20 casi su 100.000 abitanti. • Si presenta già in età giovanile, 42 anni. • Il 10% non presenta anamnesi familiare, rappresenta cioè il primo caso in famiglia. • La presentazione è molto variabile: ◦ nel 36% dei casi sono coinvolte 2 ghiandole. ◦ Nel 36% dei casi sono coinvolte 3 ghiandole. ◦ Nel 23% dei casi sono coinvolte 4 ghiandole. ◦ Nel 5% dei casi si arriva fino al coinvolgimento di 5 ghiandole. Nell'ordine le ghiandole interessate sono: • PARATIROIDI, coinvolte nel 90% dei casi. • ISOLE ENTEROPANCREATICHE il cui coinvolgimento è variabile ma raggiunge anche l'80% dei casi: ◦ nell'80% dei casi sono non secernenti. ◦ Possono presentare una produzione ormonale ectopica. • TUMORI DELLA IPOFISI ANTERIORE, soprattutto prolattinomi. • CARCINOIDI, tipicamente localizzati a: ◦ INTESTINO ANTERIORE composti da: ▪ cellule enterocromaffini. ▪ Cellule enterocromaffini­like. ◦ CARCINOMI TIMICI. ◦ CARCINOIDI BRONCHIALI. • TUMORI DELLA CORTICALE DEL SURRENE. • MANIFESTAZIONI CUTANEE. EZIOLOGIA: come per tutte le sindromi neoplastiche, si tratta di MUTAZIONI che possono interessare diversi geni più o meno codificati più o meno identificati, in generale ricordiamo però che: • la trasmissione è autosomica dominante, ogni figlio ha il 50% di probabilità di presentare la malattia del genitore. • Penetranza ed espressività variabili: non tutti i pazienti presentano la malattia e non tutti i pazienti la presentano allo stesso modo nonostante il quadro genetico possa essere lo stesso. 3


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN QUADRO CLINICO: il quadro clinico iniziale dipende da quale delle lesioni in gioco si manifesta per prima, in generale ricordiamo che: • generalmente il sintomo all'esordio è una iperfunzione paratiroidea anche se non si tratta di una regola. • I quadri presenti possono essere poi molteplici e differenti. IPERAPARATIROIDISMO PRIMITIVO: si tratta della endocrinopatia più frequente nella MEN­1, non sempre si tratta di una neoplasia, anche una iperplasia è sufficiente e spesso presente tanto da essere riscontrata: • Nel 90% dei pazienti sopra i 50 anni. • nel 95% delle autopsie. Si tratta di una condizione molto comune quindi nella popolazione, ricordiamo però che nel quadro di una MEN generalmente tale condizione si verifica in modo PIÙ IMPORTANTE e PIÙ PRECOCE rispetto a quanto non avvenga in altri casi: • generalmente il quadro è determinato da una iperplasia di UNA O PIÙ PARATIROIDI, essendo spesso nella MEN il quadro multifocale, anche in presenza di un quadro apparentemente unifocale le ghiandole vanno rimosse nella quasi totalità. Il quadro può poi essere in questo ambito multicentrico o multifocale. • La sintomatologia tipica è quella di una ipercalcemia cioè: ◦ astenia. ◦ Anoressia. ◦ Poliuria. ◦ Stipsi. ◦ Irritabilità. ◦ turbe della personalità, soprattutto depressione e confusione. ◦ Litiasi urinaria recidivante. ◦ Dolori articolari legati molto spesso alla demineralizzazione dell'osso. Una particolare attenzione nell'ambito delle MEN deve essere posto in presenza di una IPERGASTRINEMIA: l'ipercalcemia infatti aumenta i livelli di gastrina che possono essere però elevati anche per la presenza di un GASTRINOMA. • Dal punto di vista diagnostico: ◦ il calcio sierico risulta particolarmente elevato. ◦ I livelli di PTH sono normali. NEOPLASIE ENTE R OPANCREATICHE: si tratta di manifestazioni generalmente SINCRONE o POCO SUCCESSIVE a quelle dell'iperparatiroidismo anche se la produzione ormonale può permanere silente per un tempo abbastanza prolungato, queste neoplasie: • originano nel pancreas e nella mucosa duodenale. • Sono multicentriche e spesso in modo metacrono. • Variano sia per caratteristiche che per ambito radiologico. Nel 30% dei casi sono maligne già alla diagnosi e il comportamento clinico può essere molto rilevante in associazione all'ormone prodotto: 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN •

neoplasie riscontrabili anche in altro ambito sono: ◦ GASTRINOMA che si manifesta con la sindrome di Zolliger Ellison, si inserisce nella MEN in una forma non del tutto uguale a quella sporadica: ▪ generalmente si colloca nella mucosa duodenale tanto che un tempo si parlava del triangolo del gastrinoma con i seguenti lati: • la seconda porzione duodenale. • I due cateti posti a livello del corpo e della testa del pancreas. ▪ a volte molto difficili da individuare, possono essere scambiati per carcinomi duodenali. ▪ Nel 50% dei casi si presenta maligno, meno di quanto non avvenga nelle forme sporadiche. La diagnosi precoce è fondamentale, la patologia va sospettata in presenza di una sindrome di Zollinger Ellison e va ricercata analogamente a quanto detto per il gastrinoma sporadico. Come accennato può essere rilevante distinguere tra una ipergastrinemia da gastrinoma e una ipergastrinemia da ipercalemia. ◦ INSULINOMA che si inserisce nel quadro di una MEN: ▪ nell'8­10% dei casi. ▪ In forma multifocale nel pancreas nel 92% dei casi, molto più di quanto non avvenga nelle forme sporadiche dove la multifocalità si registra nel 12% dei casi. ▪ maligno in un caso su 4­5 al momento della diagnosi. ◦ GLUCAGONOMA, anche nella MEN1 si tratta di una neoplasia rara, complessivamente può presentarsi: ▪ pancratico. ▪ Nel 50% dei casi si presenta con glucagone alto, ma non sempre da sintomi. ▪ In presenza di sintomi da la GLUCAGONOMA SYNDROME. ◦ VIPOMA detto anche sindrome di Verne­Morrison caratterizzata da diarrea acquosa, si tratta di un evento molto raro: ▪ tipicamente localizzato al pancreas. ▪ È più frequente nella MEN1. ▪ Da la sindrome di Verner­Morrison, un tempo definita colera pancreatico, si caratterizza per: • perdita di potassio. • Ipocloridria. • Ipercalcemia che può essere legata a: ◦ iperfunzione della paratiroide. ◦ Azione del VIP stesso sull'osso. • Malattie infettive e infiammatorie intestinali. ▪ Può essere difficile da diagnosticare, molto spesso quindi assume dimensioni molto importanti fino allo schiacciamento delle strutture vicine e alla emorragia. NEOPLASIE PRODUCENTI CRH ormone che induce il RILASCIO DI CORTICOTROPINA 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN e può simulare una sindrome di cushing. NEOPLASIE PRODUCENTI GHRH inducente il RILASCIO DELL'ORMONE DELLA CRESCITA, possono dare acromegalia. NEOPLASIE IPOFISARIE: la prevalenza è incerta nella MEN1, si parla di circa il 42%, solo il 15% dei casi in ogni caso si manifesterà clinicamente e spesso si tratterà di forme multifocali. Generalmente si tratta di ADENOMI, non di iperplasie o carcinomi anche se naturalmente tutto è possibile. Generalmente possiamo avere: • PROLATTINOMA sicuramente il più comune e maggiormente diagnosticato, si sospetta la sua presenza in caso di: ◦ aumento della prolattina sierica. ◦ Anche in assenza di un massa ipofisaria identificabile alla RM. • A CELLULE SOMATOTROPE neoplasie cioè che producono GH e danno ACROMEGALIA, entrano in diagnosi differenziale con neoplasie producenti GHRH come accennato. • A CELLULE CORTICOTROPE pruducente quindi ACTH, provoca una forma di morbo di Cushing, ma può essere associato anche a: ◦ neoplasie o ipertrofie primitive del surrene. ◦ Forme neoplastiche producenti CRH. • TIREOTROPI. ALTRE LOCALIZZAZIONI: le neoplasie potenzialmente coinvolte nella MEN si dividono in: • ENDOCRINE che si collocano a livello di: ◦ CORTECCIA DEL SURRENE, possono essere: ▪ adenomi. ▪ Iperplasie. ▪ Carcinomi. Il quadro dipende dalla produzione ormonale specifica. ◦ LOCALIZZAZIONE NELL'INTESTINO PRIMITIVO ANTERIORE dove si trovano: ▪ Carcinomi timici. ▪ Carcinomi bronchiali. ▪ Carcinomi mediastinici. ▪ Carcinomi duodenali e ileali. Questi elementi possono produrre diversi ormoni, generalmente la diagnosi è tardiva. ◦ LOCALIZZAZIONE TIROIDEA, si tratta di forme estremamente comuni per le quali non si registra un vero aumento della incidenza nella popolazione affetta da MEN. ◦ GONADICHE OVARICHE E TESTICOLARI. • EXTRAENDOCRINE, si tratta di neoplasie: ◦ CUTANEE, ricordiamo: ▪ lipomi sottocutanei che nelle forme nodulari e multicentriche possono essere correlati a questa sindrome. Si tratta di un segno abbastanza tipico. •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN ▪ Leiomiomi. ▪ Angiofibromi. ▪ Collagenomi cutanei. La malignità è rara e forme cutanee possono essere molto utili nella diagnosi precoce. ◦ GASTRICHE, in particolare si parla della MALATTIA DI MENETRIER o gastrite ipertrofica gigante caratterizzata dalla presenza di pliche gastriche ipertrofiche. DIAGNOSI: il sospetto diagnostico deve emergere sempre in presenza di: • due neoplasie sincrone o metacrone nei tre siti più caratteristici citati in precedenza. • In ambito familiare in presenza di un parete con MEN1, È SUFFICIENTE UNA SOLA SINDROME ENDOCRINA. • Iperaparatiroidismo in presenza di un coinvolgimento multifocale. Vanno sempre valutati nel contesto diagnostico: • la funzione delle paratiroidi cioè: ◦ calcemia. ◦ PTH. ◦ Fosforemia. • PANCREAS ENDOCRINO quindi: ◦ HPP. ◦ GASTRINEMIA. ◦ GLICEMIA A DIGIUNO. ◦ INSULINEMIA e PEPTIDE C circolante. • IPOFISI valutando quindi: ◦ la prolattinemia che come visto è alterata abbastanza di frequente. ◦ RM della sella turcica. CONSIDERAZIONI GEN E TICHE: le mutazioni sono riscontrate in più del 90% dei pazienti con tale sindrome, sicuramente oggi sono disponibili kit commerciali di valutazione a costo limitato, ma la loro affidabilità è limitata alla positività, se il risultato dovesse essere negativo sono necessari approfondimenti più importanti. TERAPIA: quasi ogni individuo che eredita una mutazione del gene MEN1, sviluppa almeno una manifestazione clinica della malattia, questa può essere: • iperparatiroidismo. • Neoplasie pancreatiche che si registrano nell'80% dei casi. • neoplasie ipofisarie che si registrano nel 50% dei casi. gli organi coinvolti nella MEN1 SONO DIFFICILI DA STUDIARE: • spesso la diagnosi definitiva è solo intraoperatoria. • Spesso sono necessari molteplici interventi nel corso della vita. Per quanto riguarda la terapia di alcune sindromi sicuramente dal punto di vista medico si 7


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN possono ad oggi fare molte cose: • inibitori di pompa protonica per la sindrome di Zollinger Ellison. • Terapie per il paratiroidismo. • Terapie per il carcinoide. gli obiettivi sono quelli di ridurre morbidità e la mortalità anche tramite interventi chirurgici. IPERPARATIROIDISMO: in caso di IPERPARATIROIDISMO L'INTERVENTO È CONSIGLIATO SOLO SE LA CALCEMIA SUPERA I 12mg/dl IN PRESENZA: • DI UN AUMENTO DEL PTH CIRCOLANTE. • SINTOMI DI IPERCALCEMIA. • ETÀ INFERIORE A 50 ANNI. In assenza di sintomi evidenti si tende ad osservare il quadro e di correggere eventualmente alterazioni ioniche e simili, senza intervenire direttamente ove non sia necessario. Ricordiamo che: • Molto spesso il coinvolgimento è mutighiandolare, il controllo del coinvolgimento delle paratiroidi è quindi fondamentale. • La assenza delle paratiroidi condiziona in modo importante la calcemia, spesso la calcemia tende a non regolarizzarsi subito e può provocare problemi molto seri come: ◦ tetania. ◦ Contrazioni dei muscoli respiratori costali che impedisce la respirazione. ◦ Aritmie cardiache. • Al tavolo operatorio si controlla il livello di PTH circolante: ◦ all'inizio dell'intervento. ◦ Al momento dell'invio del campione bioptico. ◦ 20 minuti dopo la rimozione. LA RIDUZIONE REGISTRATA DEVE ESSERE ALMENO DEL 50% RISPETTO AL VALORE PREOPERATORIO, in caso contrario l'intervento è stato incompleto o la causa di iperparatormonemia è differente. • Generalmente si lascia in sede una porzione della ghiandola, complessivamente: ◦ dopo 10 anni circa il 60% dei pazienti curati non ripresenta una ipercalcemia. ◦ Dopo 15 anni circa il 51% dei pazienti curanti non presenta ipercalcemia. È possibile poi reinserire una parte della paratiroide in sedi alternative, per esempio all'interno del muscolo sternocleidomastoideo o in altre sedi più facilmente aggredibili chirurgicamente. NEOPLASIE INSULARI ENTEROPANCREATICHE: come accennato in precedenza: • si presentano: ◦ MULTICENTRICHE. ◦ Tendenti alla recidiva. ◦ Maligne nel 33% dei casi ◦ dotate di mortalità del 10­20% circa. 8


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN L'INTERVENTO SI SCELTA DOVREBBE ESSERE LA PACNREASECTOMIA TOTALE finalizzata ad evitare le recidive, tuttavia le conseguenze di un tale intervento sono molto pesanti: • un diabete mellito di controllo molto difficile. • Una potenziale mortalità post operatoria molto elevata. Purtroppo non sono presenti delle linee guida vere e proprie per questo tipo di neoplasia, tuttavia: • insulinomi, glucagonomi, VIPOMI, neoplasie secernenti GHRH e CRH devono essere trattati chirurgicamente, non esistono terapie mediche utili. • Neoplasie non secernenti o secernenti PP generalmente NON DANNO MANIFESTAZIONI CLINICHE, di conseguenza VENGONO OPERATI SOLO se il loro DIAMETRO SUPERA I 3cm, generalmente se ne segue l'evoluzione clinica. • Neoplasie che producono gastrina vanno RESECATE ANCHE SE È PRESENTE UNA METASTASI EPATICA, POSSONO INFATTI ESSERE TRATTATE MEDICALMENTE in modo molto utile. Il tipo di resezione pancreatica varia sulla base della localizzazione della malattia: • SPESO È MULTICENTRICA ed è richiesta una PANCREASECTOMIA TOTALE. • Ove possibile si esegue una DUODENOCEFALOPANCREASECTOMIA. • Se si colloca nella parte sinistra del pancreas, si procede ad una PANCREASECTOMIA SINISTRA. Se ci sono metastasi generalmente la combinazione della terapia medica e della terapia chirurgica può dare risultati soddisfacenti in termini di qualità della vita. NEOPLASIE IPOFISARIE: il trattamento è identico a quello delle neoplasie ISOLATE, non inserite nelle MEN: • il PROLATTINOMA va trattato con terapia farmacologica, si tratta con AGONISTI DELLA DOPAMINA. • Adenomi NON PRODUTTORI vengono esportati per via TRANSFENOIDALE. Generalmente si tratta parallelamente con somatostatina. CARCINOIDI DELL'INTESTINO ANTERIORE: seppur il trattamento non è codificato in tutto e per tutto, è generalmente medico nella prima fase di stabilizzazione e chirurgico una volta ottenuti valori di pressione adeguati. SCREENING: lo screening viene generalmente iniziato: • con la positività del test genetico nel paziente individuato sporadicamente. • A 8 anni di età nel paziente con MEN nota. In generale: • si eseguono dosaggi annuali di: ◦ PTH. ◦ Calcemia. Molto utili nell'identificare le prime manifestazioni della malattia. • Per quanto concerne i tumori enteropancreatici: ◦ lo screening viene iniziato all'età di 20 anni. ◦ Per l'insulinoma le valutazioni cominciano già a 5 anni di età. 9


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN •

Per quanto concerne l'ipofisi: ◦ In generale si esegue una risonanza magnetica dall'età di 20 ogni 3­5 anni per la valutazione ◦ viene eseguito un dosaggio della prolattina dai 5 anni ogni anno.

LA MEN 2:

la sindrome da multiple endocrin neoplasia di tipo 2 riconosce diversi fenotipi clinicamente parlando: • MEN 2A o SINDROME DI SIPPLE, caratterizzata da: ◦ carcinoma midollare della tiroide. ◦ Feocromocitoma. ◦ Iperaparatiroidismo primitivo. • MEN 2A con amiloidosi licheniforme cutanea. • MEN 2A con morbo di Hirschsprung, malformazione congenita riguardante una ostruzione del colon. • MTC (medullary thyroid carcinoma) FAMILIARE o FMTC definita: ◦ in presenza di almeno 10 portatori o casi di malattia in un singolo nucleo familiare ◦ in caso di età maggiore di 50 anni senza evidenza di altre lesioni caratteristiche di MEN2. • FMTC con CHD (coronary artery disease). • MEN 2B caratterizzata da: ◦ carcinoma midollare della tiroide o MTC. ◦ FEOCROMOCITOMA. ◦ diminuito rapporto tra parte superiore e inferiore del corpo. ◦ Assetto marfanoide. ◦ Galglioneuromatosi. EZIOLOGIA: nell'ambito di questa patologia registriamo un aumento di funzione del gene RET che si colloca sul cromosoma 10q 11.2, si tratta di un recettore per una tirosin chinasi le cui mutazioni sono tipiche di diverse patologie tra cui anche la malattia di Hirschsprung. Dal punto di vista genetico: • la trasmissione è autosomica dominante. • La penetranza ed espressività sono alte globalmente, generalmente si registra uno sviluppo metacrono delle neoplasie caratteristiche di questa patologia, anche se di fatto le differenze sono moltissime: ◦ LE MEN 2A PRESENTANO PENETRANZA ED ESPRESSIVITÀ VARIABILI, il quadro clinico può presentarsi quindi: ▪ COMPLETO di tutti i fattori precedentemente elencati. ▪ PARZIALE con manifestazioni cioè: • TEMPORALMENTE VARIABILI generalmente in età superiore a 50 anni per i portatori ancora asintomatici, aumenta il rischio di sviluppo di patologie MEN2 A associate. 10


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN • FENOTIPICAMENTE MOLTO VARIABILI. ▪ Ricordiamo in ogni caso che alterazioni biochimiche si registrano già a 30 anni di età anche in assenza di segni clinici specifici. ◦ LE MEN 2B PRESENTANO INVECE PENETRANZA ED ESPRESSIVITÀ MOLTO ALTE: ▪ Le manifestazioni della malattia sono presenti già nei primi anni di vita e si presentano molto gravi. ▪ La morte sopraggiunge generalmente precocemente, prima dell'età riproduttiva. QUADRO CLINICO: analogamente alla penetranza e alla espressività, il quadro clinico è variabile nei due casi: • MEN 2A: l'esordio clinico è variabile, può essere rappresentato da una qualsiasi delle tre principali manifestazioni. • MEN 2B: l'esordio clinico non è tanto legato alla attività dei due tumori endocrini, ma alle manifestazioni addizionali ad essi correlate: ◦ habitus marfanoide. ◦ La ganglioneuromatosi mucosa o gastrointestinale. nella MEN 2B generalmente le neoplasie sono ESTREMAMENTE AGGRESSIVE e la mortalità risulta MOLTO ALTA E MOLTO PRECOCE, raramente il paziente arriva alla teraza­quarta decade di vita. Le neoplasie endocrine che tipicamente accompagnano questa patologia sono: ◦ FEOCROMOCITOMA presente in più del 50% dei casi. ◦ IPERCALCEMIA DA IPERPARATIROIDISMO, evento ECCEZIONALE. Come accennato in alcuni casi si manifesta unicamente un carcinoma midollare della tiroide. IL CARCINOMA MIDOLLARE DELLA TIROIDE: spesso rappresenta la prima manifestazione della MEN2A: • comincia in età infantile in forma di iperplasia delle cellule C. • Si localizza tra il terzo superiore e i due terzi inferiori di ciascun lobo tiroideo. • Bilaterale nel 100% dei casi. • Quasi sempre multifocale. • Se di dimensioni superiori al centimetro è spesso associato a metastasi linfonodali. • È altamente linfofilo. • Inizia in forma di iperplasia delle cellule C. • si può accompagnare ad un carcinoma midollare occulto se la dimensione della neoplasia è sotto gli 8 mm. Le manifestazioni cliniche tipiche sono: • FLASH CUTANEO molto frequente. • DIARREA che, al contrario di quanto avviene nella forma sporadica di questa neoplasia, è RARA si registra solo nel 5% dei casi. La diagnosi è basata sul dosaggio della calcitonina sierica dopo al somministrazione di pentagastrina o di calcio che rendono possibile la diagnosi iniziale. Inizialmente naturalmente si valuta la calcitonina basale, secondariamente si valuta la calcitonina dopo test di stimolazione. FEOCROMOCITOMA: 11


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN seconda neoplasia tipica della MEN 2A, si registra in circa il 50% dei casi anche nella prima decade di vita: • inizia in forma di iperplasia della midollare che riduce lo spessore della corticale. • Può essere bilaterale: nel 52% dei pazienti che subiscono una surrenalectomia unilaterale, negli anni successivi si manifesta la necessità di rimuovere il surrene controlaterale. • È spesso multifocale nell'ambito della singola ghiandola. • Generalmente compare 10­15 anni dopo il carcinoma midollare. • La sede tipica è il surrene a differenza di altre lesioni come i paragangliomi che possono localizzarsi vicino a grossi vasi. QUADRO CLINICO: il feocromocitoma tipicamente produce grandi quantità di catecolamine, di conseguenza si possono sviluppare fenomeni di: • cefalea. • Palpitazioni. • Irritabilità. • Sudorazione. • Ipertensione arteriosa. Dal punto di vista laboratoristico si valutano: • CATECOLAMINE CIRCOLANTI. • METANERINE PRESENTI NELLE URINE. Si esegue soprattutto il dosaggio notturno sia plasmatico che urinario. IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO: Presente in un caso su tre soprattutto nella terza­quarta decade di vita, risulta asintomatico nel 70% dei casi. Dal punto di vista clinico si manifesta in modo analogo a quanto visto nella MEN1: • Coliche renali. • Problematiche ossee. • Sintomi neurologici. Generalmente registriamo una IPERPLASIA CHE COLPISCE TUTTE E QUATTRO LE GHIANDOLE, è una iperplasia non una neoplasia generalmente, a lungo termine può dare vita ad un adenoma. Chiaramente il quadro clinico è quello di un iperparatiroidismo primitivo. NEU R OMATOSI MUL T IPLA O GANGL IONEUROMATOSI: si tratta di una patologia che colpisce diverse parti dell'organismo dando manifestazioni molto variabili, nell'insieme si caratterizza per: • MANIFESTAZIONI OCULARI quali: ◦ corneali. ◦ Congiuntivali. ◦ palpebre everse ispessite con bordi nodulari. • MANIFESTAZIONI NELLA MUCOSA ORALE come: ◦ noduli biancastri o translucidi, risultano: ▪ dolorosi. 12


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN ▪ Della dimensione di alcuni millimetri. ▪ Si collocano nella porzione anteriore della lingua. ▪ possono interessare anche palpato, gengiva, faringe, laringe e mucosa nasale. ◦ Difficoltà di suzione. • MANIFESTAZIONI LEGATE AL TUBO DIGERENTE, si tratta di una manifestazione anatomopatologicamente diffusa ma che dal punto di vista sintomatologico interessa: ◦ esofago. ◦ Colon. Generalmente si manifesta con una alterazione della motilità che può estrinsecarsi: ◦ periatricamente come un megacolon già all'età di 5 anni. ◦ Tardivamente. ASPETTO MARFANOIDE: paziente che presenta caratteristiche simili a quelle tipiche della sindrome di Marfan, si tratta di pazienti ALTI, MAGRI E DAL VOLTO ALLUNGATO, presentano inoltre problemi di tipo scheletrico come CIFOSI DORSALE E SCOLIOSI, il quadro è abbastanza caratteristico. TERAPIA DELLA MEN 2: il carcinoma midollare accomuna le due sindromi ed la causa più frequente di morte, VA QUINDI TRATTATO PRECOCEMENTE: • come accennato è una neoplasia estremamente LINFOFILA, spesso da metastasi a distanza al momento della diagnosi. • Nelle forme occulte anche se la tireocalcitonina non è elevata, è buona norma eseguire una tiroidectomia totale associata o meno a linfoadenectomia che sarà tanto più estesa quanto più esteso è il tumore. • Nel momento in cui sia noto che il paziente presenta una MEN2, sarà necessario eseguire delle valutazioni genetiche atte a determinare quanto il genotipo del paziente specifico sia a rischio, sulla base di queste analisi si definiscono quindi pazienti a livello di rischio: ◦ 1: presentano mutazioni particolarmente pericolose e sono quindi ad altissimo RISCHIO, in questi casi la tiroide va tolta entro un anno. ◦ 2: la tiroidectomia va eseguita entro i 5 anni. ◦ 3: la tiroidectomia va eseguita non prima dei 10 anni, non dopo i 20 anni. Oltre al carcinoma midollare della tiroide Feocromocitoma bilaterale in corso di MEN-2 13


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 3: le MEN possiamo riscontrare: • FEOCROMOCITOMA, va rimosso quindi il surrene, non si tratta di un intervento semplice che può essere eseguito: ◦ UNILATERALE se la neoplasia presenta dimensioni inferiori ai 3cm, va sempre e comunque eseguito un follow up vista la probabilità che sia colpito anche il surrene controlaterale. ◦ BILATERALE se: ▪ la neoplasia presenta dimensioni sopra i 3cm. ▪ Si presenta in forma familiare. Il rischio di sviluppare un carcinoma controlaterale è infatti estremamente alto. La conseguenza è naturalmente la terapia sostitutiva a vita. • IPERPARATIROIDISMO che viene trattato in modo analogo a quanto detto per la MEN 1. LO SCREENING: il mappaggio genetico è fondamentale in questo contesto, una volta individuato il paziente a rischio si eseguono controlli continui: • calcitonina sierica e CEA per quanto riguarda il carcinoma midollare della tiroide. • Metanefrine plasmatiche e urinarie per quanto riguarda il feocromocitoma. • Calcio sierico e PTH per quanto riguarda invece l'iperparatiroidismo primitivo. la frequenza dei controlli di screeening si presenta: • annuale in tutti i casi di MEN2, il rischio è molto alto infatti. • Ogni 5­7 anni per i casi a rischio 3. • Una volta eseguita la tiroidectomia per quanto riguarda i casi a rischio 1 e 2 ogni anno. • Le donne in gravidanza vanno sempre testate, il rilascio di catecolamine può essere causa di morte durante il parto. • TC e RMN vanno riservati per casi con screening biochimico o patologico con sintomatologia suggestiva di feocromocitoma.

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Giordano Perin; fisopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 4: incidentaloma surrenalico

INCIDENTALOMA SURRENALICO L'INCIDENTALOMA È UNA TUMEFAZIONE O MASSA SURRENALICA RISCONTRATA INCIDENTALMENTE DURANTE UN ESAME RADIOLOGICO effettuato in pazienti: • che presentino UNA PATOLOGIA EXTRASURRENALICA come indicazione all'esame radiolografico stesso. • in assenza di sintomi che possono evocare una patologia surrenalica. • In assenza di familiarità per patologie di natura surrenalica. Casi tipici sono approfondimenti legati a: • ecografia per colica biliare. • Colon irritabile. A questo punto cominciano le indagini necessarie a comprendere la natura della tumefazione surrenalica.

Mielolipoma surrenalico del surrene di sinistra, la freccia rossa singola indica la ghiandola surrenale normale di sinistra.

EPIDEMIOLOGIA: non si tratta di un evento raro, circa un paziente su 10 che si sottopone ad una scansione 1


Giordano Perin; fisopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 4: incidentaloma surrenalico dell'addome presenta masse surrenaliche e circa il 6% delle autopsie eseguire evoca la presenza di un adenoma corticosurrenalico senza alcuna trasduzione clinica. Complessivamente: • Non ci sono predilezioni di lato per lo sviluppo di questo tipo di patologia. • Il diametro è generalmente compreso tra 3 e 6 cm. • L'incidenza di adenomi surrenalici con traduzione clinica è veramente scarsa, circa 10 casi su 100.000 abitanti. Dal punto di vista clinico quindi la maggior parte delle masse surrenaliche è asintomatica, è indispensabile quindi avere dei criteri clinici per determinare quali masse meritino ulteriori approfondimenti e quali no: • solo il 5% degli incidentalomi è una neoplasia maligna, • Una piccola parte è rappresentata da metastasi di CARCINOMI OCCULTI, A VOLTE SI TRATTA DELLA PRIMA MANIFESTAZIONE DI ALTRE NEOPLASIE, si parla quindi di CUP (cancer unknown origin). • Circa un terzo è rappresentato da adenomi corticali benigni funzionanti o non, il restate 5% sono feocromocitomi.

CLASSIFICAZIONE:

dal punto di vista pratico possiamo distinguere: • MASSE AD ATTIVITÀ PRODUTTIVA che possono essere classificate a loro volta in: ◦ corticali come: ▪ adenoma. ▪ Iperplasia nodulare. ▪ Carcinoma. ◦ Midollari come: ▪ feocromocitoma. ▪ Ganglioneuroma. ▪ Ganglioneuroblastoma. • MASSE PRIVE DI ATTIVITÀ PRODUTTIVA, possono presentare natura molto diversa: ◦ mielolipoma. ◦ Cisti. ◦ Ematoma. ◦ Amartoma. ◦ Amiloidosi. ◦ Xantomatosi. ◦ Neurofibroma. ◦ Teratomi. ◦ Granulomatosi. ◦ metastasi di carcinoma di: ▪ mammella. ▪ Polmone. ▪ Linfomi. 2


Giordano Perin; fisopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 4: incidentaloma surrenalico ▪ Leucemia. ◦ Masse di altra natura quali: ▪ linfonodi. ▪ Masse renali. ▪ Masse spleniche. ▪ Masse pancreatiche. ▪ Masse vascolari. ◦ Artefatti generati da una tecnica d'esame errata.

DIAGNOSI:

LO STUDIO INIZIALE RICHIEDE UNA ANAMNESI ACCURATISSIMA, a livello del surrene si possono infatti evidenziare manifestazioni di altre patologie o molte altre cose, clinicamente parlando infatti l'utilizzo di una agopuntura ingiustificata può avere conseguenze gravissime, anche letali. Complessivamente quindi: • anamnesi accurata, possono essere metastasi di carcinomi a distanza: ◦ neoplasie maligne anche se trattate e definite guarite. ◦ In caso di anamnesi positiva, il 50% di casi rappresenta la metastasi di un carcinoma, se negativa, il rischio è del 25%. ◦ Va sempre indagata l'anamnesi familiare, si valuta la possibilità di: ▪ una sindrome familiare. ▪ Segni e sintomi di morbo di Cushing. ▪ Ipertensione. ▪ Diabete. ▪ Qualsiasi segno che indichi uno squilibrio della attività surrenalica. L'AGOBIOPSIA VA FATTA UNICAMENTE IN FORMA DI ULTIMA RISORSA O UNA VOLTA COMPRESO DI COSA SI TRATTA. • Indagini generiche come: ◦ EMOCROMO CON FORMULA. ◦ ELETTROLITI SIERICI, soprattutto la kaliemia ovviamente. ◦ RX DEL TORACE al fine di valutare l'eventuale presenza di un cancro del polmone, eventualmente anche una TC. • Indagini atte a valutare la funzionalità della lesione: ◦ anamnesi ed esame obiettivo sono essenziali, se è funzionante troviamo segni specifici. ◦ Indagini ematochimiche, come: ▪ screening per il feocromocitoma cioè il dosaggio delle catecolamine: • soprattutto notturno. • Sia urinario che plasmatico. Indipendentemente dal fatto che l'indagine radiologica sia suggestiva o meno, i valori soglia considerati sono: • Catecolamine plasmatiche superiori a 2000 pg/ml. • metanefrine urinarie superiori a 1,6mg/24h. 3


Giordano Perin; fisopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 4: incidentaloma surrenalico Nei casi dubbi si esegue un test di stimolazione, in particolare un test di inibizione con clonidina. ▪ Valori relativi alla funzionalità corticosurrenalica (nel dubbio che si possa trattare di un morbo di Cushing), si valutano: • ACTH. • Cortisolo urinario. • cortisolo plasmatico. ▪ Valutare la presenza di un morbo di CONN o iperaldosteronismo primitivo, si valutano quindi: • dosaggio di aldosterone. • dosaggio della renaina. • Rapporto renina/aldosterone. • Kaliemia. In linea generale si parla di BILANCIO MINIMO, cioè del minimo degli esami che devono essere fatti prima di prendere qualsiasi decisione o di valutare qualsiasi intervento: ◦ DOSAGGIO DEI DERIVATI METOSILATI PLASMATICI E URINARI. ◦ TEST DI SOPPRESSIONE CON DESAMETASONE. ◦ DOSAGGIO DELLA CALIEMIA. VALUTAZIONE DEL RISCHIO DI MALIGNITÀ: come accennato la stragrande maggioranza di queste masse presenta natura BENIGNA e NON PRODUCE ORMONI, ricordiamo che la probabilità che si tratti di un carcinoma primitivo del surrene, è molto bassa, circa dello 0,01%, ricordiamo che questa neoplasia presenta: • cattiva prognosi. • Criteri TC e RM suggestivi, nello specifico: ◦ diametro, tra 4 e 6cm. ◦ Margini irregolari e disomogeneità. ◦ Calcificazioni dei tessuti molli che circondano il surrene. ◦ Indice HU, indice che valuta la presenza di lipidi nella massa, è aumentato (valori normali intorno ai 10) il rischio è incrementato, se supera il 18 si arriva ad un incremento del rischio notevole. DIAGNOSI STRUMENTALE: dal punto di vista della diagnosi strumentale si possono eseguire: • FNA o CORE BIOPSY va eseguita unicamente in caso di: ◦ anamnesi positiva per neoplasia maligna. ◦ Prelievo di piccola entità che può essere particolarmente utile. • MRI dinamica con GADOLINO può essere utile per predire la natura della massa • SI DEVONO COMBINARE: ◦ TC ◦ MRI ◦ FNA 4


Giordano Perin; fisopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 4: incidentaloma surrenalico PER LESIONI NON FUNZIONANTI CI CONSENTNO DI DEFINIRE BENE LA NATURA, la citologia è una tappa finale.

TERAPI A:

prima di procede con la terapia valutiamo: • metanefrine che devono essere negative possibilmente. • Escludere la presenza di un tumore che produca corticosteroidi e induca quindi una sindrome di cushing. • Eseguire TC ed RM per controllare l'indice strutturale della massa. • Si valutano quindi le dimensioni e si decide se intervenire o meno. se la massa è funzionante e produce sintomi clinici, va sempre tolta, se questo non è vero, si procede ad una valutazione radiologica: • massa di dimensioni superiori a 6cm che TOLTA SUBITO e IN OGNI CASO. • Massa di dimensioni tra 3 e 6cm, si considerano altri criteri. • Massa sotto i 3 cm e dotata di segni di benignità, come avviene spesso, non si interviene: ◦ si esegue un controllo a 6 mesi. ◦ Si esegue un controllo un anno dopo. Se la dimensione non aumenta e non acquisisce capacità produttive, si lascia la massa in sede e non si procede oltre.

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche

LE SINDROMI ENDOCRINE PARANEOPLASTICHE Le patologie neoplastiche possono produrre in diversi e numerosi casi una serie di peptidi in grado di dare una serie di quadri patologici a carattere: • ormonale. • Ematologico. • Dermatologico. • Neurologico. Con il temine SINDROME PARANEOPLASTICA si indica una serie di sintomi e segni che accompagnano una patologa neoplastica benigna o maligna e che non sono correlati alla infiltrazione delle cellule neoplastiche stesse o all'effetto massa della neoplasia. Ogni tipo di neoplasia maligna PUÒ PRODURRE ORMONI O INDURRE RISPOSTE DI TIPO IMMUNOLOGICO e le sindromi paraneoplastiche sono molto più comuni di quanto non si pensi oltre ad essere estremamente sottovalutate. Clinicamente parlando i quadri di presentazione sono due: • la sindrome paraneoplastica in un paziente che sappiamo essere malato di carcinoma. • Una sindrome paraneoplastica in un paziente che non sappiamo essere malato di carcinoma La causa prima della sindrome paraneoplastica e del comportamento biologico della neoplasia non è chiara, ma sappiamo che questi quadri sono molto spesso comuni a diversi tipi di carcinoma. SINDROMI ENDOCRINE PARANEOPLASTICHE: le neoplasie maligne possono produrre una enorme gamma di peptidi differenti, dal punto di vista clinico quelli maggiormente rilevanti sono: • ACTH. • Proteina correlata al paratormone. • Vasopressina. Questi quadri endorinologici possono permanere COMPLETAMENTE CLINICAMENTE SILENTI DAL PUNTO DI VISTA SINTOMATOLOGICO, ma quando la produzione ormonale comincia ad essere veramente eccessiva, si sviluppa un QUADRO CLINICO RICONOSCIBILE E LA MORBIDITÀ LEGATA ALLA NEOPLASIA MALIGNA CHE LO PRODUCE AUMENTA NOTEVOLMENTE e soprattutto in alcuni casi può rendere effettivamente molto difficoltoso il trattamento di una neoplasia maligna tramite chemioterapia. CLASSIFICAZIONE DELLE PATOLOGIE ENDOCRINE PARANEOPLASTICHE: le patologie paraneoplastiche sono patologie molto differenti tra loro, come accennato le principali sono: • IPERCALCEMIA che si registra intorno al 20% dei casi di neoplasia maligna, si correla alla produzione di: ◦ proteina correlata al PTH generalmente. ◦ ALTRI FATTORI. • SINDROME DA SECREZIONE INAPPROPRIATA DI ADH, si caratterizza per la presenza 1


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche di: ◦ iponatriemia. ◦ Iperproduzione di vasoppressina. • SINDROME DI CUSHING correlata alla iperproduzione di: ◦ ACTH. ◦ CRH. Sono sicuramente le forme maggiormente comuni, ma le sindromi paraneoplastiche endocrine sono veramente molto numerose:

IPERCALCEMIA DA IPERPRODUZIONE DI PTHrP:

un paziente su cinque malati di carcinoma può presentare una sindrome di questo tipo nel corso della sua storia clinica: l'ipercalcemia è un fenomeno che si può associare a moltissime condizioni patologiche differenti e va di conseguenza valutata con attenzione, rimuovere la paratiroide in presenza di una calcemia elevata può essere un errore grossolano ed esporre il paziente ad un intervento inutile. Sicuramente in ambito paraneoplastico la sindrome in questione è maggiormente comune in un contesto di: • carcinoma del polmone. • Carcinomi dell'area cervicale, soprattutto relativi a cute ed esofago. • Carcinoma della mammella. • Carcinomi dell'apparato genito urinario. LA PTHrP O PTH RELEATED PROTEIN: si tratta di una proteina simile al paratormone e le sequenze dei due peptidi sono almeno per i primi trenta amminioaocidi identiche. Il peptide correlato al PTH gioca fisiologicamente un certo ruolo nell'organismo umano: 2


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche nei feti animali la PTHrP regola il transfer placentare di calcio. Nello sviluppo umano: ◦ contribuisce allo sviluppo della dentatura agendo nell'ambito delle ossa mascellare e mandibolare. ◦ Contribuisce allo sviluppo della ghiandola mammaria. • Questa proteina si associa in questi casi al recettore per il PTH dando un quadro analogo a quello di un iperparatiroidismo primitivo. ALTRE FORME DI IPERCALCEMIA NON PTHrP CORRELATE: oltre alla forma PTHrP correlata, una neoplasia può provocare un quadro di ipercalcemia grazie ad almeno tre meccanismi: • può produrre un DERIVATO DELLA VITAMINA D che AUMENTA L'ASSORBIMENTO di CALCIO DALLA PARETE INTESTINALE. • Può produrre delle CITOCHINE AD ATTIVITÀ OSTEOLITICA, evento: ◦ comune nel mieloma multiplo. ◦ Raro ma possibile in alcuni linfomi. • Può produrre una erosione ossea diretta a causa di fenomeni metastatici. QUADRO CLINICO: dal punto di vista clinico: • IL PAZIENTE PRESENTA UNA DIAGNOSI DI CARCINOMA con segni e sintomi ad esso correlati e sviluppa una ipercalcemia che può essere: ◦ NON SINTOMATICA. ◦ SINTOMATICA. • IL PAZIENTE NON PRESENTA UNA DIAGNOSI DI CARCINOMA, si tratta di un evento molto raro, raramente il primo segno di una neoplasia è una ipercalcemia diagnosticata clinicamente o laboratoristicamente. In linea generale le manifestazioni cliniche della patologia si manifesta quando questa sale al di sopra di 14mg/dl, 6 punti al di sopra della norma. Clinicamente si manifesta con: • Disidratazione. • Urolitiasi, calcolosi urinaria legata alla ipercalciuria. • Calcio e fosforo che salgono molto in ambito urinario. DIAGNOSI DIFFERENZIALE: fattori che ci spingono a pensare che si tratti di una sindrome paraneoplastica sono: • la presenza di una neoplasia maligna già diagnosticata. • Esordio recente e rapido incremento della calcemia. • Livelli sierici di calcio molto alti. • Livelli di PTH bassi, il feedback legato alle concentrazioni di calcio è sicuramente ancora attivo. • Presenza di livelli di vitamina D normali. TERAPIA: il quadro clinico viene suddiviso in due categorie: • Lieve, con una calcemia superiore alla norma, ma inferiore a 12mg/dl. • •

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Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche • Severa superiore ai 12­13 mg/dl. Dal punto di vista terapeutico sarà indispensabile: • eliminare il calcio in eccesso nella dieta. • Somministrare adeguate quantità di fosforo. • Idratare il paziente e incrementare il livello delle urine associando diuretici alla terapia, soprattutto se la calcemia è particolarmente alta. • Somministrare bifosfonati che possono correggere la calcemia in modo abbastanza prolungato. • Dialisi, da considerare nel caso in cui non si possa attendere la azione terapeutica dei farmaci. • Calcitonina, ad azione rapida. • Uso dei coricosteroidi che in caso di linfomi, mieloma multiplo o leucemia sono particolarmente utili a far calare la calcemia.

IPONATRIEMIA ASSOCIATA A SIAD H:

si tratta di un caso di IPONATRIEMIA SOSTENUTO DA UNA PRODUZIONE INAPPROPRIATA DI ADH, ormone antidiuretico, prodotto dalla NEOPLASIA. Neoplasie tipicamente associate sono sicuramente: • carcinoma a piccole cellule del polmone. • Altri istotipi di carcinoma polmonare. • Lesioni del sistema nervoso centrale. • Carcinomi di testa e collo. • carcinomi gastrointestinali, genitourinari e ovarici. Meccanismi di compenso classici che si innescano in questo contesto sono: • perdita della sensazione di sete. • soppressione dell'aldosterone. • Produzione di ANP indotta dalla ipervolemia. il 50% dei carcinomi polmonari a piccole cellule si associa a questo tipo di sindrome. QUADRO CLINICO: dal punto di vista clinico: • generalmente la diagnosi viene posta perché si esegue un prelievo in corso di un ricovero per carcinoma polmonare: ◦ generalmente le implicazioni cliniche non sono particolarmente evidenti. ◦ In ambito chemioterapico ci possono essere delle limitazioni importanti all'uso di certi farmaci. • Sintomi tipici sono: ◦ debolezza, il paziente con carcinoma polmonare non sarà di per se stesso particolarmente attivo, ma una debolezza spinta potrebbe essere il primo sintomo di questa neoplasia. ◦ Letargia, nausea, confusione, alterazione dello stato mentale, convulsioni sono sintomi comuni a tutte le iponatriemie. • La severità dei sintomi è funzionale alla rapidità dell'esordio clinico. 4


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche • Lo sviluppo del quadro può essere accelerato da terapie endovenose. DIAGNOSI: sono moltissime le cause potenziali di IPONATRIEMIA, da traumi a infezioni a malattie metaboliche e farmaci, definiamo quindi anzitutto se si tratti di una IPONATRIEMIA VERA, dobbiamo cioè accertarci che: • la glicemia sia normale: assistiamo ad un calo di 1meq di sodio per litro per ogni aumento di 36mg/dl della glicemia. • L'osmolarità del plasma sia alterata: per ogni riduzione dei livelli di sodio di 1meq/L, si verifica una perdita della osmolarità plasmatica di 2mosmol/L. Identificare una iponatriemia come vera ci consente di escludere altre cause di iponatriemia. Tra le cause più comuni di iponatriemia vera ricordiamo: • insufficienza renale. • Insufficienza surrenalica. • Insufficienza tiroidea. • Situazioni in cui l'ADH risulta iperprodotto come meccanismi di adattamento in corso di: ◦ cirrosi epatica. ◦ Ipotensione. ◦ Insufficienza cardiaca.. • farmaci. TERAPIA: la terapia è quella di una normale SIADH, a questa si aggiunge chiaramente la terapia della neoplasia primitiva che può aiutare a ridurre la sintomatologia e il quadro sistemico.

SINDROME DI CUSHING:

sono due i possibili quadri endocrini paraneoplastici di sindrome di cushing: • IPERPRODUZIONE DI ACTH che colpisce circa il 10­20% dei malati di: ◦ Carcinoma polmonare a piccole cellule. ◦ Carcinoma timico. ◦ Carcinoma bronchiale. ◦ Altri carcinomi. ◦ Feocromocitoma. • IPERPORODUZIONE DI CRH o CORTICOTROPIN RELEASING HORMONE, quadro molto meno frequente, si associa a: ◦ tumori insulari del pancreas. ◦ Carcinoma a piccole cellule del polmone. ◦ Carcinoma midollare della tiroide. ◦ Carcinoidi. ◦ Cancro della prostata. Alcune neoplasie possono produrre entrambi gli ormoni. EZIOPATOGENESI: in alcuni casi la produzione di CRH e ACTH è diretta, ma molto spesso ad essere prodotti sono 5


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche pepetidi di grosse dimensioni che vengono poi clivati fino ad ottenere il prodotto finale, nel caso specifico SI TRATTA DELLA PROOPIOMELANOCORTINA che da vita anche a pepetidi ad attività endocrina differente che possono essere valutati nel sangue ed avere un risvolto clinico. ASPETTI CLINICI: trattandosi di una sindrome paraneoplastica le manfiestazioni classiche del morbo di cushing possono risultare ridotte, nello specifico: • l'aumento di peso corporeo sarà spesso minimo se non assente in questi pazienti. • La redistribuzione dei lipidi sarà limitata alle riserve lipidiche, generalmente scarse, del malato. • Si registreranno comunque: ◦ ritenzione di liquidi. ◦ Intolleranza glucidica. ◦ psicosi da steroidi. ◦ Alcalosi metabolica. ◦ Ipocaliemia. ◦ iperpigmentazione cutanea che si registra solo che: ▪ ACTH. ▪ MSH SONO ELEVATI CONTEMPORANEAMENTE. ◦ marcata fragilità della cute legata soprattutto ad elevati livelli di glucocorticoidi. ◦ Suscettibilità ad infezioni. Si tratta di un quadro che rappresenta una enorme comorbidità per il paziente neoplastico. DIAGNOSI: in presenza di una neoplasia diagnosticata, si valutano: • cortisolo libero e urinario che risulta di 2­4 volte il normale. • test di soppressione che è NEGATIVO NEL 90% DEI CASI, il desametasone non fa effetto e non riduce il livello di ormone. Fanno eccezione: ◦ carcinoidi bronchiali. ◦ carcinoidi di altro tipo. Che possono dare una produzione ridotta ortotopica e un test quindi positivo. Nel caso in cui la neoplasia sia benigna è possibile valutare quale sia la fonte di ACTH o CRH, nello specifico: • incanuliamo la rocca petrosa del temporale e valutiamo la produzione di ACTH della ipofisi. • Tramite imaging si punge la massa neoplastica benigna, si canula un vaso venoso e si valuta se sia questa a produrre CRH o ACTH. TERAPIA: la terapia è quella di un morbo di cushing e beneficia in questo caso della rimozione della neoplasia primitiva, si tratta di casi abbastanza comuni, circa il 10­20% dei casi si cushing è secondario ad una sindrome paraneoplastica. PROGNOSI: 6


Giordano Perin; fisiopatologia chirurgica: chirurgia endocrinologica 5: le sindromi paraneoplastiche la prognosi non è per nulla buona: • la patologia neoplastica di per se da una prognosi negativa, soprattutto se polmonare. • Il paziente presenta: ◦ una scarsa tendenza alla cicatrizzazione a causa degli elevati livelli di corticosteroidi. ◦ Il paziente presenta una significativa tendenza alla infezioni. Generalmente il paziente muore per complicanza dell'intervento chirurgico eventualmente eseguito o per infezioni opportunistiche non controllate.

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PATOLOGIE DELLE PARATIROIDI le paratiroidi sono quattro ghiandole endocrine localizzate posteriormente alla ghiandola tiroide e, generalmente, poste in stretto contatto con essa. Queste ghiandole, preposte alla produzione di PTH o paratormone, svolgono un ruolo essenziale nel nostro organismo in relazione alla regolazione del metabolismo del calcio. SVILUPPO EMBRIOLOGICO: le ghiandole paratiroidi originano a partire dalla IV e III tasca embrionale rispettivamente per quanto riguarda le due paratiroidi superiori e quelle inferiori, e analogamente agli elementi derivati dalle medesime tasche, il timo e la tiroide, migrano in senso craniocaudale fino a raggiungere la loro posizione definitiva. ANATOMIA: normalmente esistono quattro ghiandole paratiroidi poste come accennato posteriormente alla tiroide e in prossimità del timo. È importante ricordare che: • la loro vascolarizzazione è generalmente a carico della arteria tiroidea INFERIORE, ma può derivare anche dalla arteria tiroidea superiore o da una anastomosi dei due vasi. • Normalmente sono piatte e ovoidali. • Normalmente le misure sono 5*3*0.5mm. • Il peso complessivo varia da 90 a 200mg. • Sono generalmente marroni o gialle. • Istologicamente appaiono composte di cellule ossifile accompagnate da uno stroma composto principalmente da adipociti. FISIOLOGIA: come accennato la ghiandola paratiroide gioca un ruolo essenziale nel controllo del metabolismo del calcio assieme a TIREOCALCITONINA e VITAMINA D. • IL PARATORMONE viene: ◦ prodotto dalla paratiroide in forma di preproormone. ◦ Viene clivato a preparatormone direttamente a livello della ghiandola e riversato in circolo. ◦ Raggiunto il fegato, viene metabolizzato tramite clivaggio in. ▪ Un segmento C terminale INATTIVO. ▪ Un segmento N terminale ATTIVO che: • rappresenta il paratormone vero e proprio. • Ha una emivita estremamente breve, nell'ambito di minuti. Il paratormone nella sua forma attiva agisce a livello di: ◦ OSSO dove favorisce il catabolismo della idrossiapatite inducendo la attività osteoclastica e inibendo quella osteoblastica. ◦ RENE dove: ▪ riduce la eliminazione di calcio. ▪ Inibisce il riassorbimento di fosfato. ▪ Stimola la idrossilazione della vitamina D. • VITAMINA D, derivato del colesterolo tramite azione dei raggi ultravioletti e azione di idrossilazione da parte del rene e del fegato. Ha come principale effetto quello di indurre un aumento del riassorbimento di calcio a livello intestinale. • CALCITONINA, ormone ad azione ipocalcemizzante riduce il riassorbimento osseo e induce la formazione della matrice, di fatto nell'organismo umano ha effetti minimi tanto che in assenza delle cellule C che la producono, non è necessaria terapia sostitutiva.


IPOPARATIROIDISMO: l'ipoparatiroidismo è una condizione non comune che si verifica tipicamente nel paziente operato di tiroidectomia o nel paziente che ha subito una esplorazione dei tessuti circostanti. Tale condizione è generalmente transitoria, ma può essere molto prolungata o addirittura non cronica in alcuni casi. ASPETTI CLINICI: generalmente la patologia si dimostra come una riduzione dei livelli di calcio ematico, una importante ipocalcemia, attribuibile ad alcuni aspetti in particolare: • inizialmente si registrano: ◦ incremento della eccitabilità neuromuscolare dovuto alla riduzione del calcio ematico. ◦ Intorpidimento e formicolio delle labbra e delle guance e delle dita. ◦ Sintomi neurologici come: ▪ ansia. ▪ Confusione. • Nelle forme più gravi e tardive, con ipocalcemia importante, si possono avere: ◦ tetania. ◦ Spasmi muscolari e convulsioni. ◦ Laringospasmo. TRATTAMENTO: possiamo dire che: • la crisi IPOCALCEMICA ACUTA viene trattata con calcio gluconato per via endovenosa. • Il trattamento dell'IPOPARATIROIDISMO nel lungo periodo viene eseguito con: ◦ calcio per via orale. ◦ Vitamina D. l'utilizzo del paratormone non è possibile vista la sua breve emivita e la possibilità, trattandosi di un pepetide, di essere somministrato unicamente per via endovenosa.

IPERAPARATIROIDISMO: l'iperparatiroidismo è una patologia che può presentarsi in diverse forme: • PRIMITIVA. • SECONDARIA. • TERZIARIA. • ASSOCIATA A CARCINOMA PARATIROIDEO. Sicuramente in ordine di frequenza l'iperpartairoidismo primitivo ne è la causa principale, ma questo può verificarsi anche in un contesto, per esempio, si insufficienza renale. IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO: si tratta di una patologia abbastanza comune: • interessa circa 25 pazienti ogni 100.000 in termini di incidenza annua. • Si registrano circa 50.000 nuovi casi all'anno negli USA. • Spesso si associa a patologie endocrine multiple soprattutto nel contesto della MEN-1, della quale rappresenta la manifestazione generalmente più precoce e importante. EZIOLOGIA: l'eziologia è ignota, tuttavia distinguiamo due grandi quadri orientativamente: • iperplasia o ipertrofia o neoplasia della singola ghiandola, aspetto che suggerisce una alterazione sporadica. • Iperplasia o ipertrofia o neoplasia multicentrica, aspetto che suggerisce la presenza di una condizione sistemica o genetica di base che favorisca il processo. Ricordiamo inoltre che un incremento dei livelli di PTH si associa a:


• perdita di funzionalità renale fisiologica con l'età. • Una esposizione, anche se questo non è del tutto coprovato, a radiazioni ionizzanti. ASPETTI CLINICI: mentre un tempo la patologia era considerata ed emergeva come estremamente grave e disabilitante, ad oggi, essendo diagnosticata maggiormente precocemente, si associa ad una serie di segni e sintomi meno evidenti: • MANIFESTAZIONI RENALI che sono spesso le più gravi e pericolose, ricordiamo: ◦ poliuria. ◦ Nicturia. ◦ Polidipsia. ◦ Nefrolitiasi. ◦ Nefrocalcinosi, conseguenza temibile che si regista nel 5-10% dei pazienti con iperparatiroidismo primitivo. • IPERTENSIONE dove vari meccanismi sono stati proposti per spiegare tale relazione, ma sembra che anche l'ipertensione sia correlata secondariamente all'interessamento renale con l'iperaratiroidismo. • PATOLOGIE OSSEE: ◦ forme estremamente comuni di alterazione della matrice ossea con riduzione della sua densità. ◦ Presenza di fratture vertebrali e altre fratture patologiche. • MANIFESTAZIONI NEUROLOGICHE, PSICHIATRICHE E NEUROMUSCOLARI, ESTREMAMENTE COMUNI: ◦ depressione, ansia e psicosi. ◦ Disturbi mentali generalizzati si registrano nel 50% di questi pazienti. ◦ Debolezza muscolare. A seguito della paratiroidectomia, questi pazienti dimostrano un netto miglioramento, soprattutto per quanto concerne la sintomatologia muscolare. • esiste una proporzionalità inversa tra CALCEMIA E TRATTO QT ALL'ECG, alterazioni di tale tratto possono quindi essere ricondotte a tale condizione. DIAGNOSTICA DI LABORATORIO: la diagnosi si fa valutando sempre e comunque: • il livello di calcio ematico. • Il livello di paratormone nel siero. Solo la combinazione di questi due elementi è di effettivo aiuto nella diagnosi di iperparatiroidismo primitivo. Altri aspetti da prendere in considerazione sono: • FOSFOREMIA che in circa il 50% dei pazienti risulta ridotta. • ACIDOSI IPERCLOREMICA secondaria all'aumento della eliminazione dei bicarbonati tramite il rene. • INDICI DI LISI OSSEA che risutano incrementati molto spesso, per esempio la fosfatasi alcalina. CRISI IPERPARATIROIDEA: se la maggior parte dei pazienti presenta un quadro lieve ed eventualmente di difficile identificazione, in alcuni casi si possono avere delle vere e proprie crisi dette iperparatiroidee ma meglio definite ipercalcemiche, si registrano infatti per livelli di calcio estremamente elevati, intorno ai 16-20mg/dl. Generalmente il paziente si presenta dal medico per debolezza diffusa, anoressia, nausea e costipazione accompagnata da poliuria e polidipsia, se non vengono eseguire delle corrette analisi e la patologia


progredisce, il paziente può sviluppare tale crisi che si manifesta con: • debolezza muscolare marcata. • Nausea. • Vomito. • Affaticamento. • Confusione. Tutti elementi tipici di una crisi iperparatiroidea. Una crisi ipercalcemica non avviene naturalmente solo in corso di iperparatiroidismo ma in corso di qualsiasi patologia che possa incrementare i livelli di calcio ematico in modo molto importante e acuto, per esempio una neoplasia maligna che infiltri l'osso o che produce PTHrP o, come avviene nel caso della leucemia e del linfoma, che induca una lisi ossea indiretta. Gli obiettivi terapeutici in questo caso sono: • MANTENERE LIVELLI DI IDRATAZIONE E DIURESI ADEGUATI tramite: ◦ soluzione fisiologica. ◦ Diuretici che favoriscano la diuresi. • INCREMENTARE LA SECREZIONE DI CALCIO CON LE URINE tramite diuretici appositi. • INIBIRE IL RIASSORBIMENTO OSSEO tramite l'uso di bifosfonati. • TRATTARE LA PATOLOGIA CHE PRIMITIVAMENTE HA CAUSATO LA CRISI. INDICAZIONI CHIRURGICHE GENERALI NELLA PATOLOGIA PARATIROIDEA PRIMITIVA: le indicazioni chirurgiche sono relative praticamente unicamente all'IPERPARATIROIDISMO PRIMITIVO e al CARCINOMA, nel complesso si tratta generalmente di patologie ADENOMATOSE BENIGNE, SI INTERVIENE: • solo se il calcio sierico supera i 12mg/dl: in caso di adenoma non secernente, non si interviene ovviamente. • Se la calciuria è superiore a 400mg/die. • Se il rischio di calcolosi e insufficienza renale è importante. • Se l'incremento del riassorbimento osseo risulta marcato, cioè in presenza di un Z score minore di -2. • Se si registra una ridotta clearance della creatinina, indice di insufficienza renale secondaria all'iperparatiroidismo. • Se l'età del paziente è minore di 50 anni. IPERPARATIROIDISMO SECONDARIO E TERZIARIO: si tratta di condizioni che si verificano in un contesto del tutto differente rispetto a quello visto in precedenza: • l'iperparatiroidismo secondario è legato alla risposta da parte della paratiroide ad uno stimolo, generalmente una ipocalcemia cronica legata ad altre patologie, che induce una risposta importante da parte della ghiandola stessa. • L'iperparatiroidismo terziario è legato alla presenza di una patologia cronica che stimoli, come avviene nella insufficienza renale cronica, la paratiroide a tal punto da svincolarla da qualsiasi meccanismo di feedback. In questo caso anche trattando la patologia primitiva, non sarà possibile ripristinare i livelli normali di paratormone. IL CARCINOMA DELLA PARATIROIDE: si tratta di una condizione rara, si presenta infatti in meno dello 0.5% dei pazienti con iperparatiroidismo, generalmente la patologia viene diagnosticata tardivamente tanto che: • segni e sintomi di iperparatiroidismo sono già presenti al momento della diagnosi. • Circa il 50% dei pazienti presenta una ghiandola palpabile, molto aumentata in dimensione quindi.


IPER E IPOCALCEMIA: nel contesto di una patologia che coinvolga la paratiroide ci si può trovare ad affrontare una alterazione importante del metabolismo del calcio che può presentarsi in forma di: • IPERCALCEMIA. • IPOCALCEMIA. L'IPERCALCEMIA: la valutazione dei livelli di CALCIO EMATICO è normalmente eseguita in corso di ricovero ospedaliero, sia perché si tratta di una condizione correggibile sia perché può essere secondaria a condizioni patologiche gravi. Possiamo avere quindi fondamentalmente due contesti clinici: • la rilevazione occasionale di una ipercalcemia. • Uno studio mirato nel paziente affetto dai tipici sintomi e segni di ipercalcemia: ◦ astenia e debolezza generalizzata. ◦ Nefrolitiasi. ◦ Patologie psichiatriche o alterazioni in generale della psiche. POSSIBILI CAUSE DI IPERCALCEMIA: le cause di ipercalcemia possono essere veramente molto numerose, sicuramente ricordiamo: • ECCESSIVA PRODUZIONE DI PTH che si verifica in modo primitivo, può trattarsi di: ◦ ipertrofia della paratiroide. ◦ adenoma. ◦ Iperparatiroidismo in un contesto di MEN 1 principalmente, ma anche di tipo 2. • IPERCALCEMIA SECONDARIA A NEOPLASIE, ricordiamo sicuramente: ◦ IL MIELOMA MULTIPLO e alcuni linfomi che agiscono inducendo il catabolismo osseo. ◦ NEOPLASIE SOLIDE come: ▪ Carcinoma mammario. ▪ Carcinoma della prostata. ▪ Carcinoma polmonare. ▪ Carcinoma del colon retto. Che danno spesso una ipercalcemia. Il meccanismo con cui questo evento si verifica è stato chiarito ed oggi è noto che: ◦ nel 20% dei casi si tratta di METASTASI OSSEE ESTESE O DI UN MECCANISMO FLOGISTICO LOCALE che liberano calcio, si tratta di eventi conseguenti alla presenza di: ▪ Carcinoma mammario, ▪ mieloma (e in alcuni casi linfoma), neoplasia che agisce a distanza producendo citochine che inducono il catabolismo osseo. ◦ nell'80% dei casi il meccanismo è effettivamente PARANEOPLASTICO, viene cioè indotta una ipercalcemia: ▪ con SCARSE METASTASI OSSEE. ▪ In presenza di livelli circolanti di PTHrP ELEVATI. Peptide estremamente simile al PTH, non è ad esso identico tanto che il dosaggio del PTH sierico in questi pazienti risulta minimo, basso. Si tratta di una conseguenza tipica di: ▪ carcinoma polmonare. ▪ Carcinoma dell'area testa-collo. ▪ Carcinoma dell'ovaio. ▪ Carcinoma del tratto genitoruinario. • IPERCALCEMIA VITAMINA D DIPENDENTE che può essere dovuta a ◦ IPERASSUNZIONE DI VITAMINA D come avviene in caso di intossicazione.


◦ IPERATTIVAZIONE DELLA VITAMINA D che si associa ad alcune patologie granulomatose come la SARCOIDOSI, in questo caso l'evento sembra sia secondario alla presenza di una iperattività macrofagica che si estrinseca in questo modo. • AUMENTO DEL TURNOVER OSSEO che si verificano in corso di: ◦ Ipertiroidismo. ◦ Immobilizzazione prolungata. ◦ Utilizzo di diuretici TIAZIDICI che hanno un duplice effetto: ▪ incrementano il riassorbimento di calcio a livello del tubulo renale. ▪ Incrementano il turnover osseo. I diuretici di questo tipo sono utilizzatissimi nel trattamento della ipertensione e prima di procedere alla loro prescrizione una certa attenzione deve essere posta a non rischiare di somministrare tale diuretico ad un paziente iperteso secondariamente ad una ipercalcemia. Nell'ambito di una patologia di questo tipo il diuretico ideale sarebbe la FUROSEMIDE che presenta parallelamente all'effetto diuretico anche un effetto di tipo ipocalcemizzante. DIAGNOSTICA DIFFERENZIALE: dal punto di vista laboratoristico come accennato vanno valutati sempre: • CALCIO SIERICO, preferibilmente ionizzato. • PTH. Fisiologicamente questi due valori sono correlati tra loro in modo inversamente proporzionale e la loro analisi ci consente di inquadrare la patologia in modo molto rapido ed efficace: • BASSI LIVELLI DI CALCIO E PTH inquadrano generalmente un ipoparatiroidismo primitivo. • BASSI o NORMALI LIVELLI DI CALCIO E LIVELLI DI PTH MOLTO ALTI inquadrano un iperparatiroidismo secondario, naturalmente a seconda della patologia che causa questa alterazione ci aspettiamo quadri differenti. • ELEVATI LIVELLI DI PTH E CALCIO identificano un iperparatiroidismo primitivo, associato ad una iperproduzione svincolata da feedback di paratormone. • LIVELLI DI PTH BASSI O NULLI E CALCEMIA ELEVATA suggeriscono la presenza di una patologia per esempio paraneoplastica o associata non direttamente al paratormone come per esempio una ipervitaminosi da vitamina D. nella stragrande maggioranza dei casi la valutazione di questi due valori è sufficiente ad inquadrare la patologia. TRATTAMENTO: il trattamento si basa sull'uso di BIFOSFONATI, elementi fondamentali nel controllo della calcemia e del turnover osseo, sono molto utili soprattutto in caso di IPERCALCEMIA PARANEOPLASTICA. IPOCALCEMIA: la ipocalcemia è particolarmente preoccupante clinicamente in quanto incrementa la ECCITABILITÀ NEUROMUSCOLARE, il rischio è quello di sviluppare una sindrome tetanica o una crisi convulsiva come accennato a proposito dell'ipoparatiroidismo. Di fronte ad una IPOCALCEMIA dobbiamo anzitutto domandarci se si tratti di: • UNA PSEUDOIPOCALCEMIA: il calcio nel sangue viaggia legato per più del 50% a proteine, quindi tutte le cause di ipoalbuminemia possono provocare un calo dei livelli di calcio ematico anche fino a 7mg/dl. • UNA IPOCALCEMIA da valutare quindi non in relazione al calcio totale ma al calcio IONIZZATO, la forma ATTIVA. Cause possibili sono: ◦ IPERFOSFATEMIA secondaria a: ▪ IRC, insufficienza renale cronica. ▪ RABDOMIOLISI.


▪ LISI TUMORALE. ◦ IPOPARTAORISIMO PRIMITIVO che può essere: ▪ chirurgico, come accennato secondario a rimozione della tiroide. ▪ Idiopatico, evento molto raro. ◦ DEFICIT DA VITAMINA D, associato spesso a insufficienza renale cronica, ma anche a ridotta esposizione alla luce solare. ◦ IL CALCIO CIRCOLANTE PUÒ LEGARSI A PROTEINE IMMESSE NEL TORRENTE EMATICO O PRESENTI NEI TESSUTI evento che si verifica tipicamente in caso di: ▪ PANCREATITE ACUTA NECROTIZZANTE. ▪ RABDOMIOLISI. ▪ LISI TUMORALE. ◦ METASTASI OSSEE DI TIPO OSTEOBLASTICO che invece di rilasciare calcio lo accumulano e captano dal circolo. Le ipocalcemie vere si registrano di fatto quasi solo in caso di ipoparatiroidismo. QUADRO CLINICO: come accennato si tratta di una patologia da iperattività dei tessuti eccitabili, si caratterizza quindi per: • encefalopatia. • crampi e tetania con laringospasmo e convulsioni generalizzate. • Nelle fasi iniziali si possono registrare: ◦ segno di CHOVSTEK o iperccitabilità del facciale alla compressione. ◦ Segno di TROUSSEAU o contrazione della mano a seguito del rigonfiamento di uno sfigmomanometro a livello dell'avanbraccio. Si tratta di segni di tetania latente. • Aritmia e blocco di conduzione in sistole con prolungamento del trattao QT. TERAPIA: come accennato a proposito dell'ipoparatiroidismo, le possibilità sono calcio per via orale e vitamina D.


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