Alessandro Ferrero
EDITORIALE
Ma la misura no ...
Not the measurement, though ... Essendo ormai da tempo nel novero dei “diversamente giovani”, ogni tanto mi tornano alla memoria motivi di vecchie canzoni che sentivo canticchiare in casa quando ero bambino, parodiate con parole ben diverse dalle originali, quasi irrimediabilmente perdute, ma che ben si adattano alla situazione del
momento. La situazione attuale, con la significativa ripresa della circolazione del Covid 19, e con la sempre più netta impressione che i “decisori” stiano improvvisando le proprie azioni senza una ben precisa linea di azione, mi porta sempre più a pensare che si stia pericolosamente trascurando l’importanza di una seria campagna di misure, volta a capire quali comportamenti hanno maggiore impatto sulla diffusione del virus e, di conseguenza, a identificare le misure più efficaci per contrastarla. Di tutto si parla e si discute, … ma la misura no! Non fraintendetemi. Non mi sto aggiungendo alla schiera di incompetenti che vogliono dire la loro su questioni prettamente mediche. Non mi riferisco ai diversi metodi con cui accertare se una persona è infetta o ai metodi per accertare come ci si infetta. Questo fa parte della ricerca medica, al momento ancora in corso e che, come tutte le attività di ricerca, formula ipotesi diverse che andranno validate, anche dal punto di vista metrologico, sulla base dei risultati sperimentali ottenuti. Mi riferisco a un diverso aspetto, attinente al modo con cui, a mio modesto parere, andrebbero pianificate le attività di misura destinate a identificare, per via sperimentale, un modello che, allo stato attuale, non può che essere del tipo “black box”: quali sono i focolai d’infezione e quando questi focolai raggiungono una sorta di “massa critica” che rende la propagazione del virus incontrollabile. So che esistono modelli epidemiologici, di tipo “white box”, che potrebbero dare una risposta a queste domande, se si fosse in grado di alimentarli con parametri corretti; questi ultimi, tuttavia, sono misurabili con un’incertezza tale da portare, una volta combinata con quella degli altri parametri, a scenari così differenti da essere poco utili per prendere decisioni diverse da quella, troppo drastica, di evitare qualunque contatto. Sarebbe, viceversa, molto più utile un modello forse meno accurato nell’identificazione di tutti i parametri di diffusione, ma più rapido nel fornire indicazioni su dove agire per prevenire situazioni potenzialmente esplosive. La domanda che mi pongo è se quello che
si misura oggi sia davvero utile a questo scopo o se non sia necessario fare qualcosa di diverso, a utile integrazione di quanto già fatto. Da quanto è dato capire, tutto attualmente si basa sui risultati dei tamponi effettuati e, conseguentemente sul numero di infetti. Ciò sarebbe utilissimo, se non venisse il dubbio che l’indagine abbia una pericolosa polarizzazione del campione su cui viene eseguito il tampone. Ci si preoccupa di tracciare i contatti della persona infetta, cosa certamente utile, ma in questo modo non si ottiene un quadro completo e non polarizzato della diffusione del contagio sul territorio. Sarebbe molto più utile eseguire giornalmente un numero limitato di tamponi (qualche migliaio sarebbe probabilmente sufficiente), eseguiti su base puramente statistica su un campione della popolazione per avere una stima non distorta di come il virus si propaga. Allo stesso modo, trovata una persona positiva al virus, oltre a chiederle chi abbia incontrato nei 10 giorni precedenti (con il rischio di non riuscire a rintracciarli e testarli tutti, visti i numeri attuali), sarebbe assai più utile chiederle cosa abbia fatto in quei 10 giorni, per poi analizzare, sempre su base statistica, i comportamenti delle persone positive al virus nei giorni in cui l’infezione è avvenuta. Si avrebbe un quadro, basato su dati e non su ipotesi, dei luoghi e delle attività più a rischio dal punto di vista della probabilità d’infettarsi e, quindi, di diffondere il virus e si potrebbe intervenire limitando gli accessi a quei luoghi e quelle attività. Sono solo esempi, ovviamente, ma significativi di come competenze di misura e di attività sperimentali possano aiutare a creare un quadro sufficientemente certo, perché basato su dati ottenuti da misure correttamente pianificate, e non rincorrendo (sempre in ritardo) il virus sulla base di ipotesi non validate: un quadro su cui fondare decisioni che sarebbero probabilmente meglio digerite da chi le subisce, proprio perché giustificabili da dati correttamente acquisiti. Purtroppo, ancora una volta si paga l’impreparazione in un campo (quello delle misure) che si sta invece rivelando sempre più determinante per evitare il rischio che decisioni basate su dati non rappresentativi di ciò che si vuole valutare portino a risultati drammaticamente diversi da quelli desiderati. Tocca a noi far capire che … le misure sì! Auguriamocelo, scambiandoci gli auguri per un Nuovo Anno assai meno drammatico di quello che abbiamo appena vissuto. Alessandro Ferrero
(alessandro.ferrero@polimi.it)
T_M
N.
4/20 7