A s s o c ia z io n e LavoriinCorso
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Dossier#Musica Scorrono tante buone note nelle vene del vulcano, ma i giovani artisti catanesi, come Vincenzo Bellini nel 1800, trovano la fortuna in giro per il mondo. E in cittĂ che cosa rimane? dossier || lavori || 2009 || ||||dossier/lavori in corso in pagina || corso 1 ||settembre settembre 2009||
Senza Informazione non esiste Libertà Dopo il dossier “Munnizzopoli – Catania tra rifiuti ed affari”, “Toccata e fuga” è un nuovo passo nel tentativo di creare un'informazione libera nella nostra città. Dopo l'assemblea del 5 gennaio di quest'anno, nel ricordo di Giuseppe Fava, sono seguite riunioni settimanali di formazione e confronto che hanno portato alla costituzione dell'associazione “Lavori in corso”. L'obiettivo adesso diventa più chiaro: lavorare insieme per creare professionalità e strumenti capaci di infrangere il monopolio della disinformazione. Nel dossier: C'è Vita su Marte
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Mappa Gruppi Musicali
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Rock Indipendente
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Musica Popolare
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Etno/folk
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Elettronica
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Micromusic
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DJ
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Oltre il Pop
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Non solo Jazz
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Reggae
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Neomelodici
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Solo andata
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Artisti di strada
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Spazi di Musica
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Onde Radio
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Copyleft
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Musicisti stellari
C'è vita su Marte? In principio fu Vincenzino, ma fu tanto tempo fa. Se ne dovette andare a Napoli e poi giù al nord a trovar fortuna. Qualche secolo dopo, c'è vita su Marte? E perché nei pubs si suonano solo cover?
Vincenzino, inoltre, si chiamava pure Salvatore, Carmelo e Francesco. Era un catanese doc e la musica ce l'aveva nel sangue. Il padre era un insegnante di musica e il nonno pure, musicista. Subito prese a suonare, ma a Catania di spazio ce n'era poco e anche se suonava in tutti posti giusti in città appena gli fu possibile si spostò. Andò a Napoli con una borsa di studio. Lì studiò e si fece notare. E si innamorò anche. Ma il padre di lei non volle. I musicisti gente di strada sono, senza sicurezza economica, brutta gente. Dopo Napoli il nord. Lì li sanno apprezzare meglio quelli che fanno musica. E poi ancora più su, a Londra, Parigi Vienna. In Europa lo conoscevano tutti. Poi la disgrazia. Giovanissimo morì a causa di una febbre alta e di una infezione che si portava dietro. Fu seppellito a Parigi, nel cimitero delle celebrità. E dopo 40 anni ritornò a Catania, dentro una tomba, conosciuto da tutti.
questo dossier. Un punto di partenza, non certo d'arrivo. Una parziale fotografia delle realtà più attive e promettenti e soprattutto alcune domande. *** Perché a Catania si sono ridotti gli spazi per suonare? Sono due le ipotesi. Da un lato i pubs danno spazio quasi esclusivamente alle cover band e pure di bassa qualità: costano poco, suonano canzoni orecchiabili e conosciute e non
impegnano molto gli ascoltatori. Dall'altro il pubblico è sempre meno interessato alle novità, a conoscere realtà attraverso il live. I posti dove band locali possono suonare sono davvero pochi. Qualche nome: Lomax, La Chiave, Zo, Mercati Generali, i centri sociali Experia e Auro. Con dei distinguo, in questi posti, il gruppo locale apre i concerti di realtà provenienti da fuori. Questo permette di avere un po' più di pubblico che però si abitua sempre meno a muoversi
*** Di Bellini Catania non ne ha più conosciuti. Sono cambiati certamente i tempi e probabilmente è cambiata Catania. Proviamo a raccontarla con
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Musicisti stellari
esclusivamente per le realtà locali. Il circolo è di quello vizioso. *** Negli anni novanta e inizio duemila in città, sia per iniziativa privata, ma anche grazie a soldi pubblici, ci sono stati tutta una serie di concerti di altissimo livello. Vedi i R.E.M con gruppo spalla i Radiohead, i Sonic Youth, i Gotan Project, Jamiroquai e molti altri ancora. Basti pensare, inoltre, all'esperienza nella vicina Misterbianco del festival Sonica: i giovanissimi Cold Play, Skunk Anansie, Patty Smith e via dicendo. Poi l'inizio della fine: un torpore che continua. Qualcosa si è mosso con EtnaFest negli anni passati (con molti se e molti ma) o con le programmazioni di realtà tipo i Mercati o Zo: ma tutto questo non basta. Qual è la conseguenza di tutto ciò? Meno concerti, meno “allenamento” all'evento live, alla capacità di ascoltare e farsi l'orecchio. Meno considerazione
verso la condivisione del live. Il fenomeno, certamente, non è prettamente catanese. Qui, però, la differenza è evidente rispetto al passato. Chi ha vent'anni ora inizia da zero: e non pensa neanche che tutto questo accadeva solo qualche anno fa. *** Meno possibilità di suonare, meno concerti “importanti” da andare a sentire uguale più gruppi che producono musica: la matematica qui è un'opinione. A Catania la musica la si è sempre prodotta e in quantità e qualità migliori rispetto ad altre realtà meridionali. Basta confrontarsi con Napoli o Bari, Reggio Calabria, Palermo. Qui la scena è forte: dimentichiamo Bellini ovviamente. Ignoriamo volutamente (sottolineandone le qualità) Battiato, Denovo, Kaballà, Uzeda, Carmen Consoli, Cesare Basile, Mario Venuti... Citiamo in ambito “rock” i Diane and The Shell, gli Hc-B, gli UltraVixien, i
Tellaro, i promettenti We Love Mamas. Ma, a differenza del passato, non è solo il rock ad essere protagonista. L'elettronica, con l'avvento di internet e dei laptop, si è ritagliata il suo spazio. *** Negli anni, partendo da situazioni più underground, Catania ha visto fiorire una generazione di dj e selezionatori che hanno avuto il merito di “diffondere” i suoni e beat che in tutta Europa e non solo prendevano piede: ricordate, ad esempio, le serate al Taxi Driver con Salvo Borrelli? Oggi tutto questo è più massificato e probabilmente c'è più offerta che domanda. Risultato? Un po' di omologazione che abbassa il livello che comunque resta alto: dj internazionali fanno tappa a Catania, passando magari prima solo da Milano e Roma. Il merito va dato certamente a realtà come i Mercati Generali, Zo e gruppi autonomi che si appoggiano a queste strutture. Inoltre dj locali vanno
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Musicisti stellari
fuori città a suonare: Blatta&Inesha in questi giorni sono in Nord America, dopo aver suonato in mezza Europa e in Giappone; Kikko Solaris ha suonato all'auditorium di Roma, in Austria, in Germania. Stesso discorso per le produzioni: non solo “selezionatori”, ma anche produttori. Non si “suona” però solo elettronica. Nei locali del centro, o in appositi party, si sono moltiplicati gli spazi per chi mette “dischi” rock, funk, black music, reggae. Nei locali del centro e non solo non manca mai un dj che propone la sua selezione: situazioni più interessanti alternate a cose monotone e ultra sentite. *** E poi? Poi ci sono realtà e movimenti meno inquadrabili. In città c'è una scena di “improvvisatori” che ruota attorno ad un combo di musicisti (“Improvvisatore Involontario”) che negli anni si è sforzata di sparigliare un po' le carte creando, anche in questo caso, connessioni con l'estero. Avendo
la voglia di scommetterci su, rischiando con situazioni di non facile fruizione, ma che destano curiosità. Altro Giezz organizzata da Andrea Pennisi di Lapis va in questa direzione. Oppure i Percussonici che uniscono il marranzano al didjeridoo suonando in giro per l'Italia ed esibendosi anche in Giappone: la Sicilia e le culture del mondo. *** La stampa in tutto questo che c'entra? C'entra, come sempre in questa città. Quella “ufficiale” la conosciamo e c'è poco altro da aggiungere. Vivere, l'ottimo inserto che più si occupava di musica e spettacoli è stato ridotto negli anni e per un periodo è anche sparito. La “piccola” fa quello che può, a suo modo: Lapis è uno strumento fondamentale senza il quale non si saprebbe cosa accade in città. Sul web vivicatania.net negli anni ha colmato, in parte, un vuoto che tutt'ora persiste. Queste due esperienze concentrano i loro sforzi nel segnalare ciò che in città
avviene. Universitinforma è invece un mensile che si occupa di università ma che dedica alle realtà che fanno musica uno spazio non indifferente. Infine citiamo con piacere Fuzzine, che con tutti i limiti del caso e in maniera assolutamente naif e autoprodotta, prova a destare curiosità. A tutti loro chiediamo c'è vita su Marte? *** Come stanno dunque le cose? Perché a Catania si produce tanta musica, ma se ne suona poca dal vivo? Perché nei locali non manca mai un dj set, e nei pubs si suonano solo cover? Perché le Istituzioni latitano da tempo in maniera cronica, ad esempio, con la scarsa promozioni delle realtà locali? Di seguito le storie di alcuni dei protagonisti della “scena”, quelli che in un'estate caldissima hanno voluto e potuto raccontarci le loro storie. Tutti, anche a quelli che sappiamo esserci e che magari non siamo riusciti a sentire, sono invitati a dire la loro... rredazione@gmail.com
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Rocco Rossitto
Band catanesi
Alcuni dei musicisti che suonano in cittĂ ROCK HC-B Diane and the Shell Tapso II Loveless Whizzkid Boilers Introversia Feldmann Uzeda Ultravixen ELECTROROCK We Love Mamas JAZZ Francesco Cusa Improvvisatore involontario ELETTRONICA Blatta&inesha Frau Brex & Vj Klat Sabotage Kikko Solaris
POP-LOUNGE Babilon Suite Locomotif
ITALIANA Cesare Basile Gill&Co
FOLK Ipercussonici Cesare Melfa Scanzunati I beddi
REGGAE, ROOTS, DUB, SKA Famiglia Sound Ras Niya Anzikitanza
DIGGEI Salvo Borrelli Sergio Scandura Soggiu Massimo Napoli Leli.OZ TommyBoy John Lui Ras Dedo Giorgio GanjahLova Cavallo DocTrashz Vetrano Salafia Renato Gargiulo
ALTRI GENERI Brigata sinfonica
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Rock indipendente
Le pietre rotolanti non si sono ancora fermate In un mercato dalle sonorità standardizzate, i gruppi indie-rock cercano di proporre moduli espressivi nuovi. Si autoproducono oppure vengono scovati da etichette estere con cui girano il mondo. “C’è ben poco da guadagnare per chi resta in ambito indipendente” I Tapso nascono nel 2004 dall’incontro di esperienze e generi musicali diversi. Giancarlo Mirabella (100%), Giovanni Fiderio (Mash rooms), Stefano Garaffa Botta (Theramin, Jerica’s) nel 2007 incidono il loro primo disco (EP[1] omonimo), interamente autoprodotto ed autopromosso. “Sette tracce registrate a Modica nella casa in campagna di Stefano - racconta Giovanni Fiderio grazie alla “Dreams Factory”, studio mobile di registrazione di Sacha Tilotta”. Giovani ci descrive poi la difficile sopravvivenza dei gruppi indipendenti a partire dalle sale prove. “Abbiamo iniziato nella sede storica dei 100% in via D’Annunzio, siamo passati al posto prova comunitario potendo registrare solo due volte a settimana. Questo comportava diverse difficoltà, così abbiamo deciso di prendere in affitto un garage, anche se rimane tutto piuttosto precario”. Altro aspetto importante è trovare spazi ricettivi ai nuovi gruppi; “posti molto interessanti in città sono la Lomax ed i Mercati Generali, poi i centri sociali l’Experia e l’Auro. Le difficoltà che
noi viviamo sono presenti un po’ ovunque in Italia. Inoltre l’accesso a internet ha reso tutto più semplice, chiunque può registrare un pezzo e comparire su Myspace. Così chi organizza gli eventi deve avere una competenza ed una cura per la storia delle band per capire chi, con un’attività costante, mira realmente alla qualità musica sia sul piano delle registrazioni che dei brani. La realtà è – continua Giovanni - che c’è ben poco da guadagnare per chi resta in ambito indipendente (e quindi per che sceglie di lavorare nel proprio territorio senza “pompare” la propria immagine) perché il pubblico è comunque poco ed esiste una concorrenza consistente. Noi vorremmo restare nell’ambito delle nostre forze e costruire, innanzitutto, relazioni umane vere.” Intanto la musica dei Tapso II viaggia sia in Italia, che all’estero (ad aprile in Slovenia e presto in Germania e Austria) anche se il loro luogo privilegiato rimane comunque la Sicilia con le sue contraddizioni. “Non c’è voglia d’investire perché non c’è voglia di ascoltare” Con due album all’attivo (nel 2003
“The Red Ep” per la catanese Edwood Records e nel 2006 “30.000 Feat Tarantella” per l’Australian cattle god Records), Diane and the Shell con Alex Munzone, Giuseppe Schillaci, Luca Siracusa ed Emanuele Venezia, hanno già fatto tournée negli Usa ed in Irlanda ed ora, durante la sosta catanese, provano, con discreto successo, ad “infastidire” l’orecchio e l’animo della città. “Non c’è voglia d’investire - spiega Giuseppe Schillaci - perché non c’è voglia d’ascoltare, c’è un appiattimento dell’informazione e del suono musicale”. Parte da questa sensazione nell’ottobre 2008 in pieno stile “Do it yourself", Peppe Schillaci insieme a tanta altra gente di buona volontà, tra cui Floriana Grasso, Carlo Natoli, Salvo Fallico, Valentina Messina, decidono di creare la fanzine musicale autoprodotta “FUZZINE” e, con la collaborazione della Lomax, di organizzare una serie di concerti e laboratori con musicisti internazionali e soprattutto locali. “Fuzzine nasce -spiega Giuseppe - dalla volontà di fare qualcosa per la musica a Catania, raccogliere certi tipi di gruppi dallo “shuffle” musicale e promuovere almeno un concerto al mese. Lo facciamo in maniera ironica, non ci
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Rock indipendente
prendiamo molto sul serio. La musica deve servire ad avvertire qualche emozione tramite il suono e, soprattutto, a mettere insieme la gente”. “Un’etichetta romana ci ha permesso di farci conoscere in Grecia e in Germania” Attorno a questa salda attitudine ruotano anche giovanissimi gruppi come i Loveless Whizzkid, tutti poco più che ventenni. Davide Iannitti, Gabriele Timpanaro e Enrico Valenti, con il loro post-rock ricco di suoni invadenti, d’improvvisazioni e di entusiasmo, si accingono a registrare il loro primo disco, anche se già hanno avuto modo di esibirsi in città e di farsi apprezzare. Racconta Gabriele Timpanaro, “proviamo insieme da quattro anni un po’ dove capita, da Davide in cantina o nella sua casa a Pedara perché in città è difficile trovare un posto. Abbiamo iniziato con registrazioni “sporchissime”, anche perché non ci piace il prodotto pulito da casa discografica, ci interessavano pure i rumori prodotti durante la registrazione”. Per quanto riguarda la possibilità di esibirsi, “ la situazione a
Catania è molto complessa, uno dei pochi posti in cui abbiamo lavorato bene è stato la Lomax, poi abbiamo suonato anche alla Chiave, al Barrique, ma in generale muovendoci con molte difficoltà”.
dice Salvo Fichera - è l’intero panorama italiano ad essere molto difficile ed in questo senso Catania e Palermo sono tra i posti più interessanti sia per ascoltare buona musica sia per suonare”.
Altro gruppo, i Boilers con Luca De Iorio, Daniele Salomone, Bruno Mirabella, Gabriele (Melo) Giuffrida e Alessandro Montemagno che afferma: “suoniamo da due anni esibendoci sia a Catania e Palermo che nel resto d’Italia e da poco abbiamo registrato un disco di 9 inediti ed una cover, con un’etichetta romana, che ci ha permesso di farci conoscere in Grecia e in Germania”.
Ci sono inoltre gli Introversia, gruppo composto da Fabrizio Marletta, Federico Mancuso, Alberto Frosina, Dario Trigilia. Nel 2006 e nel 2007 hanno prodotto due album e con il terzo in arrivo (completamente autoprodotto) hanno iniziato un nuovo viaggio concentrato su audaci sperimentazioni sonore, grazie a Federico Werto recentemente entrato nel gruppo.
“È l’intero panorama italiano ad essere molto difficile” Gli HC-B con Salvo Fichera, Riccardo e Gianluca Napoli, Will’em Gator e Federico Laudani suonano da più di dieci anni e hanno registrato diversi Eps ( “My green apple”, “T010-222”). Nel 2003 il loro primo Lp con la Edwood Records ed un secondo album fluido e malinconico, “Soundcheck for a Missing Movie”, per l’etichetta indie Hidden Shoal Recordings. “Per la nostra esperienza -
Loredana Agosta [1] EP: supporto musicale con durata superiore ad un singolo ma inferiore ad un album. www.myspace.com/tapso www.myspace.com/dianeandtheshell www.myspace.com/lovelesswhizzkid www.myspace.com/theboilerscatania www.hc-b.it www.myspace.com/hcbgroup www.myspace.com/introversia
|| dossier/lavori in corso || pagina 8 || settembre 2009||
Musica popolare
Un nomade “ca' canta e sona all'antica” Fare musica popolare significa andare alla ricerca di suoni e tradizioni della nostra terra. Cesare Melfa, musicista nato ad Acireale ma giramondo per vocazione, ha scelto di tornare indietro alle origini per riappropriarsi e trasmettere non solo la musica del nostro passato, ma anche storie. Spesso però deve affrontare ostacoli del nostro tempo. Prima ancora di suonare seriamente, Cesare Melfa ha costruito il primo tamburello. Dopo ne ha costruiti altri e ha iniziato a venderli. E poi è arrivata la zampogna. Cosa fa avvicinare un giovane alla musica popolare? Cosa trascina nella ricerca di suoni antichi? L’istinto, dice Cesare. E nel suo caso, ha giovato anche l’aver vissuto fuori dalla Sicilia. Cesare ha studiato architettura a Reggio Calabria. La domenica si riuniva con gli amici per suonare, finché non ha scoperto che nei paesini calabresi quasi tutti suonavano i propri strumenti nei giorni di festa. È partito così il viaggio alla ricerca della tradizione teatrale popolare prima, musicale poi. Dalla Calabria si è spostato in Campania e da lì è arrivato anche in Puglia. Se nel sud Italia si conservava,
fortemente radicato, il folclore di un tempo passato, Cesare ha iniziato a cercare i luoghi e gli spazi della tradizione musicale siciliana. L’ha ritrovata in certi paesini del messinese, dove esistono ancora delle reti di famiglie zampognare, o nei testi del trapanese Alberto Favara, nelle raccolte dell’acitano Lionardo Vigo Calanna, del palermitano Giuseppe Pitrè e negli scritti e nelle registrazioni di Antonino Uccello. È proprio questa la forza della tradizione in lingua siciliana rispetto le altre: mentre altrove la proliferazione delle famiglie di musicisti minaccia la distinguibile linea originaria, in Sicilia molto è scritto nero su bianco. E questo significa una ricostruzione filologica dei testi meno laboriosa. Cesare questi libri li ha raccolti nei suoi anni di studio e ora racconta le storie legate a queste pubblicazioni: “Leggendo la prima e la seconda edizione di una raccolta di canti tradizionali scritta dal Vigo si notano differenze nei versi che raccontano dell’incontro tra un popolano e Gesù in croce” spiega Cesare. È il canto della disperazione degli umili oppressi e certi sacerdoti censori non avevano
apprezzato le parole rivolte al Cristo e avevano purgato il canto della oscena sconvenienza. Cesare continua il suo racconto:“Il Vigo aveva però lasciato un segno che testimoniasse la censura. Nella prima edizione aveva inserito un verbo al futuro, tempo che non esiste nella grammatica del siciliano”. Nella seconda versione invece ritornano le parole che prima avevano fatto scandalo.
“Questo canto è lo stesso che Modugno adattò e rese celebre col titolo di Malarazza” continua Cesare “ma aveva perso qualcosa dell’originale. E infatti, quando Rosa Balistreri ascoltò la versione di Mimmo Martino, che si rifaceva al testo del Vigo esclamò: «Accussì s’a cantari!». Eppure oggi la versione di Modugno è la più celebre, grazie anche a nuovi arrangiamenti”. Cesare Melfa racconta con passione e aggiunge che manca la cultura della musica popolare, malgrado i tentativi di creare scuole, come quella di zampogna a Maletto. “Questa estate ho suonato in un lido di Catania e la gente è rimasta delusa perché aspettava Ciuri Ciuri e Vitti na crozza, come se fossero solo queste le canzoni della tradizione
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Musica popolare
siciliana” spiega Cesare “e non capiscono che Ciuri Ciuri è una canzone di sdegno e di rifiuto di amore e che Vitti na crozza è lugubre e che il trallalleru non c’entra e, come nella versione originale, io la faccio senza”. Cesare è disinteressato dalle logiche del successo a tutti i costi anche perché tanto i soldi sono pochi e i Comuni hanno difficoltà a pagare gruppi. “Io aspetto di essere pagato dallo scorso Natale” ammette. Così ha deciso di suonare solo in alcuni periodi all’anno. In passato ha suonato nei matrimoni, ora lavora quasi unicamente durante il periodo natalizio. Gira con la sua zampogna come giravano un tempo i zampognari, secondo la tradizione del Natale siciliano. La ricerca di questa cultura antica supera l’aspetto musicale: Cesare non cerca solo suoni ma anche i bottoncini d’ottone tipici per la sua camicia, mentre sempre più spesso i zampognari girano per le città e i paesini vestiti in similpelle e stoffe sintetiche.
lori strumenti suonati in acustica restituiscono i suoni originali che risalgono alle nostre radici. In particolare il repertorio siciliano, più di altre tradizioni del meridione, è fatto di canti storici che affrontano tematiche forti e veicolano messaggi. Eppure il valore storico e politico di questi canti non esclude la festa. Anzi la festa significa aggregazione che vivifica le storie delle narrazioni musicate. Quando suona ai concerti, Cesare non ama il palco, lo allontana da chi ascolta. Allora preferisce stare allo stesso livello del pubblico e le persone “devono levarsi le scarpe e iniziare a ballare”. Chiara Zappalà www.myspace.com/cesaremelfa
Dal 2001 segue il progetto ‘Na maravigghia: insieme ad altri musicisti ha recuperato i brani della memoria storica del Regno delle Due Sicilie. I
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Etno/folk
Marranzani psichedelici e tamburi “unz unz” Dai Sud del mondo nasce uno stile non classificabile grazie all'incontro di esperienze musicali diverse. “Ipercussonici” uniscono strumenti tradizionali a quelli di culture lontane dando vita a uno modo inedito di essere contemporanei.
“Gli strumenti che suoniamo portano con sé una cultura intera” dice Luca Recupero dei Ipercussonici. Considerato che i loro strumenti sono il marranzano siciliano, le percussioni africane o il didjeridoo degli aborigeni australiani, si capisce quanto sia difficile inquadrare la loro musica. E infatti, con influssi drum&bass, rock e psichedelici hanno abbattuto gli steccati fra i generi. Dopo sette estati di attività, il primo cd intitolato Tuttipari e prodotto da un’etichetta romana, due tournè all’estero, in Giappone e in Ungheria e il loro continuo girovagare per l’Italia, ora si preparano al nuovo album. Sarà un lavoro più rock ma non abbandoneranno i ritmi africani. E i testi restituiranno temi, concetti e proverbi siciliani. A partire da un’approfondita conoscenza degli strumenti musicali e la ricerca etnomusicologica, Ipercussonici riescono a ottenere una sintesi rispettosa dell’identità di suoni diversi e un tempo geograficamente distanti. Così il suono del marranzano sposato a quello dello djambè racconterà e ricorderà ancora le serenate e i canti dei minatori di un
tempo. “Ci serviamo delle arti tradizionali legate agli strumenti” spiega Luca “ma non facciamo musica che non esiste più, vogliamo essere assolutamente contemporanei”. “L’intercultura serve per risolvere alcune contraddizioni” dice Carlo Condarelli, altro membro del gruppo catanese. Carlo è anche educatore nelle scuole e conosce bene la necessità di questa nuova cultura. “E ogni tanto qualcuno dei nostri maestri ci dice «Malgrado certe scelte scapestrate riconosco ancora le cose che ti ho insegnato»”. “C’è anche da lavorare sulla formazione di un pubblico” continua Luca “E’ vero che c’è una risalita di interesse per il tipo di musica che facciamo, forse perché altri generi mancano nei contenuti, ma il pubblico di Catania non è ancora disposto a spendere per un concerto o un cd”.
venduti nei locali che propongono concerti. Poi manca la cultura produttiva della musica. Mancano gli studi di registrazione, le etichette, le web company e spazi per suonare dal vivo accessibili per tutti gli artisti, anche quelli meno famosi. Poi sono poche le scuole e le associazioni”. “Certo le istituzioni hanno anche loro un peso. Per esempio nell’ultimo anno l’industria cinematografica è cresciuta in Sicilia” prosegue Carlo “non vedo perché non si debba fare lo stesso con la musica” Poi, da associati alla Siae, lamentano la situazione nazionale: “Così come funziona ora non va. La voglia è quella di riuscire a cambiare il sistema dal di dentro. La Siae dovrebbe trovare accordo con le nuove tecnologie, come Myspace. E questo social network dovrebbe ridistribuire il ricavo dei banner pubblicitari ai musicisti che se ne servono”.
Secondo Luca e Carlo, a rappresentanza de Ipercussonici, il pubblico è stato viziato dai concerti gratis. “Molti pensano che sia normale non pagare per la musica, ma sono disposti a spendere soldi per gli alcolici
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C.Z. www.ipercussonici.it
Elettronica
Il diggei che fa ballare i giapponesi Pioniere della musica elettronica in Italia, Kikko Solaris, dj e producer catanese, già da bambino sperimentava sui vinili e in seguito sui sintetizzatori. La sua produzione è conosciuta e premiata in tutto il Mondo e infatti molto lavoro viene dall’estero. Le difficoltà a Catania sono sempre le stesse: dove sono gli spazi per fare musica? E i soldi?
Tutto è cominciato dai dischi in vinile che Renzo Arbore regalava a suo padre. Kikko Solaris era un bambino che viveva a Roma e giornalmente entravano in casa sua i dischi promo che il padre architetto riceveva dallo showman pugliese suo amico. Kikko già da piccolo faceva girare i vinili sul giradischi mixandoli con le cassette delle registrazioni dei migliori locali romani, come il Piper e il Much More. E nel frattempo si esercitava sui più classici strumenti musicali: chitarra, pianoforte e strumenti a fiato. Ma la vera passione non era i suoni tradizionali e così a 16 anni riceve in regalo alcuni sintetizzatori, “tra cui il mitico Yamaha DX-7” dice lui, moduli expander e un computer Atari, una macchinina con solo un Mega di RAM. Era il tempo delle cassette, i CD appartenevano ancora al futuro più lontano, e allora Kikko riversava sui nastri le tracce che realizzava con i primi programmi di composizione musicale, PRO 24 prima, Cubase poi. La musica elettronica si era sganciata da non molto dalle avanguardie sperimentali dei primi anni ’60 e l’uso dei programmi per fare musica su personal computer aveva
incrementato il numero di artisti. Oggi la musica elettronica, in tutte le sue varietà, ha grande seguito tra chi la suona, chi la ascolta e chi la balla, e a Catania è forse il genere che se la passa meglio. “Nel sottobosco catanese si muovono costantemente nuove energie e progettualità” dice Kikko “La musica elettronica sta vivendo un ottimo momento dalle nostre parti, lo dimostrano quei dj e producer catanesi che producono dischi che vendono fuori dai confini nazionali e tutte le loro serate e performance in giro per il mondo”. Certo non mancano i problemi “come in tutte le professioni” continua Kikko e aggiunge “Catania, e la Sicilia in particolare, ci penalizza per tutti i motivi che ormai conosciamo bene”. Quindi spazi insufficienti e inizi carriera non retribuiti. “Spesso si lavora gratis pur di farsi conoscere ed entrare nel «circuito». Sicuramente, avere la possibilità di andare fuori a suonare o a produrre qualche disco, è qualcosa che ti gratifica e che ti aiuta a conoscere gli addetti ai lavori e quindi ad avere nuovi contatti. I viaggi sono sempre produttivi per chi sa
«sfruttarli»”. Kikko Solaris sa di essere un privilegiato: dopo i tanti anni di impegno e passione è ora prodotto dall’etichetta catanese Persistencebit Records, la label di Alessandro Vaccaro “distribuita dalla Germania in tutto il mondo” precisa Kikko “dal Giappone all'America per intenderci, molto rispettata nell'ambiente musicale da club, soprattutto all'estero”. E infatti è all’estero che Kikko ottiene grandi soddisfazioni. Oltre a un paio di dischi di prossima uscita e alcuni progetti dedicati all’organizzazione e alla produzione di manifestazioni e festival, lo aspettano alcune serate tra Europa e Nord Africa, con visite in estremo oriente. Sarà infatti impegnato nella realizzazione di programmi radiofonici per la principale radio giapponese che fa più di 5 milioni di ascoltatori ogni programma. “Una cifra astronomica” dice Kikko “ come se tutti gli abitanti della Sicilia fossero in ascolto, proprio tutti!”.
|| dossier/lavori in corso || pagina 12 || settembre 2009||
C.Z.
www.myspace.com/kikkosolaris
Micromusic
Quando per fare musica basta un vecchio computer Oggi la musica va pure a 8-bit. Fioriscono a Catania tanti percorsi sperimentali e inediti: per produrre sound originali basta una vecchia console per videogiochi, una pianola scassata e qualche giocattolino *** Da alcuni anni si è diffusa la micromusic o 8-bit music. Con i suoni generati dai microprocessori delle vecchie console per videogame e, tramite opportuni software dedicati, si riproducono pattern di batteria, bassline, melodie e quant'altro necessario per creare musica. Questi suoni sintetizzati modulati con libertà e creatività permettono di fuoriuscire dai modelli odierni.
Il giovanissimo Federico Werto ha cominciato a studiare musica a dieci anni, e da quell’inizio le sue ricerche e sperimentazioni sono passate dalla musica classica al jazz per approdare nell’elettronica e in particolare l’8-bit (genere dell’elettronica che utilizza i videogiochi). “Dal mio primo approccio con un Commodore 64, e vecchie playstation, ho deciso – spiega Federico - di costruire un sintetizzatore
con una pianola Bontempi, gameboy e giocattoli sonori, ne ho modificato i suoni per crearne dei nuovi”. Nel 2008 ha registrato il suo primo conceptalbum “ Little pet stories”. “sono nove tracce - racconta - dove imito i suoni degli animali e racconto delle storie… La mia musica è comunque fortemente influenzata dai Kraftwerk. Intanto sto già realizzando nuovi pezzi che avranno altri temi e dove penso di inserire la mia voce continua. Questa passione mi ha permesso di lavorare molto all’estero ed ora anche in Italia grazie alla collaborazione con gli Introversia, ma anche realizzando colonne sonore per videogiochi e per cortometraggi”. L.A.
|| dossier/lavori in corso || pagina 13 || settembre 2009||
Diggei
Retro'it Quarantenni sui piatti Da 3 anni animano una festa dai suoni e colori retrò, in controtendenza ai modi e beat contemporanei. Il risultato? Un party con orari decenti, frequentato dai 35 in su, ma che strizza l'occhio anche ai più giovani.
Sergio non scende neanche dallo scooter, né si leva il casco. E' in ritardo, ma ci chiede un secondo: “vado a prendere dei dischi qui da Rock86 e torno subito”. Salvo, sorride e fa spallucce. Sergio Scandura e Salvo Borrelli sono due dei sette direttori d'orchestra di Retro'it. No, non stiamo parlando però di musica da camera. Ma di “disco” e non solo. Una chiacchierata per farci raccontare un po' come è nato e come si è sviluppato Retro'it. Salvo spiega subito che con gli altri dj si conoscono “da un sacco di tempo ed era da tanto tempo che non c'era l'occasione di suonare tutti insieme, e quindi ad un certo punto ci siamo chiesti perché non suonare insieme. Le serate elettroniche diventavano tantissime e non ci appartenevano più: siamo sì tutti legati alla musica a 360° anche all'elettronica, ma non alla noia, non a quella di tendenza. Prima c'erano delle differenze tra la discoteca e il club. Adesso anche chi ha suonato in certo modo, per restare sul mercato, si è un po' adeguato. Perché non fare una serata con i dischi che ci piacciono? Perché non ricreare una serata con i suoni che ci appartengono?”. Così, un agosto di tre anni fa, i Mercati Generali
di Catania ospitano il primo appuntamento: 7 dj ad alternarsi, tutti catanesi e tutti di una certa età: sotto i trenta non c'è nessuno, sopra i quaranta qualcuno. Suoni diversi rispetto all'andazzo contemporaneo. Chicche disco anni '70, “che non è Gloria Gaynor” specifica Salvo. Cose più afro, riempi pista italiani anni '60 e via dicendo. Sergio, anche lui, chiarisce subito: “Retro'it è una serata per le donne, perché ci sono pezzi soul e funk e le donne iniziano a rotondeggiare. I maschi questo non lo fanno, poi si adeguano, ma soprattutto è una serata per donne”. Già, sono le più colorate. “La cosa bella – continua - è il feedback degli amici che ci seguono in questa cosa, noi ci spulciamo i dischi e loro i vestiti ricercati. La possibilità per le donne di vestirsi in un certo modo. Da noi è difficile annoiarsi, per la musica, per il modo di vestirsi.” In effetti il colore non manca e spesso e volentieri neanche le parrucche. “Una sera – ricorda Sergio - sono spuntati degli amici di Roberto Agosta con un pulmino Volkswagen giallo, tutti a tema, molto hippie.” La cosa funziona così: ingresso gratuito fino ad un certo orario, si entra solo se si conosce qualcuno e quindi in
lista, se arrivi tardi paghi. Ma gli orari non sono quelli classici delle lunghe serate catanesi: “alle 22.30 si apre, alle 23.30 ci sono circa 300 persone, dopo l'1,30 paghi”. I numeri sono più o meno costanti, dai 350 della prima serata ai circa 800-1000 che ormai si raggiungono ad ogni appuntamento. La cadenza è mensile, di sabato, per far uscire da casa anche chi da anni non metteva piede nelle serate per via degli orari. “Noi abbiamo buttato fuori di casa gente che non usciva più – ribadisce Sergio. Dai 35 anni in su zoccolo duro, ma anche dai 25 in su abbiamo un seguito.” Ogni dj ha circa trenta minuti a disposizione, “ci portiamo 15-20 dischi e può capitare che chi suona prima suona qualcosa che volevi tu, ma sono episodi” spiega Salvo. Sergio interviene: “sostanzialmente Retroit è una radio, proponiamo dei pezzi che facciano ballare, ma anche con cose strane tipo i lenti o Iannacci”. Parlando con loro, ma è immaginabile che il concetto si possa estendere agli altri 5, c'è una forte critica a come si sta sviluppando o si è sviluppato la fruizione della “musica da ballo” a Catania negli ultimi periodi: “C'è una proposta superiore alla richiesta di
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Diggei
serate. I pr adesso hanno carta bianca se fare andare avanti un locale o no. Non ci sono pr nelle nostre serata.” Sergio gli fa eco: “Questo incide sulla qualità. C'è una militarizzazione delle serate. Con pr legati ai politici alla politica anche universitaria, per cui c'è anche questo aspetto. Spostano le persone a mandria.” R.R.
I 7 DIRETTORI
LE LOCATION, IL WEB
La squadra dei direttori di Retro'it è composta da Roberto Agosta, Salvo Borreli, Giacomo Cottone, Cinasky, Massimo Napoli, Roberto Samperi, Sergio Scandura. Salvo e Sergio, spigano che “ognuno di noi ha preso in maniera favorevole un certo genere di musica, ad esempio noi abbiamo preso questa strada della disco anni '70 molto ricercata, Massimo è più latino, Cinasky è più beat, Roberto è Funk & Easy Jazz, Giacomo un po' più Afro, '70, old school. Roberto è più bossato, anche se all'Esagono si è sparato cose anni '80.” Nessuno di loro fa per mestiere il dj ma mettono musica fin da quando le feste si facevano con le cassettine e bisognava cambiare i fusibili degli amplificatori perché si surriscaldava tutto. Infine una passione comune: il vinile.
La prima serata di Retro'it è stata ospitata ai Mercati Generali, in seguito il party, nel periodo invernale, ha trovato dimora presso il Ma che si trova in via Vela, nelle viuzze a ridosso di Castello Ursino. Spazio adatto per situazioni da ballo, con colori accessi e arredamento decisamente kitsch, eccessivo, che si presta bene ai vestiti vintage che spesso vengono indossati durante la festa. In estate la location è mobile. Per sapere quando il prossimo appuntamento e iscriversi alle liste è necessario muoversi sul web, attraverso Facebook, sono attivi un profilo e un gruppo o myspace all'indirizzo www.myspace.com/retroitc atania
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Oltre il pop
Pop Lounge Autopromozione a buon mercato Per riuscire in questo campo ci vuole tanta buona volontà. Rimboccarsi le maniche e non pensare ai problemi “altrimenti ti convinci che è una strada senza sbocco e smetti”. E così un musicista è costretto a mettersi in gioco anche come produttore e manager
Il nome del loro gruppo è legato al loro studio di registrazione, una via di mezzo tra una casa e un porto di mare di artisti, una sorta di “Babilonia” nella quale ognuno dà e prende qualcosa. Un'esperienza, quella dei Babilon suite, che nasce nel 2007 dall'incontro tra il contrabbassista e producer Salvo Dub e la voce Caterina Anastasi, ma che trae ispirazione da un viaggio in auto fino a Capri ascoltando una compilation di musica easy beat da suonare in un locale. “Noi ci muoviamo innanzitutto nei grossi club, Mercati Generali, Zò e grandi piazze” - specifica Salvo Dub - “ci muoviamo da soli senza l'appoggio di etichette tranne per la Pressing di Lucio Dalla. Ci ascoltò lui in occasione del “Lucio Dalla & Friends”, e da allora ci contattano come gruppo di apertura per grossi concerti. Naturalmente non siamo pagati, ma è una buona autopromozione”. Per Salvo il rapporto con il pubblico catanese è ottimo. “A Catania il pubblico è molto attento e un live è come una interrogazione, il pubblico vuole essere scaldato mentre in altri posti troviamo gente più casinista e più attenta al ritmo che alle melodie”. “L'autoproduzione in questo momento è l'unica cosa che funziona”
ci racconta Salvo, “anche perché non ci sono più le grandi Major, che ti fanno 100.000 copie; magari metti qualche pezzo sul web a un euro a download, anche se in realtà l'unico modo per andare avanti è mettere musica gratis sui portali per farti conoscere, perché ormai i soldi non li fai più con i dischi venduti ma con i live”. Il progetto dei Locomotif nasce nel 2002 dall'incontro tra il batterista Luca Barchitta e il tastierista Carmine Ruffino; nel 2007 l'aggiunta al gruppo della vocalist Federica Faranda modifica le sonorità iniziali da prettamente elettroniche strumentali in una band completa. Si definiscono un gruppo “dream pop” che si muove in un mondo musicale rarefatto tra atmosfere romantiche impalpabili e sonorità dal sapore vintage. “Come ti sostieni? Solo con tanta buona volontà e sperando. E alla fine non ci pensi più altrimenti ti convinci che è una strada senza sbocco e smetti”. Federica non nasconde la difficoltà di muoversi in un mondo talvolta estremamente chiuso. “Gli organizzatori dei festival spesso si muovono solo con le band che conoscono e così vieni a sapere dei bandi di partecipazione solo quando le iscrizioni sono già chiuse”.
“Suonare nei locali a Catania non è poi difficile – aggiunge Federica – sono sempre molto disponibili, ma il cachet è quello che è e spesso il tutto diventa esclusivamente funzionale all'autopromozione dei propri pezzi”. Dall'esterno poi se non sei già un nome noto, vieni visto spesso come il ragazzino che “gioca” con la band. “E invece anche la semplice serata live comporta costi e faticose ore di prove spesso fatte a tarda sera dopo aver smontato ognuno dal proprio lavoro”. Anche secondo Federica le etichette italiane sono restie a lanciare fenomeni emergenti lontani dalle sonorità classiche, lamenta inoltre l'assoluta mancanza di interesse da parte dei “grandi” della musica catanese verso i loro concittadini musicisti. Ad autunno sarà pronto il loro disco e la tentazione è quella di spostarsi nel nord Europa, dove gli ambienti freddi e minimali della band sarebbero maggiormente apprezzati. “Stiamo anche valutando l'ipotesi di produrci da soli – aggiunge Federica – il mercato è abbastanza fermo e le poche proposte che arrivano lasciano il tempo che trovano”. Massimiliano Nicosia
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www.myspace.com/babilonsuite www.myspace.com/locomotifband
Non solo jazz
Un progetto d’avanguardia che piace solo all’Europa Improvvisatore involontario è un movimento culturale di musicisti jazz. Nasce a Catania e si sviluppa in giro per l’Italia e all’estero. Progetti, sperimentazione e 16 album pubblicati dalla loro etichetta. Ma a Catania nessuno si interessa al loro lavoro. – siamo un network di musicisti che condivide dei progetti culturali, sperimentali, didattici e portandoli in giro per l’Europa. Come un elastico che si tende verso il continente. La nostra idea è forse pura utopia, ma vogliamo cambiare le cose”.
“Sai a quante persone che mi vengono a trovare poi prende una crisi d’astinenza da cibo barocco catanese?” Chiede Francesco al suo ospite, Alessandro, appena terminato il rito della granita e brioche. “Questa terra potrebbe essere ancora più ricca, potremmo avere tutto ma il solito problema è la cultura dei siciliani”. Lui è Francesco Cusa, batterista jazz catanese, uno dei fondatori di “Improvvisatore involontario”, movimento musicale che raggruppa artisti da tutta Italia. Il miglior termine per definire “Improvvisatore involontario” è collettivo: “l’idea è nata qui a Catania – racconta Francesco
I cardini del progetto sono l’autoproduzione e l’autopromozione, concetti che sono fondanti dello statuto e che permettono di essere davvero indipendenti e liberi di creare. “Abbiamo – dice Francesco un nostro marchio, una nostra etichetta, e finora abbiamo pubblicato 16 album”. “Per chi suona jazz, musica per palati fini, considerato genere di nicchia, i problemi del mercato e della crisi si raddoppiano” afferma Alessandro, di Roma, uno dei chitarristi che partecipa al progetto di Improvvisatore involontario. Catania era veramente la Seattle
d’Europa qualche tempo fa? “Questa definizione è stata data troppo a posteriori. In quel periodo si sono formati ed affermati tanti musicisti ma il movimento culturale era davvero ristretto ed apparteneva ad un certo tipo di pop-rock”. “Negli anni Ottanta c’erano migliaia di abbonati a “Catania Jazz”, ma di quelle stagioni non è rimasto granché oggi. A Catania non c’è niente, vicini allo zero”. “I luoghi per suonare – continua Francesco – non sono semplicemente degli spazi dove esibirsi; dovrebbero fare promozione culturale, dovrebbero osare di più. Oggi non sono tanti i posti che possono fare questo discorso. E’ più comodo fare dei cartelloni e spendere tanti soldi per concerti; i musicisti arrivano, suonano ma alla fine non rimane nient’altro che l’esibizione. Non si costruisce nulla e soprattutto le nuove generazioni stanno crescendo con la paura di cambiare le cose, accettano questo conservatorismo diffuso”. Francesco preferisce essere un 43enne che svegliarsi domani un adolescente di questa generazione, "sembra di rivivere “I vecchi e i giovani” di Pirandello", dice
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Non solo jazz
sorridendo. E quindi sotto il vulcano i talentuosi musicisti sono confinati ai margini, “ci trovate a suonare nelle cantine e nei solai della città”. Mentre da ogni parte d’Italia e d’Europa arrivano richieste per concerti e per presentare i nuovi progetti. “Improvvisatore involontario è un network creativo, che mira a fare cultura e denuncia sociale. Vogliamo sperimentare ed essere dentro le cose. Il problema è che in questa terra siamo snobbati, veniamo considerati persone da museo: pacche sulle spalle, commenti entusiastici, complimenti, ma alla fine pochi si interessano al nostro lavoro. Facciamo dei concerti, soprattutto per rapporti personali, delle sessioni d’improvvisazione, ma più spinti dalla nostra passione. Noi vogliamo gente che sposi la nostra causa, che creda ai nostri progetti, che voglia fare la rivoluzione”. Esiste un parallelo a Catania, fa l'esempio Francesco, tra la situazione musicale e quella dell’informazione: c’è un centro economico solido e inamovibile (come il giornale “La Sicilia") che investe tanto denaro per portare qui musicisti più o meno affermati, mentre attorno ci sono dei buoni musicisti (o buoni giornalisti)
che per fare sentire la loro voce hanno bisogno di affermarsi fuori dall’isola. Cusa vive tra Catania e Bologna. “Anche in Emilia – dice – la situazione non è buonissima, ma non hanno la ricchezza che abbiamo qui in Sicilia”. Si può vivere di musica a Catania? “Al massimo sopravvivere. Insegno batteria al Conservatorio di Reggio Calabria e porto in giro per l’Europa alcuni miei progetti didattici. Come un corso che tengo da dieci anni in Slovenia”. L’etichetta offre in vendita tutti i suoi dischi su internet; gli album possono essere acquistati tramite posta o scaricati sul computer in formato digitale. “Sul web vendiamo anche i singoli brani, ognuno costa 0,99 centesimi di dollaro, grazie ad un servizio offerto da Cdbaby.com, un’azienda che si occupa di digitalizzare l’album e mettere in vendita i pezzi su internet”.
usando delle licenze creative commons; in futuro cercheremo di fare ancora di più”. Improvvisatore involontario è aperto a tutti, “è come una “chiesa” – dice –, non importa se sei musicista o meno, tutti possono entrare. Stiamo cercando di creare un marchio, un brand, e vogliamo gente che si riconosca in uno stile di vita critico, sempre in fermento culturale. Ci ispiriamo alle avanguardie storiche, non bisogna aver paura di cambiare il mondo”.
Sul diritto d’autore, il movimento ha le idee chiare: “Ho collaborato con i Wu Ming a Bologna e sono un estimatore del copyleft. Ma dobbiamo sempre fare i conti con il panorama musicale italiano dominato dalla Siae, quindi per il momento facciamo alcune versioni di cd in edizione limitata || dossier/lavori in corso || pagina 18 || settembre 2009||
Luca Salici
www.francescocusa.it www.improvvisatoreinvolontario.com
Reggae
Il “caruso” con le treccine che canta come Bob Marley Dalle ingiustizie e i malesseri sociali al conscious: anche in Sicilia il reggae si diffonde e contagia. Lo si ascolta, lo si suona. Musicisti, sconosciuti e affermati, sperimentano percorsi spesso personali. Questa è la storia di Ras Niya, giovanissimo rasta, membro di “Attraversamente”.
Attraversamente.Concept.House, centro di produzione e promozione d'arte contemporanea, ma anche spazio sociale di sperimentazione di una vita comunitaria. Cristina, Andrea, Danilo, Francesco e altri artisti vivono insieme, alle porte di Belpasso, in una casa immersa tra gli ulivi. Questa “casa nomade” (l’ha battezzata Cristina) non è solo un luogo di passaggio e incontro di inconsuete espressioni artistiche, ma soprattutto una “casa concetto” –come loro stessi dichiarano- nella quale anche “i solidi presupposti dell’abitare sono messi in discussione attraverso precisi processi di (re)invenzione del quotidiano, in un perfetto connubio tra arte e vita”. Francesco, dagli ingarbugliati dreadlocks, in arte Ras Niya, ha trovato in questa comune un’occasione per riscoprirsi e sperimentare, dopo l’hiphop, altre rotte musicali con tematiche conscious e sociali. Nel 2007 attraversa la Sicilia orientale insieme a Valerio per promuovere il loro primo album reggae. Il duo si esibisce nelle piazze, nei centri sociali, nelle strade di tanti paesini. È in questo tour che Ras Niya incontra Jahmento, poi Ras Dedo che diventa la sua guida spirituale. Successivamente come solista registra
“Caribbean Islands Trip”, un album quasi interamente conscious e quindi più intimista e spirituale. Per Ras Niya “la musica reggae è vita, è una musica universale che rende uniti grazie al pensiero e al credo che ci stanno dietro. Il reggae è sacro e non può essere contaminato né i nostri testi plagiati”. Ma chi produce il reggae in Sicilia? “Quasi tutti gli artisti si autoproducono, occupandosi sia della realizzazione musicale sia della promozione e della distribuzione. Tutto ciò va a discapito della qualità perché un artista dovrebbe occuparsi della creazione musicale e basta, e non degli aspetti produttivi. La musica oggi però attraversa una fase difficile. Nei locali spesso suonano band che vengono da fuori, ed è anche giusto perché non ha senso far esibire sempre Zu Luciano che è stato già sentito troppe volte. Ma ci sono anche nuovi gruppi a cui non viene dato spazio sufficiente. Perché? Per una questione di business ovviamente, ma non solo. Bisognerebbe dare più opportunità ai gruppi emergenti (per esempio facendoli suonare in apertura di un concerto di un gruppo affermato) e moltiplicare le occasioni di visibilità
date dai festival. Invece, il “Sikula Reggae Festival” quest’anno non è partito per problemi organizzativi e per la riduzione dei finanziamenti pubblici, e del “Pon de River” non se ne sa più nulla”. Ras Niya non demorde e pensa di sfruttare al massimo internet e i live per farsi conoscere. Il suo progetto musicale per il 2010 è di fare un album senza riddim, senza basi di altri. “Tutto -ci racconta -sarà frutto di un lavoro musicale personale. Realizzerò tante collaborazioni nazionali e internazionali. Questo mondo è una ruota perché suonando crei sempre nuovi contatti e relazioni, ed è un modo importante per andare avanti e crescere”.
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Sonia Giardina www.myspace.com/rasniyaman
Neomelodici
Pop corn e patatine il successo dei neomelodici Si chiamava così uno dei film più famosi degli anni ’80 di Nino D’Angelo, ispiratore, insieme a Merola, dei cantanti neomelodici di quartiere. 2009, la musica tutta “anema e core” continua ad avere successo: prezzi dei dischi giù, piccoli investimenti per la pubblicazione di un album, tanti ammiratori e tanti concerti nelle piazze dei quartieri. “Lo vedi questo qui”, mi dice il venditore di cd indicandomi l'ultimo album di Tony Colombo, un ragazzino moro, capelli gellati e ciuffo spiaccicato sulla fronte, “questo fa impazzire le ragazzine e l'anno scorso da me vendeva più dischi di Vasco”. La musica neomelodica funziona e continua a vendere nonostante la crisi del mercato discografico. Prima di tutti gli altri, i cantanti neomelodici hanno capito come muoversi nella nuova era della musica digitale: tanti concerti dal vivo e prezzi bassi per i cd. Qualche anno fa la decisione condivisa di far costare 9/10 euro un album, mentre ancora le grandi etichette internazionali si interrogavano su come fare a vincere la guerra contro internet. E poi tante piazze, feste e sagre; c'è sempre nel quartiere un cantante pronto ad esibirsi davanti ad una folla di fan accaniti del genere. Concerti in tutta Catania, da piazza Dante a Librino, da piazza Bovio ai paesi etnei. Ma chi sono i cantanti tutti “anema e core”? E da dove provengono? La commercializzazione della musica napoletana è avvenuta con Mario Merola e le sue famose sceneggiate. Ma il vero riferimento del neomelodico per eccellenza è il secondo caschetto
biondo più famoso d'Italia: Nino D'angelo. Con i suoi B movies il cantante napoletano ha consolidato il genere del guaglione innamorato che canta per amore e sofferenza. Questi i temi principali ereditati dalla musica napoletana. Davanti ai film di D'Angelo, a metà tra video musicali e recitazione, sono cresciuti tutti i cantanti che oggi troviamo in giro per l'Italia. La musica neomelodica non è un fenomeno circoscritto solamente ad un luogo geografico; in apparenza regionale, l'influenza dei cantanti si estende a tutto il Meridione d'Italia. Le regioni protagoniste di questo fenomeno sono la Campania, la Sicilia e la Puglia, ma i meridionali sono ovunque, si sa, e capita così spesso di sentire musica neomelodica fermi ad un semaforo di Torino o in giro a Quarto Oggiaro a Milano. Ogni regione ha i propri cantanti di riferimento che si aggiungono poi ai famosi a livello nazionale. Catania è stata sempre una città viva per i cantanti napoletani. Tanti sono i musicisti nati alle falde dell'Etna, tra loro il più famoso è senza dubbio Gianni Celeste; sulla cresta dell'onda per un decennio è uno dei protagonisti della scena italiana. “Sai da cosa si
capisce se uno è bravo? - dice il venditore di cassette – dal fatto che faccia o meno i concerti a Napoli”. La consacrazione di un neomelodico avviene all'ombra del Vesuvio, dove i napoletani sanciscono il successo del cantante e l’entrata dello stesso nell’olimpo dei partenopei. Il salto può avvenire anche verso il successo nazionalpopolare, come nei casi di Gigi D'Alessio e Sal Da Vinci, due dei cantanti neomelodici che hanno avuto uno straordinario seguito ma che hanno dovuto accantonare la cantata napoletana sul palco di Sanremo.
I TEMI - L'uomo è sempre stregato dalla propria compagna di vita, le dedica delle continue serenate d'amore rinnovandole un patto sentimentale eterno. I cantanti nei testi appaiono molto deboli rispetto alle donne che amano, subordinati a questo mastodontico piacere d'amore. Questo
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Neomelodici
quando le cose vanno bene, poi c'è anche la controparte di sofferenza. Lei lo ha lasciato e lui fa tutto per riconquistarla. E poi inni alla mamma e al papà, insomma i vecchi valori di una volta. E ancora la gelosia, l'invidia, la passione, i figli che sono “piezz e core”. Il sesso non è molto concepito senza l'amore, ma avviene qualche volta che ci siano delle canzoni su avventure passionali come nel caso della “infermiera di notte” di Celeste, dove scoppia la passione tra un infermiere del turno serale e un’avvenente collega. I CANTANTI - Oltre a Celeste, ci sono Gianni Vezzosi, Martino, i fratelli Nino e Alessandro Fiorello, il siracusano Carmelo Zappulla, il messinese Natale Galletta. Elencarli tutti è impossibile: sono tanti gli artisti che hanno pubblicato un cd, ma sono pochi quelli che si confermano e ne pubblicano un secondo. Fare un proprio cd molto spesso è un investimento che si sobbarca quasi interamente il musicista. Se ha successo la casa discografica investe sul cantante. Due sono le etichette che producono musica neomelodica a Catania: la Giesse Record e la Sea Musica, entrambe si
trovano in via S. Maria di Betlem nel cuore della Fiera di Catania. Le case discografiche stanno al passo con i tempi, hanno un portale sul web e negozi di musica online su Itunes e Ebay, promuovono i loro cantanti con trailer su Youtube (numerosi i fan che registrano i concerti dal vivo per mettere poi online i video dei propri beniamini), hanno sviluppato dei canali di vendita alternativi e stipulano contratti con televisioni e radio di quartiere per le dediche. ‘O SISTEMA – Sui neomelodici di Napoli pesa però anche il problematico rapporto con la Camorra. Negli ultimi anni, la “terza generazione” dei cantanti napoletani (la prima con Merola/D’Angelo anni ’80, la seconda con Gigi D’Alessio anni ’90) insieme alle canzoni d’amore hanno cominciato a parlare di racket, malavita e pentiti, parlando della mafia come un fenomeno positivo che offre aiuto alla gente che soffre e che ha bisogno di “protezione”. “Il mio amico camorrista”, “Nu latitante”, “Guagliun’ e miezz’ a via” e “Il pentito”, questi alcuni dei titoli che creano il culto del camorrista. C’è chi
dice che i neomelodici a Napoli svolgano un ruolo di parolieri della “controcultura” mafiosa, importante per far crescere bene le nuove generazioni di delinquenti. Nel libro di Marcello Ravveduto, “Serenata Calibro 9”, che si addentra nel misterioso mondo dei neomelodici a Napoli, l’autore afferma che “il mercato dei napoletani tra cerimonie, feste di piazza, trasmissioni televisive, produzioni discografiche e relative contraffazioni, produce un giro d'affari milionario che richiama l'interesse dei clan. In alcuni casi i boss riescono addirittura a "plagiare" qualche cantante trasformandolo in "cantore epico" della camorra”. Ciò sembra riguardare la musica prodotta a Napoli; i cantanti catanesi, dal canto loro, continuano a scegliere i temi della musica napoletana tutta sentimento, ancora nessuno ha pubblicato pezzi ambigui sul ruolo dei mafiosi in città. “Certo, c’è stato qualche cantante che ha avuto qualche piccola sbandata, qualche errore di gioventù, qualche amicizia sbagliata. Ma chi di noi non fa qualche errore?” asserisce il proprietario di un camioncino di cd al lungomare.
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L.S.
Solo andata
Sicilia e Sardegna, se la storia non cambia... Band emergenti riconosciute prima all’estero e poi in Italia (e a volte mai in Italia)… alla ricerca di un posto dove sperimentare senza limiti e proporsi senza compromessi. Uno sguardo alla Sardegna, un’isola lontana e vicina alla nostra. “L'attenzione e l'interesse per la musica in Italia non esistono più e si deve fare il giro largo per suscitare attenzione. Si segue un po’ l'ondata che arriva dall'estero perché in Italia non c'è più la predisposizione e l'educazione nel ricercare e nello scoprire la musica”. Anche chiamate le italo-aliene, Lisa e Marina, nove anni fa, piene di voglia di sperimentare senza pressioni e condizionamenti, sono partite alla volta di Londra. È lì sono rimaste percorrendo un’elettronica personale, fortemente onirica e intimista. Dopo il lungo percorso nelle MAB che ha attirato l’attenzione a livello internazionale, da un paio d’anni sono le “Lilies on Mars”. La storia del duo sardo è quella di tantissime band emergenti nostrane. Dal 2007, quando le scoprì Battiato, coinvolgendole in un suo album, la loro situazione non è cambiata di molto. “Il nostro primo album (come “Lilies on Mars”, nda) nonostante le ottime recensioni uscite nei giornali specializzati – ci raccontano - non ha suscitato l'attenzione delle case discografiche italiane, troppo impegnate nel confezionare prodotti di
mercato con vendite garantite, di conseguenza un evitabile massacro per la musica made in Italy che oramai scimmiotta sempre peggio i successi confermati all'estero. Abbiamo dunque ricevuto e stiamo prendendo in considerazione proposte che arrivano da Londra e Stati Uniti”. Che cosa ha in più Londra rispetto all'Italia? “L'Inghilterra ha sempre avuto una predisposizione nell'interessarsi di musica indipendente per poi non avere
nessuna difficoltà a farne il proprio cavallo di battaglia cosi che diventasse popolare. Questo non significa che in Inghilterra non ci siano le hit o i tormentoni stagionali, la differenza è che c'è una sottilissima linea che separa il tormentone dalla musica indie o meglio, forse le cose non si separano affatto. La predisposizione e l'attenzione verso la musica creano il divario abissale tra l'Inghilterra e l'Italia, per fortuna possiamo ancora sperare nelle eccezioni”. Cosa deve fare allora chi, lontano dagli standard sonori, concepisce la musica come strumento d'espressione reale, di critica dell'esistente, e non come canale di profitto e di successo? S.G. www.myspace.com/liliesonmars
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Artisti di strada
Nelle vie di San Cristoforo c'è tutta un'altra musica L'oppressione come condizione individuale e collettiva viene messa in scena per la prima volta a San Cristoforo dalla compagnia palermitana dei Fuocolieri: tra neo melodici a palla, rombi di motorini e "schittate" di pneumatici sul sel ciato lavico - voci dell'altra Catania emergono dal duro silenzio di mille e una coscienze rimosse Estate a Cappello. Ci aveva da subito attratto questa locuzione con la quale si introducevano una serie di spettacoli di teatro musica di strada in programma a San Cristoforo per la fine luglio tra il Gapa e piazza Bonomo; permanevano tuttavia delle perplessità: cosa c'entra il teatro col cappello? E per di più: cosa ci vanno a fare a San Cristoforo il teatro e l'avanguardia? Il primo dubbio viene subito sciolto la sera che mi reco a vedere una loro esibizione: il cappello capovolto viene messo a terra alla fine delle esibizioni perché gli spettatori versino un "nonbiglietto volontario" a testimonianza del gradimento accordato, qualcosa di antico e pure di straordinariamente attuale se rapportato all'incredibile difficoltà di esistere per gli artisti in Italia. Il pubblico (in gran parte composto da ragazzi e ragazze in motoretta) sembra infatti gradire lo spettacolo messo in atto da Carlo Terzo e Sabrina Firmaturi versando quel che può o vuole; soltanto un uomo sui trent'anni con un bimbo in braccio commenta le ultime battute dello spettacolo con un laconico "zecche", l'epiteto spregevole rivolto solitamente dai fascisti a
comunisti, anarchici e libertari in genere.
serie di gesti, per quanto goffi, e persino una ragione.
E con ciò, ecco sciolto anche il secondo arcano: perché San Cristoforo, il quartiere più popolare e reietto di Catania per l'arte d'avanguardia?
Una ragione politica, precisamente. Non quella della politica ufficiale, ben inteso, quella nei confronti della quale una fetta ormai cospicua della società
Come ci spiega Gabriella Matranga, portavoce dei Fuocolieri, gli attori mettono in scena l'oppressione. Piazza Bonomo, la cornice in cui i Fuocolieri si sono esibiti sembra effettivamente l'icona urbana dell'oppressione. Provare per credere. Ma chiariamo meglio il concetto. Il Teatro dell'Oppresso, fondato dal brasiliano Augusto Boal negli anni '60, mette in atto varie tecniche di rappresentazione mirate alla rappresentazione a scopi terapeutici dell'oppressione individuale per favorire la presa di coscienza e fornire gli strumenti per il cambiamento personale. La reazione del fascista -sicuramente non pagante, ma non è mai detto - forse vale più di qualunque quantità di obolo versato: la terapia funziona e l'oppressione se chiamata col suo nome si palesa e ringhia la sua rabbia, il suo dolore, la sua incomunicabilità che trovano, per incanto, una voce sebbene roca o una
civile nazionale prova legittimo disgusto per la sua conclamata incapacità di esercitare il buon governo, ma la ragione politica che sta alla base dell’oppressione di pochi su molti: è la
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Artisti di strada
lotta di classe, è lo scontro sociale, la battaglia per i diritti civili. Parole più che mai all'ordine del giorno in un Paese ostaggio della Casta del potere politico concertato nella"spettacolare" contrapposizione tra una destra e sinistra di governo alternativamente al potere da un quindicennio. A questi l'oppressione fa abbastanza comodo, ma non poi così tanto: anche loro sono oppressi. Il potere non fa la felicità, la ricchezza non rende liberi se non condivisa, il potere e la libertà individuali non sono nulla se non sposati al potere e alle libertà di ciascuno. In queste condizioni l'oppressione è più che mai imperante, al di qua e al di là della Via Plebiscito, la cortina di ferro catanese che traccia il confine invisibile tra rispettabilità sociale e precarietà esistenziale, tra ricchi e poveri, insomma. Qui, con le loro performance piriche e non solo i Fuocolieri - vero e proprio coordinamento di circa 450 artisti italiani dichiaratamente schierato contro tutti i razzismi - hanno cercato portare un messaggio di liberazione alla gente, così come fanno ovunque si muovano e agiscano.
In questo senso si pongono anche come avanguardia artistica: associata all'oppressione e al malessere sociale l'arte ritrova le ragioni essenziali del suo esistere: l'universalità del suo messaggio cercato oltre il proprio limitato ambito per chiedere all'individuo massa odierno di agire e comunicare il proprio contenuto ed il proprio senso dello stare al mondo. Questi 450 artisti sono solo una parte dei molti sotto precari del teatro, della musica, dell'arte e della cultura in genere italiana: quelli che non si aspettano nessun intervento statale e che anzi lo aborrono come limite insostenibile, quelli che prendono l'iniziativa: mettono giù il cappello, mentre ancora gli artisti patentati - quelli che lavorano a contratto e ragionano su una base di onorario - il 20 luglio scorso si davano convegno in piazza Montecitorio a Roma, di fronte alla Camera dei deputati, per chiedere il reintegro del FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo falcidiato dal Tremonti per esigenze di Prodotto Interno Lordo.
ancora di cassa integrazione e assegno sociale e quelli che non esistono, annaspano nel sommerso per poi magari - quasi quotidianamente ormai emergere in forma di cadaveri galleggianti sopra ad un mare di indifferenza istituzionale: pressappoco come i lavoratori extra comunitari e i molti italiani a rischio povertà, questi artisti non patentati devono cercare di farcela con le proprie forze. E allora giù il cappello, si va per le strade! La rassegna Estate a Cappello prosegue fino a tutto settembre
Vincenzo Ferrara
www.la-cdf.com www.myspace.com/compagniadeifuocolieri
Tra questi e quelli corre lo stesso rapporto che corre nel mondo del lavoro tra i lavoratori precari e tra quelli in nero, tra i precari che godono
|| dossier/lavori in corso || pagina 24 || settembre 2009||
Spazi e luoghi
Una scuola di musica popolare agli “Angeli custodi” La musica è un sapere sociale. Malgrado le difficoltà economiche, alla “Lomax” fioriscono corsi di musica, danza e teatro, si esibiscono band emergenti. La promozione della musica locale nasce così... Nel 2004 un vecchio capannone nel quartiere popolare “Angeli Custodi” viene trasformato in sala concertistica. Laboratorio culturale, luogo di incontro, di fruizione e di produzione musicale, alla “Lomax” sin da subito partono i corsi di musica, danza e teatro, e le serate si animano con band locali dal vivo. La scommessa è quella di creare una casa della musica, una scuola popolare che, puntando alla diffusione del sapere musicale, permetta di accostarsi agli strumenti delle diverse tradizioni folk e non solo a prezzi accessibili. “La musica è un sapere sociale. Pertanto, crediamo che, attraverso la dimensione collettiva del fare musica, l’apprendimento trovi il terreno più fertile ed efficace per il suo naturale sviluppo, il più consono alla creatività dell’individuo e del gruppo”, si legge nella dichiarazione d'intenti dell’associazione. Pian piano la “Lomax” comincia a radicarsi nel territorio, ai corsi partecipano gli abitanti degli “Angeli Custodi” e di altri quartieri e i concerti richiamano sempre più gente. Si amplia così l’offerta delle serate musicali che ospitano autori consolidati, ma anche band emergenti. “Vogliamo valorizzare
– dice Stefano - le realtà locali e dare spazio agli artisti che fanno una ricerca personale. Ciò implica un enorme sforzo da parte nostra perché la promozione di un musicista sconosciuto necessita di un lavoro attento e mirato.” Naturalmente è difficile realizzare un simile progetto senza finanziamenti pubblici. E trattandosi di un’associazione culturale, fin dalla nascita, la “Lomax” ne ha beneficiato. Anche se esigui, sono sempre stati un importante contributo per la realizzazione delle molteplici iniziative. Ma “i finanziamenti per le attività culturali del 2008 non sono ancora stati attribuiti”, racconta Stefano. Ciò significa che molte associazioni culturali l’anno passato hanno dovuto anticipare somme, contrarre debiti o pagare di tasca propria. “Abbiamo dovuto legare sempre di più – continua Stefano - le nostre attività culturali al bar, ma la “Lomax” non è un pub, è innanzitutto una sala concertistica in cui, sì, c’è un bar, ma per noi è primaria l’attività artistica. La gestione del bar dovrebbe essere solo un’appendice. Purtroppo senza finanziamenti pubblici, lo
sbigliettamento non basta soprattutto perché l’idea di pagare per un concerto tra i catanesi non è molto diffusa. Solitamente la gente predilige andare in un locale a bere sulle note di un gruppo dal vivo. Così siamo costretti ad abbassare il prezzo dei biglietti d’ingresso e di conseguenza a far leva sul bar. Ma la gestione di questo ci assorbe molte energie mentre noi vorremmo concentrarci soprattutto sulle iniziative culturali”. Tante associazioni vivono le stesse difficoltà della “Lomax” e la situazione col passare del tempo sembra aggravarsi sempre di più. I recenti tagli al Fondo Unico dello Spettacolo infatti non mostrano solo il disinteresse istituzionale verso la cultura, ma -come ha recentemente sottolineato Dario Fosono “una censura volontaria e violenta”.
|| dossier/lavori in corso pagina || 25 || settembre 2009||
S.G. www.myspace.com/lalomax www.alanlomaxct.blogspot.com
Spazi e luoghi
La musica non è per tutti La Regione taglia note e finanziamenti Da 2.500.000 a 777.000 euro. L'Ars taglia il 70% dei fondi alle associazioni musicali siciliane. Ma queste non ci stanno e reclamano la tutela della libertà di espressione e dell’arte contro il clientelarismo e la mortificazione della cultura. Riportiamo un estratto dell'appello-denuncia del CIMUSS (Coordinamento delle Associazioni Musicali Storiche Siciliane). “L’Assemblea Regionale Siciliana ha approvato una legge di Bilancio che sancisce la morte delle Associazioni concertistiche storiche della Sicilia: un taglio del 70% (si passa da 2.500.000 a 777.000 euro) sui fondi che finanziano per il 2009 istituzioni che da decine di anni portano avanti una attività altamente qualificata, coinvolgendo il 90% del pubblico siciliano, usufruendo solo delle briciole di quanto la regione stanzia per tutte le attività musicali dell’isola. Questo avviene mentre scoppia lo scandalo di un’Assemblea Regionale che destina 78.000.000 euro ad una pletora di associazioni di ogni sorta – poche di eccellenza, la gran parte sconosciute – tutte finanziate senza un progetto, un criterio o una motivazione ma soltanto per logiche clientelari. Questa decisione è l’ultimo atto di un processo di progressiva mortificazione delle Associazioni concertistiche storiche siciliane che svolgono un servizio pubblico, riconosciuto anche dal Ministero. Il messaggio è chiaro: chi fa bene, spesso con poco ma secondo le regole, non interessa alla politica. Molto meglio distribuire agli amici senza troppe complicazioni e verifiche, ancor meglio se questo avviene in campagna
elettorale. Da mesi le Associazioni concertistiche storiche riunite sotto la sigla CIMUSS denunciano il gravissimo ritardo dell’Assessorato Regionale dei Beni Culturali nel procedere con le assegnazioni per le attività, da esse regolarmente svolte nel 2008 secondo il dettato della legge 44/’85, sulla base di progetti artistici presentati, con largo anticipo, come richiesto dallo stesso Assessorato. Questo ritardo ha messo le Associazioni in uno stato di gravissima sofferenza finanziaria […]. A fronte di tutto di tutto ciò emergerebbe l’intenzione dell’Assessorato di assegnare contributi per il 2008 sia a soggetti che non hanno svolto l’attività in quell’anno sia ad altri che per forma giuridica non potrebbero attingere al capitolo destinato alle attività concertistiche, come ad esempio le società cooperative o i teatri di tradizione.[...] Preso atto di questa gravissima situazione, il CIMUSS, chiede: –La sollecita pubblicazione di un piano di assegnazioni 2008 che risponda ai dettami della legge, in favore di quanti hanno svolto regolarmente l’attività richiesta dallo stesso Assessorato.
–Che non vengano ammessi a contributo soggetti diversi dalle associazioni, così come indicato dalla legge e confermato da un parere dell’ufficio legale e legislativo della Regione Siciliana del 1986 –Inoltre, a partire dal 2009, il riconoscimento delle Associazioni storiche, con un provvedimento legislativo, da inserire nel calendario delle prossime sedute dell’ARS con la conseguente creazione di un apposito capitolo di bilancio che preveda risorse a esse destinate, almeno pari a quelle stanziate nel 2008 per le attività concertistiche ex legge 44/’85”. Del Cimuss fanno parte: Accademia Filarmonica, ME; Ass. Culturale “I Candelai”, PA; Ass. Amici della Musica, TP; Ass. Amici della Musica “R. Lucchesi”, Vittoria; Ass. Catania Jazz; Ass. Culturale Triquetra, PA; Ass. Filarmonica Laudamo, ME; Ass. Floridiana Amici della Musica; Ass. Musicale Etnea, CT; Ass. MusicAlea, PA; Ass. Musicarte, CL; Ass. Musiche, PA; Ass. Orchestra Gli Armonici, PA; Ass. Orchestra Kandiskij, PA; Ass. per la Musica Antica “A. Il Verso”, PA; Ass. “V. Bellini”, ME; Orchestra Barocca Siciliana, PA; The Brass Group, Acireale; The Brass Group, Alcamo; The Brass Group, CT; The Brass Group, ME.
|| dossier/lavori in corso || pagina 26 || settembre 2009||
Spazi e luoghi
Se una ex raffineria di zolfo diventa il tempio dell'arte Il centro culturale Zo è un'istituzione in città. Lì si tengono concerti, festival, serate danzanti e dibattiti. Una storia iniziata circa dieci anni fa ma che oggi sente il peso dell'assenza delle istituzioni. Senza finanziamenti è tutto più complicato. E adesso chi canta? Riconversione creativa. Dieci anni fa la cooperativa Officine trasforma un’ex-raffineria di zolfo, nei pressi della stazione ferroviaria, in centro per le arti contemporanee dove ancora oggi musica, teatro e arti visive si incontrano e si contaminano con forme sempre nuove di sperimentazione e ricerca espressive. Ma Zo, fabbrica di creatività e punto di riferimento per un’offerta culturale innovativa, affronta adesso mille difficoltà e si trova a rimodulare le proprie strategie cercando di salvaguardare l’esigenza di innovazione artistica malgrado la crisi culturale dominante. A Catania, ci spiega Sergio Zinna della cooperativa Officine, “le logiche qualitative non funzionano molto, prevalgono sempre i canali dei rapporti personali. Non abbiamo finanziamenti pubblici tranne pochissimi contributi su specifici progetti, nulla di strutturale su cui contare. Oggi, dopo aver investito sempre a prescindere da tutti e da tutto, sentiamo il peso di questo ritardo delle istituzioni”. L’assenza di interlocutori istituzionali si inserisce in un contesto già di per sé sfavorevole. Franco
Adorna dei “Mercati Generali”, club attento alle nuove proposte musicali, sottolinea l’assenza di un mercato discografico, “o meglio – precisa - il mercato che esiste è indirizzato al commerciale. Principalmente mancano un’attenzione e un ascolto reale perché ormai siamo immersi in un continuum, un tappeto musicale… e ovunque si va, si fruisce della musica passivamente. La troppa musica fa sì che la gente non la cerchi più come un tempo. Bisognerebbe innanzitutto avere un mercato discografico aperto e quindi delle etichette capaci di dare un appoggio concreto alla promozione dei nuovi artisti. Chissà magari abbiamo dei bravi artisti che restano sconosciuti… Purtroppo la programmazione di un club deve tener conto di tutto questo. Per noi rappresenta un rischio organizzare un concerto di un gruppo sconosciuto. Un concerto ha dei costi elevati e richiede sempre tanto impegno; quindi se un club come il nostro può accogliere più di trecento persone, dobbiamo fare di tutto per non ritrovarci con un pubblico di 50 persone. Oggi da noi suonano prevalentemente gruppi che vengono da fuori e nelle stesse serate associamo dei gruppi spalla locali”.
Quella descritta da Sergio e Franco è una crisi non solo catanese, ma qui da noi si manifesta a livelli esponenziali. Come rispondono gli operatori e gli artisti locali? “Non è per nulla positivo il quadro catanese. Esistono tante situazioni artistiche – spiega Franco Adorna - che continuano a lavorare in maniera solitaria. Manca quell’idea di insieme e di stare insieme che c’era fino a qualche anno fa, certo magari in maniera mai facile, ma naturale. Ora stiamo attraversando una fase in cui ciascuno lavora da solo a prescindere dagli altri. Questa mancanza di dialogo costruttivo, di aggregazione ha determinato un grande sfaldamento. A ciò si aggiunge la tendenza generale di regressione sul piano della promozione e della produzione che comporta un livellamento verso il basso soprattutto da parte del pubblico. Questo non opera più una selezione reale sulla base della qualità dei progetti ma partecipa a delle serate muovendosi secondo dinamiche obbligate che escludono il più delle volte la fruizione di un evento valido sul piano qualitativo. Non è da sottovalutare inoltre la grande (continua a pag. 28)
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Spazi e luoghi
“La chiave” del successo tra cocktail e concerti dal vivo Troppa la musica “usa e getta” ai giorni nostri. La scarichi sul computer e la lasci lì in un angolino. Meglio puntare tutto sulla musica live: tra pinte di birra e quattro chiacchiere con gli amici, ci scappa anche di ascoltare ottimi artisti (segue da pag.27) proliferazione di eventi gestiti da chi non è un operatore culturale, bensì gestore di un locale. Qui ci sono altri interessi che non favoriscono eventi qualitativamente sempre valida, ma per lo più situazioni di massa.” Che fare allora per combattere questo sfaldamento? “Bisogna trovare gli incastri – conclude Franco Adorna e cercare di ricreare, lavorando insieme, un sistema virtuoso che negli anni passati c’è stato, almeno in fase embrionale. Non credo nella possibilità di una grande crescita se ognuno si muove in autonomia totale. Bisogna capire le dinamiche e costruire dei sistemi alternativi. Per me oggi è la cosa più importante non tanto a livello individuale, ma soprattutto in termini di condivisione”. S.G.
www.mercatigenerali.org www.zoculture.it
Come spieghi la preminenza di cover band e tribute band nei locali?
Intervista a Giuseppe Giuffrida (“La Chiave”)
Molti locali espongono cartelli di cordoglio per la scomparsa del caffè concerto. Di che cosa si tratta? La diffusione della musica all’esterno dei locali è oggi finita perché l’ordinanza sindacale del 3 luglio vieta a Catania l’uso di strumenti con supporto elettronico ed elettrico. Le band non possono esibirsi e il “caffè concerto” diventa così una denominazione formale… Ci limitiamo a mettere i tavoli fuori. Mi sembra un po’ troppo restrittivo perché bastava stabilire una fascia oraria oltre la quale sospendere completamente le esecuzioni musicali per trovare un equilibrio tra le esigenze dei residenti e quelle della gente e dei gestori dei locali.
La tendenza a fare cover va naturalmente a svantaggio della ricerca musicale. I gestori dei locali spesso ricorrono a questa tipo di musica per risparmiare. I costi per le esecuzioni dal vivo non sono indifferenti e, anche se le cover band riescono ad attirare più gente, oggi è difficile riuscire ad ammortizzare le spese. Il problema riguarda soprattutto gli oneri fiscali e amministrativi, SIAE ed EMPALS, più i cachet per i musicisti. La SIAE obbliga i gestori dei locali a pagare dei diritti per la diffusione della musica: è una vera e propria loggia di cui Mogol è uno dei soci al 51%.
Perché le cover band riscuotono un così grande successo di pubblico? Ci sono stati dei cambiamenti radicali rispetto a quindici anni fa. Allora (avevo 18 anni), quando uscivi, andavi alla ricerca di spazi dove si esibivano gruppi che avevano un progetto e una filosofia musicali e che, pertanto, suonavano brani propri, frutto di una ricerca musicale. Prima
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Spazi e luoghi
acquistavi i dischi e avendoli a casa li ascoltavi più volte per assimilarne le sonorità e i contenuti. Oggi con internet e con l’mp3, puoi scaricare interi album gratis. Il lato negativo è che la musica è diventata, secondo me, un po’ usa e getta. Si è persa l’abitudine di ascoltare un brano per parecchio tempo. Oggi lo scarichi perché non ti costa niente, lo ascolti e poi lo lasci nell’hard disk, non lo metti su cd per continuare ad ascoltarlo. Ecco perché la maggior parte dei gruppi lavora più coi live che con i dischi, essendoci un mercato ridottissimo a causa dei costi esagerati (l’Iva ammonta al 20 %). Secondo me, pesa il discorso economico un po’ su tutto. Inoltre le nuove generazioni sono più proiettate verso altre sonorità distanti dal live. Oggi domina la scena elettronica, quindi i giovani sono più attirati dalle serate disco, rave dove musica ha come scopo principale il ballo, e non l’ascolto.
in Italia?
Perché chi fa musica propria a volte incontra difficoltà ad avere uno spazio e una visibilità, e addirittura molti gruppi emergenti ottengono un riconoscimento prima all’estero e poi
Su quali criteri si basa programmazione della Chiave?
Crediamo che l’Italia sia musicalmente avanti, ma in realtà ci sono Paesi, come l’Inghilterra o la Spagna, attenti alle nuove sonorità. Noi siamo trasportati dalle grandi major italiane, come il grande manager Mogol che ci propone sempre delle sonorità standardizzate. Per esempio la scena indie resta un po’ sottobanco.
Quale spazio dai nella programmazione alla band catanesi? Non ci sono così tante band catanesi che fanno brani propri. Ci saranno circa 10 band che ogni anno si ripropongono, a volte si mischiano dando vita a soggetti nuovi. Quando ci presentano un progetto nuovo, fissiamo una data per il concerto. Però un locale non può suonare solo con gruppi catanesi, quindi dobbiamo coinvolgere anche musicisti da fuori.
l’indie con gruppi siciliani ma soprattutto del nord Italia, martedì i Colorindaco, che suonano da noi da dieci anni (si tratta dell’unica cover band che proponiamo), giovedì facciamo la jamming session, mettiamo a disposizione la strumentazione e tutto nasce dall’improvvisazione. È proprio da questi momenti che capisco che tutti sono proiettati verso le cover band, perché è sicuramente più facile ascoltare un brano conosciuto e quindi sicuro, piuttosto che delle sonorità non note con un impatto forte che necessità scoperta. La nostra programmazione include anche l’afro coi senegalesi che portano qui la loro cultura e le loro sonorità libere e spontanee a base di percussioni. Organizziamo anche dei tributi. In generale la scelta delle band dipende dalla qualità della loro musica, e ovviamente qui c’è una componente soggettiva perché fondata sui miei ascolti.
la
Il mio locale propone diversi generi musicali e diversifica l’offerta durante la settimana: domenica il jazz, venerdì
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S.G. www.myspace.com/lachiavecatania www.lachiave.it
Onde radio
Radio Zammù Da quattro anni trasmette e promuove musicisti emergenti Nel panorama radiofonico catanese, la Radio dell'Università di Catania rappresenta un’oasi felice per i musicisti che hanno voglia di farsi conoscere in città, ma non solo: la collaborazione tra tutti i media universitari apre nuovi e interessanti spiragli. Radio Zammù nasce come web radio nel 2005 a seguito di un laboratorio sulla radiofonia della Facoltà di Lingue e Letterature Straniere. Dopo i primi esperimenti, da marzo 2006 trasmette sul web regolarmente con un palinsesto che vede la presenza di programmi realizzati e condotti dagli studenti. Nel 2007, grazie ad un accordo con il gruppo Radio Amore, Radio Zammù trasmette su FM e diventa a tutti gli effetti la radio dell’università degli studi di Catania. La presenza su FM rende di fatto Radio Zammù una delle realtà che affollano l’etere a Catania e provincia. Nel panorama delle radio locali, la radio dell’ateneo catanese rappresenta una novità e una voce fuori dal coro, sia per contenuti dei format che ne compongono il variegato palinsesto, sia per scelta musicale spesso in controtendenza rispetto a quella delle altre radio. La musica è un aspetto importante per determinare il successo di una radio e spesso, come dimostrano tutti i sondaggi, la maggior parte di coloro che ascoltano la radio lo fanno per la musica e da essa dipende la scelta della “radio preferita”. Senza alcuna pretesa di esaustività
sull’argomento, si può affermare che questo è uno dei motivi per cui le radio commerciali (la maggior parte nel panorama radiofonico locale) scelgono di passare le hit del momento. Passare, anche più volte nell’arco della stessa giornata, le canzoni più ascoltate, i tormentoni, attira un pubblico di massa, fa lievitare gli ascolti e rende la radio appetibile per di chi è disposto a investire in pubblicità. Questa logica determina uno scarso interesse verso nuovi fenomeni musicali locali, soprattutto quelli che esulano dalla sfera musicale del pop facile, quello usa e getta.
Radio Zammù non avendo esigenze commerciali, ha sempre puntato sulla qualità della musica e sulla promozione di artisti che altrimenti non avrebbero spazio nelle altre radio. Per questo, sin dal primo anno di attività, la musica emergente ha trovato spazio nel palinsesto di Radio Zammù grazie al programma “Presa diretta” condotto da Oriana Mazzola. Il programma andava in onda una volta a settimana e ospitava artisti emergenti siciliani che nell’arco di un’ora potevano proporre la loro musica e raccontarsi ai microfoni della radio universitaria. Nel corso del tempo
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Onde radio
lo spazio dedicato alla musica emergente è raddoppiato: a “Presa diretta” si è sostituito “/band”, condotto da Oriana Mazzola e da Sara Curcio, che va tuttora in onda ogni lunedì e mercoledì dalle 18 alle 19. Il format è rimasto sostanzialmente invariato, e da Giugno 2009 “/band” oltre alle consuete puntate con gli artisti in studio va in onda anche martedì, giovedì e venerdì con una diffusione musicale di un’ora dedicata solo alla musica emergente. Per Radio Zammù e per le altre radio universitarie promuovere la musica emergente è stato sempre una priorità, ma l’impatto che ogni radio ha sul territorio non sempre riesce ad essere efficace. Per questo negli ultimi anni RadUni, l’associazione degli operatori radiofonici universitari, ha deciso di sviluppare alcuni progetti comuni come “RadUni hit”. Il format, trasmesso in contemporanea da tutte le radio universitarie aderenti al progetto, prevede quindici minuti di musica emergente con contributi da tutta Italia. Inoltre da tre anni, a maggio, tutte le radio si riuniscono in una città diversa per il festival delle radio universitari (FRU). In seno a questa manifestazione si svolge il “FRU contest”, un concorso
per band emergenti che vede la partecipazione di artisti da tutta Italia. Da qualche mese, grazie all’interesse e alla collaborazione di Telecom Italia, è nato il portale U-Station che raccoglie tutti i media universitari. All’interno del portale presto nascerà la sezione “U-Music” dedicata alla musica emergente. In autunno, grazie al materiale raccolto sul portale UStation, nascerà Universication, un programma televisivo che andrà in onda in autunno su LA7. Una delle puntate sarà dedicata a Catania e una delle band catanesi avrà la possibilità di farsi vedere in tv. Una grande occasione che, nel continuo work in
progress dei media universitari, si spera sia solo la prima di una serie di opportunità per tutti i musicisti catanesi.
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Alberto Conti (Radio Zammù)
www.radiozammu.it
Copyleft
Creative Commons Quando le idee non hanno barriere Copyright e Siae hanno sempre esercitato uno stretto controllo sulle opere dei musicisti (e degli artisti in genere). I nuovi spazi di internet hanno offerto altre possibilità per la promozione delle opere e per un loro utilizzo democratico. Questo è lo spirito con cui Creative Commons è nata. E ora si cerca la collaborazione proprio con la Siae. La fonte del diritto è stata la normativa già esistente sul diritto di autore, reinterpretata secondo le nuove tecnologie disponibili. Il mezzo attraverso il quale gli artisti rilasciano alcuni diritti sono sei licenze, nate dalla combinazione di quattro Tutti i diritti riservati. Fino a qualche tempo fa questa era l’unica garanzia per un artista. La grande C di Copyright contrassegna un’opera, si tratti di una canzone, un video, una foto, un libro o un software. In Italia, poi, la Siae controlla la diffusione e l’utilizzo pubblico di questi prodotti lanciati sul mercato tradizionale, talvolta a costi non indifferenti. Questo modello è sembrato anacronistico ad alcuni esperti di diritto della rete e informatici americani che, a partire dal 2001, hanno pensato un nuovo sistema di libera circolazione delle opere. Il 16 maggio 2002 viene presentata Creative Commons, una società non-profit che poggia sul principio Alcuni diritti riservati, cioè che scardina la rigidità del Copyright.
clausole: -attribuzione, che impegna a specificare l'autore o il titolare dei diritti oggetto della licenza secondo le loro indicazioni; -non commerciale, ovvero l’opera non può essere utilizzata per ricavare guadagni; -non opere derivate, cioè è possibile fare solo copie esatte dell’opera e in nessun modo adattarla o modificarla; -condividi allo stesso modo, che permette la creazione di opere derivate a partire dalla modifica di una preesistente a patto di rilasciare le derivate con la stessa licenza dell’originale. A partire da questi vincoli le sei licenze sono: Attribuzione,
Attribuzione -Non opere derivate, Attribuzione-Non commerciale-Non opere derivate, Attribuzione-Non commerciale, Attribuzione-Non commerciale-Condividi allo stesso modo, Attribuzione-Condividi allo stesso modo. In Italia Creative Commons arriva per tappe graduali tra il 2003 e il 2004 grazie a un gruppo di lavoro affiliato al Politecnico di Torino. Oggi la ricerca continua e negli ultimi mesi, a partire dallo scorso gennaio, si sono aperti dei tavoli di lavoro per raggiungere una possibile collaborazione con la società che da sempre si occupa di diritto di autore in Italia, la Siae. In particolare si discute la possibilità di affidare alla Siae la gestione delle opere Creative Commons “non commerciali”. “Aspettiamo che con l’autunno si possa raggiungere questo primo traguardo” dice Federico Morando, membro del gruppo di studio del Politecnico di Torino. Quando un artista si associa alla Siae delega la gestione di tutte le sue opere a questa società e secondo il
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Copyleft
parametro restrittivo di Tutti i diritti riservati. “Solo di recente la Siae permette che alcune opere vengano gestite direttamente dai detentori dei diritti, anche se associati alla Siae” spiega Federico Morando “ma sono eccezioni. Questa possibilità si applica, ad esempio, alle opere diffuse su internet o in determinati paesi stranieri su richiesta dell’autore”. Di conseguenza sempre più artisti utilizzano Creative Commons per promuovere le proprie opere e gestire direttamente l’utilizzo che il pubblico ne fa. E infatti, “E’ davvero semplice quando si saltano gli intermediari” e “In piedi sulle spalle dei tuoi pari, questa è la forza di internet” sono due slogan di Creative Commons.
Il problema si pone quando radio o televisioni scelgono di trasmettere alcune opere di un autore non iscritto alla Siae e quando lo stesso autore vuole imporre dei vincoli più rigidi per la diffusione di parte dei suoi lavori. Le emittenti radiofoniche e televisive, per praticità, non chiedono a ciascun artista le autorizzazioni per trasmettere una singola canzone. È per questo che la Siae è nata: assolvere la funzione di mediatore.
dominio l’uso e la reinterpretazione delle proprie idee.
“Ma oggi è diverso” spiega Morando “Un tempo per gli ispettori della Siae sarebbe stato scomodo girare con l’elenco di tutte le opere registrate. Avrebbero dovuto portare con sé enciclopedie di dimensioni non indifferenti. Allora si è deciso che la Siae sarebbe stata intermediaria per tutte le opere degli autori registrati. Ora invece sarebbe più semplice: grazie ai database on-line si potrebbero iscrivere singole opere e non il nome di un artista, cioè la sua intera produzione” Questo si tradurrebbe in maggiore flessibilità: gli artisti potrebbero discrezionalmente scegliere quando imporre vincoli alla diffusione di alcuni lavori e, allo stesso tempo, quando rilasciare liberamente al pubblico
|| dossier/lavori in corso || pagina 33 || settembre 2009||
C.Z.
www.creativecommons.it
|| dossier/lavori in corso || pagina 34 || settembre 2009||