Ucuntu 104

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CASO CATANIA INCHIESTE RITRATTI

CENSURE/ PERCHE' A CATANIA “LA REPUBBLICA” E' DI DESTRA BUSINESS/ GRAND HOTEL MINEO UN GIUDICE GALANTUOMO

From left: Comrade Ceaucescu (Romania), Rais Mukarak (Egypt), Cavalier Berlusconi (Italy), Colonel Gheddafi (Lybia), Mr and Mistress Gheddafi (Lybia, Italy, Cayman Islands).

IN ALTO: Momenti salienti nella vita di alcuni dittatori europi. IN BASSO: L'epilogo di uno di loro.

“Buffone! Rispetta la legge! Rispetta la costituzione! Oppure farai...

“La fine di Ceaucescu”

Ricordate Milano, maggio 2003? Glielo gridò un giovane, nel tribunale dove Lui per l'ennesima volta aveva toreato la giustizia. Era una battuta, naturalmente. Ma non raccontatelo al suo amico Gheddafi, che - adesso - non ci si divertirebbe per niente. E nemmeno Lui

e

Jack Daniel/ Hanno cambiato il Vangelo... e Abbagnato Scatà Rossi Mazzeo Fava Roccuzzo

ALL'INTERNO: L'APPELLO DELLA SOCIETA' CIVILE PER LA GIUSTIZIA A CATANIA || 23 febbraio 2011 || anno IV n.104 || www.ucuntu.org ||


Razzismo

Noureddine Adnane Storia di ordinaria disperazione E' oggi possibile a Palermo che un giovane immigrato - sposato e padre di due figli - scelga deliberatamente di darsi la morte in un modo atroce, appiccandosi il fuoco dopo essersi cosparso il corpo di benzina ? Purtroppo, è quello che è successo venerdì 11 febbraio nella cittadella universitaria di Palermo dove Noureddine Adnane ventisettenne marocchino, con regolare permesso di soggiorno, che si guadagnava da vivere vendendo collanine e altra merce simile – non ha resistito all'ennesima vessazione che si presentava sotto la forma dell'ennesimo controllo della Polizia Municipale con il rischio concreto del sequestro di tutta la merce. Sabato 19 alle 11 del mattino si è concluso il calvario di Noureddine e il moto d'indignazione della comunità marocchina, dei movimenti locali antirazzisti e di tanti comuni cittadini ha raggiunto l'apice in una manifestazione iniziata nel pomeriggio al centro città e dipanatasi in un lungo corteo per arrivare a protestare sotto la sede del Comune, a Palazzo delle Aquile.

Ma già all'indomani della tragedia la rabbia e l'indignazione avevano trovato sbocco nella denuncia pubblica di un costante comportamento scorretto, in particolare dei Vigili Urbani, che, secondo i lavoratori connazionali di Noureddine, oltre a tenere comportamenti volutamente vessatori, talvolta usano sequestrare la merce, ma evitando la verbalizzazione e, quindi, consentendosi di appropriarsi di immettere la merce nel mercato clandestino della ricettazione. Accuse gravissime che questa volta han

no superato la consueta e comprensibile ritrosia degli immigrati, anche regolari, di parlare di aspetti molto delicati del rapporto con le Forze dell'Ordine, in generale. Le denunce dopo la tragedia di Noureddine, sono state sintetizzate in un esposto denuncia presentato alla Magistratura che, si spera, possa fare luce sul groviglio di comportamenti inquietanti di chi abusa della propria autorità, soprattutto con i più deboli. In generale, colpisce che in una città come Palermo, in cui dominano l'illegalità diffusa, il racket e la mafia, nel complesso delle sue attività, non si perda occasione per rappresentare gli immigrati come il pericolo più grande per la società, mentre per i potenti tutto è possibile e dovuto. Tutto questo in una Palermo, ormai indiscutibilmente multietnica, nella quale non c'è alternativa all'integrazione tra i cittadini e tutti i lavoratori residenti, come Noureddine, anzitutto titolari di diritti umani, ma ormai anche indispensabili per condurre le attività sociali ed economiche del territorio. Giovanni Abbagnato

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Paesi e città

Una dittatura di minoranza E intanto a Catania, capitale di una certa Italia... “Buffone! Farai la fine di Ceaucescu!”. Bah. Intanto, Gheddafi rischia di farla davvero, la fine di Ceaucescu. Chi gliel' avrebbe detto quest'estate, ai tempi delle tende beduine (a Roma) e del bungabunga? Io, che sono un uomo prudente, al posto di Berlusconi mi fionderei nella più vicina caserma dei carabinieri, mi chiuderei in cella da me e come favore personale chiederei di essere messo nella camera di sicurezza più interna: non si sa mai. Ma lui è un tipo avventuroso, come Ceaucescu e come Gheddafi. Speriamo che, a differenza di Gheddafi, non sia anche – quando verrà il momento suo – un pazzo sanguinario, di quelli che buttano bombe sulla folla. Di noi tutto sommato si usa poco: Brescia, piazza Fontana, Italicus, Bologna... ma erano altri tempi, si dice, è cambiato tutto; persino al G8 di Genova, dove pure c'era da stangare un bel po' di sovversivi, un po' di torture magari, ma di bombe niente. In compenso siamo azionisti di un bel po' delle bombe di Gheddafi: Fiat, Berlusconi, Unicredit, Eni, Ansaldo, Impregilo, hanno tiranneggiato la Libia (e i poveri emigranti che ci passavano) con Gheddafi. Non a caso in queste ore a Milano la borsa trema. Ma che importa: domani è un altro giorno. Obama ricostruisce l'America, cerca di riportarla, di riffe e di raffe, dalla parte dei popoli, dov'era un tempo. Perché Obama è un patriota, al suo paese ci tiene. Qua, per salvare l'Italia – di cui onestamente non ce ne frega niente - ci affidiamo non dico a Fini ma a Luca Barbareschi. Va bene. Gli operai non esistevano, e invece ci sono eccome, e nelle piazze s'è visto. Non c'erano le donne, buonine fra tv e chiesa, e invece sono state proprio loro a dare il primo scossone decisivo. Nemmeno il popolo c'è più, contanò solo i mille Vip che “Io so' io e voi nun siete un cazzo”. Vedremo. Lo vedremo il giorno dello sciopero generale. Ché ormai la strada chiarissimamente è questa: bloccare ogni trattativa (bene Flores e Camilleri: fermare il Parlamento) e fare,

come la Cgil farà, lo sciopero generale. Contro Mubarak (cioè Berlusconi), contro i suoi finanzieri (cioè Marchionne), contro i suoi sgherri e mercenari, cioè i mafiosi. Questo non è più regime di massa, nessuno dei suoi gerarchi è più un interlocutore. E' una dittatura di minoranza, sempre più impaurita: trattiamola come tale.

***

Torniamo a Catania, che io la naja la faccio qui e guai se mi beccano a non fare bene la sentinella. Nel caso Catania – di cui sapete ormai tutto – c'è una novità importante e forse decisiva. Mentre dieci giorni fa eravamo ancora alle polemiche, alle denunce e alle giustificazioni, adesso siamo alla fase degli attacchi personali e violenti, senza mediazioni. In soldoni: il giudice A accusa il giudice B di essersi soverchiamente intrattenuto con mafiosi. Porta prove e argomenti, e infine saltano fuori pure le foto. Ma perchè A ce l'ha tanto con B? Per fatto personale, ovviamente. E donde viene questo fatto personale? Perché lui, giudice A, in realtà è un immorale, un vizioso, un mostro; l'ha detto un conoscente di un tale che l'ha sentito dire da un talaltro; ed ecco perché attacca B inventandosi Catanie, casi Catania, giudici e mafiosi. Bene. E chi lo dice (in linguaggio forbito, convenevole e professionale, poche bellissime righe da scuola di giornalismo)? Il giornale di Feltri o quello di Belpietro? No: direttamente Repubblica. Che ha una tradizione bellissima, di lotta per la libertà e la democrazia, in Italia, e anche contro la mafia a Palermo; ma a Catania ha una tradizione precisa di accordi - di contenuti e d'affari - con padron Ciancio. Queste sono notizie, amici miei, e come tali le diamo. Immaginate che a Milano nel 1946 il Corriere avesse attaccato - non politicamente, ma insinuandogli qualche delitto comune - Ferruccio Parri, e avrete un'idea di cosa stiamo vivento, in questi giorni, noi dell'antimafia a Catania e quanto siamo incazzati e quanto determinati a fare i conti.

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Perché a Catania, e in Sicilia, e in Italia, e dappertutto, l'antimafia esiste, non è una barzelletta. Non “una certa antimafia”, non l'”antimafia di carriera”, ma l'antimafia mia, di Scidà o dei militanti del Gapa vent'anni di dedizione totale e di battaglie, dando tutto se stessi. E anche, porco diavolo, l'antimafia “autoreferenziale e inutile” dei ragazzi di Palazzolo, di Modica, di Ucuntu, ai quali è stato autorevolmente e recentemente spiegato, da qualche genio, che in realtà non servono a un cazzo. Va bene, impariamo anche questo, ragazzi. Nel mondo c'è anche 'sta gente ciarliera: a volte fa qualcosa di buono, ma raramente, e te lo fa pagare con una tonnellata di cazzate per ogni grammo di cose buone. Voi non v'impressionate, tenetevi stretto quel grammo (se riuscite a trovarlo) e per il resto fregatevene e andate avanti.

***

Le righe che restano le dedichiamo volentieri (ma senza gridare al lupo) alla solidarietà, in questo caso a Condorelli. Buon giornalista, perbene, alle volte un po' ingenuo (come quando s'è lasciato usare contro l'antimafia cioè, qui e ora, contro Scidà), ma bravo certamente, uno che prima o poi avremo accanto; è stato licenziato ingiustamente e noi, non per la prima volta nè perchè qualcuno ce lo chieda, stiamo con lui. Ma senza confonderci con le “solidarietà” d'occasione di chi, in passato, s'è rifiutato per esempio di solidarizzare con un Marco Benanti. Noi, giornalisti sempre e non solo quando ci conviene, questa solidarietà l'abbiamo data in passato a Benanti, a Finocchiaro, a Giustolisi, a Mirone, a Savoca, a Rizzo, a Lavenia, a Scapellato – e chiediamo perdono a quelli che stiamo dimenticando ora, ma che certo non abbiamo dimenticato quando ce n'era bisogno. Raramente ne abbiamo ricevuta noi, e mai nessuno dei nostri ragazzi. Ma questo, per noi “professionisti dell'antimafia, fa parte del nostro mestiere. Riccardo Orioles

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Società civile Le associazioni sottoscritte, nel momento in cui vengono da più parti riportati episodi sconcertanti che coinvolgono fra l'altro aspiranti al posto di procuratore capo al Tribunale di Catania, manifestano la propria preoccupazione per la nomina prevista in conseguenza del pensionamento del Dott. Vincenzo D’Agata e sottolineano la necessità che chi assumerà l’incarico riesca finalmente a disvelare e a rendere pubblico l’intreccio fra poteri economici, politici e mafiosi che, anche in campo nazionale, ormai è noto come il “ Caso Catania”. Come cittadini abbiamo il diritto di sperare in un futuro di legalità e giustizia per la nostra città. A questo scopo le Associazioni firmatarie del presente appello, così come già richiesto, auspicano che la nomina a procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Catania ricada su una personalità di alto spessore che eserciti l'autonomia della magistratura rispetto al potere politico, che sia capace di operare al di fuori delle logiche proprie del sistema politico-affaristico della città, che possibilmente sia del tutto estranea all'ambiente cittadino, che provenga cioè da realtà lontane dall’humus siciliano e catanese in particolare, una personalità che favorisca il riscatto civile della nostra città e che contribuisca a restituirle orgoglio e dignità. Associazione Centro Astalli, AS.A.A.E., Assoc.CittàInsieme”, Assoc. Domenicani Giustizia e Pace, Laboratorio della Politica Onlus, La Città Felice, Assoc. Studentesca e Culturale "Nike", Comitato NO-TRIV, Assoc. Oltre la Periferica, Librino, Punto Pace Pax Christi Catania, Sicilia e Futuro, Associazione Talità Kum

*** La Sicilia è la regione dove si trova la maggior economia sommersa del paese, come recenti e qualificati studi hanno evidenziato, e gran parte dell’imprenditoria cheopera nell’isola usufruisce di complicità o alleanze con le organizzazioni criminali. La mafia ha esteso da tempo i suoi interessi nell'economia “legale”, dove l'accumulazione della ricchezza avviene attraverso relazioni e attività costruite sulla base del coinvolgimento diretto e dei favori scambiati con potentati economici, politici, professionali. Si è creato così uno spazio dove lecito e illecito finiscono per entrare in commistione. L'epicentro di questa "area grigia", dove si intrecciano gli interessi di mafia ed economia, è oggi Catania, come ribadito anche dal Presidente di Confindustria Sicilia.

APPELLI PER LA GIUSTIZIA A CATANIA Al Vicepresidente del CSM Alla Commissione Uffici Direttivi e p.c. Al Presidente della Repubblica Una città dove, da anni, diversamente che a Palermo o Caltanissetta, l'azione di contrasto della Procura è stata assolutamente inefficace. Emblematica, da questo punto di vista, è apparsa la gestione dell’inchiesta che ha coinvolto il governatore Lombardo e il fratello Angelo. Gli inquirenti si sono divisi sui provvedimenti da assumere in merito all'esito delle indagini sul Presidente della Regione. Il Procuratore D'Agata, nelle prese di posizione pubbliche, ha dato l’impressione di un evidente imbarazzo e fastidio nei confronti dell’inchiesta; in un'intervista rilasciata a Zermo, sul quotidiano di Ciancio (a sua volta indagato in altro procedimento), sembra esprimere contrarietà per le considerazioni espresse da Ivan Lo Bello sul peso dell'imprenditoria mafiosa a Catania. Infine, una fotografia pubblicata in questi giorni ha riacceso i riflettori sul “caso Catania”, una vicenda giudiziaria nata dalla denunzia di Giambattista Scidà che lanciò l’allarme di contiguità tra criminalità mafiosa e frange della magistratura etnea. Alla luce di tutti questi fatti e alla vigilia della nomina del nuovo Procuratore della Repubblica, facciamo appello al Csm affinché la Procura di Catania abbia finalmente un Procuratore capo assolutamente estraneo ai giochi di Palazzo e all’intreccio delle poco chiare vicende catanesi. Un magistrato che non subisca le forti interferenze esterne che hanno condizionato da decenni la direzione della Procura catanese. Giolì Vindigni, Gabriele Centineo, Mimmo Cosentino, Angela Faro, Santa Giunta, Vincenza Venezia, Salvatore Cuccia, Luciano Carini, Giuseppe Di Filippo, Enrico Giuffrida, Lillo Venezia, Claudio Novembre, Massimo Blandini, Marzia Gelardi, Maria Concetta Siracusano, Francesco Duro, Margherita Ragusa, Antonella Inserra, Mario Pugliese, Giovanni Caruso, Elena Maiorana, Tuccio Giuffrè, Rosa Spataro, Paolo Parisi, Marcella Giammusso, Giuseppe Pappalardo, Raffaella Montalto, Giovanni Grasso, Federico Di Fazio, Claudio Gibilisco, Riccardo Orioles, Elio Impellizzeri, Ignazio Grima, Angelo Morales, Pippo Lamartina, Andrea Alba, Matteo Iannitti, Valerio Marletta,

Marcello Failla, Alberto Rotondo, Riccardo Gentile, Barbara Crivelli,Massimo Malerba, Enrico Mirabella, Maria Lucia Battiato, Mauro Viscuso, Sebastiano Gulisano, Aldo Toscano, Anna Bonforte, Grazia Loria, Pierpaolo Montalto, Toti Domina, Fabio Gaudioso, Giovanni Puglisi, Titta Prato, Maria Rosaria Boscotrecase, Lucia Aliffi, Fausta La Monica, Salvatore Pelligra, Anna Interdonato, Lucia Sardella, Federica Ragusa, Alfio Ferrara, Federico Urso, Paolo Castorina, Giusi Viglianisi, Laura Parisi, Gaetano Pace, Luigi Izzo, Alberta Dionisi, Carmelo Urzì, Pina De Gaetani, Giusi Mascali, Marcello Tringali, Daniela Carcò, Giulia D’Angelo, Alessandro Veroux, Ionella Paterniti, Francesco Schillirò, Francesco Fazio, Tony Fede, Antonio Presti, Luigi Savoca, Salvatore D’Antoni, Alessandro Barbera, Vito Fichera, Stefano Veneziano, Pinelda Garozzo, Francesca Scardino, Irina Cassaro, Carmelo Russo, Franco Barbuto, Maria Luisa Barcellona, Nicola Musumarra, Angela Maria Inferrera, Michele Spataro, Giuseppe Foti Rossitto, Irene Cummaudo, Carla Maria Puglisi, Milena Pizzo, Ada Mollica, Maria Ficara, Rosanna Aiello, Rosamaria Costanzo, Mario Iraci, Giuseppe Strazzulla, M. C. Pagana, Vincenzo Tedeschi, Nunzio Cinquemani, Francesco Giuffrida, Maria Concetta Tringali, Maria Laura Sultana, Giovanni Repetto, Giusi Santonocito, Marco Sciuto, Tiziana Cosentino, Emma Baeri, Renato Scifo, Luca Cangemi, Elisa Russo, Angela Ciccia, Alfio Fichera, Giampiero Gobbi, Domenico Stimolo, Piero Cannistraci, Roberto Visalli, Mario Bonica, Claudio Fava, Giancarlo Consoli, Maria Giovanna Italia, Riccardo Occhipinti, Giuseppe Gambera, Orazio Aloisi, Antonio Napoli, Giovanni Maria Consoli, Elsa Monteleone, Francesco Minnella, Antonia Cosentino, Sigismonda Bertini, Giusi D’Angelo, Lucia Coco, Fabrizio Frixa, Santina Sconza, Felice Rappazzo, Concetto De Luca, Maria Luisa Nocerino, Alessio Leonardi, Renato Camarda, Angelo Borzì, Chiara Arena, Alberto Frosina, Gianfranco Faillaci, Daniela Scalia, Lucia Lorella Lombardo, Pippo Impellizzeri, Giuseppe Malaponte, Antonio Mazzeo, Marco Luppi, Ezio Tancini, Aldo Cirmi, Luca Lecardane, Rocco Ministeri, Gabriele Savoca, Fulvia Privitera, Daniela Trombetta, Vanessa Marchese, Edoardo Boi, Stefano Leonardi, Ivano Luca, Maria Crivelli, Guglielmo Rappoccio, Grazia Rannisi, Elio Camilleri, Rosanna Fiume, Alfio Furnari, Claudia Urzi, Luigi Zaccaro, Daniela Di Dio, Gigi Cascone, Ettore Palazzolo, Nunzio Cosentino, Matilde Mangano, Andrea D'Urso, Daniela Pagana, Stefania Zingale, Concetta Calcerano, Luana Vita, Maria Scaccianoce, Costantino Laureanti, Pierangelo Spadaro, Paola Sardella, Luisa Gentile, Antonio Salemi, Antonino Sgroi...

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In questo Stato

Una lettera censurata

Un libro contro la mafia

La lettera che segue è stata pubblicata da “Repubblica”, ma tagliata. Ecco l'originale. Fra parentesi quadre le parti censurate.

Mi chiamo Gianmario Lucini. Sono un editore (CFR e sito web www.poiein.it) e poeta che quest’anno ha dato alle stampe l’antologia “L’impoetico mafioso”, un libro che contiene il contributo di 105 poeti italiani, alcuni molto noti, che si esprimono per la legalità contro la cultura della mafia e dei favoritismi. Questo volume è stato presentato in diversi contesti e anche in diverse scuole, al Nord, al Sud e al Centro Italia, ottenendo un notevole successo, tanto che la prima tiratura di 700 copie è stata quasi esaurita in un mese. Ho in mente un’iniziativa analoga con il contributo degli studenti, dalle Scuole Medie Inferiori fino all’Università. La/lo studente che desidera partecipare all’edizione di questo nuovo volume, che si intitolerà “Noi e le culture mafiose”, possono scrivere le loro impressioni sul tema “La mafia e il mio passato / la mafia e il mio futuro” inviandole poi tramite l’indirizzo di posta elettronica info@edizionicfr.it E’ importante infatti che gli adulti, al di là delle belle parole che possono scrivere in poesia o esprimere in pregevoli dibattiti televisivi, ascoltino soprattutto le impressioni dei giovani e in che modo essi vivono il problema della cultura mafiosa, dei favoritismi, delle raccomandazioni, della, del pizzo, del disprezzo del prossimo, della strumentalizzazione di tutto e di tutti per il solo scopo di arricchirsi – e a volte questo accade, come ci raccontano le cronache, anche dentro la scuola... Le studentesse e gli studenti che vogliono aderire al progetto lo possono fare anche in forma anonima, semplicemente siglando lo scritto (un racconto, una poesia, una riflessione, la storia di un’esperienza personale, ecc.) e indicando l’Istituto di provenienza. Copia del volume che verrà stampato, sarà inviato alla biblioteca di tutte le scuole dalle quali saranno pervenuti contributi scritti. Il progetto si apre il primo marzo 2011 e si chiuderà con il 30 settembre 2011. Per tutta l’estate, dunque, i giovani potranno inviare i loro scritti all’indirizzo di posta elettronica indicato. Gianmario Lucini scais@hotmail.it

Alla c.a. del Dr. Sebastiano Messina Capo della redazione di Palermo del quotidiano La Repubblica Egregio Direttore, scrivo nell'interesse del dr. Giambattista Scidà per chiedere la pubblicazione, [ai sensi dell'art. 8 1.47/48,] della presente rettifica a quanto riportato [dalla giornalista Alessandra Ziniti] nell'articolo dal titolo "Archiviazione per Lombardo? A Catania scontro in Procura”,[ pubblicato oggi, 18 febbraio 2011, alla pagina IV delle cronache siciliane. La giornalista Ziniti, già coautrice nella primavera scorsa della pubblicazione delle notizie riservate sull'indagine catanese a carico dell'on. Lombardo (indagine coordinata dal dr. Giuseppe Gennaro), oggi, continuando a occuparsi di quella vicenda giudiziaria e della competizione per il posto di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catania, è passata direttamente alla volgare diffamazione nei confronti del dr. Scidà. Naturalmente, risponderà presso il giudice penale competente per la consumata diffamazione. Intanto le segnalo, qui di seguito, le mistificazioni, le falsità e le lacune del suddetto articolo:] 1. Nel 1987 il dr. Gennaro, PM presso il Tribunale di Catania, raccolse le dichiarazioni di un pentito (in tal modo, almeno, propostosi). Costui riferì che un minore (del quale tuttora il dr. Scidà sconosce il nome) gli aveva confidato di aver ricevuto molestie dall'allora Presidente del Tribunale per i minorenni di Catania (al tempo il dr. Scidà tale era da sei anni e tale sarebbe stato per altri quindici anni ancora, ma già dal 1967 prestava servizio in quella città); 2. La presunta vittima, sentita dal Procuratore Generale di Catania, smentì il "pentito"; 3. L'anomala personalità dell'aspirante collaboratore di giustizia fu dettagliatamente descritta dalla sentenza 8/90 della Corte di assise di Catania (presidente Siscaro), che lo assolse per una strage della quale si era detto responsabile; 4. Gli uffici giudiziari catanesi (e primo fra tutti il dr. Gennaro) omisero di trasmettere le dichiarazioni del "pentito" alla Procura della Repubblica di Messina, che sarebbe stata competente

sia per l'eventuale ipotesi di reato a carico del dr. Scidà sia per la calunnia in suo danno; [5 . Certo, fosse stato sentito da diversa Procura, il "pentito" avrebbe anche potuto spiegare le ragioni per cui aveva reso in danno del dr. Scidà quelle calunniose dichiarazioni al magistrato di Catania.] In conclusione segnalo - [come Lei, Direttore, ben dovrebbe sapere] - che la levatura morale e l'impegno civile del dr. Scidà sono noti e sono cari a tutta la cittadinanza onesta di Catania, che sa bene come la macchina del fango che SI muove - oggi come decenni fa - contro di lui sia la risposta alla sua onestà, al suo coraggio e alla sua intransigenza, caratteristiche che non lo hanno fatto tacere anche quando le devianze del potere catanese coinvolgevano importanti magistrati. Forse la colpa che oggi [la giornalista Ziniti addebita] al dr. Scidà è di non aver acquistato casa da mafiosi, di non esserne stato commensale e di non aver a loro rilasciato titoli di credito. Se l'autrice dell'articolo, [adempiendo ai suo doveri di verifica delle notizie suggeritegli da qualche parte interessata,] avesse interpellato il dr. Scidà, non sarebbe incorsa nell'imbarazzante gaffe. Avrebbe, anzi, appreso i contenuti del documento di 30 pagine dal titolo "Per capire il caso Catania" che il dr. Scidà il 14 dicembre scorso ha inviato al Consiglio giudiziario di Catania per illustrare i fatti da cui deriva l'incompatibilità fra il dr. Gennaro ed il ruolo cui aspira. [Ma evidentemente l'impegno di tanti al momento attuale è mirato a spostare l'attenzione da quei fatti gravi e sconcertanti. Quando non siano reperibili spiegazioni minimamente decorose - deve aver pensato qualcuno - meglio evitare ogni sforzo. Con le conseguenze, sul decoro dell'immagine della Città di Catania e dei suoi uffici giudiziari, che ognuno vede.] Distinti saluti, avv. Fabio Repici

|| 23 febbraio 2011 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||


Società

Minori abbandonati Catania e la sua eterna emergenza Recentemente “Repubblica” dedicava un'inchiesta alla criminalità minorile di Napoli, “Ragazzi con la pistola”. L'occasione era la morte di un sedicenne che aveva tentato una rapina a mano armata nel napoletano. La tesi di fondo del pezzo: la Campania da anni detiene il record della criminalità minorile. Niente di più sbagliato. Purtroppo è la Sicilia a tenere il record, e Catania già da almeno dieci anni ha superato Napoli. Addirittura del doppio d'arresti

Rubano una Smart nuova di zecca. Sono due minorenni, uno è un pregiudicato per furto, spaccio ed è pure indagato per omicidio colposo. I poliziotti li beccano subito mentre fanno una ronda a Librino e accelerano. I ragazzi abbandonano l'auto, scappano nel labirinto dei seminterrati del palazzo di cemento, in viale Bummacaro, ma gli agenti li riescono a bloccare. E' una delle tante notizie di cronaca catanese. Accade ogni giorno. La scena è Librino, uno dei quartieri di cemento armato costruiti in fretta intorno a Catania tra gli anni Settanta e Ottanta e senza alcun rispetto dei servizi essenziali per i cittadini: niente parchi, poche scuole, fogne costruite a metà, nessun campo di calcio, criminalità alle stelle. In Sicilia i minori denunciati (secondo l'ultimo aggiornamento pubblicato da giustiziaminorile.it) sono stati 3978, più della Campania e della Lombardia, in cui però c'è molta delinquenza di minori stranieri, provenienti dalla Romania, Albania ed Ex Jugoslavia. *** Tra il luglio del 2009 e l'agosto del 2010 – secondo i più recenti dati forniti dal Tribunale dei minori di Catania – gli in-

gressi del territorio di competenza della Corte di Appello di Catania sono stati 172. 88 vengono dalla città di Catania. La maggior parte di questi proviene dai quartieri della prima municipalità catanese, e cioè Angeli Custodi, Cappuccini e San Cristoforo. Al secondo posto c'è Librino, che negli anni precedenti era però in vetta alla classifica. Su mille minori imputabili nel distretto catanese il 2% viene arrestato. Una percentuale che si avvicina tantissimo a quella del 1992-1993, secondo la stima che fece per la prima volta Gianbattista Scidà, al tempo presidente del Tribunale dei minori di Catania, sull'intero territorio nazionale. Ma Scidà denunciava già una preoccupante crescita della criminalità minorile catanese nell' 81, da lui considerato l'anno della svolta – in negativo – di nuovo nell' 88, nel '93, e nel '99. Le sue invocazioni d'aiuto sono però cadute nel vuoto. *** Oggi San Cristoforo, il quartiere che in assoluto tiene il record di minori arrestati nell'ultimo anno, ha un commissariato di polizia. Ma le gazzelle dei poliziotti compaiono raramente tra le viuzze del quartiere, un vecchio dedalo di caseggiati di fine

Ottocento - inizio Novecento, tra cui si incuneano a velocità supersonica gli scooter truccati dei ragazzi che fanno la staffetta per lo spaccio di cocaina o erba, o che presidiano il territorio avvertendo dell'arrivo di qualche volante. Sono veloci, rapidi, scattanti, ma ogni tanto si piantano su un muro o su un'auto e ci lasciano la pelle. *** Cosa fa la politica per contrastare la criminalità? Una scuola media, l'Andrea Doria, è sotto sfratto da quattro anni perchè il Comune non paga l'affitto. Un'inchiesta della procura catanese ha portato all'arresto di alcuni assessori e tecnici del comune catanese per una truffa di 12 milioni di euro di soldi pubblici destinati ai servizi sociali che operano nei quartieri più difficili della città (tra cui il doposcuola e l'educazione familiare), ma secondo la procura mai impiegati. Un centro sociale, l'Experia, creato in un edificio abbandonato della prima municipalità - in testa alla classifica per gli arresti di minori - viene chiuso nel 2009 da un blitz di centinaia di poliziotti che manganellano i ragazzi del centro: si faceva doposcuola per i ragazzi, concerti, palestra sociale.

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Società

I 16 milioni di euro stanziati nel 2000 dal Cipe per il “programma integrato per San Cristoforo” - ovvero per costruire nel quartiere delle aree verdi, piazze e sistemi di fognatura – come denunciato da un'inchiesta del mensile I Cotrai, hanno lasciato qualche colata di cemento in abbandono e un sistema fognario incompleto. L'unica cosa che è cambiato a Catania è il tipo di reato per cui vengono arrestati i minorenni. Se prima il reato più commesso negli anni Ottanta e Novanta era la rapina a mano armata, ora è lo spaccio di stupefacenti: 56 arrestati in tutto il distretto, 38 solo a Catania. Giuseppe Scatà

SCHEDA IL GIUDICE IMBAVAGLIATO E I RAGAZZI DI CITTA' INSIEME

SCHEDA E I SERVIZI “SOCIALI”? IN MANO AI LADRONI

Gianbattista Scidà, presidente del Tribunale dei minori di Catania, fu il primo a calcolare in una tabella nazionale gli ingressi dei minori per distretto, sulla base della popolazione totale, dei minori imputabili, e dei minori italiani imputabili, ottenendo delle percentuali di media su un campione di 10.000. Così il dato di Napoli, apparentemente più alto in Italia, se calcolato sulla base della popolazione totale di minori imputabili italiani (eccettuando dunque gli stranieri) risulta ancora oggi inferiore a quello catanese, in testa alla classifica. Nel '99 Scidà trasmette i preoccupanti dati della sua ultima statistica al giornale La Sicilia, che ignora il fax, pubblicando invece un pezzo in cui si diceva che la criminalità risultava in netto calo in tutta la città. L'associazione Cittàinsieme volantinerà quel fax di fronte al palazzo di giustizia, nel giorno del ricordo della strage di Capaci.

E' il 16 Luglio 2010 quando scattano gli arresti e dodici milioni di euro finiscono sotto sequestro. Indagato dalla Procura della Repubblica di Catania anche il sindaco Stancanelli. L’accusa per lui è di abuso per avere suggerito nomi di persone gradite da inserire nelle commissioni per l’aggiudicazione degli appalti, quando era assessore regionale alla famiglia nel governo Cuffaro. La gestione dei finanziamenti per aiutare chi versa in difficoltà – secondo le indagini dei Nas dei carabinieri- ha nascosto, negli anni 2007 e 2008, una gigantesca spartizione di fondi pubblici nel distretto sanitario di Catania, Misterbianco e Motta S. Anastasia. I soldi provenienti dalla Regione per i bisogni dei più deboli secondo l'accusa sono finiti nelle tasche di un gruppo di persone di politici e tecnici tra cui l' assessore comunale Zappalà, alcuni amministratori pubblici e responsabili di cooperative. I reati contestati nei voluminosi atti d’indagine sono l’associazione per delinquere finalizzata alla turbativa degli incanti, frode in forniture, truffa a danno dello Stato, peculato, falso, e abuso d’ufficio.

|| 23 febbraio 2011 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||


ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI

Avamposto

Solitudine di un cronista minacciato. Giuseppe Baldassarro è un giornalista che fa il suo lavoro. Lo fa bene, collabora con testate illustri, vince numerosi premi. Un professionista che sfida i poteri politici, economici e criminali della sua città. Additato come “infame” da alcuni politici, bersagliato da minacce di morte. Non è il solo. Almeno una ventina di giornalisti, in Calabria, sono stati minacciati di morte nell’ultimo anno. E il sindacato?

Giuseppe Baldessarro, il protagonista di questa storia, non è mica tipo da sbandierare i suoi meriti. Anche sulle minacce di morte il suo pensiero è mitigato da una lucidità distante anni luce dal sensazionalismo in cui è pur facile cadere quando si parla di queste dinamiche. Non perché non dia peso al rischio, ma perché quell’ atteggiamento gli permette di arrivare al cuore del problema, di evidenziare con autorevolezza quelli che sono i veri rischi che corre chi fa bene il suo lavoro in terra di ‘ndrangheta: «Le minacce - ha dichiarato giorni fa durante un convegno di Ossigeno per l’informazione, l’osservatorio Fnsi-Odg sui giornalisti minacciati - nel nostro mestiere non arrivano solo dalla criminalità, da quella ci difendiamo. Le minacce arrivano dal Sistema, dai politici che telefonano al direttore e insinuano sul tuo lavoro.» Il vero problema, per Baldessarro, è la zona grigia, quella varia e potente umanità che trova conveniente convivere con la mafia, il fenomeno per cui «fare la cronaca in una terra come la Calabria – dice – vuol dire anche affrontare il confine tra il bene e il male.» Saperla riconoscere fra le fumosità che spesso la avvolge, nei discorsi pubblici e privati, nelle dichiarazioni indispettite, nelle delegittimazioni di cui spesso si fa autrice e portavoce. Questo uno dei compiti più difficili di un cronista che tutti i giorni racconta una realtà come quella cala-

brese. Quindi, Baldessarro, rispondendo a una domanda, affronta un’altra questione. Quella della solitudine, dell’isolamento di cui un cronista minacciato e delegittimato spesso è vittima: «La Calabria – spiega il giornalista – non e' una terra normale, ci sono i massimi vertici della criminalità organizzata, la classe politica più corrotta al mondo, da qui passano tutti gli investimenti della mafia e la gente non è solidale con chi ne scrive. Purtroppo non abbiamo strutture che ci difendono: Ordine e sindacato sono assolutamente assenti.» Una denuncia puntuale. E un punto di vista, il suo, di sicuro non trascurabile. Di questo, della Calabria, dei giornalisti calabresi minacciati e delle prese di posizione del sindacato calabrese a riguardo, aveva parlato, sempre durante il convegno, anche Santo Della Volpe, giornalista del tg3. Le dichiarazioni di Baldessarro vengono riprese dall’Ansa, quelle di Della Volpe no. Passa un giorno e sul sito del sindacato calabrese appare “La replica del segretario regionale Fnsi, Carlo Parisi, alle dichiarazioni di Baldessarro”: «Se la gente non è solidale con chi scrive - dichiara Parisi - bisognerebbe chiedersi se e quanto sia attendibile ciò che si scrive.» E ancora: «Ordine e sindacato dei giornalisti non sono circoli culturali dediti alla presentazione e alla promozione di libri». A quale libri vorrà rifer-

irsi? Alla puntuale inchiesta su ‘ndrangheta e veleni di Baldessarro e Manuela Iatì? Al libro che ho scritto con Roberta Mani sui giornalisti minacciati in Calabria? Nessuno di questi libri è mai stato presentato né promosso da Ordine e sindacato, né è stato mai chiesto dagli autori di farlo. Simili dichiarazioni sono venute in passato dallo stesso Parisi. In occasione della presentazione in Calabria del libro sui cronisti calabresi minacciati, il 27 luglio del 2010: «Quando si tratta di analizzare problematiche e vicende così delicate e difficili come le intimidazioni ai professionisti dell’informazione, abbiamo il dovere, etico e deontologico, di essere chiari. Non c’è spazio per il romanzo: chi è veramente minacciato, rischia la vita. Il resto è folklore». Intervistato dal “Manifesto”, in quella stessa occasione, aveva dichiarato: «I giornalisti qui non vivono nel terrore, prima non denunciavano neanche, oggi lo fanno ma qualcuno pensa quasi che sia una medaglia alla carriera.» E ancora quando – all’indomani di un intervento di Roberta Mani, apparso sul “Quotidiano della Calabria”, sulle minacce ai giornalisti calabresi e a sostegno della manifestazione antindrangheta organizzata da quel giornale a settembre – in un editoriale invita a non dare troppo clamore alle minacce ai giornalisti della sua terra per evitare l’effetto emulazione, al contrario di

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Avamposto

quanto affermano autorevoli osservatori, rappresentanti nazionali di categoria, e magistrati che invece sono convinti che parlare delle minacce ai giornalisti è necessario alla salvaguardia della loro incolumità. Naturalmente non manca di sferrare il suo attacco a “fantomatici” professionisti dell’antimafia che si arricchirebbero alle spalle dei cronisti minacciati: «In una regione, come la Calabria, dove le buste contenenti proiettili e lettere minatorie sono, ormai, all’ordine del giorno in tutte le categorie sociali e professionali – scrive Parisi – si rischia di far cadere l’attenzione sul grave ed effettivo rischio che molti giornalisti corrono, quotidianamente, nello svolgere il mestiere di cronisti. In una situazione simile, purtroppo, solidarietà, marce, manifestazioni e girotondi servono a poco. Costituiscono, sì, attestazioni di solidarietà e d’affetto ai destinatari delle minacce, ma finiscono per fare il gioco sia di chi vuole alimentare il clima di terrore e la cultura del sospetto, sia di chi costruisce le proprie fortune, economiche e professionali, grazie al professionismo dell’antimafia. Il caso Terry Jones, il reverendo d’oltreoceano che aveva annunciato il rogo del Corano, dovrebbe averci insegnato qualcosa. Ammesso che ce ne fosse bisogno. A volte, amplificare certe notizie serve solo a portare alla ribalta pazzi esaltati come il

pastore americano o, come nel caso del “tormentone” minacce in Calabria, a far credere a chi le manda che basta una cartolina per fermare la libertà di stampa.» (“E ora di smascherare i soliti ignoti” (13/09/10) Ma torniamo all’oggi. Alla nota apparsa ieri. Per sferrare l’attacco a Baldessarro, Parisi chiama in causa le decine di giornalisti precari che operano in Calabria, accusandolo direttamente in quanto ex componente del Cdr del suo giornale: «Compito dell’Ordine dei giornalisti e del sindacato – sottolinea il segretario del sindacato dei giornalisti della Calabria – è quello di rappresentare e dare voce alla categoria. Al sindacato, in particolare, competono la tutela e la difesa dei giornalisti e, dunque, del loro sacrosanto diritto al lavoro in condizioni dignitose che, guarda caso, proprio nel giornale in cui lavora Baldessarro non vengono contrattualmente rispettate. Anzi, a corrispondenti e collaboratori, spesso, vengono addirittura negate. Al sindacato dei giornalisti non spetta, né avremmo il potere di farlo, il compito di eliminare la «zona grigia». Il nostro compito è, semmai, quello di eliminare la «zona nera», quella del lavoro sommerso, non tutelato, non riconosciuto, ampiamente presente, purtroppo, nella nostra regione e marcatamente riscontrabile, lo ripeto, anche nel giornale del collega Baldessarro. Una realtà inaccettabile

ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI

che lo stesso Baldessarro, in qualità di componente del Comitato di redazione del Quotidiano della Calabria (dal giugno 2009 al febbraio 2010), ovvero di sindacalista, avrebbe dovuto denunciare e combattere. A meno che Baldessarro non ritenga che professionalità, autorevolezza, indipendenza e dignità dei giornalisti siano gentili concessioni degli editori.» Sia una reazione scomposta, sia il voler scatenare contro Baldessarro i cronisti precari del suo giornale, o sia una legittima difesa all’accusa di immobilismo di fronte al caso delle decine di giornalisti minacciati in Calabria, lo facciamo decidere a chi sta leggendo questa storia. Decidano anche, i lettori, se le analisi e le prese di posizione del segretario regionale dei giornalisti calabresi sul tema dei cronisti minacciati in Calabria siano corrette e limpide. A me corre l’obbligo di riportare la replica di Baldessarro, che il sito del sindacato calabrese ha pensato bene di censurare: «Dispiace la reazione di Carlo Parisi, segretario del sindacato al quale sono da sempre iscritto – ha affermato all’Ansa il giornalista – dispiace anche perché Parisi ben conosce la mia storia e la mia leale schiettezza. Non posso che prendere atto delle sue dichiarazioni. A cui aggiungo solo un’amara considerazione: da oggi come professionista di questa regione mi sento un po’ più solo». Roberto Rossi

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Inchieste

Grand Hotel Mineo “Deportati & C.” Il “villaggio della solidarietà”: affari sulla pelle degli emigranti Sulla strada statale Catania-Gela ci sono decine di cartelloni pubblicitari che ritraggono il “Mineo Residence” di proprietà della società Pizzarotti Parma. “Offriamo dal 1° aprile 2011 appartamenti confortevoli a 900 euro”, riportano le scritte rigorosamente in lingua inglese. Il prezzo è ottimo, davvero, si tratta di villette unifamiliari di 160 metri quadri di superficie, più giardino e barbecue, all’interno di un complesso residenziale di 25 ettari con tanto di campi da tennis, baseball e parco giochi per bambini. Sino allo scorso mese di dicembre il villaggio ospitava una parte del personale militare USA di stanza nella base aeronavale di Sigonella. Il Dipartimento della difesa ha deciso però di non rinnovare il contratto di leasing e pur di non chiudere il villaggio, Pizzarotti S.p.A. ha provato di affittare le 404 unità direttamente ai militari a canoni semi-stracciati, offrendo incluso un servizio navetta gratuito sino alla base. Conti alla mano, piazzando tutte le villette, dopo un anno sarebbero entrati in cassa poco meno di 4 milioni di dollari, un bel gruzzolo, ma meno della metà di quanto la società di Parma aveva strappato in passato al Pentagono. Gli americani a Mineo però non ci vogliono più stare e la super-offerta viene disertata. Mai disperare, però. Con l’“emergenza” sbarchi migranti ecco l’occasione per nuovi lucrosi affari. Quello che sino a ieri era il “Residence degli Aranci” viene ribattezzato “Villaggio della solidarietà” e il duo Berlusconi-Maroni concorda con Pizzarotti la conversione della struttura in “centro a quattro stelle” per immigrati-clandestini-richiedenti asilo, ecc. ecc.. Il battesimo è per domani 23 febbraio quando si avvierà la deportazione a Mineo di molti dei migranti che hanno raggiunto Lampedusa nei giorni scorsi e - nelle intenzioni del governo - finanche dei rifugiati e dei richiedenti asilo ospiti nei centri di prima accoglienza di tutta Italia. Con un’ordinanza di protezione civile firmata dal presidente del Consiglio, il prefetto di Palermo, Giuseppe Caruso, è stato nominato commissario straordinario per

l’emergenza immigrazione: potrà contare su 200 militari delle forze armate da impiegare sino al 30 giugno per la “vigilanza e la sicurezza” anti-migranti e su un milione di euro in cash per “l’avvio dei primi interventi” nel centro di Mineo. Un’impresa privata è già stata contatta per rafforzare i sistemi di controllo all’ingresso dell’ex “Villaggio degli Aranci”. In barba alle normative, non è stato esposto alcun cartello ad indicare la tipologia dell’opere, l’importo e il committente. Gli operai, debitamente sforniti di caschi, hanno lavorato pure per tutta la giornata di domenica, guardati a vista da quattro Marines USA e da una pattuglia della Military Police. È ai militari statunitensi che è affidata ancora la vigilanza del residence. “ La Marina lascerà il complesso di Mineo utilizzato dalle truppe di stanza a Sigonella, il prossimo 31 marzo, data in cui scadrà il contratto d’affitto”, spiega il portavoce regionale di US Navy, Timothy Hawkins. “Da parte del governo italiano o dei proprietari, non abbiamo ricevuto alcuna richiesta ufficiale di lasciare il villaggio prima del 31 marzo. Siamo impegnati a cooperare con i nostri partner italiani nel modo migliore e stiamo adempiendo ai nostri obblighi contrattuali con il locatore. Diversi tentativi di ottenere informazioni da parte del ministro degli Interni e da Pizzarotti & Co. sono rimasti senza risposta. Sebbene gli alloggi di Mineo siano stati svuotati, la polizia militare continuerà a controllare gli ingressi del complesso sino alla cessazione del contratto. La US Navy è incorsa in costi minimi per evacuare il complesso, buona parte dovuti alla movimentazione di attrezzature e materiali o per completare i servizi che vi svolgeva”. Sino a fine marzo, dunque, a controllare i deportati di Mineo, oltre alle forze dell’ordine e all’esercito italiano, ci penseranno pure i marines USA. “Ancora una volta è l’opzione militare a governare tragedie e dinamiche sociali internazionali a cui l’Italia contribuisce con le proprie scelte economiche dissennate”, è il commento di Alfonso Di Stefano della

Rete Antirazzista Catanese. “Alla ri-trasformazione di Lampedusa in una fortezza-prigione, all’invio di nuovi reparti militari lì come a Pantelleria, al rafforzamento dei dispositivi navali e di pattugliamento aereo si aggiunge adesso la “conversione” dei villaggi residenziali a centri di massima vigilanza. E se ciò non bastasse, spuntano come i funghi in Sicilia le stazioni radar fisse e mobili della Guardia di finanza in funzione anti-sbarco. Acquistati con fondi dell’Unione europea dalle aziende chiave del complesso militare industriale israeliano, i radar vengono installati all’interno di riserve e parchi marini, come è successo ad esempio a Capo Murro di Porco, Siracusa. Anche la proliferazione degli aerei senza pilota a Sigonella, a partire dai famigerati “Global Hawk”, risponde in parte alle logiche di repressione dei flussi di migranti nel Mediterraneo”. Tra i tanti “meriti” del governo anche quello di avere bypassato le comunità e gli amministratori interessati al piano “accoglienza”. Il Consiglio comunale di Mineo ha votato un ordine del giorno in cui denuncia la “mancata trasparenza delle istituzioni sovracomunali per il non coinvolgimento degli Enti Locali” e chiede spiegazioni al ministro Maroni “attraverso un rapporto dettagliato sulle reali finalità del probabile centro, sulla tempistica di adeguamento delle abitazioni e sui flussi dei migranti destinati al Villaggio della Solidarietà”. L’odg si conclude però invocando “tutte quelle misure necessarie a fugare i timori per i rischi di ordine pubblico conseguenti all’insediamento di migliaia d’immigrati, al fine di salvaguardare le esigenze della popolazione locale, delle attività produttive e degli imprenditori locali”. Il sindaco, Giuseppe Castania, dichiara di non essere mai stato informato né sul numero né sullo status delle persone che il governo trasferirà a Mineo e amplifica l’allarme sicurezza. “Il governo deve chiarire cosa intende fare per far convivere all’interno di un’unica struttura persone di provenienza, lingue e religioni differenti”, spiega Castania.

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Inchieste

“Ammassare migliaia di immigrati in quel posto potrebbe rivelarsi una scelta scriteriata, che creerebbe una grandissima sacca di emarginazione in un territorio già di per sé tormentato dall’elevato tasso di disoccupazione e di povertà”. Secondo il sindaco, a Roma ci sarebbe l’intenzione ad apportare modifiche strutturali all’interno del residence, in modo da ricavare 2.000 abitazioni ed ospitare fino a 7.000 persone. “Una situazione insostenibile, se si considera che il nostro Comune conta appena 5.000 abitanti”, aggiunge Castania. “Nel villaggio è possibile insediare invece fino ad un massimo di 1.938 abitanti, in rispetto delle norme sui volumi previsti dal piano d’insediamento”. Il complesso residenziale fu realizzato a fine anni ’90 con variante allo strumento urbanistico, autorizzata dalla Regione Siciliana, che prevedeva un vincolo di destinazione esclusiva per “insediamento residenziale a ambito chiuso per le famiglie del personale militare USA della base aeronavale di Sigonella”, come ricorda l’amministrazione di Mineo in una lettera di diffida inviata alla Pizzarotti e Banca Intesa San Paolo, l’istituto di credito che ha finanziato il progetto. “Il provvedimento esclude esplicitamente il cambio di destinazione d’uso e il nuovo piano regolatore adottato nel 2002 dal Comune ha mantenuto il vincolo per l’area”, aggiungono gli amministratori. “Qualora si addivenisse alla scelta di una destinazione diversa del residence si dovranno attivare le procedure occorrenti per ottenere dagli organi competenti le autorizzazioni dovute”. Da registrare infine l’ennesimo giro di valzer del governatore Raffaele Lombardo. Dopo il “sì” e il “nì” al “piano Mineo”, nelle ultime ore è giunto un “no” deciso. “Migranti e richiedenti asilo vanno ospitati in un territorio e in un ambiente nel quale ci sono opportunità di lavoro. Come la Lombardia o il Veneto”, afferma Lombardo. “Maroni mi ha comunque parzialmente rassicurato, confermandomi che al villaggio di Mineo non saranno destinati gli immi-

grati giunti nelle ultime settimane sulle sponde siciliane. Si prevede, invece, di ospitare i richiedenti asilo, per il tempo necessario alla valutazione dell’istruttoria. Nel residence non ci saranno militari, ma la Caritas e la Croce Rossa ”. L’ennesimo gioco delle parti. Con la bugia, enorme, che a presidiare i richiedentidetenuti ci saranno i volontari e non le forze armate. Mentre buona parte dell’associazionismo siciliano pro-migranti assiste in silenzio agli osceni sviluppi della vicenda, dal Friuli Venezia Giulia è giunta la dura posizione della Tenda della pace e dei Diritti. “Il residence di Mineo sorge in un’area isolata e si pone quindi come perfetta congiunzione nella guerra globale, dal sostegno ai conflitti, alla gestione dei flussi migratori attraverso politiche di detenzione e ghettizzazione”, scrive l’organizzazione. “Si tratta di un enorme business creato ad arte sulla pelle, la vita e la morte delle persone. Ancora una volta il governo potrebbe cogliere l’occasione di sfruttare lo “stato di emergenza” per perseguire i propri fini. La costruzione dei CpT ora Centri di identificazione ed espulsione (CIE) ha eluso le normali procedure di realizzazione di opere pubbliche riferendosi ad una legge sullo stato di emergenza. Forse riferendosi all’orda dei tunisini che ci stanno invadendo il governo riuscirà ad ottenere con tempi rapidi l’apertura di nuovi CIE, basterà girare la chiave alle porte dei CARA, i Centri di accoglienza rifugiati e richiedenti asilo”. Perplessità e preoccupazioni sulla decisione di trasferire nel piccolo centro siciliano i richiedenti asilo ospitati nei vari centri di protezione disseminati in quasi 100 comuni italiani sono state espresse pure dall’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (UNHCR) e dal Consiglio italiano rifugiati (CIR). “Una soluzione del genere significherebbe sradicare persone e famiglie che hanno già avviato un percorso di integrazione e trasferirle in un luogo dove queste condizioni non sussistono”, ha dichiarato la portavoce UNHCR, Laura Boldrini. “È sorprendente che per far posto agli ul-

timi immigrati arrivati dalla Tunisia, che sono per lo più migranti economici, si vada a intaccare e a mettere in discussione l’intero sistema di asilo, che, sia pur con dei limiti, è funzionante. Si finirebbe inoltre per stravolgere l’equilibrio dei centri di accoglienza, rallentando ancor di più il lavoro di accertamento che precede la concessione dell’asilo da parte delle “Commissioni Territoriali”. In una lettera inviata al ministro Maroni, il CIR sottolinea come il “concentramento” di rifugiati o richiedenti asilo in una grande struttura “rappresenterebbe il contrario dell’attuale sistema di protezione coordinato dall’Anci in accordo con il ministero dell’Interno che prevede decentramento, ospitalità in piccoli centri, coinvolgimento degli enti locali e delle associazioni”. “Già una volta, nella primavera del 1999, 5.000 sfollati kosovari furono ospitati nella ex base Nato di Comiso in Sicilia e inevitabilmente in poco tempo la situazione divenne totalmente ingovernabile”, scrivono ancora i rappresentanti del CIR. “Chiediamo un ripensamento sull’utilizzo del Villaggio degli Aranci di Mineo che potrebbe effettivamente servire come centro di smistamento e prima identificazione delle persone solo per un limitatissimo periodo di accoglienza in caso di arrivi massicci dal nord-Africa, caso che non è affatto da escludersi considerando anche l’attuale situazione in Libia”. Contro le accoglienze-detenzioni dei cittadini africani in fuga si schierano invece la Commissione episcopale per le migrazioni (Cemi) e la Fondazione Migrantes. Ponendo la necessità di imboccare “percorsi strutturali politici e sociali di integrazione” per chi arriva in Italia, le due organizzazioni chiedono di valutare la possibilità di “un decreto flussi straordinario per offrire regolarmente un lavoro agli immigrati”. Una richiesta semplice e sostenibile che minerebbe gli interessi dei profittatori dell’Emergenza Migranti SpA. Antonio Mazzeo

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Sbarchi

A Ragusa abbordaggio tra gli spari Ombre sul ferimento di un cittadino egiziano sbarcato sulle coste ragusane. Il migrante è stato colpito da un proiettile esploso da un militare della Guardia di Finanza, nella notte tra il 14 e 15 febbraio nel mare antistante le coste. Nella notte un peschereccio battente bandiera egiziana, con 64 migranti, si stava avvicinando alla terraferma, tra Caucana e Capo Scalambri, a Marina di Ragusa, quando le forze dell'ordine italiane, anche grazie all'aiuto di un mezzo aereo, lo hanno individuato. Dopo l'avvicinamento del mezzo straniero da parte dei mezzi della Guardia di Finanza inizia un inseguimento, da quanto riportato dalle forze dell'ordine. Nelle fasi concitate i militari hanno più volte intimato l'alt, senza però ottenere risultati, a questo punto i finanzieri hanno sparato in aria, da quanto affermato dal maggiore Massimiliano Pacetto della Guardia di Finanza. Secondo le fonti ufficiali a seguito dei colpi di arma da fuoco sparati in aria, accidentalmente è stato ferito al braccio un ragazzo di 25 anni presente sul peschereccio egiziano. L'altro ieri le forze dell'ordine avevano additato la vittima come presunto scafista, notizia che tuttavia è stata smentita dalle stesse forze dell'ordine. I punti non chiari sembrano due: qual'è stata la traiettoria del proiettile sparato dal finanziere? Il maggiore Pacetto sostiene che il colpo sparato in aria, a causa del mare forza 5 e della concitazione sia arrivato accidentalmente al braccio del giovane

ragazzo. Sulla base di quali indizi il ragazzo ferito è stato, in un primo momento, accusato di essere parte dell'equipaggio del peschereccio battente bandiera egiziana per poi essere liberato dall'accusa? Intanto, le forze dell'ordine hanno arrestato tre presunti scafisti che sono stati trasferiti presso l'Istituto Penitenziario di Ragusa. Dei tre arrestati sono stati trovati due documenti di riconoscimento che indicherebbero la professione: pescatori. Questo elemento potrebbe confermare la tesi che il fenomeno del traffico di migranti sta cambiando. Forse dietro questi sbarchi non ci sono grandi organizzazioni criminali ma pescatori improvvisatisi trafficanti di uomini. All'interno dell'imbarcazione sono stati trovati altri documenti che potrebbero essere importanti pure per capire l'eventuale esistenza di basisti locali. Intanto arrivano buone notizie da Modica: il giovane egiziano colpito al braccio è tornato in buona salute ed è stato dimesso ieri dall'ospedale Maggiore di Modica; con molta probabilità il migrante è stato già trasferito presso la struttura di Pozzallo, che ospita altri 150 immigrati. Nel sud est siciliano i migranti sbarcati sono stati trasferiti

pure a Rosolini, piccolo comune del siracusano.La situazione nella tensostruttura che ospita i tunisini sembra tesa. Infatti, molte sono state le fughe nella giornata di martedì. Alcuni degli immigrati sono stati recuperati nei dintorni, altri non sono stati ancora rintracciati. Da quanto riportato da alcuni volontari della protezione civile pare che la situazione all'interno della struttura sia poco serena. I migranti si chiedono dove finiranno, quale sarà il loro futuro. Tra i vari arrivi si registrano pure quelli di alcuni minorenni. Questi pare che abbiano trovato alloggio a S. Croce Camerina, nel ragusano, presso una palestra. Intanto, il mare sembra non portare altri migranti. Francesco Ruta Giorgio Ruta

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Turismo

La mia Siracusa “A quale Sicilia appartengo?”. Molti stranieri se lo chiedono, arrivando qui. Ed ecco una delle possibili risposte... Sono convinta che non si nasce scrittore, neanche si nasce spazzino: si diventa scrittore o spazzino. Allo stesso modo, non si nasce siciliano: si diventa siciliano. Io ho scelto di diventare siciliana. È una di quelle decisioni sufficientemente trascendenti da prenderle irriflessivamente, in un impulso amoroso che non ammette tornare indietro, ne pusillanimi pentimenti. Non c’è documento ufficiale: soltando la mia determinazione, la mia libertà al di là delle gabbie identitarie che vogliono imporci. Ma, comunque, una scomoda domanda formulata da voci ironiche o ciniche, rimane aperta: a quale Sicilia appartengo io? A quella che esiste nella splendente ed aristocratica letteratura di Lampedusa? A quella del silenzio ontologico della Valle dei Templi? A quell’altra dell’omertà e lo sguardo obliquo? Quella della retorica di Gorgia o quella dell’eroico Empedocle gettandosi nei criptichi fuochi dell’Etna? Conosco la Sicilia (il linguaggio è una trappola: la Sicilia non si conosce mai) da molte lune e molti dolori. Molto più di quelli di “venti anni non sono niente” del tango di Gardel…E venti anni, cari amici, è troppo. A volte è una vita di andata e ritorno. La mia prima destinazione è stata Siracusa. Sono arrivata lì prima che sbarcassero le prime manciate di turisti giapponesi devoti delle rovine archeologiche. Da allora è corsa molta acqua sotto i ponti della vita, ma la verità semplice è che quando mi trovo di fronte alla memoria di quei ricordi siracusani, è come se fossero abitati da fantasmi liquidi (quasi tutte le persone che hanno condiviso la loro esperienza con me due decade fa sono, infatti, fantasmi ai quali il tempo ha steso un certificato di cenere e polveri), sono stati sciolti con la stessa tenacia e diligenza del cucchiaino di miele che addolcisce il mio caffè con latte di ogni mattina.

Siracusa non appariva negli itinerari turistici. Per essere precisi, neanche la Sicilia si mostrava negli itinerari turistici, un dettaglio che causava perplessità ai non-iniziati: come si poteva vivere a Trinacria ed avere ancora lo spirito di raccontarlo? Trinacria… centro del mondo conosciuto quando il mondo era molto più piccolo di adesso e finiva in Finisterre. L’unico centro turistico ufficiale era Taormina, dove i tedeschi somatizzavano da anni i loro terribili inverni di Sassonia e di Turingia. Da Düsseldorf si noleggiavano voli charter –le compagnie aeree low cost non avevano scoperto –ed imposto- la via della seta attraverso insondabili aeroporti secondari-. A Taormina centinaia di tedeschi passeggiavano con disinvoltura di lustri per gli stretti vicoli ed i resti del teatro greco. Punto finale. Ecco qua tutto il turismo dell’isola. Pertanto, Siracusa era un gioiello, a modo suo, letale e cieco, nel quale io ero l’unica straniera. Un lusso, devo dire se guardo indietro e vedo gli effetti irreversibili della globalizzazione. Sono arrivata per la prima volta il giorno che cominciava la Guerra del Golfo. I soldati avevano trasformato l’aeroporto di Catania in una estemporanea ed improvvisata trincea, formata da sacchi deformi dai quali spuntavano le punte di armi pesanti e contundenti con i loro obiettivi fissi nella popolazione civile –senz’altro non c’e male come inno di benvenutoLe valige, naturalmente, non sono arrivate, e soltando la diligenza di un impiegato che con certezza veniva d’un altro pianeta, aveva fatto possibile che il giorno dopo trovassi, contra ogni pronostico avverso, le mie valige davanti la porta del piccolo giardinetto. L’Etna, come succede spesso, aveva avuto una cattiva notte e regalava “urbi et orbi” qualche tremore che gli abitanti della casa constatavano con gesto menefreghista. Non erano stridori tellurici; appena un inca-

stro sulle pareti che si spaccano davanti all’indifferenza di tutti. Fra la città e me nacque subitamente un rapporto d’intimità, perche io mi sentivo abbandonata alla sua estetica attrabiliaria, affascinata da una bellezza che si doveva cercare fra il rumore ed il caos. I pali della luce, in virtù di un'urbanistica sciatta, erano situati a volte nel mezzo di un incrocio, e le macchine li schivavano con spontaneità e distacco –l’”europeizzazione” ha gestito il miracolo dell’omogeneità, peccato-. Ho visto perfino automobili parcheggiate non solo sopra il marciapiedi –qualcosa comune nelle nostre abitudini maditerranee- ma anche sopra alle scale di accesso alle case. I semafori erano un ornamento ubicuo e lo scarso effetto del colore rosso sulla popolazione portava a pensare ad un serio problema di daltonismo. Tutti quegli elementi dispersi c’erano dentro di me: le luci rosse impazzite, il caos come oracolo, cartografia essenziale e pietra fondazionale, i residui del passato e relitti di naufragi futuri…Il paesaggio siracusano anticipava nell’orizzonte della mia alinea vitale quello che doveva essere scoperto e messo a posto. Un atto di appropriazione. Ci voleva proprio un attimo d’amore: questo caos mi piaceva, ed anche la pioggia rovinando la vecchia e dimenticata casa di Vittorini, l’antico e lussurioso aroma dei limoni, l'archeologia nei fastosi spazi di uno dei musei più belli del mondo…e quel tassista che, anni dopo, gesticolava adiratamente perché non capiva che una persona “normale” volesse spostarsi a Porto Palo, e brontolava che non c’era niente da fare lì, un paesino che non amavano neanche i pescatori autoctoni. E brontolando siamo arrivati al confine meridionale, dove la parola “sopravvivenza” non è soltando un sostantivo singolare: piuttosto un scherzo del destino. Tuttavia, questa è già una altra storia. Natalia Fernández Díaz

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Lavori in corso Napoli, marzo 2011

Premio reportage Napoli Monitor “Napoli Monitor” è un mensile indipendente che esce con regolarità dal gennaio del 2007. È distribuito tra Napoli e provincia, e in alcune librerie delle principali città italiane. Ha una redazione nei Quartieri Spagnoli a Napoli, in via Concordia 72, e un blog (www.napolimonitor.it). Il giornale si finanzia con le vendite, gli abbonamenti, la pubblicità e l’appoggio dei sostenitori. Sul giornale di carta ci sono molti disegni, su quello in rete anche molte fotografie. Il reportage è il genere che pratichiamo più assiduamente. Per chi dispone di pochi mezzi il modo migliore per raccontare una storia è quello di fidarsi dei propri sensi: andare a vedere con i propri occhi, ascoltare con le proprie orecchie, toccare con mano. Per noi il reportage è quella cosa a metà tra giornalismo e letteratura che ci consente di descrivere la realtà con sufficiente libertà e ci chiede in cambio responsabilità, precisione e profondità. Con questo bando vogliamo condividere la nostra ricerca e promuovere la conoscenza critica del mondo che ci circonda. Il concorso è per tre diverse forme di reportage: scritto, fotografico, disegnato. Termine invio elaborati: 4 marzo 2011. Ogni partecipante potrà concorrere in una sola delle tre sezioni, con un solo elaborato per sezione. Ammessi anche lavori non inediti e candidature collettive. - Per la sezione “reportage scritto”, testi fra 12mila e 20mila battute (spazi inclusi). - Per la sezione “reportage fotografico”, 20 foto a colori o bianco/nero, jpg, con breve testo introduttivo (max 3mila battute). - Per la sezione “reportage disegnato” sono ammesse opere in formato A4 da un minimo di 8 a un massimo di 30 pagine. Le opere devono essere inviate via e-mail all’indirizzo napolimonitor@yahoo.it in formato Pdf per i testi e jpg (provvisoriamente anche in bassa risoluzione) per le fotografie e i disegni, riportando nell’oggetto la dicitura “PARTECIPAZIONE PREMIO REPORTAGE NAPOLI MONITOR”. Va allegata una scheda di presentazione autore con: nome e cognome/ data e luogo di nascita/ brevi notizie autobiografiche/ domicilio/ recapito telefonico/ indirizzo email/ dichiarazione con cui si attesti: la piena paternità dell’opera, l’assenza di diritti detenuti da terzi e di vincoli di copyright, il consenso al trattamento e alla comunicazione dei propri dati personali unicamente per

gli scopi inerenti al concorso. I promotori si riservano il diritto di usare articoli, foto e disegni pervenuti per la costituzione di un archivio e per la realizzazione di materiale illustrativo per promuovere il premio e le iniziative collegate. Il materiale inviato non sarà restituito. La giuria è composta da tre giurati, uno per sezione. La redazione di “Napoli Monitor” procederà a una preselezione , sottoponendo ai giurati tre opere per ogni sezione. Tra queste, ciascun giurato sceglierà il vincitore. I giurati sono: per i testi Riccardo Orioles, per la fotografia Antonio Biasiucci, per i disegni Oreste Zevola. Premi: Sezione reportage scritto: Un buono libro da 300 euro da spendere nelle librerie “Il Punto”, “Librido” e “Perditempo” nel centro storico di Napoli; la pubblicazione in un inserto speciale di Napoli Monitor; Sezione reportage fotografico: Una mostra di sette giorni presso la galleria “Overfoto” di piazza Bellini, Napoli. Sezione reportage disegnato: Una mostra di sette giorni presso la galleria “Hde” di piazzetta Nilo, Napoli. La premiazione avverrà a Napoli nell’ambito di una settimana di incontri, proiezioni e dibattiti su “Chi racconta la città”, che si svolgerà a marzo 2011. I nomi dei vincitori saranno resi noti entro il 10 marzo sul sito di Napoli Monitor e tramite e-mail. http://napolimonitor.wordpress.com/2010/1 2/06/premio-reportage-napoli-monitor/

Roma, 12, 26 e 27 marzo

Workshop su documentario sociale Scrittura, realizzazione e tecniche Conduce l'evento: Pietro Orsatti

L’immagine e il racconto non sono oggetti neutri. La narrazione di un processo sociale, la descrizione dei luoghi, della memoria e delle persone non si possono fermare a un, seppur complesso, processo estetico. Un documentario che intenda essere narrazione sociale, rappresentazione della realtà, diventa inevitabilmente politico. “Perché la politica è tutto, è quello strumento che vi permette oggi di essere qui. Ora”. (Frei Betto nel documentario Utopia Luar di P. Orsatti) Il workshop Il wokshop intende fornire una base di lavoro, su un progetto produttivo pratico, che unische tecniche di ripresa, scrittura e montaggio fondendo il mezzo visivo con il lin-

guaggio giornalistico e una scrittura letteraria. Con attenzione ai nuovi mezzi di ripresa e documentazione. Non solo video. Il workshop si svolgerà in due fine settimana. Si baserà su interventi pratici e la costruzione di un progetto di documentario. La realizzazione di un breve lavoro documentaristico collettivo sarà destinata a una distribuzione sulla testata Gliitaliani.it e a presentazioni e proiezioni pubbliche. Programma Introduzione teorica Racconto, reportage,e inchiesta L’intervista L’immagine e il linguaggio La preparazione La produzione Tecniche di ripresa Tecniche di scrittura I nuovi mezzi e la costruzione di un linguaggio ibrido Le riprese L’audio Il montaggio Realizzazione di un progetto collettivo dalla scrittura alle riprese fino al montaggio e all’editing finale Dove, quando, quanto Sede del Workshop: Roma - c/o L’Isola che c’è - via Efeso 2/a (metro S. Paolo) Orari (totale 20 ore): sabato 12 marzo: ore 15.00-19.00 domenica 13: 10.00-13.00 e 14.30-17.30 sabato 26: 15.00-19.00 domenica 27: 10.00-13.00 e 14.30-17.30 Costo: 150 euro Organizzazione e prenotazioni Associazione Culturale EleMentiConTorti http://elementicontorti.blogspot.com elementicontorti@gmail.com 340.4902505 Scheda/ Pietro Orsatti Regista, giornalista, scrittore e autore teatrale. Ha lavorato per numerose testate giornalistiche italiane e estere. Ha lavorato presso il gruppo parlamentare verde e in associazioni ambientaliste come Legambiente e Friends of the Earth. Ha realizzato progetti web e campagne per ActionAid, ANCI, Un ponte per…, Ricerca e Cooperazione. Impegnato per anni come collaboratore e redattore di numerose testate giornalistiche su ambiente, società e esteri. Ha pubblicato, fra gli altri, per: Diario, Il Manifesto, Ag. Dire, L’Unità, Editoriale la Repubblica, Carta, La Nuova Ecologia, Arancia Blu, Modus, Liberazione. Ha collaborato con la Rai, Telesur, RedeBras e RadioPop. Collabora con Liberazione, PeaceReporter, Avvenimenti, AntimafiaDuemila, Dazebao, PeaceLink e Arcoiris.tv. E’ stato redattore di Left, collaboratore di Terra, EcoTv, TeleJato, AntimafiaDuemila, Agoravox.it. E’ fondatore del progetto editoriale de Gli Italiani – www.gliitaliani.it - di cui è anche coordinatore.

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Lavori in corso

12-13 marzo 2011 Al G.A.P.A. - via Cordai 47, Catania

WORKSHOP “LIBERA STAMPA IN LIBERO SOFTWARE” Due giorni di lavori per trattare i temi relativi all'utilizzo di un'informatica libera per chi vuole fare informazione dal basso. Gli incontri, in programma l'11 e il 12 marzo, consisteranno in lezioni ed esercitazioni sull'uso di programmi di videoscrittura, impaginazione, elaborazione delle immagini, grafica vettoriale e creazione di siti web

“Libera stampa in libero software” è la nuova parola d'ordine lanciata dall'associazione giornalistica “Lavori in corso”. All'appello hanno subito risposto giornali, redazioni web e singoli operatori dell'informazione che lavorano in tutta la Sicilia e che hanno deciso di coordinarsi in rete nel preciso impegno di muoversi sul terreno dell'antimafia, dell'impegno sociale e del giornalismo d'inchiesta, in opposizione al monopolio della disinformazione proposto dall'attuale blocco economico-mafioso-editoriale che controlla il territorio dell'intera regione. Compagno di viaggio di questa avventura non poteva che essere il software libero, un valido strumento di lavoro che permette di essere utilizzato senza l'obbligo di pagare il pizzo della licenza d'uso; già pochi anni fa, grazie a Lucio Tomarchio e Graziella Proto, era stato utilizzato per Casablanca, il primo giornale non specialistico in Italia interamente realizzato con Linux. Esso si dimostra aperto alle esigenze di lavoro cooperativo tra le diverse realtà informative siciliane essendo perfettamente adattabile a modelli di impaginazione comuni. E ciò rende possibile la creazione di prodotti immediatamente riconoscibili, lo scambio e la pubblicazione veloce di materiali, notizie, articoli ed interi servizi proposti da altri in una logica, quindi, di rete.

Già sono stati creati degli esempi di pubblicazioni liberamente scaricabili da web (anche da parte di chi non fa già parte della rete) in cui basta sostituire testi e immagini con il semplice programma di videoscrittura proposto da OpenOffice. A dare aiuto al progetto interviene il GNU/Linux User Group di Catania che propone, con Lavori in corso, un workshop che dia subito la possibilità di passare all'uso del software libero. Il workshop fa parte di una serie di iniziative che proseguirà (su temi diversi) in altre realtà dell'isola. Inoltre si sta programmando una successiva proposta formativa che insegni a padroneggiare i nuovi strumenti offerti dalla tecnologia più recente. Per iscriversi inviare entro il 5 marzo la scheda di adesione a redazione.lavoriincorso@gmail.com La scheda è scaricabile da www.ucuntu.org All'invio della richiesta si adesione, si prega di far seguire una telefonata di conferma al numero 320/0861081 E' richiesto un contributo di 5 €. Il corso si svolgerà a Catania in via Cordai, 47. Si consiglia di portare un computer portatile. Info: 320/0861081 Associazione “Lavori in corso” e GNU/Linux User Group di Catania

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Per finire

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Per finire

Antonio Gramsci spiega la crisi della Fiat La Fiat ha perduto la sua battaglia. Questo fatto dipende forse da una momentanea defaillance della capacità tecnica dei costruttori della Fiat o da una rimediabile disorganizzazione dell'industria, o da un inizio di decadenza senza rimedio? I capi della Fiat erano allora veramente "capitani dell'industria", esperti, sagaci, arditi e prudenti nello stesso tempo. In che cosa li ha trasformati la guerra? In cavalieri d'industria. Essi hanno abbandonato la tradizione degli anni passati per cercare fortuna nel campo della speculazione più temeraria, nei giuochi di banca più pericolosi. Si aggiunga che innumerevoli industrie sorsero durante il conflitto mondiale, che aggruppamenti potentissimi di finanzieri si formarono nell'intento di conquistare industrie, banche, mercati. S'iniziarono per conseguenza lotte furibonde a colpi di milioni. Si cominciò a cercare nella speculazione l'arma che permettesse di resistere agli avversari, si tentò con artifizi di borsa di far fallire i piani minacciosi dei concorrenti... La Fiat non è rimasta estranea a queste competizioni. L'attività del comm. Marchionne, in altri tempi rivolta a migliorare il funzionamento dell'azienda industriale, è rimasta quasi completamente assorbita

dalle manovre dei gruppi di banchieri, che si assaltavano a vicenda... L'uomo, il grande capitano d'industria, si è infiacchito rapidamente. I suoi nervi scossi violentemente dalla continua tensione gli hanno tolta la lucidità di mente, la freddezza necessaria per chi sta a capo di una grande azienda. Mentre la concorrenza industriale si trasformava in una rovinosa competizione di gruppi bancari, il capitano d'industria si trasformava fatalmente in speculatore, in cavaliere d'industria. A questo punto è cominciata la decadenza della Fiat. Marchionne, il liberale Marchionne, scosso da tante fatiche, con un colpo di testa rinunciava alla simpatia degli operai adottando una politica reazionaria verso le maestranze. Per sbarazzarsi dei comunisti non ha più tenuto conto né dell'organizzazione tecnica degli stabilimenti né delle esigenze molteplici dell'industria. Molti fra i migliori operai furono licenziati per scuotere le basi dell'organizzazione operaia d'officina. In molti reparti vennero a mancare gli elementi tecnicamente più capaci, i più esperti produttori. I non licenziati, profondamente colpiti nelle loro idealità dalla reazione

furente, sotto la minaccia del licenziamento, costretti a lavorare in un'atmosfera di reciproca diffidenza, furono messi in condizione pessime per la continuità e per la bontà della produzione... I capitalisti, impegnati nei giochi di borsa, non potevano rinunciare neppure ad una parte dei loro profitti per trarre da questa condizione gli operai. Cercarono perciò di rimediare con la reazione. S’illusero che allontanando migliaia e migliaia di operai dalle officine, ristabilendo l’autorità assoluta del padrone, stringendo i freni, rendendo inflessibile la disciplina, le industrie potessero riprendere il loro andamento normale. Errore grave. Trascurata la riorganizzazione del dopoguerra, eliminati elementi insostituibili, generata la sfiducia e il malcontento nell’animo degli operai, la produzione si fece più scadente.Oltre la crisi un altro grave pericolo minaccia la Fiat: la decadenza. Sostituite la parola "Agnelli" alla parola "Marchionne" e ritroverete il testo esattamente come fu scritto dal preveggente Gramsci su "L'Ordine Nuovo" del 6 settembre 1921.

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Italiani AUTOPRODUZIONI

I volti del Primo Marzo

Voci da un'altra Italia Marotta&Cafiero editori Un lunedì di marzo, tiepido perché riscaldato da un raggiante solo siciliano: uomini, donne, bambini, studenti, lavoratori, corpi che si muovono tra le strade dell'isola, da Siracusa a Catania. E' una manifestazione: il primo marzo dei migranti che vivono e lavorano in Italia. Lo sciopero, il grido di protesta e di aiuto, le storie, la quotidianità, raccontati nell'arco di ventiquattro ore, dalle prime luci dell'alba alla notte. Francesco Di Martino, Giuseppe Portuesi, Giorgio Ruta, Massimiliano Perna e Rosario Cauchi descrivono, tra le parole e immagini di questo lavoro, una giornata dedicata all'altra Italia: quella che non occupa gli spazi televisivi, quella che si muove con discrezione, quella che accetta “i lavori che gli italiani non vogliono più fare”, quella che si sveglia di notte per 20 o trenta euro. Una manifestazione illustrata andando anche oltre le strade che ha attraversato, con approfondimenti generati dalla cronaca e dalle inchieste relative a i migranti che continuano a scegliere la Sicilia per rifarsi una vita e per avere un lavoro. Il tentativo di ricostruire una dimensione, troppo spesso occultata da una penombra talmente opprimente da imporre il silenzio a chi decide di dire basta e di richiedere gli stessi diritti riconosciuti agli altri italiani. Il testo, insieme al progetto che ne sta alla base e che voi stessi potete sostenere diventandone co-produttori, contiene la cronaca, narrata e fotografata, di quel primo marzo del 2010 e di tante altre storie d'immigrazione. L'altra Italia, quella che non viene raccontata ma che esiste e chiede dignità.

La produzione dal basso è partita:

www.produzionidalbasso.com/pdb_562.html www.ilclandestino.info/primomarzo/

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Italia

Il silenzio dei padri Non solo il cavaliere, non solo le ragazzine, non solo le maitresse e gli adulatori, non solo gli amici travestiti da maggiordomi, le procacciatrici di sesso, i dischi di Apicella e la lap dance in cantina: in questa storia da basso impero ci sono anche i padri. E sono l’evocazione più sfrontata, più malinconica di cosa sia rimasto dell’Italia ai tempi di Berlusconi. I padri che amministrano le figlie, che le introducono alla corte del drago, le istruiscono, le accompagnano all’imbocco della notte. I padri che chiedono meticoloso conto e ragione delle loro performance, che si lagnano perché la nomination del Berlusca le ha escluse, che chiedono a quelle loro figlie di non sfigurare, di impegnarsi di più a letto, di meritarsi i favori del vecchio sultano. I padri un po’ prosseneti, un po’ procuratori che smanacciano la vita di quelle ragazze comese fossero biglietti della lotteria e si aggrappano alle fregole del capo del governo come si farebbe con la leva di una slot machine... Insomma questi padri ci sono, esistono, li abbiamo sentiti sospirare in attesa del verdetto, abbiamo letto nei verbali delle intercettazioni i loro pensieri, li abbiamo sentiti ragionare di arricchimenti e di case e di esistenze cambiate in cambio di una sveltina delle loro figlie con un uomo di settantaquattro anni: sono loro, più del drago, più delle sue ancelle, i veri sconfitti di questa storia. Perché con loro, con i padri, viene meno l’ultimo tassello di italianissima normalità, con loro tutto assume definitivamente un prezzo, una convenienza, un’opportunità. Ecco perché accanto ai dieci milioni di firme contro Berlusconi andrebbero raccolti altri dieci milioni di firme contro noi italiani.

Quelle notti ad Arcore sono lo specchio del paese. Di ragazzine invecchiate in fretta e di padri ottusi e contenti. Convinti che per le loro figlie, grande fratello o grande bordello, l’importante sia essere scelte, essere annusate, essere comprate. Dici: colpa della periferia, della televisione, della povertà che pesa come un cilicio, della ricchezza di pochi che offendecomeuno sputo e autorizza pensieri impuri. Balle. Bernardo Viola, voi non vi ricordate chi sia stato. Ve lo racconto io. Era il padre di Franca Viola, la ragazzina di diciassette anni di Alcamo che, a metà degli anni sessanta, fu rapita per ordine del suo corteggiatore respinto, tenuta prigioniera per una settimana in un casolare di campagna e a lungo violentata. Era un preludio alle nozze, nell’Italia e nel codice penale di quei tempi. Se ti piaceva una ragazza, e tu a quella ragazza non piacevi, avevi due strade: o ti rassegnavi o te la prendevi. La sequestravi, la stupravi, la sposavi. Secondo le leggi dell’epoca, il matrimonio sanava ogni reato: era l’amore che trionfava, era il senso buono della famiglia e pazienza se per arrivarci dovevi passare sul corpo e sulla

dignità di una donna. A Franca Viola fu riservato lo stesso trattamento. Lui, Filippo Melodia, un picciotto di paese, ricco e figlio di gente dal cognome pesante, aveva offerto in dote a Franca la spider, la terra e il rispetto degli amici. Tutto quello che una ragazza di paese poteva desiderare da un uomo e da un matrimonio nella Sicilia degli anni sessanta. E quando Franca gli disse di no, lui se l’andò a prendere, com’era costume dei tempi. Solo che Franca gli disse di no anche dopo, glielo disse quando fece arrestare lui e i suoi amici, glielo urlò il giorno della sentenza, quando Filippo si sentì condannare a dodici anni di galera. Il costume morale e sessuale dell’Italia cominciò a cambiare quel giorno, cambiò anche il codice penale, venne cancellato il diritto di rapire e violentare all’ombra di un matrimonio riparatore. Fu per il coraggio di quella ragazzina siciliana. E per suo padre: Bernardo, appunto. Un contadino semianalfabeta, cresciuto a pane e fame zappando la terra degli altri. Gli tagliarono gli alberi, gli ammazzarono le bestie, gli tolsero il lavoro: convinci tua figlia a sposarsi, gli fecero sapere. E lui invece la convinse a tener duro, a denunziare, a pretendere il rispetto della verità. Tu gli metti una mano e io gliene metto altre cento, disse Bernardo a sua figlia Franca. Atto d’amore, più che di coraggio. Era povero, Bernardo, più povero dei padri di alcune squinzie di Arcore, quelli che s’informano se le loro figlie sono state prescelte per il letto del drago. Ma forse era solo un’altra Italia. Claudio Fava

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Robivecchi

Un giudice galantuomo “Ingiustizia sarà fatta. In base al principio per il quale la forma è sostanza. Questa è la legge. Non c'è regola più vera come questa e non c'è regola che in egual misura non riesca a giustificare talvolta la fine di ogni sostanza e di ogni logica. Perfino di ogni evidenza. E' il caso della recente e strana storia di Giambattista Scidà...”. Che succede? Che cos'è questa storia? Di quand'è questo articolo? Niente: succede che i sostenitori del Sistema catanese ce l'hanno, come al solito, col giudice Scidà. E l'articolo, in cui Roccuzzo da par suo mette le cose a posto, è di dieci anni fa. Povera vecchia Catania, che non cambi mai...

...Giambattista Scidà, un giudice della Repubblica, un alto magistrato presidente del Tribunale per i minorenni di Catania, prossimo alla pensione e in procinto di essere trasferito dal Csm dalla sua sede per "incompatibilità ambientale" con il Tribunale nel quale ha servito fedelmente la legge per quarant'anni. Sfidando il contesto giudiziario, le pigrizie culturali, gli ossequi e sfidando la regola di una sostanziale tregua tra poteri che laggiù ha reso impuniti per decenni i grandi potentati e i mafiosi. Giambattista Scidà, nome e cognome di cui pochi italiani hanno mai sentito parlare e di cui poco sentiranno parlare in futuro, appartiene a quella storica minoranza di giudici siciliani che ha tenuto la schiena dritta durante la sua lunga carriera nel difficile distretto di Corte d'appello di Catania e in particolare durante il difficile ventennio 1980-2000. A Catania è stato un esercizio difficile e raro, nell'ultimo scorcio dello scorso secolo, tenere la schiena dritta e la coscienza a posto. E proprio per questo, forse, Scidà sarà trasferito, perché è - appunto - "incompatibile con il contesto". Verrebbe da dire: ha fatto bene la prima commissione referente - competente in materia - ad approvare unanimemente una relazione che chiede al plenum di trasferire

per "incompatibilità" da Catania un giudice onesto fino all'ossessione. Scidà stia allegro: il trasferimento sarà per lui un titolo di merito da mettere in coda al suo lungo e prestigioso curriculum. E fa bene il Csm a cancellare dal distretto quella eccezione che conferma la regola: via chi rompe le scatole. *** Varrà dunque la pena di spiegare, a partire da Scidà, questo benedetto formalismo che rende - nello stesso tempo e nella stessa epoca - formalmente compatibili ad esempio queste due decisioni (per carità: diverse e senza nessun legame tra loro) adottate recentemente dal Consiglio superiore della magistratura: Claudio Vitalone riammesso a furor di popolo e con tante scuse in Cassazione e Giambattista Scidà cacciato dalla sede giudiziaria nella quale ha servito lo Stato senza fare carriera, né salotto, né essere mai approdato a incarichi politici o senza aver mai percepito prebende, arbitrati o semplici sorrisi e ammiccamenti da alcuno. Un giudice senza Potere, ma forte solo della legge e della coscienza a posto. Per intanto, rispondiamo alle due domande di ogni buona cronaca: chi è questo Giambattista Scida? E quale condotta "incom-

patibile" gli viene rimproverata formalmente dal Csm, sulla base di esposti giunti a palazzo dei Marescialli? Partiamo dalla seconda domanda (e mi scuserete della prosaicità di piccoli eventi qui di seguito riportati). Primo: "Scidà ha un carattere autoritario e ha creato nel suo ufficio un clima di ostilità". Oggetto delle principali lamentele sul brutto carattere in questione? Il fatto che il presidente Scidà intenda chiudere le udienze ad ora troppo tarda o troppo presto e dunque rigidamente. Insomma: i tempi della giustizia non li può stabilire d'imperio il capo di un ufficio. Prima incolpazione. Secondo: Scidà, come è nei compiti del suo ufficio, ha dato parere sfavorevole al trasferimento di una giudice del suo tribunale, "palesando un comportamento persecutorio nei confronti della stessa". Terzo e più importante addebito, nel merito professionale (in verità, un addebito assai onorevole per un giudice minorile): quattro anni fa, Scidà si rifiutò di rivelare il luogo dove era stata collocata una bambina, sottratta al padre per incesto. A richiedere il luogo dove la bambina era protetta era stata una ordinanza della corte d'Assise: "Rivelare quel luogo avrebbe significato esporre una minore ad un incontro con il padre".

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Scidà si rifiutò di farlo e lo motivò giuridicamente. Da cittadini, in un momento in cui l'attenzione alla difesa dei bambini sta finalmente cominciando a prender quota, non ci si può che compiacere del fatto che un "giudice dei bambini" abbia comunque difeso quella bambina. Il padre a cui Scidà negò ogni accesso fu infatti arrestato e infine condannato con sentenza esecutiva. E invece no, negando quel colloquio, Scidà avrebbe "forzato" il diritto, modificando d'imperio una diversa decisione del giudice del suo tribunale. E meno male che lo ha fatto. Per questo Scidà è incompatibile con Catania. Queste e altre le "colpe" di Scidà, sulle quali, per il bene di queste pagine, non insisterò. *** Poiché del "caso Scidà" non sentirete mai più parlare, se non in queste pagine, state a sentire. Ho conosciuto bene Scidà, quando facevo il cronista di giudiziaria a Catania per la rivista I Siciliani di Giuseppe Fava: correvano gli anni 80, per l'esattezza era il 1983. A Catania la situazione era più o meno la seguente: il procuratore della repubblica, Giulio Cesare Di Natale, era costretto a dimettersi per evitare di finire sotto processo disciplinare; il sostituto di punta,

Aldo Grassi, chiedeva il trasferimento ad altra sede per non subire la stessa sorte: entrambi erano accusati dal Csm e dal ministero di aver retrodatato certificati penali di due cavalieri del lavoro locali in modo da permettere loro di partecipare a miliardarie gare d'appalto. Metà della classe politica locale sarebbe poi finita in carcere o sotto inchiesta, ma dieci anni più tardi e non per merito della magistratura di quell'epoca. La stampa taceva, I Siciliani a parte, tanto che Giuseppe Fava - come è noto - fu ucciso nel 1984, 5 gennaio. Scidà fu uno dei pochi magistrati che decisero di ammettere l'evidenza dei fatti ed iniziò a chiedere, chiaramente e senza scambi o pretendere altro, che si facesse "pulizia all'interno degli organi giudiziari". Era un atto di coraggio, non facile: ricordo l'imbarazzo della sala, in occasione di almeno quattro o cinque inaugurazioni di anno giudiziario a Catania, quando Scidà prendeva la parola e con il suo linguaggio ottocentesco parlava di "corruzione dilagante" e di "sostanziale ritardo nell'opera repressiva", mentre i dirigenti degli uffici giudiziari - per l'imbarazzo - guardavano altrove o sprizzavano rancore per quel "rompiscatole" e "guastafeste". Bene: per queste e altre ragioni "sostan-

ziali" appare ora paradossale che sua Eccellenza Scidà debba essere trasferito da Catania per "incompatibilità ambientale", ennesimo segno che la giustizia è sfatta. Seconda domanda: chi è esattamente Giambattista Scidà? Un giudice liberale all'antica e un illuminista a Catania, uno che se fosse vissuto a Torino, sarebbe stato iscritto d'ufficio al "partito" di Bobbio e Galante Garrone. Da venti anni è presidente del tribunale dei minorenni, veste sempre con giacche a due petti, impeccabili e demodé, i capelli bianchi impercettibilmente disordinati, parlata forbita, gesti morbidi e solenni. Un uomo che sembra ancora oggi saltar fuori dal film "Piccola pretura" di Pietro Germi, ma costretto a recitare in una sceneggiatura da "Corruzione a palazzo di giustizia". Scidà è un'autorità in materia di criminologia minorile, ma coltiva privatamente raffinati studi storiografici sul '600 e sul '700 nelle contrade dell'Etna. "Siamo nella condizione di dover assistere al progressivo degrado di questa città. E perciò siamo chiamati, ciascuno nel proprio ruolo, a fare il doppio del nostro dovere", diceva venti anni fa e dice oggi Scidà. E dentro quelle parole mette tutta la sofferenza del vecchio galantuomo italiano.

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Era inevitabile che una persona come lui assumesse una posizione critica nei confronti del contesto, anche giudiziario, della sua città. Negli anni 80, in relazioni e lettere a ministero e Csm, citava statistiche sulle forze di polizia che diminuivano mentre i reati aumentavano: "Mentre la mafia uccide e saccheggia, mentre l'eroina invade Catania, gli apparati repressivi dello Stato vengono depotenziati in città", predicava. Scidà ha denunciato - nelle giuste sedi istituzionali e per venti anni - il sovraffollamento del penitenziario della città, per il quale i minori venivano pericolosamente ospitati nelle carceri per gli adulti e dunque esposti alla cooptazione nella cultura e nella organizzazione mafiose. Scidà ha messo il dito nelle piaga profonda della contraddittoria presenza dello Stato a Catania e pronunciato mille interventi pubblici che sono state - per almeno due generazioni di catanesi onesti - delle vere e proprie lezioni di civiltà, semplici e schiette. Parla come un severo padre di famiglia: "La giustizia deve essere un potere separato dagli altri due su cui si fonda il nostro ordinamento costituzionale, perché ha il ruolo di controllarli entrambi". Oppure: "Questa comunità è malata perché non sa più dare un futuro degno di questo nome ai propri figli".

Per dovere istituzionale, da quarant'anni, Scidà compila quotidianamente le statistiche sugli spaventosi record di criminalità minorile che Catania va conquistando annualmente, soprattutto nei quartieri più disperati e marginali. Spesso insegue, oltre l'orario d'ufficio, i casi che passano dalla sua scrivania sempre invasa da una montagna di fascicoli contenenti mille storie di violenze: bambini comprati e venduti; adolescenti perduti, abbandonati, sul marciapiedi o tossici, scippatori, maltrattati, picchiati. E' una umanità dalla quale Scidà non sa distaccarsi poiché essa rappresenta il suo "dovere" * * *. "E' un fissato!". "E' un moralista", gli cominciarono a sussurrare dietro anni fa, quasi che la moralità fosse divenuta una pericolosa epidemia da arginare al più presto. Negli ultimi venti anni quei sussurri sono diventati un urlo che ora approdano formalmente sulla soglia del Csm ed hanno ascolto. Il presidente Scidà fu investito da aperte ostilità e rancori corporativi quando passò alla denuncia formale, fatta anche di fronte al Csm, delle corruzioni e delle distrazioni a palazzo di giustizia. Dei casi più clamorosi e antichi ho ricordato. Più di recente, Scidà ha sostenuto che il procuratore della sua città "non dovrebbe essere catanese" e ciò per "evitare che in

quella delicata funzione si sia costretti a subire, anche indirettamente, pressioni dovute alla appartenenza a gruppi di pressione e per difendere a pieno l'autonomia della funzione giudiziaria". Una posizione che ha sollevato non pochi malumori all'interno e fuori del Tribunale. *** Ma il caso più clamoroso e più recente accadde nel 1993, in un'aula di tribunale penale, nella quale Scidà fu convocato come testimone dell'imputato nel processo per querela intentato dall'allora potentissimo Salvo Andò - ex-ministro craxiano - nei confronti del giornalista Claudio Fava: questi, in un libro su Catania e le sue corruzioni politico-mafiose, aveva rivolto accuse gravi ad Andò. In particolare, di aver esercitato pressioni su organi giudiziari in occasione di processi a mafiosi. Scidà, in aula prima e di fronte al Csm poi, confermò la fondatezza di quelle improprie pressioni politiche su magistrati. Insomma, Scidà è un giudice dal "brutto carattere" ma appartiene alla categoria di quelli che pensano: "Visto che ho scelto questo mestiere, debbo dare ogni giorno l'esempio alla collettività, senza cedimenti, senza eccezioni, senza pigrizie". E dunque, proprio per questo, è reo di "incompatibilità ambientale". Antonio Roccuzzo MicroMega, inverno 2001

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Robivecchi

A proposito di solidarietà... Smascheri Ciancio e difendi Scidà: ti “stutano” il giornale e ti insultano su internet. Cose che succedevano a Catania dieci anni fa. Adesso, per fortuna... "Ma tu che fai nella vita?". Confesso che sono sempre in difficoltà quando mi fanno questa domanda. Di solito rispondo che faccio lo spacciatore, con ogni tanto un po' di traffico d'armi e qualche puntata nella prostituzione. Purtroppo, alla fine mi hanno sgamato. E vabbene, confesso: faccio il giornalista. Lo faccio da una venticinquina di anni, quando in un momento di debolezza mi hanno consegnato il vecchio tesserino marrone col numero dorato sopra. Ho fatto una mezza dozzina di giornali, avviato alla professione non so più quanti colleghi (forse troppi) e insomma, se volete ingiurarmi adesso sapete che parola usare. Questo per rispondere alla legittima curiosità di un anonimo che, su qualche sito, si chiede se io esisto veramente, se davvero sono un giornalista e come mai l'Ordine dei giornalisti non si è mai occupato di me e dei portali che ospitano le orrende cose che vado scrivendo. In effetti sia l'Ordine dei Giornalisti che altre benemerite istituzioni di me si sono occupati più volte, per darmi dei premi (l'ultimo, in Sicilia, alla carriera): insomma, sulla mia esistenza e appartenenza alla seconda più antica professione del mondo non c'è, ahimè, da avere molti dubbi, e del resto io uso andare in giro con un nome e un cognome, cosa che non tutti sempre fanno. Mi pare che come mia biografia possa bastare. Per il resto, rivolgetevi al collega Cervantes che tutto quel che c'è da dire in questi casi l'ha detto meglio di me nella prefazione al volume secondo della sua ezine. Ma perchè, uno si chiede, col caldo che fa qualcuno deve fare tutta 'sta fatica per minacciarmi, insultarmi ("mattacchione", "goliardo", "provocatore", "pseudogiornalista", "fango sulle istituzioni") e minacciare i portali che si permettono di pubblicarmi? Io vi consiglierei, se in questo momento siete in internet, di cercarvi - a questo punto - un bel sito erotico e fare a meno

di perdervi in tutte le storie noiose che sto per raccontarvi. Siete ancora qui? Peggio per voi. *** Allora: a Catania esiste un vecchio giudice, con la pazzia particolare di voler denunciare per forza le malefatte di vario genere che si verificano persino a Catania (città onestissima e del tutto aliena da ogni legame con la mafia). Le persone serie della città hanno tentato di cacciarlo, facendo intervenire (onestissimi) politici di destra e di "sinistra". La gente s'è ribellata, e non ci sono riusciti. Qualche mese fa il vecchio in questione è regolarmente andato in pensione e, tornato dunque un privato cittadino, ha deciso di impiegare il tempo libero: a) nello studio della letteratura francese del settecento; b) nello studio del caso Catania. Uno di questi hobby, a quanto pare, dà fastidio a qualcuno. Insieme a lui abbiamo quindi messo in piedi un giornaletto locale, che si chiama "Controvento" e non è niente di eccezionale, salvo alcune notizie banali. Per esempio che il principale notabile cittadino, Ciancio, censura sul suo giornale le notizie che riguardano i processi contro i suoi manager. Ovviamente, su "Controvento" si fanno i nomi. Non entro in particolari perchè non voglio tenervi qui troppo a lungo, col caldo che fa. Fatto sta che il distributore, appena ha visto la parola Ciancio, ha deciso di bloccare il giornale ("Uno si talìa la pagnotta. Quello da domani ci può dire: voi non lavorate più"). Banale: ci siamo organizzati fra noi e l'abbiamo portato in edicola direttamente. Poi abbiamo fatto il comunicato per denunciare l'episodio, che a Catania e a Tananarive peraltro è del tutto normale. Il comunicato ha suscitato le seguenti reazioni: solidarietà di un paio di politici (dalla Chiesa e Fava); solidarietà di una serie di associazioni e siti che hanno ripreso il

comunicato; silenzio dei giornali siciliani, che appartengono tutti a Ciancio; un centinaio di lettere di cittadini; e infine la presa di posizione non dico di Ciancio (che col caldo che fa non ha tempo per queste cose) ma di un suo anonimo simpatizzante che va in giro per I siti per garantire "la massima regolarità e correttezza" della situazione catanese e invocare le Superiori Autorità affinchè ci mettano a posto. *** Ok, basta così. Catania è un posto importante - lo è sempre stato - per gli equilibri nazionali. I pastrocchi e gli inciuci, spesso e volentieri, cominciano da queste parti. Ad esempio quello fra la componente "ragionevole" del centrosinistra e Berlusconi, ieri con la bicamerale e oggi con l'offerta di immunità politica per i suoi processi. Questo punto, sostenuto in passato da autorevoli esponenti catanesi, la settimana scorsa dal "matto" Cossiga e ora dal ragionevole Fini (che ha riaperto la campagna per l'immunità parlamentare), ha la sua importanza. E concorre, secondo me, a gettare un'ombra strana su una città in cui processi contro abusi e intrallazzi di destra e di "sinistra" sono fermi da molto tempo, senza che destra e "sinistra" approfittino delle rispettive magagne per accusarsi reciprocamente. Invece, e stranamente, se ne stanno tutti zitti. *** Molti anni fa, in Sicilia, c'era una destra (i nobili borbonici) e una "sinistra" (i nobili liberali) che di giorno si combattevano in piazza e di sera prendevano il sorbetto insieme al circolo dei civili. Poi c'era una sinistra irriducibile e screanzata, quella dei contadini ribelli: per i quali i nobili borbonici avevano re Bomba e i nobili liberali Bixio. A noi, più umanamente, entrambi vorrebbero riservare "solo" un po' di bavaglio. Meno male. Riccardo Orioles San Libero, luglio 2002

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Satira

“Non ti sarebbe lecito...” Chi ha detto che il Vangelo deve restare sempre lo stesso? http://dajackdaniel.blogspot.com/ Dal Vangelo di Marco: Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: "Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello".

«Ma non vi pare che questo Giovanni stia violando la mia privacy?». «Non c’è dubbio, Erode.» «Perché si interessa tanto a ciò che faccio a casa mia, nel chiuso delle mie stanze? Oh, eccolo che arriva. Dico a te, Giovanni, perché continui a criticarmi? Sarai forse invidioso?». «Di te, Erode? Mai, ma la tua condotta scandalosa copre di vergogna e discredito l’intero popolo.» «E perché mai il popolo dovrebbe essere screditato se io giaccio con Erodiade o con qualunque altra donna? E chi sei tu per giudicarmi? Ti credi forse perfetto?». «No, tutt’altro, ma agli occhi degli altri popoli il capo diventa il simbolo dei suoi sudditi, e se quegli è corrotto, tale appare, agli altri, tutto il popolo che egli governa e regge.». «Molti si comportano come me, ma tu solo me attacchi, perché sono il re. Se non lo fossi mi ignoreresti.». «Tu lo dici, Erode. Perché è proprio a te, che sei capo, che è richiesto l’essere virtuoso. Non potrai mai ordinare ad un suddito di prendere l’armi e di andare a rischiare la vita per te, se quel suddito saprà, in cuor suo, di essere migliore di te. Se accetti la corona, devi accettarne il peso.» «Sei solo un folle moralista, Giovanni detto il Battista. Rinchiudetelo, fatelo tacere.».

Come finì la vicenda lo sappiamo. Nel corso di una festicciola con avvenenti e discinte fanciulle a Palazzo Reale, Salomé, la giovanissima figlia di Erodiade, si esibì in una danza particolarmente audace che conquistò il vecchio e lussurioso sovrano il quale, ormai perso il senno, promise alla minorenne qualsiasi cosa ella volesse. Sappiamo che, istigata dalla madre, chiese la vita di Giovanni il quale divenne, in conseguenza, San Giovanni, il Battista. E anche il Decollato, peraltro.

***

1980 anni dopo, mese più, mese meno. «Signor Presidente, vi sono argomenti dei quali dobbiamo assolutamente discutere, sono della massima rilevanza per la Chiesa, non possiamo procrastinare oltre.» «Comprendo, Eminenza. Lei forse pensa al fatto che non è il caso che presenzi a funzioni religiose avendo contratto due matrimoni e condotto una vita libera prima, durante e dopo ciascun matrimonio. Ma è una falsità. In realtà, Eminenza, ogni qual volta partecipo ad una funzione religiosa penso ad altro, glielo giuro sui miei figli. Non mancherei mai di rispetto alla Chiesa partecipando attivamente e con convinzione ad una funzione, mi creda.» «E’ un tema alquanto complesso, ne convengo, ma la Chiesa è angustiata da altri e più rilevanti problemi.». «Allora saranno le voci che mi dipingono come un corruttore di giudici ed un evasore. Eminenza, sono solo dicerie senza alcun fondamento, completamente false: ho personalmente provveduto a prosciogliermi da tutte le accuse che mi riguardavano.». « Si tratta di problematiche non nuove, Signor Presidente, ma la Chiesa oggi è gravemente turbata per un’altra questione.». «Capisco, Eminenza, certamente allude a quelle ricostruzioni del tutto fantasiose e lontanissime dalla realtà secondo le quali avrei avuto rapporti sessuali a pagamento con minorenni. E’ assolutamente falso: non erano minorenni ma aspiranti maggiorenni, tant’è che ora lo sono diventate.» «Questo a cui accenna è in effetti un argomento delicato, molto delicato, ma altro è il cruccio della Chiesa. Ricorda, vero, quella questione dell’Ici?». Jack Daniel

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