Ucuntu n.60

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Il dopoCiancio “Maltempu e bonutempu non dura tutt'u tempu”. Dalle voci che si raccolgono negli ambienti editoriali sembra che il tempo del monopolio in Sicilia cominci a dar segno d'esaurimento. Sopravviverà il gruppo Ciancio, nella sua forma attuale, alla fine del 2010? Molti giurano di no. Si aprono spazi, se ne siamo capaci e stiamo uniti. Il cinque gennaio sarà il giorno più adatto per parlarne, come un anno fa. Bilanci, lavori in corso, prospettive. E una nuova scommessa per i prossimi mesi COME SI MUORE NELLE CARCERI ITALIANE/ L'ELENCO DI TUTTI I CASI || 27 dicembre 2009 || anno II n.60 || www.ucuntu.org ||


Promemoria

Tre giorni a Palazzolo Acreide 2 gennaio

3 gennaio

4 gennaio

ore 15.30: Laboratorio dell'informazione - Fabio Chisari - Impaginazione e testi - Maurizio Parisi - Fotografia e immagini - Sonia Giardina - Realizzare un cortometraggio - Gabriele Zaverio - Realizzare una radio streaming in casa con l'open source

ore 16.30 - Interventi di Damiamo Chiaramonte (AssoStampa Siracusa), Franco Oddo ("La Civetta di Minerva") e Paolo Caligone (assoc.Antiracket "Pippo Fava")

ore 16:30 – Scritture e immagini contro le mafie - Francesco Di Martino e Sebastiano Adernò - “U stissu Sangu" - Antonello Mangano - “Gli africani salveranno Rosarno" - Gigi Ermetto, di Canale 9 - Lorenzo Tondo, collaboratore Espresso Coordina Nuccio Gibilisco

ore 18.00: Giornali, informazione, opinione pubblica - Fabio Chisari, docente di Storia sociale dei media presso l’Università di Catania - Pino Maniaci, direttore di “Telejato” - Gaetano Liardo, giornalista di “Libera Informazione” - Pippo Guerrieri, responsabile del mensile “Sicilia Libertaria”, La Fiaccola e Sicilia Punto L - Marco Benanti, direttore di “Catania Possibile” e “Magma” - Fabio D'Urso, giornalista de “Ucuntu" - I Siciliani Giovani” - Massimiliano Perna, “Il Megafono” Coordina: Gianluca Floridia e Gabriella Galizia ore 21:30: La mafia è un’idea spettacolo di Massimo Tuccitto (Associazione Culturale Siracusa in Movimento)

ore 17:30 - Mafie, potere, informazione” - On. Benedetto Fabio Granata, v.pres. Commissione Parlamentare Antimafia - Sen. Giuseppe Lumia, componente Commissione Antimafia, - Rosa Maria Di Natale, giornalista e docente di Giornalismo e nuovi media - Antonella Mascali, cronista Radio Popolare il Fatto Quotidiano Coordina Pino Finocchiaro, di Rai News 24 ore 21.30 - Giulio Cavalli “Monologando: Giuseppe Fava, un uomo. 500 euro, tutto a posto. A 100 passi dal Duomo”

PALAZZOLO ACREIDE, SALA EX BIBLIOTECA COMUNALE

Ore 17.30 – IV° Premio G. Fava Giovani 2010: “Il Teatro della Verità” - Giulio Cavalli, attore, scrittore e regista - Mario Gelardi, direttore artistico di Festival teatro civile “Presente indicativo” e Teatri della Legalità - Luigi Marsano, direttore organizzativo di “Presente indicativo” e Teatri della Legalità - Claudio Fava, scrittore e giornalista - Dott. Carmelo Petralia, Procuratore Capo di Ragusa Coordina Elena Fava Premiazione dei vincitori del I° Concorso Scuole G. Fava: “La verità in immagini e scritti”. Consegna del IV° Premio G. Fava Giovani: “Scritture e immagini contro le mafie”

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Lavori in corso

I nostri progetti per l'anno nuovo Beh, questo sarebbe il numero 60. Festeggiare? Mah: coi bicchieri di plastica, magari. Ma poi considerarlo solo una fase riuscita di un esperimento, che ci autorizza (prudentemente) a passare alla fase successiva. Al solito, non da soli

A Catania qualcosa si muove. Tante persone sentono sempre viva l'esperienza di Pippo Fava, credono nell'informazione come forza indispensabile di una società democratica. Raccontano i misfatti della mafia, le vite di quartiere, il sottobosco di interessi economici che definiscono gli scenari politici. Non sono tutti “giornalisti professionisti” ma dimostrano ogni giorno, al di là dei tesserini, che cos'è il giornalismo fatto di verità. I Cordai a San Cristoforo, La Periferica a Librino, Catania Possibile e testate online, come Ucuntu, Girodivite, Argo, Step1, sono le principali esperienze nate a Catania negli ultimi anni. Il 5 gennaio 2009 abbiamo lanciato il progetto di lavorare assieme, di aggregare le forze positive del giornalismo castanese (e non solo) per combattere il monopolio della disinformazione e di quella pseudoinformazione che devia l'attenzione dai problemi reali. È nata così l'Associazione “Lavori in corso”. Da gennaio a oggi abbiamo lavorato assieme, ci siamo mossi in sinergia mettendo in campo e valorizzando le risorse di ogni realtà e le competenze di ciascuno. Abbiamo creato una rete tra le testate di base

coinvolgendo chiunque fosse interessato alla costruzione di un'informazione libera. Assieme abbiamo condotto tre inchieste sfociate in tre dossier: “Munnizzopoli” sulla gestione dei rifiuti, “Toccata e fuga” sulle band emergenti e adesso “Case” sul disagio abitativo. L'informazione non può continuare ad essere controllata da pochi che la manipolano in tutti i modi pur di realizzare i propri interessi. Questi meccanismi appartengono ai regimi autoritari e uccidono lo sviluppo democratico della società. *** Continueremo quindi a lavorare assieme, a raccogliere nuove forze, ad allargare la nostra rete a Catania e non solo. Continueremo a raccontare ciò che la stampa ufficiale omette, a fare inchieste e denunce, e soprattutto lavoreremo alla creazione di un quotidiano indipendente fatto da chi vuole portare avanti quell'etica di giornalismo definita così da Pippo Fava quasi trent'anni fa: “Un giornalismo fatto di verità impedisce molte corruzioni, frena la violenza la criminalità, accelera le opere pubbliche indispensabili, pretende il funzionamento dei servizi sociali, tiene continuamente allerta le forze dell’ordine, sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo. Se un giornale non è capace di questo, si fa carico anche di vite umane. Un giornalista incapace - per vigliaccheria o calcolo - della verità si porta sulla coscienza tutti i dolori umani che avrebbe potuto evitare, e le sofferenze, le sopraffazioni, le corruzioni, le violenze che non è stato capace di combattere. Il suo stesso fallimento! La verità! Dove c’è verità, si può realizzare giustizia e difendere la libertà!” Sonia Giardina

L'ANNO DEL DOPO-CIANCIO

L'esperimento di Ucuntu è andato avanti finora in modo soddisfacente: sessanta numeri, diversi dossier, una visibilità nazionale e così via. Tutto questo lavoro vien fatto su base volontaria, comporta fatica e stanchezza e dunque fisiologicamente l'istinto sarebbe di contentarsi di ciò che si fa, e magari gloriarsene, non certo di accelerare; visto che già è difficile tenere il ritmo di ora. Ma ci sono tre dati precisi che ci spingono invece ad accelerare la corsa: 1) il concept del prodotto (Pdf da Open Office, pensato sia per web che per carta) è stato testato per quasi due anni e funziona; 2) gli interlocutori nazionali ci sono: nell'area del giornalismo libero e altrove c'è interesse e persino voglia di coordinarsi; 3) sono sempre più frequenti le voci di cambiamenti radicali nel monopolio in Sicilia; l'anno che viene potrebbe anche essere il primo a terminare senza Ciancio. Perciò dobbiamo muoverci. Fermi restando i concetti “politici” di base (centrare sulle periferie e sui quartieri; nessun compromesso coi poteri attuali; promozione dell'unità fra tutti i soggetti virtuosi, sia “moderati” che “radicali”), adesso cercheremo di fare un salto di qualità: essenzialmente una specie di “Ucuntu” quotidiano (ristilato in tal senso), lavorato ogni giorno con diversi altri siti e soggetti nazionali. Questo lavoro è già in corso e attualmente la scadenza operativa per il numero zero è il 21 marzo. Ciò potrebbe avere anche ricadute specificatamente catanesi: un web/paper legato al concept di cui sopra potebbe anche trovare un suo spazio di mercato. Al solito, non vogliamo lavorarci da soli. Elogio dell'insufficienza, 'assemblamento delle risorse, impegno “politico” e tecnico per la progettazione comune, unità. Riccardo Orioles

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Ridi, ridi...

www.maurobiani.splinder.com

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Mafia e affari a Catania

Processo al re dei supermercati e (secondo il Pm) di molte altre cose Verso la conclusione il processo all'imprenditore Sebastiano Scuto. “Costretto a sottomettermi, pagavo il pizzo”. “Amico dei mafiosi e loro socio in affari”. Fra poco si saprà quale delle due ipotesi è quella vera Nove anni e sei mesi di reclusione per associazione mafiosa all’imprenditore Sebastiano Scuto, 68 anni, il “re dei supermercati siciliani”, finora professatosi innocente e vittima di estorsione da parte del clan mafioso dei Laudani: è la richiesta del pm Gaetano Siscaro alla seconda sezione del Tribunale di Catania. Secondo l’accusa Scuto sarebbe un imprenditore «organico al clan mafioso dei Laudani» e «ministro dell’economia nella gestione degli investimenti che il clan aveva deciso di fare sui supermercati Despar» . Il Pm ha chiesto anche quattro anni e sei mesi di reclusione per concorso esterno ad associazione mafiosa per l’ex maresciallo dei carabinieri Orazio Castro, 58 anni, ex comandante della stazione di Aci Sant’ Antonio, accusato di avere avuto rapporti con affiliati alla cosca Laudani. Il pm sostiene tra l'altro che Scuto avrebbe intessuto rapporti con tutti i vertici della mafia a Catania e a Palermo citando tra gli altri, anche Benedetto Santapaola, Piddu Madonia, Gaetano Laudani ed ha sottolineato il rapporto che si era creato tra Scuto e il clan dei Laudani, i«Muss’i Ficurinia», che proteggevano l'imprenditore, sino a reinestire nei supermercati gli introiti del clan. Secondo l'accusa “Scuto aveva consapevolezza di aver in mano il Comune di San Giovanni la Punta, base storica del gruppo dei Laudani con i quali aveva un intenso legame associativo che esercitava dall’in-terno. Permeare il tessuto economico e politico di un territorio è il dna stesso della mafiosità e a San Giovanni la Punta in quegli anni –(anni '90, ndr) - si ritrova per intero». I pentiti sentiti nel corso del processo, ap-

partengono a diversi clan tra cui i Laudani, Santapaola e Sciuto-Tigna, di area catanese, e i Madonia, di area palermitana. In particolare il pg Siscaro, si è soffermato su alcuni di loro, tutti di “area Laudani”, perchè da lui ritenuti altamente attendibili sulla base di attenti riscontri: Basile, Catalano, Di Stefanoa, Giuffrida, Testa, Troina, Castro, Andronico. Anche l'ultimo pentito ascoltato, Giuseppe Maria di Giacomo, ex boss dei Luadni e braccio armato dei Santapaola, pur non essendo ritenuto tra i più affidabili, nella deposizione resa in aula il 18 dicembre scorso ha comunque riferito che la protezione del clan dei Laudani c'era e non era per nulla subita da Scuto: “Perché noi prestavamo un servizio allo Scuto: - Signor Scuto, lei qualsiasi cosa accade deve dirlo a noi organizzazione perché noi la stiamo proteggendo, per cui se le fanno una telefonata estortiva, se avviene una rapina, se avviene un furto, se le rubano la macchina, se le insultano un figlio...-, per dirle, una cosa più banale, più assurda, perché noi dovevamo in qualche modo prestarci per avere assicurato, come una cosa alla buona” *** Il processo nei confronti di Sebastiano Scuto, ex “re dei supermercati” in Sicilia, ex proprietario delle catene Despar e Aligroup, era iniziato nel 2005, ed è entrato nel vivo nel luglio di quest'anno. L’ipotesi di fondo dell'accusa è che Scuto non sia stato una vittima del del pizzo ma un socio in affari del clan Laudani. Il reato sarebbe dunque, sempre secondo l'accusa, di associazione mafiosa, e anche estorsione a danno di altri imprenditori,

perchè Scuto non si sarebbe limitato ad appoggiare la cosca dei Laudani riciclando denaro sporco ma si sarebbe pure avvalso della forza intimidatoria del clan per aprire nuovi centri Despar a Palermo e in provincia, “gestiti in comune con il clan di appartenenza dei Laudani e con quelli alleati di Benedetto Santapaola, di Bernardo Provenzano, Sandro e Salvatore Lo Piccolo”. Ciò sarebbe scaturito dall’analisi delle intercettazioni. Il 18 Dicembre 2008 la Corte d'appello ha assolto Scuto, con formula piena, dall’accusa di omicidio di Salvatore Aiello, trovato carbonizzato nelle campagne di Valverde nel 1993. Aiello aveva chiesto e ottenuto dei soldi, per estorsione, a Scuto. Questi secondo l’accusa, e secondo un pentito, aveva denunciato tutto al clan Laudani che lo "proteggeva". Secondo l’accusa, Scuto sapeva che Aiello così sarebbe stato punito dai Laudani per avere, come si dice in gergo mafioso, “saltato il fosso”. Cosa che puntualmente accadde ma la nuova sentenza ha ribaltato tutto: Scuto non era a conoscenza del sequestro e dell’omicidio, e il pentito sulla base delle cui dichiarazioni si era costruito questo capo d’accusa è stato giudicato inattendibile. Scuto è libero, ma ha il divieto di accedere alle sue imprese, che sono in amministrazione giudiziaria. L’accusa ha pure presentato alcuni pizzini sequestrati nel covo del boss Bernardo Provenzano e alcune delle lettere trovate a Sandro e Salvatore Lo Piccolo il giorno del loro arresto, lettere che farebbero riferimento all’imprenditore sotto processo. G.S.

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Ordine a Catania

Vigili, immigrati, abusivi, cortei, Buon Natale e manganelli Tutti gli uomini sono uguali, ma poi ci sono quelli più bianchi e quelli più neri. I primi fronteggiano i vigili e continuano a vendere le loro merci. I secondi scappano spaventati o si vedono portare via la bancarella. A volte, in un bel giorno di festa, i “neri” e i loro amici cercano per una volta di dire la loro, con un bel corteo. Cronaca di una giornata quasi come tutte le altre, nel centro di Catania, fra bancarelle e varia umanità

Ore 18. Siamo in piazza Carlo Alberto, la piazza della fera catanese, ed un corteo di alcune centinaia di persone si muove verso la via Etnea, la strada principale dove stanno facendo su e giù migliaia di catanesi carichi di pacchetti natalizi. A guidare il corteo ci sono decine di senegalesi, algerini e marocchini, che in arabo incitano i connazionali a unirsi alla marcia. E’ quasi Natale - il 22 dicembre - e si muove il corteo del "Natale di Solidarietà" promosso da quasi tutte le associazioni e testate giornalistiche cittadine. A guidare il corteo ci sono decine di senegalesi, algerini e marocchini, che in arabo incitano i connazionali a unirsi alla marcia. quelli stanno vendendo borse, scarpe, cinture, cd. Alcuni si uniscono ai manifestanti, molti altri devono restare a vendere: sono giorni caldi, il commercio va forte, la gente compra di più, cercando prezzi facili e bassi. Un carabiniere nel frattempo, lontano dal corteo, e sul marciapiede della via Etnea, di fronte alla villa Bellini, cammina rapidamente intimando agli stranieri di smontare le bancarelle e andare via. Molti extracomunitari, come al solito, tirano sù la roba col lenzuolo, si fanno un sacco e aspettano che il carabiniere vada via per ricominciare e approfittare degli ultimi giorni giusti per vendere di più. Il carabiniere prosegue la sua marcia, è fuori di sè, i piccoli banchetti

con cd, borse e quant’altro scompaiono ai suoi passi, svanendo nei vicoli e nei portoni aperti. Il carabiniere fa un secco dietrofront davanti a un ambulante che vende la medesima merce. E’ un bianco, di sicuro catanese. Dunque, a quanto pare, non colpevole. Una ragazza, con due pacchi in mano, passa vicino a uno striscione e commenta "E’ Natale, perchè non andate a fare regali piuttosto che stare qua?". Proprio questo delle feste è il periodo in cui a Catania i vigili hanno perseguitato maggiormente gli extracomunitari. La maggior parte di questi è clandestina, e l’unica possibilità che ha di fronte al vigile che intima il sequestro è di consegnare la roba o provare a scappare via. Di solito lui, senegalese, arrivato qui con un barcone o con un treno, scappa. Sa che se reagisce la legge Bossi-Fini lo vuole subito fuori, rimpatriato, senza passare da casa. I vigili urbani catanesi lo sanno pure e molti di loro ne traggono forza e coraggio. Sono stati quasi tutti promossi al rango di maresciallo dall’ex sindaco Scapagnini, e dunque spostati in ufficio, lasciando così le strade cittadine nella totale anarchia. L’economia catanese si muove in gran parte, oltre che sui traffici di droga e armi dei clan locali, sui finanziamenti pubblici e sull’edilizia. Ma un altra fetta grossa vive

di vendita abusiva e ambulante di qualunque oggetto e prodotto, dal dvd piratato, alla polpetta di cavallo alla cassetta di frutta, esposta sul cofano di un auto su cui hai appena aperto un lenzuolo per improvvisare una bancarella. Ovviamenta senza alcuna licenza di vendita ambulante. I catanesi abusivi godono dell’immunità tacita delle forze dell’ordine. Qualcuno dice perchè sono cittadini catanesi a tutti gli effetti, e dunque elettori di oggi e di domani, e il loro voto un valore ce l’ha. E poi i vigili ci hanno famiglia, e gli abusivi sono gentaglia, così dicono. E’ certo più rischiso sequestrare la merce a un catanese, dirgli che se beccato una seconda volta finisce in galera, fargli un verbale. I catanesi reagiscono. Loro sono “spacchiusi”. E’ uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. Altra storia per gli abusivi extracomunitari. Loro sono disperati, non hanno documenti italiani, possono essere subito rimpatriati secondo quanto scrive la legge: e allora giù con gli insulti, gli inseguimenti, il sequestro della merce senza uno stralcio di verbale che metta per iscritto cosa e quanto è stato sequestrato, con tutti rischi di un sequestro di merce appetitosa senza un documento che ne dimostri il sequestro ufficiale. Il funzionario, insomma, non deve rispondere a nessuno di quanto ha sequestrato e poi caricato nella camionetta.

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Ordine a Catania

L’atteggiamento delle forze dell’ordine è equivalente a quello utilizzato nel recente sgombero del centro sociale Experia del quartiere Antico Corso, al centro di Catania. Con caschi e manganelli, caricano una trentina di ragazzi disarmati che vorrebbero difendere il luogo dove loro fanno doposcuola, concerti. Il corteo nel frattempo scende per via Etnea, seguito da un dispiegamento di forze dell’ordine apparentemente eccessivo: un centinaio di poliziotti per due centinai di manifestanti. Un rapporto 1:2 che è assolutamente insolito per un civile e pacifico corteo. La scena diviene ancora più surreale in piazza Università, lì dove si ferma il corteo. Dopo una mezzoretta restano pochi ragazzi, in cerchio e seduti per terra, il corteo è terminato, ma di fronte a loro ci sono volanti della polizia, camionette e gipponi delle forze dell’ordine a presidiare la piazza. Sarebbero nel numero giusto per bloccare e arrestare un centinaio di criminali che operano indisturbati pochi metri dietro, in via Plebiscito o a Librino. Invece le forze delle’ordine si scambiano gli auguri e tornano a casa. Una delegazione del corteo incontra il presidente del consiglio comunale, Marco Consoli, al quale si un clima più pacifico da parte dei vigili urbani. Consoli propone uno spazio riservato agli extracomunitari perchè

possano vendere la loro merce legalmente. e ricorda che i vigili urbani comunque graziano gli extracomunitari clandestini, perchè piuttosto che portarli in questura, si limitano a farli scappare via o a sequestrare la merce. Rimane però il dubbio del perchè questo atteggiamento sia riservato solo agli extracomunitari. Il consigliere del Pd, Saro D’Agata, sottolinea che per opera sua il consiglio il comunale discuterà la possibilità di un consigliere comunale extracomunitario in rappresentanza dei diritti dei non catanesi. In seguito, nella sede dell’Arci, un gruppo residuo del corteo discute su quanto accaduto: l’idea di un mercato per gli extracomunitari sa di ghetto ed escluderebbe la maggior parte di loro, clandestini. La proposta di D’Agata sembra irrealizzabile allo stadio attuale e rischia di diventare uno specchietto per le allodole, incapace dall’alto di variare il clima di odio e intolleranza cresciuto a Catania. La soluzione momentaneamente maturata è quella di sensibilizzare la cittadinanza al problema della clandestinità e della persecuzione finora fatta, senza risparmio di energie, da molti vigili urbani, e di verificare se il clima di pace promesso dal presidente del consiglio comunale si stenderà sui marciapiedi e sulle piazze cittadine, o se al contrario proseguirà testardamente. Giuseppe Scatà

REALTA' E PROMESSE DOMANI IL PONTE, OGGI NEMMENO L’AMBULANZA

L'altro giorno a Villa San Giovanni negozi chiusi, strade transennate e tanta tanta polizia. Mare cielo e strade invasi da elicotteri, pattuglie e motovedette per assicurare l’ordine pubblico nel corso della manifestazione nazionale contro il ponte sullo stretto. In corteo migliaia di manifestanti hanno sfilato per le vie cittadine fino a raggiungere località Cannitello. Qui uno degli oratori, Franco Nisticò, mentre interveniva sul palco ha accusato un malore, ma non era presente nessun presidio sanitario per soccorrerlo, solo un camioncino della Polizia di Stato sprovvisto degli strumenti per prestare le cure necessarie. Troppo tardi è stato portato agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria, dopo un’ora è giunta infatti la notizia della sua morte. Com’è possibile che a un tale spiegamento di forze dell’ordine corrisponda l’assenza dei presidi sanitari necessari per la sicurezza e l’incolumità dei manifestanti? Intanto la Rete No Ponte, nel chiedere che vengano avviate le adeguate misure per l’accertamento delle responsabilità di quanto accaduto, ha deciso di affidarsi ad un pool di legali per andare in fondo a questa intollerabile vicenda. Sonia Giardina

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architettato

Sgomberi e interessi a Catania

«Ridateci il nostro centro popolare» «Lo sgombero è stato architettato dalla magistratura (dott. Serpotta), dal Sovrintendente ai beni culturali di Catania (arch. Campo) e da Alleanza Nazionale ora Partito Della Libertà (on. Salvo Pogliese, consiglieri Bellavia e Messina). La necessità della disponibilità dell’immobile, le motivazioni espresse prima e dopo lo sgombero si sono dimostrate infondate. Lo sgombero è stato un atto politico. Ed ecco le reali motivazioni. An-Pogliese. Sono i rampolli del nuovo fascismo catanese. In particolare, l’on. Pogliese è di una famiglia politica che in provincia è portavoce di grandi interessi: lo “Studio Pogliese del Dott. Antonio Pogliese - consulenza amministrativa, contabile e societaria” che vanta legami con il gruppo Abate (grande distribuzione), è membro di diversi C.d.A. (Università di Catania, Credito Siciliano, Etnambiente, Etnapolis). ed è promotrice sia di nuovi modelli di consumo (format centri commerciali) che della ormai famosa finanza di progetto applicata ad opere pubbliche e non solo. Dott. Serpotta. Non particolarmente distintosi nell'attività antimafia, è da sempre pronto a seguire e inseguire i volontari del Centro Popolare Experia. Arch. Campo. Sovrintendente capo a Catania, alla spasmodica ricerca di un salto qualitativo e professionale. Politicamente in seno al Mpa di Lombardo aspira, in vista della famosa ristrutturazione dell’organismo regionale per la tutela dei beni culturali, ad una carica regionale precedentemente negata dallo stesso Lombardo. Negli ultimi mesi ha proceduto sia allo sfratto dell’Istituto d’Arte in via Crociferi sia allo sgombero del Centro Popolare, strategici sial per posizione e per valore immobiliare. L’edificio infatti comprende anche la Scuola Manzoni, una vasta area esterna in cui è inclusa l’area della chiesa della Purità che già nel 1999 aveva dato in uso alla facoltà di Giurisprudenza per la costruzione di aule, non tutelando i resti archeologici presenti nell’area.. Quei lavori sono stati bloccati dalle proteste degli abitanti del

quartiere mosse insieme al Comitato Antico Corso e all'Experia. Dopo lo sgombero Campo ha affermato che l’edificio sgomberato sarà destinato all’Ersu e utilizzato perservizi universitari. Tuttavia, dopo il nostro incontro con l’Ersu (ente commissariato e in crisi finanziaria) abbiamo constatato che: nonostante il decreto del 1985 disponesse l’affidamento all’Ersu dell’immobile e di tutta l’area con il ruolo di tutelatore da parte della Sovrintendenza, l’ente non è mai rientrato in possesso di alcun immobile; e che l’Ersu non ha nessun progetto o progettualità futura sull’area in questione. *** Da più di 17 anni la nostra attività è stata una risposta concreta all'indifferenza e all'abbandono da parte delle amministrazioni in un quartiere popolare dove non esiste una piazza, un angolo di verde, una bambinopoli, uno spazio di aggregazione sociale, un parcheggio, servizi alle famiglie degni di una città. Con la scusa del ripristino della legalità hanno motivato lo sgombero. Una illegalità che si chiama occupazione, forma di lotta finalizzata al ripristino di una vita dignitosa che molti quartieri popolari a Catania si vedono negata! Da più di dodici anni lo stesso ceto politico e gli stessi partiti amministrano questa città, non hanno scuse o pretesti per giustificare la loro assenza sul territorio e soprattutto il loro silenzio sullo sgombero, visto che, da noi invitati ad un confronto cittadino, non vi hanno partecipato. Il Centro Popolare è uno spazio politico di confronto con una sua identità; noi non siamo riconducibili a nessuna forma di ricatto elettorale, siamo liberi e vogliamo restarlo. Abbiamo ridato la speranza nel più totale vuoto istituzionale e nella mancanza assoluta di servizi, abbiamo costruito qualcosa che nessuno ha mai fatto in questa città. E l'abbiamo fatto senza mai nascondere la nostra storia politica. Il Centro Popolare è uno spazio a disposizione di tutto il quartiere dove il doposcuola (organizzato e gestito con le fami-

Parlano i volontari sociali: « Sappiam o con certezza, dopo gli incontri con gli-or gani istituzionali, che lo sgom bero dell'Experia servi va solo a cancellare la stra no esperienza di aggre gazione giovanile, politica e sociale»

glie), la palestra, la ciclofficina e i vari laboratori erano un momento di valorizzazione di rapporti sociali senza fini di lucro. Solidarietà, rispetto e partecipazione: questo pretendiamo da chi partecipa e frequenta. Il Centro Popolare, infine, è l’unico spazio a disposizione in quartiere per i bambini. Ecco perché continuiamo ad affermare che lo sgombero violento del Centro Popolare è stato pretestuoso e compiuto in malafede, con l’unico obiettivo di mettere in scena una reazione violenta che potesse criminalizzare il nostro progetto. E oggi, con il senno del poi, di fronte agli ultimi fatti di cronaca, pensiamo che questa classe politica usi forme legalizzate di violenza coqme risposta alle contraddizioni sociali, perché non ha altri strumenti politici o semplicemente perché fa parte della sua sottocultura della sopraffazione. Abbiamo accolto l’invito del Presidente del Consiglio Comunale a partecipare a questo incontro con i capigruppo consiliari per avanzare le seguenti richieste: a) richiedere un Consiglio Comunale straordinario in merito all'emergenza, alle modalità e motivazioni dello sgombero effettuato il 30 ottobre scorso in via Plebiscito 782; b) richiedere una dichiarazione ufficiale della Giunta Comunale in merito allo sgombero e ai progetti di riqualificazione del quartiere Antico Corso, visto lo stato di degrado in cui versa il quartiere e le conseguenti condizioni precarie cui sono costretti gli abitanti; c) richiedere la riapertura immediata del portone del Centro Popolare attraverso una richiesta ufficiale del Comune di disponibilità da parte della Regione e la relativa consegna al Centro Popolare senza alcuna restrizione di identità politica, perché qualsiasi proposta che svalorizzi o impedisca ai compagni del Centro Popolare di esistere e esprimere la propria progettualità politica in città, verrà rifiutata». Centro Popolare Experia www.senzapadroni.org

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L'inquinamento a Catania

Teste sotto la sabbia (gli assessori) Teste sotto lo smog (i cittadini) Stando ai dati del Cnr, Catania è diventata una delle città più inquinate d'Italia.Le polveri sottili da 10 micro sproducono centinaia d'infarti cardiovascolari; per non contare il PM 10 che produce i tumori. E le autorità? Negano tutto, a cominciare dall'assessore all'ecologia

L’Assessore all’Ecologia di Catania forse non sa o forse si rifiuta di voler vedere la realtà in faccia. Dimentica nella sua vaga risposta, pubblicata su La Sicilia, alla mia denuncia pubblica di fare riferimento in primis ai dati resi pubblici dal CNR e condotto dall’OMS (Organizzazione Mondiale sulla Sanità) in merito agli 8220 morti (189 morti solo per cancro per non parlare delle malattie gravi come quelle a danno del cuore e dei polmoni) a causa del PM10 riscontrati in tredici delle più grandi città italiane nel periodo che va dal 2002 al 2004. Non dice, ovviamente, che tra queste tredici città vi è anche Catania con il suo carico di morti e di ammalati (ben 848 per infarto, 1443 per malattie cardiovascolari e 175 per cause respiratorie) a causa proprio dell’inquinamento da PM 10 ovvero delle polveri sottili da 10 micro ( per non parlare dei PM più sottili che peraltro sono ancora più micidiali perché più piccoli e dunque si infiltrano meglio nell’organismo umano). Non parla poi del superamento dei 35 giorni previsti dalla legge proprio per i PM 10 che avvelenano la nostra città assieme agli altri componenti dello smog, scaricando la responsabilità ad altre fonti quando invece parliamo da polveri da smog.

Non parla ancora, così come da me denunciato pubblicamente, della scomparsa di ben tredici centraline su diciassette di cui è dotata da anni la città andando sapendo in tal modo di non ottemperare alla legge vigente. Non parla poi delle decine se non centinaia di dati non pervenuti e senza alcuna giustificazione tecnica (come a novembre, ma basterebbe andare al sito del Comune per poterlo verificarlo direttamente) e proprio in quei giorni a seguire quelli in cui i rilevamenti delle centraline sopravvissute hanno misurato livelli di PM 10 quasi il doppio di quelli considerati dalla legge normali ( che sono peraltro la media giornaliera dunque possiamo immaginare quali livelli di inquinamento si superino a Catania in certe ore della giornata!).Per non paralare del contributo negativo all’effetto serra e al conseguente surriscaldamento del pianeta che colpisce tutti. E poi cosa centra la festa di S. Agata con l’inquinamento giornaliero della città? L’ Assessore all’Ecologia invece di difendere l’indifendibile dovrebbe preoccuparsi della salute dei cittadini e non solo del posto che occupa a qualsiasi costo! E se invece insiste a negare se ne occupi direttamente il Sindaco della salute dei suoi cittadini! Alfio Lisi

E IL MONITORAGGIO? TREDICI CENTRALINE SCOMPARSE COSI' Come reso noto dal Cnr, secondo lo studio dell' Organizzazione mondiale della Sanità "Health impact of PM10 and ozone in 13 italian cities" condotto sulla popolazione residente delle tredici maggiori città italiane Torino, Genova, Milano, Trieste, Padova, Venezia, Verona, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Catania, Palermo (circa 9 milioni di italiani, pari al 16% della popolazione) tra il 2002 e il 2004 una media di 8.220 morti l'anno è da attribuirsi agli effetti a lungo termine delle concentrazioni di PM10 superiori ai 20 µg/m3. A Catania, tredici centraline si rilevamento dell'inquinamento sono scomparse senza che la cittadinanza ne sia stata avvisata. Eccone l'elenco: - Via Cristallo - Piazza Europa - Viale Felice Fontana - Tondo Gioieni - Piazza Giovanni XXIII - Via Passo Gravina - Via Vincenzo Giuffrida - Zona Industriale - Via Messina - Piazza Michelangelo - Viale della Regione - Piazza Risorgimento

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Mafia e giovani/ Un' inchiesta

Io, le paure, gli ideali, il potere mafioso e i miei diciassette anni La lotta alla mafia comincia dalla scuola: chi vuol fare antimafia sul serio alla fine deve rivolgersi principalmente ai giovani, battersi per una nuova cultura. E anche quelli di Addiopizzo Catania non hanno fatto eccezione: decine di assemblee nei vari istituti, e alla fine un questionario per capire come il ragazzo medio s'impatta col potere mafioso. La mafia ai ragazzi non piace. Ma mettercisi contro gli fa ancora paura

Tra le attività più importanti svolte da Addiopizzo Catania si collocano sicuramente gli incontri organizzati nelle scuole della città. Da qui l’idea di somministrare ai ragazzi un questionario per sondare le conoscenze sull’antimafia e la propensione alla legalità, distribuito in sedici medie superiori di Catania e provincia a più di mille studenti del quarto e quinto anno, età media 17 anni. Interessanti i dati emersi, dai quali si evince, per esempio, la percezione realistica che i ragazzi hanno del tasso di criminalità cittadino (alto per il 52%) e la volontà di collaborare alla crescita della legalità (l’81% si impegnerebbe per una “scuola della legalità”), ma anche che più del 50% sarebbe disposto a chiedere raccomandazioni. Ne abbiamo parlato col presidente di Addiopizzo Catania, Chiara Barone. - Che dati vi hanno colpito di più? "Probabilmente le risposte relative alla (non)conoscenza da parte dei ragazzi di chi la lotta alla mafia l'ha fatta nel passato e che per questo ha dato la vita (più del 60% dei ragazzi non sa chi siano Pio La Torre e Libero Grassi). I ragazzi non hanno più memoria storica, o comunque non ne hanno a sufficienza, e questo ha inevitabili conseguenze anche sul presente. L'altro dato che colpisce è la percentuale di studenti per cui la mafia ha più potere dello Stato ( 63,5%). Non so se i ragazzi lo

pensano sul serio o sentono, anche inconsciamente, che è più "comodo" pensare così, ma la rassegnazione non va bene: il potere la mafia ce l'ha perché qualcuno gliel'ha dato e perché la rassegnazione contribuisce a mantenerlo costante. Insomma,è l'atteggiamento psicologico che deve cambiare. Per questo crediamo cosi fortemente nel progetto scuole. Andare a parlare con gli studenti insieme a un magistrato e a un imprenditore che ha alle spalle un'esperienza di denuncia è per noi il modo più corretto per comunicare con i ragazzi. Fatti, non parole e luoghi comuni". - Cosa ha imparato Addiopizzo Catania da questi questionari e dagli incontri nelle scuole? Ne terrà conto per intraprendere azioni future o perfezionare quelle già intraprese? "I questionari, con i dibattiti che nascono in questi incontri, ci hanno dato un quadro generale della situazione. Abbiamo capito ancora di più quanto sia fondamentale il lavoro di informazione che facciamo. Per esempio, fornire un’adeguata informazione sui mezzi e gli strumenti legislativi ed amministrativi messi a disposizione dagli organi dello Stato è necessario per smentire la convinzione errata che il 45 % dei ragazzi ha sul fatto che il commerciante vittima del pizzo non sia adeguatamente protetto. Ai professori e ai presidi diciamo che il

lavoro di educazione alla legalità andrebbe fatto non solo in queste giornate, ma anche e soprattutto nelle piccole occasioni quotidiane della scuola. Dai giornali letti in classe allo studio della storia, tutto dovrebbe rientrare in questo percorso. Ai ragazzi vorremmo dire di non rassegnarsi e di essere più curiosi, leggere e informarsi sul nostro, sul loro passato. Per combattere la mafia dobbiamo avere a disposizione tutti i mezzi necessari, a partire dalla memoria storica. E' questa che, anche in una prima fase, può creare consapevolezza, può dare una motivazione in più per non arrendersi e proseguire questo percorso iniziato da persone come Libero Grassi, Pio La Torre, Borsellino... Se vogliamo cambiare le cose dobbiamo sapere cosa è stato fatto e cosa va cambiato, cosa non deve più succedere e cosa dobbiamo migliorare. Addiopizzo darà sempre il massimo per cercare di essere presente e vicina agli studenti e alle scuole, per collaborare insieme e fortificarci, tutti, dai presidi agli studenti e agli insegnanti stessi, nella conoscenza di questi argomenti, per aumentare la sensibilità nei confronti di queste tematiche e per passare subito dopo dalla voglia di cambiare le cose, a cambiarle. O quanto meno a provarci". Agata Pasqualino Step 1

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Mafia e giovani/ Un' inchiesta I RISULTATI DELL'INCHIESTA DI ADDIOPIZZO NELLE SCUOLE DI CATANIA

- Non risponde: 3,5% 13. L'imprenditore che denuncia racket: - E' protetto dallo stato: 39,5% - Viene lasciato solo: 45% - E' un incosciente: 9,5% - Non risponde: 6%

Scuole: 16 Età media: 17 anni Totale partecipanti: 1094 Maschi: 36,5% Femmine:63,5%

14. Chi è Libero Grassi? - Un politico: 18,5% - Un imprenditore: 36% - Un pregiudicato: 15% - Non sa: 30,5% - Risposte corrette: 36% - Risposte non corrette: 64%

1. Ti impegneresti a costruire una "Scuola di legalità" con la partecipazione attiva della comunità scolastica? - Si: 81% - No: 16% - Non sa: 3%

- Un politico: 10,5% - Un pregiudicato: 17,5% - Un imprenditore: 51% - Non sa: 21% - Risposte corrette: 51% - Risposte non corrette: 49%

2. Hai mai assistito ad episodi di bullismo nella tua scuola? - Si: 54% - No: 45% Non risponde: 1%

8. Come giudichi il tasso di criminalità della tua città? - Basso: 4% - Medio: 43% - Alto: 52% - Non sa: 1%

3. Hai mai chiesto raccomandazioni per superare esami? - Si: 6% - No: 93% - Non risponde: 1% 4. Le chiederesti per un posto di lavoro? - Si: 53,5% - No: 44,5% - Non sa: 2% 5. Chiedere la raccomandazione o concederla è un atteggiamento: - Mafioso: 49% - Amicizia: 32% - Solidarietà verso i meno fortunati: 15% - Non sa: 4% 6. Ti rubano il motorino e ti vengono chiesti dei soldi per riaverlo, cosa fai? - Denunci alle forze dell'ordine: 71,5% - Paghi e ti riprendi il motorino: 24,5% - Non sa: 4% 7. Chi è Andrea Vecchio?

9. Cos'è la Mafia? - Uno stile di vita: 5,5% - Un fenomeno umano: 4% - Una organizzazione illegale di persone che vive sfruttando i cittadini onesti: 88,5% - Non sa: 2% 10. Cos'è il Pizzo o Racket? - Protezione da atti vandalici: 6% - Controllo del territorio da parte di organizzazioni criminali: 88,5% - Non lo so: 5,5% 11. Chi è Pio La Torre? - Un imprenditore: 12% - Un pregiudicato: 26% - Un politico: 38% - Non sa: 24% - Risposte corrette: 38% - Risposte non corrette: 62% 12. Apriresti un'attività commerciale nella tua città? - Si: 44% - No: 19% - Si, ma non mi sentirei sicuro: 33,5%

15. Conosci il Comitato Addio Pizzo? - Si: 27,5% - No: 72,5% 16. Se è si, lo sosterresti? - Si: 47% - No: 12% - Non sa/non risponde: 41% (tra coloro che hanno risposto; si: 80%, no: 20% ) 17. Sei testimone di una rapina o un furto e hai elementi utili all' individuazione del responsabile: cosa fai? - Denunci alle forze dell'ordine: 63% - Fai finta di nulla: 13,5% - Non denunci per paura ma ti senti in colpa per non averlo fatto: 20,5% - Non risponde: 3% 18. Secondo te ha più potere: - La mafia: 63,5% - Lo stato: 13,5% - Il popolo: 18,5% - Non sa: 4,5% 19. Dopo l'uccisione dell'ispettore Raciti, la squalifica del campo di calcio è stata: - Necessaria: 62,5% - Eccessiva: 19,5% - Ingiusta: 15,5% - Non sa: 2,5% 20. In quali di queste espressioni ti riconosci? - Il fine giustifica i mezzi: 26% - L'importante non è vincere ma partecipare: 46,5% - La migliore parola è quella che non si dice: 22,5%

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Schegge di storia siciliana

C'era una volta i boss, e i minatori, e i garibaldini... ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: ma forse non siamo d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persone comuni. E tutte le cose diventano anch'esse storia, prima o poi. Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri sta facendo girare per l'internet. Antiche e attualissime, siciliane

I FRATELLI COMAIANNI A Corleone nell’estate 1944 la guardia campestre Calogero Comaianni arrestò in flagranza di reato Luciano Leggio, detto Liggio, e un suo complice mentre stavano rubando del grano appena mietuto. Liggio meditò da subito la vendetta che si consumò fredda, gelida dopo che ebbe scontato tre mesi di galera. Calogero Comaianni allungò il passo quando si accorse di essere inseguito da due individui incappucciati e riuscì a salvarsi, quella sera. Ma l’indomani mattina per lui non ci fu scampo: liggio ed il suo complice Giovanni Pasqua lo attesero nei pressi della sua casa, lui cercò di rientrarvi precipitosamente non appena si accorse del pericolo. Ebbe il tempo di riconoscere gli assassini, di vedere il ghigno di Liggio e di urlare il nome di Giovanni Pasqua che gli stava sparando addosso. La moglie Maddalena Ribaldo vide tutto e denunciò i due ai carabinieri e alla polizia, testimoniò in tribunale contro Liggio ed il suo complice. A Corleone un anno e mezzo dopo nacquero due bambine: Maria e Gina. Maria era figlia di Carmelo, primogenito di Calogero Comaianni, Gina era figlia di Giovanni Pasqua. La mamma di Gina non poteva allattare e la piccola sarebbe morta se Carmelo non avesse accolto la richiesta di

alcuni vicini di casa di fare allattare al seno di sua moglie la piccola Gina. E così Carmelo Comaianni salvò la vita della figlia dell’assassino di suo padre. LE BOMBE DI VILLALBA Sedici settembre 1944. Nella piazza di Villalba c’era solo un uomo con un bastone in mano ad aspettare che Li Causi cominciasse a parlare. Era don Calogero Vizzini, padrone assoluto di Villalba e dei suoi abitanti e grande proprietario terriero, aveva impedito a tutti di entrare in piazza e ad ascoltare Li Causi erano quelli che lo avevano accompagnato per il comizio. Don Calò ritenne di ordinare a Li Causi di non parlare, durante il comizio, di problemi come “mafia”, come “ terre ai contadini”, come “di politica”, insomma. Li Causi non poté ubbidire e quando le sue parole contro la mafia, contro gli sfruttatori calamitarono nella piazza i contadini di Villalba e aprirono le finestre e riempirono i balconi sulla piazza di donne e uomini che esprimevano chiaramente consenso, don Calò, allora, scatenò l’attacco. Contro Li Causi e la gente che si strinse intorno furono lanciate cinque bombe a mano, una delle quali colpì Li Causi ad un ginocchio. “Quel giorno il leader comunista poté constatare direttamente con quale feroce determinazione gli agrari e la mafia era-

no disposti a difendere i loro privilegi”. (Paternostro, 2007) Vizzini e Farina, nipote di Don Calò, oltre che Sindaco di Villalba e segretario della sezione della Democrazia Cristiana, furono rinviati a giudizio e poi condannati a cinque anni di reclusione, ma nessuno dei due fece un giorno di carcere: non fu eseguito l’arresto, don Calò si dette latitante e morì, nel 1954, nel suo letto. Poi per tutti i partecipanti alla strage arrivò, nel 1958, la grazia del Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi. LE DUE ITALIE Dopo che fu proclamato il Regno d’Italia, Garibaldi tornò in Sicilia per completare con la presa di Roma la liberazione della capitale ancora in mano della Chiesa e del Papa Pio IX. Non si sa bene se fu a Marsala o a Palermo che si udì per la prima volta tra i volontari garibaldini il grido “o Roma o morte” ma si sa bene che questo grido fu strozzato dalle parti dell’Aspromonte. Ma la storia che voglio raccontare è un’altra: è una storia quasi sconosciuta, dimenticata che si consumò dentro la spedizione “dell’Aspromonte”. Va ricordato, allora, che molti volontari non trovarono posto nelle due imbarcazioni che partirono da Catania dirette verso la Calabria.

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Schegge di storia siciliana

Dalle parti di Fantina, in provincia di Messina, un gruppo di garibaldini sbandati ed affamati fu intercettato dal maggiore dell’Esercito Regio Giuseppe de Villata: erano in quattro, poi se ne aggiunsero altri tre. Furono regolarmente interrogati, regolarmente considerati come nemici, regolarmente condannati a morte e regolarmente giustiziati. Era il 2 settembre 1862. Fu una strage assolutamente ingiustificata, ma che risultò utile solo al maggiore per guadagnarsi il grado di tenente colonnello. Uabria.dato, allora, che molti volontari non trovarono posto nelle due imbarcazioni che partirono da Catania dirette verso la C Volevano un’Italia repubblicana, democratica e tutta unita con capitale Roma e furono massacrati dal Regio Esercito Italiano. Anche allora, come oggi, convivevano due Italie: una dentro l’altra, una contro l’altra. IL SEGGIO DEL BOSS Sull’autostrada per Palermo, dopo le gallerie di Termini Imerese, s’incomincia a vedere a destra la rocca di Solunto e a sinistra quella di Caccamo. Ecco, proprio lì, a Caccamo, negli anni ‘50 imperava Peppino Panzeca. Lui era davvero un “pezzo da 90” e per un certo periodo fu pure il capo della Commissione provinciale di Cosa nostra. Suo fratello, pure lui mafioso, era l’arciprete del paese. Lì a Caccamo lo Stato democratico non era ancora arrivato: il Consiglio comunale c’era, ma presentava una particolarità davvero speciale perché accanto alla poltrona

del Sindaco c’era quella di Peppino Panzeca perché era lui che poteva dire l’ultima parola su tutto. Niente, o quasi, da dire se non fosse che il boss non era stato mai candidato in nessuna lista, né, quindi, risultava eletto. Solo nel 1962, l’elezione in Consiglio comunale di quattro consiglieri comunisti permise la rimozione del “seggio del boss”. Si potrebbe solo riderci su se quella di Peppino Panzeca fosse stata solo la goliardia di una volta e non, invece, la dimostrazione più lampante dello strapotere agrariomafioso sul territorio. Ricordare che il 7 agosto 1952 il contadino comunista Filippo Intile, nel volere applicare il Decreto Gullo sulla spartizione 60 a 40 tra contadino e proprietario del prodotto della terra, per avere osato, così, ribellarsi a Peppino Panzeca, fu massacrato a colpi di accetta, allora significa cominciare a capire cosa significò nel secondo dopoguerra in Sicilia il rapporto triangolare tra DC, Vaticano e mafia contro le sinistre. I BAMBINI DI TERRAPELATA La Sicilia è stata anche terra di miniere di zolfo e di lotte durissime contro lo sfruttamento soprattutto minorile dei “carusi” che venivano letteralmente venduti dai genitori ai “gabelloti di zolfara”. Poi ci volevano anni ed anni per riscattare la libertà ed il possesso delle proprie braccia. Gli anni del secondo dopoguerra videro i minatori in lotta per ottenere il rispetto dei diritti sindacali fondamentali: orario di lavoro, aumenti salariali, adeguamento del

fondo pensione e sicurezza nelle miniere. Nel 1952 la lotta, data l’assoluta indisponibilità padronale, prese la forma dello sciopero ad oltranza e dell’occupazione delle miniere. Le donne e i minatori rimasti in superficie, giorno dopo giorno, fecero di tutto per resistere alle difficoltà progressivamente più gravi per le famiglie e soprattutto per quelli laggiù nelle miniere che gonfiavano per la polmonite. Da ricordare una delle tante manifestazioni: quella del 25 febbraio che vide protagonisti i bambini, così come è stata raccontata da Enrichetta Casanova Infuso nel suo diario. “Siamo al sessantesimo giorno di lotta, i padroni sempre più caparbi e il freddo sempre più intenso Abbiamo fatto esperienze d’ogni genere, tutto il popolo è coi minatori, ma ogni giorno che passa se ne va come gli altri (…) Il 25 febbraio 1952 come tanti soldatini cominciarono ad arrivare decine di bambini da ogni strada, da ogni villaggio, anche da quello più lontano di Torrepelata (…) Il corteo verso la Prefettura è lunghissimo e lo accompagnano solo due donne. Da tutte le finestre e i balconi la gente si affaccia e piange. Nella piazza centrale un brigadiere ci sbarra il passo e grida: tornate indietro se non volete guai. L’ufficiale è diventato furioso al punto di perdere la testa e di ordinare ai celerini la carica. Ce li vediamo piombare addosso come bestie feroci”. Malgrado i celerini di Scelba, alla fine, i minatori vinsero la loro battaglia, grazie anche ai bambini di Terrapelata. Elio Camilleri http://camilleri19.spaces.live.com

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Violenza, prepotenze, società

Caro Calabresi, ne parlo con te che ne capisci Ma è giusto prendere a colpi in testa un altro essere umano, per quanto “nemico” sia? No, diremmo proprio di no. E lo scriviamo autorevolmente sui giornali. Sempre? No, solo quando il picchiato è una persona importante, un simbolo d'autorità, “uno di noi”. Quando il picchiato è un povero, un diverso, un “contestatore”, i colpi in testa piovono senza che nessuno ci faccia gran caso (soprattutto sui giornali). Ne vogliamo parlare?

Il paese va verso uno scontro tra due bande che camminano con cinismo su morti e feriti, pronte a usare il sangue del premier per giustificare le violenze sui poveri, e il sangue dei poveri per giustificare le violenze sul premier. Gentile Dott. Calabresi, Ho avuto modo di leggere il suo articolo "gli indignati a senso unico", nel quale si parla delle persone che "mostrano di essere solidali con gli immigrati e i più deboli, sconvolte per gli attacchi di Berlusconi ai magistrati e preoccupate per la democrazia, ma non toccate da ciò che è accaduto ieri sera". Vorrei richiamare la sua attenzione sull'altra metà del problema, e cioè sulle persone che sono state sconvolte per la violenza esercitata ai danni del premier e preoccupate per una degenerazione violenta del clima politico, ma non toccate dalla violenza esercitata sugli ultimi e sui poveri nè interessati a fare qualcosa per combatterla". A mio avviso questa seconda categoria di persone va tenuta sotto osservazione tanto quanto la prima, anzi forse di più, perché comprende persone che rivestono alti incarichi di governo e che non solo

non fanno niente per ridurre la violenza ai danni di soggetti deboli come migranti o carcerati, ma promuovono e dispongono misure che la aggravano: interventi militari all'estero, respingimenti forzati che forzano anche il diritto internazionale, ronde di vigilantes, lager di stato. I "sensi unici" nel codice della strada sono due, perché lei ne condanna uno soltanto? Se vogliamo affermare il principio di civiltà di una "nonviolenza a doppio senso di marcia" che condanna con la stessa fermezza le aggressioni ai potenti e quelle contro i poveri, dobbiamo stare attenti anche a quelli che minimizzano alcune forme di violenza solo perché rivestono una parvenza di legalità, e sono approvate dal senso comune anche se le loro conseguenze ricadono su tantissime persone e non su un solo capo di governo. *** Cito testualmente del suo articolo: "questo modo di ragionare mi fa paura: come è possibile mostrare sensibilità a senso unico, battersi contro le violenze e poi giustificare un’aggressione, essere democratici e pacifisti e provare soddisfazione per il volto tumefatto di Berlusconi. Significa che l’ideologia continua a inquinare le coscien-

ze, ad oscurare le menti". Le confesso che mi fa paura anche lo speculare ragionamento a senso unico: come è possibile battersi contro la violenza di una mano nuda che sfigura un uomo e poi chiudere gli occhi di fronte alla violenza degli eserciti che aggrediscono altri popoli e nazioni, delle polizie che reprimono proteste legittime a colpi di manganello, delle carceri dove i detenuti vengono pestati spesso e volentieri, delle ronde razziste, delle speculazioni economiche che distruggono e violentano aziende, famiglie e l'intero paese? *** Magari è vero quello che lei dice: l'ideologia continua a inquinare le coscienze. Ma le ideologie inquinanti non sono solo quelle pseudorivoluzionarie che illudono la gente di poter cambiare le cose in meglio a colpi di cazzotti o pallottole. A "inquinare le coscienze e ad oscurare le menti" c'è anche l'ideologia del potere, una pericolosa ideologia classista pronta a convincerci che due denti rotti di un uomo di potere sono un problema più importante dei poveri che muoiono affogati nell'adriatico, suicidi in un lager di stato, deportati in Libia o ammazzati di botte in caserma.

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Violenza, prepotenze, società

Come è possibile dirsi nemici della violenza senza riconoscere che i denti, il sangue e la vita dei poveri sono uguali a quelli dei capi di stato e di governo? Chi oggi difende (giustamente e con ragione) Berlusconi aggredito, soprattutto se riveste incarichi di governo, domani dovrebbe impegnarsi a combattere anche la violenza contro gli sconosciuti, i poveri e i dimenticati per dare dignità e coerenza alle proprie affermazioni. *** Tanto per fare un esempio, quanti denti rotti e quanto sangue versato si potrebbero evitare se il ministro La Russa di fronte al sangue del suo leader di partito decidesse di disporre il ritiro delle truppe italiane all'estero dirottando sulla cooperazione e sulle agenzie umanitarie dell'Onu quello che oggi viene speso per far rischiare la vita a migliaia di soldati italiani? Perché oggi chi fa questi ragionamenti viene chiamato terrorista, comunista o coglione nella migliore delle ipotesi, e si ritrova reclutato a forza tra le fila di chi ha esultato per l'aggressione al premier? Non è anche questa una forma di violenza?

Lei ha pieno titolo e piena autorità morale per parlare di violenza, visto che l'ha subita, e non solo quella armata, ma anche la violenza verbale, ideologica e politica esercitata da più parti contro lei e la sua famiglia. Ma io mi auguro per il bene di tanta gente che non ha potere nè giornalisti pronti a difenderli che domani lei sia pronto a parlare e scrivere con altrettanta forza anche dopo il prossimo suicidio in carcere, rimpatrio forzato di migranti, manifestazione repressa con violenza, cittadino ammazzato di botte dalle forze di polizia. *** Mi auguro che lei sia pronto a mettere al servizio degli ultimi il suo coraggio di affermare verità scomode anche quando i rappresentanti delle istituzioni giustificheranno queste violenze dicendo che si tratta di "episodi isolati" (quando i suicidi in carcere sono sempre più frequenti), "immigrati clandestini" (quando spesso si tratta di richiedenti asilo che hanno uno status giuridico ben diverso) o "ragazzi drogati" (quando in realtà sono stati ammazzati di botte come Stefano Cucchi o Federico Aldrovandi). Quello che la gente di buon senso chiede

a lei e a tutti gli intellettuali, giornalisti, scrittori, politici, pensatori e opinionisti, è che la lotta contro la violenza avvenga sempre, con coerenza e onestà intellettuale, indipendentemente da chi è l'oggetto della violenza. Sarete capaci di questo compito così importante? L'alternativa è quella di osservare il paese che precipita verso uno scontro tra due bande che camminano con cinismo su morti e feriti, pronte a usare il sangue del premier per giustificare le violenze sui poveri, e il sangue dei poveri per giustificare le violenze sul premier. Nessuna di queste violenze è giustificabile, ma entrambe vanno comprese, capite e denunciate senza vergogna per poterle combattere. Immagino che la violenza contro il premier verrà combattuta con il miglior trattamento clinico di cui si possa umanamente disporre e con rafforzate misure di sicurezza per tutelarne l'incolumità. Che cosa faremo io e lei domani per combattere la violenza contro i poveri e gli sconosciuti? Lascio a lei la risposta a questo interrogativo. Carlo Gubitosa www.mamma.am

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Teatro popular

Se la mafia imbavaglia un attore e tutti tacciono Giulio Cavalli, che è lombardo, è fra gli artisti più impegnati oggigiorno sul fronte dell'antimafia. Riprende consapevolmente la strategia culturale di Peppino Impastato: mettere in ridicolo i boss, sputtanarli come dei feroci quacquaracquà. Questo comporta dei rischi, a volte anche grossi. Ma lo difendono i suoi colleghi attori, voi penserete, il mondo dello spettacolo. Beh, magari...

Com'è che i giornali, tranne rare eccezioni, non parlano di questa storia, dell'attore lodigiano Giulio Cavalli minacciato di morte dalla mafia per aver preso in giro Bernardo Provenzano in alcuni spettacoli in piazza in Sicilia e in Lombardia? Come mai il mondo del teatro non dice una parola su un attore minacciato di morte dalla mafia e da un anno costretto a girare con la scorta armata? Com'é che a Lodi e a Milano, città gelose della propria libertà, i cittadini, i circoli e le istituzioni hanno lasciato correre una cosa così grave? Cosa significa questo silenzio assordante? Temo che significhi nient'altro che paura e rassegnazione. E' grave che non si riesca a reagire altrimenti e che tutto ciò, invece di produrre solidarietà, sostegno, protezione collettiva di una voce libera e coraggiosa, produca l'isolamento della vittima di un'ingiustizia. Fatti come questo devono farci riflettere sul punto a cui siamo arrivati, con il condizionamento mafioso, anche nel Nord un tempo tanto orgoglioso di

essere immune dagli spregevoli effetti della violenza mafiosa. Anche nel Nord siamo andati molto avanti nel senso dell'acquiescenza e del contagio. Questo silenzio, questa disattenzione possono esserci solo perché, purtroppo, molti italiani, (ma soprattutto molti giornalisti, anche del Nord) pensano che in questa storia se c'è uno che ha sbagliato, questi è Giulio Cavalli, il quale, secondo questo modo di pensare e una formula molto usata "se l'è cercata". Non avrebbe dovuto prendere in giro Bernardo Provenzano, non avrebbe dovuto violare la tacita convenzione del silenzio e dell'autocensura che vige nel nostro libero paese! Che gli costava? La convenzione non scritta, come sappiamo, vale più delle leggi e delle convenzioni universali ed europee dei diritti dell'uomo; stabilisce che un attore, uno scrittore, un giornalista per vivere tranquillo non deve mai comportarsi come Giulio, né come quell'altro matto di Roberto Saviano, né come quei cronisti scriteriati alla Lirio Abbate, Rosaria Capacchione e via

elencando.. No, chi vuole vivere senza minacce di morte o di altre rappresaglie può farlo semplicemente attenendosi alla regola di parlar d'altro, di fingere che la mafia e i mafiosi non esistono, e se proprio non può fare a meno di parlare dei boss, dei loro amici corrotti e intrallazisti, deve parlarne con molto rispetto e senza turbare lo svolgimento dei loro affari. E' facile, che ci vuole? Ci riescono (quasi) tutti. E' comodo e fin troppo facile. Proprio per questo noi ammiriamo chi non ci riesce, e perciò io abbraccio forte Giulio Cavalli, Roberto Saviano e tutti i matti come loro che pagano un caro prezzo per dimostrarci che la regola del quieto vivere si può rifiutare, e che l'autocensura è proprio il contrario della libertà di espressione Alberto Spampinato Ossigeno per l'informazione osservatorio Fnsi-OdG sui cronisti minacciati

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Memoria

Elenco dei detenuti deceduti nelle carceri italiane nell'anno 2009 Dei nomi che diamo in queste pagine alcuni hanno avuto una breve menzione in qualche pezzo di cronaca al momento dell'arresto, altri nemmeno questo. Altri ancora sono rimasti, in morte come in vita, sconosciuti del tutto alle istituzioni come ai cittadini. Li elenchiamo qui, in queste ultime nostre pagine dell'anno, per pietà e per vergogna. Fortunato o meno che sia in Italia l'anno che viene, di destra o di sinistra, più povero o più ricco, che almeno non debba terminare con un altro elenco come questo

I nomi che seguono sono di detenuti morti nelle carceri italiane durante l'anno 2009. I decessi sono stati causati da: suicidio, mancata o insufficiente assistenza sanitaria, episodi di overdose, altre cause non definitivamente chiarite. I decessi qui elencati ammontano al numero di 81. Per molti dei detenuti, specie stranieri, non è stata possibile alcuna identificazione. Essi vengono qui indicati col generico termine “detenuto”. L'elenco è incompleto, fermandosi al 28 ottobre 2009. Elenco dei detenuti: Aziz. Marocchino. 34 anni. 03 gennaio 2009. Suicidio. Spoleto. Salvatore Mignone. 37 anni. 04 gennaio 2009. Omicidio. Secondigliano (Na). Edward Ugwoj Osuagwu. 35 anni. 17 gennaio 2009. Suicidio. Alessandria. Rocco Lo Presti. 72 anni. 24 gennaio 2009. Da accertare. Torino. Detenuto croato. 37 anni. 26 gennaio 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Francesco Lo Bianco. 28 anni. 27 gennaio 2009. Da accertare. Ucciardone (Pa). M. B. , detenuto italiano. 60 anni. 30 gennaio 2009. Suicidio. Sollicciano (Fi). Gaetano Sorice. 38 anni. 31 gennaio 2009. Overdose. Teramo. Vincenzo Sepe. 54 anni. 01 marzo 2009. Suicidio. Bellizzi Irpino (Av). Mohamed.

Marocchino. 26 anni. 06 marzo 2009. Suicidio. SM Maggiore (Ve). Leonardo Di Modugno. 25 anni. 08 marzo 2009. Suicidio. Foggia. Giuliano D., italiano. 24 anni. 08 marzo 2009. Suicidio. Velletri (Rm). Giancarlo Monni. 35 anni. 09 marzo 2009. Malattia. Cagliari. Detenuto italiano. 37 anni. 16 marzo 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Jed Zarog. 30 anni. 17 marzo 2009. Suicidio. C. C. di Padova. Detenuto algerino. 42 anni. 19 marzo 2009. Da accertare. C. I. E. di Roma. Marcello Russo. 38 anni. 22 marzo 2009. Suicidio. Voghera (Pv). Francesco Esposito. 27 anni. 27 marzo 2009. Suicidio. Poggioreale (NA). Carmelo Castro. 20 anni. 27 marzo 2009. Suicidio. Piazza Lanza (Ct). Gianclaudio Arbola. 43 anni. 31 marzo 2009. Suicidio. Marsala (Tp). Detenuto tunisino. 28 anni. 13 aprile 2009. Suicidio. Pisa. Andrei Zgonnikov. 47 anni. 16 aprile 2009. Suicidio. Salerno. Antonino Saladino. 57 anni. 20 aprile 2009. Suicidio. Viterbo. Daniele Topi. 37 anni. 21 aprile 2009. Suicidio. Rimini. Ihssane Fakhreddine. 30 anni. 24 aprile 2009. Da accertare. Firenze. Franco Fuschi. 63 anni. 26 aprile 2009. Suicidio. Alessandria. Graziano Iorio. 41 anni. 1 maggio 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Ion Vassiliu. 21

anni. 1 maggio 2009. Suicidio. Pisa. Nabruka Mimuni. 44 anni. 7 maggio 2009. Suicidio. Roma (C.I.E.). L.P. , detenuto italiano. 27 anni. 15 maggio 2009. Da accertare. Campobasso. Detenuto marocchino. 30 anni. 15 maggio 2009. Da accertare. C.C. Padova. Detenuto marocchino. 25 anni. 19 maggio 2009. Suicidio. Bergamo. Samir Mesbah. 36 anni. 27 maggio 2009. Suicidio. Firenze. Detenuto italiano. 40 anni. 30 maggio 2009. Malattia. Terni. Vincenzo Nappo. 43 anni. 09 giugno 2009. Suicidio. Opg Aversa (Ce). Detenuto italiano. 79 anni. 09 giugno 2009. Malattia. Secondigliano (Na). Antonio Chiaranza. 32 anni. 10 giugno 2009. Suicidio. Crotone. Anna Nuvoloni. 40 anni. 11 giugno 2009. Da accertare. Sollicciano (Fi). Charles Omofowan. 32 anni. 14 giugno 2009. Malattia. Lanciano (Ch). Rino Gerardi. 38 anni. 16 giugno 2009. Da accertare. Venezia S.M.M. Detenuto marocchino 30 anni. 18 giugno 2009. Suicidio. Brindisi (Caserma). Detenuta italiana. 35 anni. 21 giugno 2009. Suicidio. Civitavecchia (Rm). Detenuto indiano. 30 anni. 21 giugno 2009. Suicidio. Vercelli. Khalid Husayn79 anni. 21 giugno 2009. Malattia. Benevento. Detenuta italiana. 28 anni. 06 luglio 2009. Da accertare. Sollicciano (Fi).

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Memoria

Sami Mbarka Ben Gargi. 41 anni. 05 settembre 2009. Suicidio. Pavia. Cole Abib. 32 anni. 08 settembre 2009. Suicidio. Teramo. Detenuto cileno. 19 anni. 10 settembre 2009. Suicidio. Castrovillari (Cs). Detenuto italiano. 44 anni. 11 settembre 2009. Suicidio. Ucciardone (Pa). Fersi Walid. 30 anni. 12 settembre 2009. Suicidio. Prato. Rosario Vollaro. 38 anni. 12 settembre 2009. Suicidio. Lecce. Antonino Patafi. 89 anni. 19 settembre 2009. Malattia. Roma (det.dom.). Nevio Porreca. 55 anni. 19 settembre 2009. Malattia. Opera (Mi). Detenuto italiano. 40 anni. 26 settembre 2009. Suicidio. Firenze. C.N., detenuto italiano. 39 anni. 27 settembre 2009. Suicidio. Castrovillari (Cs). Daniele Salvatori. 26 anni. 28 settembre 2009. Da accertare. Sulmona (Aq). Roberto Capri. 31 anni. 04 ottobre 2009. Suicidio. Poggioreale (Na). Gennaro Cerbone. 41 anni. 11 ottobre 2009. Malattia. Lanciano (Ch). Elio O., detenuto italiano. 35 anni. 13 ottobre 2009. Da accertare. Frosinone. Detenuto romeno. 24 anni. 17 ottobre 2009. Suicidio. Tolmezzo (Ud). Stefano Cucchi. 31 anni. 22 ottobre 2009. Da accertare. Regina Coeli (Rm). Rahmoni Wissem. 30 anni. 26 ottobre 2009. Malattia. Isernia. Francesco Gozzi. 52 anni. 27 ottobre 2009. Suicidio. Parma. Marcello Calì. 50 anni. 28 ottobre 2009. Malattia. Poggioreale (Na).

MANUEL E GLI ALTRI/ MORIRE DENTRO Manuel Eliantonio, ventidue anni, è morto in una cella del carcere di Genova Marassi il 25 luglio del 2008: non rientra duque nelle statistiche del 2009,che segnano il record di questo decennio. Il suo corpo era stato rinvenuto pieno di ferite e sul suo volto irriconoscibile. Tuttavia, all'inizio di questo mese, il pubblico ministero della procura di Genova, ha chiesto l'archiviazione delle indagini sulla sua morte. Nessuna verità ufficiale se non quella di decesso per soffocamento per butano. Cadono nel vuoto le parole di Maria, sua madre. “L'ho trovato gonfio di tutte le sfumature di colori, nero, marrone, verde... Il naso rotto, le dita rotte, il volto e il collo gonfio, le unghie blu. Non mi è stata data nessuna altra dichiarazione. Manuel era terrorizzato dal butano...”. ( http://blog.libero.it/manuelEliantonio/ ) Nel 2008 i morti in carcere, compreso il giovane Manuel Eliantonio, erano stati quarantasei. Secondo le rilevazioni del Dipartimento organizzazione

penitenziaria, fra il 2000 e il 2009 nelle carceri italiane si sono tolti la vita 559 detenuti. Quest'anno il numero è salito di molto. “Con i due suicidi registrati ieri a Vicenza e oggi a Roma – ha dichiarato pochi giorni fa il Garante dei detenuti - i detenuti che si sono tolti la vita nel 2009 nelle carceri italiane sono 71, cifra che supera la precedente soglia massima di 69, fatta registrare nel 2001''. Se ne parla poco. C'è solo un'informazione dal basso a raccontare le cronache di queste morti nere, come quella di Manuel o quella di Uzoma Emeka, testimone del pestaggio nel carcere di Teramo del 22 settembre scorso e ritrovato senza vita due settimane fa. In Italia ci sono circa settantamila detenuti, il 65 per cento dei quali è in carcere per pene inferiori ai tre anni. Questo era il caso di Manuel, che sarebbe dovuto uscire esattamente un mese dopo quel 25 luglio 2008. Suicidi e morti aumentano. Ammalati lasciati morire, giovani pestati. Ci sono dei testimoni, ma hanno paura. Fabio D'Urso

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Movimento

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