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La guerra dei bambini
Son tanti, si moltiplicano, minacciano la Razza. Li cacciano dalle scuole, li mettono a pane e acqua. Fantasie? L'altro giorno una bambina nigeriana, figlia di operai, è morta perchÊ respinta dall'ospedale. C'è una strategia precisa, dietro tutto questo: impaurire i potenziali immigrati per tenerli lontani. E' una forma moderna di terrorismo, odiosa quanto i brigatisti e altrettanto feroce. Altro che dialogarci: combatterli a tutti i costi! Roccuzzo Spagna - Il giudice Garzon cacciato dai politici come Caselli Finocchiaro Pd e Lombardo: le ragioni di un no Dibattito Informazione e speranza Storie di ordinari soprusi/ Sardegna: quello strano arresto alla Maddalena || 15 aprile 2010 || anno III n.73 || www.ucuntu.org ||
Italia
Il nuovo terrorismo Rachel Odiase, tredici mesi, nigeriana, figlia dell'operaio Tommy Odiase, morta per mancanza di cure poco dopo essere stata respinta dall'ospedale di Cernusco, Italia, è a tutti gli effetti una vittima del terrorismo. La vita non le è stata tolta per ignoranza, o per superficialità colpevole, o per "incidente": è stata respinta perchè non in regola coi documenti. Suo padre da tredici anni lavorava in Italia con tutti i permessi possibili: il Pil di noi italiani bianchi è fatto dagli anni di lavoro di operai come questo. Un mese e mezzo fa, per la "crisi", il padrone l'aveva licenziato: il permesso di soggiorno, che va rinnovato (e pagato) ogni sei mesi, in questi casi richiede tutta una serie complessa di documenti, che certo a un operaio come Odiase nessuno si cura molto di consegnare in tempo. Senza documenti del Reich, senza accettazione, senza permesso, la piccola Rachel è stata praticamente condannata a morte.
Questo, che noi sappiamo, è il primo caso eclatante di eliminazione legale di un piccolo immigrato. Ma c'erano già le storie dei piccoli buttati fuori dalle mense scolastiche, lasciati col piatto vuoto davanti ai compagnucci dell'asilo, semplicemente perché erano poveri e non avevano pagato in tempo la retta. E i piccolissimi zingari bruciati - anche questo è successo - nelle loro tende a Opera, Lombardia; e vivi per miracolo, non certo per pietà dei razzisti; e quelli cacciati via dalle squadracce mafiose a Rosarno, a Poggioreale, a Milano dalla guardia civica cittadina. *** Nessuno di questi episodi è casuale. Così come i piccoli ebrei, germe del male e seme di Ubermensch, dovevano essere sradicati dalla terra per il bene della razza ariana, così gli immigrati più piccoli vanno cacciati - o uccisi - per primi e in fretta: prima che diventino uomini, uomini di
razza nemica. Il terrorismo nei confronti dell'immigrazione (le "cannonate in pancia" di Bossi, il gioco "affonda un immigrato" di suo figlio) è stato apertamente, nel nostro silenzio colpevole, teorizzato. La strategia è di fare paura, l'Italia deve apparire un paese terribile, da cui tenersi lontano. Non è vero, onorevole Bossi? Non è vero, onorevole Borghezio, sindaco Tosi, sindaco Gentilini? In nulla si differisce il terrorismo, che ormai crea le sue vittime, di costoro da quello dei Nar o dalle Brigate Rosse. Va contrastato a ogni costo, con mezzi moderati se possibile, con ogni altro mezzo se occorre. Quanto a parlare coi terroristi, a "dialogare" coi loro alleati, a cercare non dico collaborazioni ma trattative con essi, è un'idea che dovrebbe far vergognare chi anche lontanamente ce l'abbia in mente. Riccardo Orioles
|| 15 aprile 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||
Italia
Due storie di antimafiosi
In questo numero di Ucuntu si parla di due personaggi importanti dell'Italia di ora. Non sono dei Vip e non ne avete mai letto sui giornali. Eppure sono due protagonisti, due cittadini che fra mille difficoltà affrontano ogni giorno la vita per affermare un'idea
(disegno di Dariush Radpur)
Due storie di due antimafiosi distanti tra loro, il mare che separa La Maddalena dalla Sicilia, e venti anni di differenza. Andrea, 43 anni, militante di base alla Maddalena, in lotta contro i soprusi alla sua isola e Salvatore, 20 anni, abitante a Catania, nel quartiere popolare di Zia Lisa. Andrea (pagine 6-7) vive la sua vita contro ogni violenza, solidale con i compagni e la gente comune, lavorando come mastro muratore durante il giorno e piantando siti web, volantini, lenzuola e proteste popolari: dalla lotta per l'acqua pubblica (www.desaparecidos.it/acquopoli.htm) a quella contro la recinzione delle case del quartiere dell' Arsenale (www.youtube.com/watch?v=SFL1pHSOLFA). Andrea ha vissuto questo decennio usando la vita contro ogni sopruso attorno a sè. Un grande orgoglio, un grande amore per il prossimo, dopo una vita di sofferenza, ha portato avanti ogni lotta con grande senso di umanità e responsabilità. A tutto questo, alla sua lotta per la civiltà nella sua isola, la risposta sono state le attenzioni di un gruppo di carabinieri dell'isola
( http://www.youtube.com/watch?v=9rSm4kh_B6s). Già qualche anno fa era stato arrestato per resistenza a pubblico ufficiale, e per ingiuria aggravata (si sarebbe rivolto al comandante della stazione dicendo che non era degno di indossare l'uniforme). Il processo è tuttora in corso, in secondo grado. Ora un nuovo epilogo: il 28 marzo, il giorno prima di pasqua, Andrea viene ancora una volta arrestato “perché accusato dei fatti previsti dagli artt. 337, 582, 585 e 341bis c.p.” (resistenza a pubblico ufficiale, lesione personale, circostanze aggravanti, oltraggio a pubblico ufficiale). L'arresto avviene mentre rincasava dalla commemorazione di un amico morto. partecipa a un torneo di biliardino al bar Charlie. I carabinieri lo fermano in piazza, lo prelevano e lo portano dentro. Adesso aspetta il processo. *** Seconda storia (pagina 11). E' quella di Salvatore - così distinta nella forma da quella di Andrea -, un giovane antimafioso di un quartiere popolare. E' una storia di semplice resistenza a un
ambiente che costantemente lo porterebbe altrove. Ma lui invece è caparbio nella volontà di far bene per tutti. Al lavoro di volantinaggio, a scuola, dentro il quartiere. Legge molto e cammina molto tra il web, nella rete di facebook. Ha scritto un pezzo con una geografia fin troppo precisa del suo quartiere. *** Da una parte del mare Andrea, da un'altra parte Salvatore. Nel mezzo l'Italia di Berlusconi, la crisi nelle fabbriche, la scuola ridotta al minimo, la democrazia ferita. Non bastano le parole per ricordare che senza cittadini che fanno semplicemente l'uso della civiltà ci troveremo di nuovo a piangere i martiri che hanno lungamente abitato le strade del nostro paese. E che sono finiti, loro malgrado, in un vortice di una violenza sociale, ancora difficile da raccontare. La gente in Italia continua a resistere e nel segno della croce ricorda continuamente che si può morire di ingiustizia come Stefano Chucchi. Fabio D'Urso
|| 15 aprile 2010 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||
Magistrati e politica
Giudici/ La campana suona anche per Garzon Ha indagato su mafiosi, stragi fasciste, terroristi dell'Eta, e persino su una società di Berlusconi. Non poteva durare. Se fosse stato in Italia gli avrebbero messo una bomba sotto la macchina o gli avrebbero scatenato una campagna di stampa contro. Siccome Garzon è spagnolo, si sono limitati a incriminarlo per “disconoscimento dei principi dello Stato”. In sostanza, perché ha indagato troppo. Brutti tempi per la giustizia (in Spagna)
Giustizia è sfatta, anche in Spagna. Quello in cui si trova da alcuni giorni il giudice Baltasar Garzon, 56 anni, è un pauroso rovesciamento di ruolo, di “modello italiano”. Direbbe Heminguay: la campana ora ha suonato anche per Garzon. Da grande inquisitore a inquisito. La notizia è nota (anche se i giornali italiani – con poche eccezioni - non ne hanno dato notizia, perché qui gli esteri non fanno più notizia) e risale a mercoledì 7 aprile 2010. Del resto, la cronaca giudiziaria italiana è piena di magistrati che finiscono sul banco degli imputati. Non c’è notizia, in Italia, se un magistrato spagnolo che indaga sui potenti finisce imputato per aver svolto il suo dovere d’ufficio. Partiamo dalla notizia battuta dall’agenzia Ansa: “Il giudice Baltasar Garzon, conosciuto per aver fatto processare il dittatore cileno Augusto Pinochet e per aver perseguito i responsabili di crimini contro l’umanità in varie parti del mondo, dovrà sedere a sua volta sul banco degli imputati per aver indagato sui crimini commessi dal franchismo durante la guerra civile e la dittatura (1936-1975) e rischia di essere multato o rimosso dalle sue funzioni”. La pena massima – secondo il diritto spagnolo prevede la sospensione fino a 20 anni dalle funzioni pubbliche. Dunque, a Madrid c’è un giudice del Tri-
bunale Supremo che si chiama Luciano Varela che ha aperto un formale processo contro Garzon sulla base di alcune denunce presentate da tre associazioni di reduci franchisti denominate “Manos Limpias”, “Libertad e Identitad” e “Falange Espanola”: “Garzon ha disconosciuto principi essenziali dello Stato di diritto come la legge di Amnistia”, ha affermato Varela. Garzon – questa la sua “colpa” - ha indagato sulle responsabilità di chi ha ucciso, torturato e stuprato nel corso della guerra civile in Spagna e durante il successivo quarantennio di regime franchista. E così facendo, Garzon avrebbe violato la legge di amnistia per i falangisti votata alla morte di Francisco Franco, nel 1977, dopo la fine della dittatura e l’inizio della democrazia. Garzon rivendica il suo diritto a procedere in base al principio di diritto internazionale per il quale “i crimini contro l’umanità non sono soggetti ad amnistia e non si prescrivono”. Ciò che la Corte Suprema gli contesta è in particolare il fatto di aver iniziato, sulla base delle richieste dei familiari di vittime del franchismo, le procedure per la riesumazione di corpi di combattenti repubblicani e poi di dissidenti del regime, uccisi e gettati in fosse comuni dai falangisti. Parliamo di 133 mila persone, uccise e sepolte senza nome durante i 40 anni di dittatura.
Tra quei corpi senza nome ci sono anche i resti del poeta Federico Garcia Lorca, arrestato il 19 agosto 1936 e fucilato perché di sinistra e omosessuale e infine gettato in una anonima fossa a Fuentegrande de Alfacar nei dintorni di Viznar, vicino a Granada. E, non a caso, località a pochi chilometri da Torres, cittadina dove il giudice Garzon è nato. Per aver cercato questa verità giudiziaria nel cuore della sua terra, Garzon ora è sotto processo disciplinare. Il giudice sotto processo ha già presentato ricorso e accusa la Corte Suprema di persecuzione ideologica, ma anche di “mettere a rischio l’indipendenza della magistratura inquirente”. La mattina del giorno dopo la notizia dell’accusa al più noto fiscal general di Spagna, “El Pais” ha censurato la messa in stato d’accusa di Garzon e ha scritto che “la causa contro Garzon per l’inchiesta sul franchismo acquisisce un significato insultante per la democrazia”. A questo punto, tocca ricapitolare chi sia Garzon. E’ uno dei magistrati più popolari del mondo che si è speso per perseguire le responsabilità penali dei più grandi crimini contro l’uomo avvenuti negli ultimi 25 anni dello scorso secolo. Metterlo sotto inchiesta, è stato come se in Italia, mentre erano in vita, qualcuno avesse aperto un fascicolo
|| 15 aprile 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||
Magistrati e politica
contro Giovanni Falcone o Paolo Borsellino accusandoli di aver abusato del loro potere di indagine contro le cosche mafiose. Breve elenco di processi di Garzon che – come si vedrà - di nemici, tra i potenti di Spagna e di tutto il mondo, ne ha accumulati tanti. Di quello contro il generale e dittatore cileno Pinochet si è detto, ma vale la pena di ricordare anche l’inchiesta contro i generali argentini per la sparizione di antifascisti spagnoli e quella, mai arrivata in un’aula processuale, su presunte responsabilità del potente segretario di Stato americano Henry Kissinger per l’appoggio dato alle dittature latino-americane dal governo degli Stati Uniti. Garzon ha indagato e fatto condannare i dirigenti dei fiancheggiatori politici dell’Eta, ma anche i pubblici funzionari che negli anni 80 crearono i famigerati Gal, nuclei speciali (e segreti fino all’entrata in scena di Garzon) dei servizi spagnoli che catturavano e uccidevano sbrigativamente terroristi baschi. Garzon ha indagato – per primo nel 2002 e per alcuni anni da solo – contro cellule di Al Qaeda, ha sollecitato indagini internazionali contro gli abusi su detenuti nel carcere di Guantanamo, ma nel 2003 ha del resto firmato il primo mandato di cattura internazionale contro Osama Bin Laden per le sue relazioni con cellule algerine in azio-
ne sul territorio spagnolo. Negli anni 90 ha indagato contro la corruzione di alcuni esponenti socialisti. E nel 2001 ha indagato per riciclaggio la seconda banca spagnola, la Bbva. Ma è l’ultimo processo quello che gli ha procurato molti nemici anche in patria. Scrive ancora “El Pais” che così dà una chiave di lettura “dietrologica” ma convincente del conflitto che sta dietro il processo ora aperto dalla Corte Suprema contro Garzon: “La persecuzione giudiziaria contro Garzon, sospinta anche dalla Falange e incoraggiata dal PP (Partido Popular), si è scatenata dopo il disvelamento del Caso Gurtel un anno fa”. Il caso citato da el Pais riguarda il processo, iniziato un anno fa da Garzon, su una massiccia rete di corruzione legata e messa in piedi da esponenti del PP, a partire dal segretario Mariano Rajoy. Insomma, il “sospetto” avanzato dal più autorevole quotidiano spagnolo è che il giudice, con un passato dichiaratamente vicino al Partito socialista spagnolo (fu anche deputato per un legislatura), sia frutto di velenose vendette politico-giudiziarie. Ho conosciuto Garzon sul finire del secolo scorso. Tra il 1997 e il 1999 sono stato inviato a Madrid dal settimanale “Avvenimenti” per seguire il processo sulle frodi fiscali e sull’aggiramento della legge spagnola sui tetti televisivi presuntivamente
compiuti da “Telecinco”, gruppo privato controllato allora da Fininvest e oggi da Mediaset, insomma dal gruppo della famiglia Berlusconi. L’ho anche incontrato nel palazzone dell’Audiencia Nacional, nel suo studio al 5 ° piano. Sono stato per ore in attesa nella sua anticamera quando ha interrogato per due giorni il senatore Marcello Dell’Utri. L’ho visto tornare a casa dopo sedici ore di fila in ufficio circondato da agenti di scorta, il suo sguardo altero di celebre figlio – Garzon nasce così - di un addetto ad un distributore di benzina in Andalusia. A proposito del processo a Telecinco mi disse: “La legge è uguale per tutti. E io qui sto per farla rispettare nel mio paese e dovunque sia violato un diritto contro l’umanità in ogni angolo del mondo”. Il pubblico ministero che lavorava con lui in tutti questi processi, da questo al gruppo Berlusconi a quello contro Pinochet, si chiama Carlos Castressana e aggiunse riferendosi all’inchiesta contro l’ex dittatore cileno: “La legge va rispettata sempre. E, per quanto riguarda i crimini contro l’umanità, nessuna sospensione o prescrizione può essere eccepita. La Shoah non si prescrive mai. E neanche i crimini delle dittature latino-americani del Novecento”. Antonio Roccuzzo
|| 15 aprile 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||
Storie di ordinari soprusi
“Alla Maddalena hanno arrestato un estremista ubriaco” Italia, anno 2010. Questa è la cronaca di una vicenda giudiziaria di un cittadino che ha contribuito in questo decennio alla salvaguardia ecologica, morale e sociale del nostro paese. E che sta pagando con la minaccia del carcere l'aver difeso la democrazia reale nel nostro Paese. La stampa locale ne ha dato notizia alla maniera sua, senza approfondimenti. Ma per fortuna c'è internet, e su internet ha camminato subito la verità
Il 28 marzo 2010, alla Maddalena, Andrea Scolafurru è stato arrestato, prelevato dai carabinieri, e portato in carcere. Il tribunale ha disposto il suo arresto domiciliare. Il processo è stato fissato al 29 aprile. Andrea è accusato dei fatti previsti dagli artt. 337, 582, 585 e 341bis c.p.” (art. 337 è “resistenza a pubblico ufficiale“, art. 582 è “lesione personale“, art. 585 è “circostanze aggravanti“, art. 341bis è “oltraggio a pubblico ufficiale”). Vediamo la vicenda. Andrea esce dal bar Charlie dopo aver partecipato a un incontro in memoria di un amico, morto un anno addietro, nella zona di Barabò. Va verso casa, a piedi. Una macchina dei carabinieri è ferma tra il bar e Piazza Umberto I. I carabinieri fermano Andrea e lo caricano in macchina. Lui si lascia portare via senza far nulla. La notizia viene riportata da la Nuova Sardegna in questi termini: “Il gip del tribunale di Tempio ha concesso gli arresti domiciliari al 33enne (Andrea ne ha 43 ) maddalenino A.S. arrestato dopo essere stato sorpreso ubriaco mentre disturbava i clienti del bar. Brandendo una bottiglia e dopo aver minacciato i militari che cercano di calmarlo aveva colpito un carabiniere procurandogli una lesione ad un dito”. Il carabiniere in ospedale dichiarerebbe sia di essere stato colpito da calci all'altezza della mano che (in un altro momento) che
di essere stato afferrato alla mano e strattonato a un dito. Di fatto l'urto riscontrato in ospedale viene diagnosticato con un trauma contusivo guaribile entro dieci giorni. La moglie di Andrea, Chicca Francesca, con l'amica Alessandra Marsili ha messo in rete una lettera Alla notizia uscita sulla stampa locale, viene mandando in rete una lettera (www. cronacheisolane.it/lettere.al.sito.165.htm) in cui invece si ricostruiscono accuratamente i fatti e si smontano una per una le accuse fatte ad Andrea. “Stavano procedendo all’arresto, nell’adempimento delle proprie funzioni che il reo avrebbe ostacolato? Nel codice di procedura penale all’art. 380 si parla di "Arresto obbligatorio in flagranza” per “un delitto non colposo, consumato o tentato, per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni e nel massimo a vent’anni”. Perché Andrea è stato accusato di oltraggio a pubblico ufficiale? “Avrebbe dato “in escandascenze inveendo contro di loro”. Per questo egli è punibile ai sensi dell’art. 341bis “nel massimo a tre anni”; addirittura non punibile se l’offesa è verità. Come mai è stato arrestato all'istante per la "lesione personale" al carabiniere? I referti medici, come dicevamo, testimoniano
una prognosi che non supera i dieci giorni. Ma, secondo l'art. 582 del codice penale, "se la malattia (causata dalla lesione, ndr.) ha una durata non superiore ai venti giorni (…) il delitto è punibile a querela della persona offesa". Nella lettera si ci domanda a ncora: “Come si procede a un arresto legale? Con quale criterio giuridico sono stati cumulati tutti insieme questi articoli per trovare nel complesso che si proceda ad un legale arresto? In altre parole come e perché si è proceduto a quest'arresto? Come si confrontano i capi d'accusa con il riferimenti alla vicenda e alla vita reale di Andrea?". Si può indirettamente capirlo seguendo il successivo dibattito su "Cronache Isolane" su cronache isolane. Un commentatore risponde: “Esistono due tipi di arresto, uno obbligatorio quello di cui all’art. 380 c.p.p., al quale fa riferimento la sig.ra Francesca Chicca, ed uno facoltativo di cui all’art. 381 c.p.p. L’uso di armi ancorché improprie – tipo una bottiglia – costituisce aggravante”. Ma in nessuno dei verbali si parla di una bottiglia usata come arma impropria!,E infatti questa è la risposta data da Francesca:“ Se è come dice penso proprio che manca l'art. 336 nei capi d'accusa, perché l'arresto facoltativo ai sensi dell'art. 381, comma 2, lettera c prevede una "violenza o minaccia a pubblico ufficiale prevista dall'art. 336
|| 15 aprile 2010 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||
Storie di ordinari soprusi
L'INCHIESTA DI “CASABLANCA Le traversìe di “Indio” provocarono un'inchiesta giornalistica su “Casablanca”, la rivista diretta da Graziella Proto, già due anni fa.
comma 2 del codice penale". Andrea, però, per l'articolo 336 non è accusato affatto. Quello che scrivo è solo per fare capire a chi legge che esistono due tipi di versioni: quella vera che si discute atti alla mano e quella falsa che si basa su voci smentite agli atti dagli stessi Carabinieri”. Ma allora, perché tutto questo accanimento? Mah. E' una storia lunga. Se ne parla su un articolo di "Casablanca" di due anni fa. L'articolo cominciava così: "Indio ha cominciato a fare una sorta di campagna informativa, a sue spese, per divulgare al popolo maddalenino il funzionamento delle bollette forfettarie, dei contatori dell’acqua, della legalità e dei sigilli ai contatori. Insomma, se alla Maddalena si sa qualche nozione sull’acqua, lo si deve a Indio. Ma non riusciva a capire, questo ragazzo, come mai dopo che lui denunciava abusivismi nelle mega ville, le autorità lasciavano correre. Contatori mai attivati, eppure che erogavano acqua. In alcune occasioni, mentre stendeva lenzuola di protesta a mo’ di striscione da stadio, Indio fu colpito alla testa da una persona con un casco addosso. Solito iter: pronto soccorso, un po’ di giorni di prognosi, e poi di nuovo da capo, per strada, a sensibilizzare la gente su temi scottanti. Insomma, più si parlava d’acqua, più le autorità e le forze dell’ordine si infastidivano...".
d'arresto da verificare, turni di LA GIUSTIZIA NEGATA verbali secondini da controllare. Particolari – si MORIRE DI PRIGIONE direbbe - “senza importanza”.
Non serve essere colpevoli, per rischiare la pelle. Potrebbe essere sufficiente entrare in un carcere, magari da innocente, e uscire da morti. Dall'inizio dell'anno, sono 54 i detenuti morti nelle carceri italiani. Dal 2000 sono quasi 1700 i decessi. Ci vogliono casi eclatanti come la morte di Stefano Cucchi per sollevare il problema; la famiglia di questo ragazzo, entrato con l'accusa di possesso di stupefacenti, massacrato di botte, e fatto morire agonizzante, sta aspettando giustizia. Di solito si aprono fascicoli contro qualche medico che ha curato male o per niente l'ammalato, ma per quanto riguarda le sevizie, di solito è “contro ignoti” che si procede. Stefano Cucchi non è un caso sporadico. Come lui, centinaia. Tutti finiti in carcere per qualche reato ridicolo, e in alcuni casi senza nemmeno che il reato ci sia. E' il caso di Niki Aprile Gatti, informatico che sapeva troppo, portato al carcere di Sollicciano, perché la società per cui lavorava, con sede a San Marino, era la responsabile delle truffe per i numeri telefonici a pagamento con prefisso 899. Niki aveva intenzione di parlare e raccontare nomi e fatti, perché lui era un tecnico, non un truffatore. Gliel'hanno impedito in tempo. Si è “suicidato”, e la sua abitazione è stata svaligiata. Ci sono sempre elementi di indagine in casi come questo. Ci sono cose su cui Riccardo Orioles e Fabio D'Urso\ indagare, persone da interrogare, firme nei
Manuel Eliantonio è un altro caso. Simile a Stefano Cucchi, per le modalità dell'arresto e per come è stato trovato il corpo, irriconoscibile per i familiari, con chiari segni di percosse. Quella che viene posta è una questione di cittadinanza, di rispetto dei diritti civili. La violenza sulla persona (a tutti i livelli, anche psicologica), stupra la dignità umana. Cifre altissime, quelle dei suicidi. Ma non abbiamo contato tutti gli arresti illegali, immotivati, di innocenti. Sta agli avvocati cercare di arrivare alla giustizia, sta ai giudici del collegio giudicante, perché gli inquirenti spesso dimenticano che prima di svolgere il ruolo di pubblica accusa devono accertarsi che i reati siano veri o presunti. Ma questa mansione, che esiste nel Codice di Procedura Penale, art. 358, è stata spesso inferiore al dovere di “svolgere accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini”. Se ci si limita a togliere libertà e dignità alle persone, in casi estremi anche la vita, si dovrà togliere la frase “percorso riabilitativo”, quando si parla della vita del carcerato nella Costituzione, mettere “punizione efferata”. Nei casi in cui si usa la pena detentiva per gli innocenti, non c'è nemmeno la Costituzione a darci una mano. L'ipocrisia è imperante tanto quanto il fenomeno è dilagante. Antonella Serafini
|| 15 aprile 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||
Libri
in rete Sebastiano Gulisano Porcilandia/ La vera storia di Sua Innocenza 96 pagine 12 euro
Vi si racconta di un Paese che somiglia all’Italia, ma è Porcilandia. Un Presidente che ricorda Silvio Berlusconi, ma è Giuliocesare Cavaliere detto “Il Dottore” «ché il suo gioco preferito, fin dalla più tenera età, è sempre stato "il medico e la malata": lui fa il medico, la malata è sempre una bambina possibilmente ogni volta diversa. Ché con le bambine l'innocenza del gioco è garantita. Senza malizia. Proprio l'innata predisposizione del Dottore a prendersi cura degli altri, specie delle altre, ha spinto i media "più sensibili e avvertiti" di Porcilandia, tutti di sua proprietà, a cucirgli addosso un altro soprannome: Sua Innocenza». Cosa collega un singolare corteo di bambine fra i 6 e gli 8 anni, nel 1943 a Maduninadabere, con una loro coetanea sverigese che, tre anni dopo, molesta sessualmente un compagno di classe e subito si sente così male da essere ricoverata in ospedale? E cosa c’entrano questi due fatti con una fabbrica di caramelle nata in un paesino della neutrale Elvezia durante il Grande Conflitto Globale? Cos’è il “Cartello delle caramelle mou” e cosa ha da spartire con Giuliocesare Cavaliere, che dal 2000 al 2040 è Presidente della Libera Repubblica Telecratica di Porcilandia? Un giornalista insegue lo scoop della vita e decide di indagare, scavando in un secolo di storia di Porcilandia, districandosi fra esponenti della Chiesa Ufficiale, banchieri, mafiosi, incappucciati, Maialini e Maialoni, con ricco contorno di Zoccolette («il mestiere più ambito dalle nuove generazioni di giovani donne che intendono affrancarsi da secoli, anzi millenni di anonimato»).
Su Facebook si possono leggere due capitoli: http://www.facebook.com/group.php? v=wall&ref=mf&gid=113156265377362http://www.facebook.com/ Il libro è acquistabile solo online, qui: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=433644
|| 15 aprile 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||
Precarietà
“Il mio quartiere” “Sto a Catania in via San Jacopo, in mezzo ai due tronconi del quartiere di Zia Lisa. Sono cresciuto in questo quartiere, anche se la zona dove me la facevo era l'Antico Corso e la Petriera, zona via Plebiscito-Lago di Nicito...”
A cinque anni, quando ci siamo trasferiti in questo quartiere, la zona era diversa, non c'era il bar vicino al cimitero, non c'era il benzinaio, non c'era il parco giochi, ma la gente era la stessa. Infatti ci sono sempre le stesse famiglie. Qua ho dei parenti, i miei nonni e dei miei cugini, ma non mi sono ambientato subito, e forse non lo sono fino ad ora. Mia madre non mi faceva scendere a giocare con gli altri bambini, diceva lei, per proteggermi. Io non capivo. Questi ragazzini, poi, li ho conosciuti a scuola. Andavo all'Angelo Musco, situata nel rione Zia Lisa II. La scuola era vecchia e in pericolo di crollo. Infatti l’anno scorso, i bambini sono stati trasferiti nella scuola elementare di San Giorgio. Era buona come ambiente, la direttrice e le maestre avevano fatto un buon lavoro. Mi trovavo bene . Avevo legato con i compagni della mia classe, anche se la maggior parte venivano da Librino. Nelle altre classi erano più presenti i bambini di Zia Lisa, ma io non mi trovavo bene con loro. Addirittura alcuni neanche sapevano che ero di Zia Lisa! Non mi vedevano mai per strada a giocare. E' destino che non dovevo andare d'accordo con i ragazzi del quartiere dove abito. Finita l'elementare, ho seguito i miei compagni di Librino e sono andato alla scuola Dusmet. Pensavo che essendoci loro, mi sarei ambientato subito. Niente di più sbagliato. A me e ai miei amici ci hanno messo in classi diverse e i miei nuovi compagni erano scatenati. Tornavo a casa quasi sempre col mal di testa, era impossibile stu-
diare, infatti durante l'anno i miei voti scesero, e finivo quasi ogni giorno per litigare con loro. Non capivo perché avevano questo comportamento, anche nei miei confronti. Forse mi vedevano “diverso” da loro perché pensavo a studiare. E non solo i compagni maschi, ma anche le femmine avevano questo comportamento. Giorno dopo giorno le cose peggioravano, ed io, ormai al limite, andai dal preside per fargli prendere dei provvedimenti. Ottenni pochi risultati, e allora feci venire i miei genitori. Parlarono con i professori e coi compagni e le cose migliorarono. Nel frattempo andai a giocare a calcio nella squadra della parrocchia, l'Elysia. Io all'inizio ero molto contento di questa nuova avventura, perché pensavo di trovare dei ragazzi con la mia stessa passione. Invece le cose andarono di male in peggio. Non c'era armonia nella squadra, litigavamo fra di noi, uno derideva l'altro perché giocava peggio di lui. E io mi chiedevo perché questi ragazzi continuavano a comportarsi così. Avevamo undici anni e non mettevano mai testa nelle cose che facevano. La loro unica soddisfazione era essere più “sperto” dell'altro. Era quello che gli insegnavano i genitori, l'importante era che a casa erano educati, poi fuori potevano sfogarsi come volevano. Non capivo se ero io che ero diverso, o erano loro che non erano “normali”.Comunque dopo due anni me ne andai dalla squadra, troppe pressioni. Poi vennero gli anni del motorino. Chiedevo ai miei genitori di comprarmelo, ma la loro risposta era sempre negativa. “Non possiamo permettercelo” dicevano, e poi
avevano paura che mi facessi male... E certo, vedevano i miei coetanei sfrecciare su una ruota nel quartiere. E loro come potevano permetterselo il motorino se i loro genitori erano disoccupati o erano operai. Mia madre diceva che loro, lavorando col ferro vecchio, facevano molto soldi. Ora questi ragazzi hanno macchine sportive, sempre lavorando al ferro vecchio. Dopo un paio d'anni feci l'errore di lasciare la scuola per andare a lavorare. Almeno io lavoravo, facevo volantinaggi. Ma loro? Tutto il giorno senza farz niente. La scuola l'avevano lasciata alle medie, ogni tanto andavano a lavorare con qualche parente. Ora qualcuno lavora, altri non fanno niente, cioè non proprio niente... spacciano. Altri sono in galera, uno è andato all'estero, altri sono mantenuti dai genitori, e hanno macchinoni. Altri sono nel “giro”, altri pensano ad allevare i cavalli per fare le corse clandestine. Altri si dedicano alla politica, insieme all'assessore provinciale C.G., che è del quartiere. Tutti lo venerano, ma lui non ha mai fatto niente per il quartiere. E dire che è cresciuto qua, ha anche il patronato. Forse l'unica cosa che ha fatto per il quartiere è che, ai tempi delle elezioni del 2005, ha promesso posti di lavoro, insieme al sindaco. Lo fece anche venire e lui in persona promise posti di lavoro, in cambio dei voti. Purtroppo questo quartiere sta andando indietro invece di andare avanti, come tutta la città d'altronde. Deve cambiare la mentalità. Ora per il catanese l'importante è essere superiore all'altro, essere più “sperto”. Salvatore D’Antoni
|| 15 aprile 2010 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||
Libri
In libreria Antonio Mazzeo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina Prefazione di Umberto Santino
Dall’Introduzione: Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.
Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad
una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno
avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia. Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.
Scheda autore Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006 Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).
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Precarietà
“La scuola è di tutti e noi la difendiamo” Catania: rapporto dai precari in lotta. Una festa, un'assemblea, cinque gruppi di studio e tante altre iniziative in cantiere
Il 10 Aprile, con la "notte bianca in difesa della scuola pubblica statale", centinaia di docenti, genitori e personale della scuola hanno avviato a Catania un nuovo percorso di confronto e mobilitazione sull'emergenza ‘scuola pubblica’. Dopo aver raggiunto, da piazza Duomo, il Boggio Lera è iniziata la discussione all’interno dei cinque gruppi di lavoro previsti. Queste le principali riflessioni condivise per garantire un reale diritto allo studio. Innalzare l’obbligo scolastico a 18 anni, istituendo, nelle scuole superiori, un biennio unitario; diminuire il numero di alunni per classe; modificare il tempo scuola per realizzare rapporti più coerenti con il territorio; mantenere il carattere nazionale dell’istruzione, respingendo ogni proposta di regionalizzazione. Al centro del dibattito i pesantissimi tagli degli investimenti e l’esasperazione del problema del precariato. Chi sono i precari della scuola? Sono insegnanti e personale ATA qualificati, spesso con più di un'abilitazione, e che hanno, dunque, gli stessi requisiti del personale di ruolo ma che ricevono un trattamento assolutamente diseguale: i precari hanno incarichi a tempo determinato o vengono assunti per supplenze brevi, conseguentemente, da giugno a settembre sono senza occupazione.
Con l'attuale governo la situazione è precipitata. In Sicilia e nel Mezzogiorno, inoltre, il dramma è significativamente maggiore rispetto alle altre regioni d'Italia, poiché i tagli sono stati elevatissimi. I precari con le loro famiglie vivono oggi una situazione insostenibile. Altrettanto insostenibile la situazione relativa alla sicurezza degli edifici scolastici, un esempio lampante di gestione illegale dei beni pubblici. Nella maggioranza dei casi, le norme di sicurezza vengono eluse e anche la dirigenza scolastica, quando emerge un problema, non viene messa nelle condizioni, da parte degli organi di vigilanza, di risolverlo, principalmente per mancanza di risorse finanziarie. Rivendicare il rispetto delle norme vigenti in materia di sicurezza implica non soltanto l'incolumità di quanti vivono e lavorano nelle scuole, ma si intreccia strettamente alla qualità della didattica, del processo di apprendimento e alla qualità della stessa convivenza civile. Convinti che chi taglia la scuola cancella il futuro, i presenti, compresi ricercatori e docenti universitari alle prese con analoghi problemi, si impegneranno in una capillare campagna di informazione sulle tragiche conseguenze del brutale taglio delle risorse per ottenere il ritiro della controriforma
Gelmini. Nell’immediato, non essendo ancora stati decisi nuovi programmi scolastici, non verranno adottati nuovi libri di testo. Verranno, inoltre, proposti altri eventi culturali (al termine dei gruppi di lavoro c’è stata l’esibizione del coro “Freedom” e il reading di poesie e brani letterari, con l’amichevole presenza di Fiorenzo Fiorito, Alberto Orofino e Aldo Toscano) e per il 17 aprile si svolgerà, così come nel resto del Paese, il No Gelmini day. Successivamente verrà organizzato un seminario pubblico sulla “scuola che vogliamo”, mentre è stato unanimemente condivisa l’idea di creare una rete regionale e nazionale dei coordinamenti, dei movimenti e di tutte le associazioni nate per contrastare l’applicazione della controriforma. Sul tema dello sciopero degli scrutini finali è stato promosso l’avvio di un “censimento” all’interno delle singole realtà scolastiche, che possa rendere realistica una previsione sulle percentuali di adesione nel territorio di Catania e che permetta di misurare la condivisione e l’eventuale incisività di tale forma di lotta. Un deciso rifiuto, infine, è emerso rispetto al decreto Brunetta. Comitato Catanese in difesa della scuola pubblica statale
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Politica
Il Pd e Lombardo Le ragioni di un no Gli elettori hanno conferito un madato preciso al Pd, anche in Sicilia: fare opposizione. Eppure, buona parte di esso è schierato in sostegno del governo regionale di Lombardo. Come mai? Alcune motivazioni sembrano nobili, altre lo sono molto meno. Ma la sostanza è quella: niente opposizione ma compromesso. Il centro del partito, Bersani in testa, non approva affatto. Ma in Sicilia non comanda Bersani
No. Il no della segreteria nazionale del Pd a qualunque ipotesi di partecipazione del partito siciliano al governo dell'isola presieduto dall'autonomista Raffaele Lombardo è chiaro, netto, inequivocabile. Eppure c'è ancora chi ama discutere sull'eziologia di un no. Un fatto sorprendente per gli elettori progressisti che pure hanno attribuito un mandato preciso ai loro consiglieri regionali. Fare opposizione. "Per quanto mi riguarda - dice Maurizio Migliavacca, coordinatore della segreteria nazionale del Pd - non mi sembra che ci siano le condizioni per fare passi politici ulteriori". Dello stesso parere il segretario siciliano del Pd, Giuseppe Lupo, e Rita Borsellino, non iscritta al partito ma autentica icona dei progressisti siciliani che vogliono rompere col passato, con qualsivoglia sentore di intesa con ambienti politici sensibili ai poteri forti e in particolare al più forte tra tutti in Sicilia, la borghesia mafiosa. La posizione ufficiale è chiara: nessun soccorso rosso per la giunta Lombardo che deve fare i conti con lo scontro interno al centrodestra. Scettici molti dirigenti di An, guerra fratricida tra i promotori del Partito del sud, Lombardo e Micciché contro i ber-
lusconiani doc Alfano e Firrarello. L'inviato di Bersani ritiene impossibile un qualsivoglia sostegno politico alla giunta Lombardo, in particolare il voto su Bilancio e Finanziaria che per Migliavacca è "un passaggio che ha valenza politica". La realtà però vede in giunta o consulenti di Lombardo tre autocrati storicamente vicini al Pd e ai progressisti: Mario Centorrino, lo studioso universitario di economia mafiosa, che sembra veleggiare nel più sicuro approdo del movimento lombardiano, Mpa, dove redige i Quaderni dell'Autonomia; il responsabile dell'Industria, Marco Venturi e Piercarmelo Russo incaricato di far piazza pulita negli Ato. Il Pd siciliano si riscopre così partito di lotta e di governo. Il che fa imbestialire la base. Fatta salva l'adesione di numerosi principi del voto e baroni della conoscenza che si preparano a tagliare i ponti col Pd per aderire alle iniziative autonomiste di Lombardo, magari attraverso il movimento degli Innovatori.E certo novità sarebbe, scorgere tra cotanti innovatori anche la figura di Beppe Lumia, già presidente della Commissione Antimafia, il parlamentare che con Nichi Vendola si battè per far luce sul verminaio di Messi-
na e sul patto del Tavolino col quale mafia e borghesia mafiosa si spartivano gli appalti. Ora, da cronista militante nell'antimafia, da socio fondatore di Articolo 21, da siciliano, non posso che condividere il no di Migliavacca, Lupo e Borsellino. Non foss'altro che per aver io stesso pronunciato forte e chiaro questo no di fronte a Beppe Lumia nel mese di dicembre durante le celebrazioni per l'uccisione del mio ex direttore e maestro di cronisti, Pippo Fava. Concordo con Migliavacca. Non è un no dettato dalle vicissitudini investigative di Raffaele Lombardo. La politica non può sostituirsi alla magistratura. Ma la politica ha il dovere di non attendere i tempi della magistratura per maturare le proprie opzioni. La politica è l'arte della scelta. L'arte, per esprimersi al meglio necessita di autori e protagonisti autentici. Guitti e figuranti si astengano. Mentre cardinali e gran maestri dei pacchetti di voti calano scialuppe in mare pronti ad abbandonare la vecchia nave madre che li ha eletti e/o ne ha eletto figli, nipoti e famigli, gli elettori sinceri, i protagonisti autentici del progressismo siciliano non piangeranno per la loro dipartita né per
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Politica
il loro diverso ma ben più congeniale approdo. Migliavacca, Lupo e Borsellino contino sui ragazzi del Rita Exspress, emigrati al nord in cerca di studi e lavoro negati nell'isola che li vide nascere, crescere, sperare. Lotti il Pd, lotti Bersani - e con loro Di Pietro e Vendola - affinché nessuno rubi più a quei ragazzi, ormai adulti, la speranza. Talvolta sento dire che non si trovano nomi, non si trovano persone. Eppure, ogni volta che scendo in Sicilia e parlo con quei ragazzi incontro autenticità, capacità di scelta, impegno; li vedo coltivar l'arte non di arrangiarsi ma di meditare prima della scelta. Vorrei fare tanti nomi. Ne citerò uno che Pierluigi Bersani dovrebbe scolpirsi in mente. Uno che non tornerà. Uno che ha preferito il suicidio sociale all'indifferenza. Adolfo Parmaliana. Ordinario di chimica e ambientalista. Ecologista che poggiava su solide basi scientifiche l'arte della scelta. Coraggioso nei no, generoso nei sì. Credeva nell'Ulivo, credeva nel Pd. La solitudine lo ha ucciso. Il vuoto fatto attorno dagli indifferenti. Dalla neghittosità della magistratura. Dall'offesa all'onestà dell'uomo saggio e probo.
Probità fastidiosa, quella di Adolfo Parmaliana. Al punto da risultar minaccia all'arte d'arrangiarsi di mafiosi e borghesi, faccendieri e politici locali. Al punto da volerlo uccidere con la calunnia e l'oblio. Parmaliana si è lanciato da un viadotto di quello scandalo immanente che è l'autostrada Messina - Palermo. Eppure, è più vivo di tanti compagni, colleghi e amici di partito che svendono il loro nome per ritagliarsi un posto nella scialuppa. Ecco, il prossimo no, Migliavacca lo dedichi al compagno Parmaliana. Non importa quanti saremo i siciliani, progressisti, lavoratori a dir di no. Purché sia un no autentico, meditato, incontrovertibile. Ho letto che Raffaele Lombardo, in aula a Palermo, farà i nomi dei politici legati alla mafia. Bene, così finalmente potrà parlare della sua amicizia personale e politica con Paolo Rizzo, sindaco disciolto per mafia nel '92 a Niscemi, nonché cognato del boss Gianfranco Giugno. Forse Lombardo parlerà dei suoi rapporti con i movimenti dei disoccupati a Palermo e del suo ruolo di vicesindaco nel grande dissesto del Comune di Catania. Forse ci dirà, finalmente, di quei file apparsi in rete nei quali la sua segreteria affa-
stellava raccomandazioni per far diventare agenti segreti alcuni carabinieri o favorire qualche consigliere regionale dei ds e i suoi clienti. Forse ci parlerà di quel poveretto che invocava una raccomandazione per ottenere il trapianto di un rene. Francamente, da siciliano, da cronista, da attivista per le libertà, quella dell'articolo 21 tra le prime, non so cosa voglio dalla politica. Non so cosa fare. Per dirla con Montale: "Sappiamo ciò che non siamo, ciò che non vogliamo". Non voglio un futuro per gli ex ragazzi del Rita Express nel quale si debba arrancare trafelati verso il castello del signorotto di turno per invocare un contratto part time o un'assunzione nelle categorie protette per il figlio diversamente abile. Non voglio, né per me né per loro, un mondo in cui qualcuno implori il principe per ottenere un rene che gli salvi la vita. Perché, dopo, quella vita non varrà più nulla. Pino Finocchiaro
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Giornalismo
L'informazione e la speranza/ Un dibattito Un giovane giornalista siciliano emigrato a Milano nterviene sul sito di Step 1 (il sito universitario catanese) con un post molto interessante intitolato “L'informazione e la speranza”. Ma non è giunto il momento – si chiede il ventitreenne Salvo Catalano – di creare uno spazio d'informazione nuovo? Ne viene fuori, con un suo collega più anziano, un dibattito che forse potrebbe interessare anche altri
Salvo Catalano wrote: ...Potrei non voltarmi più indietro se non fossi caduto dentro a un sogno collettivo: fare il mio mestiere nella mia città. Un redattore di Step1, da quest'autunno a Milano per frequentare una scuola di giornalismo crede che sia venuto il momento di credere nel "senso della possibilità" . Ma la possibilità di che cosa? Di creare uno spazio dell’informazione nuovo. Non controinformazione, che rischia di rimanere sempre chiusa in ambiti ristretti. Ma semplicemente informazione libera, in grado di abituare i cittadini alla libertà, di formarli con l’idea che i diritti non si elemosinano ma si pretendono. Che non serve e non conviene essere clienti a vita. Penso che questo sia uno dei compiti del giornalismo, il più urgente per chi fa informazione ai piedi dell’Etna. Resta un dato: nessuna città italiana, grande e importante come Catania, ha un solo giornale. Non esiste una free press che copra in modo capillare la nostra città. E chi sostiene che basta e avanza ‘u giunnali’, che non c’è spazio per altro, è in malafede. Negli anni ‘50, quando il centro storico veniva violentato dall’ultimo grande sventramento della storia d’Italia, in città si leggevano
cinque quotidiani locali. Eppure oggi nessuno, né istituzione (a cominciare dall’Università), né imprenditore, né altro privato ha il coraggio di investire sull’informazione a Catania. Bisognerebbe spargere e seminare per la città il senso della possibilità. A cominciare dai bambini, perché io alle generazioni avanti con gli anni non credo molto. Solo i bambini e i giovani possono cambiare Catania. Lo ha capito Antonio Presti, che per realizzare la Porta della Bellezza ha voluto coinvolgere centinaia di bambini delle scuole di Librino. Penso sia l’evento non solo più bello, ma anche più utile realizzato a Catania negli ultimi anni. Quei bambini saranno i custodi delle 9 mila mattonelle che compongono l’opera, perché sono stati loro a realizzarle, sono loro gli artisti che hanno arricchito la loro città. E quei bambini cresceranno e diventeranno ragazzi, adolescenti, adulti e conserveranno dentro di loro il rispetto per una cosa pubblica perché di tutti, ma anche privata perché appartiene ad ognuno di loro. Questo significa creare reti tra i cittadini, e tra i cittadini e il territorio. Significa responsabilizzare una generazione, cominciare ad instillare il principio che la città è ‘cosa propria’.
*** riccardo orioles wrote: Noi lavoriamo da anni alla speranza che tu scopri ora. Perchè non lavorare insieme? Voi catanesi siete tribali, in questo. Ognuno di voi all'alba guarda il sole sinceramente ammirato e pensa: "minchia, ch'è beddu! guarda che bedda scoperta fici!"- Senza minimamente sospettare che altri nello stesso omento possano guardare la stessa aurora. Sentiamoci, se vuoi. Mi piacerebbe se voi di Step, una volta o l'altra, riusciste a credere veramente all'idea di un progetto comune. (Nè i vostri vari articoli di questi giorni nè l'ultimo vangelo di Lo Vecchio contengono - se non sbaglio - la parola "Ciancio". Tecnicamente, è una parola necessaria per cominciare anche solo a discutere di informazione seriamente, qui e ora) (Io non ho aerei da prendere, nè per Milano nè per altrove. Io sono qui in Sicilia, per mia scelta. Un po' perché conto - nei momenti d'ottimismo - nei giovani come te. Un po' - nei momenti di ragionevolezza perché voglio salvare la mia dignità anche da solo. Ma se fossimo tutti uniti potremmo persino vincere. Ed è sapere questo che mi danna)
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Giornalismo
*** L.G. wrote: PS per Riccardo. Vecchio e non Lo Vecchio. Un giornalista deve stare molto attento a non storpiare i nomi di persona! Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi che quel progetto debba essere in parte modificato? *** riccardo orioles wrote: intanto hai ragione per Vecchio. Il fatto è che scrivo quasi senza vederci (glicemia, vista bassissima) e quindi vado spesso a memoria. Me ne scuso. Ma scrivo per rispondere alla tua (sensata) osservazione: "Se lavorate da anni a un qualcosa senza esserci riusciti, non potrebbe darsi che quel progetto debba essere in parte modificato?". Naturalmente, nessun progetto è eterno, ogni progetto va sempre continuamente aggiornato, ed è quello che cerco di fare. Però non è esatto che non siamo riusciti a niente. Elenco alcuni punti: - I Siciliani sono stati, dopo l'Ora, la principale esperienza giornalistica della Sicilia. Sono durati molto a lungo e in un certo senso durano tuttora. - Nel '93, i Siciliani quotidiano è stato a un
pelo dall'uscire (solo la vittoria di Berlusconi, che non dipendeva da noi, ha indotto i finanziatori a ritirarsi). - Avvenimenti è stata la principale, e senz'altro la più popolare (e libera) rivista della sinistra (quando c'ero io superava le 60mila copie e non dipendeva da nessun partito). - I Cavalieri a Catania non ci sono più, in parte grazie ai giudici ma soprattutto grazie ai movimenti (Siciliani, SicilianiGiovani, Associazione Siciliani, Città Insieme, ecc.) - Ancora negli ultimi anni, abbiamo sviluppato, e più ancora creato le condizioni per farli crescere, tutta una serie di soggetti giovani e combattivi. Casablanca, Ucuntu, i Cordai e il Gapa, la Periferica, lo stesso Addiopizzo Catania, e soprattutto Lavori in Corso, sono tutte realtà, coi loro limiti, vive e combattive e potrebbero essere il nucleo di qualcosa di veramente nuovo. - In tutti questi anni abbiamo sempre e coerentemente individuato il vero punto debole dell'informazione a Catania, che è il monopolio di Ciancio. Rimuoverlo - come fanno, certo involontariamente, Vecchio e il giovane Catalano - è pericolosissimo, perché significa trasportare tutto il dibattito da Catania a Stoccolma, dalla realtà dei fatti concreti a quella dei buoni sentimenti e delle
poesie. Ecco: a me pare bello che vengano avanti idee nuove, ma non credo che ogni volta bisogni ricominciare proprio da zero. C'è un patrimonio ricchissimo di esperienze forti, che hanno dimostrato la loro validità e che in parte sono ancora in corso. Uniti si vince, si diceva una volta, e io credo fermamente che vincere sia possibile - tutti uniti anche a Catania e anche sul terreno dell'informazione. Infine, un invito per Salvo: la mia mail è riccardoorioles@gmail.com e il mio numero è 333.7295392. Puoi contattarmi quando vuoi - se ti va e se sei pronto a metterti in discussione. Io lo sono, è il mio lavoro discutere continuamente cose nuove. Ma sono un interlocutore abbastanza importante per te? :-) Non sono un industriale, non sono un professore universitario... Sono semplicemente un giornalista, uno che di giornali se ne intende e non ha oltre a questo, alcun potere politico o economico da far valere. Questo vale alcuni minuti (o ore, o giorni, o mesi), del tuo tempo? Giro questa domanda, provocatoriamente, agli amici di Step1 - qua stiamo lavorando anche e forse soprattutto per loro. "Lavori in corso", come si dice.
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Società civile
SABATO 17 APRILE alle ore 14.30 in Piazza Navona a Roma MANIFESTAZIONE DI SOLIDARIETA' con Matteo Dell'Aira, Marco Garatti e Matteo Pagani
i tre medici di Emergency rapiti il 10 aprile da militari afgani e internazionali nel Centro chirurgico di Emergency a Lashkar-gah. Emergency è indipendente e neutrale. Dal 1999 a oggi ha curato gratuitamente oltre 2.500.000 cittadini afgani e costruito tre ospedali, un centro di maternità e una rete di 28 posti di primo soccorso.
|| 15 aprile 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||