Ucuntu n.8

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Gira, vota e furrìa Nessun problema, votiamo sempre il peggio

Quando il ministro può dire Vaffanculo ai lavoratori

In Italia senza i voti dei siciliani non solo non avrebbe vinto Berlusconi le prime volte, ma neanche Andreotti sarebbe mai riuscito a diventare ciò che è diventato >> pagina 3

Eloquente, puntuale e rappresentativo, pronunciato da un ministro del Lavoro o sedicente tale, che con i lavoratori, appunto, dovrebbe perlomeno dimostrare predisposizione al dialogo >> pagina 7

Vota Tarzan al Comune e Cita alla Provincia

Galoppini, malviventi, sgherri scatenati in periferia attorno ai seggi: un piccolo diario in mezzo a mille illegalità e ad una città che fa paura. Catania si rimette nelle mani del centro-destra, ovvero riconsegna la corda a chi l’impiccata. >> pagina 8

U cuntamu Vi diciamo cosa siamo UCuntu (www.ucuntu.org) è una sperimentazione, un progetto-pilota che se Dio vuole nei prossimi mesi potrebbe anche diventare importante. Ha una caratteristiche precise: comprende un giornale vero e proprio, un magazine neanche tanto male. >> pagina 4

|| 26 giugno 2008 || anno I n.8 || www.ucuntu.org ||


Ridi, ridi...

Maurobiani.splinder.com || 26 giugno 2008 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||


Sicilia independente

Votare sempre in massa il peggio che si può trovare In Italia senza i voti dei siciliani non solo non avrebbe vinto Berlusconi le prime volte, ma neanche Andreotti sarebbe mai riuscito a diventare ciò che è diventato (in fondo la prima Repubblica l’ha ammazzata lui).

Senza i dc siciliani (400mila negli anni ’60) la Dc sarebbe rimasta un pacifico partito perbene guidato da Fanfani e Moro, Andreotti sarebbe rimasto un notabile laziale e Berlusconi, più avanti, sarebbe finito in galera per reati minori o sarebbe rimasto al massimo una specie di Ricucci con più parlantina. E invece no. Nei momenti decisivi, i siciliani hanno votato in massa per il peggio che si trovava, inguaiando così non soltanto se stessi ma anche tutti gli altri italiani. Dunque Sicilia indipendente e libera, e magari - per qualche colpo di fortuna - via anche varesotti e veneti, i primi unitisi alla Svizzera e i secondi alla rinata Austria-Ungheria. E quindi elezioni fra gente seria, che non si vende il voto e non dà in escandescenze per gli immigrati. (E Roma? Boh, nel frattempo se la potrebbe essere ripresa il papa, così alle elezioni italiane non votano neanche loro). Milano, fra Albertini e

anche vincere le sinistre, alle elezioni italiane. Si richiamerebbe Prodi, si rimetterebbe a posto l’economia, si tornerebbe a rivincere i mondiali di calcio, si rimanderebbe al porcile Calderoli e si nominerebbe Zanotelli ministro degli esteri e Dario Fo dell’istruzione. E poi, con tutto comodo, si lascerebbero tornare a casa i secessionisti, che avrebbero avuto il tempo di girare un po’ di mondo e dunque di ricordarsi come si stava bene in Italia. Moratti, se la sarebbero da tempo comprata i giapponesi: voterebbe per la prefettura di Osaka, non certo per le elezioni italiane. Non credo che la camorra permetterebbe elezioni tranquille a Napoli, e questo potrebbe essere il pretesto per non far votare neanche i napoletani (e, a maggior ragione, calabresi e affini).

(E se, alle prime elezioni siffatte, dovesse vincere non diciamo Veltroni che fisiologicamente non può farlo ma un altro destro di sinistra tipo Cofferati? Beh, in tal caso tutta la brillante analisi precedente non vale un soldo e bisognerà tristemente ritornare a Berlusconi, Andreotti e compagnia).

Ecco, a questo punto potrebbero

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Riccardo Orioles


U cuntamu

Orioles: “Vi raccontiamo cosa è Ucuntu” Cosa vuol dire fare informazione antimafia oggi? Non permettere alla gente di adagiarsi nella normalità della mafia. La mafia oggi è "normale". Non che tutto sia mafia (neanche ai tempi del fascismo tutto era fascismo). Ma la mafia fa ormai parte a pieno titolo delle basi culturali ed economiche del Paese. E politiche, ovviamente.

- Per esempio? Per esempio, abbiamo al governo un partito che prima delle elezioni ha pubblicamente chiesto i voti della mafia (il "Mangano eroe" di Dell'Utri è stato trasparentemente questo). Si può far finta di non saperlo, certo, così si dorme meglio. Anche bravissima gente come Gronchi o Croce, all'inizio, non voleva capire che Mussolini non era la solita destra ma un'altra cosa. E questo cambiava tutto. Cambia tutto. - Perchè è così difficile avere un giornale o una rivista che racconti la verità in Sicilia? Perché non la verità non è solo che si sono dei delinquenti, ma che questi delinquenti sono indispensabili al sistema. Perciò puoi denunciare il singolo episodio, ma non il contesto "normale" in cui si colloca. Puoi fare "fiction" (romantica, folkloristica, comunque "strana") ma non cronaca e analisi della normalità

- Come si comporta la politica nei confronti dell'informazione verità? Come vuoi che si comporti. In certi casi ti sparano. In certi altri ti mettono il bavaglio (è di questi giorni la condanna di Carlo Ruta per il suo sito). Ti lasciano alla fame. Oppure ti comprano, se ce la fanno. Da un certo livello in poi, la "politica" - come la chiami tu - non è mai indifferente. O ti sostiene (ma è un caso rarissimo) o ti dà addosso. - Sinistra compresa? No, è una fesseria dire che sinistra e destra sono uguali. Storicamente, l'antimafia nasce di sinistra. Conquista uno schieramento più ampio solo negli anni Ottanta, con la Rete. E' che la sinistra di ora, degli ultimi vent'anni, è una sinistra brodosa. Non è che Bertinotti o Veltroni non parlino bene dell'antimafia. Ma la lasciano sola. A noi, almeno, è capitato così.

- Pensi a Casablanca, il giornale che avete fatto con Graziella Proto? Anche. Ma Casablanca è solo l'ultimo episodio. Coi Siciliani è stato così, con Avvenimenti... La sinistra ufficiale, quella che conta, con noi è sempre stata amichevole, a parole. Nei fatti ci ha abbandonato. Ma lasciamo perdere queste cose. Parliamo di ora. - Cos'è questo UCuntu? Ho visto il sito, pare strano... - UCuntu (www.ucuntu.org) è una sperimentazione, un progetto-pilota che se Dio vuole nei prossimi mesi potrebbe anche diventare importante. Ha una caratteristiche precise: comprende un giornale vero e proprio, un magazine neanche tanto male. - Beh, mica è l'unico, su internet... Certo. Però il nostro non è basato sul web (anche) ma sul pdf. Un magazine come tutti gli altri, solo che non è stampato. Lo leggi in internet e...

|| 26 giugno 2008 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||

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U cuntamu

- Leggo un sacco di cose, su internet... Ok, questo però: a) lo leggi in maniera particolare, molto più semplice, molto più naturale, grazie al formato issuu.com - guarda qua, come scorre - e b) te lo puoi stampare tranquillamente a casa tua. - Stampare? Certo. E' ottimizzato per la stampa su una laser di casa. Immagina che le laser vengano a costare un bel po' meno di ora (che già non costano poi tanto). Immagina che la carta da laser diventi più economica, diciamo a un paio di euri la risma. Immagina che... Beh, insomma immagina che a un certo punto il giornale, invece di uscire dalla redazione, andare in tipografia, uscire dalla tipografia, prendere un camion e correre fino all'edicola sotto casa tua, faccia il percorso più semplice redazione-casa tua - stampante: non sarebbe tutto più semplice? E meno costoso, anche. A questo punto persino noi poveracci ce la giocheremmo alla pari coi Grandi Imbonitori. - Si, ma quando? Presto. Già tutti i grossi giornali si attrezzano con le ultimore in pdf. La tecnologia è già abbastanza matura. Il NYTimes dice che fra cinque anni non sa se stampa ancora in tipografia. Si

muove tutto abbastanza in fretta. Io azzarderei che la home-press (chiamiamola così, tanto per sentirci importante) sarà al 10-15 per cento fra due anni e al 40-50 per cento fra cinque. - A Catania? Dappertutto. D'altronde, il nostro progetto è nazionale; qui stiamo semplicemente sperimentando, con le forze che abbiamo. Ma se faccende com UCuntu cominciassero a uscire un po' dappertutto - quest'estate prevediamo di farne spuntare una a Napoli, una in Puglia e una a Roma - la partita comincerebbe a essere interessante. - E tu che ci guadagni. Niente. Un sacco. Niente soldi, un sacco di soddisfazione. E' da diversi anni che lavoriamo (non da solo, con gente come Carlo Gubitosa o Rossomando & Feola, per esempio) a questo tipo di cose, a questo progetto. E' un progetto bello, democratico. Permetterebbe di scrivere professionalmente a un sacco di ragazzi che ora sono costretti o a starsene zitti o ad andarsene a fare i precari dal ciancio della loro città. Io ho visto crescere un sacco di giovani giornalisti, a Catania, a Napoli, a Roma... Ne vedo crescere ancora, è il

mio mestiere. Crescere e venire normalizzati o messi fuori, uno dopo l'altro, perché disturbano i padroni. Fra qualche anno potrebbe non succedere più. Fra qualche anno potrebbe esserci una rete di giovani giornalisti, in giro per questo paese. - Ma come si fa a fare un giornale come UCuntu da qualche altra parte? Semplice: basta scriverci. Noi mandiamo le gabbie-base da riempire, e uno ci mette quello che vuole. Il trucco è che le gabbie sono semplicissime da utilizzare, anche un ragazzo riesce a impaginare così. Non sono XPress, InDesign e roba del genere (che poi costano un pacco di soldi). Sono puramente e semplicemente dei files .odt creati con un semplice word processor, Open Office: uno dei nostri ragazzi è riuscito a trovare lo sgamo per utilizzarlo come dtp, e funziona bene. E Open Office lo scarichi liberamente dal suo sito, perché è free software. Fra 3-4 mesi mettiamo in giro (gratis) il dvd con le gabbie base, Open Office, una libreria di disegni, una di foto. A quel punto se non riesci a farti da te un buon giornale è perché proprio non hai un cazzo da dire, non perché non si può fare...

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U cuntamu - Bello. Ma con l'antimafia che c'entra? C'entra tutto, perché l'antimafia, l'antimafia seria, non quella di festa, è essenzialmente democrazia. E democrazia è essenzialmente diritto di parlare. Non blaterare e basta, gridare viva e abbasso da qualche parte. Parlare seriamente, autorevolmente, con cifre e dati. Professionali. Non sono solo i padroni a poterlo fare. Domani, fra tecnologia e creatività, potremo farlo anche noi. - Ma la gente, l'informazione, la vuole o non la vuole? A volte pare che invece voglia il grande fratello, le veline? A volte lo penso anch'io. Ma vedi, non c'è niente di male: basta che sia divertimento, e non rincoglionimento programmato. A Torino gli operai leggevano il giornale di Gramsci, e leggevano i feuilletton di Carolina Invernizio, per esempio. Gramsci doveva fare le corse per cercare di non esser meno palloso del romanzetto a puntate. Quando ci riusciva, allora gli operai mettevano in modo il cervello e nel giro di due mesi ti occupavano la Fiat. - Qual è il futuro dell'informazione antimafia? Mah. Qualcosa del genere che abbiamo detto, inutile girarci attorno. Sopravviveranno strumenti utili come Antimafia Duemila, come Narcomafie, forse qualcun altro. Ma il grosso del lavoro (l'antimafia sociale, dice qualcuno; e io aggiungerei: l'antimafia allegra) dovrà farlo qualcun altro, con strumenti veramente moderni, internet più stampante di casa. Più - forse free-press di tipo nuovo; ma questo è un discorso in più, e abbastanza complicato. - Ma perchè non c'è unione, ma parecchie voci disperse e frammentate in Italia, che scrivono e

lottano contro la criminalità organizzata? Beh, da un lato è fisiologico, e da un certo punto di vista (nell'antimafia gli stronzi sono pochi: quelli che non mancano magari sono quelli un po' vanitosi...) è anche positivo. Nella sinistra dell'avvenire bisognerà stare attentissimi ad avere tante teste diverse, tante critiche, tante idee: il monolitismo è esattamente ciò che ci ha fottuti, e non noi solamente, nel Novecento. Però c'è anche il fatto che non ci siamo ancora resi ben conto di cosa sta succedendo, di cosa ci tocca fare. Oggi non stiamo più a "far lotta" contro questo o quel singolo mafioso. Stiamo a far lotta contro tutto un Sistema (come giustamente lo chiama Saviano) e soprattutto stiamo a costruire un "per" qualcosa. Stavolta lo costruiremo democraticamente e tutti insieme, senza vangeli-guida, senza profeti. - Che ne pensi del decreto sulle intercettazioni, sugli atti giudiziari? Che vuoi che ne pensi. L'abbiamo detto all'inizio. E' un regime. Non credere che Mussolini abbia fatto tutto così tutt'a un tratto. Era molto "ragionevole", all'inizio, molto "pacificatore". E il vecchio notabile ci cascava. I ragazzi - gente come Gobetti - no. Loro hanno capito subito di che si trattava si sono messi subito a lavorare per creare un'altra cosa. Cerchiamo di essere all'altezza anche noi. - Perchè è così difficile avere denaro e appoggio politico per aprire un nuovo giornale a Catania? Devo ridere? Ma lo sai chi sono i politici, gli imprenditori, gli editori (plurale maiestatis, visto che ce n'è uno solo) a Catania? Quel che hanno fatto in questi vent'anni, quello che stanno facendo in questo momento, ora?

verità sollecita la costante attenzione della giustizia, impone ai politici il buon governo"? Che il giornalismo è una forma forte di politica. Non di propaganda, non di ideologia. Di politica alta, da polis, quella vera. Il giornalismo non è lo scoop occasionale, non è l'esternazione eburnea del fighetto intellettuale. Il giornalismo parla per tutti, soffre con tutti, appartiene a tutti, dà la parola. Il giornalismo è il braccio armato della democrazia. - Che differenza c'è tra un buon giornalista e un giornalista antimafia? E quali sono le principali caratteristiche di un giornalista antimafia? Travaglio, che è un buon giornalista, non è un militante democratico - nel senso profondo e duro che dicevamo di sopra. Giuseppe Fava lo era. Lottava per qualcuno e per qualcosa. Una volta, molto prima che io lo conoscessi, fece un'inchiesta sui bambini di Palma di Montechiaro - i più abbandonati, allora, i più poveri di tutti. C'era il primato europeo della mortalità infantile, in questo paesino di allora. Lui fece dei buoni articoli, dei buoni pezzi. Scriveva bene. Denunciò la questione. Questo è il buon giornalista. Ma parlando con noi, molti anni dopo, lui ancora serrava le mascelle al ricordo, era ancora incazzato. Non era semplicemente l'oggetto di un'inchiesta, la miseria di quei bambini. Era un'ingiuria intollerabile, un'offesa personale. Questo è il giornalista antimafia, questo e niente di meno. - Perchè dai tutto per il buon giornalismo?I tuoi colleghi lo fanno? Domanda uno, mi diverto. Domanda due, poveretti loro. [da Narcomafie]

- Cosa vuol dire quella frase di Fava che dice "Il giornalismo fatto di

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Belpaese

Berlusconi riflessi pronti e tantissima fantasia Non passerà alla storia come il “merde” del generale Cambronne, ma non c’è espressione più eloquente, puntuale e rappresentativa dell’attuale governo Berlusconi del “vaffanculo” rivolto dal ministro Sacconi ai lavoratori presenti alla festa Cisl in Trentino.

Un “vaffa” a maggior ragione più eloquente, puntuale e rappresentativo se pronunciato da un ministro del Lavoro o sedicente tale, che con i lavoratori, appunto, dovrebbe perlomeno dimostrare predisposizione al dialogo (da notare, tra l’altro, che l’insulto in questione non è sembrato gioioso e liberatorio come lo slogan dei sostenitori di Grillo, ma – pronunciato a labbra serrate come il sibilo d’una vipera – ha fatto venire alla luce un odio e un disprezzo non indifferenti). Il problema è che l’ex socialista Sacconi, una sorta di Borghezio in doppiopetto a questo punto, ha pensato e detto esattamente quello che il suo presidente pensa e vorrebbe dire ogni giorno ai magistrati e ai giornalisti che non riesce in qualche modo a condizionare. Prima e durante la campagna elettorale il tenero Walter e buona parte del Pd avevano lasciato intendere che “il principale esponente dello schieramento a noi avverso” era cambiato, che non avrebbe più fatto leggi ad personam (sottinteso: ha ormai risolto tutti i suoi problemi) e che si sarebbe dedicato al Paese in un clima

di collaborazione con gli avversari politici. Di qui l’apertura di credito e la promessa di una “opposizione costruttiva”. Sono bastate poche settimane di governo per dimostrare quanto la previsione fosse ridicola. Senza aspettare un solo minuto, il lupo si è sbarazzato della pelle d’agnello sotto la quale si nascondeva e – dopo aver fatto piazza pulita dell’opposizione politica – ha ripreso gli attacchi a zanne scoperte contro il potere giudiziario e gli ultimi baluardi del “quarto potere”. L’obiettivo del ddl sulle intercettazioni, dell’emendamento al decreto sicurezza che congela il processo Mills e dell’imminente riedizione del lodo Schifani – iniziative portate avanti nel massimo disprezzo del presidente della Repubblica e del Parlamento – è esattamente questo: conquistare tutto il potere attraverso una dittatura strisciante, che già consente al caudillo di Arcore di accusare i giudici di sovversione. Pochi si sono accorti di quanto sia invece davvero sovversiva, nel metodo e nel merito, la lettera inviata dal presidente del consiglio al

presidente del Senato, il fido Schifani, per giustificare i continui strappi alla Costituzione. Qualunque Paese civile si sarebbe immediatamente mobilitato, ma – se stiamo all’appello lanciato dal “principale esponente” dell’opposizione sul dialogo interrotto – il nostro attenderà l’autunno. La speranza è che non sia troppo tardi e che, dopo il nuovo successo nelle elezioni siciliane, la maggioranza di governo non cresca ulteriormente nei consensi fino a svuotare qualunque piazza. Non è facile essere ottimisti, perché – si sa – l’acidulo Silvio ha riflessi più pronti e più fantasia dello zuccheroso Walter.

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Riccardo De Gennaro


Gira, vota e furrìa

Elezioni nella giungla ai piedi dell'Etna Galoppini, malviventi, sgherri scatenati in periferia attorno ai seggi: un piccolo diario in mezzo a mille illegalità e ad una città che fa paura. Catania si rimette nelle mani del centro-destra, ovvero riconsegna la corda a chi l’impiccata. Il nuovo sindaco Stancanelli ha utilizzato uno slogan, che ha il sapore di satira involontaria: “continuiamo a distinguerci”. Sante parole.

Libere elezioni, voto segreto, democrazia: cambiano le definizioni, ma per metà città è solo “tempi di voti”. Tradotto? Un lungo periodo di telefonate, incontri fugaci, tavolate e pasticcini, promesse di case popolari e posti di lavoro, insomma una “roulette russa” a cui si partecipa in cambio del voto: “e si fussi ‘a vota bbona, pì mia e a me famigghia?” Ecco, oltre gli archi della Marina, ma anche a Picanello e a Barriera, il ritornello è questo: un po’ come vincere al totocalcio. Ufficialmente chi “vince” e chi “perde”lo si sa alla fine dello scrutinio (anche stavolta tempi “biblici” e confusione somma, fra sudore, grida e nervi tesi nelle scuole), ma il “tam tam” del voto è cominciato presto: del resto, la campagna elettorale, a Catania, non finisce il venerdì, come legge prescrive. Si vive in “proroga”, come in tante altre cose della città. “Prorogato” il Piano Regolatore, “prorogata” la casa popolare a chi ne ha diritto, “prorogata” il posto di lavoro, “prorogata” anche la propaganda politica. Sabato, domenica, lunedì: ogni minuto è stato buono

ricordare da parte dei candidati “l’impegno e la concretezza” e poi ancora “l’amore per la mia città”, oltre naturalmente all’ appello della comunanza di origini: “uno di voi, uno come voi, un comune interesse” e altre amenità in serie. L’obiettivo comune era, invece, altro: strappare consensi a forza di promesse di ogni tipo, ricorrendo ad ogni mezzo, al limite e anche oltre il codice penale: “in questa città il denaro scorre da tutte le parti, passa nel vento, scompare, riappare…” scriveva Pippo Fava, che sottolineava “Catania fa paura”. Ecco, la soluzione: “soddi”, con cui il catanese pensa di comprarsi tutto, anche il Paradiso. Le varianti agli euro? Buoni benzina, ricariche telefoniche, elettrodomestici, generi alimentari: un supermercato del voto. Cinquanta, cento euro per comprarsi una famiglia, abbandonata in quartieri che sono incubi. Come a Trappeto Nord: una vasta area dove manca tutto, ma non lo spaccio della droga, un mercato a cielo aperto, 24 su 24. In questi ultimi mesi si è “spacciato”, anche il voto: e i

bisogni sociali? Dal consiglio di quartiere, di recente, hanno chiesto un intervento: cambiare tre lampadine. La ditta ha risposto: “non veniamo nemmeno per questo, il comune non paga”. Diceva sconsolato Giovanni Burtone, candidato a sindaco per il Pd, a poche ore dal voto: “sono stato nei quartieri dove manca la luce da mesi… eppure sono orientati per il centrodestra…”. Come a Monte Po, a Nesima, a Librino, San Giorgio: qui il “popolo” ha “scelto” Stancanelli. Te lo dicono i tanti galoppini, i piccoli “tuttofare”, gli “spuragghiafacenni”, sempre pronti per i “bisognosi” per il certificato (ma non è un diritto?) come il pacco della pasta (ma non è un diritto umano?). Una montagna di carta e di chiacchiere da magliari. “Facciamo attività sociale”: lo ripetevano, il 15 e 16 giugno, davanti ai seggi, trasformati in fortini pressocchè inespugnabili. Così a Librino, come nel “cuore borghese” di Borgo-Sanzio, al viale Africa come nella zona dell’aeroporto.

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Gira, vota e furrìa

Schiere di candidati, di “clientes” davanti alle scuole, letteralmente invase dai volantini e dai “santini” elettorali: in mezzo, soprattutto in periferia, giovani su scooter, due, quattro, sei, quasi a mò “squadre”. Un “servizio d’ordine” efficiente, nel vuoto pneumatico del controllo del territorio da parte delle forze dell’ordine. Potevi girare per chilometri quadrati lungo Catania Sud e Catania est, in quei due giorni “di fuoco” e scommettere di trovare una pattuglia: niente. A quelli troppo curiosi, ai cronisti “descamisados” arrivava poi l’invito pressante delle “pattuglie” di “carusi”, impegnati nel controllo dei seggi. “Vattinni da Monte Po, ‘ca megghiu ‘ie…”: anche questa è la libertà di informare a Catania. Una macchina fotografica, infatti, può diventare uno “strumento pericoloso”, come per quel Filippo Gagliano, eletto alla Provincia col “Popolo della Libertà”, che al cronista che lo fotografava al “Vittorio Emanuele”, nel momento del saluto a Giovanni Burtone, arrivato coll’ex Ministro Bindi, gridava, con tono perentorio e teatrale, di non “scattare” fotografie. Attorno a lui, tutti silenti e… accondiscendenti. In generale, a Catania è meglio non fare luce: non vedere, magari quel candidato davanti al seggio che distribuisce “santini”, quei “tipi” affaccendati in un’opera di “consiglio” di improvvisati elettori, magari buttati giù dalla casa popolare, per andare a votare per il candidato “giusto”. La spinta per andare a votare? Anche poche migliaia di euro o qualche altro vantaggio, chissà quando da incassare… “E' normale votare in queste condizioni?”-si chiede Marcello Tringali, consigliere di quartiere per il Pd a Nesima-Monte Po. “E’ davvero triste vedere come si sono svolte le

elezioni nella settima municipalità. Vi erano scuole letteralmente invase e presidiate dai candidati e quant’ altro, amici o galoppini di questi ultimi, tali da rendere fastidioso l’esercizio del diritto di voto a molti cittadini. Per questi motivi e dopo avere ricevuto numerose telefonate di cittadini che hanno provato disgusto nell’andare a votare in simili condizioni, dove prima di raggiungere il seggio ti vedevi fermato da questo o quell’altro soggetto che si proponeva o ti proponeva qualcun altro come candidato da votare. Per tali motivi, mi sono visto costretto, in qualità di cittadino, di candidato e in veste di rappresentante di lista, a chiamare per ben tre volte la Digos, domenica 15 e lunedì 16 giugno, nella speranza di ripristinare un pò di ordine.” La Digos, certo, arrivava, ma, appena finiti i controlli di rito, si ricominciava. E chi ricominciava? Anche quei “politici” che, un paio di mesi fa, erano stati ripresi dalle telecamere di “La7” davanti ad un patronato a dividere buste di alimenti del “Banco Alimentare”. Un tipo come Maurizio Merenda, riconfermato a “furor di popolo” al consiglio comunale, per l’Mpa di Raffaele Lombardo. “Per un continuo progetto sociale” dice lo slogan della sua campagna elettorale: un viso che per settimane e settimane è imperversato per Nesima e Monte Po. Riempiva anche la piazza San Pio X: qui, un altro dei luoghi di spaccio di droga a Catania, il cronista può stazionare per qualche minuto. Poi,

arriva un amico che ti dice: “meglio andare via…” Fare il proprio dovere, come Tringali, come qualche cronista con le pezze al culo, significa diventare –involontariamente- “piccoli eroi”. Ma alla maggioranza, va bene così. Ecco, la libertà di muoversi, dopo quella di votare, è ridotta a questo, a Catania: però, adesso da destra e sinistra hanno annunciato ricorsi per presunte irregolarità nei conteggi. Nella conta ci sono state delle irregolarità? Qualcuno lo dice: ci vorrebbe l’esercito e non è un fan del Ministro La Russa. Forse, è solo un cittadino che sente l’oppressione di chi, con la violenza, ne condiziona le decisioni. Ma a chi interessa? Nei giorni del voto, i sindacati di polizia hanno denunciato e “fotografato”, per l’ennesima volta, l’abbandono di Catania da parte dello Stato: pochi uomini, mezzi insufficienti, sedi ed uffici cadenti a pezzi. Stancanelli, nei suoi volantini, ha scritto: “a Roma è tornato lo Stato”…Già, a Catania, non si vede, manco col binocolo, lo Stato e nemmeno la democrazia, forse. Venti anni fa, dal Presidente Scidà arrivò l’ “urlo” per la condizione umana delle periferie: quel che accade oggi è anche conseguenza dell’irresponsabilità di tutti. Nessuno si senta innocente. Marco Benanti

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Gira, vota e furrìa

Sembri bravo ti voterei ma stai dalla parte sbagliata I lavoratori della Multiservzizi sono inferociti. Sotto al Liotru fanno esattamente la figura di un triangolo. Non gli vogliono dare lo stipendio, ma loro hanno una minaccia: non andiamo a votare, urlano, non andiamo a votare! Perché, mi chiedo? Perché la minaccia ai datori di lavoro non è: “Ocuppiamo la vostra sede”, oppure “Occupiamo il Comune”.

Eppure loro lo sanno, sono consapevoli. “Ci dicono che hanno i soldi, che ce li daranno oggi o domani, invece vogliono rimandare tutto al dopo elezioni, perché è una patata bollente. E non se lo vogliono accollare”, mi dice un impiegato senza contratto, e dunque un non-impiegato, sul retro della motoape.

Piazza Spedini, 10 Giugno. C’è il marcato rionale proprio sotto allo stadio Cibali. Faccio volantinaggio e cerco di parlare con la gente. “Stamu facennu a spisa”, mi dicono, prendendo quello che è per loro l’ennesimo

volantino elettorale. Io gli dico che il mio non è l’ennesimo, di leggere il programma, che stavolta non è un politico il candidato sindaco. Molti si fermano a parlare e sono incuriositi. Decisamente non me l’aspettavo. Molti altri non vogliono votare. “No, non ci vado, non mi interessa più, sono tutti mangiatari”. Io li inseguo, gli dico che stavolta non c’entra niente. “Tutti così dite”. Alcuni hanno voglia di cambiare, ma non sanno chi votare, altri sono sprofondati nella totale sfiducia: “Non mi interessa. Io non ci vado a votare”. Certo, penso, che differenza c’è tra me e un Puccio La Rosa (nuovamente eletto al consiglio comunale), se tutti e due lo stesso giorno volantiniamo? Forse che lui quando mi incrocia mi dice, alla catanese, “Perché mi guardi storto”,

giusto per attaccare briga? La gente non se ne accorge. La differenza dovrebbe stare nel programma politico, nella storie personali dei candidati. Ma c’è poco tempo, e la gente mi recepisce come uno dei tanti. Ho un’unica soluzione: inseguirli e parlare con loro. E tra questi c’è il proprietario di una bancarella di abbigliamento, e il creatore dei mercatini rionali a Catania, un certo signor Abate. Questi, insieme a molti altri fermati, vorrebbero davvero gente nuova, sono stufi. Da loro non me l’aspettavo. Quando ho visto Stancanelli (nuovo sindaco di Catania) che salutava il macellaio del mercatino e che dava mani a destra e a sinistra, con gli occhi azzurri che brillavano, avevo pensato “Qui sono tutti per lui”. E invece non era per nulla così. Però ha vinto le elezioni. Quartiere Picanello, 11 Giugno. Anche qui c’è il mercato rionale. Con Orazio proviamo a urlare e a fare uno spettacolino per la piazza. Ma nessuno ci da conto. Un uomo ben vestito, con un completo avana, smista inviti per una festa: “Signora, è solo un invito. >>>

|| 26 giugno 2008 || pagina 10|| www.ucuntu.org ||


Gira, vota e furrìa

Balliamo e ci facciamo quattro risate, che in questo periodo ce n’è bisogno”. Si candida al consiglio di quartiere. Io ricomincio a inseguire la gente, che ancora una volta – non me l’aspettavo – si ferma, chiacchera, si sfoga. E’ attratta da una lista fatta di non politci e che va dritto al dunque: togliamo da questa città la gente che ci ha rubato tutto. Mi tocca affiancare pure chi non vuole votare più. Canto a squarciagola per farmi notare e far sorridere. Vado in lungo e in largo. Un proprietario di una bancarella di intimo si avvicina e fa: “Ma non stai morendo

di caldo qui, sotto al sole???”. Il candidato al consiglio di quartiere, sempre in completo avana, è nervosissimo: “Li accompagni a casa! Sei bravo, ma stai dalla parte sbagliata”. La gente vuole parlare, e pochissimi dicono “Mi spiace, ho il voto impegnato”, altri: “Mia figlia/o si candida”. Poi becco tre o quattro testimoni di Geova. Loro non votano, perché è Dio che decide tutto, “E le tasse, signora, se sono troppo alte, e suo figlio non trova lavoro? Di chi è la colpa, di Dio o del politico farabutto?”, e lei punta il dito in cielo “Noi siamo di

passaggio, anche i politici sono di passaggio, è Lui che decide tutto”, “Sì, ma noi viviamo qua, in carne ed ossa, e fin quando siamo qua…”, “No, noi non esistiamo. La nostra vita è lassù. Noi non siamo niente, siamo aria”. Io guardo fisso la signora, che a sua volta ha spalancato gli occhi, che si illuminano. Poi guardo Orazio e gli dico “Orazio toccami, dimmi che esisto”.

|| 26 giugno 2008 || pagina 11|| www.ucuntu.org ||

Giuseppe Scatà


Ridi, ridi...

www.kanjano.org || 26 giugno 2008 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||


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