050910
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W il Ponte!
Fra nord e sud, fra operai e precari, fra gli italiani vecchi e quelli nuovi. C'è un sacco di gente a costruirlo, gente che ci ha lavorato tutta l'estate. La politica? E' questa qua “Ad Est” , “Il Clandestino”... L'estate dei giornalisti volanti
Calabria: contro la 'ndrangheta riprendiamoci la piazza
ANTONIO MAZZEO - ANTONELLO MANGANO - LUCIANO BRUNO - NATALIA FERNANDEZ-DIAZ ALBERTO PULIAFITO - ALDO PECORA - ROBERTO ROSSI - MATTEO COSENZA – MAURO BIANI CATANIA: DIVIETO DI SPORT NEI QUARTIERI || 5 settembre 2010 || anno III n.85 || www.ucuntu.org ||
Società
Catania Divieto di sport per i poveri “I Briganti” sono una squadra di rugby, piccola ma correttissima e combattiva. Sono l'orgoglio l'orgoglio di Librino, il grande quartiere-ghetto alla periferia della città. Dove si allenano? Nel palasport da 12 milioni? No: è stato inaugurato, ma non funziona. Nel campo del quartiere vicino? No: è abbandonato al degrado. E così via
Se non ricordo male era l'inizio degli anni 80 quando abitavo a Santa Maria Goretti insieme a mio nonno sua moglie e mia zia Franca. La domenica insieme a mio nonno andavamo a vedere le partite della Bellini, nel campo adiacente casa nostra che si chiama Zia Lisa; era una festa tutta la gente del quartiere aspettava di vedere giocare la propria squadra. Ricordo ancora oggi il clima di festa che c'era, fra la gente e i dirigenti della squadra, poi mio nonno è morto ed io sono andato a vivere a Librino, e non sono più andato a vedere giocare la Bellini. Quando sono ritornato a Santa Maria Goretti c'era un campo di rugby che era stato costruito per la squadra dell' Amatori Catania. Visto che la squadra della Bellini era fallita, io ogni quindici giorni andavo a vedere l' 'Amatori Catania. Da qualche anno a Librino c'è una squadra che si chiama I Briganti, gestita dai volontari del centro Iqbal Masih, in un primo momento si allenavano in un terreno del Palasanteodoro una struttura del quartiere costata 12 milioni di euro, inaugurata ma mai consegnata. Poi il terreno è stato invaso dalle zecche e i Briganti sono tornati a allenarsi nel par-
cheggio vicino il centro, stando attenti a non danneggiare le reti dei pescatori e le macchine. Adesso i Briganti chiedono di allenarsi nelle varie strutture della città. Il 24 agosto del 2010, l'under13 dei Briganti aveva l'allenamento presso la struttura del Santa Maria Goretti 2, ma l'hanno trovato chiuso perchè dichiarato in agibile. Io il 26 agosto sono stato a fare un sopralluogo nella struttura ed in effetti il terreno del campo da rugby è ridotto male, gli spogliatoi sono stati distrutti, alcuni servizi igenici non esistono più, i lavandini sono stati rotti. Parlando con la gente del quartiere mi dicono che questa non è l'uni-
ca struttura abbandonata al degrado. “Il campo comunale di zia Lisa è ridotto peggio – ci dice il signor Pietro, un ex allenatore - Le docce non funzionano, perchè il comune non ha i soldi per comprare la nafta. Il terreno di gioco ha vari dislivelli. Una volta un arbitro stava annullando la partita perchè il campo non era segnato”. Hanno chiesto al custode il gesso e lui ha risposto: “Noi non abbiamo il gesso”. Allora le due società mettendo mani al portafoglio hanno comprato il gesso. “In questo campo potrebbero giocare squadre d'eccellenza – continua il signor Pietro - basta che ci costruissero delle tribune, cosa che le società si erano proposte di fare”. Ma il comune non ha dato l'autorizzazione, il comune preferisce lasciare le varie strutture al degrado e all'abbandono, come il Palanesima che per trentanni ha avuto le tribune inagibili fin quando è stato chiuso. Allora faccio una domanda al signor Pietro, una società che vuole fare sport a Catania cosa deve fare? Lui mi risponde: “Avere un pezzo di terreno di proprietà e il campo te lo costruisci se no è impossibile fare sport in questa città". Luciano Bruno
|| 5 settembre 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||
Politica
L'orsacchiotto il triangolo e l'Europa C'erano tre triangoli, in Europa. Uno marrone per gli zingari. Uno rosa per gli omosessuali. E uno giallo per gli ebrei. L'EuL'Europa è cambiata da allora, ma non completamente. E meno di tutti l'Italia. In questo paese e in questa Europa noi lottiamo
L'orsacchiotto - quello del bel disegno di Mauro Biani - è un orsacchiotto qualunque, potrebbe essere del tuo fratellino o tuo di quand'eri piccolo o di qualsiasi altro bambino. Niente di complicato. Il triangolo su quel pezzo di stoffa, travolto come il giocattolo nel vento che ora soffia in Europa, invece ha una storia più complessa. E' – come vedi – di colore marrone. Non è un colore qualunque ma scelto scientificamente, con tutta la scienza della civile Europa. In Europa, a un certo punto, si decise che alcuni tipi di esseri umani non erano esseri umani veri e propri ma una specie di insetti, e andavano sterminati. Non fu un'idea di pochi fanatici (certo ci vollero anche questi, ma solo per cominciare) ma di milioni e milioni di persone perbene, ognuna colla sua brava Volkswagen e, se li avessero già inventati, col suo bravo bancomat e telefonino. Questi uomini-insetti appartenevano a tre tipologie principali: gli ebrei; gli zingari; e gli omosessuali. E il triangolo? Ecco, il triangolo serviva a distinguerli fra di loro per stabilire ordinatamente quale doveva essere “normalizzato” prima e quale dopo. Così, un triangolo giallo caratterizzava gli ebrei (precedenza assoluto); uno rosa gli omosessuali; e uno marrone infine gli zingari, anch'essi da sottoporre appena possibile al trattamento finale. *** Queste cose in Europa non succedono più, o almeno non più quanto prima. E' quasi cessata la persecuzione contro gli ebrei (che hanno imparato a difendersi); è molto diminuita quella contro gli omosessuali (qua ormai se ne ammezzano non più di una dozzina all'anno); è rimasta abba-
stanza pesante quella contro gli zingari, che sono i più antipatici e comunque non vengono (in massa) uccisi più ma semplicemente rinchiusi. Insomma, anche l'Europa perbene in tutti questi anni è migliorata. Ma la cultura di fondo è rimasta la stessa, e potrebbe risaltar fuori a ogni momento. Gli Heider, i Le Pen, i Bossi, non sono tanto più “strani” dei vecchi Hitler e Farinacci. Sono semplicemente una normale componente dell'Europa che può tornare a galla, e periodicamente torna, in qualsiasi momento. *** Scriviamo questo per due precisi motivi. Primo - da osservatori politici quali siamo – per segnalare il più importante avvenimento politico di questo momento, e cioè la grande manifestazione pro-zingari di pochi giorni fa. Era stata indetta contro i provvedimenti gemelli di Sarkozy e Maroni, eppure a Parigi hanno partecipato centinaia di migliaia di cittadini e a Roma solo quattro o cinquecento. Secondo – e soprattutto - per ricordarci che tutte queste belle storie “politiche” che stiamo vivendo (la vecchiaia di Berlusconi, i fronti “democratici”, le alleanze) si collocano in uno scenario ben preciso, quello di un paese in cui il dieci percento della popolazione è tranquillamente deciso a sterminare prima o poi quelli che esso considera non-umani e il cinquanta per cento è abbastanza disposto, in questa o quella circostanza, a lasciarglielo fare. Esageriamo? No, non dopo gli anni Trenta. Questo è già successo una volta, e può succedere ancora. Non è detto che la nostra crisi politica – poiché non siamop un paese del tutto civile - finisca tranquillamente
come nei paesi civili. Potrebbe anche finire nella violenza e nel sangue, come in Jugoslavia o a Weimar; e dobbiamo essere preparati anche a questo. La patologia fascistoide, che da noi è molto più presente che altrove, adesso s'intreccia sinistramente con l'ormai dilagante potere mafioso, col golpe Fiat, e con la presenza di un partito secessionista che ormai comanda diverse banche e regioni. Ognuna di queste componenti è in sé violenta, e completamente esterna a qualsiasi forma di democrazia. Difficile che l'incontro fra esse avvenga su un terreno democratico. Ciascuna di loro, e tutte insieme, vuole semplicemente prendere il potere. *** Questo è un promemoria per tutti noi, e soprattutto per gli amici nuovi che abbiamo conosciuto quest'estate. E' bello vedere i ragazzi che crescono, che pian piano – m a volte con accelerazioni inspiegabili per chi non è del mestiere - scoprono le cose e che allegramente si organizzano, fervidi, invincibili, immortali. Bello ma al fondo non privo di uno stringimento di cuore. Dove saranno questi ragazzi fra cinque anni? Li lasceranno vivere, li lasceranno volare? Che prove riserva loro questo paese? Avranno nemici terribili, questi ragazzi. Saranno abbastanza forti, abbastanza uniti? Ecco, delle tecnologie parleremo un'altra volta; e così del percorso dei prossimi mesi, per Ucuntu, Lavori in corso e gli amici nuovi. Dovremo cambiare molto, per essere all'altezza. Ma prima la cosa importante è sapere con precisione dove siamo, in che terreno. E poi, solamente allora, fare le scelte. Riccardo Orioles
|| 5 settembre 2010 || pagina 3 || www.ucuntu.org ||
Giornalisti
Una vittoria per la libertà di stampa Archiviata a Palermo la querela contro il giornale Ad Est Può un sms cambiare il corso della storia di un giornale? Si..da oggi possiamo dire di si. “Il Gip di Palermo archivia la querela nei confronti di Ad Est e rigetta le opposizioni dei querelanti”. Abbiamo vinto. Il pezzo “Per chi suona la Campanella?” che tratta dei presunti traffici loschi del senatore Salvatore Cuffaro (nel frattempo condannato per fatti di mafia) e dei fratelli Silvio e Giuseppe è stato giudicato puro esercizio di cronaca, rientra nel diritto sacrosanto di poter raccontare quello che avviene in una terra dove il silenzio è spesso la pietra tombale delle coscienze. Chi legge ci accuserà di troppa enfasi (in fondo era solo una querela), ma non è così. Questa decisione del Gip è l’apice di uno scontro che va avanti da anni. Tra le armate del potere e un povero giornale di frontiera, frutto della passione civile di un gruppo di ragazzi, spesso emarginati, ma con due alleati fondamentali: qualche buona idea e la critica dell’esistente. Sia pur nella simpatia che ci ha sempre avvolti credo che nessuno, nel corso dei quasi due lustri della nostra storia, avrebbe puntato un centesimo che ne saremmo usciti vivi. Pochi avrebbero scommesso che l’offensiva (anche giudiziaria) scagliataci contro non ci avrebbe spazzato via. Eppure la nostrapiccola formazione partigiana ha resistito. Ha combattuto sapendo che la veritàsarebbe venuta fuori, ha trasformato la penna e le notizie in armi straordinarie, denunciando, raccontando, facendo emergere le storture di un potere che troppo spesso mischia mafia, affari e politica. Squarciando un muro di silenzio figlio troppe volte di una stampa compiacente. Una piccola pattuglia di resistenti che negli anni è diventata sempre più forte e che alla“resistenza” ha sostituito lo scontro in campo aperto, senza paura, con ilcoraggio frutto delle situazioni disperate e con la
certezza che le sconfitte erano solo il pegno da pagare ad una situazione del momento. Una piccola storia di un piccolo paese di provincia, di un piccolo giornale locale. Una storia che ha vissuto la violenza delle rappresaglie, il dolore dell’abbandono, ma che ha trovato la forza di andare avanti nella dignità dei nostri genitori, nella dolcezza delle nostre donne, nell’entusiasmo dei nostri ragazzi e nella intransigenza di un uomo che anche nei momenti più brutti, quando la faccia sprofondava nelle mani in segno di sconforto, ti guardava e diceva“tranquilli”. Questa è la vittoria di Aldo Virone e di Paolo, Alfonso, Peppe,Luigi, Francesco, Alessandro, Mariagrazia, Salvatore, Nadia, Silvia, Irene, Marianna, Totò, Carolina, Giancarlo, Giusy e di tanti altri che hanno incarnatola dignità di un progetto frutto di uomini e donne pronti a stare in prima fila per spartirsi gli oneri ed in ultima quando (raramente) arrivano gli onori. Nato in territorio nemico e cresciuto con una costanza pari solo alla voglia di raccontare una Sicilia diversa. E’ la vittoria di Giorgio Santelli, Stefano Corradino e Luigi Ciotti che con “Artico-
lo21” e “Libera” hanno sempre creduto che i “resistenti” di Ad Est avessero qualcosa da dire. Di Gianluca, Giulia e Federico di “No Name” che ancora “ci credono”. Di Vittoria Giunti che ha voluto, dopo i nazifascisti e la mafia, combattere la sua terza Resistenza contro i politici corrotti indicandoci la via. E’ la vittoria del web che ci ha permesso d’irradiare le nostre storie in tutto il mondo. Ma soprattutto la vittoria di oggi è un segnale di speranza che si espande a tutti coloro che vogliono fare lotta alla mafia, che amano raccontare storie, che scrivono per il piacere di fare informazione libera. La vittoria di oggi della nostra piccola nave corsara contro i galeoni imperiali dimostra come nessuna partita è mai persa in partenza. Sappiamo che non è finita qui. Sappiamo di avere un altro processo pendente. Sappiamo che i “potenti” non sopporteranno questa ennesima sconfitta. Sappiamo che ci aspettano giorni di entusiasmo e tempi di sconforto. Sappiamo che ancora una volta il “giornale che non ha giornalisti”, che vive solo di sottoscrizioni volontarie, dovrà frugare nelle tasche e nel cuore per trovare i soldi e la passione per andare avanti. Ma sappiamo anche che ad ogni nostra vittoria un pezzetto del muro di omertà che avvolge questo paese viene meno. Sappiamo che ogni giorno che resistiamo un ragazzo o una ragazza trovano il coraggio di cominciare a scrivere quello che pensano. Sappiamo che non è mai finita e che la libertà va conquistata, tutti insieme, ogni giorno, costi quelche costi. Sappiamo tante cose, ma di certo oggi sappiamo che è un buon giorno. Gaetano Alessi, Ad Est gaetanoalessi.blogspot.com/
|| 5 settembre 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||
Giornalisti
L'estate del Clandestino Una festa di libertà E adesso si va avanti “Come è andato il Festival del giornalismo a Modica?” Ora ve lo raccontiamo. Per esempio possiamo cominciare da uno zaino in spalla, capelli biondi ed un biglietto Trapani - Modica; oppure da chi manda i suoi a fare una gita fuori porta nel barocco modicano per poter esserci; o anche da chi prende la macchina, si inerpica, attraversa strade contorte e afose per presentarsi puntuale. C’è anche chi “Vi posso dare una mano?” “Certo, grazie” e chi “datemi i volantini che li porta da per tutto”. Ecco questo è la seconda edizione del Festival del Giornalismo organizzata dal mensile locale Il Clandestino a Modica, dal 25 al 28 agosto. Quattro giorni di dibattiti, interviste, proiezioni, spettacoli, musica e soprattutto formazione. Dai Nebrodi a Cariddi fino alla punta Sud della Sicilia per poter imparare come fare un reportage fotografico con Simone Donati o come si svolge un’inchiesta giornalistica con Franco Fracassi. Quaranta ragazzi che si riuniscono ad Agosto, sfidando i quaranta gradi e la tentazione di un bel bagno a mare. Sudati e stremati con il condizionatore che perde colpi , ma contenti e soddisfatti. Il festival è stato l’epicentro di varie realtà, lontane, ostili tra di loro o simili e vicine. Ma ognuna di queste si è armata di responsabilità e si è messa in gioco per qualcosa che in fondo è l’obiettivo comune: una informazione più libera. Anche questo è il Festival. Sedute a cerchio le varie testate di base si sono confrontate ed hanno deciso di fare un altro passo assieme. E poi c’è la mamma che prepara il mangiare per i ragazzi dei workshop, oppure il vecchietto, il bastone e 50 euro di pensione donata. Ma ci sono anche tanti giornalisti che dal palco hanno parlato del futuro del giornalismo in Sicilia o di libertà di informazione; c’è stata Elena Fava, Roberto Rossi e Roberta Mani, Riccardo Orioles,
FESTIVAL DEL GIORNALISMO, ARRIVEDERCI FRA UN ANNO
Antonello Mangano Alberto Spampinato, Gaetano Liardo, Renato Camarda, Bruno Tinti e tanti altri. Ci sono stati i ragazzi di Corleone Dialogos e i No Triv. Ci sono stati i ragazzi di Libera che hanno fondato, insieme al mondo associativo locale, il presidio di Modica. Ci sono pure il cantastorie e il quintetto jazz che “Ragazzi se vi serve musica state tranquilli” o c’è una tra le band emergenti più importanti d’Italia, i Famelika, che parte da Palermo per suonare al concerto conclusivo o chi prepara per l’occasione uno spettacolo teatrale. Insomma, il Festival è tutto questo. Ma è anche il giornalismo con le pezze al culo e la schiena dritta; è quel “neanche un passo indietro” promesso a Berlusconi, contro la Legge Bavaglio, da un giovane giornalista siciliano. Ma se il Festival c’è è anche perché da qualche parte, anzi da tutte le parti, c’è qualcuno che il giornalismo lo fa a banconote e a novanta gradi. O a macchine bruciate e pallottole. “E allora come è andato il Festival?” “Bene, siamo sempre di più. Noi quelli con la schiena dritta”. Redazione Il Clandestino
Si è conclusa la seconda edizione del Festival del Giornalismo. Ottimi i risultati MODICA – “Siamo molto contenti per i risultati raggiunti in questa edizione. Stiamo già pensando al programma dell’anno prossimo, ancor più ricco di eventi e di ospiti. Speriamo di far diventare il Festival del Giornalismo un appuntamento fisso che riesca a fidelizzare il suo pubblico e ad attirare sempre più persone”. Con queste parole i componenti dell’Associazione “Il Clandestino” concludono la seconda edizione del Festival del Giornalismo. Dal 25 al 28 agosto 2010 Modica ha infatti conosciuto grandi nomi del panorama giornalistico regionale e nazionale: Franco Fracassi, Simone Donati, Bruno Tinti, Renato Camarda sono solo alcuni dei personaggi che hanno partecipato al vivace programma della quattro giorni dedicata all’informazione. Proiezioni e presentazioni hanno fatto da contorno alle conferenze organizzate presso il chiostro di Palazzo San Domenico che, partendo dalla situazione informativa siciliana, sono giunte a delineare un percorso di carattere nazionale. A queste si sono aggiunti momenti di dibattito formativo tra i vari ospiti, e non solo, che hanno fornito spunti riflessivi e critici per le prossime edizioni. L’elemento che ha contraddistinto questo Festival è rappresentato dai workshop. Fotografia di Reportage e Giornalismo d’Inchiesta sono stati i corsi organizzati da “Il Clandestino con permesso di soggiorno” e tenuti rispettivamente da Simone Donati e Franco Fracassi. Grande la partecipazione che ha coinvolto persone provenienti da varie parti della Sicilia (tutta la provincia di Ragusa, ma anche Enna, Agrigento, Trapani, Catania, Siracusa e Caltanissetta).
|| 5 settembre 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||
Se si ribella il Sud
Davide contro Golia La sfida dei No Ponte Da una parte gli instancabili attivisti No Ponte che finanziano cortei e sitin con adesivi e magliette di cotone, dall’altra i potenti fautori della realizzazione della Madre delle Grandi Opere, il Ponte sullo Stretto, faraonico e irrealizzabile progetto strapagato con ingenti risorse pubbliche. Eppure...
Tra Scilla e Cariddi il miracolo di una rivisitazione della biblica sfida tra il piccolo Davide e il gigante Golia. Uno scontro impari, da una parte gli instancabili attivisti No Ponte che finanziano cortei e sit-in con adesivi e magliette di cotone, dall’altra i potenti fautori della realizzazione della Madre delle Grandi Opere, il Ponte sullo Stretto, faraonico e irrealizzabile progetto strapagato con ingenti risorse pubbliche. Nonostante l’infernale macchina propagandistica dei Signori del capitalismo straccione di Casa nostra, i No Ponte resistono, mordono, mobilitano, colpiscono. Così, sabato 28 agosto, tra le stradine di Torre Faro, il villaggio dove dovrebbe sorgere il pilone “siciliano” del Ponte, hanno sfilato più di tremila persone per difendere il territorio dall’ennesimo inusitato saccheggio. Un corteo colorato, allegro, propositivo e ottimista, qualità ormai rare in un’Italia sempre più povera e disarticolata dal neoliberismo e dall’autoritarismo piduista e berlusconista. *** Questa iniziativa è stata il punto di ar-
rivo della mobilitazione estiva fatta d’incontri, dibattiti, mostre itineranti, pubblicazioni e presentazioni di libri e documenti, il frutto di una maturazione collettiva dove alla mera presa di posizione ambientalista in nome della difesa museale della bellezza dello Stretto, si è passati alle denunce dei devastanti effetti socio-economici e occupazionali e delle innumerevoli caratteristiche criminali e criminogene dell’opera di collegamento stabile Calabria-Sicilia. *** Al miracolo resistenziale dei No Ponte hanno certamente contribuito alcune scelte fortemente autolesioniste dei Padrini del Ponte e del general contractor chiamato alla progettazione definitiva e realizzazione dell’infrastruttura. Inspiegabilmente c’è chi ha pensato in piena estate a riempire di trivelle le strade più percorse dal flusso dei bagnanti messinesi, contribuendo pesantemente all’esplosione degli ingorghi automobilistici. Servirebbero per studiare la crosta terrestre nei luoghi dove versare fiumi di asfalto e cemento per gli ottovolanti che s’intersecheranno con il Ponte, ma intanto disperdono nubi di azoto liquido e
fanno tremare gli edifici e le villette degli abitanti del Faro. Poi, con la delirante arroganza di chi si crede onnipotente, si è pensato bene di dismettere l’edificio del Polo scientifico universitario di Messina, creato per incubare e sostenere una quarantine di imprese di giovani neolaureati, ed offrirlo in affitto ad Eurolink, l’associazione delle imprese costruttrici del Ponte, quale general office per l’intera operazione Ponte. Un cambio d’uso del tutto illegale ed illegittimo, che grazie alle denunce della Rete No Ponte e di pochissime mosche bianche dell’Ateneo è stato sino ad oggi congelato. Trivelle e incubatore hanno profondamente indignato l’opinione pubblica che ha potuto prendere coscienza di ciò che accadrà in termini di diritti, democrazia e vivibilità, quando i lavori, quelli veri, inizieranno. *** Il 2 ottobre, primo anniversario della tragedia che ha duramente colpito i villaggi della zona sud di Messina e il comune di Scaletta, i nopontisti torneranno in piazza per una manifestazione che
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Se si ribella il Sud
che assumerà il carattere nazionale e richiederà con forza l’utilizzo delle risorse finanziarie destinate al Ponte per la messa in sicurezza dei territori, quelli sempre più feriti dall’abusivismo o dai piani urbanistici che rispondono agli interessi della borghesia mafiosa. E' un appuntamento che vede gli organizzatori consapevoli dei tanti nodi e delle difficoltà da dovere affrontare, a partire dalla necessità di rilanciare il senso di appartenenza di attivisti, simpatizzanti e interlocutori che si oppongono al Ponte ad un progetto di profondo rinnovamento delle forme e dei linguaggi del far politica. O dal bisogno di rafforzare l’impegno militante dei singoli e l’organizzazione del movimento, attraverso la piena affermazione dell’adesione individuale, ed eventualmente, se sarà deciso collegialmente, con una rifondazione della Rete No Ponte e dei suo network. *** La positiva esperienza del neo-costituito Comitato No Ponte di Capo Peloro, il primo gruppo auto-associatosi su base locale, è una spinta verso la moltiplicazione di esperienze simili nelle
realtà che più direttamente e negativamente saranno investite dall’avvio dei lavori, i numerosi villaggi della Riviera Nord di Messina o i comuni della fascia tirrenica della provincia tra Villafranca e Milazzo dove verranno insediati cantieri remoti, cave e discariche per oltre 8 milioni di metri cubi d’inerti. *** C’è poi da superare l’empasse e le difficoltà di ordine organizzativo che hanno caratterizzato la vita recente del movimento No Ponte della sponda calabrese, specie adesso che si è fatta ancora più violenta la controffensiva della ‘ndrangheta contro le istituzioni e la magistratura, in nome della piena signoria criminale sul territorio e sulla realizzazione e gestione delle grandi opere e dei servizi in Calabria. *** Il progressivo innalzamento del livello del conflitto contro i Signori e i Padrini del Ponte e la oramai scontata militarizzazione dei cantieri che sarà imposta dal Governo, pone il Movimento di fronte all’esigenza di ripensare le forme di lotta ed opposizione. L’azione diretta non violenta, la disob-
bedienza civile, i boicottaggi, il disinvestimento da banche e gruppi finanziari che si arricchiscono dilapidando risorse pubbliche e sostengono gli scempi ambientali, possono essere strumenti proficui e determinanti per la nuova stagione di mobilitazione. *** Andranno profondamente ricercati e potenziati i legami e le alleanze con i soggetti che in Italia testimoniano e mettono in pratica l’antagonismo ai poteri dominanti, dai movimenti No TAV in Val Susa e nell’appennino tosco-emiliano, ai No Dal Molin e ai comitati che si oppongono alla proliferazioni delle basi di guerra, ai protagonisti delle campagne contro inceneritori, centrali nucleari, a carbone e turbo-bas, ai gruppi in lotta contro la privatizzazione dell’acqua e delle risorse naturali, alle organizzazioni sindacali di base in lotta contro la progressiva precarizzazione del lavoro e dei diritti nelle fabbriche, nelle scuole, nelle università. In particolare, nel Mezzogiorno, la lotta al Ponte, per il suo valore simbolico di “Madre di tutte le Grandi Nefandezze”, può essere assunto come uno degli
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Se si ribella il Sud
elementi prioritari e unificanti per rilanciare la mobilitazione dal basso. *** Il “No al Ponte” dovrà pure avere la capacità di porre alcuni punti all’ordine del giorno del dibattito politico nazionale. La “messa in sicurezza dei territori” è quello immediato e improcrastinabile, ed è questo il senso dell’appuntamento del prossimo 2 ottobre, congiuntamente al
rilancio dell’attraversamento marittimo pubblico e dell’occupazione nel corridoio Messina-Villa San Giovanni. Si dovrà rispondere con determinazione agli innumerevoli progetti che amministratori e gruppi d’ingegneri stanno spacciando come “opere compensative e complementari” per la realizzazione del Ponte. Si tratta quasi sempre di infrastrutture inutili, negativamente impattanti quanto l’opera madre e soprattutto inutilmente costose. Solo nel versante messinese, sono già stati chiesti finanziamenti pubblici per 219 milioni di euro, una spesa insostenibile in una città priva di servizi sociali e spazi verdi pubblici. *** C’è pure l’esigenza di rilanciare la campagna per lo scioglimento immediato della Società Stretto di Messina Spa, concessionaria statale per la grande opera, previa un’inchiesta inter-istituzionale che la inchiodi per lo sperpero di 1.000 miliardi di vecchie lire nei vent’anni della sua vita caratterizzata da compensi a funzionari e professionisti e dalla pubblicazione di colossali faldoni di carta straccia.
O l’obiettivo di far istituire all’interno della Commissione parlamentare antimafia, un Comitato d’inchiesta sulle trame ordite dalle organizzazioni mafiose transnazionali e locali in vista del finanziamento diretto e dell’accaparramento di buona parte delle attività legate alla progettazione ed esecuzione del Ponte. *** Tra gli impalcati di acciaio e cemento che si vorrebbero innalzare nello Stretto di Messina, sono troppe e inquietanti le diaboliche alleanze tessute da mafiosi, ‘ndranghetisti, massoni, trafficanti di droga ed armi, eversori di estrema destra e apparati più o meno segreti dello Stato. Il tributo pagato dalle moltitudini più povere e marginali è stato enorme, ne ha minato il diritto alla sopravvivenza e alla dignità. Ha forzato separazioni drammatiche e migrazioni. Le famiglie e i ceti politici ed economici dominanti, pochi e sempre gli stessi, sono chiamati oggi a dare conto del loro operato di sopraffazione e reale soffocamento di qualsivoglia ipotesi di sviluppo autocentrato. Antonio Mazzeo
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Libri
In libreria Antonio Mazzeo I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina Prefazione di Umberto Santino
Dall’Introduzione: Speculatori locali o d’oltreoceano; faccendieri di tutte le latitudini; piccoli, medi e grandi trafficanti; sovrani o aspiranti tali; amanti incalliti del gioco d’azzardo; accumulatori e dilapidatori di insperate fortune; frammassoni e cavalieri d’ogni ordine e grado; conservatori, liberali e finanche ex comunisti; banchieri, ingegneri ed editori; traghettatori di anime e costruttori di nefandezze. I portavoce del progresso, i signori dell’acciaio e del cemento, mantengono intatta la loro furia devastatrice di territori e ambiente. Manifestazioni di protesta, indagini e processi non sono serviti a vanificarne sogni e aspirazioni di grandezza. I padrini del Ponte, i mille affari di cosche e ’ndrine, animeranno ancora gli incubi di coloro che credono sia possibile comunicare senza cementificare, vivere senza distruggere, condividere senza dividere.
Agli artefici più o meno occulti del pluridecennale piano di trasformazione territoriale, urbana, ambientale e paesaggistica dello Stretto di Messina, abbiamo dedicato questo volume che, ne siamo consapevoli, esce con eccessivo ritardo. Ricostruire le trame e gli interessi, le alleanze e le complicità dei più chiacchierati fautori della megaopera, ci è sembrato tuttavia doveroso anche perché l’oblio genera mostri e di ecomostri nello Stretto ce ne sono già abbastanza. E perché non è possibile dimenticare che in vista dei flussi finanziari promessi ad
una delle aree più fragili del pianeta, si sono potuti riorganizzare segmenti strategici della borghesia mafiosa in Calabria, Sicilia e nord America. Forse perché speriamo ancora, ingenuamente, che alla fine qualcuno
avvii una vera inchiesta sull’intero iter del Ponte, ricostruendo innanzitutto le trame criminali che l’opera ha alimentato. Chiarendo, inoltre, l’entità degli sprechi perpetrati dalla società Stretto di Messina. Esaminando, infine, i gravi conflitti d’interesse nelle gare d’appalto ed i condizionamenti ideologici, leciti ed illeciti, esercitati dalle due-tre famiglie che governano le opere pubbliche in Italia. Forse il recuperare alla memoria vicende complesse, più o meno lontane, potrà contribuire a fornire ulteriori spunti di riflessione a chi è chiamato a difendere il territorio dai saccheggi ricorrenti. Forse permetterà di comprendere meglio l’identità e la forza degli avversari e scoprire, magari, che dietro certi sponsor di dissennate cattedrali nel deserto troppo spesso si nascondono mercanti d’armi e condottieri delle guerre che insanguinano il mondo. È il volto moderno del capitale. Ribellarsi non è solo giusto. È una chance di sopravvivenza.
Scheda autore Antonio Mazzeo, militante ecopacifista ed antimilitarista, ha pubblicato alcuni saggi sui temi della pace e della militarizzazione del territorio, sulla presenza mafiosa in Sicilia e sulle lotte internazionali a difesa dell’ambiente e dei diritti umani. Ha inoltre scritto numerose inchieste sull’interesse suscitato dal Ponte in Cosa Nostra, ricostruendo pure i gravi conflitti d’interesse che hanno caratterizzato l’intero iter progettuale. Con Antonello Mangano, ha pubblicato nel 2006 Il mostro sullo Stretto. Sette ottimi motivi per non costruire il Ponte (Edizioni Punto L, Ragusa).
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A chi interessa il Sud?
Altro che Ponte L'autostrada ammazza-bambini Una dodicenne è morta insieme al padre nei pressi dei cantieri di Rosarno. Ad agosto, sull’A3, decine di bambini hanno rischiato di morire tra auto in fiamme, scontri tra vet ture, zone di cantiere. Ma per l’Anas il problema non esiste. Chi chiede chiarimenti vie ne definito un “rapinatore”. Una critica è “pretestuosamente antagonista”. Vanno bene sono i comunicati di regime, secondo cui l’autostrada è “il vanto dell’Italia”, è “la più gettonata” e sarà completata nel 2013. Poco prima del Ponte...
Pietro Ciucci è un manager di successo, presiede la più importante società statale e nel corso del tempo ha cumulato numerosissime cariche. Sabrina aveva 12 anni ed era figlia di emigrati siciliani in Germania. Il primo continuerà la sua straordinaria carriera, la ragazzina invece è morta in un delirio di lamiere, restringimenti di carreggiata e birilli in fila per chilometri. Sono molti i bambini che hanno rischiato seriamente di morire quest’estate sulla Salerno - Reggio Calabria. Perlopiù figli di emigrati che con i genitori stavano tornando nei luoghi di origine. Gente che non prende l’aereo, ma torna in macchina con la famiglia per qualche giorno di mare. Il 13 agosto, nei pressi dello svincolo delle Serre vibonesi, due adulti e sette bambini viaggiavano su un furgone Renault che, per cause non chiarite, è uscito di strada. Erano diretti a Gela. Gli adulti,
una coppia di Pavia, hanno subito le ferite più gravi. L’uomo è stato portato con l’elisoccorso nell’ospedale di Catanzaro e la donna in quello di Vibo Valentia. Il 16 agosto, quattro persone, tra cui due bambini, una di sei mesi e l’altro di sei anni, sono rimaste ferite in un incidente stradale nel tratto Vibo-Rosarno. Una delle due auto, una Golf, ha preso fuoco dopo essere finita contro le barriere di protezione. Il conducente è stato ricoverato in gravi condizioni all’ospedale di Vibo Valentia. Con la moglie e i due figli stavano andando dalla Germania in Sicilia, per le vacanze. Il 25 agosto 2010, nel tratto tra Rosarno e Mileto, due persone sono morte e sei sono rimaste ferite in modo grave. Una Passat con a bordo una famiglia milanese (i genitori e una bambina di 7 anni) si è scontrata con un’altra auto. Salvatore Cavalieri, 56 anni, originario
dell’agrigentino ma residente a Stoccarda e la figlia Sabrina, 12 anni, sonnata in Germania, o deceduti. Feriti la moglie e altri due figli. Le auto viaggiavano entrambe verso nord, per il rientro dalle ferie. *** La storia del nostro Paese è piena di incompiute e cantieri eterni. Ma oggi assistiamo a qualcosa di più grave, ovvero l’assenza di ripensamenti e pudori. L’A3 è diventata durante l’estate una trappola infernale di fuoco e asfalto, con incidenti da film americano d’azione. Agli episodi letali vanno affiancati quelli meno gravi, le code infinite, i gravi disagi dovuti all’assenza per larghi tratti di corsie d’emergenza e piazzole di sosta. Ma nel comunicato ufficiale della società - ripreso acriticamente da tutti gli organi di stampa – l’A3 era la via “più gettonata” e non quella perennemente intasata.
|| 5 settembre 2010 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||
A chi interessa il Sud?
Un’eccezione, effettivamente, c’è stata. In un post di 248 parole, uno dei blog del Sole 24 Ore ha banalmente notato a metà agosto che i cantieri aperti sono gli stessi dello scorso anno, un’osservazione più che sufficiente a scatenare una durissima reazione dell’Anas: le affermazioni del giornalista Maurizio Caprino sarebbero “non aggiornate e pretestuose”, avendo omesso ben 16 km di tratto fruibile. Caprino aveva concluso: “Servono quantomeno chiarimenti”. “Devo notare come la Sua richiesta perentoria di informazioni appaia come ‘una rapina a mano armata’”, risponde pubblicamente Giuseppe Scanni, direttore relazioni esterne dell’Anas, lamentando “un atteggiamento pretestuosamente antagonista” dell’organo di Confindustria. Non finisce qui. Caprino conduce una visita sul tratto tra Lauria e Padula, accompagnato dai tecnici Anas. “Riconosciuto il lavoro del personale dell’Anas sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria”, si legge trionfalmente su stradeanas.it, che ripubblica il nuovo post del giornalista del Sole24Ore. L’Italia è in crisi, le casse pubbliche esangui. All’inizio di luglio il governo in-
ventava quindi nuove fonti di finanziamento, tra cui tasse varie e nuovi pedaggi, per esempio sul Grande Raccordo di Roma. E sull’A3, almeno sui tratti completati, si annunciava l’introduzione del pagamento alla fine del 2011. Sembrava uno scherzo. “E’ ora di dire basta con la retorica sulla Salerno-Reggio Calabria come la vergogna d’Italia. Io credo che, invece, sia il vanto dell’Italia”, spiega Ciucci, annunciando l’ennesima data di completamento. Questa volta sarà il 2013. “La Salerno – Reggio Calabria non è un errore. E’ un modello. E’ costata decine di volte in più rispetto alla previsione iniziale. In un video di molti anni fa Ciucci diceva a proposito del collegamento stabile sullo Stretto: ‘La prima pietra la metteremo nel 2005’. E Zamberletti: ‘Il Ponte sarà aperto nel 2010’”, spiega Luigi Sturniolo della Rete No Ponte. Un modello che implica uno spreco enorme di denaro pubblico. Ma non solo. Pietro Ciucci non è imputabile di omicidio, e neanche di infanticidio. Nessun tribunale – giustamente – lo condannerà mai.
Ma i morti sull’A3 non nascono dal caso. Sono il frutto inevitabile di un modus operandi basato sul ritardo, l’inefficienza, il massimo guadagno per il privato, la presenza stabile – e non l’infiltrazione – di gruppi mafiosi (sono già cinque le indagini della magistratura su mafia e appalti). Le dichiarazioni e gli atteggiamenti citati dimostrano che non c’è alcuna intenzione di cambiare. Anzi, chi fa semplici osservazioni è “pretestuoso” e “antagonista”. Chi chiede informazioni è un “rapinatore”. Proseguiranno allo stesso modo, fino al Ponte sullo Stretto. L’ottusità dell’Anas è quella dei poteri senza controlli. I movimenti dal basso, in questo momento, diventano l’unico baluardo di democrazia sul territorio. Non stanno chiedendo grandi cose. Semplicemente, vogliono che i cittadini possano spostarsi senza morire, anche nell’estremità della penisola. Antonello Mangano www.terrelibere.org
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Interventi
Rosarno/ Giustizia per Giuseppe Valarioti
Vittoria/ La calda estate del signor A.
Trent’anni fa, nella notte tra il 10 e l’11 giugno 1980, la 'ndrangheta di Rosarno uccideva Giuseppe Valarioti, professore di lettere con la passione per l’archeologia, storico, intellettuale organico, segretario del Pci e consigliere comunale di Rosarno che non si è mai sottratto alle responsabilità dell'impegno antimafia, neanche dopo le minacce. Seguirono indagini approssimative e depistaggi, poi il processo a boss della 'ndrangheta assolti per insufficienza di prove senza che fosse mai celebrato, caso unico in Italia - un processo d'appello per l'omicidio. La vicenda giudiziaria, nella quale si inserirono le dichiarazioni di un pentito, è durata un decennio, ma presenta ancora oggi elementi inquietanti che vanno dai depistaggi alle indagini approssimative, dalle coraggiose testimonianze alle ritrattazioni repentine, da pentiti non creduti a sviluppi giudiziari rilevanti per alcuni protagonisti di quelle vicende, a recenti dichiarazioni di ex magistrati che hanno seguito il processo. Le inchieste non hanno portato alla verità e tutto è stato archiviato lasciando l’omicidio impunito, mentre stranamente, come spesso accade in Italia, i faldoni delle indagini si smarriscono. Peppe aveva trent'anni, aveva partecipato alle lotte per il lavoro, s’era opposto ai loschi affari della criminalità, alla speculazione edilizia, aveva difeso il patrimonio culturale, storico e ambientale della Calabria. "La storia di Giuseppe Valarioti - scrive Pierluigi Bersani su L'Unità - merita più che un semplice ricordo, merita una riflessione. È una storia emblematica perché dimostra come un altro Sud non solo è possibile ma un altro Sud c’è sempre stato". Riaprire le indagini sull'omicidio per ricostruire la verità e la memoria della legalità e individuare i responsabili del primo delitto politico della 'ndrangheta è un dovere per tutti. Istituto "U. Arcuri" per la Storia dell'Antifascismo adesioni: istitutoarcuri@tiscali.it
Qui a Vittoria l’estate ci ha regalato una serie di video-denunce fatte da Aiello e dal suoi fans. Le immagini hanno evidenziato inequivocabilmente la scarsa capacità amministrativa di Nicosia. L’unica cosa che non ci convince e non ci convincerà mai è che dentro la verità di quelle immagini c’è la demagogia parolaia di Aiello. Nel video su piazza Dante o Cappellini o Liotta del 24 agosto con la sua solita dizione dichiara: “Incredibile, arrizzinu i carni. Con un’amministrazione di avventurieri e di incapaci che si sono insediati al municipio, sotto la bandiere della democrazia, e hanno fatto un cricca ca fici ammorbare la città”. Ci siamo chiesti: ma da chi è composta questa cricca di amministratori? Naturalmente c’è Nicosia e suo fratello Fabio, poi c’è il vicesindaco Caruano, l’ass. Avola, l'assessore Di Quattro, l’assessore D’Amico, il presidente dell’EMAIA avv. Di Falco, il presidete dell’AMIU sig. Puccia, senza contare il sostegno della famiglia Dezio, la fattiva collaborazione del presidente della SoGeVi dott. Denaro, e sicuramente ne dimentichiamo tanti altri, la lista è lunghissima. Ma non è la stessa cricca che ha governato alternativamente con Aiello dal 1995 al 2005? Allora non era già una “cricca” o si e trasformata in “cricca” dopo? On. Aiello la smetta con questo moralismo low cost, con questa sagra che tutto è un magna magna. Vittoria è governata da amici o ex amici suoi, poco cambia, tanto sempre cose sue sono. L’unico dell’“ammucchiata” che non ha più un ruolo è lei e adesso per ritornare ad essere protagonista si ricandida per rimettere in moto la città. Ma Vittoria per lei cos’è uno scooter da smontare, rimontare e rimettere in moto a suo uso e consumo? Quello che ci colpisce rispetto al passato non è la sua ennesima candidatura ma la sua mancanza totale d’imbarazzo. Vuole cancellare la storia politica recente di questa città?
Per soddisfare questo sua ultima ambizione si sta inventando di tutto, sta strumentalizzando cinicamente la disperazione dei produttori agricoli. E’ diventato “esponente dei comitati in rete”, un movimento oscurantista, vandeano e restauratore a pieno servizio di Lombardo e dell’ass. regionale Buffardeci. Ci dica un po': ma quali misure a sostegno dell’agricoltura hanno prodotto le sue battaglie? Ce lo dica. Noi non ne ricordiamo una. On. Aiello, noi apparteniamo all’unica generazione in cui i figli staranno peggio dei padri. Abbiamo poche ambizioni personali e qualche ambizione sociale. Studiamo per il nostro futuro e abbiamo un profondo rispetto per i sacrifici che fanno i nostri genitori. Speranze e rispetto ci tengono legati a questa città che lei ha ingessato e ora si appresta a mummificare con il suo cinismo pigro. Ci ha prima regalato il vuoto festaiolo di Nicosia e ora punta a regalarci il sottovuoto inconcludente di Incardona. La sua funzione è impedire il cambiamento, infiacchire il territorio, anestetizzare le questioni per poi rianimarle a suo uso e consumo. Per lei come per Nicosia e Incardona il problema è la Sinistra quando invece i veri problemi siete voi tre. Vuole fare veramente una cosa utile per Vittoria? Si ritiri. Anzi ha l’obbligo di ritirarsi, di godersi le sue meritate pensioni, ha combinato troppi guai. Per questo ci stupiscono le dichiarazioni di apertura attribuite al consigliere provinciale Mustile, comparse su corrierediragusa.it, dove lo stesso indica Aiello come futuro presidente del consiglio comunale. Le stesse sono in contraddizione con quanto sottoscritto in un comunicato congiunto tra Federazione della Sinistra e Sinistra e libertà. Sarebbe opportuna una rettifica chiarificatrice sulle dichiarazioni a lui attribuite. Circolo “Peppino Impastato” dei Giovani Comunisti
|| 5 settembre 2010 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||
Libri
In libreria Luigi Politano Pippo Fava Lo spirito di un giornale
ROUND ROBIN
Edizioni
Round Robin
Catania 1980. Nella Milano del sud il clan di Nitto Santapaola domina, in una terra meravigliosa e maledetta, una città in cui coesistono cosa nostra e istituzioni in un gioco di potere fatto di morti ammazzati, grandi opere, corruzione e fiumi di denaro. A Catania vive e lavora un giornalista, Giuseppe Fava, che racconta la verità senza tralasciare nessun particolare. Amori, morte, disperazione e bellezza nelle parole di “Pippo” che diventa il pericolo da abbattere a tutti i costi. Dalla pittura, ai racconti, alle opere teatrali tutto di Pippo Fava è pieno dell'amore per la sua terra. Ed è proprio dopo un anno di pubblicazione de I Siciliani - un mensile di denuncia che farà storia nella lotta per la libertà di informazione - che il giornalista verrà ucciso con cinque proiettili sparati a sangue freddo da spietati killer che il 5 gennaio del 1984 decisero di giustiziare colui che non sarebbero mai riusciti a far tacere.
Il fumetto narra l'esperienza di un uomo che affronta a viso aperto, e con la sola forza delle parole, un sistema che nessuno ebbe il coraggio di denunciare. Nel 1981 Pippo Fava scriveva: “A coloro che stavano intanati, senza il coraggio di impedire la sopraffazione e la violenza, qualcuno disse: 'Il giorno in cui toccherà a voi non riuscirete più a fuggire, né la vostra voce sarà così alta che qualcuno possa venire a salvarvi!'”
|| 5 settembre 2010 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||
La Round Robin nasce nell'autunno del 2004 dall'idea di giovani studenti universitari, con l'idea di costituire un nuovo soggetto editoriale indipendente in grado d entrare nel mondo dell'informazione con un giornale on line – rivistonline.com – e con la pubblicazioni di romanzi e saggi di giovani promesse della letteratura italiana e straniera. Costituitasi come società editrice nel maggioos 2005, vanta la produzione di un catalogo con titoli che riscuotono un discreto successo nelle librerie. Oltre alla produzione di romanzi e saggi, nelle collane “Parole inviaggio”, “Fuori rotta”, “Fari”, “Corsari”, la casa editrice continua a proporre ai suoi lettori temi di stretta attualità inaugurando la pubblicazione di una serie di Graphic novel, certi dell'importanza di sperimentare nuovi linguaggi. Fumetti dedicati agli eroi dell'antimafia prendono vita nella collana “Libeccio”, in collaborazione con l'associazione “DaSud onlus”.
Sistema
L'industria del pensiero e la nostra vita Com'è cambiato il concetto di cultura? Oggi si parla indifferentemente di cultura del calcio, del McDonald, del corpo... Che cosa contengono in realtà queste “culture”? Hanno ancora bisogno di una ideologia? O la “non-ideologia” è di per sé la più tremenda Ideologia mai esistita?
Quando la cultura era vera e libera, viveva un brutto momento per le sue casse e felice per il suo futuro. I sapienti trasmettevano ideali con il fulgore di un'intelligenza irriducibile, i musicisti componevano anche sapendo bene che c'è un concordato impossibile fra talento è ricchezza, e gli scrittori si dedicavano al loro lavoro, che era la fornace delle parole. Parlo di tempi non molto lontani in cui la cultura non era sovvenzionata e poche cose diventavano industria. Porto con me uno specchio di argento vivo rinvenuto, affinché ci si rifletta la faccia antica - la faccia di quello che fummo prima che la modernità ci tradisse e la sua sfacciataggine si infiltrasse nelle nostre vite. Nel tempo in cui si cominciarono a fabbricare automobili nessuno pensò alla sua industrializzazione. Èd ancor di più: qualcuno affermò che tutto ciò non aveva futuro. Non volemmo pensare che tutti i governi sarebbero stati finalmente allattati, in una
maniera o altra (tasse dirette ed indirette; il combustibile e la sua inarrestabile forza; il ricatto, e quindi l'affare, dei modi di sentire verde-ecologico; il valore aggiunto dei pubblicisti e dei disegnatori...) da quella industria automotrice. L'automobile fu un mezzo che, trasformato in industria, creò il bisogno, e la finzione, degli spostamenti comodi, efficienti ed individuali. Tutta una rivoluzione concettuale. Altrettanto può dirsi dell'industria farmaceutica, che in principio non fu il logos, ma un gesto di benevolenza per liberarci di tutto quello che di cattivo affliggeva il corpo o lo spirito. E precisamente una conoscenza più attenta di quello che lo spirito rappresenta portò come conseguenza che una bella manciata di gente normale –usando come bareme di normalità il divano degli psichiatri del secolo XXI- si rendesse conto che la chimica aiuta a sopportare l'incommensurabile tedio della realtà non virtuale ed, a volte, anche
di quella virtuale. I sagaci pionieri dell'industria farmaceutica erano pronti a farci il favore e fornirci pasticche affinchè il cervello potesse riposare. Si sa che le spese mediche e sanitarie sono aumentate in modo schiacciante da poco meno di vent’anni. Qualsiasi allarme del corpo è oggetto di medicazione, e così ce lo spiega il giornalista e biologo tedesco Jörg Blech. Ormai segni come la vecchiaia, la preoccupazione, la bruttezza, la magrezza o la grassezza meritano trattamento. Insomma, tutto quello che si frappone fra la felicità prospettata e le nostre vite abitudinarie, tanto distanti delle aspirazioni di Hollywood e dei dettati dei guru della bellezza; una vera industria che non solo ci dà indicazioni su quello che dobbiamo simulare, ma che si permette di esigere quello che dobbiamo diventare. Diventare per il mercato, si capisce. Fuori della sua orbita si trova soltanto la fangaia dei dimenticati, di quelli che mai potranno morire di successo.
|| 5 settembre 2010 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||
Sistema
E così possiamo continuare ad enumerare altre industrie: - quella del sesso - ci hanno convinti con ragionamenti contundenti che tutti possiamo essere porno star senza sforzo, grazie al miracolo delle webcams e alla produzione e post produzione domestica; - quella delle armi. imballata nell'ideale di una sicurezza che ci permetta di abitare eternamente la fragile bolla di vetro che ci siamo creati; - quella delle nuove tecnologie, dove tutto è possibile: anche fabbricarsi una vita parallela se non ti piace troppo quella che il destino ha scelto per te. Abitiamo un mondo trasparente, quello in cui il privato è pubblico, e lo affermo senza valermi della sfera di cristallo che, anni fa, ci ha venduto Vattimo. Di tutte le industrie fiorenti che spartiscono con noi flussi ed altre forme di intimità, quella che richiama più l'attenzione è la cultura. Forse perché, se il linguaggio non fosse diventato il prestigiatore che adesso è per ingannare la verità, cultura ed industria sarebbero due termini contraddittori. Questo fatto ha alcune spiegazioni che io non vado ad approfondire in questo spazio, ma che almeno ho l'obbligo di menzionare.
La degradazione del concetto stesso di cultura ha fatto in modo che, sotto la sua generosa gonna semantica, entrino le formulazioni più bizzarre: ho sentito fino a non poterne più parlare della cultura del calcio, la cultura del McDonalds o la cultura del corpo. Ed ammetto che non so molto bene a che cosa si riferisca. La cultura del calcio non è altro che devozione ed entusiasmo nel migliore dei casi, o fanatismo, il più delle volte. La cultura di McDonalds non è per caso un analfabetismo culinario enorme che si usa affinché i giovani si sentano parte di un gruppo sociale poderoso che si appoggia sul motto dell'American way of life? Per quello che riguarda il corpo, ah, povero corpo, come vorrebbe avere cultura o ancora meglio: essere cultura. Ma al massimo, essendo fortunato, avrà ammiratori, cominciando da se stesso, dipendente sempre dal narcisismo imperante, lo voglia o non lo voglia. Allora, concediamo che il concetto di cultura e la stessa realtà della cultura siano stati influiti, e falsificati, dall’arrivo di questi convitati immobili, spuri. Aggiorno per un'altra occasione la cultura finanziaria. Dobbiamo analizzare la situazione da
capo. Ormai non esistono gli ideologi. I politici non hanno ideologi, ma un esercito di ben pagati assessori di immagine. La società nemmeno ha ideologi. Solo un'orda bonvivant di creatori di tendenze e di stile, come si chiamano, nella nostra postmodernità, quelli che travestono da idee la tirannia delle mode e dell'immagine. Non ci sono nemmeno i generi: soltanto correzione politica, quella censura di disegno che tutti i democratici abbiamo dovuto comprare per forza, perché al minimo gesto di dispiacere o sintomo di dissenso, ti fanno scendere senza preamboli dal carro della grande festa della felicità collettiva ed obbligata. Saranno davvero morte le ideologie senza che nessuno abbia officiato le esequie? Potremo vivere con la sola ideologia che ci è consentito avere - l'assoluta mancanza di ideologia - e che venera il dio del pensiero unico? A volte penso che se la morte delle idee non sarà la morte delle parole: la cultura sarà quello che rimarrà di tutto questo. Non abbiamo mai avuto tanti specchi per non vederci e tanta tecnologia comunicativa per non avere niente da dirci. Natalia Fernandez-Diaz Radio de la Universidad de Chile
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pubblicitĂ
|| 5 setttembre 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||
Italiani
Enzo Baldoni Un ricordo necessario con buona pace di Feltri Enzo Baldoni moriva, probabilmente, il 26 agosto del 2004. Sei anni fa. Probabilmente, perché non c’è certezza sulla sua data di morte. Era un copywriter. Traduceva fumetti. E faceva il ficcanaso. Ovvero, il giornalista. Ora non lo ha ricordato nessuno, sui media tradizionali. Mi trovo un po’ in imbarazzo, a scrivere di Enzo Baldoni. Ma qualcuno deve farlo. Mi trovo in imbarazzo, in primo luogo, perché non ho alcun titolo per scriverne. Se non quello che deriva dall’averlo seguito in tempi non sospetti. Secondo, perché non ho mai amato i pezzi in memoria di, o le celebrazioni acritiche post mortem. Ma quando mi sono reso conto che non trovavo alcuna traccia di un suo ricordo, se non sul suo vecchio blog e attraverso le parole su Facebook di un amico, un giovane scrittore che si chiama Stefano Sgambati, ho pensato che qualcuno dovesse farlo.. Era lui, Baldoni, che si definiva ficcanaso. Sul sito che raccoglie i suoi scritti si legge, fra l’altro: Non c’è niente da fare: quando uno è ficcanaso, è ficcanaso. E’ insopprimibilmente curioso, gli interessano i lebbrosi, quelli che vivono nelle fogne, i guerriglieri. E poi non gli basta fare il pubblicitario, deve occuparsi anche di critica di fumetti, di traduzioni, di temi civili e perfino di robbe un sacco zen. Ma soprattutto di ficcare il naso dove i governi non vorrebbero: dal Chiapas alle fogne di Bucarest, dallo sterminio dei Karen birmani ai massacri di Timor Est, dal lebbrosario di Kalaupapa ai dissidenti cubani fino alle montagne della Colombia dove si annida il più potente esercito guerrigliero del mondo: le Farc. Ha scritto reportage originali e intelligenti. Reportage veri. E’ stato rapito in Iraq, e poi ucciso. Probabilmente, il 26 agosto 2004. A sequestro in corso, o forse con Baldoni già ammazzato, Vittorio Feltri si esibì in una delle sue performance: “Un uomo della sua età, moglie e due figli a carico, avrebbe fatto meglio a farsi consigliare da Alpitour, anziché dal Diario, la località dove trascorrere vacanze sia pure estreme (si dice così?). Evidentemente, da buon giornalista della domenica egli ha preferito cedere all’impulso delle proprie
passioni insane per l’Iraq piuttosto che adattarsi al senso comune”. (Libero, 27 agosto 2004). E Renato Farina, deputato PdL, radiato dall’Ordine dei Giornalisti per aver collaborato con i servizi segreti pubblicando notizie false quando lavorava per Libero e ricevendo in cambio denaro, scriveva a sua volta di Baldoni: “E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all’Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com’era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista”. Su Renato Farina, è utile leggere l’informativa dell’Ordine dei Giornalisti, per capire di chi stiamo parlando. Renato Farina, ex vicedirettore di Libero, “arruolato” nel Sismi col nome di Betulla, è stato radiato, con 68 voti a favore, 5 astenuti, 2 contrari e 4 schede bianche, dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, in accoglimento della richiesta avanzata dal Procuratore generale della Repubblica di Milano. Secondo il Procuratore “il comportamento di Farina va sanzionato con l’ipotesi prevista dall’art. 55 della legge n.
69/63 che punisce con la radiazione la condotta del giornalista che ha gravemente compromesso la dignità professionale, fino a rendere incompatibile con la dignità stessa la sua permanenza nell’Albo”. La proposta di radiazione avanzata dalla Commissione ricorsi del Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti rileva che “il comportamento di Farina resta incompatibile con tutte le norme deontologiche della professione giornalistica ed ha provocato un gravissimo discredito per l’intera categoria. E non solo in relazione alla vicenda Abu Omar e ai rapporti con Pio Pompa. E’ Farina che, nelle sue difese, rivela e rivendica un ruolo in una trattativa con Milosevic. E’ Farina che fa riferimento a suoi rapporti con un servizio statunitense (una Cia parallela). E’ Farina che dichiara ai magistrati di aver accettato dai servizi all’incirca 30mila euro”. Il che non ci parla di Enzo Baldoni. Ma ci spiega che idea del giornalismo abbiano costoro. E ci spiega anche perché bisogna ricordarlo, Baldoni. Non perché fosse di sinistra, ma perché è necessario che si racconti e si tramandi la verità su chi viene screditato da certe disgustose campagne mediatiche e poi dimenticato anche da chi, invece, dovrebbe ricordarlo. Perché è necessario recuperare, ogni volta che ce n’è l’occasione, la memoria storica di questo Paese, un Paese che fa in fretta a celebrare eroi, ad affossare vittime, a dimenticare tutto. Per quel che mi riguarda, leggendolo in tempi non sospetti, ho capito che sarebbe stato quello, il giornalismo che avrei voluto praticare un giorno, se ne avessi avuto la possibilità: sul campo, vivendo le storie che avrei raccontato. Mai embedded, mai condizionato, mai a farmi raccontare la vita al telefono o via mail, mai a sudare dietro una scrivania criticando chi, sul campo, ci va. Per parlarne, di Baldoni, bisogna leggerlo. E a quel punto, non c’è più bisogno che ne parlino altri, perché avrà già detto tutto lui. Se potete, se non l’avete mai fatto, leggetelo. Questo è il mio personalissimo ricordo e saluto a Zonker. Alberto Puliafito
|| 5 settembre 2010 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||
Calabria
Un appello da Reggio: “Resistete, denunciate! Confesso che mi rincresce non poco dover ancora accettare lo stesso copione del dopo Düisburg, con un'informazione nazionale che sembra non volersi curare di ciò che da anni silenziosamente e con coraggio si muove in questa città ed in questa regione, in quelle afose estati dove i giovani che da quattro anni organizzano le meravigliose giornate di “Legalitàlia” in memoria del giudice Antonino Scopelliti, rinunciando alle loro vacanze per cercare di contrastare un nemico che non va mai in ferie, quei giovani che dalla piazza principale di Reggio pubblicamente e senza timori salutano “da uomini liberi” il boss Giovanni Tegano (quello degli applausi davanti alla Questura), sembrano purtroppo destinati e condannati a fare meno rumore del tritolo e delle lupare della 'ndrangheta. *** Ma non demordiamo, ed andiamo avanti, giorno dopo giorno, anno dopo anno, con una spinta propulsiva sempre più forte. Consci del fatto che ciò che facciamo, stando accanto per quanto possiamo ai magistrati, alle forze dell'ordine ed a quei pochi colleghi giornalisti che con coraggio, ognuno nel proprio campo, contribuiscono all'emancipazione culturale e sociale di Reggio e della Calabria tutta, é prima di ogni cosa una battaglia di civiltà condotta per i nostri figli. Figli ai quali sarebbe stupido e folle, oltre che vile, chi non contribuisse a conse-
gnare una terra migliore di quella ereditata dalla generazione che lo ha preceduto. Ed ora più che mai, alla luce di un cambio di strategia da parte di una criminalità organizzata che ha chiaramente deciso di inseguire un modello para-stragista, ovvero avvertire e circuire direttamente gli uomini e non più l'Istituzione che essi rappresenta-
no, occorre uno scatto d'orgoglio vero, di quelli incredibilmente senza precedenti, qualcosa che faccia capire a questi signorotti del male che sono finiti i tempi in cui ogni potere ricadeva illegittimamente nelle loro mani. La via per sapere chi e perché ha voluto inviare questo ennesimo segnale al procuratore generale Di Landro è una soltanto: i cittadini di Reggio, quelli che rappresentano la parte sana della città (e che sono certo rappresentino la maggioranza della popolazione), devono capire che è giunto il momento di fare la propria parte, attraverso un semplice atto di coraggio e civiltà qual'è la
denuncia. Perché é impossibile che in pieno centro, a fine estate, nessuno abbia visto né sentito nulla. Che si risvegli finalmente l'orgoglio apparentemente sopito di questa città, consegnando nelle mani della giustizia gli attentatori alla serenità di un magistrato che altra colpa non ha se non quella di voler continuare a fare dignitosamente il proprio lavoro. Un lavoro che in un Paese civile dovrebbe essere normale poter svolgere serenamente come per chi sceglie di fare l'insegnante, il pasticcere, il manager, il meccanico, l'impiegato o il falegname. Mi rivolgo a tutti gli abitanti del quartiere Caserta: non abbiate paura, diamo tutti insieme una dimostrazione tangibile di fiducia a quegli uomini ed a quelle donne che da anni si prodigano per restituirci i nostri spazi di libertà e di democrazia. Denunciate quegli irresponsabili e codardi dispensatori di paura che ieri hanno piazzato una bomba sotto le vostre abitazioni non curandosi del fatto che magari a quella stessa ora sarebbe potuto rincasare vostro figlio o vostra nipote. Denunciate quegli irresponsabili e codardi soldati di morte che forse credono ancora che questa città e questo popolo potranno essere assoggettati ai loro padroni per altri cent'anni. Denunciate quegli irresponsabili e codardi professionisti della viltà che non hanno capito che anche io mi chiamo Salvatore Di Landro, che anche voi vi chiamate Salvatore Di Landro, che tutti noi ci chiamiamo Salvatore Di Landro. E che se non ci restituiranno la Calabria, dovranno sul serio trovare tanto piombo per ammazzarci tutti. Aldo Pecora presidente Movimento antimafia “Ammazzateci tutti”
|| 5 settembre 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||
Calabria
“Tutto da vincere o tutto da perdere: la nostra storia siamo noi” “La storia siamo noi, siamo noi che abbiamo tutto da vincere o tutto da perdere”. A leggere l’editoriale col quale Matteo Cosenza, venerdì scorso, richiamava a una grande manifestazione contro la ‘ndrangheta, le note e le parole di Francesco De Gregori suonano vive, dense di significato. La storia siamo noi. C’è poco da fare, è proprio così. Perché è così che va interpretato il ruolo di cittadini. Non sudditi, ma partecipi della cosa pubblica. Padroni del nostro e dell’altrui destino, del vivere collettivo. Vigili animatori della democrazia. Anche a questo servono i giornali, a mobilitare l’opinione pubblica e, in linea con questo principio, Il Quotidiano ha lanciato l’ennesima sfida alla ‘ndrangheta. Forse la più temibile, perché coinvolge direttamente i suoi lettori, li carica di responsabilità. L’ennesima sicuramente, perché l’impegno contro la mafia di questo giornale è fatto soprattutto dalle cronache, approfondite e puntuali, scritte ogni giorno che Dio manda
in terra da giornalisti che rischiano la vita.Sette cronisti del Quotidiano minacciati dallo scorso 27 dicembre, tre di Calabria Ora, tre di altre testate, un blogger. L’editoriale del direttore di questo giornale, quindi, è la dimostrazione che le minacce non servono, piuttosto fanno rilanciare. La posta in gioco aumenta, c’è di mezzo la dignità.Un’altra idea di Calabria. È questo che non piace al sistema mafioso, fatto di ‘ndrangheta, di politica collusa, di imprenditoria marcia, di magistratura compiacente, di informazione omertosa. Un’idea semplice. Società aperta e trasparente. Sviluppo completo delle potenzialità democratiche. *** La democrazia è fatta di poche cose: giustizia, informazione libera, scelte politiche nell’interesse generale, libero mercato. La mafia è il suo esatto contrario. Si consolida nel suo esatto opposto: impunità, omertà, interessi privati in politica, monopoli economici. Ed è questa, ahi noi, oggi, l’esatta fotografia della Calabria. Chi vuole cambiare le cose, chi ha in testa un’altra istantanea, un’altra idea di Calabria va colpito. Vanno colpiti i fautori del “nuovo corso” in magistratura. Chi non vuole che la Procura generale sia “l’ufficio dei saldi
processuali”. Perché sa bene che è nell’impunità che la mafia trova il suo consenso sociale. Vanno colpiti gli imprenditori che non vogliono piegarsi, i giornalisti che non lasciano le notizie nella penna, i politici che resistono alle pressioni mafiose. Va colpita l’anima profonda di una reazione alla ‘ndrangheta. Una reazione che questo giornale oggi chiede a gran voce sia partecipata dai suoi lettori. Da chi, non solo il giorno della manifestazione, ma nelle sue scelte quotidiane incominci a dare un calcio al malaffare. In ogni sua manifestazione. Lottare per “il diritto di non essere eroi”, ha sintetizzato con acume Mimmo Cangemi. È questo che si chiede ad ogni cittadino calabrese. Il magistrato, il politico, l’imprenditore, il giornalista, non vanno lasciati soli. Ché è di silenzio e solitudine, prima che di mafia, che muoiono. La storia siamo noi, è proprio così. Oggi è il momento di dimostrarlo. Roberto Rossi autore con Roberta Mani di “Avamposto/ nella Calabria dei giornalisti infami”
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Calabria
“Avanti, riprendiamoci la piazza!” “”Si avvicina l’autunno ma la Calabria ha bisogno di una primavera. Si incominci – cari sindacati in cerca di un ruolo, cari partiti perennemente impegnati nelle vostre diatribe interne, cari movimenti della società civile che siete come l’araba fenice – con l’organizzare per settembre una grande manifestazione a Reggio...”. Dopo i ragazzi di Locri, un'altra grande stagione di risveglio?
Di primo acchito l’impressionante mole di attestati di solidarietà al procuratore Di Landro infonde fiducia perché fa capire quanto vasto sia il fronte che si oppone alla ‘ndrangheta, la quale invece per parlare ha bisogno di pochi eloquenti gesti come il tritolo esploso l’altra notte a Reggio. Per questo, pur apprezzando il comprensibile, giustificato e convinto moto di sdegno per l’attentato terroristico e di vicinanza al magistrato che si vuole intimidire, è giusto soffermarsi sulle dichiarazioni, anche questa volta non scontate, di un personaggio politico come Angela Napoli, che la sua battaglia contro la ‘ndrangheta e il malaffare la fa coraggiosamente ogni giorno: attenzione – ha avvertito -, servono meno solidarietà e più fatti. *** Sì, è ben strano che il diluvio di parole arrivi anche da chi ha il compito di operare o di dare, per esempio, più auto e benzina sufficiente ai magistrati. Sono belli anche gli interventi dei dirigenti sindacali che invocano una mobilitazione generale contro la ‘ndrangheta: ma quando? E perché finora non c’è stata?
E vale poco richiamare la manifestazione del Primo Maggio a Rosarno con Epifani, che ebbe soprattutto il valore di ricucire una ferita del sindacato la cui assenza era emersa nitidamente nei drammatici giorni della rivolta degli immigrati sfruttati come bestie sotto gli occhi di tutti. *** Concretamente chi combatte la ‘ndrangheta? La risposta più facile è: la gente onesta e che rispetta la legge. Ma non basta. Sicuramente la parte preponderante la svolgono i magistrati, le forze dell’ordine e quanti hanno responsabilità per conto dello Stato nell’opera di contrasto all’illegalità e alla malavita organizzata. E’ un’opera importante di cui va dato atto a quelli che – come ha ricordato davanti al tritolo ancora fumante Di Landro – sono fedeli servitori dello Stato e la cui unica colpa è di fare il proprio dovere, ma quanti tribunali e procure sonnecchiano? Scriveva l’altro giorno Mimmo Cangemi che, in giro per l’Italia a presentare il suo libro sul “giudice meschino”, si è trovato frequentemente a dover contra-
stare l’idea di una Calabria dove dietro ogni angolo di strada ci sarebbe in agguato qualcuno con il fucile puntato. Sappiamo che non è così e che quella percezione è il risultato di un messaggio, l’unico purtroppo, che esce dai confini di questa terra. Chiediamoci: ma questa relativa tranquillità non scaturisce forse dal combinato disposto di una serie di fattori, in primo luogo l’indifferenza degli onesti (la maggioranza), la contiguità di chi cerca convenienze (un esercito), e poi la complicità di tanti pubblici poteri, il lasciar fare, la paura (usiamola questa parola), una pubblica amministrazione inefficiente e, quindi, aperta a qualsiasi ingerenza, un sistema economico fragile per lo più fondato sugli incentivi pubblici e sovente osteggiato da un sistema bancario ostile. *** Lo diciamo con tutta la prudenza del caso: in molti territori la ‘ndrangheta non ha bisogno di ostentare il suo potere, sa di averlo e che per conservarlo le fa comodo la “pace”. In alcuni paesi della Locride si può lasciare l’auto con le chiavi nel cruscotto perché nessuno si
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Calabria
permette di rubare: i boss non tollerano la piccola criminalità e di tanto in tanto provvedono a punire qualche giovane con la testa calda, garantendo a modo loro tranquillità a tutti e molti ne sono pure contenti. Questa “pace” è rotta da lotte interne per la supremazia, da qualche amministratore pubblico con la schiena diritta e dall’azione di contrasto dello Stato. E se in una Procura come quella di Reggio da un bel po’ di tempo sta cambiando la musica ecco partire gli avvertimenti in un’escalation che lascia immaginare prossime azioni ben più eclatanti. Per estirpare la “malapianta”, come dice Gratteri, ci vuole l’azione dello Stato ma occorre ben altro. *** E perciò ben venga finalmente un sussulto delle coscienze come si vide a Palermo dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio e, come non ci fu in Calabria, dopo l’uccisione altrettanto esemplare di un magistrato straordinario come Scopelliti. Si avvicina l’autunno ma la Calabria ha bisogno di una primavera. Si incominci – cari sindacati in cerca di un ruolo, cari partiti perennemente
impegnati nelle vostre diatribe interne, cari movimenti della società civile che siete come l’araba fenice – con l’organizzare per settembre una grande manifestazione a Reggio. *** Non crediamo al valore taumaturgico di queste forme di lotta, ma essa può servire almeno a due cose: a far sentire meno soli i magistrati, i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri e tutti i servitori dello Stato che rischiano per conto nostro la loro vita; in secondo luogo può essere un modo per chiamare i calabresi a una nuova presa di coscienza e ad avviare un cammino virtuoso nel segno della legalità e del rispetto delle persone. Da lì possono scaturire tante cose, si tratta di avviare con coraggio e convinzione questo processo. In conclusione, però, occorre porsi una domanda che apparentemente sembrerebbe mettere in discussione quanto detto finora, vale a dire: ma c’è solo la ‘ndrangheta dietro l’attentato terroristico dell’altra notte? Quanto è successo finora invita alla prudenza e a evitare giudizi sommari. La bomba davanti al Palazzo di giustizia, i bulloni svitati alle ruote dell’auto del
procuratore, il proiettile sull’auto del procuratore di Palmi Creazzo, anche l’auto imbottita di armi ed esplosivi lungo il tragitto per l’aeroporto del presidente Napolitano, e poi il clima rovente degli anni scorsi, per esempio le cimici trovate nelle stanze di qualche magistrato, non si possono rubricare in quattro e quattr’otto assegnandone precisamente la responsabilità. *** Siamo – è il caso di ricordarcelo sempre – il paese delle trame e dei misteri, ci sono i servitori dello Stato e ci sono quelli che lo tradiscono. E quando si rompono gli equilibri c’è anche chi non ci sta. E’ successo tante volte, come le cronache italiane insegnano, e può sempre accadere. Auguriamoci che non sia questo il caso, ma non è sbagliato dire che un moto fecondo di solidarietà – meno segnali verbosi e più azioni fattive – deve individuare il nemico da sconfiggere nella ‘ndrangheta e in tutti i suoi sodali ovunque si annidino. Matteo Cosenza direttore Quotidiano della Calabria
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Pedagogia degli oppressi
“Troppi precari, disse la Gelmini” Venticinque alunni per classe? Una volta. Adesso sono trenta, trentacinque e a volte anche di più. Mancano i professori, questo è il fatto. Per la Gelmini invece ci sono troppi precari, e se protestano è perché “fanno politica” e lei perciò con loro (e coi poveri genitori) non ci parla. Si lotta come si può, fino allo sciopero della fame; qualcuno per esempio Pietro Di Grusa (v.sopra) o Giacomo Russo, o uno dei tanti che non sono finiti sui giornali - ci sta lasciando la pelle. Ma che importa? La legge è legge, e la legge dice che nelle scuole pubbliche meno gente ci lavora e meglio è. Non ci sono le scuole a pagamento, per studiare? Iscrivetevi a quelle, lazzaroni, e piantatela con questa storia del “diritto allo studio”, che è tutta roba communista.
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