o31010
www.ucuntu.org - rredazione@gmail.com
In piazza contro
Giovani calabresi in piazza contro la 'ndrangheta a Reggio Calabria.
I tamburi di Reggio Le barzellette dell'ormai rimbambito Berlusconi, le furberie di Fini, i bluff di Bossi: ma davvero oramai la politica è questa? Dal sud – dai sud – del Paese arrivano altri segnali. Ma chi li ascolta? Dalla Calabria: AVAMPOSTO di Roberto Rossi e Roberta Mani Jack Daniel/ Carmen, mia adorata... PINO FINOCCHIARO SICILIA ADDIO PD ANTONIO MAZZEO LA GARA DEL PONTE MIRKO TOMASINO MARCIO E AIUOLE ALESSIO ARPAIA GUERRIGLIA A NAPOLI SARO VISICARO TRAGHETTI FUORILEGGE GIORGIO RUTA CACCIA AI GAY UMBERTO SANTINO NONVIOLENZA GIANCARLA CODRIGNANI LIBRO E MOSCHETTO NATALIA FERNÁNDEZ BARBIE || 3 ottobre 2010 || anno III n.88 || www.ucuntu.org ||
Politica
E in Sicilia hanno fondato l'Upd Cioè l'Unione dei Partiti Democratici. Cioè Lombardo, più quella parte del Pd siciliano che stravede per Lombardo. Fantapolitica? Speriamo... Il senatore Anna Finocchiaro candidata dell'opposizione in Sicilia sostiene la scelta del Pd siciliano di votare all'ARS il governo del suo ex avversario (giammai nemico) Raffaele Lombardo. Il presidente dei senatori Pd a palazzo Madama, Anna Finocchiaro, attacca con fierezza il premier Silvio Berlusconi che il giorno prima a Montecitorio ha lucrato la fiducia con l'apporto determinate dei deputati dell'MPA di Raffaele Lombardo. Anna Finocchiaro, ineluttabilmente, è la stessa persona. Il PD No. Mi si lasci dire NO. Sono due Pd diversi: A Montecitorio e palazzo Madama c'è il PD che vorrebbe creare l'alternativa. In Sicilia c'è il Pd che all'alternativa predilige l'opportunità. A dirla con Ennio Flaiano, il Pd di Cracolici, Lumia e Crocetta rappresenta al meglio quell'italiano che corre in soccorso del vincitore. Sono due Pd profondamente diversi. Anna Finocchiaro, non appena avrà finito di abbracciare il presidente del Senato, Renato Schifani, e di sbracciarsi per difendere Raffaele Lombardo, potrà dedicarsi a riunire le due anime del partito neoprogressista, potrà dedicarsi all'unificazione
delle due anime del "suo" Pd e potrà nascere così l'unione dei partiti democratici, ovvero l'UPD. Non in mio nome, ovviamente. Non in nome dei ragazzi del Rita Express che formarono un treno speciale per votare Rita Borsellino contro Totò dei cannoli Cuffaro ( e che si guardarono bene dall'organizzare il medesimo treno speciale per Anna Finocchiaro, tanto per dire). Non in nome di quelle leggi dell' Autonomia dei siciliani che in virtù del premio di minoranza (nato per garantire l'opposizione, non l'immarcescibilità del governo) hanno assegnato nove seggi in più alla coalizione perdente capitanata giusto il tempo di una campagna elettorale dal senatore Anna Finocchiaro. Non in nome di quei siciliani che giudicano politicamente inopportune le frequentazioni dei presidenti Schifani e Lombardo a prescindere dal fatto che ciò possa avere rilevanza penale. Forse tutto questo alla senatrice Anna Finocchiaro non importa. A me e ai miei 50 e-lettori invece sì. Spiacenti, l'Upd non ci avrà. Pino Finocchiaro
Catania Città Aperta Festa di strada Domenica 24 ottobre dalle 17 in piazza Carlo Alberto
Cibi, video, animazione per bambini, danze tradizionali e musiche di African Ngewel e Sangeet group Anpi, Arci Catania, Arci Melquiades, Geetanjali Circle (Mauritius), Ass. El Amel (Tunisia), Ass. Ghezà, Centro Astalli, Cobas, Convenzione per la Pace, Coordinamento Immigrati CGIL, Cope, Experia, Mani Tese, Officina Rebelde, Open Mind, Rete Antirazzista e immigrati da Senegal, Mauritius, Eritrea, Tunisia, Palestina, Marocco, Afghanistan, Nigeria, Sri Lanka Noi non crediamo ai giornali, alle tv, ai politici che dipingono i migranti come criminali e producono leggi liberticide. NO alle leggi che disumanizzano i migranti, alla sanatoria-truffa, alle galere etniche, alle ronde, agli sgomberi dei campi rom, al pacchetto sicurezza, ai respingimenti, alle stragi di migranti. La paura genera il razzismo. Il razzismo genera guerre fra poveri. La Solidarietà unisce i popoli! Mai più clandestini, ma cittadini!
|| 3 ottobre 2010 || pagina 02 || www.ucuntu.org ||
Politica
Qua comandano quelli della Trabant Fare macchine che non si vendono,coi soldi dello Stato, e alla fine accusare gli operai La Trabant non si vende e il Partito accusa gli operai. “Dovete lavorare di più - dice il Partito - E' che siete abituati troppo bene. Ma d'ora in poi vi faremo vedere....”. Tutti gli apparatnik, tutti i politici, tutti i giornali annuiscono gravemente. Nessuno propone la soluzione più logica (nazionalizzare la Trabant e metterla in mano agli ingegneri) anche perché, in teoria, la fabbrica è già nazionalizzata: vive dei soldi pubblici, produce pessime macchine ed è gestita da gente che di partito s'intende forse, ma di automobili assai meno. Gli unici rimedi che conoscono sono: uno, più sacrifici; due, più polizia. Esattamente la situazione della Fiat. Cacciati gl'ingegneri dai vertici (qualcuno si ricorda ancora di Ghidella?), sostituiti dagente fida del Partito (Romiti nell'88, adesso l'ineffabile Marchionne), le macchine vengono male e nessuno ne vuole. Fra tutte le consolidate auto europee, la Fiat è quella (- 26 per cento) che va peggio. Non per colpa dei coreani o dei cinesi: soffre Psa, Volkswagen, le europee. Buttare fuori a calci il compagno Marchionnov? Non se ne parla nemmeno. Sacrifici, licenziamenti e, se qualcuno protesta, polizia. E siccome qui in Unione Sovietica c'è un partito solo, nessuno seriamente protesta (seriamente vuol dire vendita forzata o nazionalizzazione). *** Che fa un capo dello Stato riformista anzi
semplicemente democratico anzi, mi voglio rovinare, addirittura conservatore e di destra se il sindaco di un paese propugna la superiorità della razza bianca locale e vuole insegnarla per forza ai bambini innocenti delle scuole? Manda messaggi? Si appella alla buona volontà di un minisstro? Lascia intendere che forse non va bene? Manda direttamente la truppa, reparti delle Forze armate, che disperde la folla razzista a calcio di fucile e fa ala ai bambini neri. Non l'ha fatto Di Pietro o Vendola e nemmeno Bersani. L'ha fatto un presidente degli Stati Uniti, il repubblicano Eisenhower,, a Little Rock nell'Arkansas nell'autunno del '57. Pochi anni dopo, nel '62, fu Kennedy a mandare quattrocento federali nel Mississippi, dove i razzisti locali - governatore in testa – pretendevano di fare i razzisti nell'università. Anche qui, le baionette spianate e qualche buon spintone fecero un buon lavoro. Ad Adro, nel Quarto Reich di Brighella, il sindaco ribelle e razzista invece è ancora lì. *** «La vera notizia a me l'ha detta Eva, una ragazza del Centro per disabili con cui lavoro» racconta Mauro Biani. «”Hai sentito? - mi ha detto - Sakineh non l'ammazzano più, la impiccano”. Unafrase che vale più di cento editoriali» *** Qua in Sicilia, a Catania i giudici non hanno la tradizione di Palermo. Un modo
eufemistico per dire che negli anni 70 mettevano in galera l'ingegnere Mignemi che denunciava scandali edilizi, negli anni '80 indagavano sui conti di Giuseppe Fava, negli anni '90 coprivano i Cavalieri e un paio di anni fa non si accorgevano che i Santapaola scrivevano editoriali sui giornali di Ciancio. Qualche giorno fa, fra la sorpresa generale, sono piombati sull'unico giornale non di Ciancio della Città, Sud, che - a quanto avevano sentito dire - aveva intenzione di parlar male del presidente Lombardo. Sarebbe bellissimo se Catania prima o poi diventasse una città normale, a cominciare dal Palazzo di Giustizia e da coloro che l'abitano. Non sembra un momento vicino. Ci sono magistrati borbonici (quelli cresciuti col vecchio Di Natale: il persecutore di Fava, per intenderci), ci sono magistrati liberal (quelli del caso Catania di qualche anno fa: i persecutori di Scidà, per intenderci). Tutt'e due, fra di loro, si fanno a quanto pare una gran guerra, dando notizie, negandole, incriminandosi – per interposta persona – a vicenda, ciascuno coi suoi notabili, i suoi amici, le sue bestie nere. Noi (salva la solidarietà coi colleghi di Sud - solo i colleghi) noi non c'entriamo, siamo di un altro mondo, forse – ci pare a volte - di un altro pianeta. r.o.
|| 3 ottobre 2010 || pagina 03 || www.ucuntu.org ||
Avamposto
ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI
“Qui Reggio. Quando vi accorgerete che noi qui resistiamo?” In Calabria – ma chi pensa più alla Calabria? – sta cambiando qualcosa. La 'ndrangheta è sempre più potente e la politica ormai ne è quasi tutta conglobata. Ma nella società, per la prima volta dopo “Ammazzateci tutti”, è sorta finalmente un'opposizione. Frastagliata, confusa, con molti ele menti ambigui ai suoi confini, ma sostanzialmente decisa ad affrontare il problema. Ne fanno parte molti giovani. Non torneranno indietro
Sabato 25 settembre 2010. Ci volevo essere. Ci dovevo essere. E mi ha fatto bene. Ho visto l’altra Reggio Calabria, quella che è pronta a ribellarsi, quella che sa cosa vuol dire, che ogni giorno respira la cappa, l’arroganza mafiosa. Ho visto l’altra Calabria. Quella che ha sfidato la ‘ndrangheta, che ha guardato in faccia chi, con la coscienza sporca, ha voluto esserci. Comunque. Mescolato tra i volti puliti di migliaia di giovanissimi, tra le madri che hanno portato i figli, tra le insegnanti che, nonostante le scuole siano rimaste aperte, hanno voluto gli studenti in corteo. Come Melania, professoressa di Polistena. La incontro vicino ai suoi ragazzi. Me li indica con orgoglio. Sorride. “Noi ci siamo” – mi dice. Alle 10.00 il punto di ritrovo è già stracolmo. Piazzale della libertà. Un nome perfetto per cominciare. Alla fine saremo
venticinquemila. “No ‘ndrangheta”. Lo slogan è ovunque. Pende dai balconi, è stampato sulle magliette, sui bandana, scritto a pennarello sulle braccia abbronzate delle adolescenti. Come il nome del fidanzato o dell’amica del cuore. Se pensi a dove sei, in casa delle ‘ndrine più potenti , in casa della mafia più infida e ramificata, quella che decide la vita o la morte, gli affari, il traffico internazionale droga, quel “no” è un bel colpo d’occhio. Come lo sono le gerbere. Gialle. Macchie di colore nella giornata rovinata dal temporale. Macchie di colore, nella zona grigia che soffoca questa città, questa regione, questo Paese. Fiori simbolo della lotta alla mafia, quella mafia che qui sfida amministratori, imprenditori, giornalisti e magistrati a suon di minacce. Che piazza tritolo, in pieno centro, sotto il portone del Procuratore
Generale Salvatore Di Landro, perché si avvicinano i processi d’appello, perché la si smetta di confiscare beni e milioni sporchi. Che svita i bulloni dell’auto blindata parcheggiata nel garage del tribunale. Il corteo cresce. Corso Garibaldi si riempie. Per me che vengo da fuori, quel serpentone è un grande successo. Dopo gli scetticismi, le discussioni e i dibattiti sull’utilità della manifestazioni, dopo i rimbalzi di accuse di volersi fare pubblicità. “Sì, certo c’è moltissima gente – mi dice un collega – ma vedi quello? Ecco quello è un politico locale eletto con i voti della mafia”. Lo guardo. Sarà la suggestione, ma sembra in imbarazzo. Davanti a lui passa uno striscione. “La ‘ndrangheta è viva e sfila insieme a noi..purtroppo”. I ragazzi che lo portano sono i più rumorosi. Gridano, si fermano di botto e poi scattano in una corsa improvvisa, attirano l’attenzione.
|| 3 ottobre 2010 || pagina 04 || www.ucuntu.org ||
Avamposto
ROBERTO ROSSI E ROBERTA MANI
Giovani calabresi in piazza contro la 'ndrangheta a Rreggio Calabria.
Vogliono che quella frase si legga, vogliono che sia chiaro che sanno, che li vedono, che non hanno paura. “Sì ma dobbiamo fare i nomi – mi dice una ragazza che mi cammina di fianco . Avrà 18 anni, la gerbera gialla nei capelli. “Non basta sfilare. I nomi ci vogliono. E li sappiamo tutti”. In piazza Duomo è stato allestito il palco. E per la prima volta i politici non sono i protagonisti. Anche questo è un piccolo segnale. Parla chi ogni giorno sopporta la cappa, ogni giorno la combatte, ogni giorno fa i conti con i suoi morti ammazzati. Un imprenditore sotto scorta - ha denunciato-, , un prete in prima linea, e poi una madre. Le hanno ucciso il figlio di 11 anni mentre giocava a calcetto a Crotone. Un proiettile l’ha centrato in pieno. Un regolamento di conti interno al clan. E chi se ne importa se sulla traiettoria c’erano donne e bambini. Loro sono i padroni. Dal microfono la voce del procuratore generale Salvatore Di Landro parla di lotta compatta, di interventi strutturali da compiere, di tre obiettivi da perseguire per liberarsi dal cancro ‘ndrangheta. Educazione, prevenzione e repressione. Si rivolge alla gente, alle istituzioni e alle
donne di mafia. «Convincete i vostri uomini e i vostri figli ad abbandonare la via del crimine, una strada che non paga.” “Scusa Alfredo, mi fai avere qualche foto?” “Sì, ma non so come sono venute, ero troppo impegnato a gridare e a manifestare”. “Silvia, basta una manifestazione?” . “No, è solo un piccolo passo. Si deve imparare a combattere nelle piccole cose, nei gesti di ogni giorno. Prima o poi ce la si deve fare”. Pietro: “E’ la collusione da eliminare. Il grido di questo corteo deve arrivare fino ai piani alti della politica” Ragazzi di Calabria. L’entusiasmo delle grandi battaglie. Loro ci sono. Senza se e senza ma. A gridare la ‘ndrangheta è merda. A far rivivere le parole di Peppino Impastato. A suonare, a fischiare, a cantare. Ci sono. Ognuno col suo gruppo, ognuno con il suo striscione. Associazioni, collettivi studenteschi. Divisi e uniti. La lotta alla mafia deve ripartire da loro, da quelle facce pulite. Deve ripartire da loro. Dalla loro indignazione, dal loro voto, dal loro no. La scintilla c’è, si è vista a Reggio Calabria. SI deve superare la diffidenza, si deve viaggiare insieme, ognuno col suo contributo, ognuno col suo bagaglio. Si deve fare fronte comune, nelle forze
politiche, culturali, nel mondo delle associazioni. Mettere da parte parolai e denigratori. Continuare a denunciare minacce e atteggiamenti mafiosi. Rompere il silenzio. Perché l’emarginato diventi il mafioso nel corteo e non viceversa. “Il Quotidiano della Calabria ha solo raccolto un bisogno, il bisogno della gente perbene di dire basta”. Matteo Cosenza, il direttore che ha promosso con un’editoriale la manifestazione di sabato, non si sente un capopopolo. Ha scritto di quel vuoto, di quella voglia di riscatto che si respira. Ha fatto il suo mestiere, ne ha parlato. Ha innescato la scintilla. E la risposta c’è stata. Forte. Non lasciamo che quella scintilla si spenga. Perché “No ‘ndrangheta” non rimanga uno slogan, ma diventi uno stile di vita. Un appuntamento fisso, da costruire insieme Perché la prossima volta il politico colluso, l’amministratore compiacente, il galoppino delle cosche non abbiano neppure il coraggio di sfidare lo sguardo delle gerbere gialle. Perché si arrivi a una prossima volta in cui lo striscione sarà “Oggi la mafia non sfila insieme a noi”. Roberta Mani
|| 3 ottobre 2010 || pagina 05 || www.ucuntu.org ||
Italia
La gara del Ponte madre di tutte le turbative “L’apologia dell’illegalità”. Potrebbe essere intitolato così uno dei passaggi chiave dell’intervento del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, il 30 settembre 2010, a Palazzo Madama. Una fiducia conquistata dopo una lunga auto-celebrazione: lui, l’uomo della provvidenza, artefice unico dello sblocco dei lavori del Ponte sullo Stretto, padre-madre di tutte le Grandi Opere «Entro dicembre sarà pronto il progetto esecutivo, già molto avanzato, del Ponte di Messina», ha dichiarato Berlusconi. «Era stato dato anche l’appalto ad una cooperativa di imprese italiane dopo che eravamo riusciti, prodigando molti sforzi, ad evitare la partecipazione all’appalto di grandi imprese straniere, perché volevamo che quest’opera fosse un orgoglio tutto italiano. Con l’intervento del Governo della sinistra il piano è stato accantonato. Avevo personalmente, con il sottosegretario Letta, partecipato a 32 riunioni per il varo di questo piano, sino a giungere all’appalto, che è stato dato. In cinque minuti il Governo della sinistra ha accantonato il progetto. Cinque anni per costruire e cinque minuti per distruggere». Un’esternazione shock che ha spinto due senatori del Partito Radicale, Donatella Poretti e Marco Perduca, a presentare un’interpellanza urgente alla Presidenza del Consiglio dei ministri. «Il presidente Berlusconi si è autodenunciato per avere diretto la gara d’appalto per il Ponte di Messina», scrivono i parlamentari. «Non solo ha candidamente ammesso di avere fatto di tutto per evitare che alcune imprese partecipassero solo perchè straniere, ma anche che vincesse una italiana. Berlusconi dovrà spiegare in aula in cosa sono consistiti i suoi “molti sforzi” e se le 32 riunioni citate erano state fatte per la realizzazione del piano per arrivare
ad un appalto realizzato su misura per la cooperativa di imprese». In verità, non scorre nulla di nuovo sotto il Ponte. Berlusconi, infatti, ha ripetuto in Parlamento quanto aveva impunemente dichiarato nel corso di un comizio tenuto nel novembre 2008 durante la campagna elettorale per l’elezione del Governatore della regione Abruzzo. «Sapete com’è andata col Ponte sullo Stretto?», aveva esordito il premier a L’Aquila. «Avevamo impiegato cinque anni a metter d’accordo le imprese italiane perché non si presentassero separate alla gara d’appalto ma in consorzio... Eravamo andati dai nostri colleghi chiedendo che le imprese non si presentassero in modo molto aggressivo, proprio perché volevamo una realizzazione di mano italiana, e poi avremmo saputo ricompensarli con altre opere pubbliche». L’ammissione di aver blindato (o turbato?) la gara del Ponte giungeva dopo che parlamentari, ambientalisti e ricercatori avevano denunciato anomalie ed evidenti conflitti d’interesse nell’espletamento dei bandi. Tra le carte dell’inchiesta della procura di Monza su presunti reati societari in ambito Impregilo (la società di costruzione che guida l’associazione general contractor del Ponte), conclusasi con il rinvio a giudizio dei vecchi amministratori Paolo Savona e Pier Giorgio Romiti, uscì fuori un’intercettazione telefonica dove l’economista Carlo Pelanda, rivolgendosi al
Savona, si dichiarava sicuro che «la gara per il Ponte sullo Stretto la vincerà Impregilo». Nel corso della stessa telefonata, avvenuta alla vigilia dell’apertura delle offerte, Pelanda sosteneva di avere avuto assicurazioni del probabile esito della gara «dal senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri». Incuriositi dalla singolare vocazione profetica dell’interlocutore, i magistrati lombardi interrogarono l’ex presidente d’Impregilo. «Era una legittima previsione», rispose Paolo Savona. «Il professor Pelanda mi stava spiegando che noi eravamo obiettivamente il concorrente più forte». Carlo Pelanda, editorialista del Foglio e del Giornale, ricopriva al tempo l’incarico di consulente del ministro della difesa Antonio Martino, origini messinesi e uomo di vertice di Forza Italia. Pelanda era pure un intimo amico di Marcello Dell’Utri, al punto di aver ricoperto l’incarico di presidente dell’associazione “Il Buongoverno”, fondata proprio dal senatore su cui pesa una condanna in appello a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Ad interessarsi al possibile esito della gara del Ponte c’era pure Francesco Cossiga (recentemente scomparso), di cui proprio il Pelanda era stato consigliere durante il settennato trascorso da Presidente della Repubblica.
|| 3 ottobre 2010 || pagina 06 || www.ucuntu.org ||
Italia
Nel corso di una puntata di Porta a Porta dedicata alle intercettazioni telefoniche, in onda il 5 ottobre 2005, fu lo stesso Cossiga a dire: «Sono stato intercettato mentre parlavo con un mio amico, un imprenditore che brigava pesantemente per ottenere gli appalti del ponte». Poi l’ex Presidente si rivolse all’avvocata Giulia Buongiorno (oggi parlamentare di Futuro e Libertà), presente in studio: «Avvocato che faccio? Lo sputtano questo Pm o mi consiglia di lasciar perdere?». «Presidente, io difendo quell’imprenditore e il Pm mi ha garantito che il suo nome non comparirà. Stia tranquillo», rispose con imbarazzo la Buongiorno. Nell’inchiesta di Monza non c’è traccia del nome dell’amico di Cossiga che «brigava» per gli appalti nello Stretto. «Quella che è stata una delle gare d’appalto più rilevanti della storia d’Italia, presenta pesanti ombre ed anomalie», scrivono i ricercatori di Terrelibere.org, che agli interessi criminali del Mostro sullo Stretto hanno dedicato inchieste e un librodossier. «Si sono registrati, ad esempio, un impressionante ribasso d’asta di 500 milioni di euro, una controversa penale che impegnerebbe le istituzioni alla prosecuzione dei lavori, ed infine la misteriosa defezione delle grandi imprese estere. A questo si aggiungono i conflitti di interesse tra finanziatori e finanziati, controllori e controllati e soprattutto gli incroci, le ricorrenze di nomi e società, le partecipazioni multiple che fanno pensare
ad una maxi lobby che da anni sponsorizza e promuove le grandi opere». Terrelibere.org ha denunciato, in particolare, come nella speciale commissione giudicatrice istituita dalla Società Stretto di Messina che ha assegnato l’appalto alla cordata Impregilo, ha partecipato l’ingegnere danese Niels J. Gimsing. «Oltre ad essere stato membro (dal 1986-1993) della commissione internazionale di valutazione del progetto di massima del Ponte, risulta aver lavorato nella realizzazione dello Storbelt East Brigde, progettato dalla società di consulenza Cowi di Copenaghen a cui il raggruppamento temporaneo d’imprese guidato da Impregilo ha affidato “in esclusiva” l’elaborazione progettuale del Ponte sullo Stretto». «Tra i più stridenti conflitti d’interesse nella gara per il general contractor del Ponte – aggiungono i ricercatori di Terrelibere - c’è quello legato alla partecipazione delle Coop “rosse”, su schieramenti contrapposti, con i due gioielli più rappresentativi del settore costruzioni, il CCC Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna (in associazione con Astaldi) e la CMC Cooperativa Muratori & Cementisti di Ravenna (in associazione con Impregilo). Con l’“anomalia”, sempre tutta italiana, che proprio la CMC di Ravenna risulta essere una delle 240 associate, la più importante, della cooperativa “madre”, CCC di Bologna. Ciò avrebbe comportato la violazione delle normative europee e
italiane in materia di appalti pubblici, le quali escludono espressamente la partecipazione ad una gara di imprese che “si trovino fra di loro in una delle situazioni di controllo”, ovverosia di società tra esse “collegate o controllate”». L’ipotesi di violazione di queste norme da parte delle coop durante la gara per il Ponte è stata pure sollevata dal WWF Italia e dalla parlamentare Anna Donati. Il WWF è anche ricorso davanti all’Autorità per i Lavori Pubblici e alla Commissione Europea per chiedere, inutilmente, l’annullamento della gara. Nonostante i pesanti rilievi, la Società Stretto di Messina scelse di non intervenire, ma alla vigilia dell’apertura delle buste, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna scomparì provvidenzialmente dalla lista delle società della cordata Astaldi. La coop “madre” lasciò il campo libero alla coop “figlia” che si aggiudicò con Impregilo il bando di gara. Forse era a queste “cooperative d’imprese” che si è riferito erroneamente il Presidente del Consiglio nel suo ultimo intervento in Senato. In realtà la vincitrice della più che sospetta gara del Ponte è “Eurolink”, l’associazione temporanea costituita da Impregilo con una quota del 45%, Sacyr (18,7%), Società italiana per condotte d’acqua (15%), CMC di Ravenna (13%), Ishikawajima- Harima Heavy industries (6,3%) e Consorzio stabile Aci (2%). Antonio Mazzeo
|| 3 ottobre 2010 || pagina 07 || www.ucuntu.org ||
Cronache
Boscoreale/ Un'altra notte di guerriglia Boscoreale, ancora non è giunta la mezzanotte di martedì 28 settembre. La rotonda di via Panoramica come sempre è occupata: oltre mille persone di sicuro, solo alcune a volto semi-coperto. Gira voce che ci siano tante telecamere in giro. Di autocompattatori diretti verso la discarica di Terzigno ancora neanche l’ombra: dopo l’ordinanza del prefetto che li autorizza a sversare per tutto il giorno, le società di smaltimento rifiuti hanno capito di dover attendere che passi la notte e scaricare durante il giorno, quando la gente è a lavoro. Non è ancora mezzanotte, dunque, ma c’è tensione: troppa. Da alcuni gruppi di ragazzi partono le prime pietre verso il cordone di carabinieri, alcuni petardi. La sassaiola a tratti sembra inasprirsi, poi si ferma. L’unica luce che illumina la zona si accende e si spegne, sembra quasi telecomandata ad arte per spegnersi quando iniziano a partire dalle forze dell’ordine degli strani lacrimogeni che, arrivati in cielo, si aprono in quattro parti per poi cadere fra la folla. Urla, spinte, sassi, lacrimogeni e bombe
carta. È una surreale scena di guerriglia in cui, in fondo, i carabinieri non hanno ancora deciso di reagire davvero. Quando è l’ora, infatti, basta un attimo e assieme alle cariche inizia a correre lungo la rotonda un blindato dei carabinieri che disperde la folla. La gente corre ovunque per perdersi nelle terre ai lati di via Panoramica, mamme e figli terrorizzate urlano e inveiscono sia contro le forze dell’ordine sia contro i manifestanti più accesi, autori della sassaiola e dello scoppio dei petardi. Alla fine delle cariche c’è un uomo a terra con degli strani bossoli accanto a sé. La gente intorno sostiene che siano stati sparati dai carabinieri colpendogli la gamba, ma che tipo di proiettili siano non si riesce ancora a capirlo. È stata una battaglia, a Terzigno, l’ultima notte e a farne le spese ovviamente sono le persone comuni, quelle che vanno a manifestare senza immaginare di tornarne feriti. Per oggi, mercoledì 29, è prevista la marcia silenziosa del vescovo di Nola verso la cava, mentre il 30 settembre sarà la volta del lutto cittadino per i comuni del vesuviano. L’appuntamento con tutte le forze regionali di protesta è previsto, infine, per il primo ottobre alle sette di sera a Terzigno, anche se il clima è ormai diventato davvero troppo, troppo teso. Alessio Arpaia Napoli Monitor
Messina/ L'illegalità del traghetto privato A Messina c'è un approdo, quello della Rada S.Francesco, che è fuorilegge perchè mancante di regolare concessione. La tratta è stata creata illegalmente nel 1967 grazie all' abusivo abbassamento del sottopasso ferroviario di Villa S.Giovanni. Nasceva così il monopolio privato che decretava il fallimento ( voluto ) dei mezzi RFI. Tutto ciò non sarebbe potuto avvenire se i responsabili della Navigazione delle Ferrovie non si fossero lasciati convincere al silenzio,alle omissioni di denunzia. Tutto ciò non sarebbe potuto avvenire se le Procure di Reggio e Messina non fossero state distratte.Diciamo così. Questa è la grande illegalità che governa ancora oggi, dopo oltre 40 anni, i trasporti nello Stretto di Messina. E allora non c'era al governo Berlusconi. Immaginare soltanto quelli che possono essere i profitti di una tale attività, sostanzialmente fuorilegge,è impossibile quantificare. Alla fonte di tanta ricchezza si sono nutriti schiere di politicanti. Non solo quelli che detengono quote societarie (Genovese & C) ma anche tutti quelli, di quasi tutti gli schieramenti politici, che in Calabria e in
|| 3 ottobre 2010 || pagina 08 || www.ucuntu.org ||
Cronache
Sicilia hanno tratto benefici dalle società di traghettamento, pagandosi campagne elettorali (soltanto l'ex sindaco di Messina Leonardi lo ammise)e facendosi assumere mozzi e comandanti. Oggi succede ancora che la Polizia municipale e non svolga, in queste ore di esodo e controesodo, un servizio di assistenza e indirizzo degli automobilisti in vacanza verso gli approdi privati.Uomini in divisa che spalettano indicando le corsie da seguire. Amministratori della viabilità che penalizzano i cittadini residenti pur di "fluidificare" il traffico dei traghettati. Strade urbane bloccate dalle code. Il solito maledetto inferno di sempre. Nel silenzio di quasi tutti (solo il Comitato La Nostra Città continua a mobilitarsi e a produrre esposti regolarmente insabbiati dalla magistratura) il nuovissimo approdo di Tremestieri resta chiuso. Ufficialmente per "manutenzione". Nella realtà perchè quell'approdo, a sud di Messina, allunga la percorrenza a mare e non conviene ai tirchi azionisti di Tourist & Caronte. Da anni il direttore dell'Autorità Portuale Lo Bosco (già promosso a dirigere le Ferrovie) è riuscito a far fallire dei bandi regolari di gara che garantissero la concorrenza per la concessione della Rada S.Francesco. Favorendo Tourist & Caronte che continuano così a gestire fuori dalla legge quell'approdo nel cuore della città. Questa è la prassi accettata da tutti. I politici di ogni colore, i prefetti, i procuratori della Repubblica, e via via attraversando le istituzioni. Saro Visicaro
Ragusa/ Scene di caccia ai gay Un ragazzo omosessuale è stato vittima di un gesto che ha dell’incredibile. Mentre Vincenzo - questo il nome della vittima - si trovava nella sua macchina ad ascoltare musica, in un luogo solitamente frequentato da omosessuali, cinque ventenni si sono affiancati alla sua automobile ed gli hanno gettato un secchio pieno di urine. Vincenzo, 25 anni, è rimasto lucido, ha messo in moto la vettura e ha seguito i balordi fino ad identificare l’automobile dei cinque. Dopo di che si è recato in questura dove ha sporto denuncia verso ignoti. La polizia locale, grazie al numero di targa, è riuscita prontamente ad identificare il quintetto che è stato portato in questura. Alle domande delle forze dell’ordine sull’insano gesto i balordi hanno riposto giustificandosi: “È stata solo una bravata. Siamo dispiaciuti”. Scuse di circostanza che non alleggeriscono le loro posizioni, come non placano la rabbia suscitata. Tra i cori di indignazione spicca quello
dell’Arcigay che esprime preoccupazione verso l’accaduto e sincera solidarietà verso la vittima. Per il presidente dell’Arcigay Ragusa, Salvatore Milana, bisogna concentrarsi sul problema del sommerso, ovvero la quantità di casi che non vengono denunciati per paura. Vincenzo, studenteall'università di Catania, racconta come già sei anni fa era stato vittima di un altro episodio di intolleranza. Infatti, mentre andava con un amico in motorino una macchina gli si affiancò ingiuriandoli. “Noi rispondemmo alla provocazione – racconta Vincenzo - loro scesero dalla macchina e ci pestarono. Io fui ricoverato in ospedale con le costole rotte ed ebbi un mese di prognosi. Feci denuncia ma non si riuscì a scoprire chi fossero”. Vincenzo dice che a Ragusa si trova bene, sono casi isolati questi, ma il capoluogo ibleo sembra una piccola città che sta stretta ad un futuro normale. Intanto il presidente nazionale dell’Arcigay, Paolo Patanè, ricorda che è in atto in Commissione giustizia l’iter legislativo per una legge volta a prevenire fenomeni di omofobia e transfobia. Fenomeni che negli ultimi anni sono diventati più numerosi. Giorgio Ruta Il Clandestino
|| 3 ottobre 2010 || pagina 09 || www.ucuntu.org ||
Catania
Villa Bellini: il marcio dietro le aiuole “Ha riaperto la Villa...”. Dopo anni di chiusura e un numero imprecisato di milioni, i catanesi sono finalmente riammessi al loro giardino pubblico, da sempre l'orgoglio di Catania. Ma com'è andato il restauro, e quanto (e di chi) è stato speso? Mistero. Nemmeno la Cia o il Kag hanno mai difeso con tanta determinazione un segreto. Perché? Che cosa c'è da nasconde re? Per caso, qualche uso creativo dei fondi europei?
“A villa rapiu”. Con queste parole molti cittadini increduli hanno salutato l’apertura del giardino Bellini a Catania, quello chiuso per un paio di anni alla cittadinanza e per i quali sono stati spesi vagoni di milioni di euro, tre dei quali raccattati in zona cesarini per non fare sfigurare del tutto la città di fronte all’Unione Europea. Ma cosa è accaduto in questi tribolati anni di chiusura del giardino in cui tutte le operazioni sono state svolte nei segreti di Palazzo e non nella trasparenza con i cittadini? Di tutto e di più. Andiamo a vedere la cronistoria dei fatti. Tutto inizia quel brutto giorno del 16 maggio 2007, allorquando la Commissione Europea chiede al Comune di Catania maggiori dettagli sulla modifica dei costi inerenti il progetto di ricostruzione della villa. Il Comune risponde che le variazioni dei costi del progetto sono avvenute in base al nuovo listino dei prezzi regionali recentemente modificato. Ma l'Unione Europea non si fida dei catanesi e nel 2009 effettua una revisione dei progetti facenti parte del programma Por per la Sicilia 2000-2006 in cui rientra il progetto dei lavori della villa. E qui iniziano le comiche, perché la Commissione pretende massimo rigore e trasparenza nelle
gare d’appalto e richiede maggiori informazioni dal Comune sulla pubblicazione della gara presso la gazzetta ufficiale dell’Unione Europea, sulla parità di trattamento per i candidati e relativa pubblicazione dei risultati sulla gazzetta. Il tempo trascorre e mentre i lavori proseguono a rilento nel 2009 viene riaperta parte della villa acclamata come se fosse un evento straordinario dopo due anni di interminabili lavori. Ma non è finita. Sorgono dei comitati spontanei di cittadini i quali richiedono trasparenza e legalità nell’esecuzione dei lavori oltre a conoscere quanti milioni di euro di fondi Por siano stati sperperati per la realizzazione del restauro. Sempre nel 2009, in sede di Consiglio comunale, si crea una commissione di inchiesta voluta da quindici consiglieri per capire che fine hanno fatto i soldi e perché i tempi di realizzazione dell’opera a due anni di distanza non sono ancora terminati. La commissione si rivela un bluff nonostante sia voluta da quindici “coraggiosi” consiglieri comunali i quali hanno cercato di fare un po di luce sulla vicenda. Ricordiamo qui di seguito i loro nomi per correttezza istituzionale. Manlio Messina (Pdl), Puccio La Rosa (Pdl Sicilia), Car-
mencita Santagati (Pdl), Andrea Barresi (Udc), Vincenzo Li Volsi (Pdl), Vincenzo Castelli (Pdl Sicilia), Carmelo Giustolisi (Pdl), Gemma Lo Presti (La Destra), Francesco Montemagno (Misto), Rosario D’Agata (Pd). La commissione, abortita sul nascere, sarà ripudiata fin dal primo momento dal Pdl (ancora non si era scisso). Sulla vicenda, frattanto, interviene anche la Procura della Repubblica di Catania (quella che ultimamente si è interessata anche a “Sud”) la quale richiede gli atti ufficiali al sindaco Stancanelli. E qui avviene l’impensabile, per la serie “il bagaglino a Palazzo degli Elefanti”. Raffaele Stancanelli trasmette la documentazione necessaria in Procura, e per farlo chiede il tutto all’avvocatura comunale la quale risponde che gli atti sono in procura già da un anno, dopo l’intervento della guardia di Finanza che ha sequestrato tutto il materiale riguardante la villa. Sembra un barzelletta eppure non lo è. In città, giornalisti, addetti ai lavori e soprattutto i cittadini si pongono alcune domande: perché il sindaco non ne sapeva nulla? Chi era a conoscenza di questo trasferimento di atti? Chi sapeva perché non ha riferito in Consiglio comunale?
|| 3 ottobre 2010 || pagina 10 || www.ucuntu.org ||
Catania
La farsa non è ancora finita. Proseguono le lamentele per la mancata commissione di inchiesta e se di ciò se ne fa portavoce la consigliera dell’Udc Valeria Sudano, la quale ammette nauseata: “Siamo responsabili del nostro operato innanzi ai cittadini che ci hanno accordato il loro voto”. Da apprezzare la sana autocritica. L’ultimo atto di questa scena patetica è la pubblicazione sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea degli avvenuti lavori di restauro della villa. Il Comune omette di pubblicare il bando dei lavori sulla gazzetta ufficiale italiana (figuriamoci su quella europea) in cui dovevano comparire le ditte che avevano partecipato alla gara d’appalto. Non avviene ciò. La Commissione Europea se ne accorge e richiede gli atti ufficiali. Trascorrono i mesi e mentre il Comune si giustifica dicendo di avere le carte in regola, l’Unione Europea non riceve un fico secco da Catania. Spazientita, la Commissione intima Catania a inviare gli atti. Volete sapere la scusa inventata dal Comune di Catania? La stampante risultava rotta e il materiale non poteva essere stampato e inviato. Già, la stampante. Quello strumento che possiede ciascuno di noi dentro ogni casa
era divenuto il limite invalicabile tra Catania e la Commissione Europea. La “barzelletta”, come già predetto, si chiude con l’apertura del giardino al pubblico il 23 settembre. Qualcuno chiede dove siano stati reperiti i soldi per il completamento (fuori tempo massimo) dei lavori. Gli assessori rispondono in coro che sono stati reperiti dai mutui residui dell’amministrazione. Bella consolazione. Tre anni di lavori, milioni di euro buttati al vento, e una figuraccia incredibile con l’Unione Europea. Cosa si vuole di più dalla vita? Mirko Tomasino
SCHEDA QUANDO I CITTADINI SI MOBILITANO: IL COMITATO SOS VILLA
La società civile, in occasione dei lavori del giardino Bellini, ha messo a segno un bel colpo con l’attività, intensa e senza esclusione di colpi, messa in atto dal Comitato Sos Villa Bellini. Vi riportiamo qui di seguito, solo per motivi di spazio, cinque delle undici domande poste dal Comitato al nostro sindaco il
quale non ha mai risposto. 1) Il bando di gara “nazionale” di aggiudicazione dei lavori di recupero e valorizzazione della Villa Bellini, aggiudicato dopo ricorso per un importo complessivo definitivo di 12 milioni di euro (24 miliardi di lire), ovvero con un ribasso del 26,037 % sulla base d’asta di 14 milioni e mezzo, è valido? 2) La Commissione Europea sui POR si è espressa già in tal senso visto, sembrerebbe, il mancato rispetto delle direttive della stessa in quanto il bando doveva essere pubblicato a livello di Unione europea? 3) Perché i lavori alla fine dell’ottobre del 2008, così come imposto dalla Commissione Europea, pena la perdita dei finanziamenti, non sono stati completati e quanti i milioni utilizzati fino ad allora? 4) La Commissione Europea si è espressa anche sul mancato rispetto della fine dei lavori e della loro rendicontazione che doveva avvenire entro il 2008, nel rispetto del POR 2000-2006? 5) La proroga della fine dei lavori a giugno 2009, che sembrerebbe essere stata concessa dalla Regione, con quali finalità è stata data e ha avuto l’assenso formale da parte della Commissione Europea oltre che della Sovrintendenza ai Beni Culturali di Catania?
|| 3 ottobre 2010 || pagina 11 || www.ucuntu.org ||
Le armi a scuola
Libro e moschetto
Libro e moschetto: non sono lombrosiana ma credo di capire con quale nostalgia il ministro La Russa mescola scuole e caserme (Gelmini adorante) 200 mila insegnanti «inutili» e sullo scivolo, mentre il governo trova 20 milioni per militarizzare i banchi. Il servizio civile sta sparendo e la solidarietà del volontariato sopravvive come può Una delle caratteristiche più gravi della leva era quella dell’educazione alla disciplina: potevi non essere idiota, ma lo diventavi se un qualunque superiore-per -definizione ti imponeva di buttare a terra e raccogliere di nuovo le foglie cadute nel cortile della caserma che avevi appena ramazzato e chiuse negli appositi sacchi. Era anche in uso nei licei l’apparizione prima della maturità di inviati delle FFAA per propagandare la vita militare, ma il costume decadde per la totale improduttività dell’impresa. Ignazio La Russa – che, dio mi perdoni, ma mi fa diventare lombrosiana, perché quando lo vedo non posso evitare di pensare che il connotato fascista sia genetico – si è inventato la mininaja, un piano di inserimento nelle strutture militari di quattromila
ragazzi per brevi stages “formativi” nelle caserme. Per mantenere il progetto – bocciato in Parlamento come parte del decreto sulle “missioni” all’estero – il ministro ha reperito venti milioni di finanziamento inserendolo nella manovra finanziaria. Io sono antimilitarista, ma comprendo le lagnanze dei militari che sentono quei venti milioni sottratti alle loro esigenze. Inoltre, come ulteriore intervento democratico, ha tagliato il bilancio, già magro, della protezione civile. Non tutti sanno che cinque anni fa, quando finì il servizio militare obbligatorio, i giovani che prestavano servizio civile erano 56.000, mentre oggi non arrivano alle dieci migliaia. L’indifferenza di fronte a questi dati è dovuta anche alla scarsa conoscenza diffusa circa ciò che rappresenta il volontariato che, come dice la parola, è proprio di chi sa che il bisogno sociale è illimitato e che le strutture sociali non lo esauriscono, mentre il Terzo settore e il No-profit (dietro cui spesso c’è il “profit”), sono sussidiarietà, cioè precariato sostitutivo di quei servizi che lo stato non è (più) in grado di dare.
Sono distinzioni note almeno da quando mons. Giovanni Nervo dirigeva la Caritas italiana e prevedeva le conseguenze di questi equivoci. Infatti per il volontariato non ci sono più soldi, perché, non sostituendo l’intervento sociale ed educando alla responsabilità individuale di tutti nella gratuità, è scomodo. Oggi diventa educativo non l’accompagnare i nonvedenti, far conoscere la conoscenza storica della nonviolenza, dare compagnia agli anziani soli o vitalizzare i loro centri sociali, ma “prepararsi, come dicono i documenti, alla vita” attraverso la competizione e i conflitti. Ci si è messa anche la Lombardia che, dopo aver visto lo scempio della scuola di Adro, fondata sugli emblemi di un partito politico, si trova i militari o gli ex-militari a far concorrenza ai maestri. Ragazzi, la naja non c’è più (e non c’è più nemmeno l’obiezione di coscienza, anche se il problema di cui stiamo parlando dovrebbe agitare almeno gli ex-obiettori) e la legge è legge: i soldati sono impiegati statali. Se quella militare è una professione come un’altra, vorremmo nelle scuole anche i medici, gli ingegneri o i muratori. Se, invece, non è un mestiere come un altro, lasciamo gli insegnanti a insegnare che, allo stato attuale dell’evoluzione, la guerra, anche difensiva e anche preventiva (per l’amor di dio non “umanitaria”) può essere una dura necessità o un aiuto alla ricostruzione dopo disastri, ma non è assolutamente un valore più patriottico del civile. La patria la si serve con il rispetto delle regole di giustizia, dell’uguaglianza e della democrazia nonviolenta; che è quello che vorremo fosse il comune senso dello stato di noi italiani. Giancarla Codrignani
|| 3 ottobre 2010 || pagina 12 || www.ucuntu.org ||
Le armi a scuola
Riscoprire la nonviolenza Temo che l'insegnamento e la testimonianza di Gandhi si riducano sempre di più a uno spot telematico in cui si vede uno strano personaggio seminudo e a un'icona per arredare un ambiente sempre più squallido e violento. Oggi chi lo studia seriamente? Anche il tentativo di Rifondazione di qualche anno fa è stato un buco nell'acqua, ben presto richiuso. Penso che la nonviolenza dev'essere riscoperta e rifondata alla luce della contemporaneità, in cui le pulsioni violente e razziste si nutrono delle contraddizioni e delle profonde discriminazioni indotte dai processi di globalizzazione. Finora la nonviolenza è stata il vangelo di lotte di liberazione nazionale ed etniche o il percorso di singoli come Capitini e Dolci, la cui attività ha lasciato qualche segno ma in gran parte è morta con loro. A Palermo qualche anno fa abbiamo tentato di fare una riflessione legandola a un'analisi e a un progetto di lotta antimafia ma purtroppo anche il nostro tentativo è presto abortito. In ogni caso avremmo bisogno di un nonviolenza laica, sganciata da fedi religiose, e di un progetto praticabile nel contesto concreto in cui viviamo, mettendo in discussione anche i "testi sacri" e i personaggi a cui si fa riferimento, se non vogliamo ridurli a santi di una religione fallita. Umberto Santino
Quei sei amici Il dottore Nastasi, veterinario, s'era fatto tutta la ritirata di Russia a piedi, con gli alpini. Mio padre aveva la rotula sinistra di metallo, completamente ricostruita, e varie schegge non estraibili in corpo. L'altro Nastasi, quello che insegnava ginnastica, s'era fatto Grecia, Libia e Albania. Idem Alfano e Ruvolo, tutti in fanteria. Ghetti, un anno e mezzo nei sommergibili: ne tornarono una decina, dei sottomarini atlantici, e "alla parata di Napoli eravamo ottantuno". Di questi sei amici non ce n'era uno che non bestemmiasse quando sentiva "gerarchi" e "mussolini". Nessuno di loro era pacifista, nel senso che s'intende adesso. Ma odiavano la guerra e chiunque ne parlasse bene. "La guerra, la guerra...". "Eh. Non potete capire, voi giovani, quant'è bella la pace". Uno sospirava, l'altro tirava un colpo di toscano. Non si sono mai fatti guardare, da me bambino, come eroi. Stavano anzi molto attenti a non farlo. Di tutta la guerra, l'unica racconto che ho di mio padre è delle sigarette che s'erano scambiati, sotto la tenda dell'ospedale da campo, con il maggiore inglese che forse l'aveva ferito. E un'altra volta in cui, con tutti noi bambini a naso in su davanti ai premi del tiro a segno, dopo lunga esitazione e vergognandosi prese la carabina ad ariacompressa e a uno a uno li buttò giu tutti. "Ero tiratore scelto" mormorò come scusandosi, distribuendo le bambole e gli orsacchiotti di pezza. Non so quante ferite e medaglie avessero quei sei amici, tutti insieme. Ma mi hanno insegnato la pace, poiché erano dei soldati. Oggigiorno un politico - culomolle, gerarca, mai stato al fuoco, mai rischiata la pelle per il suo paese - vorrebbe insegnare la guerra (peggio: giocare alla guerra) ai ragazzini. Ma mio padre e i suoi amici, nelle loro varie e diverse idee politiche, concordemente avrebbero avuto orrore di lui. Riccardo Orioles
|| 3 ottobre 2010 || pagina 13 || www.ucuntu.org ||
Modernità
Il giorno che Barbie non potè morire “Adesso il dio Hollywood, onnipresente, esige lo stesso che esigeva imperativamente il dio biblico: crescete, moltiplicatevi. Che la violenza cresca, che si diffonda, che arrivi per qualsiasi mezzo. E la violenza gira, si fa immortale sui piccolissimi schermi dei cellulari...”. Una bambola (di plastica) metafora di un'umanità sembre più alienata
Molti anni fa, cosí tanti che guardare indietro mi provoca vertigine, la mia nonna materna mi regalò una Cindy, una predecessora della Barbie che tutti noi conosciamo: un gesto familiare che cercava di indottrinarci, noi le bambine di allora, in un'estetica che non capivamo, forse perché Hollywood ronzava intorno alle nostre vite ma non osava ancora assalirle. Cindy esibiva lunghe gambe ed un corpicino stretto, sebbene molto meno androgino dell'insulsa Barbie. Vestiva abiti da nonna che oggi qualsiasi bambina respinge per principio –una maglietta nera di lana e pantaloni molto scipiti. Credo che oggi i bambini debbano avere subito un mutamento genetico che fa loro rigettare qualsiasi veste che non venga firmata da un disegnatore di fama. Le bambole non mi piacevano, perciò non mi ero presa l’incomodo di dissimulare la mia smorfia di dispiacere e Cindy morì e fu sepolta - nella maniera migliore in cui si può sotterrare una bambola: accomodandola in un discreto angolo di un mobile, parte
del paesaggio e del colore locale- lo stesso giorno che me la regalarono. Ormai le bambine crescono con la Barbie, ma non la sotterrano mai: prima le converte in super-star disposte ad essere il centro di attenzione di tutti e di tutto, poi le trasforma in adolescenti schiave del fisico e delle tirannie delle mode, dell'apparenza e delle passerelle. E noi, gli adulti, non induciamo a crescere quella popolazione di giovani disorientate; quel che facciamo è diventare come loro: adesso Hollywood abita tra noi, e ci ha convinti che il mondo è Disneyland e le droghe sintetiche il suo profeta. In poche parole, hanno finalmente trionfato tutti quelli elementi che, strategicamente, ci distraggono della realità. E di tutto ciò che viene accopiatto alla realità: la responsabilità, lo sforzo o il compromesso. Siamo una società improduttiva, di ozio, in cui la solidarietà è un gioco di ricchi desiderosi di sperimentare i limiti o di salvare la propria anima, secondo il livello delle difese religiose, e di dimostrata docilità
verso lo spettacolo in qualsiasi formato che ci allontani da noi stessi: molti viaggi esotici, indebitamento per credere che siamo padroni della casa che la banca ci presta in cambio del nostro sangue, e l'orgoglioso numero uno mondiale in consumo di cocaina [la Spagna], che non è che ti distragga della realità, ma ti fa volare sopra di lei fino ad annientarla. Ma torniamo ai bambini. Mai prima d’ora sono stati tanto fragili. Vittime molte volte di violenze quando sono assolutamente indifesi, appena hanno un'età minima di autonomia si trasformano in torturatori dei loro genitori. Hanno rivoluzionato l'idea di violenza: un tempo la violenza era un atto di terrore che si esercitava nell'intimità. Adesso il dio Hollywood, onnipresente, esige lo stesso che esigeva imperativamente il dio biblico: “crescete, moltiplicatevi”. Cioè, che la violenza cresca, che si diffonda, che arrivi per qualsiasi mezzo. E la violenza gira, si fa immortale sui piccolissimi schermi dei cellulari, che poi arrivano all'umanità intera grazie a You Tube.
|| 3 ottobre 2010 || pagina 14 || www.ucuntu.org ||
Modernità
I bambini e gli adolescenti sono stati gli inventori del terzo occhio della violenza: se non ci sono spettatori, la violenza gratuita, ludica, non serve. Poi c’e un altro aspetto. Il potere ama i bambini e chiede loro di avvicinarsi a lui, come Gesù Cristo. Fate attenzione alla devozione mostrata dai militari argentini, che hanno portato via velocissimamente i figli delle torturate quelli che crescevano nel ventre delle madri dolenti- affinché si sviluppassero in una famiglia irrobustita da valori cristiani e il senso di una giustizia che non nascondeva che la carità comincia a casa propria Ricordo anche un avvenimento recente, due nonni derelitti ai quali l’assitenza sociale ha portato via il nipote sotto la loro tutela.Il male fatto da questi nonni? Dare da mangiare al bambino in eccesso (la madre della creatura, la loro figlia, era morta di anoressia ed il bambino in questione si trovava in una situazione di notevole sovrappeso).
Le autorità decisero subito di portare via il minore per assicurarsi che avrebbe perso chili. Mi domando se avrebbero agito con identica severità se l’obiettivo fosse stato fare ingrassare il bambino. Continuano ad esserci casi di denutrizione per abbandono, ma lì le autorità non mettono naso. I governi e i loro responsabili ci hanno fatto credere che la denutrizione è un problema individuale e l'obesità un problema collettivo. Alle litanie che ci arrivano del ministero della Sanità dobbiamo aggiungere gli insidiosi discorsi dell’esteta e di quelli che vivono dell'industria del glamour e che lanciano improperi contro la grassezza e acclamano gli scheletrici corpi che sfilano, spettrali, per le passerelle. Ed ecco lì tutta quella legione di adolescenti che, senza avere sotterrato la Barbie, si ossessionano con i chili, con il suo aspetto e con l’opinione degli altri. Perché il corpo riduce in schiavitù tanto quanto i commenti che suscita.
Una compagnia aerea nazionale indiana ha espulso dai suoi elenchi le donne con sovrappeso. Neppure grassi: semplicemente al di là del discutibile canone di bellezza che manda al macello dietetico ed esistenziale le adolescenti. Frattanto, cose della vita, in Mauritania le donne obese sono l'ideale della bellezza, e da piccole le ingrassano come si ingrassa in Francia le oche per farne un magnifico foie. Io penso che tra l'uno e l'altro probabilmente ci sia un spazio per la ragione, o per qualcosa di più semplice, il senso comune. Uno spazio dove né Hollywood né Bollywood si sono ancora installati distribuendo le loro paschianate, dove si accettano le persone per il fatto di essere persone, dove non si ha bisogno di chiedere scusa per esistere ed ancora meno per esistere in modo diverso, e sopratutto, dove Barbie, e tutto quello che significa, è morta. E sotterrata mille metri sotto la nostra coscienza. Natalia Fernández Díaz
|| 3 ottobre 2010 || pagina 15 || www.ucuntu.org ||
Schegge di storia siciliana
I carusi, la mafia, l'otto settembre ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta, e aveva ragione. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: antimafia: ma forse non siamo d'accordo. d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persone persone comuni. E tutte le cose diventano anch'esse anch'esse storia, prima o poi. Comunque, Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri sta facendo girare per l'internet. Antiche e attualissime, attualissime, siciliane
I “CARUSI” DELLE ZOLFARE I padroni della terra, in Sicilia, ritennero di riservare a se stessi non solo ciò che era coltivato, ma anche ciò che era nascosto tra le viscere del sottosuolo. In Sicilia lo zolfo era appunto lì, sottoterra, in enorme ed incredibile quantità, bisognava scavare, bisognava portarlo su e portarlo via, in giro per il mondo. Si riprodussero così, per l’estrazione dello zolfo, rapporti analoghi a quelli dell’economia aziendale latifondistica. Anche qui una struttura verticistica che, nella forma, includeva il proprietario del latifondo, ma che, nella sostanza, poneva a svolgere le funzioni specifiche di “gabelloto di zolfara” quella stessa persona che aveva preso in gabella la gestione del terreno. A supporto organizzativo ed operativo si muovevano le società concessionarie e “industriali” per modo di dire, che con molta parsimonia si servivano di consulenti tecnici minerari. Riguardo al lavoro effettivo di estrazione dello zolfo e di trasporto in superficie, era organizzato e diretto dal “picconiere”, figura centrale e fondamentale nella gerarchia delle funzioni. Il picconiere era, in genere, l’operaio specializzato che, in forza delle sue competenze, disponeva il reclutamento della forza lavoro, nonché i tempi del lavoro e il salario. “In quanto datore di lavoro, si atteggiava a piccolo impresario ed infliggeva ai dipendenti le quotidiane torture di una pratica di
sfruttamento la cui implacabile brutalità era pari a quella dei suoi personali bisogni di miserabile: gli aiutanti sui quali si esercitava il suo tirannico dominio erano, in genere, quegli adolescenti, quei “carusi”, che era solito reclutare ottenendoli in affidamento dai rispettivi genitori in cambio di un esborso di denaro – il cosiddetto soccorso morto – con un’operazione d’investimento a lunga scadenza che, di fatto, era molto simile all’acquisto di uno schiavo”. (Marino. Storia della mafia, Newton Compton), 8 SETTEMBRE E DINTORNI Nei dintorni siciliani l’armistizio firmato dalle parti di Siracusa tra il governo Badoglio e gli anglo-americani formalizzava ciò che nell’isola si era già consolidato: i nemici tedeschi erano stati già cacciati, l’isola era stata “liberata” e la Resistenza al nazifascismo stava diventando un problema ormai da Napoli in su. Se è vero questo, è anche vero, però, che in Sicilia si combatté una Resistenza durissima contro gli antichi nemici latifondisti, contro quei fascisti locali e arrivati in moltitudine dal nord, pronti ad ubbidire ad un altro Duce, in un contesto internazionale in cui gli USA mostravano di combattere “esplicitamente” il fascismo, ma che “segretamente” stabilivano contatti ed alleanze con i fascisti per debellare il comunismo. “Non erano solo la sconfitta di Hitler e di
Mussolini [ … ], ma l’avvio di una strategia di contenimento delle spinte popolari e progressiste che lasciavano temere un’incontrollabile penetrazione sovietica sotto la guida dei partiti di sinistra” ( G. Casarubea. Storia segreta della Sicilia, Bompiani) Ai padroni del latifondo, antichi nemici di classe delle masse contadine, gli USA fornirono la formidabile macchina terroristica della mafia che si presentò nelle istituzioni e nella lupara. Ecco allora la Resistenza siciliana contro i fascisti e i mafiosi nelle lotte contadine per l’attuazione dei Decreti del Ministro dell’Agricoltura, il comunista Fausto Gullo, per una più equa divisione del raccolto tra padrone del fondo e mezzadro e per la distribuzione ai contadini delle terre incolte o mal coltivate. Questa Resistenza andò oltre il 25 aprile 1945: in quel giorno si celebrò la Liberazione “politica” dal nazifascismo, ma, in Sicilia, la Liberazione dalla miseria e dallo sfruttamento non era ancora stata conquistata a causa della feroce repressione degli agrari. Si scrisse una lunga lista di “incidenti”, (così furono definiti nelle carte dei servi segreti) che causarono decine di vittime tra i contadini, tra sindacalisti e dirigenti socialisti e comunisti, fino a Portella della ginestra, l’“incidente” che avrebbe dovuto provocare una rivolta di massa giustificatrice di un intervento autoritario e definitivo di uno Stato per niente libero, né sovrano.
|| 3 ottobre 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||
Schegge di storia siciliana
IL “LIBERATORE” PATTON Il mio illustre omonimo Andrea Camilleri, per definire l’espressione “cosa fitusa”, si ricordò del generale George Patton che, alla testa delle sue truppe di “liberazione” ed alla vista di una sepoltura sul ciglio della strada, ordinò l’alt, scese dalla sua jeep, tirò via la croce, la fece a pezzi che lanciò lontano: il nemico tedesco gli faceva paura anche da morto! (cfr. Andrea Camilleri. Il gioco della mosca. Sellerio.) George Patton non sapeva nulla della Sicilia e dei siciliani e per farsene un’idea non trovò di meglio che leggere il Corano dato che, in verità, siamo anche un po’ arabi, oltre che normanni, greci, bizantini, latini e, naturalmente, indigeni. In ogni caso, per lui, eravamo e restavamo gente che andava conquistata ed ammazzata senza indugio nel caso di una qualsiasi forma di resistenza o di ostilità. Non valeva la pena di civilizzare quella gente la cui vita domestica apparve “strana”: “cucinavano per strada e usavano i bidoni di olio lubrificante da cinque galloni delle truppe come utensili da cucina. Ma non era solo questo il loro difetto perché – scriveva il il generale Patton – “si siedono per strada e, quel che è più fastidioso, cantano a tutte le ore del giorno e della notte.Poiché sono dei grandi mangiatori di aglio, che viene venduto da vecchi recanti serti di aglio sulle spalle,il
loro canto all’aperto affligge non solo l’udito, ma anche l’odorato”." (G.S. Patton. jr. Patton generale d’acciaio. Rizzoli. 2002 in G. Casarrubea. Storia segreta della Sicilia, Bompiani) Da un personaggio del genere non c’era d’aspettarsi niente di buono perché già dai mesi precedenti lo sbarco in Sicilia aveva trasmesso ai suoi ufficiali l’ossessivo, terribile ordine di uccidere; un ordine che destò imbarazzo tra i soldati ed anche a livello politico. Sul piano storico produsse silenzio, censura ed un deficit di verità non più tollerabile che qualcuna delle mie “schegge” tenta di colmare: vedi la “scheggia” n. 1 Due stragi dimenticate e la n 29 Piano Stella. ATTO DI NASCITA DELLA MAFIA Il primo documento ufficiale in cui furono indicati i caratteri organizzativi, sociali, economici e culturali della mafia fu scritto da Pietro Ulloa, Procuratore Generale presso la Gran Corte Criminale di Trapani ed inviato, il 3 agosto 1838 al Ministro di Giustizia, Parisio. Malgrado l’offensiva antimafia abbia vinto tante battaglie, qualche altra battaglia resta ancora da vincere. “La venalità e la sommessione ai potenti ha lordato le toghe di uomini posti nei più alti uffici della magistratura. Non vi ha impiegato che non sia prostrato
al cenno ed al capriccio di un prepotente e che non abbia pensato al tempo stesso a trar profitto dal suo Uffizio. Questa generale corruzione ha fatto ricorrere il popolo a rimedi oltremodo strani e pericolosi. Vi ha in molti paesi delle Fratellanze, specie di sette che dicono partiti, senza colore o scopo politico, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di difenderlo, ora di difendere un imputato, ora di incolpare un innocente. Sono tante specie di Governi nel Governo. Il popolo è venuto a tacita convenzione con i rei. Come accadono i furti escono i mediatori ad offrire transazioni pel recuperamento degli oggetti involati. Il numero di tali accordi è infinito. Molti possidenti hanno creduto meglio divenire oppressori che oppressi, e s’iscrivono nei partiti. Molti magistrati li coprono di un’egida impenetrabile.” (Calà Ulloa. Considerazioni sullo stato economico e politico della Sicilia. In E. Pontieri. Il trasformismo borbonico nella Sicilia del Settecento e Ottocento. Roma. 1945, pp 222-225) eliocamilleri@libero.it
|| 3 ottobre 2010 || pagina 17 || www.ucuntu.org ||
Web
I dieci anni di un sito un po' speciale Per molti anni Censurati (www.censurati.it), il sito della giornalista Antonella Serafini, è stato l'ultima spiaggia di chi aveva un sopruso da far conoscere, un'ingiustizia da denunciare. E lei non si è mai tirata indietro
Mi sembra ieri che siamo nati, dieci anni fa. Sono successe tante cose nuove, alcune stanno per succedere, e ci sentiamo fortunati per aver capito che la strada che abbiamo seguito finora è stata quella giusta. Attaccammo Mastella mentre era al potere, per il suo disinteresse sul caso Graziella Campagna (e poi è finito male). Abbiamo parlato degli inciuci dell’inceneritore di Acerra (e adesso sono sotto processo insieme a Bassolino le ditte che trafficavano nell’affare). Abbiamo sostenuto un povero indio nell’isola della Maddalena perseguitato da un maresciallo (che poi è stato arrestato e tutt’ora è sotto processo per associazione a delinquere estorsione ecc ecc), abbiamo sostenuto il capitano Ultimo prima durante e dopo il processo (e poi è stato assolto con formula piena), perché non saliamo sul carro del vincitore a vittoria avvenuta, ma siamo al fianco di chi riteniamo viva una persecuzione giudiziaria. Abbiamo attaccato Samuele Landi e famiglia per aver mandato in rovina tutti i
lavoratori dell’ex-Eutelia (e ora è latitante e condannato per truffa). Abbiamo fatto la guerra ad autorevoli pennivendoli che per molte persone rappresentano una sorta di mediatori di Dio in terra , riuscendo a non cadere MAI.
Abbiamo sostenuto come potevamo, insieme al gruppo Capitano Ultimo, la rivista Casablanca di Graziella Proto, che per colpa di un malcelato disinteresse delle istituzioni e di boicottaggi da parte di amici degli amici degli amici di persone colpite nei coraggiosi servizi antimafia del giornale, rischiava di chiudere.
Ma abbiamo preferito, andando fuori moda, di rimanere al fianco di chi rischia la vita mentre è ancora vivo. Abbiamo scelto di non stare a guardare. E adesso siamo al fianco di Enrico Tagliaferro contro Massimo Ciancimino. Secondo voi come andrà a finire la telenovela? Siamo stati al fianco di chi era attaccato e aveva tutti contro... e abbiamo vinto insieme. Abbiamo attaccato chi abusava del proprio potere mentre era al pieno delle sue funzioni, e abbiamo vinto. Non siamo nessuno, ma siamo felici di aver fatto questo percorso. Perché, come diceva Falcone, il tempo è galantuomo e ci darà ragione. Il motivo vero per cui siamo cresciuti, però, è che siamo tutti bellissimi e simpatici. E siamo anche un po' sfigatelli, perché festeggiare il compleanno insieme a berlusconi non è stato proprio il massimo. Antonella Serafini www.censurati.it
|| 3 ottobre 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||
Ridi, ridi...
La papamobile del futuro Alla fumetteria Altroquando in Corso Vittorio Emanuele 143 a Palermo è stata inaugurata la mostra “La papamobile del futuro”. Comprende tavole inedite di molti disegnatori e illustratori satirici da anni attivi nella scena editoriale italiana: da Vincino a Gianni Allegra, da Roberto Perini a Filippo Ricca, da Mauro Biani a Bicio Fabbri, da Simon Frosini a Marco Pinna, da Massimo Gariano a Marco Tonus, da Manlio Truscia ad Alfonso Leto. Sono tanti gli interrogativi in gioco: anche il mercato della papamobile attraverserà delle crisi? Come saranno le nuove papamobili? Ecologiche? A pedalata assistita dallo Spirito Santo? A idrogeno purché alimentate da acqua santa che rilascerà solo santo ossigeno? E gli stabilimenti abbandonati dalla Fiat potrebbero essere riconvertiti in fabbrica di papamobili e car-
damobili? Si potranno pagare a rate? Un papa ha diritto alla Findomestic? Saranno antisismiche? Ci sarà spazio per dei bambini a bordo? Voleranno? Le risposte sono state a dir poco sorprendenti. La papamobile si è dimostrata in grado di riflettere i cambiamenti e le ansie che attraversano il potere del Vaticano e i suoi rapporti con una società sempre più laicamente devota. La mostra, organizzata dal gruppo “Tutti pazzi per il Papa”, (attivo su facebook sotto la voce “La barca di Cammarata per il festino”) e curata da Gianpiero Caldarella e Leonardo Vaccaro si inserisce nell'ambito delle manifestazioni per la visita del Santo Padre a Palermo. Info: 338.7034770, www.scomunicazione.it
|| 3 ottobre 2010 || pagina 19 || www.ucuntu.org ||
Isole
“Al mio unico amore” http://dajackdaniel.blogspot.com/
Mia cara Anna, sono certo che il piccolo Matteo non abbia nulla di serio: nei bambini è normale accusare, ai cambi di stagione, dei piccoli malanni. Il nostro caro amico, il Dr. Alberti ti ha già confortato: non c’è nulla da temere. E come si potrebbe mai temere qualcosa con una Mamma premurosa e amorevole come te? Tesoro mio, maledico la lontananza, non perché nutra chissà quale preoccupazione per la salute di Matteo, ma per non poterti essere vicino a rincuorarti e rassicurarti. Indovino, anche se nelle tue lettere non ne fai menzione, notti insonni accanto al lettino del nostro piccolo. Vedo, come se fossi lì, il tuo volto sussultare ad ogni suo colpo di tosse, ad ogni starnuto. Tesoro, già molte volte l’ho detto, ma lasciamelo ripetere ancora: sei la moglie migliore che mai potessi sognare. Non mi sbagliavo, quella sera di dieci anni fa quando, scorgendo il tuo volto nella moltitudine di ragazze presenti a quella festa, trovai il coraggio, vincendo la tua dolce timidezza e suscitando quel rossore sul tuo viso che mi fece
subito innamorare di te, di invitarti a prendere un gelato e poi di lasciarti il mio numero di telefono. Tesoro, presto sarò lì con te e rideremo insieme di queste piccole preoccupazioni. Dolce Rebecca, i tuoi versi appena giunti mi hanno commosso come non mi capitava da tempo o, forse, non è mai capitato nella mia vita. Mi chiedo quale uomo possa definirsi fortunato se non io, destinatario modesto se non indegno della tua arte e, ciò che conta maggiormente, del tuo amore. La stima e l’ammirazione che provo per te cedono il passo solo alla gioia di saperti mia per sempre. Il mio cuore è tuo, dolce Rebecca. Non potrò mai ricambiare come vorrei la tua poesia con pari moneta ma, di certo, posso rassicurarti che il mio amore per te non teme, e non temerà mai, modestie e tentennamenti. Resto in trepida attesa del tuo nuovo poema a me dedicato del quale mi hai accennato nella tua ultima. Conto i giorni, mi dicesti che sarebbe pronto entro la settimana: mi sarà meno penoso trattenere il respiro che sopportare l’attesa. A presto, mia Cara, a prestissimo. Tuo per sempre. Adorata Carmen, ripenso a ieri sera e mi chiedo come possa attendere ancora una settimana senza morire, senza impazzire. Rivivo il tuo profumo, i tuoi occhi che si socchiudono mentre le tue labbra si avvicinano alle mie, le tue mani che mi accarezzano, e le mie che ricercano affamate i preziosi tesori che mi riserbi; la passione sfrenata segue la tenerezza, come il temporale che, fragoroso, segue le prime goc-
cioline di pioggia. E, consumata la notte, l’arcobaleno del mattino, la luce e la serenità dei sentimenti dopo la tempesta degli abbracci. Ti amo, mia adorata. Morirò, sì, morirò! prima di mercoledì. Ma per quest’oggi, che io possa ancora pensare ai tuoi capelli e ai tuoi occhi…
*** L’acqua gli lambiva i piedi. Era già il tramonto, la marea tornava ancora a salire e di lì a poco avrebbe cancellato i nuovi amori, nati quel giorno e narrati con uno stecchetto sulla sabbia appena umida. Da quando era naufragato, vent’anni prima, su quell’isolotto sperduto nel Pacifico, unico superstite di una bagnarola al suo ultimo viaggio, aveva via via esaurito la carta, e le penne e anche le bottiglie. Rimaneva lo stecchetto, e la sabbia, un’immensa lavagna che, al ritmo delle onde, ogni sera dimenticava, e ogni mattina immaginava. Jack Daniel
|| 3 ottobre 2010 || pagina 20 || www.ucuntu.org ||