Ucuntu n.94

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E dopo? Beh, intanto se ne va e questa è una bella cosa. Ma quale degli ex cortigiani sarà il nuovo imperatore? Per capire il “caso Catania” - di Giambattista Scidà Mazzeo/ Ucciso in Canada il Padrino del Ponte || 16 novembre 2010 || anno III n.94 || www.ucuntu.org ||


Situazione

e

Il vecchio il nuovo e il così-così

“Che dicono i giornali, signora mia?” "Entro stasera ho bisogno di un editoriale" ha detto il direttore, ed io? "Su che cosa?" "In generale: la politica, la mafia, l'informazione". Aaah! una cosa da niente, soprattutto se parliamo del più grande laboratorio d'Italia, per infamie, imbrogli e tanto altro, perpetrato da una minoranza fatta da politici sempre li a cambiar casacca ed alleati. "Tantu chi se ne futti! E' meglio stare dalla parte di chi comanda!" "Ma come! e la gente che ha votato a sinistra, contro il governatore mafioso? Che dirà!!?" "Ma cara signora, ma cosa dice!? Sinistra, destra... Le ideologie non esistono più! sono crollate con il muro di Berlino. E poi, quale mafia e mafiosi, questi, cara signora, sono tutti in galera, grazie a Berlusconi e Marroni." "Ma cosa dice! non legge i giornali? Hanno pubblicato le intercettazioni che provano che la mafia e la politica siciliana sono la stessa cosa". "Cara signora, lei si sbaglia ancora, può non credere a me, ma non può non credere a sua eccellenza, il procuratore della repubblica della nostra fiorente e bella città. Lui dice che il reato di concorso in associazione mafiosa non è necessariamente, un reato." "Ma il giornale dice..." "Appunto, gentile signora, anche il quotidiano di Catania dice, anzi non dice nulla!". "Ma io non parlavo di quel giornale, parlavo di quello nuovo, giovane, fresco che indaga sul governatore, il procuratore ed il

sindaco, e magari u partitu demucraticu. Un giornale libero, senza politici alle spalle che si nascondono dietro altri nomi, per non parlare degli editori simpatici e generosi con i loro giornalisti. Una redazione aperta a tutti: fascisti, ex super sindaci, e perchè no, presunti eroi dell'antimafia". Certo raccontato così sembra un dialogo fantastico e divertente, peccato che non sia nè fantastico nè divertente, ma bensì quello che ogni uomo e donna di questa nostra terra di Sicilia sta vivendo ancora una volta. Nonostante le stragi del 92, che produssero una rivolta civile che ci diede la speranza per una nuova dignità, nonostante i giornalisti uccisi che lasciarono una eredità ai giovani giornalisti Siciliani che capirono il loro messaggio. Quale? Quello di scrivere sempre e comunque la verità, di raccontare le storie della gente, che è andata a votare credendo di votare contro le mafie, e si è ritrovata a sostenere un governatore mafioso. Quella stessa gente che guarda con fiducia a un giornale nuovo, che racconta, denuncia le malefatte dei governatori, sindaci e procuratori ma forse lontano da una società reale che legge e dice: "Su tutti parii stissi, iddi manciunu e nuatri muremu da fami". Gente che spera che dietro a quelle parole di carta non ci siano nè interessi politici o dei comitati d'affari, ma solo verità che cambi le cose e dia giustizia. Ma può un giornale fare questo? Forse sì ma solo in parte, tutto il resto lo dobbiamo fare noi. Giovanni Caruso

APPELLO IL 28 NOVEMBRE TUTTI IN PIAZZA PER TELEJATO! Coppola Editore, Corleone Dialogos (Arci-Libera) Gruppo Facebook “Quelli che fanno come Telejato” e l’associazione Rita Atria lanciano un appello di solidarietà per la Redazione di Telejato. Ennesima lettera minatoria nei confronti dell’emittente Telejato che trasmette in una zona calda ed è prezioso strumento di informazione per i territori del partinicese e del corleonese. Pino Maniaci e famiglia non vanno lasciati soli. Per questo vi chiediamo di aderire all’iniziativa scendendo il 28 novembre alle ore 10:00 in piazza a Partinico, per dire ai mafiosi locali che Pino Maniaci e la sua famiglia non sono soli. Oltre alla solidarietà fisica e umana, sarà gradita la solidarietà finanziaria. Per aderire: redazione@corleonedialogos.it

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Politica

La lunga (e programmata) agonia del Caudillo Silvio Berlusconi e Francisco Franco.

Quando Francisco Franco venne finalmente chiamato a render conto al tribunale del Signore, fra i cortigiani si levò un'onda di paura: che sarebbe accaduto ora? Chi avrebbe protetto più il loro regno, quell'eden di banchieri “cattolici” e di puttane devote pazientemente costruito anno dopo anno? Mentre il vecchio caudillo agonizzava, cortigiani e banchieri trovarono la soluzione: “Lasciamolo agonizzare”, disse qualcuno. “Facciamolo agonizzare più a lungo che si può. E così avremo il tempo di organizzare la transizione”. E così fu. L'agonia del tiranno fu spaventosa: tubi e tubicini lo tennero in un'improbabile “vita” per mesi e mesi mentre finanzieri e vescovi organizzavano freneticamente la successione. Le cose poi non andarono per il giusto verso, fra il re improvvisamente democratico e gli operai fin troppo prevedibilmente incazzati (oggi si chiamano Fiom, allora Comisiones Obreras). L'idea della lunga agonia però non era male, pensano – oggi, in Italia – finanzieri e cortigiani. “Tiriamo in lungo le cose pensano lor signori - avremo tempo di trovare se non un altro Berlusconi (di quelli la Provvidenza ne manda solo uno per secolo) almeno uno che in qualche modo faccia il suo lavoro essenziale: far pagare la crisi ai maledetti poveri e non ai miliardari innocenti, che saremmo noi”. Ed ecco perché, se l'economia corre, la politica va a rilento. L'economia va – letteralmente – a rotta di collo, alla marchionesca: produrre male, perdere i mercati uno dopo l'altro (si stanno vendendo la Ferrari, non si sa se ai tedeschi o ai coreani) ma intanto ristrutturare le fabbriche senza contratti fissi e senza sindacato. Pomigliano, Torino, poi altre decine di fabbriche, poi l'Italia intera: e senza opposizione concreta di nessuno, nè a “sinistra” nè a destra, salvo quella – ma forte e dura, e ovviamente ignorata – degli operai.

La politica segue piano piano, con moltissimo fumo e poco arrosto. Chi sarà il successore di Temonti (il vero primo ministro, se non ve ne siete accorti, al capezzale del Papi lo sta facendo lui)? Il banchiere Draghi, ufficialmente proposto da Scalfari con parole forbite? Tremonti stesso, se Bossi finalmente si decide? Casini, Fini, Montezemolo, Carrero Blanco? E chi lo sa. Non abbiamo la più pallida idea di quello che si discute in quelle stanze, nè averla ci servirebbe, tanto decidono tutto loro. C'interessa invece moltissimo che cosa si va preparando dalle parti nostre, l'opposizione politica, la sinistra. Qui le cose, se si considera bene, non vanno male. La sinistra, per cominciare, ha sempre più voglia di essere di sinistra (e capirai, con 'sta crisi) e non di centrosinistra, di centro o di qualche altra cosa. Un segnale? Le primarie Pd di Milano, dove ha vinto non Vendola ma Berlinguer: vale a dire il realismo, la nostalgia, il “basta con queste chiacchiere”, il “lavoratori!”, il buon vecchio Pci dei tempi andati. Nella base Pd questa è una minoranza (e infatti la partecipazione alle primarie è stata abbastanza minore del previsto), ma è la minoranza politica, l'unica che crede ancora nel partito e nella politica in generale (le “opposizioni” dentro il Pd, Chiamparino, Veltroni o il terrificante Renzi, contestano Bersani qualunquisticamente e da destra). Farà in tempo questa minoranza, avrà la forza di costruire un blocco politico (quello sociale c'è già, ed è la manifestazione Fiom del 16 ottobre) veramente democratico, berlingueriano? E Vendola, ce la farà Vendola - dacchè il dio dei bambini, come diceva Luca Orlando, l'ha scelto - a essere più di Vendola, a diventare se stesso? Non ci servono i leader, proprio per niente. Servono compagni seri e “quadrati”, collettivi. Vendola, non per sua colpa, non lo è (io

sono ancora impaurito dall'orrenda maniera con cui lui, Fava, Bertinotti e Ferrero riuscirono, fra tutti, a balcanizzare Rifondazione) ma, se dà retta a se stesso, al Vendola reale e non dei media, può diventarlo. Non l'improbabile leader di un centrosinistra confuso ma il capo di una sinistra organizzata e compatta che ora non c'è e che, col 10-15 per cento di elettorato su cui può contare, diventerebbe l'arbitra della Terza Repubblica, sia al governo che all'opposizione. Personalmente, per fidarmi di Vendola, ho bisogno di due segnali precisi. Primo, tolga dal suo simbolo quell'orribile “con Vendola” (“con Di Pietro”, “con Beppe Grillo” ecc.) che è leaderistico e perciò di berlusconiano. Secondo, scarichi pubblicamente il traditore Sansonetti che in Calabria, dopo aver fatto il crumiro e aver licenziato i giornalisti antimafiosi, ora esalta i fascisti e i mafiosi del Boia Chi Molla. *** Infine. Ho molta simpatia per Saviano e quindi lo prego di smetterla di dire cose che dette da un altro sarebbero sciocchezze e dette da lui sono sciocchezze lo stesso. Mi riferisco a quelle su Peppino Impastato (che non a caso hanno suscitato la reazione, eccessiva, di Umberto Santino) e soprattutto ora su Alfredo Galasso. Gli addetti ai lavori sanno che le mie relazioni con lui adesso non sono purtroppo delle migliori, ma ciò non toglie che Alfredo Galasso sia stato uno degli eroi dell'antimafia, in momenti in cui c'erano pochi applausi e molta solitudine, e che presentarlo (come in sostanza ha fatto Saviano) come uno della “fabbrica del fango” sia irresponsabile, ingiusto e profondamente sbagliato. Io, fossi in Saviano, presenterei le mie scuse. Ma anche Saviano, forse, deve ancora imparare a diventare completamente Saviano. Riccardo Orioles

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Giustizia & Potere

Per capire il “caso Catania” prima parte Si tratta di cose e di uomini di un trentennio compatto, dall' '82 ad oggi: concatenati i fatti, e sempre gli stessi, da allora, taluni dei magistrati protagonisti La situazione all'inizio Si diffidava, diffusamente, della Procura della Repubblica: in paradossale diminuzione, per questo, le denunce di reati contro la Pubblica Amministrazione, mentre la frequenza dei fatti andava crescendo. La mafia? Pretendevano di far credere che Catania ne fosse immune, pur mentre la lotta tra i clan insanguinava la città. Fu dal lato della giustizia minorile che venne nell' '81 l'allarme. La criminalità, tutta, è in rapido aumento; quello è un anno di svolta; l'avvenire può essere tremendo; bisogna far presto : i mesi contano come anni. Per il riscatto delle città, nelle sue parti malate, che sono matrici terribilmente feconde di disadattamento minorile, ci vuole impegno concorde, dello Stato e degli Enti Locali; occorrono danaro, competenza nel progettare, probità nella gestione. Quella relazione del Presidente del Tribunale per i Minorenni cade nel vuoto. Il Prefetto ne sorride. Se qualche speranza si poteva nutrire, erano i Pretori ad ispirarla : uomini nuovi (Gennaro, D'Angelo e altri) dai quali non pochi cittadini si aspettavano progressivo rinnovamento della Giustizia. Ma i fatti delusero, amaramente.

I fatti Parte I : da “via Crispi” a “viale Africa” 1. L'appalto di una nuova sede, proprio per la Pretura, in via Crispi, fu denunciato con clamore come variamente illegale: dal prof. D'Urso, Direttore del Dipartimento Urbanistica dell'Università, da un gruppo di architetti e da molti giornalisti; in Consiglio Comunale ne fu fatta critica serrata : ma nessuno si mosse, né la Procura , né i Pretori. Esortato da un giornale ad agire, Gennaro tacque. L'appaltatore trionfò. Nella storia della città quell'inerzia segnò una svolta. Le forze dominanti potevano ora guardare senza preoccupazione alla “magistratura progressista” (l'espressione è nelle cartelline dell'imprenditore Rendo, cadute in sequestro a Roma). Fu, quell'inerzia, una tappa di cruciale importanza nella costruzione della pax cathinensis, la pace di una comunità senza “eretici”. 2. Il Prefetto di Palermo Dalla Chiesa, autore della fatidica intervista sulla mafia a Catania e sulle collusioni con essa degli imprenditori catanesi (La Repubblica del 10/08/'82), venne ucciso il 3 settembre, 24 giorni dopo. Durante la solenne inaugurazione del

nuovo edificio, in ottobre, il costruttore potè esaltare, tra gli applausi, i meriti dell'imprenditoria catanese. Dall'interno di quel nuovo tempio della Giustizia il disinvolto artefice di callidi affari replicava al caduto servitore della legalità. A Dalla Chiesa successe, con poteri di Alto Commissario Antimafia, un ex Questore di Catania, che con i grandi imprenditori locali aveva sempre avuto rapporti scorrevoli, improntati a fiducia reciproca. 3. Il quotidiano diretto da Giuseppe Fava fu chiuso quell'anno stesso; Fava venne ucciso il 5 gennaio dell' '84. Aveva raccolto il testimonio caduto di mano al Prefetto di Palermo Dalla Chiesa, fondando un mensile di battaglia, sul tema Catania, e radunandovi giovani di valore (col figlio di lui, erano Orioles, i Roccuzzo, Faillaci, Gulisano, Gambino e parecchi altri). La mafia assassina fu buona interprete dei grandi interessi in gioco : quel sangue era necessario al sistema. Il quotidiano La Repubblica accettò di chiudere il proprio ufficio di corrispondenza e di non metter piede nella provincia etnea con la sua cronaca regionale.

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Giustizia & Potere

4. Nel clima creato dalla vicenda della nuova Pretura, l'inchiesta del CSM su Catania, provocata dal prof. Giuseppe D'Urso e dal Comandante della GdF, venne facilmente esorcizzata. Poteva mettere in luce inveterate prassi devianti della Procura Repubblica, ma fu ridotta a tenzone attorno alle responsabilità di due persone. La realtà di Catania, ben più vasta e più profonda nel tempo, non ne sarebbe emersa per nulla. 5. Quando Uffici Giudiziari di Torino, competenti per connessione, procedettero penalmente contro magistrati di Catania, la protesta unì l'establishment tradizionale e i “progressisti” : tutti pretesero, rumorosamente, che quell'affare fosse consegnato alla Procura della Repubblica di Messina, ex art. 11 CPP. Il dissenso fu di pochi. Connessione a parte, Messina era a sua volta soggetta, per lo stesso art. 11, alla competenza di Catania; l'autonomia di ciascuna delle due sedi, rispetto all'altra, non poteva non soffrirne. E a Messina occupava posizione eminente un magistrato catanese, già stato a capo di un importante Ufficio della sua città. Il processo rimase a Torino, e la paziente decifrazione di un diario in sequestro rivelò

che l'autore aveva raccomandato un capomafia a colleghi di altre sedi, recandosi a visitarli nei rispettivi uffici. Era uno squarcio nel sottosuolo della “città senza mafia”. 6. Scomparso Fava, Catania venne disarmata : meno uomini, meno volanti, meno uomini sulle volanti. La città si trovò ceduta alla malavita, che poteva scorrerla da un capo all'altro, con i traffici e lo spaccio di droga, con le rapine e le estorsioni, con i furti in casa e gli scippi. Impossibile un adeguato controllo del territorio, impossibili investigazioni adeguate; al sicuro i grandi latitanti, Santapaola in testa. La protesta, pubblica, viene dalla giustizia per i minori : un articolo del presidente del tribunale, in settembre dello stesso '84, su I Siciliani che i ragazzi di Fava tengono in vita; rimostranze al Guardasigilli, a Catania, in presenza e nel silenzio dei capi di altri Uffici; un appello, in gennaio dell' '85 al Ministro degli Interni, Scalfaro, per il diritto della città alla restituzione dei presidi necessari: Catania non può aspettare assunzioni di agenti e carabinieri, ha bisogno di equità nuova e sollecita nel riparto delle risorse disponibili : o anche la lotta alla droga sarà irrisoria. Non c'è occasione

di interventi, in convegni e in altre riunioni, che il magistrato trascuri. 7. Il quotidiano di Catania, ormai padrone del terreno, può permettersi di sottacere avvenimenti importanti, come l'affollatissimo convegno di Albatros, svoltosi nell'aula del Consiglio Comunale il primo dicembre dell' '86. E' l'associazione di cento catanesi, sorta per una lotta nuova e vera alle tossicodipendenze, che parta dalla lotta all'offerta di droga : lo Stato torni a presidiare Catania; il Comune imposti un'articolata politica giovanile; il Servizio Sanitario Nazionale faccia la sua parte con competenza e decisione. È deplorevole, dice il presidente del sodalizio – e il pubblico fervidamente attento gremisce anche l'atrio, sino alle scale – che un Ospedale spenda 245 milioni l'anno - con l'aggiunta di altri 40, annui del pari, di compenso per l'uso dei mobili e di altre utilità - nella locazione passiva di una villa, nuova sede dei suoi uffici amministrativi, mentre confina in un piccolo garage il Centro Accoglienza Tossicodipendenti. I lettori del giornale non sapranno nulla di questa intensa giornata.

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Giustizia & Potere

Voliamo per un momento da quel tempo all'anno ora in corso, 2010, e a queste ultime settimane. E' passato da allora un quarto di secolo, e un altro convegno, di rilevanza ancora maggiore, è incorso nella censura de La Sicilia. Si è svolto a Palazzo Biscari, il 28 ottobre, con grande concorso di pubblico, proprio sul tema del ruolo avuto dall'informazione nel cosiddetto “caso Catania”, che è sempre attualissimo, più drammaticamente attuale che mai. La Repubblica non è da meno de La Sicilia. 8. Gennaro e D'Angelo, fattisi trasferire dalla Pretura alla Procura della Repubblica, vi hanno a collega, sino all' '87, il Sostituto Anna Finocchiaro. Prima di uscire dall'Ufficio, perchè eletta alla Camera dei Deputati, costei tratta, sino alla richiesta di archiviazione compresa, denunce di quel contratto di locazione. 9. L'onda della criminalità è montata, come nel presagio angosciato del 1981. Il Presidente del TM e il nuovo Procuratore presso il Tribunale, Cortegiani, ne scrivono nell' '87 su Segno, rilevando l'effetto di trascinamento che il delitto dilagante e impunito produce in mezzo a schiere di ragazzi non preparati a resistere. Nell' '88 una relazione del Presidente fa valere i numeri, spietati. La frequenza degli

arresti di minori è sconvolgente : 204 in dodici mesi quelli di residenti italiani nel capoluogo (il 3.46% del totale nazionale, mentre la popolazione non supera lo 0.64%). Gli indiziati di rapina, 58 su 204, costituiscono il 7.67% dei minorenni italiani incorsi in arresto per tale reato, in tutto il Paese. E' una cifra, questa di 58 arresti per indizio di rapina, alla quale non arrivano, messi insieme, tredici interi Distretti di Corte D'Appello, con i loro 17 milioni di abitanti. Il documento si sofferma sulla corruzione senza freno, e sul posto che ha la mafia nel sistema locale di potere, ma soprattutto sulla condizione minorile. Il CSM ne resta talmente colpito (lo presiede il prof. Cesare Mirabelli; ne fanno parte, con Fernanda Contri, Maddalena e Caselli, Morozzo della Rocca e Racheli, Ambrosio e Abate) da volere che tutti i capi degli Uffici Giudiziari Minorili lavorino sul tema per una intera giornata, nella sua stessa sede. Ma Catania non se ne allarma. 10. Scoppia l'enorme scandalo di viale Africa, per il mega-appalto, a tangenti di miliardi e miliardi di lire, del Centro Fieristico “Le Ciminiere” : enorme anche per il numero e il ruolo delle persone coinvolte.

E' un'immensa soperchieria, anche in danno del Comune di Catania. Il Consiglio rinnovato nell' '87 (ne fanno parte uomini come Giusso del Gaddo) non consente la variante al PRG necessaria perchè l'opera, voluta dalla Provincia possa essere realizzata, ma uno strataggemma, nel quale concorrono Uffici Municipali, ne vanifica la resistenza. Ma l'imprenditore non viene perseguito per nulla; secondo la Procura (che il Tribunale e la Corte d'Appello non mancheranno di smentire), egli è vittima di concussione. Come tale può riprendersi, se vuole, le ingenti somme distribuite ad amministratori elettivi e a burocrati e a politici; può riprendersele in barba all'Erario, spogliato del suo diritto a confisca. Molti vedono nel sorprendente trattamento dei fatti una grandiosa sequela dell'affare Pretura. L'appaltatore è lo stesso, e il magistrato che imposta il processo, da solo o con altri più giovani, è uno dei Pretori di allora: è il dott. D'Angelo. Alla fine, nessuno sarà stato punito: né l'imprenditore, né gli altri : perchè a morte sono venuti, oltre che lui, anche i reati, per prescrizione. *** E Gennaro? E' tempo di riassumerne l'opera tra Catania e San Giovanni la Punta.

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Giustizia & Potere

Parte II : Nel “teatro” di San Giovanni la Punta 1. Un processo a carico di molti mafiosi coinvolge Sebastiano Laudani, patriarca dell'omonimo clan (temibile clan, in lotta cruenta con altri per il predominio), ed il figlio Gaetano. La Procura li incrimina per un tentativo di omicidio, ma non per mafia. Per conseguenza non intervengono provvedimenti del genere consueto nei procedimenti ex art. 416 bis CP (ricerche e sequestri di cose e documenti; perquisizioni) avuto sentore della cattura che comunque li minaccia, i due si danno alla latitanza; passerà un anno prima che vengano presi. Nel definire il processo la Corte d'Assise rileverà sobriamente lo spessore criminale del Sebastiano, quale risulta dai più importanti rapporti. Il magistrato del PM che ha gestito fino al termine l'istruttoria sommaria entra da privato, aspirante all'acquisto di un alloggio, in quel comune di S. Giovanni la Punta, che è regno dei Laudani e del loro storico manager e prestanome nel campo dell'edilizia, Rizzo Carmelo. Una società di due soci (un ingegnere e un geometra) nella quale è entrato il Rizzo, attraverso la moglie, intraprende la

costruzione di ville bifamiliari su terreno ceduto in permuta da un Arcidiacono. Il magistrato stipula preliminare di compravendita di parte predominante di una di tali ville: di quella che la società, intestata ad inesistenti “Di Stefano”, prenderà a costruire subito, per prima. Egli è seguito a ruota da un professionista di Catania (il dott. X, in questo scritto) che si assicura la metà giusta di un'altra villa, da costruirsi su lotto contiguo. Il magistrato è il dott. Gennaro, già Pretore; il dott. X è cognato del magistrato Anna Finocchiaro, deputato dall' '87: è fratello di suo marito. 2. Rizzo non cesserà di menar vanto di quelle vendite, a compratori tanto qualificati il cui nome innalza e qualifica lui. In un lussuoso dèpliant del '96, che deve esaltarne le realizzazioni di imprenditore, le ville di Gennaro e del dott. X illustrano la copertina. Dopo la morte di Rizzo (1997), un uomo di lui dirà davanti al Tribunale che lo giudica (è quello di Catania, sezione II, 2002), che dal suo principale (“da noi...” gli piacerà dire) venivano a comprar case magistrati e politici; e di uno degli acquirenti saprà rendere facilissima, pur senza nominarlo, l'identificazione nel Gennaro.

3. Installatosi nella nuova abitazione, con la famiglia, a metà del '90, Gennaro stipula atto definitivo (not. Gagliardi) in gennaio del '91. Nel rogito, si presta a far figura di costruttore e venditore in luogo della Di Stefano, l'insospettabile Arcidiacono, che nulla ha costruito e niente incassa del prezzo : è solo l'intestatario, ancora per otto giorni soltanto, del suolo ceduto da tempo alla società. Il dott. X che non ha alternative al contrarre con la famigerata Di Stefano, trova prudente astenersene. Stipulerà solo due anni dopo, nel '93, all'esito, favorevole al Rizzo di un procedimento per misure di prevenzione, personali e patrimoniali, proposte dal Questore. I giudici non ritengono ci sia prova di connessioni dell'imprenditore con i Laudani; X può comprare tranquillamente dalla Di Stefano, senza timore che l'immagine della Finocchiaro ne sia danneggiato : se è “pulito” Rizzo, pulita è la società. Ma il cielo si oscura ben presto. C'è appello; è apparso sulla G.U. il DPR 11/3/'93, di scioglimento del Consiglio Comunale di San Giovanni, proprio per l'influenza che su di esso esercita Rizzo. E la Questura spedisce irrefutabili prove delle connessioni negate che sono antiche e strette.

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Giustizia & Potere

Solo rudi interventi sulla composizione del fascicolo di causa (rimandiamo per questo a MicroMega, marzo 2006, art. di Giustolisi e Travaglio) possono scongiurare riforma del provvedimento di primo grado. La conferma salva Rizzo, e salva da Rizzo tutti coloro che egli coinvolgerebbe nella propria rovina se dovesse perdere la disponibilità del patrimonio e subire esilio da San Giovanni. Tutto bene, dunque, per tutti? Si, ma soltanto per un certo tempo. Il peggio deve ancora venire, e verrà per entrambi, per il dott. X e per il dott. Gennaro. Durerà, quel peggio, dall'inizio del nuovo secolo sino al 2009. Il pericolo cui resteranno esposti, per tanto tempo ambedue gli interessati; il bisogno di proteggersene, in qualunque modo; e la posizione di uno dei due nella Procura della Repubblica di Catania (ossia nell'organo che per promuovere giustizia dovrebbe attaccarne gli interessi morali e materiali) produrranno sconvolgimeti profondi dell'attività istituzionale. 4. La villa di Gennaro è difforme dalla concessione edilizia, e non per dettagli come l'ampiezza delle finestre, non dovrebbe esser detta abitabile, né potrebbero esserne effettuati allacci alle reti municipali e dell'Enel. Il magistrato ottiene tutto, e anche attacco senza ritardo alla rete telefonica, per interve nto di Rizzo. A seguito di quell'alloggio, tutti gli altri,

della stessa lottizzazione, vengono costruiti in difformità. E' deplorevole che un magistrato - del PM per giunta – richieda o accetti illegalità nella costruzione dell'alloggio che deve essere suo. Sanatoria sarà concessa a Gennaro, a firma di funzionari del Comune, nel '99, in corso di indagini, coordinate da lui, sul capo dell'Amministrazione. 5. L'alloggio di Gennaro, in villa bifamiliare, non è simmetrico all'altro, non è la metà del tutto, è più che la metà. Alloggi simmetrici in altre ville sono stati pagati 240 o 250 milioni di lire ciascuno. Quanto ha pagato Gennaro per il suo, che simmetrico non è? Secondo il Calì, già citato, i magistrati e politici ottenevano sconti di centinaia di milioni. Chiamato dal PM di Messina, a seguito di quelle dichiarazioni, Calì non ne ha smentite; si è solo avvalso della facoltà di non rispondere ma aggiungendo a spiegazione di quel suo volersene avvalere, parole univocamente significative : perchè era “piccolo così ....”. Poiché nell'atto notarile di compravendita si legge che Gennaro aveva pagato il prezzo di lire 165 milioni, bisognerebbe concludere che aveva speso, per avere un'alloggio più grande dell'alloggio contiguo, molto di meno di quanto sborsato da ogni altro acquirente per avere meno di lui : un'immobile eguale all'immobile confinante. Il dott. Gennaro dirà in seguito che

nell'atto notarile fu indicato, per motivi fiscali, molto meno di quello che era stato pagato; e che il prezzo effettivamente corrisposto da lui era ammontato a 240 milioni. Lo stesso, ci sarebbe da chiedere, che per un alloggio simmetrico, senza compenso per il parecchio che egli ebbe in più? Purtroppo lo stesso computo che approda alla somma di 240 milioni ha bisogno, per raggiungerla, di includere spese successive all'acquisto. 6. Nel '93 il dott. Gennaro volle passare alla Procura Generale; nel '94 venne eletto al CSM. Di lotta alla mafia, anche di San Giovanni, si occupavano in gruppo tre Sostituti Procuratori, quando un rapporto a carico di mafiosi coinvolse anche Rizzo. Venuto a conoscenza dell'imminente cattura, questi la elude e avverte molti altri imputati (è falso che sia stato arrestato e poi scarcerato dal Tribunale in sede di riesame). Il Tribunale annulla le misure, per lui, latitante, e per moltissimi altri, o latitanti o carcerati, ma la Cassazione rimuove (12/02/1997) i provvedimenti del Tribunale; Rizzo, rabbiosamente frustrato, lascia trasparire che non appena portato in carcere canterà. Lo uccidono prima, il 24 di quel febbraio. A Catania, nessun crimine ha mai pesato altrettanto sulla Giustizia, sovvertendone il corso per moltissimi anni, come ha fatto questo. Giambattista Scidà

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Giustizia & Potere

Mafiosi in galera e politici indagati: ma nessuno sfiora Mario Ciancio Secondo la Procura catanese Vincenzo Santapaola, figlio di Nitto, ha un “ruolo apicale” nella gestione del territorio catanese. E' sempre Enzuccio Santapaola due anni fa pubblica un messaggio ai suoi, in forma di lettera, tramite il quotidiano La Sicilia, ma il suo direttore-editore Mario Ciancio tuttora non è indagato, nè la sua sede è stata mai perquisita “Delineate le figure mafiose apicali del territorio catanese”, dice il 3 novembre di quest’anno il procuratore D’Agata ai giornalisti, con una mano sulle 1.200 pagine dell’inchiesta Iblis (50 arrestati, 80 indagati, 400 milioni di euro sequestrati), “Capi cui tutti a Catania deve rendere conto: Ercolano Giuseppe, rappresentante del clan Santapaola (attualmente in 41 bis), Arcidiacono Francesco, l’attuale reggente che tiene la cassa delle imprese – soldi delle estorsioni per pagare armi e stipendi ai parenti dei carcerati – Aiello Vincenzo, rappresentante provinciale dei Santapaola capace di tenere le relazioni con la politica, e Di Dio Francesco”. Ma tra le "figure apicali" c’è pure Vincenzo Santapola. Esattamente quell’Enzuccio che il 9 ottobre 2008, nonostante il 41 bis, pubblica una specie di editoriale, sotto forma di lettera, sull’unico quotidiano della città, La Sicilia, il cui editore e direttore è Mario Ciancio. E' il primo e unico caso nella storia italiana del giornalismo che una lettera di un mafioso in 41 bis trovi spazio su un quotidiano. Nella lettera il boss farebbe intendere che durante la sua prigionia molti, in città, fanno i cavalli pazzi e usano il nome dei Santapaola per fare estorsioni e quant’altro.

Enzuccioli disconosce tutti. Se il clan Santapaola ha i boss storici in galera (Aldo Ercolano, Nitto Santapaola ed Enzuccio) comunque, fa capire il figlio di Nitto, ha tutto il diritto di comandare sul suo territorio, che in definitiva, come dice il procuratore D’Agata, è per intero quello catanese. Gli altri clan devono sempre rendere conto ai Santapaola. L’amministrazione penitenziaria fa un’inchiesta interna per ricostruire l’iter della lettera e capire come sia arrivata a un giornale, ma l’inchiesta, dopo ben due anni, non ha ancora trovato risposte. Non viene però indagato Mario Ciancio, che pubblicando quella lettera avrebbe permesso al boss di comunicare a tutta la città, tramite l’unico giornale catanese venduto e letto a Catania, e che dunque, grazie al suo giornale dà un mano gigante a chi, quasi impossibilitato dal 41 bis, vuole comunicare con l’esterno e mandare direttive ai suoi ed anche ai nemici. *** Poco tempo fa il procuratore capo D’Agata manda la polizia nella redazione di Sud, un nuovo freepress catanese che ha appena pubblicato delle inchieste pesanti sul governatore Lombardo. La polizia intima il sequestro, poi fotografa i computer e

controlla i files della redazione. Secondo il procuratore capo di Catania D'agata, Sudpress potrebbe avere delle carte che ostacolerebbero le indagini sul presidente Raffaele Lombardo. La polizia non trova nulla di tutto questo. Dopo alcuni giorni lo stesso procuratore parla alla stampa dell’inchiesta Iblis, ed è lui stesso a citare il nome di Enzuccio Santapaola, il boss della lettera a La Sicilia, confermando il ruolo apicale di quest’ultimo nella gestione mafiosa del territorio catanese. Ma nonostante ciòla polizia non è mai entrata nella redazione de La Sicilia, né la magistratura ha mai avviato un’inchiesta su Mario Ciancio per capire per quali scopi abbia pubblicato un messaggio di un boss catanese d’alto livello - come conclamato dall’ultima inchiesta Iblis - permettendo ai clan di recepire, capire e organizzarsi di conseguenza. Nè l’ordine dei giornalisti siciliani, che attaccò il conduttore di Telejato minacciato costantemente dalla mafia, Pino Maniaci perchè privo di tesserino di giornalista - ha mai preso posizione su Ciancio. Né dell’inchiesta interna avviata dall’ amministrazione penitenziaria la città di Catania ha ancora saputo qualcosa. Giuseppe Scatà

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Periferie

Il teatro? Qui va in scena l'abbandono del mio quartiere Librino, periferia di Catania. Il teatro Moncada era una delle grandi opere che dovevano riqualificare il quartiere. Abbandonato e negletto, ora è a pezzi A Librino, il teatro Moncada, faceva parte delle grandi opere per il quartiere. Di proprietà del comune di Catania costo della struttura 5 miliardi delle vecchie lire, inaugurato diverse volte sia dalla giunta di sinistra che di destra ma mai consegnato alla città. Nel frattempo il teatro è stato vandallizato è la giunta Scapagnini tra il 2003, e il 2005 ha acceso due mutui con le banche il primo di due milioni di euro e il secondo di 2,5 milioni di euro per lavori all'interno della struttura. Oggi, 31 ottobre 2010 ci siamo andati dentro. Siamo davanti allo spettacolo dell'abbandono è del degrado, la prima cosa che noti è una macchina bruciata all'interno, quelli che dovevano essere le gradinate

invase sia da rifiuti che di escrementi. Quello che doveva essere il palco invaso da rifiuti e fili elettrici, le scale per i piani superiori pieni di immondizia. Gli spogliatoi hanno i muri spaccati fili sparsi da per tutto , gli impianti di climatizzazione è quello elettrico sono stati rubati. Le pareti sono piene di fori di proettoli da fucile, nelle scalinate che portano al teatro c'è un motorino rovesciato; scendendo le scale la situazione non migliora anzi si sente forte l'odore di pipi e di cacca di cane. Le saracinesche sono state usate come tiro al bersaglio, le vetrate sono frantumate nell'atrio prima di entrare all'interno c'è un'altra macchina parcheggiata lì. Alle spalle del teatro la situazione non

cambia, vetri frantumati dapertutto, una carcassa di macchina completamente smontata e poi bruciata. Ci sono tante riflessioni che si possono fare dinnazi queste macerie:a le istituzioni ceche, l'importanza di questo teatro per il quartiere, gli abitanti che l'hanno vandalizato.. Per dirla sinteticamente, il Comune non ha ancora capito che fin quando non si farà progettazione partecipata delle opere, gli abitanti non le sentiranno proprie. Proprio dalla partecipazione può ripartire il riscatto di Librino. Ma bisogna vedere in concreto se si vuole davvero che Librino si riscatti e faccia parte della città. Luciano Bruno

Libertà d'informazione

Quanto costa e a chi?

Giornalisti, poitici, avvocati sul risarcimento civile, arma impropria contro la libera informazione Giornata di lavoro su risarcimento civile e libertà d'informazione 17 novembre 2010 dalle 9:30 a Roma, presso la FNSI (corso Vittorio 349). Il convegno, promosso da Libera Informazione e FNSI, sarà moderato da Roberto Morrione, presidente della Fondazione Libera informazione. Tra i relatori Roberto Natale, Franco Siddi, Milena Gabanelli, Claudio Riolo, Enzo Jacopino, Alberto Spampinato, Vladimiro Zagrebelsky.

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Immigrati

Tutti uguali, tutti diversi “Se voi avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri stranieri alloallora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo reclamo il diritdiritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privileprivilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri” Karima, detta Ruby-rubacuori, 17enne di origine marocchina, accusata di furto, viene portata in questura, ma qualche ora dopo è già libera per le strade di Milano. È bastata una telefonata da Palazzo Chigi. Così finiscono gli accertamenti, fioccano sorrisi e sorrisoni e tante scuse alla ragazza. È saltata la legge. Era un’amica di Silvio, e questo la rende immune e immacolata. A Catania gli immigrati sbarcati lo scorso 26 ottobre non hanno avuto il trattamento di Ruby, nessuna telefonata, nessun sorrisone. Sono stati rinchiusi al Palanitta, qui approssimativamente identificati e rispediti con un charter al Cairo il giorno dopo. Sono due storie diverse, agli antipodi, e la seconda estremamente drammatica e violenta, ma entrambe raccontano di una Legge che in Italia viene sistematicamente negata. Nel caso di Ruby viene violata perché vincono favoritismi e inchini al potere che schiacciano l’interesse della collettività e svuotano la democrazia della propria essenza, marcando la divisione della società tra chi bacia il cielo, chi sta a galla e chi sprofonda. Nella vicenda dell’espulsione lampo a Catania, la legge è stata pure violata, fa-

Don Milani,“L’obbedienza non è più una virtù”

cendo annegare chi avrebbe dovuto ricevere aiuto. Ma per un altro motivo. Ormai è routine, ad ogni sbarco, si cerca di capire in fretta e furia l’età e la provenienza, non si offre assistenza medica se non in casi gravi, neanche si guarda se ci sono richiedenti asilo e in tempi record tutti di nuovo a casa. Il “contrasto all’immigrazione illegale” si traduce così in deportazioni barbare e inumane in pieno contrasto con i diritti umani e civili sanciti dalla Costituzione e da tutte le convenzioni internazionali cui l’Italia ha aderito. Questo è quanto accaduto a Catania alla fine dello scorso ottobre. A nulla sono valse le proteste delle organizzazioni umanitarie (IOM, ACNUR, Save de children) e dei gruppi antirazzisti (Arci, Experia, Rete antirazzista, Rifondazione comunista) che chiedevano di garantire ai migranti assistenza e informazioni sulle procedure per l’ottenimento dello status di rifugiato, mediante un incontro con un mediatore culturale e un legale. Si esigeva unicamente il rispetto dei diritti umani e civili, e proprio questo è stato rifiutato dalla Prefettura e dalla Questura, cioè da chi dovrebbe assicurare la tutela di tutti e la pubblica sicurezza.

Nonostante i tentativi di resistenza delle organizzazioni antirazziste (dal blocco dei pullman carichi di migranti all’occupazione dei varchi di accesso per la sala imbarchi in aeroporto), e nonostante la promessa giunta in extremis dalla Prefettura di una accurata identificazione dei migranti in presenza di un legale dell’ARCI e di un mediatore culturale, sono stati tutti rimandati come pacchi al Cairo. L’identificazione promessa dalla Prefettura non c’è mai stata! Tutto un enorme bluff, concertato dagli organi preposti, perché il decollo avvenisse, secondo le direttive del Viminale, nei tempi stabiliti e con tutti gli immigrati a bordo, non uno di meno. E cosa hanno trovato in Egitto? Sono stati rinchiusi per diversi giorni in carcere tra abusi e violenze. Solo adesso si sa che erano tutti copti, cioè di religione cristiana e che provenivano dalla provincia di Assiut, roccaforte degli integralisti islamici e regno di cruente persecuzioni anticristiane. Speravano di poter ricevere da noi la protezione internazionale, speravano di poter avere diritto a vivere. Invece sono stati dati in pasto a non si sa quale futuro. Sonia Giardina

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Eguaglianza

“I miei venticinque anni di diritti negati” Sapienza a una manifestazione Cgil

Da 25 anni Giovanni Sapienza chiede alla CGIL di Catania di riconoscere i propri diritti di lavo ratore. Prima lo chiedeva con le buone, dal 2003 è passato alle vie legali, denunciando tredici anni di lavoro nero e cinque alle dipendenze di un datore di lavoro “irregolare” “Dal 1985 al 1998 – racconta Giovanni – ho lavorato senza contratto e senza tutele previdenziali nei locali della Camera del Lavoro di via Crociferi svolgendo diverse mansioni, dall’apertura e chiusura dei locali all’organizzazione di manifestazioni, al disbrigo di pratiche, al lavoro di centralinista fino a ricoprire incarichi di fiducia per conto dei segretari. Per 13 anni la mia regolarizzazione è stata puntualmente rimandata”. Nel 1998 Giovanni però dice basta e pretende di essere regolarizzato e di ricevere i contributi sociali passati. Subito la CGIL trova una soluzione, facendolo assumere dalla ditta di pulizie “Alizzi Grazia”, poi “Novalux”. Dipendente sì, ma solo sulla carta! Perché Giovanni continua a svolgere gli incarichi di sempre. Nulla è cambiato nelle sue giornate, ha però un contratto e una busta paga che prima non aveva, ma soprattutto, spiega Giovanni, “la promessa

che questa soluzione “momentanea” mi faccia presto diventare un “vero” lavoratore della CGIL”. 1998, 1999, 2000, 2001, 2002, … gli anni passano e nulla cambia. Nel 2003 Sapienza non ci sta più. Essendo un lavoratore della CGIL vuole essere riconosciuto come tale e decide di non presentarsi al lavoro in segno di protesta. La CGIL chiede subito con una lettera alla Novalux di “inibirgli” l’accesso in quanto “persona non gradita”. Qualche giorno dopo viene cambiata la serratura del portone d’entrata, poi arriva la lettera di licenziamento. Fallita la conciliazione, Sapienza fa causa alla CGIL che nega ad oggi l’esistenza di qualsiasi rapporto lavorativo (eccetto quello intercorso con la ditta di pulizie). Per la CGIL, Giovanni era solo un “simpatizzante ed un iscritto all’organizzazione sindacale ed un militante politico del PCI […] e che pertanto non ha mai avuto alcuna

retribuzione”. Dopo sette anni di vertenza, che cosa accadrà? Tutti i testi sono stati ascoltati; si aspetta la sentenza a fine aprile 2011. “E tu, Giovanni, cosa ti aspetti?” “Sono rimasto senza lavoro, senza soldi, abbandonato da mia moglie, lontano dai figli, con gravi problemi di salute, ma continuo a lottare perché vengano rispettati i miei diritti e perché episodi come questo non si ripetano più all’interno di un’organizzazione che difende i diritti dei lavoratori! Recentemente sono stato a Roma, presso la CGIL nazionale, con altri ex dipendenti del sindacato che hanno storie di licenziamento e irregolarità simili alla mia. Siamo stati ricevuti dal segretario Enrico Panini che si è impegnato ad esaminare singolarmente i nostri casi. Ora dobbiamo aspettare, aspettare che vengano riconosciuti i diritti che ci sono stati negati.” S.G.

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Ragusa

Peppe Drago via da Montecitorio Ma al suo posto va Pippo Gianni? Di male in peggio...

L’on. Peppe Drago, Pdi, si dimette da Montecitorio. Lo fa un attimo prima della votazione che doveva decidere sulla sua incompatibilità a causa di una interdizione dai pubblici uffici per una condanna per peculato. Il deputato, una volta fatta la conta dei voti, ha compreso che era meglio farsi da parte. Ripercorriamo la vicenda. Nella primavera del 2009 Peppe Drago, ras della provincia di Ragusa, riceve la conferma della Cassazione di una condanna a tre anni di carcere per peculato. L’Onorevole era stato condannato dai giudici della seconda sezione del tribunale di Palermo, come Giuseppe Provenzano che l'aveva preceduto a Palazzo d'Orleans, per essersi appropriato, senza rendicontare, fondi riservati alla Presidenza della Regione Sicilia. Fondi stimati intorno ai 123mila euro dalla Corte dei Conti che ha ordinato la restituzione alla Regione. Una condanna pesante quella che colpisce il parlamentare modicano che, comunque, non sconterà neanche un giorno di reclusione perché la pena è condonata. Le dimissioni di Drago sembrerebbero mettere il punto sulla carriera sregolata di Peppe Drago. Nasce Socialista e dopo gli scandali di Tangentopoli che colpiscono il partito di Craxi comincia la ricerca per una nuova casa. Viene respinto dalla Rete di Orlando, pensa ai Radicali e alla fine approda nel CDC di Casini, per poi confluire nell’UDC, dove la compagnia non gli manca (vedi Cuffaro). È dei giorni nostri il passaggio al Pdi, partito che appoggia Berlusconi. Drago si è giocata l’ultima chance ma Fli lo ha castigato. Nella sua onorata carriera Peppe

Drago può vantare un posto da Assessore regionale al lavoro, la Presidenza della Regione, il sottosegretariato al Ministro degli Esteri e varie poltrone e poltroncine. La sua carriera non presenta solo cariche di rilevo ma anche numerose ombre. Attualmente Peppe Drago è coinvolto, insieme ad esponenti dell’Udc ragusano, tra cui l’ex sindaco di Modica Piero Torchi, in un procedimento per riciclaggio di denaro e concussione. Il procuratore di Modica, Pulejo, ha riformulato le accuse del suo predecessore – rendendole note alla stampa - precisando l’associazione a delinquere allo scopo di commettere più delitti di concussione; abuso d’ufficio ed altri delitti contro la Pubblica Amministrazione connessi alla gestione del Comune di Modica e della Provincia regionale di Ragusa; riciclaggio del denaro e delle utilità provenienti da tali delitti. L’associazione, secondo il Pm Pulejo, fu promossa, costituta e diretta dall’Onorevole Drago. La trasparenza non è tra le caratteristiche dell’Onorevole e la sentenza della Cassazione non può che confermare questa tesi. Peppe Drago è riuscito, a Ragusa e non solo, a intelare un solido sistema di potere facendosi spazio tra il potere economicopolitico dei Minardo. È riuscito pure a mettere le mani sull’Università iblea. Ritorniamo ai giorni nostri perché c’è un’altra sorpresa. Se Peppe Drago avesse aspettato il voto e sarebbe stato colpito dai voti contrari il Pdi avrebbe perso un seggio. Mentre dimettendosi, prima di un voto dall’esito scontato, il partito di Mannino conserva un seggio. E il

primo dei non eletti è Pippo Gianni, chirurgo siracusano. Lo ricorderete per la celebre frase con cui commentò le quote rosa: “Le donne non ci devono scassare la minchia”. Ma Pippo Gianni non è solo folkrore e anche un politico con una carriera non proprio immacolata. Comincia facendo il consigliere comunale a Priolo Gargallo, piccolo paese del siracusano; poi sale fino ad indossare la fascia tricolore. Pippo Gianni è scaltro e ci sa fare. Ben presto, nel 1991, diventa deputato regionale nelle fila del Cdu. Due anni dopo vola a Roma, eletto a Montecitorio. Nel 2006 torna a Palermo e ci resta fino ad oggi. Ma questa onorata carriera è solo una faccia della medaglia. L’altra è molto meno onorevole: nel 1980 viene arrestato per traffico di droga, pare dopo essere stato fermato con alcuni componenti della cosca di Raffadali; viene assolto per insufficienza di prove. Nel 1994 ritornano per Gianni i guai giudiziari: è accusato di concussione e subito dopo di concorso in abuso d’ufficio. Alla fine dopo i vari gradi, nel 2000, racimola 3 anni con l’interdizione dai pubblici uffici per concussione. La cosa più preoccupante è che Gianni è stato citato, nel 1999, dal pentito Mannoia. Il mafioso dichiara che l’onorevole era uno dei medici amici di cosa nostra e aiutava i picciotti in carcere a simulare malattie per uscire o passare qualche mese in infermeria . Un altro pentito citerebbe Gianni addirittura nel quadro dell’omicidio di Mimmo Gala, imprenditore di Priolo. Insomma, Pippo Gianni ha un curriculum di tutto rispetto per sostituire una degna carriera come quella di Peppe Drago. Giorgio Ruta

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Fra cosche e affari

Ucciso in Canada l'anziano padrino del Ponte di Messina La caduta degli dei. The Sixth Family, la “Sesta Famiglia”, i Rizzuto di Montreal, prima gregari poi costola canadese dei potentissimi clan italo-americani dei GambinoBonanno, infine signori e padroni dei traffici di droga e delle grandi opere in mezzo mondo, un occhio puntato sul Ponte sullo Stretto di Messina, per la cui realizzazione erano pronti a scommettere sino a 6 milioni di dollari. Sotto il piombo dei nemici ancora senza volto, sono stati annientati vecchi e nuovi boss, reggenti e luogotenenti Il pomeriggio del giorno di San Silvestro del 2009, sei colpi di pistola per assassinare Nick Rizzuto junior, il primogenito di don Vito, il “padrino del Ponte”, in carcere negli States per un triplice omicidio avvenuto a New York nel 1981. Sei mesi più tardi è assassinato per strada nel cuore di Montreal il boss di origini agrigentine Agostino Cuntrera, affiliato all’omonimo clan dei Cuntrera-Caruana, soci d’affari dei Rizzuto in mezza Europa, nelle due Americhe e nei Caraibi. La sera scorsa, nella villa-bunker di Antoine Berthelet Avenue, la “strada della mafia” dove risiedono quasi tutti i capi e sottocapi delle cosche di Montreal, ad essere ucciso è l’ottuagenario Nicola “Nick” senior, il capostipite della “famiglia” Rizzuto. Il terzo attacco al cuore di don Vito, ormai solo, sconfitto; il segnale che si è conclusa la sagra della “famiglia” emigrata in Canada nel 1954 da Cattolica Eraclea (Ag), che in meno di 50 anni era riuscita a sfiorare il cielo con un dito. Originariamente, a guidare la mafia canadese era stato l’ex carpentiere e lottatore professionista Vincent Cotroni. Il mafioso di origine calabrese, soprannominato “Vic the Egg”, si era messo a disposizione sin dai primi anni ’50 dei maggiori padrini di Montreal dedicandosi al controllo del traffico di droga, delle estorsioni, della prostituzione e delle case da gioco. Nel 1970, ad Acapulco, Cotroni giunse a stringere un accordo con Meyer Lansky, personaggio di vertice della criminalità Usa sin dal tempo del proibizionismo. Con

Lanski, il mafioso italo-canadese pianificò una serie di investimenti in vista della ventilata legalizzazione del gioco d’azzardo in Québec. Meyer Lansky era a capo di casinò e bische clandestine negli States e nei Caraibi e sembrava godere di una pressoché inviolabile immunità da parte delle autorità, probabile effetto del ruolo di intermediario tra la Marina militare statunitense e Cosa Nostra per la “protezione” delle unità navali in sosta nei porti della costa atlantica, durante la seconda guerra mondiale. L’organizzazione mafiosa fu poi coinvolta nei preparativi di sbarco degli Alleati in Sicilia nel luglio 1943. Con Vincent Cotroni operava sin dal suo arrivo in Canada, Nicola “Nick” Rizzuto, un povero campiere che prima di sbarcare in nord America era stato alle dipendenze dei baroni Agnello, latifondisti che possedevano nell’agrigentino vaste proprietà immobiliari. L’incontro con Cotroni aprì in pochi anni a don Nicola le porte ad una vita finalmente agiata, le macchine di lusso, i ricorrenti viaggi negli Stati Uniti, un’abitazione nel cuore di Montreal, le migliori scuole per i figli. Nel 1972, a riprova dei consolidati rapporti di amicizia e di affari tra gli esponenti della mafia nordamericana e Cosa Nostra siciliana, Vincent Cotroni, Nick Rizzuto ed i rappresentanti locali delle famiglie Cuntrera-Caruana ricevevano in Canada Giuseppe Settecasi, a capo delle cosche mafiose dell’intera provincia di Agrigento. Il clima del tempo era pesantissimo, la

mafia siciliana era dilaniata da una guerra intestina che avrebbe consentito, qualche tempo dopo, la scalata al vertice dei Corleonesi di Riina e Provenzano. In una interminabile sequela di riunioni a Montreal, Epiphani, Hamilton e New York, Settecasi incontrò i principali esponenti della mafia italo-americana, tra cui Paul Castellano, Paul Violi, Giuseppe Cuffaro, Gerlando Sciascia, Angelo Mongiovì, Emanuele Ragusa. Motivo principale del viaggio di Settecasi, secondo le autorità canadesi, era stato quello di rafforzare i rapporti tra la mafia dei due continenti e ricucire una frattura all’interno dei gruppi criminali locali. Settecasi doveva appianare le divergenze sorte nella cosca rappresentata da Vincent Cotroni, tra Leonardo Caruana e lo stesso Nicola Rizzuto che aveva messo in discussione la sua nomina a capo mandamento. Il Rizzuto, in particolare, non gradiva la familiarità creatasi tra Vic Cotroni e il calabrese Paul Violi, in forte ascesa nel crimine canadese, anche grazie al matrimonio con Grazia Luppino, la figlia di Giacomo Luppino, boss originario di Castellace di Oppido Mamertina e rappresentante della “famiglia” Magaddino. Proprio il Cotroni, in quel matrimonio, aveva fatto da compare d’anello a Paul Violi. La pax mafiosa raggiunta grazie alla mediazione di Settecasi fu di breve durata. Nel 1975 Vincent Cotroni finì in carcere per essersi rifiutato di testimoniare davanti alla Commissione d’inchiesta del Parlamento canadese sul fenomeno mafioso. Paul Violi fu designato suo successore.

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Fra cosche e affari

Da Caracas, dove Nick Rizzuto era stato costretto a trasferirsi avviando un ristorante che aveva chiamato “Il Padrino”, fu organizzata la controffensiva militare contro il nuovo boss di Montreal. Uno dopo l’altro caddero tutti i sottoposti di Violi. La guerra di mafia fu spietata e nelle strade della metropoli canadese ci furono una ventina di omicidi. Poi, nel 1978, fu la volta dello stesso Paul Violi a finire assassinato all’interno del “Reggio Bar”, il locale che gestiva a Montreal e che era stato sede dei summit tra la mafia nordamericana e Giuseppe Settecasi. Per l’omicidio Violi vennero arrestati, tra gli altri, Agostino Cuntrera e Domenico Manno, entrambi legati a Nick Rizzuto. Tre anni più tardi, non migliore sorte sarebbe toccata all’altro antagonista dell’ex campiere di Cattolica Eraclea, Leonardo Caruana. Deportato in Italia perché bollato come “indesiderato” dalle autorità che lo sospettavano di traffico internazionale di stupefacenti, Leonardo Caruana fu ucciso il 2 settembre 1981 a Palermo dopo aver presenziato alla cerimonia nuziale del figlio Gerlando. A quelle nozze aveva partecipato come testimone della sposa il politico democristiano di Sciacca, Calogero Mannino. Anche l’anziano boss Settecasi finì vittima lo stesso anno di un plateale omicidio nel pieno centro di Agrigento. Era l’epilogo di una lunga guerra che aveva consacrato la nuova leadership di Nick Rizzuto nell’organizzazione mafiosa canadese legata alle più potenti famiglie siculo-calabresi. Si doveva attendere ancora qualche anno

perché in Italia si potesse comprendere appieno come erano andati mutando gli organigrammi dei poteri tra i “cugini” d’America emigrati in massa dall’agrigentino. Il 14 febbraio 1983, gli uffici della Criminalpol di Lombardia, Lazio e Sicilia concludevano l’indagine sulle attività di reimpiego dei profitti illeciti provenienti dal traffico di droga in varie società finanziarie e commerciali con sede a Milano. Scattava la famosa operazione Notte di San Valentino che individuava i collegamenti tra alcuni dei boss più noti di Cosa Nostra, immobiliaristi di grido come Luigi Monti ed Antonio Virgilio e personaggi gravitanti nel sottobosco politico ed imprenditoriale milanese. La fitta ragnatela di cointeressenze che sarebbe poi riemersa nelle indagini sulla scalata della mafia ai casinò del nord Italia, vedeva tra i maggiori indagati il boss Gerlando Alberti ’u paccarè, i fratelli Giuseppe e Alfredo Bono, Ugo Martello, Gaetano Fidanzati, Gaetano Carollo e Michele Zaza. Tra i destinatari dei mandati di cattura emessi dal giudice istruttore c’erano poi i componenti della colonia siciliana in terra canadese, quasi tutti i membri delle famiglie Cuntrera e Caruana di Siculiana, Antonio Mongiovì (il figlio di Angelo Mongiovì che aveva partecipato ai summit mafiosi con Giuseppe Settecasi), nonché il padrino Nicola Rizzuto ed il figlio Vito. L’inchiesta dei giudici di Milano aveva ricostruito i passaggi di droga lungo l’asse Sicilia-Sudamerica e i meccanismi di un colossale riciclaggio di denaro che toccava le principali piazze finanziarie del mondo, Svizzera ed Hong-Kong in testa. Nodi stra-

tegici della rotta degli stupefacenti erano il Canada, gli Stati Uniti (famiglie BonoBonanno) ed il Venezuela dove erano stati distaccati per conto dell’organizzazione Pasquale, Giuseppe, Alfonso e Paolo Cuntrera, nonché Antonio e Giuseppe Caruana. Lasciatosi alle spalle l’uragano della Notte di San Valentino, a metà anni ’80 l’anziano boss Nick Rizzuto decise di passare il comando della “cellula” canadese nelle mani del figlio Vito; fece ritorno in Venezuela, dove sarà arrestato nel febbraio 1988 e condannato a cinque anni di carcere per possesso di cocaina. Il 22 novembre 2006, Nicola “Nick” Rizzuto venne raggiunto da un nuovo mandato di cattura in Canada, nell’ambito dell’inchiesta denominata Project Colisee su un grosso traffico di cocaina che vede indagati una novantina di persone, tra i quali alcuni funzionari dell’aeroporto internazionale di Montreal che avrebbero utilizzato lo scalo per i trasferimenti di droga. L’organizzazione criminale avrebbe pure importato negli Stati Uniti enormi quantità di marijuana attraverso il parco naturale di Akwesarne. Nicola Rizzuto fu pure accusato di estorsione e gestione di scommesse sportive clandestine. Tre anni più tardi l’epilogo. Prima il dramma dell’assassinio dell’omonimo nipote. Poi la sua brutale eliminazione a 86 anni di età. Antonio Mazzeo Alle vicende della “famiglia” Rizzuto è dedicato il 2° capitolo di “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” di Antonio Mazzeo.

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Movimenti

Compagnia delle Lettere Srl Via Merulana 215 00185 Roma tel. 06.45426793 www.compagniadellettere.it

Verso il Primo Marzo 2011

L'anno scorso, con un tam tam partito da FaceBook, siamo riusciti a colorare l’Italia di giallo e a fare scendere in piazza oltre 300mila persone per dire NO al razzismo e alle politiche di esclusione, SI a un’Italia multiculturale e arcobaleno. Autoctoni, immigrati, seconde generazioni: abbiamo scelto di lavorare e manifestare insieme per superare la contrapposizione tra italiani e stranieri, tra “noi” e “loro”, questo schema che fa il gioco di chi punta a dividerci per calpestarci più facilmente. E la mixité, d’altra parte, è stata uno dei nostri principali punti di forza. L'anno prossimo vogliamo fare ancora di più! E pensando al 1° marzo 2011 (che non è così lontano), invitiamo scrittori e giornalisti, professionisti o no, italiani o “stranieri”, a inviarci dei brevi testi sul concetto di mixité e sulla necessità di andare oltre le parole che dividono per trovarne altre, nuove, che uniscano. Saranno raccolti in un libro che vedrà la luce alla vigilia del 1° marzo 2011. I diritti d’autore serviranno a finanziare il lavoro del comitato Primo Marzo. Mandate i testi (max 10 cartelle, su file) entro il 31 dicembre a: redazione@compagniadellelettere.it/ primomarzo2011@gmail.com (allegate una breve biografia, mail e numero di telefono). || 16 novembre 2010 || pagina 16 || www.ucuntu.org ||


Libera informazione

Al giornalista Antonio Mazzeo il Premio Bassani di Italia Nostra Prestigioso riconoscimento a uno dei più validi collaboratori di Ucuntu e altre testate civili

Il 13 novembre, nelle sale del Ridotto di Ferrara, è stato assegnato il premio nazionale “Giorgio Bassani” indetto da Italia Nostra nel decennale della scomparsa dello scrittore che fu presidente dell’Associazione dal 1965 al 1980. Si tratta della prima edizione del premio biennale destinato a uno scrittore/giornalista che si sia distinto per i propri scritti a favore della tutela del patrimonio storico, artistico, naturale, paesaggistico del nostro Paese. La giuria era composta da figure di spicco di Italia Nostra e da studiosi dell’opera e del pensiero di Bassani quali Anna Dolfi (Docente di letteratura italiana all’Università di Firenze), Carl Wilhelm Macke (giornalista e Segretario Generale di ”Giornalisti aiutano Giornalisti” di Monaco di Baviera), Alessandra Mottola Molfino (Presidente nazionale Italia Nostra, storica dell’arte e museologa), Gherardo Ortalli (professore di Storia medioevale all’Università di Venezia), Salvatore Settis (Consigliere Nazionale di Italia Nostra, Direttore della Normale di Pisa, archeologo) e Gianni Venturi (docente di Letteratura Italiana all’Università di Firenze). Il Premio è stato assegnato ad Antonio Mazzeo, con la motivazione: “La giuria, unanime, conferisce il Premio di Italia Nostra dedicato a Giorgio Bassani a Antonio Mazzeo per i suoi interventi coraggiosi in difesa del paesaggio e della legalità. Figura di grande rilievo nel mondo del volontariato non violento e pacifista, Mazzeo ha scritto pagine importanti contro le mafie del cemento e sullo scandaloso progetto del ponte di Messina. Italia Nostra ritrova nel suo lavoro lo spirito del proprio impegno etico e culturale”.

“COLGO L'OCCASIONE...” “DEDICO IL PREMIO A TUTTI I GIORNALISTI INVISIBILI, SPESSO GIOVANISSIMI, SPESSO PRECARI...”

Colgo l’occasione per ringraziarVi tutti per essermi stati vicini ed avermi seguito in questi anni d’inchieste giornalistiche. In particolare ringrazio la sezione messinese di Italia Nostra, da sempre in prima linea nelle campagne contro il Ponte sullo Stretto, e il Comitato regionale di Italia Nostra che ha presentato la mia candidatura per il Premio nazionale “Giorgio Bassani” di Italia Nostra. Un ringraziamento caloroso va a tutti gli organi di stampa, testate, siti web, blog, ecc. che hanno ospitato i miei articoli, condividendone e socializzando i contenuti. Sono stati veramente tanti, impossibile elencarli uno per uno, rischierei imperdonabili dimenticanze. Un loro elenco, spero completo, è stato inserito nel curriculum presentato alla prestigiosa giuria del Premio. Permettetemi altresì di ringraziare in particolar modo il Centro siciliano di documentazione antimafia “Giuseppe Impastato” senza il cui sostegno non avrei mai portato a termine la pubblicazione de “I Padrini del Ponte. Affari di mafia sullo stretto di Messina” e, ovviamente, la coraggiosa cooperativa di giornalisti di Alegre Edizioni di Roma che ha creduto nel progetto editoriale. Grazie poi a tutte le colleghe/colleghi che hanno recensito e/o visibilizzato il volume o con cui ho avuto il piacere di scambiare impressioni-interviste. Sono cosciente, come ho avuto modo di

affermare durante il mio breve intervento a Ferrara al ritiro del Premio, che non è stato tanto il mio lavoro ad essere apprezzato e valorizzato, quanto l’impegno di quei singoli, associazioni, organizzazioni politiche e sindacali e in special modo della “Rete No Ponte”, che in Calabria e in Sicilia si oppongono alla realizzazione del “Mostro sullo Stretto”. Il Premio “Giorgio Bassani” è uno splendido riconoscimento di Italia Nostra al movimento dei “no Ponte”, un sostegno a continuare nella lotta contro l’opera più devastante, criminale e criminogena mai progettata nella storia del nostro paese. Dedico il Premio a tutti gli “invisibili”, a quelle decine e decine di giornalisti, spesso giovanissimi, quasi sempre precari, che nelle terre del Sud rischiano quotidianamente la vita per esercitare il diritto di cronaca ed espressione, denunciando il sempre più asfissiante controllo criminale sul territorio e le risorse naturali. Ai fragili David in lotta contro i Golia della mafia del cemento, va tutto il mio riconoscimento e l’orgoglio di condividerne speranze e percorsi. Ferrara, 13 novembre 2010 Antonio Mazzeo

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Kultur

La nuova scuola padana a misura di trota Basta discriminazioni: vogliamo pari opportunità anche per i coglionazzi caproni e ignoranti

La madre del politico più bestia d'Europa propone un nuovo modello scolastico: un anno di studi in meno e solo 20 ore di lezione obbligatorie a settimana. Finisce l'era dell'intelligenza istruita, vince la furba ignoranza padana Grazie all'incontro con un gruppo di giovani studenti di buona famiglia che bazzicano nei centri di recupero anni scolastici, ho avuto una chiara e lucidissima visione del futuro culturale del paese: "Io non farò un cazzo fino ai 18 anni, adesso voglio uscire e stare con gli amici, tanto non ho problemi perché vengo da una famiglia ricca, e nel mondo chi ha i soldi comanda e non c'è mica bisogno della scuola per riuscire nella vita, non c'è neppure bisogno di applicare l'intelligenza, mica si consuma, quelli che sono in televisione pieni di soldi secondo te quanto hanno studiato"? Un ragionamento che non fa una grinza, e che sembra assurdo solo a noi che siamo stati plagiati col mito dello studio come crescita interiore per la promozione individuale e il riscatto sociale, mentre attorno a noi il mondo premiava gli ignoranti che si

dimostravano abbastanza furbi da fregare anche i più istruiti, purché fossero abbastanza ingenui e fessi. Per fortuna c'è chi sta mettendo fine a tutta questa retorica da libro Cuore, per tracciare i contorni della nuova scuola del terzo millennio: un luogo talmente democratico dove perfino ai più ignoranti coglionazzi si garantisce la possibilità di diventare assessori regionali. L'annuncio è stato dato nel corso di un convegno organizzato dalla scuola Bosina di Varese di cui avevamo già parlato su queste pagine, l'istituto fondato dalla moglie terrona di Umberto Bossi e foraggiato con quei finanziamenti discrezionali affidati da Roma Ladrona ai signorotti locali, soldi che al nord servono a pasturare i feudi elettorali della Lega. La ricetta del Carroccio per "risanare la scuola" è molto semplice: un anno in meno di scuola per il diploma, e solo 20 ore obbligatorie di scuola alla settimana. Il tutto è condito dalle minchiate di sempre, come il "federalismo scolastico" con l'assegnazione alle regioni dei pieni

poteri sulla scuola. Completano il sogno scolastico padano deliri come l'assunzione di personale a livello "locale" (basta con i bidelli calabresi in riva al Po!), e i soliti imbrogli che rimpinguano le casse del vivaio di Mamma Trota e di altri allevamenti scolastici di cernie, tipo il dirottamento dei finanziamenti pubblici alle scuole "parificate", e chi se ne frega della costituzione e della libertà scolastica vincolata all'assenza di oneri per lo stato. Ma in realtà tutti questi progetti nascondono un grande e inconfessabile sogno di rivincita e libertà: è da secoli che gli ignoranti cercano la loro rivalsa sulle persone istruite, e finalmente si intravede all'orizzonte un'era in cui anche le più colossali teste di minchia potranno diventare i capi del mondo, e i ricchi padani non dovranno più preoccuparsi se i loro figli sono delle capre ignoranti, stupide e illetterate: li educheranno in casa alla scuola della furbizia. U.A. www.mamma.am

|| 16 novembre 2010 || pagina 18 || www.ucuntu.org ||


Cittadini

Permette cinque domande, signor vicequestore? Ecco cosa chiederemmo a Emanuele Ricifari, il funziona rio che ha ordinato le cariche ai cittadini sotto la gru

Sin da quando ho visto il video di Brescia mi sono chiesto chi fosse il protagonista, perché avrei voluto fargli alcune domande. Ora che il nome del personaggio in questione è emerso dalle cronache, ecco qui una bella lettera aperta: Prima domanda: di fronte ad un assembramento spontaneo di cittadini puoi fare tre cose: 1) lasciar correre e guardare da un'altra parte (non sarebbe la prima volta che avviene: accade spesso negli stadi). 2) Gestire intelligentemente la situazione di piazza con modalità dialoganti che non innescano escalation di scontro, permettendo di esprimere un dissenso con limiti chiari e definiti (potete arrivare fin lì, non posso consentirvi di fare questo, al primo danneggiamento ordino una carica e cose del genere). 3) Disperdere i cittadini senza sentire ragioni con violente cariche dei poliziotti ai tuoi ordini. La domanda è questa: perché tra tutte le alternative hai scelto la più stupida? Seconda domanda: non capisci che scegliendo la strada del pugno di ferro e dimenticando il diritto a riunirsi dei cittadini stabilito dalla costituzione all'articolo 17 hai provocato solo violenze per strada, ulteriore danno di immagine alle forze di Polizia, e addirittura paura per la tua famiglia che è stata minacciata senza nessuna colpa, solo perché tu hai fatto male il tuo mestiere gestendo una situazione di ordine pubblico con cittadini disarmati molto peggio di come avrebbe fatto l'ultimo dei celerini ai tuoi ordini abituato a gestire gli ultrà armati

di spranghe? Terza Domanda: perché in questo video al minuto 0:19 ti scattano i nervi e urli "andate via sennò vi carico?" non sarebbe stato più intelligente prolungare il dialogo, anche in considerazione del fatto che davanti a te c'era solo gente disarmata che stava protestando perché era convinta del proprio diritto a manifestare solidarietà ai migranti arrampicati sulla gru? Chi ti ha insegnato nel tuo percorso di formazione che la cosa giusta da fare in questi casi è caricare immediatamente dei cittadini pacifici cancellando ogni spiraglio di negoziazione con chi vuole protestare? Quarta Domanda: Perché al minuto 1:17 dello stesso video, di fronte alle reazioni di una signora anziana arrabbiata hai ordinato ai celerini "portatela via" ? Non immagini che di fronte all'arresto di una signora anziana per resistenza a pubblico ufficiale si sarebbero potute innescare delle reazioni imprevedibili da parte delle persone presenti? Perché non hai semplicemente mollato la presa per far calare la tensione come era tua precisa responsabilità? Se proprio ci tenevi ad arrestare quella vecchietta solo perché aveva reagito ad un tuo ordine che le sembrava ingiusto (andate via o vi carico) potevi dire alla Digos di fotografarla per poi identificarla in un secondo tempo. Perché ti sei accanito così tanto contro quella persona? E' la normale procedura o ti sono saltati i nervi? Se è la normale procedura, pensi che sia una procedura efficace? Se ti sono saltati i nervi, pensi che il tuo addestramento sia stato adeguato? Al minuto 1:31 hai detto

agli agenti "portate via questo signore", indicando una persona disarmata e a viso scoperto che era intervenuta a difendere la vecchietta. Come mai era proprio indispensabile "portarlo via"? Perché quando i cittadini si sono rifiutati di consegnarti l'anziana vecchietta che si era messa a urlare tu hai ordinato di caricare tutti quanti? Quinta domanda: ma al di là di tutto questo, c'entrano qualcosa con i tuoi atteggiamenti le tue idee politiche, la tua personale antipatia per ogni forma di protesta anche legittima, il fatto che pur militando nel sindacato Siulp hai voluto affossare con la deplorazione e l'espulsione il ventenne Matteo Federici espulso dalla Polizia per aver espresso le sue opinioni, riconoscendo alcune ragioni dei movimenti contro la globalizzazione? C'entra qualcosa il fatto che in quel procedimento disciplinare tu abbia agito contro il tuo sindacato appoggiando il voto di Mattia La Rana, direttore della scuola di Polizia di Piacenza dove tua moglie è stata vicedirettrice fino all'11 novembre scorso? Attendo cortesemente una tua risposta, e sin da subito ti esprimo la mia umana solidarietà contro le violenze verbali ricevute da te e dalla tua famiglia, non prima però di aver espresso la mia umana solidarietà verso tutte le persone che quotidianamente subiscono violenze fisiche, morali e abusi di potere da parte di rappresentanti dello stato chiaramente non all'altezza delle responsabilità che gli sono state affidate. Distinti saluti Ulisse Acquaviva www.mamma.am

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Schegge di storia siciliana

Repubbliche rivoluzioni resistenze ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: antimafia: ma forse non siamo d'accordo. d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persone persone comuni. E tutte diventano anch'esse anch'esse storia, prima o poi. Comunque, Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, attualissime, siciliane << Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie schegge le facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >> eliocamilleri@libero.it REDUCI E RIVOLUZIONARI I ragazzi siciliani che ebbero la sorte di tornare a casa dal fronte della prima guerra mondiale erano diventati straordinariamente più ricchi perché per la prima volta avevano avuto la possibilità di apprendere, di sapere, di conoscere dai loro coetanei delle altre regioni modi di vita e di lavoro radicalmente diversi e sicuramente migliori di quelli che loro e i loro padri avevano sempre vissuto. Erano tornati anche più forti perché avevano capito che con la rassegnazione non si cambia niente, ma che con la lotta organizzata contro i padroni si poteva costruire un avvenire diverso; la Patria, inoltre, aveva già loro promesso le terre e allora si trattava di lottare perché la Patria la mantenesse questa promessa, altrimenti... altrimenti bisognava fare “come in Russia, cioè la Rivoluzione. La Patria mantenne la promessa, infatti “il decreto Visocchi (2 settembre 1919), integrato da un successivo decreto del Falcioni (22 aprile 1920), consentiva la concessione di terre incolte o mal coltivate, in varie forme tra l’affitto temporaneo e l’enfiteusi a cooperative o leghe regolarmente costituite o riconosciute idonee da apposite Commissioni provinciali”. (Marino. Storia della mafia. Newton Compton. 2006) I reduci – rivoluzionari organizzarono le loro cooperative “tricolori” e, in concorrenza con le altre “socialiste” e “cattoliche” tentarono di abbattere il secolare strapotere

dei padroni del latifondo. La lupara nera ed il giovane commissario di polizia Ettore Messana decapitarono il movimento contadino approdato alle posizioni rivoluzionarie espresse da Nicola Alongi e Giovanni Orcel, consumarono orribili stragi (l’8 ottobre 1919 a Riesi con 19 morti e 50 feriti, il 27 luglio 1920 a Randazzo con 9 morti, appena un giorno dopo, a Catania, durante un comizio ci furono 6 morti e 40 feriti, altri tre morti a Gela, due a Centuripe e quattro a Comiso. Poi arrivò il fascismo che voleva sconfiggere la mafia... e questa è stata già un’altra “scheggia” (cfr. “Il prefetto di ferro”). W S.GIUSEPPE W REPUBBLICA L’Europa si stava preparando a scatenare una guerra che poi sarebbe stata la prima mondiale, l’Italia stava vivendo la “settimana rossa”, il socialista Nenni e l’anarchico Malatesta incitavano alla Rivoluzione ed alla proclamazione della Repubblica. Era il mese di giugno del 1914 e si diceva che sarebbe bastato un pretesto per provocare la sollevazione popolare, ma, in giro per l’Italia, essa rimase un sogno, una esile speranza facile a spegnersi. In fondo al più profondo Sud, a Riesi, quella spranza non si spense perché Giuseppe Butera ed i suoi compagni socialisti pensarono di utilizzare la festa di S. Giuseppe per abbattere il potere dei padroni delle terre, delle zolfare e proclamare la Repubblica.

Il pomeriggio della domenica era stato dedicato alla processione e le Confraternite dei Sangisippari, Matriciari, Rosariari e Crocifissari con le tuniche bianche, le mantelline, i vessilli e gli stendardi celesti, rossi, verdi ne avevano colorito le avanguardie, ma il lunedì era da sempre riservato alle bancarelle, alle giostre al gelato in piazza, al concerto della banda e ai giochi d’artificio. Quel lunedì sera del 27 luglio 1914 la piazza era stracolma di gente e “Ad un tratto, sono le 23,30 circa, manca poco più di mezz’ora alla mezzanotte, anche i più distratti avvertono che la musica è cambiata, le note che provengono dal palco non sono quelle famose e conosciute ai più di arie orchestrali e di opere classiche, ma quelle orecchiabili e festose dell’Inno dei Lavoratori: Su! fratelli, Su! compagne, su! Venite in fitta schiera; sulla libera bandiera, splende il sol dell’avvenir” (G. Testa. La Repubblica di Riesi. Pallade Editrice.1995) Il palco si affollò di socialisti, accorsero Regi Carabinieri, soldati e poliziotti e fu un trambusto che si propagò nella piazza e per le strade; per aria si spararono dei colpi e gruppi di manifestanti sventolarono bandiere rosse con la scritta ricamata “REPUBBLICA DI RIESI”. Una di esse fu issata sul campanile. Con la luce del giorno nuovo arrivarono i rinforzi e si ristabilì il vecchio ordine: agrari e ricchi borghesi, che nella notte della Repubblica erano fuggiti, sarebbero tornati, come la Monarchia.

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Schegge di storia siciliana

“ASSALTO AL LATIFONDO” Gli interessi dell’alta mafia furono seriamente minacciati dall’annuncio dell’“assalto al latifondo”, lanciato da Mussolini nel luglio del 1939 con un discorso carico di enfasi in cui si definì il latifondo “tempo di vergogna e inciviltà, da chiudere definitivamente per trasformare la Sicilia in una terra libera e pura per sempre”. Il 2 gennaio 1940 il piano partì: si trattava di rendere fertili le terre incolte o malcoltivate con l’aiuto dei fondi e delle provvidenze del regime senza, tuttavia, alterare i titoli della proprietà latifondista. Il piano non fu “un provvedimento riformatore, almeno nei termini che oggi intendiamo. Non lo era in senso sociale, perché non colpiva il latifondo con opportuni espropri e non dava la terra ai contadini. Non lo era in senso economico, perché il nuovo ordinamento non apportava modifiche di sostanza nel sistema agrario esistente”. (Renda, Storia della Sicilia. Vol. III. Palermo. Sellerio.1999) I padroni delle terre erano costretti ad assegnare direttamente ai contadini piccoli e/o medi appezzamenti di terreno, denominati “colonie migliorative” con contratti di mezzadria; in caso di rifiuto avrebbero perso il titolo di proprietà perché il neo istituto “ad hoc”, l’“Ente di colonizzazione del latifondo siciliano”, si sarebbe dovuto sostituire al proprietario e trattare direttamente con il contadino.

Di fatto, non accadde nulla di quanto minacciato: l’Ente “dedicò la sua attività soprattutto alla costruzione di stradelle interpoderali, abbeveratoi per animali […] circa duecento case coloniche e una decina di borghi rurali. […] In concreto i grandi baroni godevano ancora di “amicizie” e di “influenze” più che sufficienti per sottrarsi sia agli obblighi di legge sia alle sanzioni previste per le inadempienze”. (Marino, Storia della mafia. Roma. Newton Compton. 2006) Anche se l’assalto al latifondo rimase, in gran parte, sulla carta, la mafia tutta diventò antifascista e si preparava a “trattare”, caduto Mussolini, con con la nuova classe dirigente. IL PROF CHE DISSE NO AL DUCE Cominciavano a battere le mani sui banchi e i piedi per terra ed il silenzio dell’aula dell’Università di Milano era attraversato dalle insistenti molestie del solito gruppo di studenti fascisti. In cattedra il prof. Giuseppe Antonio Borgese, siciliano di Polizzi Generosa, tentò di rimanere concentrato e di sollecitare l’attenzione degli altri studenti, ma ai rumori seguirono gli schiamazzi, gli scherni, le minacce e la conseguente fine della lezione. L’increscioso episodio si ripeté altre volte perché quei giovani fascisti non accettavano che uno dei più quotati intellettuali italiani, un illustre critico letterario, saggi-

sta e romanziere non esprimesse lodi ed ammirazione per il Duce e consenso esplicito per il fascismo. Borgese, infatti, colpito profondamente dal macello della prima guerra mondiale, si adoperò, anche concretamente, a costruire la pace con uno spirito completamente diverso da quello adottato a Versailles ed estraneo al mito della “vittoria mutilata” di matrice dannunziana. Nel maggio del 1931 alle intimidazioni seguì un pesante pestaggio e Borgese, a 48 anni, avvertì sulla pelle l’infinita violenza fascista che pretendeva di stringere il pensiero come in una gabbia. Accolse l’invito della California University a tenere un ciclo di conferenze e nel luglio dello stesso anno s’imbarcò per Los Angeles. Appena un mese dopo “Il rifiuto di prestare giuramento al regime in quanto professore universitario concluse in modo definitivo i contrasti con il fascismo, e lo trovò ormai in esilio negli Stati Uniti d’America”. (G. A. Borgese. Peccato della ragione. A cura di Dario Consoli. Catania. Prova d’Autore. 2010) Dimostrò, infine, sia all’inizio che al termine del secondo conflitto mondiale, la sua viva ed immutata aspirazione per la pace, lavorando per la istituzione di un “governo democratico globale”, che gli procurò, nel 1951, la proposta per il Nobel per la pace.

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Quartieri

I “carusazzi da Barrera” fra piazza e Facebook Su Facebook si chiamano“I carusazzi da Barrera”. Giocano a calcio in uno dei quartieri a rischio di Catania, tra piazza Vicerè e i Salesiani. Hanno tra gli undici e i quattordici anni Uno di loro, Gabriele Russo, mentre saltava su un gonfiabile montato in piazza è caduto, si è rotto due vertebre cervicali e ha una lesione al midollo, tanto che è attualmente paralizzato dal collo in giù. “I giornali hanno scritto che lui è caduto per terra, ma invece si è gettato sul gonfiabile che però era incustodito, visto che erano le dieci e mezza di sera, e siccome ha fatto una capriola su una parte sgonfia ha sbattuto su dei ferri che c'erano sotto e si è fatto malissimo. Ora non si muove più”, ci dice Carlo, un ragazzino fin troppo altro per i suoi undici anni, occhiali spessi, non riesce a stare fermo e saltella da un piede a un latro. Ci troviamo su un angolo della piazza. Carlo ci indica il gonfiabile in lontananza. Gli chiedo se qui, nel quartiere Barriera, c'è delinquenza: “Ce n'è un sacco. Io ad esempio giocavo con dei ragazzi della mia età, ma mi sono allontanato perchè facevano i malandrini. Facevano i vandali e tante altre cose”, “Cosa?”, “Altre cose”, fa e sorride, “Ora vado all'oratorio. Lì c'è un ambiente più protetto, gioco a calcio e sto più tranquillo. Ma anche lì entrano adulti, si prendono la questione e i preti dicono solo: se dovete litigare fuori da qui”. Gli chiediamo perchè ci sono così tanti

ragazzi che prendono la mala strada e poi magari diventano pure mafiosi: “La strada, quello che li rovina è la strada. Se fossi sindaco, con la fascia tricolore al petto, io costruirei delle giostre o tanti oratori dove potere giocare, perchè sulla strada i ragazzi vedono quello che fanno gli adulti e li copiano, e sono senza controllo. Ma io l'ho lasciata la strada, me l'ha detto mio padre che dovevo allontanarmi, ma se non ci fosse stato mio padre sarei ancora lì e non so come mi sarebbe finita”. Non ride più Carlo. E' serissimo. Ha soli undici anni ma ne sa più del sindaco della sua città. “Secondo me sono i film che rovinano i ragazzi, perchè gli danno il cattivo esempio”, mi dice Francesco, dodici anni, mauriziano nato a Catania e con accento catanese, “Prendi 'Il capo dei capi' o 'Romanzo criminale', loro vedono 'ste cose e poi quando escono di casa provano ad imitarlo”. Sono le stesse parole che due anni prima ci aveva detto un macellaio di San Cristoforo, il quartiere di Nitto Santapaola: “Queste cose non dovrebbero farle vedere. Danno un esempio sbagliato”, disse mentre tagliava a fette dei polletti su un bancone del mercato di via Belfiore. Carlo ricomincia a saltare da un piede a

un altro e urla: “Non è vero, non sono i film, perchè se non sei cretino lo capisci che quelle cose non le devi fare”, “Cosa?”, “Quelle cose... ammazzare la gente, rubare. Brutte cose”. Giorgio tiene un pallone sottobraccio “Qui la polizia si vede ogni tanto. Fanno alcuni giri e un posto di blocco più in giù, sempre”, e Carlo, stavolta immobile, quasi sussurando, ci guarda attraverso i suoi occhiali spessi, è più alto di noi, “In piazza io mi gioco tutto, pure il cuore, che la sera spacciano droga e la consumano. Ma mai una volta che abbiano fatto un posto di blocco qui, in piazza!”, “Oh parla piano”, gli fa un altro ragazzo che si avvicina in bici, “Sì lo so, di questo non dobbiamo parlare”. Il ragazzo che sta in sella a una bici si chiama Cristian, anche lui è mauriziano ma è catanese d'adozione. Ha già capito tutti i meccanismi, “Sotto casa mia passano sempre con alcol e droga. Sempte”. Gli chiediamo se hanno fatto i compiti per l'indomani e loro ricominciano a ridere. Carlo riprende a saltellare da un piede a un altro e dice: “Certo, io sempre li faccio i compiti!”, e va via. G.S. I Cordai

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Società civile

Addiopizzo un modo per agire Da questa settimana Addiopizzo Catania ha uno spazio fisso su U’Cuntu. Una rubrica fatta di riflessioni, storie e notizie sul pizzo e l’antiracket. Si comincia con Angela che, non ancora socia, spiega cosa fa l’associazione e perché l’ha scelta Catania, 1 luglio 2010: una studentessa della facoltà di Lettere e Lingue viene colpita da un proiettile vagante. Il proiettile non è destinato a lei, ma è esploso per regolare dissidi personali tra due uomini. L’uomo che ha fatto fuoco è stato individuato grazie alla descrizione dettagliata di un ragazzo, che come tanta altra gente del quartiere e non era presente al momento dell'accaduto. Il ragazzo viene definito “eroe”, poiché, a differenza di altri, si è fatto avanti senza timore tracciando l'identikit. Eroe? Nulla da togliere a questo studente che sicuramente per l'ambiente in cui viviamo può essere definito tale, ma il problema è proprio questo: non è accettabile vivere in una società nella quale chi fa semplicemente il suo dovere e ha un minimo di senso civico viene definito eroe, una società che abbassa lo sguardo o volta la testa, pur di non vedere quanto di sbagliato succede, è inammissibile. Il sentirsi dire: “Zitto, cosa stai facendo? Fatti gli affari tuoi!” è inammissibile. Non si può vivere in una realtà dove è normale assistere, senza batter ciglio, a delle sparatorie in pieno centro città e dove

il mafioso di turno può dispensare soprusi indisturbato. È facile indignarsi e puntare il dito contro l’omertà di qualsiasi specie essa sia o contro la mafia, lamentarsi, dire che così non si può andare avanti, ma che comunque le cose non cambieranno mai. Bisogna fermarsi un attimo a riflettere: noi di fatto cosa facciamo per cambiare le cose? Questa è la domanda che mi sono posta. Cosa faccio io realmente per cambiare le cose? Questo interrogativo mi ha spinta a guardare intorno e a cercare di partecipare attivamente alla vita della città in cui vivo, così mi sono imbattuta in Addiopizzo. L’associazione, in primo luogo, sostiene i commercianti che non si sottomettono al racket delle estorsioni, in secondo luogo incita i cittadini ad effettuare un consumo critico, ovvero favorire e sostenere chi non finanzia la mafia. Di base vi è un progetto di legalità su più fronti, focalizzato in particolare sull’ informazione, la cui finalità è quella di far cadere i luoghi comuni che ci circondano. P er fare ciò vengono organizzati nelle

scuole incontri in cui partecipano anche magistrati, dove vengono riportate le testimonianze degli imprenditori che hanno denunciato i loro estorsori. Questi incontri di legalità sono utili per spiegare e far capire ai ragazzi che chi denuncia non è solo. Chi chiede il pizzo si fa forte del nome che rappresenta e della paura che questo incute. Una paura che deriva dalle ritorsioni che può subire e dall'isolamento nel quale si può venire a trovare chi ha il coraggio di denunciare. L’associazione svolge un ruolo importante proprio perché sta a fianco di tutti coloro hanno deciso ribellarsi: è importante sapere che c’è qualcuno che ti sostiene e che non sei solo. Dovremmo, anzi dobbiamo indirizzarci ad un'educazione del genere: è compito di tutti noi stare vicino e sostenere chi giornalmente si trova ad affrontare e combattere determinate situazioni che non appartengono solo a loro, ma a noi tutti. L'indifferenza uccide e qui si tratta di un suicidio. Angela Bellomo

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Libri

“Spezzare il giogo dei silenzi” In Italia il vero peccato non è il male, ma raccontarlo. Perciò i giornalisti che si ostinano a far bene il loro mestiere rischiano. Additati (anche da certi colleghi) come “marziani”, devono mettere in conto robusti tentativi di uccidere la loro personalità ed il loro lavoro. Quando poi osano l’inosabile, cioè esplorare e rivelare il lato nascosto del potere mafioso (quello che si vuol tenere fuori di ogni scena pubblica; quello dei rapporti torbidi con settori della

politica, dell’economia e delle istituzioni), rischiano anche fisicamente la vita. La storia tragica di Pippo Fava è la dimostrazione di tutto ciò. Nello stesso tempo è una dura condanna per coloro (e sono tanti ancora oggi, in ogni campo professionale) che invece di provare a spezzare il giogo dei silenzi e degli accomodamenti, si accontentano di una sorta di connivente ipocrisia civile. Gian Carlo Caselli

Massimo Gamba “II Siciliano Giuseppe Fava, antieroe contro la mafia” Sperling & Kupfer, pagg.256, € 17

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Giornali

“Spezzare il giogo dei silenzi” Il Clandestino Modica e Ragusa Casablanca Internet e dintorni Napoli Monitor Napoli, Vicolo Sanità

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Movimenti

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