Ucuntu n.98

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E buon Natale A pochi chilometri di distanza, in un paesino mafioso, vivono – o vivevano - due esseri umani. Uno è un onorevole e vende a caro prezzo il suo voto. L'altro è un ragazzo rumeno e viene ammazzato a luparate (per mafia o per razzismo, non si sa) nella sua baracca. Altro che “politica”. L'Italia è questa

e Jack Daniel Canto di Natale e

GIOVANNI CARUSO QUARTIERI SEBASTIANO GULISANO STUDENTI FRANCO CAFEO NAVI FANTASMA ANTONIO MAZZEO BIG BARCELLONA ANTONELLA SERAFINI CRONACHE PROIBITE || 22 dicembre 2009 || anno III n.98 || www.ucuntu.org ||


Società civile

22 dicembre Un patto fra generazioni

Il 22 dicembre abbiamo un’occasione straordinaria di ritrovare noi stessi e riallacciare un rapporto con la generazione di giovani che coraggiosamente sta cercando di immaginare un paese e una società diversi da quelli che ci vuole offrire la politica. Abbiamo, noi adulti, la possibilità di riempire i vuoti che da più di sedici anni abbiamo lasciato chiamandoci fuori dall’esserci in prima persona. Questa generazione che oggi riempie le piazze ci sta indicando quanto noi stessi siamo stati assenti. E come la nostra assenza e rinuncia abbiano creato quella solitudi-

ne, quella frustrazione, quella rabbia che è esplosa. Una frustrazione che non abbiamo capito, che non capiamo, e che invece ci appartiene e di cui in parte siamo responsabili. Totalmente. Perché quella rivolta che vediamo oggi è atto di difesa da parte di chi si vede sottrarre futuro, identità e partecipa-

zione. Un atto di difesa che noi non abbiamo esercitato quando avremmo potuto, prima che la situazione precipitasse. Noi saremo in piazza. Da testimoni. Senza voler insegnare nulla a alcuno. Ma lì, accanto a migliaia di giovani che contestano le politiche di questo governo sordo e cieco. Perché, e i nostri giovani ce lo stanno disperatamente urlando, è in gioco la tenuta sociale e legale del nostro paese. Noi saremo in piazza perché vogliamo impedire a chiunque ne abbia l’intenzione di ridurre il conflitto allo scontro fra giovani e polizia. La violenza non è una soluzione. Non lo è per chi si ribella a chi sta determinando la cancellazione di diritti fondamentali. Non lo è per chi crede che l’ordine pubblico sia una pax bellica. Rifiutiamo uno scontro fra giovani espulsi dalla società e lavoratori sfruttati e mortificati, poliziotti che ogni giorno lottano, per noi, contro la criminalità organizzata, la corruzione, la degenerazione della legalità per una manciata di euro e con sempre meno diritti contrapposti a ragazzi che chiedono un futuro. Noi rifiutiamo una guerra fra poveri mentre il potere si autoassolve. Saremo in piazza per testimoniare che nessuno può spezzare il legame che esiste fra generazioni, persone, lotte e desideri. Per impedire, con i nostri occhi, che vengano violati diritti e integrità. Di chiunque. Noi saremo in piazza per dimostrare che questo paese esiste ancora. Noi saremo in piazza perché la politica ufficiale non riesce a starci più in piazza. Anche per colpa nostra. Noi saremo in piazza, questa piazza che c’è stata restituita da una generazione che non ha abbassato la testa. Noi saremo in piazza per difendere la storia, i bisogni e le speranze di fin troppe generazioni umiliate, espulse, azzittite, da chi vuole cancellare, a colpi di forza e di strumentalizzazioni, l’unica cosa che ci tiene insieme come paese e società. Quel poco che resta di un comune senso di giustizia sociale. Il gruppo di lavoro de Gli Italiani www.gliitaliani.it

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Cronaca dei nostri giorni

Il politico e il ragazzo rumeno Uno vende i voti. L'altro piglia le luparate Da Barcellona Pozzo di Gotto - ridente cittadina tirrenica, ad alto tasso mafioso sono giunti alle cronache due nomi. Uno, a modo suo famosissimo, è Domenico Scilipoti, l'ultimo Giuda di quel povero cristo di Di Pietro e anche, indirettamente, di noi tutti. Pagine e pagine ha avuto, dai giornalisti di palazzo: ha esternato in tv le sue ragioni, ostentando disprezzo per quei trenta denari. L'altro nome è quello di un ragazzo rumeno di vent'anni, tale Petre Ciurar. Stava in una baracca lungo la ferrovia, con la moglie e un bambino di nove mesi, una di quelle baracche che periodicamente i barcellonesi più attenti alla politica nazionale vanno a incendiare con la benzina. Stavolta niente fiaccole, ma colpi di pistola e lupara: Petre è morto così (era in Italia da un mese: che “sgarro” aveva potuto commettere nel frattempo?), la donna è rimasta lievemente ferita e il piccolo, chissà come, del tutto illeso. I carabinieri indagano, non escludono mafia, ma più che altro pensano a un atto di “semplice” razzismo. La notizia è stata data dal corrispondente del giornale locale - non l'ha ripresa nessuno -, il giorno dopo è arrivata la notiziola (più breve) dell'autopsia, e poi non se n'è parlato più. Tutto questo è successo più o meno negli stessi giorni, e forse a pochi chilometri di distanza, in cui il buon Scilipoti faceva alta politica col governo. *** Ecco, di questo parliamo quando parliamo di questi giorni. Puoi morire così, a luparate e in silenzio, come un sindacalista anni Cinquanta, se sei un rumeno. Certo, c'è stata violenza quel giorno a Roma. Vetrine rotte, sassi gettati e altri atti sciocchi. Ma molta di più ce n'è stata, in quei giorni, a Barcellona. Quella contro Ciurar, sottouomo rumeno, senza diritti. E quella contro di me, cittadino italiano, con diritti, la

cui volontà elettorale è stata venduta e comprata da Scilipoti e Berlusconi. Di questo stiamo parlando quando parliamo di cosa fare. La violenza è pesante, la violenza dilaga, non son tempi normali. Chi ammazzeranno, il prossimo? Sarà un altro zingaro, o un negro? Che cosa mi ruberanno, la prossima volta? Già comprano e vendono i voti, già non mi fanno votare. Io i sassi miei a suo tempo li ho gettati (ma ero in compagnia ottima: Peppino Impastato, Rostagno) e ho le idee chiarissime su quando servire possono e quando sono solo uno sfogo. Adesso, con tutto il rispetto, non servivano. Non credo che ci vogliano gran prediche, neanche fatte da me che pure sono fra i più credibili perché non ho una lira in tasca. Credo che dobbiamo invece ragionare seriamente su come si sta in piazza nel 2010 in questa che, per noi bianchi, non è una società repressiva ma una società dell'imbroglio - non per “moderarsi”, per fare i bravi ragazzi, ma proprio per fare danno, per togliere consenso e forza al Berlusconi di adesso e ai berluschini che seguiranno subito dopo. Hutter, sul blog del Fatto, ha detto delle cose serie. Serie perché dette da Hutter, che non è un fighetto da dibattito ma uno che, ai tempi suoi e miei, ha affrontato i poliziotti cileni di Pinochet. *** Partiamo da un dato semplice: il governo è illegale. Perché? Perché compra i voti in parlamento. Non è una battaglia politica, quella di questi giorni – e già sarebbe nobilissima, coi ragazzini in piazza a difendere il maestro Manzi, il mio professore di greco, le tabelline insegnate al popolo, l'aritmetica e la grammatica, la Scuola. E' la disperata difesa del mio Paese, l'Italia, diverso dalla Libia di Gheddafi e dalla Russia di Putin. Per questo, non possiamo commettere errori.

Fra loro, fra i politici, non è successo niente. “Il governo può continuare”, “ha ragione Marchionne”, “mica vogliamo le elezioni”. Si accorderanno. Ma noi no, per noi non continua così. Rassegnati, routinati, di nuovo a mordicchiarsi a vicenda: così, per loro politici, è il giorno dopo. Bersani sotto assedio, i “rottamatori” che rottamano, Veltroni che aleggia e Fini e Montezemolo e Casini: di questo stanno parlando, questo è importante per loro. Ma per noi no, noi non possiamo affrontare un altr'anno così. *** “O le sassate o Casini”: questo, in estrema sintesi, ciò che ci sbattono in faccia i gattopardi. Ma noi non vogliamo né sfogarci coi sassi né regalarci a Marchionne sotto le vesti di Fini o Casini. Vogliamo un governo diverso, con una maggioranza reale. Perché non siamo affatto minoranza, noi, nel paese vero: siamo soltanto divisi. Vogliamo un governo serio, civile, democratico, più forte della Fiat e dei veri padroni. Non ce lo può dare il centrosinistra, non ne ha la forza da solo. Non ce lo può dare se si allarga a destra – dovrebbe tradirci, prima. Ce la può fare solo se si allarga sì, ma trasversalmente, saltando sopra gli apparati, unendosi alla società civile. Per questo ci serve una candidatura forte, una candidatura non “politica” ma sociale. Non l'uomo forte”, il salvapopolo (ce n'è già tanti) ma un Pertini. Non c'è lotta sociale più acuta di quella che conduciamo ogni giorno, noi antimafiosi, contro i poteri mafiosi. Poliziotti e compagni, operai e insegnanti, “moderati” e ribelli, qui e solo qui siamo nello stesso fronte, siamo uniti. Rostagno e Borsellino, La Torre e dalla Chiesa: ma non lo sentite cosa vi dicono, insieme, questi nomi? Perché non partire da qui? Di che avete paura? E' una cosa reale, questa, non un'utopia. Riccardo Orioles

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Periferie

Natale a San Cristoforo Se in una casa di poveri, a mezzanotte... Ipotizziamo che questo Natale la cometa di Betlemme, anziché, posarsi sulla, ormai conosciuta stalla, si posasse su una casa a pianterreno di un quartiere popolare al centro di Catania. Ipotizziamo che in questa casa, alla mezzanotte esatta del ventiquattro dicembre, nasca un bimbo nella povertà e nel degrado, avvolto in un vecchio maglione, su di un materasso con il solo calore del corpo di una ragazzina che chiamerà mamma. Così come descritta, questa scena sembra proprio “la natività” ma manca di alcuni personaggi da noi conosciuti secondo la tradizione popolare. Mancano il bue e l'asinello, sostituiti da una vecchia stufetta che ostenta calore, ma generosa, di una intensa luce rossastra. Manca un giovane uomo e padre, che tiene stretta la mano tremante di Giulia, come quella prima ed ultima volta che si amarono. Ma soprattutto mancano le genti che ascoltando le angeliche trombe, accorrono, per visitare e vedere il bambin Gesù. Semmai al posto di queste si sentono i ronzii dei motorini che vanno su e giu, e le urla e i vocii di un caos invadente. Non ci sono i Re Magi, ma c’è a za Rosa con un piatto di pasta fredda, inchiappulata, ma va bene così, si può mangiare.

C’è Cettina l’amica del cuore con un pentolino di latte caldo, servirà a saziare i primi vagiti del neonato, e infine, c’è la signora Anna a matri do pannitteri che porta a Giulia na mafaldina e quattru ciambelli ca ciciulena. Certo che se lo scopo era quello di strapparvi qualche lacrima, forse ci sono riuscito. Ma state tranquilli non vi rovinerò il "Santo Natale" con queste storie tristi, non vi rovinerò i pranzi e le luci di un illusorio benessere, di una felicità fatta di sorrisi e parole d’augurio, ma forse un po ipocrite..."siamo a Natale, dai non ci pensare ai tuoi problemi, alle prepotenze che subisci, su cosi di nenti “non pigghiari a pitrati ogni cani ca passa”! É Natale bisogna essere buoni! " E allora quella stella cometa non si è fermata su quella casa di San Cristoforo?... “ No, no, non si è fermata in quel basso...” “Ahhhh…meno male!” “Tutt’al più in tutte le case di San Cristoforo dove sta il degrado, la povertà e l’ingiustizia sociale. Perché così si avrà il significato vero della “notte magica” cioè il riscatto attraverso una “ribellione” che ci darà il diritto alla dignità.”. G.C.

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Periferie

Una scuola, un quartiere, una città Come ci rubano le scuole Catania. Ancora una volta, la giunta del podestà Stancanelli e la “super assessora” alle politiche scolastiche signora Cinquegrana hanno buttato giù la maschera, rivelando il volto dell’ incapacità e la malafede nella conduzione della cosa pubblica. Esprimiamo tale opinione dopo gli avvenimenti che stanno, e per l'ennesima volta, coinvolgendo in modo negativo l'istituto comprensivo Andrea Doria. Infatti, da fonti certe, sappiamo che un nuovo sfratto per morosità sta per colpire la scuola di via Cordai . I fatti sono questi: Il 7 settembre 2010 l'amministrazione comunale firma il nuovo contratto, di cinque anni, con la "congregazione delle suore orsoline", proprietarie del plesso in via Cordai che ospita l'Andrea Doria. Il contratto prevede il pagamento delle mensilità pregresse che sarebbero dovute servire per mettere in sicurezza parte della scuola. Nell'ottobre scorso la delibera che dava il via ai pagamenti, era ancora sul tavolo del sindaco, che prendeva tempo e non firmava. Solo dopo le legittime pressioni del legale che tutela gli interessi delle proprietarie,

avvocato Giuseppe Giuffrida, Stancanelli firma. Venerdì 10 dicembre arriva per conoscenza, presso la segreteria della Doria, un fax che preannuncia un nuovo sfratto per morosità; inoltre il documento fa sapere che il comune non ha pagato nemmeno un centesimo, senza alcun riguardo verso i nuovi accordi. Le mensilità non pagate ammontano a 154.000 euro. La nuova Dirigente scolastica dottoressa Grassia, confidando nei soldi che dovevano arrivare, ha giustamente pensato di rimettere a posto alcune aule utilizzate per la scuola materna,ma il ritardo, o forse mancato pagamento, non farà riavere i soldi anticipati dalla scuola. I guai, messi in atto da questa giunta truffaldina, non toccano solo il plesso storico di via Cordai, ma anche il plesso Giovanni Paolo II di via Case Sante (quartiere cappucini),dove gli alunni soffrono un gran freddo a causa di un impianto elettrico non capace di sostenere le stufe elettriche; questo è solo uno dei problemi che affliggono questo plesso, problemi già denunziati all’inizio dell’anno dal comitato dei genitori, guidato dal signor Castro. Infatti mel mese di Ottobre il comitato spedì una

lettera all’assessora Cinquegrana dove si elencavano le richieste dei genitori che chiedevano garanzie per la sicurezza e salute dei propri figli. Ma l’amministrazione comunale con la solita arroganza ha taciuto e tace ancora; ha preferito raccontare, attraverso il quotidiano cittadino quanto sono bravi e quanto sono belli. Ha preferito la passerella degli “stati generali” che sono serviti solo a sprecare soldi e distribuire consulenze Queste sono le odiose notizie che non avremmo voluto mai più raccontarvi e che accadono in una città devastata da una cattiva politica, da una cattiva amministrazione e da una mafiosità che si esprime in azioni come quella contro la scuola Doria. Giovanni Caruso www.icordai.it

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Una giornata così

Diario di un cronista Cos'è davvero successo il 14? Chi sono stati i “buoni”, chi “i cattivi”? Una storia di piazza con coda polemica, o qualcosa di più complicato? Roma, 14 dicembre, via Flaminia, ore 16,30. Poliziotto: «Se tornano gliele suoniamo di nuovo». Giornalista: «Speriamo che non tornino, allora». Poliziotto (sorriso smagliante): «Hanno perso e si sono arrabbiati». Altro poliziotto (capo chino, sconfortato): «Non hanno perso loro, abbiamo perso tutti». *** Prima delle 10 sto già in piazzale Aldo Moro, davanti alla Sapienza, dove gli universitari si sono dati appuntamento per il corteo odierno. Altri concentramenti sono previsti in piazza della Repubblica e in piazzale Ostiense, ma non si può essere ovunque. La piazza è gremita. Il corteo si muove verso le dieci e mezza: «Voi andate alla deriva, noi solchiamo il mare», recita lo striscione d’apertura, affiancato dagli ormai celebri “libri”, gli “scudi” di spugna che hanno caratterizzato i cortei italiani di questo autunno studentesco. Colpisce che in testa al corteo non ci sia il consueto servizio d’ordine di polizia, coi carabinieri in coda. Il centro è già blindato dalle primissime ore del mattino e, m’informa Pietro Orsatti, sulla Colombo era in corso una “esercitazione” dell’esercito coi blindati in strada. Brutta aria. A Castro Pretorio ci sono alcune centinaia di studenti senesi, in attesa. In piazza Indipendenza c’è già un imponente corteo di studenti medi, che ingrosserà quello degli universitari. Poco più in là anche un centinaio di universitari arrivati da Modena si aggiunge ai manifestanti. Facce sorridenti, slogan scanzonati e irridenti: «A Berlusconi non gli si drizza». Un

vero e proprio affronto per uno che ha accreditato, di sé, la leggenda del tombeur de femmes. Il corteo è un fiume in piena, si riversa su via Cavour e procede spedito verso il cuore della città. All’altezza di S. Maria Maggiore conquisto la posizione più rialzata, sullo spartitraffico, e il fiume non ha fine: imponente. Lo lascio sfilare per una buona mezz’ora, diventando isola in mezzo all’Onda che procede festosa. Continuo a non vedere la coda. Mollo la postazione e mi dirigo verso piazza Venezia, tagliando per vicoli. Ritrovo la testa del corteo, che intanto s’è ingrossato su via dei Fori Imperiali: «Noi la crisi non la paghiamo». Su via delle Botteghe oscure alcuni individui con casco e bandana sul volto assaltano un blindato dei carabinieri che ostruisce un vicolo che collega con via del Plebiscito. Uno riesco a vederlo bene, dietro la visiera abbassata ma trasparente: sembra abbastanza avanti negli anni, difficile che sia uno studente. Giovani studenti lasciano la testa del corteo e spingono via i facinorosi, gli gridano contro di «non fare casini». Vola qualche bottiglia all’indirizzo dei militari, ma gli studenti riescono a sedare gli animi surriscaldati degli sparuti lanciatori e si riprende la marcia. Squilla il cellulare: un’amica m’informa che il Senato ha respinto la sfiducia al governo. Voto scontato. Attendiamo l’esito della Camera, dopo la campagna acquisti. A Torre Argentina decido di tagliare e anticipare la manifestazione nei pressi della Camera. Errore. Il corteo si dirige verso Palazzo Madama e, in corso Rinascimento ci sono i primi veri scontri con polizia e carabinieri. Ma non li vedo, ero altrove. Pivello.

Raggiungo corso Rinascimento dall’altra parte dello sbarramento attorno al fortino del potere, una giovane donna parla con una poliziotta in assetto antisommossa, coi cellulari dei celerini a separarle: «Un suo collega mi ha rubato la macchina fotografica, l’avvocato mi ha detto che deve restituirmela, voglio sapere come si chiama». Poliziotta: «Non lo so, come si chiama». Donna: «Lei come si chiama?» Poliziotta: «Non glielo dico». Donna: «Lei è un giornalista?» Giornalista: «Sì. Cosa le è successo?» Donna: «Quando ci sono state le cariche ho fatto delle foto, ho visto dei celerini che inseguivano un manifestante in un vicolo, lo hanno raggiunto, sbattuto contro un muro e manganellato. Io fotografavo. Poi sono arrivati altri due celerini, uno alto come una montagna mi ha strappato di mano la fotocamera, un altro mi ha trascinata via di peso». *** La solita amica: «La sfiducia è stata respinta anche alla Camera: 314 a 311». La campagna acquisti ha funzionato. Barricati nel fortino assediato ma più arroganti di prima. Il Tappo Compratore esulta, si dichiara pronto ad allargare la cricca. *** Estraggo il tesserino dell’Ordine e buco la blindatura, intendo arrivare in via del Corso senza fare il giro della città. L’aria è distesa, poliziotti, carabinieri e finanzieri rilassati. In piazza Montecitorio una selva di giornalisti, fotografi e cameraman. Esce Tabacci, gli sciamano attorno in un flash. Arrivo all’incrocio di via del Corso con via Condotti e via Tomacelli, Quite. Poi spunta un blindato della Finanza, procede in retromarcia a velocità sostenuta.

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Una giornata così

Scatto e mi scanso velocemente per evitare che mi metta sotto. Lo guidava un incappucciato in borghese che, fuggendo, si gira e alza le braccia al cielo in segno di vittoria, concedendosi ai fotografi. Un finanziere corre su via del Corso, una muta d’incappucciati in nero lo insegue e lo raggiunge. Lo picchiano, lo calpestano. Sono lontano. (Su Repubblica.it vedrò che il finanziere aveva tirato fuori la pistola d’ordinanza. Ma non l’ha usata.) L’accorrere dei colleghi lo salva dalla furia degli aggressori. Accorrono altri militari. Lacrimogeni. Resisto un po’, ma non reggo a lungo: l’aria è irrespirabile, devo chiudere gli occhi. Trovo aria respirabile e quiete in un vicolo. Fuori infuria la battaglia. Le cariche si susseguono incessanti. Rientro in via del Corso con gli occhi che ancora lacrimano. Due poliziotti scortano una ragazzina catturata dopo le cariche. La scena si ripete una decina di volte: ragazzi e ragazze – senza caschi o cappucci e a volto scoperto, a differenza dei violenti che ho visto – vengono “scortati” verso il fortino. Uno ha il volto insanguinato. Un altro la mano imbrattata di sangue. Elicotteri svolazzano sulle nostre teste. Il corteo continua il suo percorso ignaro ed estraneo agli scontri. Un poliziotto impreca contro i colleghi per «tutti questi lacrimogeni! Non si respira!» Anch’io non respiro. Gli occhi lacrimano copiosi. Mi allontano. Inciampo su un sampietrino. Ne sono volati tanti. Taglio verso via del Babuino. Una nuvola di fumo nero si alza in fondo alla strada, all’altezza di piazza del Popolo. Folla. Mi avvicino. Un cellulare della Finanza in fiamme. Schieramento imponente di polizia. Turisti. Curiosi. Commercianti. Fotografi. Cameraman. Giornalisti. Avanzo. La polizia arretra: le fiamme rendono impossibile l’accesso a chiunque, da quella parte, e i loro manganelli possono servire altrove. Mi dicono che in piazza del Popolo e in piazzale Flaminio continua la guerriglia. Resto a fotografare le fiamme che si estendono, inghiottono il blindato e si estendono ad alcune auto a destra e a sinistra dell’automezzo militare. Ogni tanto un botto seguito da pioggia di vetri. Dopo che i pompieri hanno domato

l’incendio, mi ritrovo in piazza del Popolo. Tantissimi poliziotti, carabinieri e finanzieri e tanti automezzi militari. Pavimentazione con ampi buchi e sanpietrini ovunque. Cassonetti dati alle fiamme. Un gruppo di ragazze, sedute sul selciato, chiede ai celerini: «perché tutto questo?». Silenzio e sguardi gravi. Si fronteggiano. Le ragazze insistono, i poliziotti tacciono. Mi faccio largo tra i detriti e guadagno piazzale Flaminio. Anche qui il suolo porta i segni degli scontri. Un gruppo di giovani esce da una pizzeria al taglio, due ragazzi e diverse ragazze. Studenti, probabilmente. Uno regge un “libro”. In un amen gli saltano addosso due poliziotti. L’altro ragazzo protesta. Portano via anche lui. Non credo ai miei occhi. Le ragazze protestano anche loro, accorrono altri poliziotti, le affrontano a muso duro. Loro non si lasciano intimidire: «Cosa vi salta in mente?! Stavamo solo mangiando una pizza! Cosa ha fatto?! Perché lo portate via?». Una signora protesta: «Fascisti! Non ha fatto nulla!». Poliziotto: «Signora lei non sa. Magari ha fatto qualcosa prima». Altri poliziotti cercano di parlamentare. La signora continua a inveire. Un funzionario convince gli uomini in divisa a non discutere e ad allontanarsi. Via Flaminia è un altro campo di battaglia. Sassi, sanpietrini, transenne, fumogeni e altro ancora lungo i binari del tram. Militari in assetto antisommossa vanno avanti e indietro. Fiamme e fumo verso piazza della Marina. Quando ci arrivo trovo dei cassonetti in fiamme a sbarrare la via, a mo’ di trincea. Ma è tutto finito. Una ragazza vede un libro abbandonato: «È della mia facoltà! Lo riporto indietro». Le racconto la scena a cui ho assistito in piazzale Flaminio. Desiste e lo lascia lì dov’è. Sono le quattro e mezza, torno indietro. Un gruppo di poliziotti sui binari: «Se tornano gliele suoniamo di nuovo», dice uno ridendo. *** In via del Babuino arriva il sindaco Alemanno. Telecamere in attesa. Lo attorniano. Tiro dritto. Per oggi ne ho abbastanza. E gli occhi mi fanno un male cane. Sebastiano Gulisano

GIUSTIZIA “SCARCERATELI, SECONDO LA LEGGE”

Roma, 16 dicembre: i 22 manifestanti arrestati vengono liberati. Il ministro Alfano manda gli ispettori in Tribunale, ma la legge italiana è stata rispettata. Il nostro codice di procedura penale sulla custodia cautelare in carcere infatti è molto chiaro: l'art.280 dice che può essere applicata solo quando la legge prevede la pena dell’ergastolo o superiore a 3 anni di reclusione; quindi fino a 3 anni di reclusione non si possono applicare misure coercitive. Per questa ragione i magistrati romani, subito dopo la scarcerazione dei 22 fermati, dicono “A questi ragazzi vanno concesse per legge le attenuanti generiche (perchè tutti incensurati nda) , che prevedono un terzo di sconto della pena (la resistenza a pubblico ufficiale prevede da 6 mesi a 5 anni di reclusione, la violenza o minaccia da parte di almeno dieci persone arriva a 15), il che vuol dire che -vista la mancanza di prove e indizi gravi di violenza o resitenza - nella peggiore delle ipotesi farebbero due anni e per una pena di due anni non si può chiedere la custodia cautelare in carcere”. Mancano gravi indizi di colpevolezza e il presidente della IV sezione penale del tribunale di Roma, Costantini, aggiunge che “appare necessario approfondire le posizioni individuali degli imputati”. A conferma di ciò c'è il caso lampante di Riccardo Li Calzi, uno dei 22: studente palermitano, è inizialmente accusato di aver 'selvaggiamente resistito all'arresto', fino a quando il suo avvocato non mostra un video di youtube nel quale Riccardo, rannicchiato in posizione fetale, col volto scoperto, implora di non essere colpito ancora dalle manganellate dei poliziotti. Giuseppe Scatà

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Movimenti

Compagnia delle Lettere Srl Via Merulana 215 00185 Roma tel. 06.45426793 www.compagniadellettere.it

Verso il Primo Marzo 2011

L'anno scorso, con un tam tam partito da FaceBook, siamo riusciti a colorare l’Italia di giallo e a fare scendere in piazza oltre 300mila persone per dire NO al razzismo e alle politiche di esclusione, SI a un’Italia multiculturale e arcobaleno. Autoctoni, immigrati, seconde generazioni: abbiamo scelto di lavorare e manifestare insieme per superare la contrapposizione tra italiani e stranieri, tra “noi” e “loro”, questo schema che fa il gioco di chi punta a dividerci per calpestarci più facilmente. E la mixité, d’altra parte, è stata uno dei nostri principali punti di forza. L'anno prossimo vogliamo fare ancora di più! E pensando al 1° marzo 2011 (che non è così lontano), invitiamo scrittori e giornalisti, professionisti o no, italiani o “stranieri”, a inviarci dei brevi testi sul concetto di mixité e sulla necessità di andare oltre le parole che dividono per trovarne altre, nuove, che uniscano. Saranno raccolti in un libro che vedrà la luce alla vigilia del 1° marzo 2011. I diritti d’autore serviranno a finanziare il lavoro del comitato Primo Marzo. Mandate i testi (max 10 cartelle, su file) entro il 31 dicembre a: redazione@compagniadellelettere.it/ primomarzo2011@gmail.com (allegate una breve biografia, mail e numero di telefono).

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Libri & piazze

Chi torna e chi arriva Un “vecchio” protagonista della satira antimafiosa e un giovane neo-militante della democrazia. Bentornato, benvenuto!

“Dal Pizzino alla Sdisonorata Società...”

“E' per questo che sono venuto qui al corteo...”

Lunedì 20 a Palermo presso la libreriafumetteria Altroquando è stato presentato il libro “Sdisonorata Società” di Gianpiero Caldarella, con prefazione di Giancarlo Santalmassi e illustrazioni di Leonardo Vaccaro, pubblicato da Navarra Editore nella collana Officine. Dalla prefazione di Giancarlo Santalmassi: "Leggere ‘Sdisonorata Società’ ci farà entrare nella cultura siciliana (la cui importanza è fondamentale come riconobbe Falcone: devi conoscere il nemico per batterlo) dalla porta, anzi dal buco della serratura delle piccole quotidianità. Attenzione: non è la porta di servizio, ma lo stillicidio delle cose piccole di ogni giorno, grandissime per ogni singolo individuo, e che alla fine fanno ‘cultura’." Note sul libro dalla bandella di copertina: "Nella primavera del 2007 nasceva il “Pizzino” radiofonico, su Radio24, in qualche modo “compare” dell'omonimo mensile di satira cartaceo fondato a Palermo. Per due anni, ogni fine settimana è andata in onda una strana rubrica di un paio di minuti dove, spesso marcando l'accento siculo, veniva raccontato un fatto, un affare, uno stato d'animo, un imbroglio, un'epopea burocratica senza quel distacco passionale, quella “distanza” che è propria del tipo di discorso giornalistico. Va bene prendere per il culo il politico, il mafioso, il grande imprenditore o il potente uomo di chiesa, ma a questa satira non poteva sfuggire l'uomo qualunque, il burocrate, il conducente di autobus, il medico di famiglia, tutti coloro con cui si entra in contatto nella quotidianità. Piccoli comportamenti, insomma, non importa se penalmente rilevanti. In fondo sono i piccoli gesti -come accettare o rifiutare un caffè ad esempio- quelli che creano

Quando sono arrivato ho visto bandiere, migliaia di bandiere tutte quante del PD o dei giovani democratici. Ho 13 anni, era la mia prima manifestazione nazionale, non avevo mai visto una cosa simile, quindi andai nella sezione del corteo dei Giovani Democratici dove erano tutti felici, saltellanti di gioia a ritmo dei Modena city Ramblers. C’era la Bandao: Una banda musicale di percussioni. Davanti un camion che suonava musica e tutti i ragazzi servizi d’ordine dei giovani democratici lo circondavano. Ci passai accanto, un ragazzo mi disse; “ciao, scusa mi reggi il cordone per un attimo?” lo presi. E l’ho tenuto per tutto le due ore e mezzo del corteo; il ragazzo non tornò piu’. Come servizio d’ordine avevo accesso a tutto, quindi potevo stare all’interno del cordone che circondava la Banda e il camion distribuivo bandiere alla gente e aste al cordone, mi divertiva fare parte di un organizzazione, essere coinvolto e non ostante l’età essere considerato importante. Arrivati a Piazza san Giovanni ascoltai il discorso di Bersani dal backstage e concordo con lui: l’Italia sta cadendo a pezzi, cominciando dal distacco di nord e sud, i tagli ai fondi per l’istruzione, il servizio pubblico e l’immigrazione. quello mi ha colpito del discorso di Bersani era la parte in cui diceva che vuole un Italia dove, se si incontra un immigrato o uno straniero per strada possiamo dirgli che è uno di noi. È per questo che sono andato in manifestazione, perché questa Italia che sta cadendo a pezzi va ricucita e va resa piu’ forte che mai: un insieme di etnie, popoli che convivono in pace, io credo che crede che l’Italia anche se in perdita va resa forte: Per un'Italia unita! Lorenzo Marsili

i modelli di comportamento fondanti di una società. Anche la mafia non sfugge a questa regola. Questo libro raccoglie gran parte di quelle rubriche radiofoniche e racconta un po' di questa “sdisonorata società” a partire da sud, risalendo verso un nord che si sta lentamente meridionalizzando, pur continuando a detenere il primato economico. Non si spiegherebbero altrimenti i consigli comunali sciolti per infiltrazioni mafiose in Veneto, i palazzi nuovi crollati a L'Aquila perché imbottiti di cemento depotenziato, la ricerca diffusa di una raccomandazione per lavorare, l'imbarazzo che accompagna il lancio di quella grande opera che è l'Expo a Milano. Neanche fosse il ponte sullo stretto di Messina. A poco a poco stiamo diventando tutti una cosa”.

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Il megaparco degli orrori di Barcellona P.G. In una delle città a più alta densità mafiosa della Sicilia arriva l'affare del secolo: un nuovo megacentro commerciale... Annullamento del provvedimento del Consiglio comunale di Barcellona Pozzo di Gotto che ha approvato il Piano particolareggiato per realizzare un mega Parco commerciale di 18,4 ettari per violazione delle norme vigenti in materia urbanistica; invio immediato di una commissione prefettizia che indaghi sull’esistenza di possibili pressioni mafiose nell’adozione del piano e conseguente avvio della procedura di scioglimento del Comune per infiltrazioni criminali. È quanto chiedono le associazioni che compongono il Presidio “Rita Atria” Libera Milazzo-Barcellona a conclusione del convegno organizzato nella città del Longano per analizzare le numerose anomalie che hanno condizionato l’iter di un progetto dai devastanti effetti sul territorio e l’economia. Un piano d’insediamento di complessi commerciali e alberghieri su cui è stata aperta un’inchiesta della Procura della Repubblica, attenzionato pure dal sen. Peppe Lumia (membro Pd della Commissione parlamentare antimafia) che, meno di un anno fa, ha presentato una documentata interrogazione al Presidente del consiglio e al ministro degli Interni rilevandone le inquietanti zone d’ombra. Interessata e committente della redazione del piano è la Dibeca Sas, società proprietaria di 5,97 ettari di terreni di contrada Siena dove dovrebbe sorgere il Parco commerciale. Essa è stata fondata nel novembre 1982

da un noto pregiudicato locale, l’avvocato Rosario Pio Cattafi, che secondo quanto riportato nella relazione di minoranza della Commissione antimafia della XIV legislatura, primo firmatario il parlamentare Lumia, «solo nel luglio 2005 ha finito di scontare la misura di prevenzione antimafia della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, irrogatagli nel massimo (cinque anni), per la sua pericolosità, comprovata, secondo quanto si legge nel decreto emesso dalla Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Messina il 2 agosto del 2000, dai suoi costanti contatti, protrattisi per decenni e particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi, con personaggi del calibro di Benedetto Santapaola, Pietro Rampulla, Angelo Epaminonda e Giuseppe Gullotti». Dopo alcuni passaggi societari, la Dibeca è oggi nella disponibilità della madre, della sorella e del figlio di Rosario Pio Cattafi. «La Dibeca, con il totale assenso degli organi comunali, si è appropriata di un settore di attività che vuole essere espressione del potere di supremazia», affermano i rappresentanti del Presidio “Rita Atria”. «La società, nel predisporre e redigere il piano del Parco commerciale per di più in variante al Piano Regolatore Generale, non ha inteso soltanto condizionare l’attività del Comune, ma si erge a forza egemonica, a “dominus” estraneo all’ente locale che fa sentire il suo peso su tutti gli organi istituzionali

e burocratici del Comune. Ciò rappresenta la negazione dell’esistenza stessa dello Stato di diritto». A ipotizzare il condizionamento della Pubblica Amministrazione, «sull’onda di pressioni esterne estranee all’interesse generale», una serie di «atti, comportamenti ed elementi sintomatici» che, secondo i promotori dell’iniziativa No Parco, s’inseriscono «all’interno di un pesante quadro politico rappresentato dall’approvazione del nuovo PRG di Barcellona, caratterizzata da gravi sospetti d’illegittimità». Sul PRG, approvato solo l’8 febbraio 2007 dopo un’istruttoria decennale, sono piovuti ben 1.296 tra osservazioni e ricorsi, tutti relativi ad autorizzazioni edilizie e lottizzazioni anche su aree destinate ad attrezzature pubbliche, «a riprova di un territorio, quello barcellonese, nel più totale caos urbanistico ed ambientale, dove chiunque ha costruito dove, quando e come ha voluto». Il Presidio pone attenzione innanzitutto sulla strana «equivalenza» delle date nell’adozione di atti da parte del soggetto privato e di quello pubblico. Nella stessa giornata in cui il Comune di Barcellona trasmetteva all’Assessorato Regionale Territorio ed Ambiente gli elaborati relativi al nuovo PRG, il 15 marzo 2005, la GDM SPA di Campo Calabro (Rc), una dei colossi meridionali della grande distribuzione, proprietaria del vicino Centro commerciale di Milazzo, sottoscriveva con la Dibeca una scrittura privata che prevedeva la «cessione

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Inchiesta

dei terreni di proprietà di quest’ultima in comodato d’uso in attesa dell’atto di compravendita». l momento dell’atto, però, la Dibeca non era ancora formalmente proprietaria dei terreni. Il 14 giugno 2006, ben prima dell’approvazione del nuovo strumento urbanistico, la GDM dava incarico per la redazione del Piano particolareggiato all’architetto barcellonese Mario Nastasi «entro un termine di tre mesi per il progetto di massima». Dodici mesi dopo, il 26 giugno 2007, la GDM richiedeva l’approvazione del Piano del Parco commerciale, ma l’Ufficio Tecnico Comunale si opponeva all’esame dato che «i progettisti del PRG non hanno ancora consegnato per la pubblicazione all’Albo Pretorio le modifiche discendenti dai ricorsi presentati da terzi ed accolti». Il progettista Mario Nastasi replicava immediatamente all’UTC con una nota singolare: «Le considerazioni dimostrano che è inutile attendere le modifiche agli elaborati del PRG che non ci saranno mai, ma occorre invece approvare il P.P. per risolvere positivamente le richieste avanzate con le osservazioni». La previsione del professionista si rivelerà del tutto azzeccata. «Come indicato dalle autorità regionali, era necessaria una vera e propria rielaborazione del PRG e un riesame delle porzioni di territorio compromesse», spiega Santa Mondello del Presidio “Rita Atria”.

«Oggi, a quasi quattro anni di distanza, va invece segnalato il mancato adempimento degli obblighi di modifica, correzione deposito e pubblicazione del PRG di Barcellona». L’iter del progetto poteva così proseguire superando le sospensioni e i “congelamenti” burocratici. Ma bisognava attendere il 28 maggio 2008 per il colpo di scena: il presidente della GDM, Piergiorgio Sacco, comunicava al Nastasi il ritiro dal progetto, causa le «lungaggini» nella sua predisposizione. «Stante pertanto l’impossibilità di dare corso alla suddetta operazione immobiliare – si legge nella nota - ci vediamo costretti a ritirare il progetto, che peraltro, ad oggi non ha neppure ottenuto parere favorevole da parte della Commissione Edilizia (ed anzi, il medesimo progetto ha pure subito una valutazione preliminare del tutto negativa, secondo quanto indicato nella comunicazione del Comune di Barcellona in data 2 agosto 2007». L’inatteso ritiro della GDM non segnava però il tramonto del megaprogetto. Il 29 maggio, il giorno dopo cioè della lettera inviata dalla società calabrese, la Commissione Edilizia si riuniva per esaminare il Piano e con verbale del successivo 3 giugno esprimeva parere positivo per la sua approvazione. Il 5 gennaio 2009 usciva allo scoperto la Dibeca della famiglia Cattafi presentando richiesta di voltura della pratica per il Piano

di contrada Siena. Poi, nella stessa giornata del 21 luglio 2009, l’architetto Mario Nastasi autorizzava il proprio fratello e socio di studio Santino Nastasi all’utilizzo degli elaborati a sua firma, mentre la Dibeca dichiarava formalmente di volere subentrare nel progetto originariamente presentato dalla GDM. Ciò nonostante quest’ultima società non avesse mai fatto pervenire all’ente locale la sua rinuncia con richiesta di ritiro degli elaborati. Una questione non certo secondaria che deve aver creato qualche dubbio di legittimità perfino ai membri della Commissione Edilizia che, nella seduta del 14 luglio 2009, richiedevano espressamente «la prova della rinuncia dell’istanza da parte della GDM SPA e del suo contestuale consenso al trasferimento di quella alla Dibeca». Il successivo 21 luglio l’organo comunale opponeva però un repentino dietrofront: preso atto della dichiarazione della ditta committente e dei progettisti, tutte rese in pari data, confermativa dell’istanza, autorizzava «l’utilizzo degli elaborati già agli atti con facoltà di modifica e di integrazione». «Una presa d’atto, quella del Comune», sottolinea Santa Mondello, «che è ben altro della prova della rinuncia della GDM e dell’autorizzazione all’ingresso della Dibeca e del conseguente utilizzo degli elaborati che non ricadono certamente nelle facoltà di disposizione del progettista, perché egli è e rimane solo un prestatore

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d’opera della committente GDM che ne è proprietaria». Le incongruenze però non venivano rilevate e due giorni dopo, il 23 luglio 2009, l’Unità Tecnica dava parere favorevole all’approvazione del Piano particolareggiato. Approdato in Consiglio comunale, esso veniva approvato in via definitiva il successivo 16 novembre con il voto favorevole di 22 consiglieri di maggioranza e opposizione e un’astensione. Per i rappresentanti del Presidio “Rita Atria”, la predisposizione del Piano da parte della Dibeca, società privata, in sostituzione dell’ente locale, è un provvedimento del tutto illegittimo. «In materia urbanistica il Comune è sempre in posizione di supremazia, con la conseguenza che eventuali atti di disposizione del potere in tale materia sarebbero nulli», spiega Mondello. «La funzione di pianificazione urbanistica non solo è un’attività che conserva il carattere autoritativo, ma è anche sostanzialmente a carattere normativo. Nel nostro caso è invece la Dibeca a dettare le norme tecniche di attuazione e del regolamento edilizio. Non è pensabile che detta potestà sia trasferibile ad un privato, vieppiù non proprietario dell’intero comparto, interessato alla realizzazione di uno dei progetti norma in esso contenuti. Si è surrogato indebitamente all’ente locale esercitando una potestà amministrativa non delegabile né attri-

buibile ed assumendo nel contempo il ruolo di regolante e regolato per sé stesso e per gli altri consociati, direttamente o indirettamente interessati o addirittura contrari alla realizzazione di un Parco commerciale». Secondo il Presidio “Rita Atria” l’adozione del Piano è pure intervenuta in variante alle prescrizioni del PRG di Barcellona. «Il progetto è un’opera imponente se lo si guarda in termini di entità della superficie coinvolta e del volume edilizio realizzabile. Che si proponga una vera e propria variante al PRG che controverte le determinazioni assessoriali è confermato dai dati rinvenibili nella Relazione al Piano del giugno 2007». Il dimensionamento del progetto è prospettato infatti in una viabilità totale di mq. 40.767 contro i 5.052 esistenti e di un insieme di zone edificabili per mq. 184.079, per un totale dunque di mq. 224.846, 24.000 in più di quanto veniva dimensionato nel decreto approvativo dello strumento urbanistico (mq. 200.850). La sub-zona B, infine, destinata ad area residenziale, è ampliata da mq 3.407 a 15.100 e si indica in mc. 37.750 il volume massimo realizzabile, mentre i fabbricati esistenti hanno un volume di mc. 23.165. «Occorre chiarire che il privato non ha alcuna facoltà di chiedere l’approvazione di un progetto in variante ma può formulare soltanto sollecitazioni e/o proposte, fermo

restando che la valutazione circa la necessità concreta di apportare ed adottare modificazioni allo strumento urbanistico è di competenza dell’organo consiliare», aggiunge Santa Mondello. Come se ciò non bastasse una porzione delle aree che la Dibeca dice di sua proprietà, appare al di fuori dal perimetro che la mappa catastale segna per la realizzazione del Parco commerciale, intervenendo invece nell’area normata dal Piano Regolatore ASI, che né l’ente locale né il privato ha facoltà di modificare, essendo questo un atto sovra comunale che viene automaticamente calato nel PRG. Per il Presidio, la destinazione di suddetta porzione in zona ASI è da ritenersi «a sistema residenziale, con nuove edificazioni che nulla c’entrano con le osservazioni proposte in sede di adozione dello strumento urbanistico generale». «Quelli esaminati – commenta amaramente Mondello - sono senz’altro aspetti che non potevano sfuggire alla lettura degli organi comunali, i quali evidentemente hanno ritenuto non conveniente, non soltanto non adempiere a quelle formalità comunque correlate ad una pianificazione urbanistica, relative al deposito del piano ed alla pubblicità ma ancor più non partecipare la variante all’Assessorato Regionale, che ne avrebbe potuto rilevare immediatamente l’incoerenza con le determinazioni assunte in sede di approvazione del PRG».

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L’ultimo aspetto rilevato dalle associazioni anti-mafia attiene alla valutazione dei terreni compresi nel Piano particolareggiato, stimati nel luglio 2007 (quando al progetto era interessata la GDM) in 28 euro al mq. e di contro stimati dalla Dibeca, 19 mesi dopo, in 85 euro al mq., sulla base di una sentenza della Corte Costituzionale del 2007 che dichiarava incostituzionale la norma per la quale le aree edificabili venivano stimate con il criterio del cosiddetto “valore dimezzato”. «È incontrovertibile – commenta il Presidio - che la prima perizia dava ai terreni di contrada Siena un valore di mercato, che è valore venale, e non di esproprio e comunque tre volte meno di quanto poi stimato dall’elaborato del febbraio 2009 e ciò ancorché le condizioni ed il pregio urbanistico dei beni si fondava su presupposti di valutazione assolutamente identici, vale a dire la destinazione commerciale di cui al PRG, non essendo ancora stato approvato il Piano particolareggiato». Le associazioni sottolineano inoltre che la valutazione riguarda tutti i terreni interessati, «compresi sia quelli che interesserebbero strutture private che quegli altri che presumibilmente interesserebbero la viabilità principale del Piano e che non potranno che essere di proprietà pubblica comunale». Conti alla mano, nel giugno 2007 gli

espropri erano stimati in 335.897 euro (relazione a firma dell’architetto Mario Nastasi); nel febbraio 2009 giungevano al valore di 1.713.893 euro (relazione a firma dell’architetto Santino Nastasi). Passa proprio dalla crescita rapida ed esponenziale del valore dei terreni di contrada Siena il vero e proprio affaire del progetto Parco commerciale. «L’approvazione del Piano particolareggiato ha innescato un meccanismo di supervalutazione dei terreni di quasi il 300% del valore venale originariamente indicato, con tutto quanto ne consegue in termini di distorsione delle regole che presiedono ad una compravendita libera e legittima e ciò sia che si realizzi o meno il Parco commerciale», dichiarano i rappresentanti del Presidio. Ciò spiega l’ampio consenso generato dal Piano tra i numerosi proprietari degli aranceti e dei vigneti vincolati ad espropriazione, fatta eccezione per un solo soggetto oppostosi davanti al Tar di Catania. Il mancato aggiornamento catastale impedisce di conoscere la reale identità dei fortunati beneficiari del più grande affare della storia di Barcellona Pozzo di Gotto. Le date di nascita di buona parte dei proprietari riportati nelle visure risalgono agli anni ’20, ’30 e ’40 del secolo scorso e presumibilmente i terreni sono andati in eredi-

tà a figli e nipoti e forse pure già alienati. Nell’elenco spicca però, in qualità di proprietario al 50% di un vigneto di 6.170 mq, la presenza del noto imprenditore Tindaro Calabrese, uno dei maggiori costruttori dell’intera provincia di Messina. La stima dell’esproprio è di 34.138 euro. Tre anni fa era di appena 6.892 euro. Nulla di comparabile con quanto capitalizzato dal “dominus” dell’intera vicenda del Parco degli orrori, la Dibeca Sas della famiglia di Rosario Pio Cattafi. La società acquistò i terreni di contrada Siena il 7 aprile 2005 dall’Opera San Giovanni Bosco dei Salesiani che, a sua volta, li aveva ricevuti in donazione testamentaria da uno stretto congiunto dei Cattafi. Costo totale 619.800 euro (394.800 per i terreni agricoli e 225.000 euro per i fabbricati ivi ospitati), con pagamenti avvenuti in data anteriore alla stipula del contratto di compravendita. Considerata l’estensione (5,97 ettari), i terreni sono costati 10,38 euro a mq. Con la stima di 85 euro a mq, essi valgono sul mercato odierno 5.074.500 euro, l’800% circa in più di quanto sono stati pagati. Parco o non parco per la dynasty barcellonese è tutto oro colato. Antonio Mazzeo

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Messsina

Quella nave fantasma sullo Stretto Si torna a discutere dell'incidente del Segesta al tribunale di Messina, a quattro anni dalla tragedia che costò la vita al comandante e ad altri tre membri dell'equipaggio del mezzo veloce delle Ferrovie dello Stato. Abbiamo intervistato il comandante Sebastiano Pino, sindacalista degli uomini di mare, che per tre anni ha lavorato alla ricostruzione di quella drammatica giornata Era il tardo pomeriggio del 15 gennaio del 2007, infatti , quando - nelle acque dello stretto di Messina, a circa un miglio e mezzo dal porto della città peloritana - si verificò la collisione fra l’aliscafo e il portacontainers Susan Borchard, che uccise il comandante Sebastiano Mafodda e i suoi collaboratori Palmiro Lauro, Marcello Sposito e Domenico Zona. Furono aperte diverse inchieste, nessuna delle quali è giunta ad accertare tutte le responsabilità in maniera chiara e soddisfacente. Quella della Procura di Messina ha avuto una prima conclusione 12 febbraio del 2009 con il patteqggiamento a due anni di reclusione del comandante della Susan Borchard, l’ucraino Maksym Poludnyev, per disastro, omicidio e lesioni colpose. Rimase non chiaro il ruolo della terza nave presente nel luogo dell’incidente, la Zancle, di Caronte e Tourist. Il suo comandante, Francesco Donato, nello stesso procedimento patteggiò la pena di nove mesi per omissione di soccorso. La posizione di Donato, indagato anche lui per disastro, omicidio e lesioni colpose, era stata stralciata e discussa in altro procedimento in cui il 13 ottobre del 2008 i pubblici ministeri Francesca Ciranna, Vito Di

Giorgio e Angelo Cavallo presentarono richiesta di archiviazione, respinta dal GIP che chiese un supplemento di indagine ai consulenti tecnici d’ufficio della Procura. Costoro consegnarono la loro integrazione, che spinse i sostituti procuratori a richiedere di nuovo l’archiviazione della posizione del comandante Donato. Lo scorso 9 dicembre, con l'udienza preliminare, si è aperto un nuovo processo, fortemente voluto dalla famiglia del comandante Mafodda e dal Sasmant ( Sindacato autonomo stato maggiore traghetti), il cui segretario,Sebastiano Pino, ha dedicato gli ultimi tre anni alla ricostruzione della verità sui fatti di quel pomeriggio. Comandante Pino, quali sono le sue aspettative verso questo nuovo processo? “Che si accertino con chiarezza le responsabilità della Zancle nell’incidente del Segesta. Il nuovo percorso processuale, infatti, non riguarda più il portacontainers Susan Bochard perché i suoi armatori e il suo comandante hanno patteggiato la pena nel processo precedente. La posizione del traghetto della Tourist, invece, fu incomprensibilmente stralciata fin da principio, dando vita ad un secondo filone di inchiesta che si concluse a fine 2008 con la richiesta di ar-

chiviazione per i capi d’imputazione a carico di Donato. Noi ci siamo opposti a questa richiesta.” Un’opposizione motivata come? “Attraverso le risultanze della cosiddetta nchiesta formale.” E cioe? “Un’inchiesta disposta da norme del codice della navigazione che viene svolta da esperti di chiara fama ed ha sede presso la direzione marittima di Catania. Un’indagine che acquisisce e valuta tutti gli atti disponibili , quindi gli atti giudiziari allora prodotti , e alla quale possono intervenire le organizzazioni sindacali.” A quali risultati è pervenuta l’inchiesta formale? “A risultati molto diversi da quelli a cui sono giunti dei pm di Messina e i loro consulenti d’ufficio. Secondo quest’indagine, nelle cause iniziali che hanno determinato la situazione di pericolo e quelle che hanno determinato il sinistro ha avuto un incidenza diretta il ruolo della Zancle. Perché in base ai regolamenti chi viene da destra ha, come a terra, diritto di precedenza. Quindi il Segesta in quel caso aveva diritto di precedenza. Infatti il comandante

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Messsina

Mafodda , una volta accortosi di non avere ceduta la rotta , è stato costretto ad accostare a sinistra per fare passare la Zancle. Anche gli strumenti hanno registrato un accostata di nove gradi ad un miglio di distanza dalla Zancle e il passaggio del Segesta a 2-300 metri di poppa dalla medesima. In quella posizione il mezzo veloce si è trovato in acque molto ristrette verso la Susan Bochard e da qui l’impatto.” Se errore umano c'è stato, dunque,secondo l'inchiesta formale, sarebbe del comandante della Zancle, non di Mafodda. Non solo secondo l'inchiesta formale. I periti del sindacato e i consulenti della famiglia del comandante del Segesta hanno ricostruito i momenti precedenti l'impatto ed hanno riscontrato profonde discordanze con le conclusioni dei CTU che hanno motivato le richieste d'archiviazione. Secondo questi ultimi i due mezzi avrebbero proseguito imperterriti in rotta di collisione. Cosa inspiegabile se si ricordano le condizioni meteomarine di quella giornata. Secondo la nostra ricostruzione la Susan Bochard avrebbe effettuato una doppia accostata nei confronti del Segesta, lo si deduce dal calcolo dell' angolo di incidenza fra le due rotte. Una manovra che si giustifica solo per la necessità di evitare la Zancle.

A questo punto davvero non si capiscono i motivi della richiesta di archiviazione nei confronti di Donato. “Le motivazioni con le quali i pubblici ministeri hanno sostenuto l’archiviazione sono davvero sbalorditive. La violazione delle norme previste dal codice ( regola 15 Colreg -Collision regulation, ndr) non possono essere giustificate in base alle “ consuetudini dello stretto di Messina”. E’ folle giustificare la violazione di una norma con una deroga così. Ovunque, ma soprattutto in un tratto di mare affollato e pericoloso come lo Stretto di Messina le norme devono essere chiare e inderogabili. "In astratto l'autorità locale (Autorità marittima dello stretto) potrebbe derogare alle norme generali. Il problema sorge nel momento in cui si constata che al momento dell'incidente non c'era alcuna ordinanza che autorizzava la violazione di tali norme” E' evidente , a questo punto, il condizionamento dovuto alla presenza di un forte armatore privato. "Certamente. Fin dall'inizio la , per così dire, 'gsituazione ambientale'h ha condizionato l'inchiesta. Ricordo che persino le dichiarazioni del ministro Bianchi addirittura negavano la presenza della 'gterza nave'h

nella dinamica dell'incidente". Ma è cambiato qualcosa nello Stretto da quel 15 gennaio? "Vi è una maggiore consapevolezza dei rischi e della necessità di prevenirli da parte di chi lavora, anche nei minimi particolari (Ad es. il conteggio dei passeggeri prima di ogni partenza ). C'è anche il Vts ,che al tempo dell'incidente funzionava in forma 'gsperimentale'h in orario d'ufficio. Ora è attivo ( dal luglio scorso) 24 ore su 24 ed è effettivamente un ausilio validissimo alla navigazione nello stretto. E' stata istituita l'Autorità Marittima dello Stretto che ha poteri di intervento in caso di incidente o disastro ambientale ed ha anche consentito una maggiore omogeneità di comportamento perché le regole di navigazione , prima stabilite dalle singole capitanerie, ora dipendono da lei. C'è un nuovo piano di separazione del traffico che , per ciò che riguarda il traffico longitudinale ( nord sud) ha reso la navigazione più sicura. Diversa la situazione per i traghetti , perché la rotatoria che è stata istituita complica notevolmente le loro rotte. Siamo in attesa però di una deroga che ci aiuti a prevenire le nuove situazioni di richio". Tonino Cafeo

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Appuntamenti

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Appuntamenti

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Catania

Porto dei favori “Lo sviluppo ( del porto) rischia di bloccarsi”. Così dichiara alla stampa l’ ente portuale nel contestare le critiche propositive del Vicesindaco e nel rifiutare di concedere pochi metri di carreggiata per salvare Catania dalla paralisi viaria lungo le vie Dusmet – Colombo, e salvare cosi le molte migliaia di ore lavorative che i cittadini perdono ogni giorno incolonnati nel traffico. Non resta quindi che confrontare quale sviluppo sia più importante se quello di Catania o quello del suo porto. 1) La Autorità Portuale si dichiara “costretta” ad aprire il porto alla città solo in corrispondenza del nuovo centro commerciale privato “ex Dogane” ma non in corrispondenza dei quartieri degradati a sud di Catania che non avendo uguali scopi commerciali... pare non meritino uguale apertura di favore. Pare si debbano sopportare a vita una cinta “doganale” che li separa dal mare e dal loro riscatto urbanistico, sociale ed economico pur risultando inutile detta cinta per i moderni controlli doganali che si effettuano sottobordo alle navi in tutto il mondo civile. Vogliamo ricordare, in tema di favori a centri commerciali privati, che la parte di via Dusmet ridossata al cantiere “ex Dogane” e posta ad esclusivo servizio dello stesso cantiere, dopo essere stata camuffata come causa di danni ad automobilisti autoincidentati con i binari ferroviari autodivelti da quel lato strada dove risultano da sempre interrati a filo asfalto, resta tuttora chiusa in danno del traffico cittadino e dei tempi di lavoro dei catanesi. 2) Il Piano Regolatore Portuale, ostinatamente mantenuto tale e quale nonostante la sua bocciatura del 2007, insiste ancora oggi nel volere costruire 1.109.000. metri cubi di edifici alti fino a 20 metri su 85.000.metri

quadri di banchine a filo con il mare. Da pura aritmetica risulta prevista una edificazione di 13 mc. x mq. per una volumetria pari a cinque volte quella su C.so Martiri che come è noto ha un indice assai minore di soli 5 mc. x mq..

Quale mai potrebbe essere la funzione portuale che risponda ad una simile abnorme edificazione ? È uno sviluppo del tipo New York quello rivendicato dalla Autorità Portuale che non spiega neppure quale sia “ lo sviluppo mercantile ” a rischio di blocco di cui si lamenta? Si limita ad ammettere che solo una parte ( quanta e quale?) di tale predisposta devastazione edificatoria risulta di “edilizia residenziale” nel pretendere che il porto sia comunque una città nella città, senza che i catanesi vi possano mettere il naso per decidere alcunchè. 3)Con estrema disinvoltura viene dipinta la indefintita utilità di una “darsena traghetti” che accoglierebbe “mercantili” lunghi 200 metri e dal “pescaggio fino a 13 metri”. Viene però taciuto del tutto lo

smisurato costo suppletivo dalle casse pubbliche per la necessaria escavazione perpetua estesa su almeno trenta o più ettari di fondale e fino a non meno di 15 metri di profondità che realmente permettano l’uso mercantile di simile opera, altrimenti da ritenere come ennesimo sperpero di denaro pubblico. 4) Ammesso che il Governo venga indotto a quadruplicare il costo iniziale dei 100 milioni della “darsena traghetti” per la suddetta escavazione, come si giustifica la cementificazione di 12 ettari di spiaggia della Plaia sottratti al turismo sostenibile ed alla balneazione dei cittadini ? Ben 12 ettari di “piazzali” sul nostro demanio del nostro Comune ingombrato da migliaia di autotreni assolutamente preclusivi di qualsiasi ipotesi di sviluppo economico ed occupazionale per Catania che ospita pazientemente il suo porto già bollato dalla Corte dei Conti come inefficiente ed inefficace e non può risultarne divorata da un ente che avrebbe dovuto da troppo tempo svilupparne la vocazione marittima realmente sostenibile. 5) Viene data notizia che il suddetto appalto da 100 milioni sia stato già aggiudicato ma si tace del tutto come ciò sia stato possibile senza che la relativa opera, insieme al PRP che lo preveda, siano stati mai approvati, o con odierno gioco di parole “intesi”, dal Consiglio Comunale con buona pace della Legge 84/94 che lo abbia inutilmente prescritto. 6) La Autorità Portuale ancora una volta tace sulla insanabile anomalia dell’ ampliamento della sua circoscrizione territoriale del tutto privo del prescritto DPR che possa avere derogato i vigenti DPR 1825/1961 e 684/1977 a tutela della Autonomia Siciliana e della nostra spiaggia comunale. Comitato Cittadino Porto del Sole Un portavoce, Marcello Di Luise

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Società civile

Addiopizzo e le scuole Lezioni di legalità Tempo fa Addiopizzo ha organizzato una serie di incon tri in 20 scuole superiori di Catania e provincia sottopo nendo agli studenti dei questionari sul tema della legalità. Davide ne prende spunto per alcune riflessioni Addiopizzo porta avanti , parallelamente al progetto del Consumo Critico, quello della formazione nelle scuole. Durante i molti incontri sono state presentate agli studenti domande riguardanti vari aspetti della legalità con dei risultati che lasciano spazio a varie riflessioni. Dalle risposte, per esempio, si può analizzare l’atteggiamento degli studenti di fronte al furto del motorino: un’alta percentuale degli studenti ha risposto che, in caso di furto, si rivolgerebbe all’amico, che sotto il pagamento di una somma in denaro gli farà riavere il motorino. Quasi nessuno sceglierebbe di denunciare e di seguire questa strada per riavere ciò che gli spetta di diritto. Magari i ragazzi non hanno mai pensato che, nel caso in cui non si effettua una denuncia, potrebbero trovarsi a doversi difendersi se un giorno venisse fuori che magari il loro mezzo è stato usato per commettere un reato e non sarebbe facile farlo. Alcune domande riguardavano alcuni personaggi della nostra storia legati all’antimafia come Pio La Torre, sindacalista che ci ha regalato la possibilità di usufruire dei beni che prima erano in possesso dei mafiosi (legge Rognoni-La Torre). Eppure la maggior parte dei ragazzi lo hanno classificato come mafioso, gli stessi studenti che vengono imbottiti di latino e di greco, e che poi non conosco per niente la nostra

storia. A fine incontro, anche i dibattiti hanno messo in evidenza alcuni concetti che i giovani assimilano da credenze diffuse o dalla tv. Ad esempio, la prima domanda che tutti fanno durante gli incontri è “ma è vero che se denunci ti ammazzano?”. Ciò dimostra come sia importante far parlare questi ragazzi con magistrati o avvocati, organizzare incontri che facciano capire come sono ormai anni che non viene più ucciso nessuno perché non paga, semplicemente perché non conviene nemmeno ai mafiosi prendersi una condanna per omicidio al posto di una condanna per estorsione: è questione di numeri. Queste sono solo alcune delle domande fatte ai ragazzi e fatte dai loro a noi, domande e risposte che però mostrano come il bisogno di educarli alla legalità sia vivo più che mai, come vi sia la necessità che professionisti gli spieghino come funzionano davvero le cose. Dimostrano che pochi professori parlano con loro di queste cose, spiegandole in maniera seria, e cercando di coinvolgerli in attività formative. La scuola deve insegnare le materie, è vero, ma deve anche insegnare la vita, a vivere nel proprio territorio, e purtroppo la nostra è una terra difficile, piena di problemi e pericoli, che devono essere affrontati con la giusta preparazione e consapevolezza, cercando di non lasciare i nostri ragazzi

nelle mani di una tv sempre più povera di contenuti e ricca di fiction sulla mafia legate a retaggi ed argomenti ormai superati. È compito quindi nostro, di ogni genitore, e soprattutto delle istituzioni scolastiche, far sì che la formazione dei ragazzi sia improntata anche all’educazione a vivere, a conoscere i fenomeni della propria terra e il modo in cui affrontarli. Cambiare le cose è possibile se si conoscono le leggi, la legalità, gli atteggiamenti e i modi di fare che potrebbero rendere la nostra terra migliore, senza pizzo magari, senza gente che china la testa ai soprusi di tutte queste persone che senza nessuna educazione, si credono padroni e pensano di poter fare di loro, e di noi, ciò che vogliono, comandando nel segno dell’arroganza e della violenza. Questo è il mio sogno, di avere dei ragazzi che con la cultura della legalità, con la gioia di vivere e con la forza del coraggio affrontino a viso aperto, con la paura di chi ha coraggio, paura normale che solo i folli non hanno, i loro aguzzini e tutta la gente che, nell’ignoranza e nella prepotenza, si crede padrona della nostra terra. Per fare ciò l’arma è la cultura, la scuola, i professori. Quei professori tanto sottovalutati sono la nostra arma per vincere la guerra, speriamo che il mondo dell’istruzione se ne renda conto. Davide Siracusa

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“Questa cronaca non s'ha da fare”

Però “taccuinare” non è reato Meno male “La legge è uguale per tutti”: va bene, ma certe volte la legge è più uguale per certuni. Storia di soldi pubblici sprecati, storia di solidarietà verso chi chiede una mano, storia di processi pubblici negati, di giustizie involute e di avvocati (e giornalisti) coraggiosi

Non si annoi il lettore nel leggere di un caso giudiziario che non lo riguarda, perchè finchè un innocente che non ha commesso alcun tipo di reato si ritrova imputato in un processo penale per cinque anni… beh, il problema non è solo di chi diventa il protagonista di questo circo ma di tutti gli innocenti che per una prova di MUSCOLI tra chi ha il potere e chi non lo ha, potrebbero ritrovarsi nella stessa situazione. Andiamo con ordine: Una donna, anni fa, fu accusata dalla sua potente famiglia d’origine di aver accoltellato un fratello. Un processo che trascinerà questa donna, madre di tre figli, ad una continua lotta per la sopravvivenza, sua e dei suoi bambini. Nonostante le prove di manifesta innocenza non siano state mai acquisite dai giudici, in barba al codice penale, la donna riesce ad ottenere l’assoluzione dal reato contestato, con formula piena. Un processo che non finisce con un’assoluzione, perchè quello è solo l’inizio di una serie di prepotenze che questa donna è costretta a subire, debole del fatto che le persone potenti e influenti non sono certo i suoi bambini, ma la sua famiglia d’origine, sangue del suo sangue, che l’ha messa più volte in ginocchio sperando in una resa che non c’è mai stata. La ragazza vede che ogni volta sia gli avvocati sia i giudici, cercavano di smorz-

are le cose, togliendo gravità laddove c’era, e mettendone dove non esisteva. Insomma, forte di queste esperienze in tribunali, arriva a un punto in cui manda un appello su internet, che in sostanza diceva “vi prego, qualcuno venga a vedere cosa accade in aula, che qui fanno sempre come vogliono e tenteranno di mettermi i bastoni tra le ruote ancora una volta”. Questo appello lo leggono svariate persone, e tra queste svariate persone ci siamo noi, di censurati.it, e una ragazza di Brindisi. Il processo si svolgeva in provincia di Pescara, davanti a un giudice di pace. E per la prima volta, la vittima di questa potente famiglia, non si era sentita sola. Aveva testimoni in aula. Una da Roma e una da Brindisi. Non c’è cosa peggiore di lottare per un’ingiustizia urlando al vento verità che poi nessuno può sentire. In quell’occasione finalmente poteva esserci il riscatto di sempre. Ma fu solo una illusione, perchè con una scusa e un pretesto, i testimoni vengono allontanati dall’aula e il processo continua a porte chiuse. Il motivo ufficiale: tentavano di fare riprese con una telecamera non autorizzate. Il motivo reale: quel processo in sordina è nato e in sordina doveva morire, insabbiando dove possibile e cercando di far conciliare le parti in causa (anche se

una non vuole) a dibattimento iniziato. Il fatto di procedere a porte chiuse ci parse talmente ingiusto che chiamai i carabinieri… (in fondo mi ero fatta quattro ore di treno partendo all’alba, per sentire quel processo). I carabinieri sembravano anche ascoltarmi, presero le mie dichiarazioni, firmai i verbali, commentai gli stessi verbali. Ma non sapevo che i carabinieri furono chiamati anche dal VPO (avvocato con mansioni di Pubblico Ministero) per allontanarci. Fatto sta che dopo sei mesi da quell’udienza, ci siamo visti recapitare un avviso di garanzia con rinvio a giudizio per interruzione di pubblico servizio. Io, che il servizio da giornalista lo stavo facendo semplicemente prendendo appunti su un block notes (tanto da rinominare scherzosamente il reato “Taccuinaggio abusivo”) e me lo sono visto negare, perchè “ospite non gradita”. Quindi per cinque anni, ascoltando una decina di testimoni circa, ho seguito questo processo sempre: ero malata e sono andata, avevo impegni di lavoro e li ho spostati, qualche lavoro da free lance è anche saltato, le prove in orchestra sono saltate sempre, ho preparato concorsi dicendo di avere pendenze penali, ho collaborato con le forze dell’ordine anche da IMPUTATA, e questo perchè?

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“Questa cronaca non s'ha da fare”

Perchè una telecamera SPENTA ha minato gli equilibri assonnati di una corte che voleva un po’ di tranquillità, non certo giustizia. Tanto è vero che quel processo finì con l’assoluzione della famiglia potente, mentre la figlia ribelle che per anni si è vista negare diritti per processi molto più pesanti, questa volta si è visto negare anche il diritto ad avere un processo pubblico. I nostri avvocati che hanno preso a cuore il caso del “taccuinaggio abusivo” hanno trasformato un processo farsa in una sorta di rivendicazione dei diritti negati: dal diritto di assistere a un’udienza pubblica al diritto di svolgere un lavoro giornalistico costituzionalmente riconosciuto, al diritto sacrosanto di tendere una mano e stare umanamente vicino a chi vive una situazione di abusi e soprusi. Il tutto facendo notare, durante l’arringa, che quello a cui assistevamo il giorno in cui ci allontanarono dall’aula, non era una semplice lite tra parenti. Era una lite di una famiglia potente che doveva “domare” una figlia ribelle. Ci hanno provato con l’accusa di le-

sioni aggravate e non ci sono riusciti. Ci hanno provato a isolarla durante quell’udienza, ma per una volta la ragazza non si era trovata sola. Il costo di una mano tesa sono stati cinque interminabili anni per un processo da cui siamo stati assolti perchè il fatto non sussiste. Il PM aveva chiesto tre mesi di reclusione per noi. La vittoria più bella non è stata tanto l’assoluzione, ma il PM che a testa basssa è uscita senza guardarci pur passandoci davanti. Giustizia è fatta? Parzialmente. Giustizia sarebbe fatta se chi ha pensato di far pagare CON LE TASSE DI TUTTI un processo penale che ha dei costi non solo di denaro, ma di rallentamento della giustizia di tutti, pagasse di tasca sua questa prova di MUSCOLI del tipo “io sono la toga e voi non siete nessuno”, citando l’attualissimo Marchese del Grillo. *** Personaggi e interpreti (anche se purtroppo non è una farsa, ma la vita vera) ALESSANDRA MARSILII – la figlia ribelle della famiglia potente

ANTONELLA SERAFINI (+ la sig. GHEZZI) – testimoni scomode sotto processo VALERIA VANNI – VPO che a spese dello Stato mette in scena il teatrino con le accuse da cui siamo state assolte ALFREDO GALASSO e LICIA D’AMICO – avvocati che hanno fatto un’arringa difensiva degna dei migliori libri di Grisham e che hanno preso a cuore il caso. NICOLA TRIFUOGGI – il procuratore che ha FIRMATO il nostro rinvio a giudizio dopo le indagini preliminari che potevano portare solo all’archiviazione. TRIBUNALE DI PENNE – location del processo per “taccuinaggio abusivo” (e io aggiungerei “ascoltaggio clandestino”) foto segnaletica di Alessandra Marsilii all’epoca in cui fu marchiata a sangue e portata INNOCENTE in carcere e NON IN OSPEDALE (togliendole quindi ANCHE il diritto alla salute) Antonella Serafini www.censurati.it

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Schegge di storia siciliana

Notabili, “volontari” e borghesi delusi Sicilia in camicia nera ”Cari tutti, a causa dello squallore di questo periodo preferisco rifarmi alla Storia e quindi avrò il piacere di inviarvi settimanalmente schegge di storia siciliana. Croce diceva che la Storia è viva e la cronaca è morta. La cronaca vale un giorno, mentre la storia vale sempre...”. Così l'autore, che è un vecchio militante del movimento antimafia: antimafia: ma forse non siamo d'accordo. d'accordo. La storia è un insieme di cronache di tante persone persone comuni. E tutte diventano anch'esse anch'esse storia, prima o poi. Comunque, Comunque, ecco le storie che Elio Camilleri fa girare su internet. Antiche e attualissime, attualissime, siciliane << Mi piacerebbe tanto tanto che i destinatari "adulti" delle mie schegge le facessero leggere ai giovani e che i destinatari "giovani” le facessero leggere agli adulti >> eliocamilleri@libero.it SEBASTIANO A GUADALAJARA Era stato, da piccolo, in campagna, nel dopoguerra, col padre a subire i furti dei briganti e le violenze dei padroni. Primo di cinque figli non ebbe mai il tempo di essere bambino e di giocare, solo quello di sfinire dalla fatica rimossa dalla notte e dal sonno. Gli avevano detto che i comunisti avevano rovesciato il governo legittimo e che i fascisti spagnoli non ce l’avrebbero fatta e che Mussolini, allora, aveva pensato di dare una mano. Sebastiano fu uno dei 74.000 mila italiani mandati in Spagna e solo lì capì che le cose non erano andate proprio come gli avevano raccontato. Come si sa, in Spagna andarono altre migliaia di italiani a combattere a fianco dei “rossi”, ma lui non lo sapeva ed anche per questo non si sentì il cuore e la testa di sparare un colpo. Rimase attaccato alla radio trasmittente che gli avevano frettolosamente insegnato ad adoperare, pensando piuttosto di spedire a casa rassicuranti foto con sorridenti commilitoni, sulla gradinata di una chiesa uguale a quella del suo paese. E su quella gradinata a pensare: “alla Sicilia, alla Sicilia degli zolfatari, ai contadini che vanno alla giornata: all’inverno dei contadini, quando non c’è lavoro, le case piene di bambini che hanno fame, le

donne con le gambe gonfie per l’albumina che si muovono per la casa, l’asino e la casa vicino al letto”. (L. Sciascia. L’antimonio. In Gli zii di Sicilia. Torino. Einaudi. 1958. Pag. 175) Ebbe la sorte di tornare al suo paese con tante foto di commilitoni sorridenti e con quella di Carmen riposte in una scatoletta di legno assieme a cinque o sei medaglie e croci al valore e ai soldi per comprare la casa. MAFIA FASCISTA E ANTIFASCISTA Quando i cocci della vecchia congrega liberale, tra il 1919 e il 1920, decretarono, come promesso ai combattenti della guerra mondiale, la distribuzione alle cooperative contadine delle terre incolte e mal coltivate, l’alleanza tra sistema mafioso e potere politico andò in frantumi. I padroni delle terre trovarono nuovi alleati nell’esordiente schiera dei deputati fascisti e la Legge Micheli dell’estate 1922 di attuazione dei decreti Falcioni e Visocchi rimase lettera morta. Mussolini conquistò il potere il 28 ottobre del 1922 e la Sicilia divenne fascista: tutti i parlamentari siciliani tranne il deputato di Agrigento, Cigna, gli votarono la fiducia. L’11 gennaio 1923, furono revocate le

concessioni dei latifondi alle cooperative contadine, decapitati i movimenti non fascisti con arresti ed invii al confino, incamerati beni e strutture. Sembrò ricostituirsi il patto che era intercorso tra mafia e Giolitti (mano libera in Sicilia per i padroni delle terre in cambio del sostegno politico e parlamentare), ma a Mussolini non andavano proprio giù né Carlo Vizzini, né Ciccio Cuccia, né nessuno di quei rozzi, violenti ed invadenti mafiosi e mandò in Sicilia il Prefetto Cesare Mori per affermare l’autorità dello Stato, solo dello Stato, quello fascista. Di gabelloti mafiosi, di campieri e sovrastanti mafiosi oltre che di ladri, briganti e malavitosi d’ogni specie Mori ne arrestò a migliaia e a migliaia ne fece inviare al confino. Mentre Mori eseguiva a puntino il progetto di liberare la Sicilia dalla mafia, proprio la mafia nella sua espressione più raffinata, non necessariamente violenta, ma sicuramente abile, furba e certo rapace riusciva ad occupare i gangli dell’amministrazione dello Stato sì da renderlo oltre che fascista, anche mafioso. Mussolini fermò Mori che voleva colpire anche questa di mafia, tentò di assoggettarla lui con l’“assalto al latifondo” e allora la mafia tutta divenne antifascista, alleata degli alleati americani e poi amica degli amici democristiani.

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Schegge di storia siciliana

PASQUALINO CONQUISTA L'IMPERO Me lo ricordo ancora Pasqualino, quella mattina di settembre, che mi portò nella sua campagna perché volevo “aiutare” a vendemmiare. Avevo undici o dodici anni e per me fu davvero un’avventure montare sul carretto che era appena giorno e raggiungere il suo fazzoletto di terra a Cala rossa, a picco sul mare. Mi mise in mano un coltellino con la lama ricurva e m’insegnò come tenere il grappolo e dove e come staccarlo dalla pianta. Quando ci sedemmo per la pausa – panino con frittata, gli dissi che il posto mi piaceva tanto e lui ne fu felice. Mi raccontò che quel quadrato di terra per lui era tutto, perché dava da vivere a lui e alla famiglia. Mi disse che con la guerra d’Abissinia l’Italia aveva conquistato l’Impero e che lui pure aveva conquistato il “suo” impero. Mi raccontò che partire “volontario” per tanti padri di famiglia era diventata l’ultima occasione per non soffrire “la fame e la miseria, perché il governo fascista passava lire 5 alla moglie, al giorno, lire 2 a ogni figlio a carico, e oltre che noi vivevamo a carico dello Stato, ci passava anche 5 lire al giorno, preferivamo andare in guerra a farci ammazzare, anziché vedere i nostri figli morire di fame.” (Giacomo Bono. La lista del gallo,

Autobiografia di un proletario siciliano. Jaka Book. 1994. Pag. 18) Mi raccontò che la guerra d’Abissinia stava ormai finendo e che stava cominciando quella in Spagne e che lui era stato costretto a firmare il reclutamento per “destinazione ignota”; poi lo vestirono con una divisa coloniale, una sahariana, e partì per le dune che erano state del Negus. Si considerò fortunato perché andare in Spagna contro “i bolscevichi” era molto, ma molto più pericoloso che sottomettere e “civilizzare” dei morti di fame come lui con la pelle nera. Pasqualino non seppe mai che di quei morti di fame, gli italiani ne massacrarono, anche con i gas, più di 700 mila. GLI “ANNI PERDUTI” DELLA BORGHESIA Brancati fino al 1933 fu dannunziano in letteratura e fascista in politica, tentò anche di convincere Giuseppe Antonio Borgese ad aderire al fascismo. Poi anche Brancati subì la censura, il cinismo e l’indifferenza dell’ambiente culturale egemone e lasciò Roma per tornare in Sicilia. Interiorizzò profondamente la delusione ed il disincanto per il crollo di tutte quelle speranze che il nuovo secolo e il fascismo stesso avevano alimentato. Borghese e siciliano visse e descrisse con ironia seria e

meditata quella stessa ironia seria e meditata vissuta e rappresentata dalla borghesia siciliana negli anni del fascismo. La speranza di vedere cose belle dalla “torre panoramica” svanì quasi sul più bello e la noia mortale ripiombò sulla città. Questa è la metafora rappresentata ne “Gli anni perduti” dove è descritta la sostanziale inconsistenza e vanità di pezzi della società siciliana. La borghesia ricca e rigorosamente sfaccendata, gli intellettuali rigorosamente disimpegnati e puntualmente oziosi a muoversi in un nulla desolante. “Le donne poi, le casalinghe contente che i loro mariti non fossero distratti dalla politica, le corrotte che i loro amanti non fossero indeboliti dal pensiero o resi freddi dagli ideali, aiutavano a tenere in piedi l’inganno”. (Vitaliano Brancati. La noia del ‘937 in Il vecchio con gli stivali e i racconti.. Milano. Mondadori. 1971. Pag. 181) Tutto ciò in un contesto di indifferente consenso al potere che il consenso accoglieva certo, ma, addirittura, a condizione che esso fosse convinto. L’indifferenza al Duce, al fascismo non era consentita, neanche la noia e Domenico Vannantò, il protagonista del racconto citato, che aveva scritto in un telegramma l’espressione “questi tempi noiosi” ne fu annoiatissima vittima.

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Teatro Popular

Io + te = amore Da “Romeo e Giulietta” di Shakespeare

Narratore: Nell’antica città di Verona (Provincia di Catania) Tutti: Chi? Narratore: Au cca c’è scrittu! Dove gli uomini, irrequieti come vespe, andavano in giro con la spada pronta a punzecchiare, vivevano due famiglie: i Capuleti e i Montecchi che si odiavano a morte. Tutti: Bastava che s’incontrassero in strada ppa ammmazzarisi com’ e cani Narratore: La brava gente di Verona, terrorizzata dalle urla e ddo schifiu (che non risparmiavano nessun angolo di strada), era stufa di vedere turbata la pace della città. Un giorno durante una delle solite risse arrivò il principe di Verona con i soldati Principe: Suddi sudditi ribelli, nemici della pace! Se turberete ancora la quiete delle nostre strade la pagherete con la vita” Narratore: Quando il principe se ne fu andato, rimasero in piazza solo gli anziani Montecchi assieme al giovane nipote Benvolio a cui chiesero: I vecchi Montecchi insieme:“Dov’è nostro figlio Romeo? L’avete visto oggi? Menomale che non è stato coinvolto in questa rissa. Mamma Montecchi: chiddu è na testa pazza sicuru c’avissa pigghiatu quacche cutiddata” Benvolio: “Eccolo che arriva, avvolto dalla sua misteriosa malinconia! Vi prego, allontanatevi e vi saprò dire perché è così triste, saprò dirvi cosa l’affligge!” Narratore: I genitori se ne andarono. Benvolio: “Ciao Romeo, come stai?” Romeo: “Nenti, sugnu pesso. Nutro una passione folle per una creatura meravigliosa, bella come un cigno che si chiama… Rosalina… ma idda non ni voli sapiri nenti di mia: mi tratta comu a munnizza” Benvolio: Avanti non dire così, e poi tutta sta bellezza nta sta Rosalina non cia staiu virennu …Confrontala con altre ragazze e vedrai: autru ca cignu Rosalina ti sembrerà un corvo!. Romeo: Oh ma io muoio dalla voglia di rivederla? Benvolio: Senti domani sera c’è una festa e una delle invitate è proprio Rosalina. L’unico problema è che la festa è a casa Capuleti e su ti virunu ti capulianu. Ma ho la soluzione: potremmo partecipare alla festa mascherati. Romeo: Grazie cugino, tentiamo! Narratore: La sera dopo, alla festa, i suonatori accordarono gli strumenti, batterono il tempo, e diedero via alle danze. Romeo: Chi è quella bella dama? Servo: Non lo so signore Romeo: Oh, essa insegna alle torce come risplendere! Tebaldo: Dalla voce mi sembra un Montecchi! Narratore: Tebaldo aveva riconosciuto la maschera. Un Montecchi aveva osato beffarsi dell’ospitalità dei Capuleti! Fuori di sé dalla collera ordinò a un paggio di prendergli la spada. Suo zio, il vecchio Capuleti, lo invitò con fermezza a trattenere la rabbia. Era una sera di festa e baldoria, e non doveva essere rovinata. Vecchio Capuleti: Lascialo in pace Tebaldo Tebaldo: No sumpottu!! Vecchio Capuleti:: Tu sumpotti inveci!! Vai ora, io sono il padrone qui, tu vai!” Tebaldo: Vado ma non finisce qui! Vecchio Capuleti:: (sbrigativo) Va beni, va beni. Narratore: Intanto Romeo, ignaro dell’improvviso odio di cui era oggetto, col rimbambimento tipico degli innamorati rintontiti, andava incontro al suo amore improvviso facendosi largo tra i ballerini. Finalmente le fu davanti; i suoi occhi, dietro quelli dorati della maschera, brillavano di passione. Da vicino, la giovane era cento volte più bella. Sorpresa lei, guardò il bel giovane. E tale era la fiamma della passione di Romeo che anche Giulietta prese fuoco. Le loro mani si toccarono; poi i giovani si misero a parlare del più e del meno. Narratore: Poi Romeo, parrannu parranno, sapiti com’è: na parola tira l’autra…

comu fu e comu non fu, le chiese un bacio. E lei mentre pensava alla risposta da dargli…cominciò a baciarlo e a baciarlo e a baciarlo e poi… a baciarlo Giulietta: Padroncina, vostra madre chiede di parlarvi. Giulietta: Mi propriu ora ca mi stavu addivittennu….(esce) Romeo(alla Balia): Chi è sua madre? Giulietta: Sua madre? La padrona di casa. Sono io che ho allattato la figlia, la fanciulla con cui avete parlato. Ve lo dico io: sarà moneta sonante per chi se la prende. Romeo: Cioè? Giulietta: Cu sa pigghia azzicca bonu a frucchetta, ora mi scusi. Romeo: Mi ma vadda chi cosa! Con tante ragazze che ci sono proprio di una Capuleti dovevo innamorarmi. Tutti: Come si dice…Chi mancavunu scecchi a fera? Corifeo: Nel frattempo la festa era finita, le maschere lasciarono la casa. Mentre Romeo, dopo esser anche lui inizialmente uscito, scavalca i muri del giardino Capuleti. Era una situazione pericolosa ma l’amore le dava lustro, proprio come il pericolo dava mordente all’amore. Guardò la scura facciata della casa. Una finestra s’illuminò: dava su un balcone, alto un paio di metri da terra. La finestra si aprì e sul balcone uscì Giulietta. Guardò nella notte e sospirò. Tutti: (Chissa a sapemu tutti, ascutati!) Giulietta: Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo? Rinnega tuo padre e ripudia il tuo nome! Solo il tuo nome è mio nemico ma che c’è in un nome? Quella che chiamiamo rosa avrebbe il suo dolce profumo anche con un altro nome: e così Romeo, anche se non si chiamasse Romeo….” Giulietta seguitò a parlare alla luna e alle stelle, finchè Romeo non uscì dall’ombra per fermarsi sotto al balcone. Giulietta: Chi sei tu che difeso dall’ombra della notte entri nel mio chiuso pensiero? Romeo: Con un nome non so dirti chi sono, odio il mio nome che ti è nemico, sciassi u fogghiu unni je scrittu: parola d’onore! Giulietta: Il mio orecchio non ha bevuto cento delle tue parole…e già ne riconosce il suono. Ma tu non sei Romeo, uno dei Montecchi? Romeo: Si, mia bella fanciulla! Narratore: Giulietta quando vide Romeo temette per la sua sicurezza. E quando si rese conto che il giovane doveva aver sentito la sua dichiarazione d’amore, provò un moto di vergogna. Romeo pieno d’ardore, felice della confessione di Giulietta, non taliau periculu. E ci rissi a Giulietta: Romeo: il pericolo è solo nei tuoi occhi, se mi guardi con dolcezza sarò forte contro ogni odio. Giulietta: non vorrei che i miei familiari ti vedessero qui, per tutto il mondo. Vai via Romeo: allora mi lasci così, insoddisfatto! Giulietta: ahuuuu, ma quali soddisfazioni vulissi aviri a stanotti!!! Romeo: vorrei solamente scambiare il mio amore con il tuo. Dentro la stanza una voce chiamò Nutrice: (sguaiata) Giuliiieeettaaaaa, Giulietta: meee, non c’è mai paci nda sta casa. Chi ffuuu, n’minutu ca staiu abbivirannu u balicicò. Tu pasticcino mio, aspetta, non ti muovere, torno subito. Coro: Auh tempu du secunni era già n’autra vota affacciata Giulietta: due, tre parole caro Romeo e poi davvero buonanotte. Narratore: Succomu Giulietta di matematica non nmi rattava mancu a broru, ssi rui tri paroli si trasfommanu nta n’poema. E allura si misunu r’accoddu ca l’indomani dovevano pigliare un appuntamento col parrino, perchè avevano fatto la pensata di maritarisi. Si danno la buonanotte e Romeo si allontana, e torna nella sua casa. Vi ricordate Rosalina? Auh Romeo a cancellau a tipu ca era addisignata ndo ghiacciu!! E dda stunata di Giulietta?? non s’ava scuddatu ca l’indomani s’ava maritari ccu n’autru?? Cu cui?? con un ricco giovane scelto da suo padre: il conte Paride!!!! L’indomani, a matinata presto, Romeo parrau con il parrino ed il parrino, frate Lorenzo, acconsentì a celebrare la cerimonia pensando…

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Teatro Popular

Frate Lorenzo: Forse con questa unione riusciremo a seppellire l’antico odio tra le famiglie dei Capuleti e dei Montecchi. Va bene, ci vediamo questo pomeriggio, e facemu stu matrimoniu. Narratore: Romeo riuscì ad avvertire dell’appuntamento pomeridiano Giulietta e... finalmente, nella cella di Frate Lorenzo, si maritanu!!!. Nel frattempo Tebaldo, vi ricordate?…voleva pigliare questioni con Romeo che aveva osato introdursi di scapocchio alla festa di abballo dei Capuleti. Tebaldo sfidò Romeo. Romeo si rifiutò perché si era sposato da un’ora con Giulietta, e quindi era imparentato a casa Capuleti. Non voleva, non poteva, versare il sangue di nessuno di loro. Ma siccome il matrimonio era ancora segreto, fu costretto a starisi mutu, pecciò: l’amici di Romeo non compresero la riluttanza di Romeo a Combattere! Comu fu e comu non fu, Tebaldo ammazzau l’amicu di Romeo: Mercuzio.Au a Romeo chi c’aunarittu cunnutu? Sopraffatto dal dolore, pigghiau e ammazzau Tebaldo. Benvolio: Romeo, se ti prende il principe ti condannerà a morte. Via, via, scappa!!! Romeo: Ma tutti a mia mi stannu capitannu, è na tragedia!! Troverò rifugio da Frate Lorenzo. Frate Lorenzo: Romeo, ma chi mi cumminasti? T’accompottari bonu!! Si fannu sti cosi? Romeo: Lorenzo ‘o frati, non puoi capire. Non puoi parlare di ciò che non provi. Se tu eri giovane come me, se Giulietta era il tuo amore, il tuo zuccherino, se eri fresco fresco di matrimonio, su addivintavi esaurito per amore, allora forse, dico forese (ma mancu je sicuro) potevi parlare... Narratore: Nel frattempo la nutrice bussa alla porta. (Tutti: Toc, toc). Nutrice: Romeo, la mia giovane padroncina è disperata per la morte del cugino Tebaldo e per la tua mala parte, non lo dovevi fare! Romeo: Iu m’ammazzu!! Frate Lorenzo: Ma chi ‘ncucchi…Votinni ‘nti Giulietta, Sali nella sua stanza e confortala! Narratore: Romeo, mancu su fici riri: andò da Giulietta e rimasero insieme tutta la notte (erunu maritati, giustamente). All’indomani matina dopo che i giovani sposi si separarono….Guardate cosa accadde: Vecchio Capuleto: Conte Paride, che giorno è oggi? Paride: Lunedì, mio signore. V.C: Il matrimonio con Giulietta per quando era fissato? Paride: Per Mercoledì Vecchio Capuleto: Forse Giulietta non è ancora pronta per il matrimonio, gli hanno appena ucciso il cugino Tebaldo. Tu capisci vero conte Paride? Paride: Certo mio Signore…ma…allora se non possiamo sposarci Mercoledì, quando potremo? Vecchio Capuleto : Deve passare un po di tempo, Se non è Mercoledì… facciamo Giovedì Paride: E va bene, vuol dire che aspetterò…lo faccio per amore! V.C: Bravo! Ah, carusi, chiamate Giulietta. Tutti: Giuliettaaaa! Giulietta: Chi c’è papà? Vecchio Capuleto Giovedì ti mariti ccu Paride! Giulietta: Ma non sinni parra! Vecchio Capuleto : Come?? Pigghia sti peri ca jai e giovedì prossimo adrai con Paride alla chiesa di San Pietro, o ti ci trascino io ppe capiddi!!! Giulietta: Ma papiiii!!! Vecchio Capuleto Vai in chiesa Giovedì, o non guardarmi più in faccia!

Narratore: Quando il padre e la madre se ne furnono andati, rimasero soli Giulietta e la sua Nutrice. Giulietta: Amica mia, consolami, dimmi qualcosa. Nutrice: Ti consiglio di sposarti il conte Paride, è un gentiluomo delizioso, Romeo è tuttu straviddicatu!! Giulietta: Bene, mi hai consolato a meraviglia!...Senti piuttosto, fai una cosa: vai a dire a mia mamma che, avendo contrariato mio padre, sono andata alla cella di frate Lorenzo a confessarmi e ricevere l’assoluzione. Nutrice: Va bene. Giulietta si recò da Frate Lorenzo a cui sfogò tutta la sua infelicità e disperazione. Il vecchio ascoltò e, commosso dall’amore di Romeo e Giulietta, escogitò un fantastico piano per loro. Frate Lorenzo: Conosco un filtro che bevuto è in grado di causare una morte apparente, ma in modo così perfetto che nessuno può accorgersi dell’inganno. Questo stato di morte apparente dura 42 ore, dopo di che segue un tranquillo risveglio. Il mercoledì sera, cara Giulietta, bevi questo filtro. Quando i tuoi familiari entreranno per svegliarti la mattina delle nozze, ti crederanno morta. Allora, com’è d’uso, ti vestiranno dell’abito più bello, e ti metteranno nella cripta di famiglia, dove passato l’effetto del filtro, ti troverai Romeo accanto. Romeo a Mantova, dove è adesso esiliato, riceverà una lettera che lo metterà al corrente del piano, così voi due sposi potrete fuggire insieme verso la salvezza e felicità. Manderò subito un frate da lui! Narratore: Giulietta prese la fiala dalle mani di Frate Lorenzo e disse: Giulietta: Amore, dammi forza…Addio padre caro” Narratore: Nel frattempo nella tortuosa Mantova, Romeo ricevette una notizia da Verona. Ma non veniva da Frate Lorenzo; la potava il servitore di Romeo. Servitore di Romeo: Romeo, ho una notizia per te, nera come l’inferno. Giulietta è morta! Narratore: La lettera che diceva la verità a Romeo non aveva, in realtà, mai lasciato Verona. Il povero frate al quale era stata affidata, era rimasto in casa perché sospettavano che avesse preso la peste e gli era stato proibito di uscire. Romeo in preda alla disperazione corre dallo speziale e compra un potente veleno. Poi parte per Verona, diritto verso la tomba di Giulietta. “Giulietta dormirò con te stanotte” disse fra sé. Frate Lorenzo, dopo aver saputo dell’impedimento dell’amico frate, si recò preoccupato verso la cripta di Giulietta: doveva essere presente al momento del suo risveglio. Ma prima di Frate Lorenzo nella cripta era arrivato Romeo. Giunto davanti al corpo di Giulietta prese la pozione di veleno e disse: Romeo: Occhi, guardatela un’ultima volta, braccia, stringetela in un ultimo abbraccio! E voi, labbra, uscio del respiro, suggellate con un bacio il patto eterno con la morte. A te amore mio!” E bevve il veleno dello speziale. Così in un baleno, si riunì per sempre al suo amore. Narratore: Quando frate Lorenzo, entrò nella cripta, Romeo era già morto; e Giulietta si stava svegliando Giulietta: Oh frate, conforto mio dov’è il mio sposo? Dov’è il mio Romeo? Narratore: Quando Giulietta scoprì co- sa era accaduto al suo giovane amore ordinò al frate di lasciarli soli per l’ultima volta. La giovane baciò appassionatamen te le labbra di Romeo. Poi prese il pugnale di Romeo e se lo spinse nel cuore. Così, nell’antica città di Verona, provincia di Catania, morirono Giulietta e Romeo, che si amarono dal primo loro sguardo all’ultimo. I padri, i vecchi Capuleti e Montecchi, affranti, si vergognarono del loro antico odio che aveva causato la tragica morte dei figli, e si giurarono eterna amicizia! Orazio Condorelli

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Satira

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Satira

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Riepilogando, ricordando...

Canto di Natale ...e uno spruzzo di salsa Worcester. Quant’è uno spruzzo? Il ricettario era reticente. Un cucchiaino? mezzo? E poi perché si chiama così? Più tardi avrebbe controllato su Google, ma, per il momento, doveva concentrarsi sulla salsa rosa per i gamberetti; i quali, in effetti, non avevano un aspetto molto vispo, erano proprio molto morti e parevano annegati da ere geologiche in quel liquido. Forse non era stata una grande idea prenderli dal discount. In ogni caso, l’antipasto era pronto. Il secondo era facile: scamorza. Un po’ troppo facile, probabilmente, non tutti lo considererebbero degno di un cenone natalizio, seppur solitario, ma a lui piaceva, e tanto bastava. Il dolce era un panettoncino mini. Rimaneva il piatto forte, il risotto ai funghi. Porcini. Almeno, questo dicevano al discount. (Il 2010 si è aperto col terremoto di Haiti, che ha provocato oltre 200.000 morti: mentre disponeva con cura tutto il necessario per la creazione del risotto, dal televisore, tipica trasmissione di fine dicembre, venivano ricordate le notizie principali dell’anno). Tagliere, mezzaluna (tedesca! affilata!: ne era fiero), olio, vino, funghi a bagno, riso (un etto: per una persona basta e avanza). Cipolla. Olio nel tegame, fuoco acceso, cipolla tagliuzzata (con la mezzaluna). Il brodo sobbolliva già da un po’ (col dado, viene bene lo stesso). I Natali precedenti erano stati diversi, a dire il vero, non erano con porzioni solitarie, ma meglio non pensarci, altrimenti i ricordi sarebbero tornati, e l’avrebbero strozzato come una rete che si stringe attorno ad un pesce, non lasciandogli scampo, via di fuga. No, niente ricordi: era il momento di versare la lacrimosa poltiglia (indispensabile la mezzaluna, fatto bene a comprarla!) nell’olio. Sfrigolio, odorino di buono e, ora, i funghi. Girare, mescolare, girare. Benissimo. E ades-

so il riso: versato, girare! Girare subito! Ecco, l’olio è quasi tutto assorbito. Un bel bicchiere di vino (rosso) e ancora girare. Il liquido si fa solido, scompare il vino, solo riso. Brodo, presto! Terremoto in Cile nel mese di febbraio. Ecco, sì, non si è bruciato, e nemmeno attaccato. Ne verrà un gran risotto, l’importante è non distrarsi. Campanello. E chi può essere? Una mestolata in più per non fare attaccare, corsa alla porta, spioncino. Era l’interno 15 o, meglio, quella che vi abitava. E si chiamava? Come si chiamava? Ah, sì, Maria. «Avresti mica una torcia? – gli chiese Mi è saltata la luce e non riesco a sistemarla…». Torcia, torcia… Sì, ce n’era una nel cassetto (e intanto un odore sospetto giungeva dal risotto: implorava brodo). Consegnò la torcia, ricevendo la promessa che l’avrebbe riportata in cinque minuti e schizzò a versare un altro paio di mestolate. Ma sarebbe bastato il brodo? Sì, per una cena di dieci persone. A fine marzo le elezioni regionali. Vittoria del centro destra e della Lega. Sconfitta della sinistra. Ecco, adesso il risotto procedeva proprio bene. Tra qualche minuto avrebbe potuto cominciare con il primo assaggio. Campanello. Evidentemente l’int.15 riportava la torcia. Ma poi, cosa faceva già quella Maria? Ci aveva parlato pochissime volte. Quando era successa la disgrazia a sua moglie era venuta a fargli le condoglianze, e forse era ancora col marito, prima che lui se ne andasse. «Mi devi perdonare – si accorò prima ancora che la porta si aprisse del tutto – Mi rendo conto che in una serata come

questa… Ma proprio non riesco a riaccendere la luce. Attacco il contatore, rimane su per qualche secondo ma poi salta tutto. Non è che potresti venire a dare un’occhiata? Non capisco nulla di queste cose». Nemmeno lui, a dir la verità, ma si dà per scontato che ogni maschietto s’intenda di contatori e motori, anche se è una voce meno fondata di quella che dà per certa l’esistenza della Befana. «Un momento» supplicò mostrandole i palmi. Ritornò in cucina e versò una dose abbondante di brodo, abbassò il fuoco a livelli minimi e la seguì all’interno 15, immerso nelle tenebre. Con fare esperto si avvicinò al contatore, del quale conosceva esattamente l’ubicazione in quanto l’int. 15 era sulla sua stessa colonna, e, armato di torcia, riattivò gli interruttori. La luce tornò rubiconda e lui, quasi trionfalmente stava allargando le braccia a dire «Visto? Era facile» quando le tenebre ripresero il sopravvento. Un elettricista, tanto tempo prima l’aveva detto «Ci dev’essere qualcosa in corto» e lui lo ripeté sussurrando (nel buio non si parla: si sussurra) e aggiungendo «Cosa c’è di attaccato?». L’int. 15 fece un rapido esame di coscienza e cominciò ad enumerare luci, friggitrice, televisore e qualche altro elettrodomestico. «Bisogna staccarli tutti» sentenziò lui grave «dobbiamo capire qual è in corto». Ma non aveva terminato di sussurrare che gli sovvenne il risotto. A tentoni trovò la mano di lei e le diede la torcia raccomandandole di staccare tutto. Sarebbe tornato subito. Si precipitò in discesa saltando gli scalini a due a due e arrivò giusto in tempo per versare un cucchiaio di brodo all’assetato risotto. Mescolò col fiatone, e per le scale e per il terrore che si fosse attaccato alla pentola, e, quando vide che sembrava

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...e sperando ancora

“ ... e negli anni seguenti, che passarono insieme felici...”

andare per il meglio, la televisione gli ricordò i disastrosi mondiali di calcio dell’Italia e la marea nera al largo della Louisiana. Con molta calma ritornò su e trovò Maria che lo aspettava sulla soglia dell’int.15, armata di torcia. «Tutto staccato» annunciò compita. Molto bene. Si riavvicinò ai contatori e riattaccò la luce. Finalmente. E poté vedere il tavolo, più o meno nella stessa posizione del suo, ma due piani più su, anche questo apparecchiato per una persona. «Procediamo – esortò con tono fermo ed esperto - . Riattacchiamo tutti gli apparecchi ad uno ad uno.». Cominciò con le luci e, passando per la friggitrice, terminò col televisore: anche lei stava ascoltando quella rassegna, ora arrivata all’appartamento di Montecarlo. Pareva tutto in ordine, si guardarono attorno soddisfatti e sollevati quando, nel volgere di un secondo, il pensiero del risotto gli irruppe nella mente e, come se non bastasse, sprofondarono nuovamente nell’oscurità. «Devo scappare! Torno subito» e si lanciò giù per le scale incuneandosi in una stanca famigliola che andava a cena da qualche poco amato parente, coi figli che, ancora sul pianerottolo, si lamentavano per la miseria dei regali ricevuti. Il risotto era salvo. Brodo, assaggio, manca ancora un po’. Risalita placida all’int. 15 dove ritrovò Maria che, nel mentre, aveva staccato tutto e riacceso la luce. Possibile che si fosse pettinata nel frattempo? Cominciarono dal televisore che, intanto, era arrivato alle proteste in Francia. Ma possibile che si fosse anche truccata? E quando? Tra un mestolo di brodo e l’altro? «E poi – aggiunse Maria – quando è ritornata la luce ho visto una cosa strana.» «Una cosa strana?»

«Sì, solo per un attimo. Sembrava che volasse laggiù, sopra il divano» «Un uccello?» «Ma no!» «Un pipistrello?» «No, per fortuna!» «E allora cosa? Lo spirito del Natale?» «Figurarsi. Avrebbe sbagliato strada. Sarebbe dovuto andare da quelli di sotto, li senti? Saranno in venti a festeggiare». «Sì, li ho visti mentre scendevo…» «Forse era solo un’ombra. Magari con le luci che vanno e vengono…» «Il risotto!» «Dici che era un risotto?» «Devo scappare» E mentre stava per uscire, la luce svanì ancora. «Ritornerò!» promise a metà della prima rampa. Entrò in casa affannato, accolto dal bunga bunga del televisore e dalle proteste di Terzigno. Assaggio. Era cotto, il risotto, e commosso, lui: sembrava buono. Spento fuoco, coperchio, di nuovo le scale, altri invitati allegri come se dovessero andare ad un funerale. Maria lo accolse sul pianerottolo. Riprovarono almeno un paio di volte, ma proprio la luce non voleva saperne di restare. «Ti piace il risotto? – propose dopo l’ultimo tentativo – Magari non ce ne sarà molto, ma almeno non passiamo il Natale sulle scale…». Sorpresa: i suoi fritti erano già quasi pronti, e anche gli antipasti di mare. Mancavano gli spaghetti alle vongole, per via della luce, però aveva un panettoncino anche lei. Questa volta scesero insieme trasportando con calma la cena di Maria, e furono accolti dalla liberazione di Aung San Suu Kyi e dal diffondersi delle manifestazioni studentesche. Apparecchiò un posto in più

mentre Wikileaks campeggiava nel mondo e le migliori giovani intelligenze italiane decidevano di pernottare sui tetti. Effettivamente avrebbe giurato che s’era truccata. E aveva anche dei begli occhi. Il risotto fu un successone. Se solo avesse avuto un po’ (un bel po’, in effetti) di sale in meno, non si fosse cotto troppo e i funghi avessero avuto il sapore di funghi, forse (ma solo forse) sarebbe stato migliore. Ma a loro parve ottimo. I gamberetti, a dire il vero, sapevano un po’ di chimica, ma la salsa Worcester ci stava benissimo. E nella giusta quantità. I fritti, poi, anche se erano poco fritti (la luce, mannaggia!) erano comunque eccellenti. I panettoncini, infine, uno senza uvetta e uno con, furono divisi, metà per uno. E gli studenti scendevano in piazza, e pareva che qualcuno cominciasse a chiedersi non solo cosa sarebbe accaduto stasera, ma domani, e, persino, dopodomani. Maria aveva dimenticato lo spumante a casa sua, ma lui aveva, chissà da quanto tempo, uno champagne per festeggiare una grande occasione mai realizzata. Certo, era tiepido. Certo, la bottiglia aveva uno strato spesso di polvere, ma, con una passata sotto il rubinetto, ritornò quasi decorosa. Stappò e versò nei calici. Veri. Dell’Ikea, ma pur sempre calici da champagne. E poi il brindisi, che fu molto sobrio, solo «Buon Natale», e «Buon Natale a te». Ma la cosa strana di tutta questa storia è che, negli anni seguenti, che passarono insieme felici e contenti, proprio non riuscirono a capire cosa fosse successo a quell’impianto elettrico, perché dal giorno dopo riprese a funzionare egregiamente, e continuò a farlo a lungo. Molto a lungo. Jack Daniel http://dajackdaniel.blogspot.com

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Noi

Verso il 5 gennaio 2011

4 Gennaio, Palazzolo Acreide, 10.30, Aula Consiliare Giornalisno a Sud/ Forum di informazione libera in Sicilia/ Lavori in corso con UCuntu, StepOne, La periferica, I Cordai, Catania possibile, Magma, IlClandestino., adEst, CorleoneDialogos, Megafono, Civetta 5 Gennaio, Catania, 17.00, via Giuseppe Fava: Presidio dei Siciliani in ricordo di Giuseppe Fava. 5 Gennaio, Catania, 18.00, centro Zo: Consegna del Premio Fava 2010 ai giornalisti calabresi. 5 Gennaio, Catania, 20.30, Cittainsieme (via Siena): Assemblea di Lavori in Corso, rapporto 2010 e programmi 2011 della libera informazione. 6 Gennaio, Catania, 20.00, Gapa (via Cordai):"Visioni urbane/ Squarci di resistenza a Catania" di Sonia Giardina.

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