UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
FIRENZE DIDA
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
UNITÀ DI RICERCA
Un progetto per Piazza del Carmine
Paesaggio Patrimonio culturale Progetto
Un progetto per Piazza del Carmine Unità di Ricerca Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto in collaborazione con i Cittadini dell’Oltrarno
Un progetto per Piazza del Carmine
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
FIRENZE DIDA
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
Pubblicazione a cura di Alberto Di Cintio
Coordinatore Scientifico dell’Unità di Ricerca Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto DIDA - Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze
Stampato presso la tipografia del Comune di Firenze ISBN 9788833380056 Info-Grafica e Desktop publishing: Elia Menicagli Laboratorio Comunicazione e Immagine DIDA - Dipartimento di Architettura
Foto di copertina: Aline Montinari
UNITÀ DI RICERCA
Paesaggio Patrimonio culturale Progetto
Indice Presentazione Stefano Giorgetti Giorgio Caselli Introduzione Alberto Di Cintio Il Percorso Partecipato Studi e materiali Elaborazioni dei Gruppi di lavoro Banca dati e Gis Cultura Vivibilità Mobilità Il Progetto Struttura Piazza e Verde Il Progetto definitivo I partecipanti al Percorso Partecipato Analisi e saggi “Un progetto per Piazza del Carmine” Un caso singolare di progettazione partecipata Marta Berni e Rossella Rossi Le prospettive del rione di San Frediano. Identità e trasformazione nello spazio pubblico Carolina Capitanio Una piazza per tutti Alberto Di Cintio Come diversamente muoversi nel tessuto storico di San Frediano Manlio Marchetta Quando la piazza è un simulacro Roberto Masini Oltrarno: non un posto per gente da marciapiede Andrea Peru Progettare lo spazio pubblico urbano. La metrica fiorentina e il Carmine Riccardo Renzi Narrazione e immagine dell’Oltrarno fiorentino Fabrizio Violante La genesi del progetto Stefania Vitali Appendice Il Carmine fiorentino e il quartiere di S. Frediano Piero Bargellini
5 7 11 15 33 67 67 98 100 106 111 111 142 159 161 162 174 180 184 186 189 192 198 210 217
Presentazione Stefano Giorgetti
Assessore Lavori pubblici e grandi opere, Viabilità e manutenzione, Trasporto pubblico locale, Comune di Firenze L’Amministrazione Comunale con questa pubblicazione ha voluto dare risalto al lavoro di riflessione, studio e progetti svolto sull’Oltrarno ed in particolare su Piazza del Carmine con l’obiettivo di analizzare quanto emerso per costruire delle “linee guida” da seguire nel recupero e riqualificazione del tessuto storico del quartiere. La ricerca sviluppata è interessante e anche l’analisi scaturita evidenzia che “la piazza” sia uno spazio di massima partecipazione inserito all’interno di un sistema urbano. Mi preme precisare che le relazioni e la vivibilità di un luogo non è solo appannaggio dei residenti ma anche di chi ci lavora, dai commercianti agli artigiani, dei cittadini che lo frequentano per molteplici interessi. Quando sono assenti più funzioni ed una parte della città è solo residenza, questa si trasforma in un “quartiere dormitorio”. Il lavoro fatto deve essere apprezzato anche se ha il limite di rivolgersi quasi esclusivamente ai residenti e come possiamo vedere ad un numero limitato, ma la partecipazione quando è vera comporta un impegno e una dedizione di tempo che fa ridurre le presenze in modo fisiologico. L’Amministrazione Comunale ritiene, come già detto, l’esperienza positiva anche se partecipata da un piccolo gruppo rispetto alla potenzialità del quartiere. Avere coniugato le “idee forza principali” nei valori storici del Rione e della Chiesa del Carmine con la volontà di recuperare spazi di socializzazione rientra nel lavoro svolto anche dall’Amministrazione con i propri tecnici che partendo dall’incontro che si è tenuto presso il Chiostro delle ex-Leopoldine, in piazza Tasso, si sono messi in sintonia prima con le coraggiose scelte di pedonalizzare la “piazza” restituendola al “quartiere” e poi sviluppando un progetto attento di riqualificazione e recupero applicando allo spazio pedonale prevalentemente la metodologia del restauro. A conclusione del percorso partecipato, come scrive chi ha condotto il lavoro, si è sviluppato un proficuo confronto con l’Amministrazione Comunale anche se era già progettata e approvata la sistemazione della piazza, condivisa con la Soprintendenza, e i lavori erano già appaltati. Nonostante questo, il confronto è stato costruttivo e appassionato e ha fatto emergere che i punti di partenza del progetto relativi alle funzioni compatibili erano gli stessi, lo spazio pedonale, il verde, l’acqua, l’arredo urbano, l’illuminazione non invasiva. Ritengo che il lavoro fatto sia stato importante anche se è andato oltre sviluppando un progetto con una soluzione architettonica che supera un percorso partecipativo che principalmente vede i cittadini interrogarsi, analizzare e declinare le funzioni da assegnare ad uno spazio urbano. I tecnici dell’Amministrazione Comunale in accordo con la Soprintendenza hanno elaborato un progetto improntato al recupero e soprattutto al restauro della parte pedonale, differenziandola da quella carrabile per quota e materiali, inserendo le aree a verde con dovuta attenzione e cautela, sviluppando un arredo urbano compatibile. È necessario dare seguito a questa esperienza, possibilmente allargando ad altre componenti il dibattito, per impegnarsi da subito su altri interventi che riterremo necessari in Oltrarno, dove la riflessione e progettazione deve ancora iniziare, per esempio Piazza del Cestello da dove ritengo si debba ripartire.
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Piazza del Carmine, un bene culturale comune Giorgio Caselli
Dirigente del Servizio Belle Arti e Fabbrica di Palazzo Vecchio, Comune di Firenze Alberto Di Cintio nel suo contributo ha utilizzato un termine - riconoscere - molto caro a chi si occupa di conservazione dei beni culturali e che meglio di altri può restituire la vicenda del progetto di riqualificazione della piazza del Carmine. Quale valore aggiunto al risanamento del passato “abuso nell’uso”, riconoscere - provando a sviluppare la riflessione del coordinatore dell’unità di ricerca - «[…] il ruolo fondamentale che deve avere una piazza: ovvero il ruolo delle relazioni umane in un ambito spaziale ampio, significante, ricco di storia e di valori» non rappresenta solo un valore disciplinare ma anche il concreto orizzonte metodologico delle nostre azioni: recuperare nel luogo, tra superfetazioni di funzione e di immagine, i valori riconosciuti nel tempo dalla comunità che ne hanno determinato l’interesse storico oggi oggetto di tutela, per promuoverne la conoscenza e la fruizione pubblica. In due parole: restaurare per valorizzare Piazza del Carmine. In un momento in cui il progetto dell’Amministrazione è giunto nella sua fase conclusiva (senza essersi mai interrotto come superficialmente riportato in uno tra i tanti, circostanziati contributi della presente pubblicazione), il resoconto delle attività di partecipazione coordinate dall’Università consente di fare alcune riflessioni. La prima verte proprio sul significato delle azioni odierne che, lontano dalla retorica del rinnovamento o della ricerca di “nuove vocazioni” per il luogo, più volte riportate nella stampa cittadina, ha invece intrapreso, per entrambe le esperienze, la buona strada della riconoscibilità. Entrambi i progetti (quello appaltato e quello partecipato) dedicano un ruolo prioritario a quel processo sociologico per cui le persone riconoscono nel monumento o nei luoghi un interesse storico comune e ne decretano la sostanza di bene culturale. Questo è il valore più prezioso ed eccezionale del nostro spazio pubblico, la cui valorizzazione non necessita di professionisti della rigenerazione ma di attenzione, misura e soprattutto modestia. Ritengo fondamentale questo richiamo alla riconoscibilità dei valori sottesi al luogo perché ha costituito fin da subito il confine entro il quale ritenevamo dovesse svilupparsi il progetto - prima ancora che urbano o paesistico - di restauro della piazza. Ma cogliere le stesse sensazioni nelle parole del coordinatore dell’Unità di Ricerca, costituisce un conforto indiscutibile. La seconda riflessione deve essere dedicata ai tempi e alla eccezionale affinità dei risultati di due percorsi progettuali distinti e paralleli. Il progetto dell’Amministrazione si è concluso nel Novembre 2016 ed è stato approvato il successivo Dicembre; nel medesimo mese sono state avviate le procedure per l’individuazione dell’impresa esecutrice. Anche nella eventualità, quindi, che il percorso partecipativo avesse coinvolto da subito il Comune di Firenze (condizione che non si è mai verificata fino all’ultimazione dello stesso) le risultanze di quest’ultimo non avrebbero mai avuto la possibilità di confluire nel progetto approvato. Senza entrare quindi nel merito della seconda, sterile querelle sul confronto “temporale” tra le due esperienze (posta con ingiustificata superficialità senza la necessaria conoscenza dei fatti) quel che ritengo estremamente più utile evidenziare è la straordinaria comunione di risultato tra due esperienze che, per fatti certamente estranei alla volontà dell’Ente, non si sono confrontate in itinere. Non credo possa esser messo in dubbio, in effetti, come il carattere del progetto in corso di esecuzione, estremamente semplice negli assunti illustrati ma tutt’altro che ordinario nelle proposte (prima fra tutte quella dell’uso del verde come strumento tecnico finalizzato all’aumento della vivibilità della piazza), sia assolutamente in linea con le proposte dei residenti, delineatesi a margine del generoso ed innovativo confronto fra i progettisti e i funzionari della Soprintendenza. Ed in effetti i desideri 7
della comunità, dispensati dagli oneri della disciplina, e gli esiti della riflessione progettuale, improntati alla misura di cui parlavo prima, testimoniano una comune inclinazione alla lettura critica dell’immagine complessiva dello spazio, talmente proficua da superare la dimensione di progetto e avvalorarne i presupposti reclamando, addirittura, “l’annessione dei giardini adiacenti ora non aperti al pubblico”. E questo mi consente di affrontare il terzo spunto di riflessione, ovvero quello del confronto tra i contenuti del progetto e i risultati dell’eccezionale lavoro coordinato dall’Università. Pur non volendo trascurare gli interessanti e condivisibili assunti del lavoro, a partire dalla “lettura delle relazioni tra territorio e collettività” per approdare alla determinazione verso il “progetto paesaggistico urbano sotteso dietro l’attuale immagine urbana” che tocca forse una dei temi di maggiore attualità (e criticità) nella gestione odierna delle nostre città, è immediatamente evidente come le indicazioni offerte dalla partecipazione al progetto siano, ancora una volta, coerenti con le linee guida seguite dai progettisti dell’Amministrazione. Gli elementi di innovazione proposti dai cittadini, a partire dagli alberi e dalle sedute per la sosta, l’indicazione chiaramente espressa a limitare gli elementi che usualmente concorrono a definire la scena urbana, il rispetto verso ”l’amplio volume contemplativo, silenzioso ed essenziale ai piedi della facciata nuda del Carmine” - al cui filologico mantenimento è dedicata la scelta di restaurarne la sola materia, ovvero il lastrico in macigno - non possono che essere direttamente assimilati anche alle scelte dell’Amministrazione, gran parte delle quali formatesi prima dell’esperienza in questione e pertanto non solo concretamente innovative nell’ambito disciplinare di riferimento (esiste ancora una nutrita ed autorevole compagine professionale critica verso l’uso di alberature nei centri storici cosiddetti “di pietra” ) o sorprendenti nell’anticipare i desideri espressi da una parte della comunità ma, prima ancora, ispirate a un uso discreto degli strumenti del progetto, mai autoreferenziale, e ad una analisi dei caratteri primigeni del luogo tutt’altro che finalizzati a «costruire un immagine dello spazio pubblico facilmente esportabile e comunicabile». Proprio le critiche espresse senza la dovuta conoscenza offrono la principale testimonianza della comunità di risultati conseguiti dalle due esperienze e continuare a ignorare questo costituisce l’unico intollerabile fallimento della vicenda. Le stesse previsioni del meta progetto presentato, alla fine, ci confortano sulle decisioni assunte dai progettisti nel prevedere un inserimento discreto e scrupoloso di tutti gli elementi tecnici di novità, a partire dalle alberature e proprio a tutela di quell’unitarietà dello spazio originario che, non a caso e per stessa affermazione dei coordinatori del percorso, proprio nella sovrapposizione tra le regole visuali estratte nello spazio e l’uso estensivo delle alberature della proposta definitiva, si espone alla insostenibile frammentazione sintattica (“la prima” e la “seconda piazza”), confermando la fondamentale necessità di un agire misurato. Ciò non invalida la sostanza dell’eccezionale apporto offerto dalle indicazioni recepite nella partecipazione in merito all’analisi dei bisogni, alle funzioni compatibili con la vita e sostenibili con l’ambiente, al rispetto dei valori storici del luogo, alla forte limitazione della mobilità e alle stesse parole chiave (vita, laboratori artistici, ombra, etc.), in cui si confermano le scelte recenti dell’Amministrazione, quelle operate negli ultimi anni e quelle in corso di attuazione, con la speranza di recuperare, concretamente, quella “capacità di rappresentare tutti i punti di vista”. Lo spazio pubblico è un bene comune, si evidenzia in più punti dello studio, e se è vero, come sosteneva nel 2010 Saskia Sassen nell’introdurre la X biennale di architettura di Venezia, che le città sono importanti perché: «Allorchè entriamo nel XXI secolo […] riemergono come luoghi strategici per un’ampia gamma di progetti e di dinamiche[…]» - e che - «[…] una delle grandi ironie della nostra era digitale è il fatto che essa abbia prodotto non soltanto una forte dispersione ma anche una concentrazione estrema di risorse di massimo livello in un numero limitato di luoghi […] - e con queste - rinnovati entusiasmi per una estetizzazione della città, per la sua conservazione e per il mantenimento del suo aspetto di luogo pubblico» è naturale, ma ho cercato di
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rappresentarlo in maniera chiara che, proprio perché appartenente a tutti e a tutte le epoche, la città debba essere considerato il primo dei nostri beni culturali cui dedicare attenzioni e azioni, non prima di averne correttamente identificato la materia oggetto di tutela e del nostro concreto agire; “partecipare” a tutto questo non deve quindi essere inteso quale mero orizzonte di metodo ma una comune responsabilità, individuale e professionale, per la crescita culturale - proprio con questa rinnovata consapevolezza critica - di tutta la comunità delle nuove, riemerse città.
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Introduzione Alberto Di Cintio
Coordinatore scientifico Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto” Questa pubblicazione raccoglie e sistematizza parte del voluminoso materiale di ricerca, di studio e di proposta che è stato elaborato nel corso del Percorso Partecipato promosso e organizzato dalla Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto” del Dipartimento di Architettura di Firenze che, insieme alla parte più attiva dei cittadini dell’Oltrarno, ha organizzato dal giugno 2016, un ciclo di incontri e di iniziative dedicate allo studio e all’analisi di Piazza del Carmine in Firenze. Da qui ha preso poi l’avvio un progetto partecipato, chiamando la cittadinanza del rione a collaborare ed esprimere bisogni e idee per realizzare una progettualità il più possibile condivisa per la riqualificazione della Piazza. A conclusione di questo lungo e impegnativo lavoro, durato 6 mesi, abbiamo esposto le risultanze progettuali presentate come contributo propositivo e partecipativo per il bene della nostra città, e ora ne pubblichiamo gli atti. Questa iniziativa dedicata a Piazza del Carmine si inserisce pienamente negli obbiettivi della Unità di Ricerca PPcP per il suo ruolo di sviluppo della terza missione dell’Università. Ovvero per rafforzare le relazioni del mondo universitario con la comunità tutta, le istituzioni e le associazioni del territorio, per il trasferimento e la valorizzazione dei risultati della ricerca e la diffusione della cultura e dei saperi per la realizzazione di progetti strategici e multidisciplinari su tematiche che abbiano risonanza con le vocazioni sociali e comunitarie, e in generale per il potenziamento di sinergie tra l’accademia e la società. Lo studio di temi e sistemi che coinvolgono tali categorie è in grado di produrre interpretazioni conoscitive e propositive per il concreto perseguimento di obiettivi di sostenibilità entro i quali è possibile sviluppare declinazioni del benessere e della bellezza utili anche come veicoli di crescita culturale della società. Lo strumento di esplorazione è il progetto con capacità di indicazione conoscitiva e valutativa, oltre che di definizione decisionale. Le nostre metodologie di ricerca sono improntate sia alla ricerca teorica che sperimentale applicata sul territorio al fine di individuare nuovi campi di riflessione sui grandi temi della nuova qualità dell’abitare (sostenibilità ambientale e sociale) e sulla definizione di modelli e buone pratiche in applicazione a quanto esplicitato nello scenario di riferimento. Parimenti ben si evince il ruolo che la ricerca e quindi l’Università possono e devono giocare in questa sfida epocale, come soggetti decisivi per indirizzare e supportare le scelte politiche ed amministrative che la comunità deve intraprendere per la corretta gestione delle risorse e del loro corretto impiego in ogni ambito e settore. Appare sempre più necessario promuovere, anche come istituzioni di alta formazione e di ricerca, una nuova cultura del costruire che sia compatibile con i parametri ambientali ed in particolare sia sostenibile rispetto al delicato tema dell’uso delle risorse, con particolare attenzione a quelle non rinnovabili. Un impegno progettuale forte, rivolto anche alle generazioni future, con la consapevolezza di indicare nuove e più attente sinergie con l’ambiente e la natura e con il senso di forte responsabilità affinché il nostro agire sul pianeta sia equilibrato e non distruttivo, un progetto che associa la qualità del costruire alle prerogative fondamentali della natura e della sua conservazione. Il Percorso Partecipato per la Piazza del Carmine ha validato con chiarezza la possibilità di promuovere, con piena soddisfazione di risultati, un impegno civico di alto valore progettuale, attivando un mix virtuoso che ha messo in gioco le esperienze e le conoscenze dirette dei residenti con le capacità accademiche e professionali dei docenti e ricercatori universitari. Si è così sviluppata una ricerca che si poneva l’obbiettivo di restituire, dopo anni di abbandono ed uso improprio e squalificato, un fondamentale bene comune come una piazza alla piena fruizione 11
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civica e precisamente dedicata alle relazioni sociali. Ripensata, quindi, come uno spazio per la massima socializzazione degli abitanti e con una alta attenzione alla vivibilità del rione, ma nello stesso tempo con un ruolo cittadino di perno ovvero inserita in un sistema di piazze, quelle dell’Oltrarno, che devono diventare vero e proprio asse attrezzato ricco di significati e funzioni urbane. La scelta più delicata è stata senza dubbio quella di coniugare progettualmente le due idee forza principali emerse nel Percorso Partecipato: - il rispetto, la forte attenzione, verso la preminenza dei valori storici del rione e della Chiesa del Carmine, della sua storia, del suo valore iconografico; - la volontà, forte, reclamata con intensità dai residenti, di recuperare spazi di socializzazione e di chiara prevalenza di verde, di natura, di acqua. A conclusione di questo percorso abbiamo sviluppato un serio confronto con la città e con l’Amministrazione Comunale che, pur confermando il suo progetto per la Piazza, ha inteso pubblicare il nostro lavoro in segno di apprezzamento per il lavoro fatto. Di questo ovviamente ringraziamo in particolare l’assessore Giorgetti e il suo staff unitamente al personale della Tipografia Comunale.
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Il Percorso Partecipato Il Percorso Partecipato dedicato allo studio e all’analisi di Piazza del Carmine, si è sviluppato attraverso assemblee pubbliche, a cadenza mensile, che sono iniziate sabato 11 giugno 2016 presso la bellissima sala della ex Chiesa di Santa Monaca, gentilmente concessa a titolo gratuito dai gestori dell’Ostello di Santa Monaca, a cui va un sentito ringraziamento per la generosa disponibilità. Nelle assemblee si sono progressivamente illustrate ed approvate le relazioni prodotte dai cinque gruppi di lavoro tematici che sono stati organizzati durante il percorso, fino all’approvazione conclusiva della documentazione e del progetto finale. Delle assemblee riportiamo qui di seguito alcune foto unitamente alle locandine di convocazione.
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Unità di Ricerca PPcP Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto
UNIVERSITÀ
DEGLI STUDI
FIRENZE DIDA
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
in collaborazione con Comitato Oltrarno Futuro
Sabato 11 giugno 2016 | ore 10 Chiesa di Santa Monaca (g.c.) Via Santa Monaca 6
Incontro pubblico
Riflessioni, studi e progetti su
Piazza del Carmine ricerche studi e idee per costruire un percorso di progetto partecipato
la cittadinanza è invitata a partecipare
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UNIVERSITÀ
Unità di Ricerca PPcP Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto
DEGLI STUDI
FIRENZE DIDA
DIPARTIMENTO DI ARCHITETTURA
in collaborazione con Comitato Oltrarno Futuro
Sabato 9 luglio 2016 | ore 10 Chiesa di Santa Monaca (g.c.) Via Santa Monaca 6 Firenze
2° Incontro pubblico
Riflessioni e progetti su Piazza
del Carmine
Ricerche studi e idee per costruire un percorso di progetto partecipato Il 2° incontro del progetto partecipato avrà il seguente programma: • resoconto e analisi delle comunicazioni del 1° incontro • interventi per stabilire un primo ordine di priorità di temi e indicazioni progettuali • definizione di un cronoprogramma degli incontri e della stesura progettuale finale che indicativamente dovrebbe essere conclusa ai primi di dicembre
La cittadinanza è invitata a partecipare
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Unità di Ricerca
Paesaggio Patrimonio culturale Progetto DIDA - Dipartimento di Architettura UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE
Sabato 17 dicembre 2016 | ore 11 Chiesa di Santa Monaca (g.c.) Via Santa Monaca 6
INCONTRO PUBBLICO
Un Progetto per Piazza del Carmine L’Unità di Ricerca PPcP - Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, in collaborazione con i Cittadini dell’Oltrarno
presenta alla città
i risultati del Percorso-Partecipato dedicato alla riqualificazione di Piazza del Carmine. Dopo 7 mesi di intenso e partecipato lavoro, saranno presentati e illustrati gli obbiettivi e le risultanze progettuali dedicate alla completa restituzione e fruizione di questa bellissima Piazza ai residenti del quartiere e ai cittadini di Firenze.
La cittadinanza è invitata a partecipare
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Unità di Ricerca PPcP
Paesaggio Patrimonio culturale Progetto
Sabato 25 marzo 2017 | ore 10 Chiesa di Santa Monaca (g.c.) Via Santa Monaca 6
INCONTRO PUBBLICO
Un Progetto per Piazza del Carmine L’Unità di Ricerca PPcP - Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto del Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze, in collaborazione con i Cittadini dell’Oltrarno
presenta alla città
gli sviluppi del percorso-partecipato, i risultati degli incontri con le Istituzioni e gli organismi pubblici interessati al progetto, l’esito del tavolo di confronto con l’Amministrazione Comunale
La cittadinanza è invitata a partecipare
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Palazzo Rospigliosi- Pallavicini, dal 1958 proprietĂ delle Francescane Missionarie di Maria. (Foto presente su https://firenzemia.wordpress.com/)
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Studi e materiali Abbiamo scelto e selezionato tre contributi scientifici che abbiamo assunto come testi di riferimento particolarmente significativi. Questi studi sono stati fondamentali come basi di analisi e ricerca per la successiva elaborazione del progetto scaturito dal processo-partecipato. Si tratta inoltre di ricerche scientifiche assunte anche dal Comune di Firenze e anche dal Centro Unisco che ne hanno curato e promosso la stampa e di cui si sono avvalsi per l’attività istituzionale e amministrativa conseguente. Si riportano di seguito le presentazioni e alcuni estratti dalle pubblicazioni succitate: • V. Orgera, G. Balzanetti, L. Artusi, J. Poli, Firenze il quartiere di Santo Spirito dai gonfaloni ai rioni. Una metodologia d’indagine per un piano delle funzioni della vita cittadina, Alinea Editrice, Firenze 2000 • M. Bini, C. Capitanio, L. Aiello, Immagine Urbana. Temi e progetti per lo spazio pubblico nel Centro Storico di Firenze, Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze, Dida Press 2016 consultabile al seguente indirizzo web: https://issuu.com/dida-unifi/docs/unesco_immagine_urbana_issu scaricabile in formato pdf al link: http://www.firenzepatrimoniomondiale.it/documenti/ e il volume: • C. Francini, C. Capitanio, V. Anti, C. Aprile, I. Romano, Spazio Pubblico. Linee guida per l’immagine urbana del Centro Storico di Firenze, Comune di Firenze, 2014 scaricabile in formato pdf al link: http://www.firenzepatrimoniomondiale.it/documenti/
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Firenze, il quartiere di Santo Spirito dai gonfaloni ai rioni
Una metodologia d’indagine per un piano delle funzioni della vita cittadina V. Orgera, G. Balzanetti, L. Artusi, J. Poli Alinea Editrice, Firenze 2000 Questo studio propone una lettura delle relazioni tra territorio e collettività, individuando la comunità rionale come unità ideale per la costruzione equilibrata e sostenibile della identità storico-culturale della città. Questo assunto è stato pienamente sposato anche dalla impostazione data al percorso partecipato per la riqualificazione della Piazza del Carmine. Il volume nella prima parte è dedicato alla storia delle composizioni delle varie realtà comunitarie nella storia di Firenze, ed in particolare si dedica allo studio dei rioni come prima suddivisone interna ai quartieri fiorentini; ne individua gli elementi e matrici fondativi e formativi e ne riporta origini insediative e vicende evolutive. La seconda parte si occupa precipuamente dello studio dei rioni del quartiere di Santo Spirito, valutandoli come veri e propri moduli urbani, studiandone le caratteristiche di evoluzione storica e identitaria e anche - nella loro attuale dimensione fisica e funzionale - socio-economica con una importante ricerca statistica, con i dati al 2000, che è stata particolarmente utile per la comparazione effettuata nello studio di questo percorso partecipato con i valori attuali del rione di San Frediano. In particolare vengono così analizzate, subordinate alla funzione prioritaria che è quella della residenza, tutte le principali funzioni essenziali sia della vita urbana nel rione che di quelle di interesse dell’intera città. Le funzioni a scala rionale sono quelle ritenute essenziali alla vita dei residenti del rione e che sono raggiungibili a piedi (asili e scuole primarie, piccola distribuzione commerciale, luoghi di culto, farmacie, bar, edicole, mercato rionale, circoli e associazioni, verde pubblico, ecc.); quelle a scala cittadina sono d’interesse dell’intera popolazione fiorentina e importano quindi nel rione carichi ulteriori di persone e di traffico (attività industriali e produttive, alberghi, ristorazione, scuole secondarie, centri sanitari, poste, uffici amministrativi e di servizi, musei, ecc.) . Riportiamo una significativa frase del libro che racchiude il senso di questa ricerca: “L’importante è che ogni cittadino si senta di appartenere a un determinato rione conoscendone i limiti, i valori e la storia per ritrovare una dimensione di vita sociale e le funzioni necessarie”.
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Immagine Urbana
Temi e progetti per lo spazio pubblico nel Centro Storico di Firenze M. Bini, C. Capitanio, L. Aiello Dipartimento di Architettura, Università degli Studi di Firenze, Dida Press 2016 Lo spazio pubblico nei centri storici italiani di maggiore valenza internazionale, e attrazione turistica, quali Roma, Venezia, Firenze, che noi oggi viviamo come cittadini e residenti, è indubbiamente soggetto a costanti pressioni antropiche, dovute al traffico, al turismo di massa, alle sempre più numerose occupazioni di suolo pubblico da parte di esercizi commerciali privati, ad occupazioni di suolo pubblico relative ad eventi occasionali e periodici di iniziativa pubblica. Queste trasformazioni sono necessarie e vitali per la città e le sue reti di relazione, ma devono essere attuate con criteri di sostenibilità rispetto ai delicati contesti storico culturali nei quali si inseriscono. Le diverse pressioni antropiche richiedono oggi sistemi operativi gestionali sempre più efficaci per la conservazione e tutela dei caratteri peculiari dei luoghi. La pubblicazione è il terzo volume della collana “Heritage City_lab” del Dipartimento DIDA, nata con lo scopo di diffondere i risultati di ricerche sviluppate all’interno di accordi e convenzioni coll’ufficio UNESCO del Comune di Firenze e inerenti progetti strategici inseriti nel Piano di Gestione del sito UNESCO “Centro Storico di Firenze”. Il volume raccoglie una selezione di rilievi tematici, censimenti, linee guida e progetti per lo spazio pubblico nel Centro storico di Firenze, finalizzati alla riqualificazione e valorizzazione dell’immagine urbana nella core zone del sito UNESCO. L’utilizzo dei più recenti sistemi di gestione dei dati geo-referenziati affiancato a metodologie innovative di rilievo tematico integrato, sono state l’occasione per riprendere e aggiornare metodologie di ricerca sull’immagine urbana. Il testo evidenzia e decodifica gli elementi che hanno reso peculiare e di alto valore simbolico alcune piazze e strade del centro storico di Firenze, legandole alla immagine ed alla identità. La metodologia è tesa a riconoscere il progetto paesaggistico urbano sotteso dietro l’attuale immagine urbana e legato alla civiltà che in differenti periodi storico-politici ha abitato i luoghi. Il rilievo quantitativo dei numerosi elementi che compongono lo spazio pubblico è stato affiancato al rilievo qualitativo della scena urbana, alla individuazione degli elementi peculiari che ne compongono il progetto complessivo. Alla parte introduttiva contenuta nel primo capitolo e dedicata ai fondamenti teorici ed al secondo capitolo che raccoglie le definizioni e strumenti del “rilievo critico”, seguono un terzo capitolo dedicato a schede di approfondimento sulle principali piazze interne al centro storico di Firenze, al rilievo dei principali scorci prospettici legati al progetto di Paesaggio Storico Urbano e ad al piano visuale degli interventi nello spazio pubblico, con individuazione delle diverse sensibilità rispetto a nuovi interventi di trasformazione. Il capitolo quarto contiene i rilievi critico-tematici finalizzati a linee guida per un progetto sostenibile per la valorizzazione delle principali porte di accesso al centro storico monumentale. Il volume dimostra come gli strumenti della rappresentazione e del rilievo critico-tematico possano concorrere in maniera sostanziale a porre solide basi per un progetto di riqualificazione della scena urbana ed in particolare, in contesti peculiari, alla preservazione dell’Outstanding Universal Value, che qualifica il Bene iscritto nella Lista del Patrimonio Mondiale.
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ASCFi, Fondo Disegni, amfce 1220 (cass. 41, ins. C) Signoria (piazza della) Localizzazione: Firenze (Ita) - Signoria (piazza della) veduta, - rilievo (1818, iscr.) 44
Le piazze rilevate nel centro storico di Firenze da Relazione finale illustrativa “Urban Critical Survey: le piazze. FASE I” (2014), dell’Accordo di Ricerca del 24/09/2012 tra Comune di Firenze e Università degli Studi di Firenze, Responsabile Scientifico, Prof. Marco Bini, Coordinamento Prof. Co. Arch. Carolina Capitanio, Responsabile scientifico per il Comune di Firenze, Dott. Carlo Francini 45
Spazio Pubblico - Piazza del Carmine Contesto tipo: Piazza Superficie: mq 7.343 Matrice storica: Religiosa Vocazione: Residenziale Uso Attuale: • Eventi di iniziativa pubblica (non risulta documentata dai dati del Comune) • Eventi di iniziativa privata (non risulta documentata dai dati del Comune) 46
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Pianta delle case di Camaldoli in San Frediano, tra le mura, la Chiesa del Carmine e il borgo (1579). Archivio di Stato, Conventi Soppressi.
Sagra del Masaccio, ricostruzione dell.affresco perduto, databile al 1425-1426. [http://www.inklink.it/inklink/archivio.php?toc=56] 48
(a sinistra) Incisione di Stefano della Bella raffigurante il Carmine addobbato per i festeggiamenti in occasione della canonizzazione di Sant.Andrea Corsini, stampata per i tipi di Zanobi Pignoni, Firenze (1644). (a destra) F. B. WERNER: Veduta di Firenze da Bellosguardo (1705).
Vista esterna della facciata della Chiesa dalla piazza del Carmine. (La splendida storia di Firenze, Piero Bargellini, pag. 232) 49
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Carta degli elementi di forza, emergenze architettoniche. Sistemi strutturali e di relazione visuale. 1. - n.c. 14,16,18, Piazza del Carmine. Convento di Santa Maria del Carmine. Edificio Classe “0” (art. 17, N.T.A. P.R.G. Comune di Firenze 1998-2014), notificato e vincolato ai sensi del D. Lgs. n. 490/99. dati catastali NCEU f. 169, p. 338,399 (parte), 441,445,491,542 NCT f. 169, p. 94, 582. Codice archivio soprintendenza A_FI0022, Identificativo univoco regionale 90480171346. Vincolo architettonico: provvedimento di tutela diretta ai sensi del D.Lgs. 42/2004.
2. 3. - n.c. 28, 29, Piazza del Carmine. Case private. Edificio Classe “1” (art. 18, N.T.A. P.R.G. Comune di Firenze 1998-2014), di particolare interesse storico e/o artistico, monumentale, assimilato o parificato agli edifici notificati e vincolati ai sensi del D. Lgs. n. 490/99.
4. - n.c. 21, Piazza del Carmine. Palazzo Rospigliosi Pallavicini, sede oggi del Collegio Missionario Femminile di San Francesco d’Assisi delle Suore Francescane Missionarie di Maria. Edificio Classe “1” (art. 18, N.T.A. P.R.G. Comune di Firenze 1998-2014), di particolare interesse storico e/o artistico, monumentale, assimilato o parificato agli edifici notificati e vincolati ai sensi del D.Lgs. n. 490/99.
5. - n.c. 22, Piazza del Carmine. Giardino del Palazzo Rospigliosi Pallavicini, sede oggi del Collegio Missionario Femminile di San Francesco d’Assisi delle Suore Francescane Missionarie di Maria. Aree di Classe “2” (art. 19, N.T.A. P.R.G. Comune di Firenze 1998-2014), aree notificate e vincolate ai sensi del D.Lgs. 490/99 e le pertinenze o i giardini di particolare interesse storico-artistico o ambientale.
6. - n.c. 2, Piazza del Carmine; n.c. 8, Via dei Serragli. Giardino Feroni Magnani. Aree di Classe “2” (art. 19, N.T.A. P.R.G. Comune di Firenze 1998-2014), aree notificate e vincolate ai sensi del D.Lgs. 490/99 e le pertinenze o i giardini di particolare interesse storico-artistico o ambientale.
51
Carta degli elementi di forza e dei sistemi di relazione visuale. 52
Piazza del Carmine, visuale dal punto 3490_I.
Piazza del Carmine, asse visuale e piani prospettici relativi dal punto visuale 3490_I. 53
Rilievo dei punti e dei margini visuali nello spazio pubblico: differenti piani prospettici secondo la visione naturale dell’uomo.
Progetto di condivisione del dato. Visualizzazione da Google Earth del file GIS relativi a punti, assi e margini visuali di Piazza del Carmine. 54
Piano visuale e linee guida per le occupazioni temporanee della piazza. Aree di Massima sensibilità, sono costituite prevalentemente da strade carrabili, marciapiedi, sagrati delle chiese, o dai principali assi visuali verso emergenze architettoniche e ambientali. In tali aree non è prevista nessuna possibilità di occupazione del suolo per la specifica connotazione funzionale, compositiva, estetico-formale. Le Aree di Alta sensibilità, sono costituite da parti di spazio pubblico presenti ai margini di assi visuali principali, legati al progetto di Paesaggio Storico Urbano. In queste zone è prevista la possibilità di installazione di arredi temporanei fino ad un’altezza massima di 1 ml. quali ad esempio sedie, tavolini o piccole bancarelle senza coperture o istallazioni di strutture temporanee puntuali di altezza maggiore ma che non occludano la vista verso i punti focali della piazza. Le Aree di Buona sensibilità, sono parti di spazio pubblico complementari alle prime e comunque di elevata rilevanza compositiva e percettiva complessiva in cui si ritiene possibile l’installazione di arredi temporanei fino ad un’altezza massima di tre metri, quali allestimenti per mostre e mercati temporanei. Le Aree di Media sensibilità, sono parti di spazio pubblico perimetrali, rispetto alla piazza, in cui si ritiene possibile l’installazione stagionale di arredi semi permanenti fino all’altezza massima di tre metri, quali ad esempio dehor di pertinenza dei fondi commerciali privati. Le Aree di Bassa sensibilità, sono parti di spazio pubblico a basso impatto percettivo-visuale ed a minor rilevanza monumentale, nelle quali è ipotizzabile il posizionamento di aree di servizio, quali zone carico scarico merci, parcheggi, servizi. 55
56
Spazio pubblico
Linee guida per l’immagine urbana del Centro Storico di Firenze C. Francini, C. Capitanio, V. Anti, C. Aprile, I. Romano Comune di Firenze 2014 L’Ufficio UNESCO del Centro Storico di Firenze, in collaborazione con l’Università degli Studi di Firenze - DIDA (Dipartimento di Architettura), ha redatto le “Linee guida per l’immagine urbana del Centro Storico di Firenze”, ossia indicazioni rivolte ad affiancare il sistema di gestione dello spazio pubblico attraverso raccomandazioni e buone pratiche che seguono i principi generali di decoro e di valorizzazione dell’immagine della città, con particolare attenzione agli elementi dell’arredo urbano e agli elementi della comunicazione. L’attività, iniziata nel febbraio 2013 con il progetto di ricerca denominato “Criticità nello spazio pubblico del Centro Storico di Firenze: censimento e linee guida”, Responsabile scientifico per il comune di Firenze, Dott. Carlo Francini, Responsabile scientifico per l’Università degli studi di Firenze Prof. Marco Bini e Coordinamento scientifico Dr. Arch. Carolina Capitanio, ha come oggetto lo spazio pubblico, in particolare il cuore del tessuto connettivo (piazze, strade, porticati) e focalizza l’attenzione su tutti gli elementi che concorrono a definire la scena urbana, ossia pavimentazioni, facciate e oggetti di arredo (insegne, illuminazione pubblica, cestini rifiuti, ecc.). Gli oggetti dell’arredo urbano sono stati distinti in due macro-tematismi: gli elementi della comunicazione (segnaletica stradale, cartelli pubblicitari, insegne private, elementi turistico-culturali, ecc.) e gli elementi dell’arredo urbano (illuminazione, occupazione suolo pubblico, raccolta rifiuti, dissuasori, elementi del trasporto, ecc.). La prima fase della ricerca è caratterizzata dall’analisi tecnico conoscitiva (censimento e catalogazione) che ha fornito dati quantitativi per piazze e vie. Il rilievo critico, su cui si è basata la seconda fase della ricerca, ha permesso di individuare ed elaborare le criticità strutturali (riferite allo stato di degrado del patrimonio edilizio, della pavimentazione e del verde urbano) e le criticità su sistema di relazione (riferite allo stato di degrado, alla posizione, alla coerenza rispetto al contesto e al progetto dello spazio urbano di tutte quelle componenti della comunicazione e dell’arredo che complessivamente qualificano il lessico urbano odierno). Si sono quindi redatte delle linee guida per i diversi elementi che concorrono ad arredare lo spazio pubblico, individuando fra le diverse tipologie gli elementi coerenti e quelli non coerenti. Il rilievo critico ha coperto il 35% dello spazio pubblico del Centro Storico di Firenze. Seppure la tutela del patrimonio edilizio esistente ha raggiunto un alto livello di sensibilità concretizzandosi nella più tradizionale disciplina vincolistica e di tutela urbanistica, ciò non è riscontrabile per gli elementi dell’arredo e della comunicazione che compongono l’immagine dello spazio pubblico. La pubblicazione fornisce un importante contributo in questo ultimo campo dove esistono ancora ampi margini di ricerca ed affinamento delle metodologie di intervento. “Il progetto paesaggistico e architettonico di alcuni spazi-matrice della città storica sottintendono generatrici geometrico-compositive peculiari ed identitarie che nei secoli sono andate ad integrarsi creando un unicum. Rilevare come censire questi spazi significa comprenderne gli aspetti qualitativi generali e particolari, dalla scala macro a quella micro e selezionare codici di lettura e temi di indirizzo per il progetto. Le strade come le piazze monumentali hanno una dimensione scenografica-rappresentativa nella quale gli elementi di arredo si sovrappongono ad un sistema fatto di geometrie compositive, materiali, colori. La finalità ultima è quella della gestione delle future trasformazioni in un paesaggio storico urbano nel quale necessità di sviluppo e valorizzazione economiche devono convivere con quelle di tutela del patrimonio”. Le linee guida sono elencate nella pubblicazione nella forma di “principi” e “raccomandazioni” in quanto sono in grado di fornire un contributo non solo tecnico ma anche culturale-scientifico del tema complesso trattato. 57
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I temi che concorrono nella progettazione del’arredo urbano nello spazio pubblico
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Aree censite al 2014 Perimetro del Centro Storico di Firenze Sito UNESCO Spazio pubblico del Centro Storico di Firenze Parchi e Giardini monumentali ed altri parchi urbani Aree censite Nodi (Piazze con porte di accesso alla cittĂ lungo il Cardo e Decumano)
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Struttura, usi e reti dello spazio pubblico
61
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Piazza del Carmine, Censimento arredo urbano, cartellonistica stradale e linee guida
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Gli abachi delle soluzioni progettuali relativi alle diverse tipologie compatibili con lo spazio pubblico nel centro storico
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Elaborazioni dei gruppi di lavoro Gruppo di lavoro BANCA DATI e GIS Coordinatore: Remo Bertani
Le attività del gruppo hanno avuto lo scopo di raccogliere dati funzionali a supportare il progetto partecipato di riqualificazione di Piazza del Carmine. La maggior parte dei dati sono stati forniti dal Comune di Firenze, Servizio Statistica e toponomastica, di Firenze <http://statistica.fi.it/>. Atri sono stati forniti da ricerche o rilievi diretti dei cittadini sul campo o, per quanto riguarda il parco veicolare, dall’ufficio statistica dell’ACI Automobil Club d’Italia- Roma. Le “parti di città” prese in esame riguardano il rione di San Frediano ed i rioni dell’Oltrarno che insieme alla parte del Centro Storico “di qua d’Arno” costituiscono il Centro storico Monumentale ricompreso nell’antica cerchia delle mura medievali (Sito UNESCO) ed altri rioni di interesse per il quartiere dell’Oltrarno immediatamente adiacenti, quali il Pignone, Bellosguardo, San Gaggio, Bobolino, Viale dei Colli , per un totale di tredici aree urbane. Sono stati analizzati i principali dati demografici del Comune di Firenze e confrontati con i dati corrispondenti di alcuni dei principali rioni dell’Oltrarno alle date 2001 e 2015. Sono stati inoltre analizzati i dati relativi alle attività commerciali presenti negli stessi rioni dell’Oltrarno e Centro Storico, facendo un confronto tra lo stato al 2001 e al 2015.
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Sintesi dati demografici al 2001 La situazione demografica al 2001, su tutto il Comune di Firenze, dimostra la presenza di 355.315 residenti, (nel 2003: 367.259 residenti e 175.571 famiglie, ovvero una media di 2,09 componenti per nucleo famigliare in tutto il comune). Se scendiamo alla scala dei rioni dell’Oltrarno e Centro Storico, sempre nel 2001 troviamo 53.457 residenti e 29.098 famiglie, con media di 1,84 componenti per nucleo familiare. Tutta l’area di studio presa in considerazione dei rioni dell’Oltrarno e il centro Storico rappresentano nel 2001, il 15,05% della intera popolazione del comune di Firenze. Nel solo rione di San Frediano, troviamo 4.145 residenti e 2.215 famiglie, con una media di nuclei familiari costituiti da 1,87 componenti. Nei rioni dell’Oltrarno e Centro Storico la Tipologia Famiglie è costituita anche nel 2001 per maggioranza da un solo componente, il 56,8% e poi a decrescere, 2 componenti il 20,7%, 3 componenti il 12,9%, 4 componenti il 7,2%, 5 componenti il 1,9%, 6 componenti il 0,4% e maggiore o uguale a 7 componenti solo lo 0,2%. Su 29.098 famiglie presenti, il 61,8% abitano nel Centro Storico “di qua d’Arno”, il 7,1% a Santo Spirito, il 3,5% a San Niccolò e il 7,6% a San Frediano. Nel Rione di San Frediano, su 2.215 famiglie presenti, il 55,3%è costituito da un solo componente, il 20,6% da due componenti, il 13,6% da tre componenti, il 7,6% da quattro componenti, il 2% da cinque componenti, lo 0,4% da sei componenti, e sempre lo 0,4% da sette o più componenti. Sempre nel Rione di San Frediano, se si vanno ad analizzare i residenti per fasce di età, su un totale di 4.145 soggetti, si nota che la larga maggioranza è costituita sia per genere maschile che femminile dalla fascia di età lavorativa, ovvero dai 30/49 anni (35,15%) e fra i 50 /64 anni (18,72%). Ampia sempre la presenza di bambini e ragazzi in età scolare, con la presenza di ben 447 unità (11%) fra gli 0 e 14 anni e del 13% la fascia ricompresa tra i 15 e i 29 anni. Questo dimostra che il rione di San Frediano è da tempo caratterizzato da una popolazione giovane.
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I rioni I rionidell’Oltrarno dell’Oltrarnoe eCentro CentroStorico Storico
99
1.1.San SanFrediano Frediano 2.2.Centro Centro 3.3.Santo SantoSpirito1 Spirito1 4.4.Santo SantoSpirito2 Spirito2 5.5.San SanNiccolò Niccolò 6.6.Pitti Pitti 7.7.Boboli Boboli Pignone1 8.8.Pignone1 Pignone2 9.9.Pignone2 Bellosguardo 10.Bellosguardo 10. 11.San SanGaggio Gaggio 11. Bobolino 12.Bobolino 12. 13.Viale Vialedei deiColli Colli 13.
22 88
1010
11
33 44
66 77 55 13 12 13 12
11 11 Anno2001 2001 Anno
Servizio Statistica e Toponomastica Comune di Firenze Dati:Dati: Servizio Statistica e Toponomastica del del Comune di Firenze
Rione S. Frediano
Rioni Oltrarno e Centro Storico
Comune di Firenze
Totale residenti
4.145
53.457
355.315
Percentuale residenti sul totale del comune
1,17%
15,05%
100%
Totale famiglie
2.215
29.098
175.571
Numero medio componenti per famiglia
1,87
1,84
2,02
69
Anno 2001 Tipologia famiglie
Fonte: Servizio Statistica e Toponomastica comune di Firenze
70
71
Sintesi dati demografici al 2015 La situazione demografica al 2015, fotografa su tutto il Comune di Firenze, la presenza di 382.308 residenti, con 188.948 famiglie, ovvero una media di 2,02 componenti per nucleo familiare in tutto il comune. Se scendiamo alla scala dei rioni dell’Oltrarno e Centro Storico, sempre nel 2015 troviamo 50.379 residenti e 28.796 famiglie, con media di 1,75 componenti per nucleo famigliare. Tutta l’area di studio presa in considerazione dei rioni dell’Oltrarno e il centro Storico rappresentano nel 2015 il 13,18% della intera popolazione del comune di Firenze. Nel solo rione di San Frediano, troviamo 4.043 residenti e 2.381 famiglie, con una media di nuclei familiari costituiti da 1,70 componenti. Nei rioni dell’Oltrarno e Centro Storico la Tipologia Famiglie è costituita per la larga maggioranza da un solo componente, ben il 60,4% e poi a decrescere, 2 componenti il 19,7%, 3 componenti il 11,0%, 4 componenti il 6,4%, 5 componenti il 1,8%, 6 componenti il 0,5% e maggiore o uguale a 7 componenti solo lo 0,2%. Su 28.796 famiglie presenti, il 60,6% abitano nel Centro Storico “di qua d’Arno”, il 7,1% a Santo Spirito, il 3,3% a San Niccolò e il 8,3% a San Frediano. Nel Rione di San Frediano, su 2.381 famiglie presenti, ben il 63% è costituito da un solo componente, il 18,1% da due componenti, il 11,2% da tre componenti, il 5,6% da quattro componenti, il 1,6% da cinque componenti, lo 0,3% da sei componenti, e solo lo 0,2% da sette o più componenti. Sempre nel Rione di San Frediano, se si vanno ad analizzare i residenti per fasce di età, su un totale di 4.043 soggetti, si nota che la larga maggioranza è costituita sia per genere maschile che femminile dalla fascia di età lavorativa, ovvero dai 30/49 anni (33,61%) e fra i 50/64 anni (22,56%). Ampia inoltre la presenza di bambini e ragazzi in età scolare con la presenza di ben 453 unità (11%) fra gli 0 e 14 anni e del 12% la fascia ricompresa tra i 15 e i 29 anni.
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I rioni dellâ&#x20AC;&#x2122;Oltrarno e Centro Storico 1. San Frediano 2. Centro 3. Santo Spirito1 4. Santo Spirito2 5. San Niccolò 6. Pitti 7. Boboli 8. Pignone1 9. Pignone2 10. Bellosguardo 11. San Gaggio 12. Bobolino 13. Viale dei Colli
2
9
8
1
10
3
6
4
7
5
12
13
11 Anno 2015
Dati: Servizio Statistica e Toponomastica del Comune di Firenze
Rione S. Frediano
Rioni Oltrarno e Centro Storico
Comune di Firenze
Totale residenti
4.043
50.379
382.308
Percentuale residenti sul totale del comune
1,06%
13,18%
100%
Totale famiglie
2.381
28.796
188.948
Numero medio componenti per famiglia
1,70
1,75
2,02
73
Anno 2015 Tipologia famiglie
Fonte: Servizio Statistica e Toponomastica comune di Firenze
74
75
Popolazione attiva al 2015 - Rioni Oltrarno e Cantro Storico 76
Rione
Laurea
Diploma
Media
Elementare
Alfabeti
Analfabeti
Totale
FIRENZE
21%
32%
23%
17%
6%
1%
100%
Firenze fcv
20%
31%
24%
18%
6%
1%
100%
Centro Pignone
34% 20%
32% 26%
18% 27%
10% 21%
5% 5%
1% 1%
100% 100%
San Niccolò Santo Spirito San Frediano
36% 31% 30%
30% 31% 29%
18% 20% 21%
11% 13% 14%
5% 5% 6%
0% 0% 0%
100% 100% 100%
Pitti Boboli Bellosguardo
35% 32% 29%
33% 34% 30%
17% 17% 20%
9% 12% 14%
5% 5% 6%
1% 0% 1%
100% 100% 100%
FIRENZE
Firenze fcv
Centro
Pignone Laurea San Niccolò
Diploma Media Elementare
Santo Spirito
AlfabeL AnalfabeL
San Frediano
Pi6
Boboli
Bellosguardo
0%
5%
10%
15%
20%
25%
30%
35%
40%
Titolo di studio della popolazione residente nei rioni di Oltrarno e Centro Storico al 2015 77
Le attività economiche a San Frediano 2001-2015 Fonte: Ufficio Statistica Comune di Firenze. Le classificazioni sono raggruppate per famiglie di appartenenza e organizzate per struttura gerarchica o per livello. Censimento dell’Industria 2001 e CCIIA 2015. La classificazione delle attività economiche ATECO è una tipologia di classificazione adottata dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica Italiano) per le rilevazioni statistiche di carattere economico. Le classificazioni delle attività economiche sono raggruppate per famiglie di appartenenza e organizzate per struttura gerarchica o per livello. All’interno del rione di San Frediano sono stati individuati le seguenti attività riconducibili ai rispettivi codici ATECO, e raggruppate per tipologie omogenee: Agricoltura, caccia, silvicultura; attività manifatturiere; commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, di motocicli e di beni personali per la casa; alberghi e ristoranti; Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni; attività finanziarie; attività immobiliari, noleggio, informatica e servizi alle imprese; istruzione sanità e assistenza sociale; costruzioni; altri servizi pubblici, sociali e personali. La situazione al 2001 vede nel rione di San Frediano, su 390 attività commerciali esistenti, una netta prevalenza di attività manifatturiere (104 unità) e di attività relative a “ commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, di motocicli e di beni personali per la casa” (113 unità). La situazione fotografata al 2015, su un totale di 418 attività commerciali esistenti, vede un sostanziale decremento (-31%) delle attività manifatturiere e un deciso incremento delle attività adibite ad “alberghi e ristoranti” (+69%). Elemento di novità degli ultimi dieci anni risultano essere le attività di affittacamere o appartamenti. Dati sulle disponibilità nel quartiere possono essere valutati dalla visione di portali web pubblici quali ad esempio Airbnb. Il Portale <https://www.airbnb.it/> mette in contatto persone che sono alla ricerca di alloggio o di una camera per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare in ogni parte del mondo (in genere si tratta di privati). Gli annunci includono sia stanze private che interi appartamenti. Da una ricerca fatta nell’ottobre 2016, solo nella zona corrispondente al rione di San Frediano si contavano 349 offerte di cui 54 offerte di stanze singole e 295 offerte di interi appartamenti. Da una ricerca sullo stesso sito di Airbnb si evidenzia la grande densità di attività di affitacamere o di affitti di appartamenti privati in tutta l’area metropolitana di Firenze, con la maggiore densità presente proprio nella buffer zone del sito UNESCO “ Centro Storico di Firenze”.
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Sezioni ATECO - Attività al 2001
Sezioni ATECO - Attività al 2015
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Sezioni ATECO - Confronto dati 2001-2015 Fonte: elaborazione ufficio comunale di statistica su dati censimento dell’industria 2001 e CCIAA di Firenze 2015
• Sanità e assistenza sociale: -82% • Altri servizi pubblici, sociali e personali: +83%
• Istruzione: +100% • Attività manifatturiere: -31% • Alberghi e ristoranti: +69%
• Attività immobiliari, noleggio informatica, ricerca e servizi alle imprese: +4% • Costruzioni: +33% • Commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli, e di beni personali e per la casa: +9%
• Agricoltura, caccia e silvicoltura: 0% (nessuna variazione)
• Attività finanziarie: 0% (nessuna variazione)
• Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni: -25%
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Il rione San Frediano - altre attività Ottobre 2016 - Fonte https://www.airbnb.it Elemento di particolare novità e rilevanza degli ultimi dieci anni risultano essere le attività di affittacamere o appartamenti. Dati sulle disponibilità nel quartiere possono essere valutati dalla visione di portali web pubblici quali ad esempio Airbnb. Il Portale <https://www.airbnb.it/> mette in contatto persone che sono alla ricerca di alloggio o di una camera per brevi periodi, con persone che dispongono di uno spazio extra da affittare in ogni parte del mondo (in genere si tratta di privati). Gli annunci includono sia stanze private che interi appartamenti. Da una ricerca fatta nell’ottobre 2016, solo nella zona corrispondente al rione di San Frediano si contavano ben 349 offerte di cui 54 offerte di stanze singole e 295 offerte di interi appartamenti. Da una ricerca sullo stesso sito di Airbnb si evidenzia la grande densità di attività di affittacamere o di affitti di appartamenti privati in tutta l’area metropolitana di Firenze, con la maggiore densità presente proprio nella buffer zone del sito UNESCO “Centro Storico di Firenze”. Un dato questo molto preoccupante in relazione alle criticità che provoca nel delicato equilibrio di funzioni presenti nel quartiere.
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Analisi del Parco veicolare nel Comune di Firenze 2001 - 2015 Fonte: area professionale e statistica ACI - Automobil Club d’Italia, Roma. I dati riportati provengono dall’ “Autoritratto” dell’A.C.I. ovvero la rappresentazione del parco veicolare italiano che l’Automobile Club d’Italia mette a disposizione di chi, per motivi di studio o di lavoro, abbia necessità di trarne le dovute informazioni. La pubblicazione è una sintesi, seppur molto articolata, dei dati tratti dagli archivi dell’Ente. Mentre per il 2015 i dati sono reperibili sul sito web dell’Ente, per il 2001, la sede di Roma dell’ACI ha gentilemente inviato su nostra richiesta i dati a sua disposizione riferiti all’intero Comune di Firenze. Dal confronto delle informazioni a disposizione si nota come nella città dal 2001 le auto siano passate da 213029 unità a 194013 unità nel 2015, mentre vediamo nello stesso periodo aumentare il parco veicolare dei motocicli, che da 43311 unità nel 2001, passano a 72112 unità nel 2015.
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Il rione di San Frediano: censimento funzioni ai piani terreni alla scala rionale e alla scala urbana 2001-2016 Fonte: censimento diretto dei cittadini del 2015 aggiornato al 2016; dati della ricerca del 2001 in: L. Artusi, G. Balzanetti, V. Orgera, J. Poli. Firenze, il quartiere di Santo Spirito dai gonfaloni ai rioni. Una metodologia di indagine per un Piano delle funzioni della vita cittadina, Alinea, Firenze, 2001. L’area di interesse ricalca quella porzione di centro storico dell’Oltrarno che corrisponde al rione di San Frediano e che è delimitato a nord dal lungarno Santa Rosa, Lungarno Soderini, ad est da via dei serragli, a sud da Porta Romana, a ovest viale Francesco Petrarca, Viale Ludovico Ariosto, Porta San Frediano e Torrino Santa Rosa. Le diverse funzioni censite delle attività ai piani terreni dei fondi presenti nel rione di San Frediano sono state classificate a seconda della scala di riferimento: rionale o urbana. Le funzioni alla scala rionale “sono indispensabili alla vita ed alla sicurezza dei cittadini del rione e dovrebbero essere raggiungibili a piedi entro una determinata superficie di territorio”. Sono state indicate funzioni del tipo rionale quali, chiesa, asilo, scuola materna, scuola elementare, alimentari, farmacia, ambulatorio, sportello bancario. Circolo o polo sociale, bar, edicola giornali, mercato rionale, verde attrezzato per l’infanzia, verde pubblico, attrezzature sportive elementari. Le funzioni alla scala urbana “hanno validità per tutti i cittadini del territorio fiorentino, quindi importano quotidianamente un carico ulteriore di persone e di traffico privato e pubblico”. Sono state indicate funzioni a scala urbana quali, scuola media, scuola superiore, università, poste, alberghi, pensioni, convitti, ristoranti, trattorie, uffici amministrativi e di servizi, supermercati, mercati generali, grandi magazzini, musei, gallerie, esposizioni, ospedali, centri medici, cliniche private, teatri, cinema, biblioteche archivi, centri sportivi, parchi e e giardini, industrie, attività produttive, depositi, stazioni FS, depositi automezzi urbani ed extraurbani, aereoporti, grandi impianti (acqua, gas, elettricità, telefoni), carceri, cimiteri. Al 2016 sono state censite a San Frediano 470 attività presenti ai piani terreni e che si affacciano sulla pubblica strada. Di queste risulterebbero ben 109 gli sporti chiusi, ovvero ben il 23% privi di un esercizio commerciale attivo. Dal confronto della situazione censita al 2001 e al 2015 delle principali funzioni rionali a San Frediano si evidenza allo stesso tempo un sostanziale incremento di circoli, bar e locali che incrementano in maniera sostanziale e passano 6 a 15 unità per i circoli, e da 12 a 27 unità per bar e locali, mentre per le funzioni sovra-rionali risultano al 2015 sempre più che raddoppiate il numero di ristoranti pizzerie, trattorie, passando da 18 a 40 unità. Gli alberghi invece passano da 5 a 4 unità nel 2015, confermando evidentemente la predilezione attuale del turista per strutture ricettive anche private nella zona. Infatti i dati sull’affluenza turistica a livello italiano, dimostrano che “dal 2001 al 2015 gli arrivi annui di turisti stranieri in Italia sono cresciuti da 30 milioni a oltre 50 milioni nel 2015; nello stesso periodo la permanenza media è calata da 4,1 giornate a 3,6”. I pernottamenti solo a Firenze sono arrivati nel 2015 a 9 milioni di presenze. Evidentemente alla maggiore richiesta di ospitalità specie in area Centro Storico è stato risposto localmente attraverso attività extralberghiere quali strutture private di ricezione, come visionabile sul portale web “Airbnb”.
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CLASSIFICAZIONE DI BASE PER LE FUNZIONI DELLA CITTÀ SCALA RIONALE Chiesa Asilo nido Scuola materna, Scuola elementare Alimentari Farmacia Ambulatorio Banche Circolo o polo sociale, Bar Edicola giornali Mercato rionale Verde attrezzato per l’infanzia Verde pubblico Attrezzature sportive elementari SCALA URBANA Scuola media, Scuola superiore Università Poste Alberghi, Pensioni, Convitti Ristoranti, Trattorie Uffici amministrativi e di servizi Supermercati, Mercati generali Grandi magazzini Musei, Gallerie, Esposizioni Ospedali, Centri medici Cliniche private Teatri, Cinema Biblioteche, Archivi Centri sportivi Parchi e Giardini Industrie, Attività produttive Depositi Stazioni FF.SS. Depositi automezzi urbani ed extraurbani Aeroporti Grandi impianti: Acqua, Gas, Elettricità, Telefoni Carceri Cimiteri
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Esercizi storici in area UNESCO-2015 Fonte: Comune di Firenze - Open Data Il Comune di Firenze ha istituito nel 1999 un “Albo degli esercizi commerciali, artigianali, alberghieri e dei pubblici esercizi anche per commercio su area pubblica, che svolgono attività di rilevante valore artistico, storico, ambientale e documentario, al fine di valorizzare, tutelare e sostenere l’immagine culturale tradizionale della città e quelle attività che contribuiscono a mantenerla. Il Comune delibera piani di agevolazioni economiche e di iniziative promozionali rivolte alle imprese aderenti all’Albo ed ai proprietari degli immobili ove hanno sede le imprese stesse, al fine di tutelarli, valorizzarli e favorirne il mantenimento.” Al 2015 il censimento degli esercizi storici presenti in nel Centro Storico di Firenze, Area UNESCO, risultano complessivamente 291 unità. Di queste solo 19 ovvero il 6,5% sono presenti nel rione di San Frediano.
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La popolazione studentesca da 3 a 14 anni nelle scuole nell’Oltrarno al 2016 Grazie ad una iniziativa di cittadini, si è potuto raccogliere dati della popolazione studentesca dell’Oltrarno in età compresa tra 3 e 14 anni. Nell’Oltrarno sono presenti due scuole dell’ infanzia, Nencioni e Torrigiani – Ferrucci, tre scuole primarie, Agnesi, Nencioni e Torrigiani - Ferrucci, oltre una scuola secondaria di primo grado, la Machiavelli. Le scuole occupano complessivamente una popolazione studentesca di 927 studenti di cui 267, ovvero il 28,8% sono bambini di nazionalità straniera.
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Anno di Nascita N. Studenti
1972 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 1
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12
24
29
30
24
26
29
25
24
17
12
12
Totale 267
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Un sistema informativo per il monitoraggio delle trasformazioni urbane In un momento di continue e rapide trasformazioni della città come quello attuale, dovuto sia alla normale crescita sia ai cambiamenti economici, appare evidente la necessità di realizzare un sistema di monitoraggio dinamico ed interattivo. Un sistema informativo in grado di raccogliere le diverse tipologie di informazioni che i diversi utenti (cittadini e amministrazione) possono condividere ed implementare sotto il controllo di Istituzioni scentifiche come, in questo caso, l’Unità di ricerca PPcP dell’Università di Firenze. Il sistema informativo per il monitoraggio delle trasformazioni è una banca dati costituita da una serie di informazioni geografiche, che rappresentano la fotografia della città (cartografia digitale catastale, rilievo al 500 e CTR 1:2000) a cui sono associate una serie di informazioni descrittive sulla città, sui cittadini e sulle attività presenti nel territorio . La banca dati che sarà creata, avrà come base la carta tecnica regionale e più nel dettaglio la cartografia catastale, con la quale sarà possibile monitorare in maniera precisa gli usi del piano terra. Per quanto riguarda le informazioni descrittive la banca dati sarà implementata sia attraverso il rilievo diretto sul territorio urbano sia attraverso le informazioni provenienti dagli enti pubblici quali comune e camera di commercio. Un primo importante momento riguarderà la messa a punto della struttura del modello che verrà poi ricreata all’interno dei software GIS dove l’informazione geografica si legherà alle informazioni descrittive e permetterà la visualizzazione di cartografie tematiche. Grazie ai GIS sarà possibile inoltre interrogare le mappe, estrapolare solo alcune informazioni e creare mappe complesse attraverso la stratificazione dei tematismi. La correttezza dei dati sarà garantita dalla istituzione scientifica, ma l’implementazione delle informazioni e l’aggiornamento costante potrebbero essere assicurarsi da un accordo tra pubblico e privato che, in un secondo momento, potrebbe diventare esso stesso digitalizzatore di informazioni attraverso un portale dedicato in cui la cittadinanza potrà inserire le informazioni geografiche descrittive volontariamente. La partecipazione attiva sarà quindi garantita da un sito web in cui inserire il web-gis e nel quale far confluire le informazioni volontarie. Allo stato attuale il progetto si trova nella fase di raccolta delle informazioni geografiche e progettazione della struttura del sistema informativo territoriale, a cui seguirà una fase di rilievo diretto delle tipologie d’uso e la trascrizione dei risultati all’interno della banca dati. Base cartografiche di rifermento: Geoportale della Regione Toscana (carta tecnica regionale) OpenData Comune di Firenze (rilievo al 500, catastale e dati statistici)
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Gruppo di lavoro CULTURA
Coordinatrice: Maria Cristina Cincidda Nella discussione su cui ci siamo confrontati riguardo gli eventi culturali possibili nel contesto di Piazza del Carmine, abbiamo tenuto presente soprattutto l’obiettivo del miglioramento della vivibilità della Piazza, in termini qualitativi, dei sistemi di vita e di relazione, e abbiamo insieme individuato quali sono in primo luogo, i bisogni che questi eventi culturali dovrebbero soddisfare: • identità sociale • rapporti non conflittuali fra le diverse categorie • ri-creatività • sperimentazione della realtà circostante • riduzione dei livelli d’inquinamento acustico e luminoso Con la rilettura di questa vocazione della Piazza, abbiamo cercato di analizzare come potrebbe essere ottimizzato l’uso della Piazza e quali proposte per riorganizzazione degli eventi culturali “sostenibili” per favorire sviluppi armonici della vita sociale del quartiere. In questa luce, secondo noi, gli eventi culturali dovrebbero essere “sistemi relazionali” mirati a mettere in contatto, usando come tramite il territorio, persone, aziende, enti, prodotti, culture. In altre parole dovrebbero servire a definire e a fortificare in maniera più o meno precisa, l’insieme delle attività culturali e produttive, economiche e ricreative senza creare conflitti fra le varie categorie che la abitano. Eventi e manifestazioni con la capacità di favorire la diversità culturale e l’economia locale. QUALI EVENTI • concerti acustici di musica : classica, jazz, musica contemporanea, cantautori • balletti, danze popolari, • teatro ( anche per bambini) • feste popolari e rionali, • artisti di strada • tornei di carte per anziani • mostre collettive • spettacoli di letteratura e poesia • piccole proiezioni cinematografiche • mostre di artigianato • tornei sportivi per bambini Tutto ad impatto zero e senza amplificazione con palchi e allestimenti “leggeri” (materiali naturali: legno,carta, cartone) Utilizzare esclusivamente strumenti che producono suoni amplificati da parti dello strumento stesso, in modo naturale, senza l’utilizzo di sistemi esterni, elettrici o elettronici per una riduzione dei livelli d’inquinamento acustico e luminoso. Palcoscenici non invasivi per Piazza, facilmente smontabili e preferibilmente spettacoli a diretto contatto con il pubblico e partecipativi.
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CONCLUSIONI Eventi e manifestazioni, nel corso dei secoli, hanno svolto un ruolo chiave nella costruzione della nostra identità, sia come individui sia come collettività. Con il crescere della consapevolezza sulle questioni di sostenibilità e ambiente, vi è un parallelo aumento del livello di interesse per eventi o manifestazioni Green e Sostenibili. Allo stesso modo, eventi e manifestazioni possono cambiare in meglio il comportamento e la sensibilità delle persone. Un sfruttamento inappropriato dei centri storici e del patrimonio culturale durante lo svolgimento di un evento può causare numerosi danni in assenza di un’adeguata regolamentazione. VERSO UNA POLITICA DELL’IMPATTO ZERO Le azioni intraprese per rendere maggiormente sostenibili eventi e manifestazioni, dovrebbero essere incoraggiate dagli stessi Amministratori Locali poiché contribuiscono ad una valutazione positiva per il territorio che gli ospita in termini: • Economici: approvvigionamento locale, risparmio energetico, ecc. • Sociali: coesione interna alla comunità e coinvolgimento delle parti locali interessate, promozione di comportamenti rispettosi del contesto, ecc. • Ambientali: riduzione dei rifiuti, miglioramento della qualità della vita dei residenti ( salute, stress ecc), riduzione del deterioramento del patrimonio artistico e culturale della città.
Foto tratta dalla pagina Facebook dell’Associazione Amici del Nidiaci in Oltrarno
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Gruppo di lavoro VIVIBILITÀ Coordinatrice: Aline Montinari
DOCUMENTO CONCLUSIVO Il Gruppo di lavoro si è chiamato Vivibilità perché ha assunto il compito di analizzare ed evidenziare le principali criticità relative al rispetto della residenza e funzioni ad essa collegate. Successivamente sono state elaborate sia delle proposte di sistema, sia di carattere più puntuale che hanno istruito la creazione di una Carta della vivibilità, ovvero dei principi guida e delle peculiarità per il pieno soddisfacimento della vita sociale della piazza e del rione. Tali indicazioni hanno poi fortemente caratterizzato la successiva attività progettuale per la riqualificazione della Piazza del Carmine. I DIRITTI DEI RESIDENTI • diritto alla quiete 24 ore su 24. • diritto alla salute. • diritto al riposo. • diritto a svolgere tutte le attività dell’abitare senza essere disturbati o turbati. • diritto a che le istituzioni tutelino i residenti e vigilino sulla quiete. • diritto a svolgere la propria vita nel proprio quartiere senza che lo spazio pubblico sia occupato per eventi prolungati nel tempo e con amplificazione acustica. • diritto a che i gestori dei locali rispettino e facciano rispettare ai propri clienti il Regolamento Comunale Acustico e il Regolamento UNESCO per la tutela e il decoro del patrimonio culturale e del centro storico. • diritto a che non siano concesse, se non in rarissimi e sporadici casi, deroghe al Piano Comunale di Classificazione Acustica e al Regolamento UNESCO. dal CODICE CIVILE DISTURBO DELLA QUIETE: disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone. IL RISPETTO DELLA QUIETE Qualsiasi proposta di utilizzo della piazza deve rispettare la quiete dei residenti 24 ore su 24 (ZTL chiusa 24/24 ore). Parametri che corrispondono al rispetto della quiete: • la garanzia di poter svolgere con serenità TUTTE LE FUNZIONI DELL’ABITARE senza essere disturbati e turbati. Es.: Il diritto elementare a poter aprire le finestre in tutte le ore del giorno e della notte senza essere mai disturbati da attività rumorose dovute a musica amplificata e assembramenti rumorosi di persone. • tutte le fonti di inquinamento acustico sono inaccettabili perché violentano la vita quotidiana dei residenti anche a finestre chiuse. • la piazza del Carmine è incompatibile con manifestazioni come L’ESTATE FIORENTINA .
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Borgo Stella, Poesia sul muro, Estate 2016
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FUNZIONI COMPATIBILI CON LA QUIETE DEI RESIDENTI Per essere vivibile piazza del Carmine deve consentire: • LA SOSTA • IL RIPOSO • LA SOCIALIZZAZIONE • LA QUIETE DELL’ABITARE DEVE AVERE IL SUO CORRISPETTIVO ALL’ESTERNO Le FUNZIONI COMPATIBILI secondo il gruppo di studio sono le seguenti: • VERDE. Alberi per l’ombreggiatura • ACQUA. Giochi d’acqua e vasche a livello del suolo e fontane per raffrescare e invitare al gioco i bambini • ARREDO URBANO. Panchine e sedute • ILLUMINAZIONE NON INVASIVA. Luci nella pavimentazione giochi d’acqua tenuemente illuminati di notte • RARI MERCATI RIONALI. I mercati possono occupare una superficie al massimo corrispondente a 1/5 della superficie pedonalizzata della piazza. I prodotti venduti devono essere a km Zero. Possono essere organizzati mercati di artigianato di botteghe e laboratori dell’Oltrarno. • MANIFESTAZIONI CULTURALI E SPETTACOLI MUSICALI ASSOLUTAMENTE PRIVI DI AMPLIFICAZIONE ACUSTICA • SPAZIO PER LA NASCITA DI MANIFESTAZIONI DI QUARTIERE SPONTANEE ED ESTEMPORANEE.
Per incrementare la vivibilità occorre valorizzare al massimo l’inserimento del verde e dell’acqua nella piazza.
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LO STUMENTO LEGISLATIVO PER GARANTIRE LA QUIETE Come risulta dalla relazione tecnica finale della Classificazione Acustica del Comune di Firenze, non è assolutamente corretto che Piazza del Carmine sia inserita nella Classe IV avendo meno di tre corrispondenze con essa, come risulta evidente dalla Tabella di attribuzione delle classi, e non essendo interessata dalla presenza di strade di grande comunicazione, linee ferroviarie e aree portuali. http://maps.comune.fi.it/pcca/img/relazione.pdf http://centroservizi.lineacomune.it/portal/page/portal/MULTIPORTALE/FIRENZE/ ALTRISERVIZI/PIANO_COMUNALE_CLASSIFICAZIONE_ACUSTICA http://maps.comune.fi.it/pcca/
Attribuzione delle classi II, III e IV -‐ C.R.T. Deliberazione 22.02.00 n°77 Classe Traffico veicolare II
III
IV
Commercio e Servizi
Industria e Artigianato
Infrastrutture
Densità di popolazione
Corrispondenze
Traffico locale
Limitata presenza di Assenza di attività Assenza di strade di Bassa densità di Cinque corrispondenze o attività commerciali industriali e grande popolazione compatibilità solo con artigianali comunicazione, media densità di linee ferroviarie, popolazione aree portuali Traffico veicolare Presenza di attività Limitata presenza di Assenza di strade di Media densità di Tutti i casi non ricadenti locale o di commerciali e uffici attività e artigianali grande popolazione nelle classi II e IV e assenza di attività comunicazione, attraversamento linee ferroviarie, industriali aree portuali Intenso traffico Elevata presenza di Presenza di attività Presenza di strade Alta densità di Almeno tre corrispondenze attività commerciali artigianali, limitata veicolare di grande popolazione o presenza di strade di presenza di piccole comunicazione, grande comunicazione, e uffici industrie linee ferroviarie, linee ferroviarie, aree aree portuali portuali
Tabella di attribuzione delle classi
Caratteristiche di Piazza del Carmine: TRAFFICO VEICOLARE: traffico locale (Classe II) COMMERCIO E SERVIZI: presenza di attività commerciali e uffici (Classe III) INDUSTRIA E ARTIGIANATO: limitata presenza di attività artigianali e assenza di attività industriali (Classe III) INFRASSTRUTTURE: assenza di strade di grande comunicazione, linee ferroviarie, aree portuali (Classe II e Classe III) DENSITÀ DI POPOLAZIONE: media densità di popolazione (Classe III)
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RISPETTO E APPLICAZIONE DEL REGOLAMENTO UNESCO PER LA TUTELA E IL DECORO DEL PATRIMONIO CULTURALE E DEL CENTRO STORICO L’applicazione del Regolamento UNESCO risolverebbe il problema della “civile convivenza” e della tutela della “salute pubblica”. ART. 1 - AMBITO DI APPLICAZIONE E FINALITA’ 1. Le norme di cui al presente regolamento si applicano all’ambito del Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO, come definito negli strumenti urbanistici in base a quanto stabilito all’articolo 32.6 del Piano strutturale vigente. 2. Il presente Regolamento intende perseguire la tutela del Centro Storico Patrimonio Mondiale UNESCO, attraverso una generale lotta al degrado contro quegli elementi e quei comportamenti che portano alla lesione di interessi generali, quale la salute pubblica, la civile convivenza, il decoro urbano, il paesaggio urbano storico, la tutela dell’immagine e dell’identità storico-architettonica della città.
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DEFINIZIONE DI “QUIETE”: assenza di disturbi e/o fastidio proprio e/o altrui. ARMONIA, RIPOSO, PACE, anche interiore individuale. Per estensione: SILENZIO - CALMA Stato di TRANQUILLITÀ ESTERNA, non turbata da movimenti, da RUMORI MOLESTI, da alcuna agitazione. In senso più soggettivo: condizione di TRANQUILLITÀ ESTERNA CHE PERMETTE IL RIPOSO DEL CORPO o che da SERENITÀ ALLO SPIRITO, che rende possibili la vita regolare e un lavoro ordinato. Vivibilità della piazza e miglioramento climatico con alberi e acqua. Il percorso partecipato per la progettazione di piazza del Carmine accoglie la richiesta di dei residenti di poter fruire della piazza nei mesi estivi, occorre quindi un controllo del clima della piazza, attualmente rovente e inabitabile da luglio a settembre. I residenti hanno sollecitato la presenza di alberi e arredi urbani per potersi intrattenere all’ombra o semplicemente poter attraversare la piazza protetti dalla frescura del verde. Per un ulteriore miglioramento climatico e elemento di gioco per i bambini del quartiere, ha acquistato forza la richiesta della presenza di giochi d’acqua e vasche a livello del suolo e fontane per raffrescare e invitare al gioco i bambini.
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Gruppo di lavoro MOBILITÀ DOCUMENTO CONCLUSIVO (approvato nell’assemblea finale del 17 dicembre 2016). Punto di riferimento anche per il tema della mobilità rimane l’obiettivo generale assunto dal “Progetto-Partecipato Piazza del Carmine”: predisporre insieme agli abitanti residenti una proposta progettuale che vada nella direzione di garantire la vivibilità e la quota di residenzialità per il rione di San Frediano. Infatti, per raggiungere l’obiettivo indicato, il gruppo Vivibilità ha elaborato una vera e propria “Carta della vivibilità” nella quale si indica già il principio base della vivibilità: il rispetto della quiete, in modo da garantire tutte le funzioni dell’abitare. Da questo discendono nel dettaglio le verifiche sulle funzioni urbane compatibili con la quiete e le esigenze di regolamentazione conseguenti, a partire dalla richiesta di istituire la ZTL 24 ore su 24 in Oltrarno, come specifico input per il tema della mobilità; altri principi di vivibilità riguardano la disciplina sulle responsabilità dei gestori dei locali, una revisione della classificazione acustica di piazza del Carmine, da inserire in classe III dalla classe IV attuale, e la tutela della bellezza di questa parte della città antica. Su tali basi il gruppo Mobilità ha effettuato in primis una elaborazione di carattere generale individuando alcuni principi di metodo: • favorire la progressiva attuazione di interventi atti a migliorare la accessibilità per tutti, in particolare per i bambini, gli anziani e i disabili; • tenere sempre insieme, sia come elaborazione delle proposte sia come valutazione degli effetti, i tre fattori fondamentali della mobilità urbana: la disciplina e i flussi del traffico veicolare, i servizi di trasporto pubblico per passeggeri e merci, le aree di sosta/parcheggio; • verificare che la risoluzione dei problemi dei residenti del cento storico non sia in un mero ribaltamento di quei problemi sulle aree urbane adiacenti fuori dalle mura. Abbiamo quindi trasformato le indicazioni emerse in proposte da rendere operative, per favorire una mobilità idonea ad essere applicata in un’area urbana di carattere storico-artistico, sulla base delle elaborazioni e delle sperimentazioni disciplinari correnti. Riteniamo prioritari i provvedimenti che riguardino la tranquillità della vita residenziale e la tutela delle funzioni ordinarie dell’abitare, partendo dal garantire condizioni di comodità e di sicurezza per il movimento pedonale delle persone tutte. Riteniamo perciò che in primo luogo siano da applicarsi, nel nostro caso, metodiche e indicazioni localizzative relative alla mobilità pedonale assistita, alla mobilità ciclabile e a quella mobilità definibile come dolce e compatibile col tessuto storico e residenziale di S. Frediano e dei suoi caratteri architettonici, con conseguente attenzione alle modalità di movimento di persone e merci, selezionando quelle più strettamente ecosostenibili e segnalando opportune limitazioni per le modalità legate ai veicoli inquinanti ed in contrasto con gli spazi dell’area storica. Riteniamo altresì che - in una prospettiva di mobilità sostenibile - si debbano mettere in campo strumenti partecipativi e formativi importanti per sostenere una evoluzione culturale che consenta progressivamente di ridurre l’attuale dipendenza dalla utilizzazione quasi esclusiva, anche nei centri storici come San Frediano, dei mezzi di locomozione personali, a vantaggio di una loro diversa utilizzazione in forma organizzata, e che si debbano introdurre nuovi strumenti per garantire una mobilità più adeguata alle esigenze delle persone con limiti di deambulazione, anche quando le caratteristiche e gli spazi della città storica rendono più complesso questo obiettivo. Riteniamo inoltre che gli interventi per la mobilità debbano comprendere anche la regolamentazione relativa al restauro delle superfici pavimentate di strade e piazze, alla loro sistematica manutenzione ordinaria, indicando materiali e tecniche idonei a valorizzarne il carattere storico, artistico e culturale; riteniamo inoltre che in tali casi sia da suggerire, come metodo costante, la estensione degli interventi di restauro e manutenzione agli spazi adiacenti 106
alle piazze storiche, e migliorie alle facciate esterne degli immobili di contorno alla piazza, al fine di valorizzare come un insieme il paesaggio urbano della città storica. Partendo da una situazione già esistente di maggiore vitalità, si propone di sperimentare, in prospettiva, una ulteriore evoluzione nel restauro, nella cura e nell’organizzazione dell’asse urbano di più spiccata vitalizzazione compreso fra Piazza Pitti e Via Romana da un lato e il Viale Ariosto/Porta San Frediano/Arno dall’altro, intervenendo in modo integrato e con particolare attenzione nella progettazione delle pavimentazioni, dei materiali, dell’illuminazione ecc. Nella prospettiva di operare per interventi integrati su questo asse, diventa tema centrale della proposta la valorizzazione del sistema delle piazze storiche dell’Oltrarno, dalla Piazza di San Felice a Piazza Santo Spirito, Piazza del Carmine, Piazza dei Nerli, Piazza Verzaia, Piazza del Cestello. Si tratta di una visione che coinvolge pienamente e nella sua interezza la Piazza del Carmine e che potrebbe svolgere il ruolo di matrice del suo accurato restauro materico e della sua rigenerazione come ganglio dello scambio sociale e relazionale per piccoli e adulti. Tutto ciò considerato, il gruppo Mobilità, a seguito delle elaborazioni prodotte, ritiene di poter esprimere in forma sintetica le seguenti proposte di intervento, da corredare in seguito con appositi elaborati grafici, che dovrebbero caratterizzare lo scenario futuro della mobilità in San Frediano e in Oltrarno: 1. introduzione del regime di ZTL attiva 24 ore su 24, nell’intera area, come nuovo scenario per la vivibilità in Oltrarno, per realizzare una vera riduzione dei flussi di traffico, perché limitati alle auto dei residenti, con conseguente riduzione di rumore ed inquinamento; il regime di ZTL H24 Oltrarno dovrebbe essere gestito consentendo l’accesso solo ai veicoli dei residenti ed ai trasporti pubblici, con mezzi appositamente dimensionati e progettati per il centro storico; il regime di ZTL H24 dovrebbe essere gestito rigorosamente anche nel rilascio dei permessi; devono essere esclusi gli accessi agli autobus turistici internazionali e nazionali ed ai servizi dei circuiti per turisti tramite bus specialistici; si dovrebbe pensare anche ad una progressiva introduzione di sistemi sostenibili di mobilità delle merci, nonchè alla trasformazione dello stesso servizio degli autobus cittadini, con maggiori attenzioni nei riguardi delle esigenze di quiete e di vita serena degli abitanti residenti nell’area; 2. rafforzamento del sistema di trasporto pubblico in Oltrarno e verso l’Oltrarno, sia mediante l’estensione della rete delle tramvie cittadine a servizio dell’area, con identico scartamento e seguendo il tracciato dei viali esistenti, sia prevedendo, nel medio periodo, la realizzazione di busvie con sede esclusiva; si potrà approfondire l’ipotesi di una linea tramviaria con un solo binario e con possibilità di scambio nelle fermate intermedie, da far coincidere con gli ambiti di parcamento per gli automezzi dei residenti nell’area stessa; si dovrà avere particolare cura allo studio delle intersezioni con i flussi generali della città e al necessario rispetto dei parametri tecnici delle stesse linee; le fermate attrezzate dovranno essere i capisaldi delle “navette” urbane di cui al punto successivo, con orari appositamente coordinati e con possibilità di chiamata/ prenotazione; 3. istituzione di una specifica rete di “navette” urbane a trazione elettrica specifiche per l’area dell’Oltrarno, con dimensioni ridotte in larghezza, che sia organizzata per garantire frequenze ravvicinate nell’arco delle 24 ore (ad esempio, nei periodi di maggiore domanda, con cadenzamento non superiore a 3 minuti) e rivolte sia ai residenti sia agli utenti dalle fermate di tramvie/ busvie sia agli utenti della nuove aree di parcheggio; 4. Individuazione e realizzazione di nuove strutture di parcheggio fuori dal centro storico UNESCO. Nelle elaborazioni finora prodotte sono stati indicati alcuni ambiti di larghissima massima da studiare, quali i “poli” Presidio socio sanitario di Santa Rosa/Arno, Viale Aleardi/ Viale Ariosto/Ex distributori, Porta Romana; altri luoghi da indagare potranno essere suggeriti 107
nello sviluppo successivo del Progetto. Per la capienza necessaria si dovranno fare ipotesi di larga massima partendo dalle informazioni della banca dati del Progetto e da alcune ipotesi statistiche che possono descrivere il deficit attuale di aree di sosta per i residenti; si dovranno inoltre considerare le future esigenze derivanti dall’istituzione del regime di ZTL H24 per i fruitori dei servizi offerti dal centro storico e dall’estensione delle linee tramviarie e delle bus vie, con nuove aree di sosta in corrispondenza di capolinea e fermate di tramvie/busvie; 5. sistema di interventi volti a migliorare le funzioni e le caratteristiche fisiche del reticolo dei marciapiedi dell’area, che in molti casi risultano da restaurare, allargare o potenziare, nonché di interventi volti alla protezione/agevolazione (anche con semafori specifici e/o con mezzi meccanici di supporto) della circolazione pedonale fino all’Arno/Cascine e fino al Forte/Piazzale e del reticolo continuo della ciclabilità, da rafforzare con postazioni frequenti di cicli pubblici da affittare, prevedendo modalità di gestione particolarmente facili (ad esempio, con normali tessere bancarie e con restituzione ovunque); 6. interventi volti ad approfondire il tema relativo al fabbisogno di aree di sosta per i veicoli a motore dei residenti, che in prospettiva non dovrà essere assunto come dato invariabile, ma si immagina che il rafforzamento del trasporto pubblico possa portare ad una sua diminuzione nel tempo; in parallelo si ritiene altresì che si dovranno mettere in campo strumenti partecipativi e formativi importanti per sostenere una evoluzione culturale che consenta progressivamente di ridurre la attuale quasi completa dipendenza dai veicoli di uso personale e che si dovrà promuovere e favorire il progressivo passaggio alla utilizzazione “condivisa” di veicoli motorizzati, con preferenza per quelli di tipo senza emissione gassosa; si ritiene che già nello scenario attuale dovrà essere rafforzato e migliorato il servizio esistente di car sharing e introdotti servizi analoghi, con aree di reperimento frequenti e attuazione degli strumenti migliori di rotazione e/o condivisione e/o multiproprietà.
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Il gruppo Mobilità, nello scenario attuale, tenendo conto delle esigenze immediate della riprogettazione con verde ed arredi urbani della Piazza del Carmine, ritiene che sia opportuno confermare l’attuale situazione di viabilità e di sosta per i residenti lungo i tre lati della piazza. Segnaliamo inoltre due questioni che sono stati poste da membri del gruppo Mobilità e dall’assemblea e che richiedono ulteriori verifiche ed approfondimenti, per valutarne effetti positivi e negativi nel contesto generale: • lo spostamento della porta telematica ZTL di Borgo San Frediano, portandola in posizione vicina alla Porta San Frediano, per ridurre i flussi di traffico non residenziale che attraversano l’area, da verificare nell’ambito dello studio per la nuova viabilità sui Lungarni; • lo spostamento dei posti di sosta delle auto in Piazza del Carmine dal lato est al lato ovest della piazza, in modo da liberare dalle auto in sosta la zona est più prossima alla chiesa del Carmine. D’altronde, data la complessità dei problemi legati alla mobilità, il Dossier dei diversi elaborati prodotti dal gruppo Mobilità comprende ancora altri aspetti e punti di vista diversificati che saranno sviluppati e approfonditi in seguito mediante approfondimenti anche innovativi. Infine ricordiamo tre questioni di grande attualità su iniziative del Comune di Firenze contro le quali è necessario protestare perché sono in contraddizione con la prospettive qui indicate: • la sostituzione con asfalto della pavimentazione in pietra della Piazza dei Nerli, in contrasto col principio della valorizzazione delle piazze storiche in Oltrarno; • la creazione di ulteriori parcheggi a rotazione in Oltrarno, mentre dovrebbe essere definita una generale esclusione per l’intera area del centro storico UNESCO di tali parcheggi destinati ai non residenti; • l’annunciata realizzazione di un parcheggio interrato in Piazza Tasso, che rischia di compromettere uno spazio prezioso per la vivibilità del rione di San Frediano.
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Il progetto Gruppo di lavoro STRUTTURA PIAZZA E VERDE Coordinatrice: Stefania Vitali
Il gruppo di lavoro ha avuto come missione e programma, quello di predisporre tutti gli elementi progettualmente utili per configurare il meta progetto di riqualificazione della Piazza. A partire quindi dai fondamentali dati storici, dall’analisi degli studi scientifici già richiamati, dalle attività progettuali precedenti, il lavoro in una prima fase è stato predisposto attraverso il confronto diretto nelle assemblee dove collezionare un primo elenco dei desiderata dei cittadini. Da ogni intervento si è estrapolato un concetto, una parola chiave e si è redatta una scala di priorità che via via veniva riconfermata o ridiscussa in sede assembleare. Di seguito sono state elaborate un’analisi urbanistica, analisi della mobilità ed una lettura critica del tessuto urbano dell’Oltrarno, proponendo già in una fase preliminare un corpus di indicazioni metodologiche da parte del coordinatore in collaborazione con il Prof. Marchetta. Evidenziando un sistema di vuoti urbani tra loro interconnessi di cui la piazza fa parte, nell’analisi, le relazioni tra le parti, la gerarchizzazione dei pesi visuali degli elementi notevoli, le assialità e le funzioni, la mobilità, sono stati proposti alle assemblee come temi e indicazioni necessari ad un corretto inquadramento concettuale, urbanistico ed architettonico, propedeutico alla fase di progetto. Successivamente si è quindi attivata la fase di elaborazione preliminare delle proposte di progetto. Partendo dalle indicazioni di metodo e di contenuto collezionate fino a quel momento con dei passaggi sempre più dedicati all’affinamento delle scelte, ogni tematica è stata dibattuta nel sottogruppo e riproposta nelle assemblee video-proiettando diapositive esplicative dei temi affrontati. Tutto l’iter fin qui descritto è sfociato nella traduzione progettuale finale degli input discussi nel sottogruppo, raccolti poi in un progetto di massima che fissa i criteri compositivi ed il disegno dei volumi degli assi e della trama pavimentale, lasciando l’elaborazione esecutiva dei dettagli ad una eventuale e successiva fase di approfondimento.
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Esempio di SINTESI DEGLI INTERVENTI Assemblea del 09/07/2016 Importante il focus sul “sistema di piazze” Mobilità del corpo umano: corpo in movimento nella città Estendere a tutto l’Oltrarno lo studio Piazza come luogo di incontro e socialità Piazza come luogo di incontro semplice e chiaro Chiesa come elemento di riferimento e di indirizzo Lavoro di base con la cittadinanza ma manca il rapporto con l’amministrazione Uso attuale della piazza inaccettabile 01. Piazza Santo Spirito: inaccettabile gestione dei rifiuti. Ipotesi di uso di Piazza del Carmine come laboratorio degli artisti locali (tema delle istallazioni: riciclo dei rifiuti di Santo Spirito). 02. Importante è il verde! Il verde per ripopolare e riportare vita. 03. Alberatura studiata per rendere la piazza fruibile. L’immagine della piazza ora è tetra, brutta, non si riesce ad attraversarla. Necessità di riportare la vita. Laboratori artistici locali. Il problema è risolvere il progetto della piazza ridando identità senza dimenticare la vivibilità. Ombra: aumenta l’incontro e la convivialità. Tenere a mente gli errori del passato: piazze d’estate come fornaci deserte. Studio del verde. 04. La fruizione non deve ricalcare quella di Santo Spirito, con attività di ristoro, ma dovrebbe essere concepita come spazio per giovani scultori, mostre temporanee, spazio per musica e concerti. 05. L’uso dello spazio per eventi culturali che viene proposto nelle intenzioni iniziali, poi viene abbandonata per lasciare spazio alla mercificazione e venduta al commercio. Attenzione agli alberi. 06. Mappatura del silenzio. Studio dell’acustica a finestre aperte nel periodo estivo. Ombra e panchine. Spazio per bambini ed anziani, mercati artigianato locale. Musica classica sì, ma con orari consoni. 07. Luogo di sosta e relazione perché a differenza delle altre piazze, piazza del Carmine è una piazza di quartiere, è residenziale. Alberature e quiete notturna. 08. Chiesa del Carmine: Palcoscenico per eventi + spazio residenziale. 09. Laboratori artistici. Problema dei rifiuti. Locali con problemi di acustica. Verde fondamentale. 10. Importante il principio: RIQUALIFICARE. Ripristinare il passato o pensare al futuro? Coraggio come proposta dal basso. Città verde, città sostenibile, senza auto. 11. Mobilità: ramo di tranvia che colleghi piazza Paolo Uccello e Porta Romana per disincentivare l’uso dell’auto. 12. Area nord: mercato. Area davanti alla chiesa: mostre contemporanee e concerti. 13. Carta di Vivibilità: non deve risultare come una relazione al progetto, ma un elenco di principi da utilizzare anche per altre piazze.
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PROPOSTE DI PRINCIPI E SPUNTI PROGETTUALI
PAROLE CHIAVE Vita - incontro, convivialità e spazio per bambini Laboratori artistici – spazi per istallazioni temporanee Verde – alberature - ombra Spazio per musica e concerti ed eventi Quiete - acustica Panchine Mercato artigianale Disincentivo auto
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6 5 5 4 3 2 2 2
Mantenere e possibilmente potenziare il numero di alberi dei progetti fin qui presentati dallâ&#x20AC;&#x2122;UnitĂ di Ricerca per incrementare lâ&#x20AC;&#x2122;ombreggiamento e la conseguente vivibilitĂ
Prediligere alberature decidue di specie da precisare con la consulenza di botanici e/o paesaggisti
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Verifica delle proposte presentate con fotoinserimento ad altezza dâ&#x20AC;&#x2122;uomo con punto di vista da via Borgo San Frediano e via Santa Monaca verso la Chiesa del Carmine
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Individuazione di spazi per un mercato stabile in piazza dei Nerli recuperandone la vocazione storica
Potenziamento dellâ&#x20AC;&#x2122;elemento â&#x20AC;&#x153;acquaâ&#x20AC;? come tema di progetto per incrementare confort termico e creare elementi di valenza ludico-attrattiva
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Allargamento del progetto con ipotesi di annessione dei giardini adiacenti ora non aperti al pubblico
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Introduzione di â&#x20AC;&#x153;sculture fruibiliâ&#x20AC;? nella duplice funzione di elementi di decoro della piazza e di gioco per bambini.
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Porre attenzione a tutto il sistema piazza comprendendo nelle indicazioni di progetto anche le facciate degli edifici perimetrali, prevedendo anche interventi su di esse (light design).
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Enfatizzare la presenza della chiesa o no? Le linee di progetto danno luogo ad esiti percettivi molto diversi.
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Creare ambiti con vocazioni diverse allâ&#x20AC;&#x2122;interno della stessa piazza?
Ambito verde residenziale
Ambito chiesa monumentale
Ambito acqua gioco
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Foto: Aline Montinari
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Il sistema delle piazze L’inquadramento di piazza del Carmine nelle maglie della trama urbana evidenzia una genesi avvenuta per sottrazione: il vuoto urbano è letteralmente ritagliato nel compatto sistema edificato. Esaminando un estratto dell’elaborato del Comune di Firenze inerente la pedonalizzazione di Tornabuoni-Pitti, si evidenzia come via dei Serragli attualmente è concepita come “limite” tra la parte nobile del comparto interessata dai provvedimenti di pedonalizzazione e chiusura al traffico veicolare e la parte a ovest di via dei serragli interessata da nessun provvedimento recente di riqualificazione, eccezion fatta per il divieto in piazza del Carmine della sosta veicolare. Tale differenza si ripercuote pesantemente sulla percezione degli utenti che effettivamente trovano in via dei Serragli un effettivo confine tra la zona confortevole e pregevole a est e la zona a ovest nella quale piazza del Carmine è compresa, squalificata e poco attraente, se non fosse per le pregevolissime emergenze architettonico-artistiche che punteggiano il comparto urbano. Planimetricamente, al contrario, si evince che le piazze fanno parte di un sistema collegato da un asse viario che andrebbe rafforzato e riqualificato con un progetto architettonico ed urbanistico con una vocazione prevalentemente pedonale. In questo contesto si inseriscono le analisi preliminari sulla piazza, con un focus sui pesi percettivi, assi urbani e profili planimetrici a corredo delle successive considerazioni progettuali.
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Una strada pedonale crea una DORSALE che connette le piazze dando luogo ad un SISTEMA VIRTUOSO nel quale ogni vuoto urbano risente positivamente dellâ&#x20AC;&#x2122;influenza degli altri innescando un processo di rigenerazione dellâ&#x20AC;&#x2122;intero comparto urbano.
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Schizzi e studi vari Gli schizzi progettuali presentati durante lâ&#x20AC;&#x2122;attivitĂ del gruppo di lavoro hanno costituito una base su cui impostare una riflessione collettiva di confronto su macro-temi della progettazione.
Carolina Capitanio
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Stefania Vitali
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Cristina Cincidda
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Aline Montinari
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Leif Karlsson
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Paolo Ameglio
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Rossella Rossi & Barbara Nozzoli
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Izar Cohen
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Riccardo Renzi coll. Alessandra Marchetti, Gabriele Marinari, Jovana Markovic, Giacomo Troiani
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Il progetto definitivo
Dalla lunga elaborazione prodotta, frutto di uno straordinario mix di elaborazioni tecniche e scentifiche e di impegno collettivo di docenti e residenti organizzati in gruppi di studio su vari ambiti tematici, e con il conforto dei numerosi dati socio-urbanistici raccolti sia dai documenti ufficiali che da indagini dirette e sul campo, siamo arrivati ad individuare con chiarezza gli obbiettivi guida del progetto, le indicazioni di carattere generale e le scelte architettoniche e spaziali. In un quartiere ancora molto popolato e con una età media giovane, l’obbiettivo principale risulta essere una piazza che nel suo complesso sia concepita come uno spazio di piena socializzazione degli abitanti e con una alta attenzione alla vivibilità del rione, spazio quindi di relazioni e di fruizione sociale; ma nello stesso tempo abbia un ruolo cittadino di pernio e si inserisca in un sistema di piazze, quelle dell’Oltrarno, che devono diventare vero e proprio asse attrezzato ricco di significati e funzioni urbane. La scelta più delicata è stata senza dubbio quella di coniugare progettualmente le due idee forza principali emerse nel percorso partecipato: il rispetto, la forte attenzione, verso la preminenza dei valori storici del rione e della Chiesa del Carmine, della sua storia, del suo valore iconografico; la volontà, forte, reclamata con intensità, di recuperare spazi di socializzazione e di chiara prevalenza di verde, di natura, di acqua. Alla prima impostazione spaziale è dedicato l’ampio spazio frontale alla facciata, richiamato a terra dalle “proiezioni” della chiesa sul suolo a realizzare chiaro significato contenutistico e formale. Alla seconda si ispira e trae origine la consistente presenza di verde, nella porzione laterale, uno spazio interamente dedicato alle relazioni sociali, per la sosta delle persone, i colloqui, i giochi dei bambini e degli adulti, la lettura ecc.., una alberatura densa, molto ombreggiante, ma non alta, nell’intenzione appunto di creare quello spazio così convintamente richiesto di vita urbana. A tal fine abbiamo richiesto consulenza specifica ai Prof.ri Tiberi e Grossoni dell’Università degli Studi di Firenze, che ci hanno indicato l’essenza dell’acero campestre con la seguente nota di accompagnamento: L’acero campestre è un albero di piccole dimensioni, diffuso in gran parte dell’Europa centro settentrionale e nel bacino del Mediterraneo, estendendo il proprio areale fino in Asia minore e in Russia. Grazie alla sua rusticità in Italia è diffuso ovunque, dalle esposizioni più soleggiate della fascia montana a quella mediterranea, dove partecipa alla costituzione di boschi misti e di arbusteti naturali, ma può colonizzare da infestante i terreni incolti. Presenta foglie caduche pentalobate di un bel verde carico, che all’approssimarsi dell’inverno assumono un’interessante colorazione giallo dorata: ciò rende questo acero gradevole in primavera-estate e molto decorativo in autunno. La pianta è caratterizzata da uno sviluppo lento, con una longevità intorno ai 120 anni, ed è in grado di raggiungere al massimo i 15-20 metri in altezza e i 30-50 in diametro del fusto, quest’ultimo spesso contorto; l’apparato radicale è fascicolato, non molto espanso né profondo. È una specie piuttosto eliofila, mediamente termofila e in grado di tollerare abbastanza bene la siccità. Inoltre, pur preferendo i suoli ricchi, è indifferente al substrato e riesce a vegetare molto bene in terreni calcarei o calcarei-argillosi. Tutte queste peculiarità la rendono adatta ad essere inserita in contesti urbani dove si presta bene alla costituzione di piccoli gruppi o alberature, anche grazie alla notevole capacità di sopportare 142
le potature, anche le più drastiche (capitozzatura), tanto che in passato veniva usato per la creazione di pergole o come sostegno vivo a viti o altri rampicanti. Per quanto riguarda la presenza nell’area a verde delle sedute e degli elementi gioco dei bambini riteniamo necessario un approfondimento successivo di particolare cura ed attenzione essendo questi oggetti particolarmente problematici. Altro elemento caratterizzante del progetto risulta essere la presenza dell’acqua come elemento naturale, simbolico, ma anche funzionale al raffrescamento nel periodo estivo e come elemento di gioco e, nuovamente richiamato, di relazioni. A questo è dedicato nel punto centrale della piazza e perpendicolare alla facciata l’inserimento di giochi di acqua a pavimento. Riteniamo anche di indicare la necessità di posizionare a terra all’ingresso della Piazza da Borgo San Frediano, verso la metà e in mezzeria dell’asse stradale, un elemento artistico (scultura?) o di decoro che vada a traguardare la facciata della Chiesa per sottolineare, anche nel passaggio da Via , una chiara attenzione spaziale alla Piazza e il suo valore identitario. La texture della pavimentazione sottolinea i due ambiti della piazza che coesistono nella loro diversità, sottolineandone il diverso carattere, pur presentando un trattamento materico e cromatico che dona uniformità all’insieme. Il disegno prende origine dall’introduzione in proiezione dell’asse parallelo al fianco della chiesa. Esso, allineato all’imponente volume, indirizza lo sguardo verso l’ingresso della Cappella Brancacci e ne costituisce una ideale guida, un segno indicatore del percorso verso l’entrata. Tale asse si pone anche come cesura ideale tra la piazza connotata dall’ampio volume vuoto, contemplativo, silenzioso ed essenziale ai piedi della facciata nuda del Carmine, e lo spazio dove il carattere di socialità e di relazione vuole essere esaltato con un trattamento pavimentale frammentato, organico e divertente e con l’introduzione dell’elemento naturale inteso come riparo e conforto fisico e psicologico. Qui elementi lapidei scultorei saranno studiati per essere comode sedute o elementi scultura per il gioco dei bimbi. Nella “prima piazza” la trama in pietra naturale accoglie un disegno pavimentale che, riprendendo gli allineamenti della trama del tessuto urbano perimetrale, crea un invaso che esalta la fuga prospettica della visuale da via Borgo San Frediano, rallentandone la corsa con un trattamento pavimentale a linee orizzontali. Nella “seconda piazza” invece il rigore viene rotto dal posizionamento casuale degli alberi e dalla posa del pavimento con uno schema frammentato di ricorsi paralleli.
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Primo schizzo di progetto
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Il progetto
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Elemento artistico che traguarda la facciata della chiesa per sottolineare una chiara attenzione spaziale alla Piazza e il suo valore identitario
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Il disegno pavimentale, riprendendo gli allineamenti degli edifici perimetrali, crea un invaso che esalta la fuga prospettica della visuale da via Borgo San Frediano, rallentandone la corsa con un trattamento pavimentale a linee orizzontali
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Ampio volume vuoto, contemplativo, silenzioso ed essenziale ai piedi della facciata nuda del Carmine
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Consistente presenza di verde. Uno spazio interamente dedicato alle relazioni sociali, alla sosta delle persone, ai colloqui, ai giochi dei bambini e degli adulti, alla lettura
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Altro elemento caratterizzante del progetto risulta essere la presenza dell’acqua come elemento naturale, simbolico, ma anche funzionale al raffrescamento nel periodo estivo e come elemento di gioco e, nuovamente richiamato, di relazioni A questo è dedicato nel punto centrale della piazza e perpendicolare alla facciata l’inserimento di giochi d’acqua a pavimento
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ViabilitĂ , spazi di parcheggio e di manovra
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LA PAVIMENTAZIONE Trattamento materico e cromatico che dona uniformitĂ allâ&#x20AC;&#x2122;insieme. I ricorsi a pietra naturale accolgono un disegno pavimentale che, riprendendo gli allineamenti della trama del tessuto urbano perimetrale, creano un invaso che esalta la fuga prospettica della visuale da via Borgo San Frediano, rallentandone la corsa con un trattamento pavimentale a linee orizzontali
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Nella â&#x20AC;&#x153;seconda piazzaâ&#x20AC;? il rigore viene rotto dal posizionamento casuale degli alberi e dalla posa del pavimento con uno schema frammentato di ricorsi paralleli
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LA VEGETAZIONE Introduzione dell’elemento naturale inteso come riparo e conforto fisico e psicologico. L’alberatura è densa, molto ombreggiante, ma non alta, nell’intenzione appunto di creare quello spazio così convintamente richiesto di vita urbana. Essenza: acero campestre.
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L’acero campestre (Acer campestre L.), sopra nella veste estiva e autunnale, è un albero di piccole dimensioni, diffuso in gran parte dell’Europa centro settentrionale e nel bacino del Mediterraneo. L’apparato radicale non è molto espanso né profondo e riesce a vegetare molto bene in terreni calcarei o calcareo-argillosi Queste peculiarità lo rendono adatto ad essere inserito in contesti urbani dove si presta bene alla costituzione di piccoli gruppi o alberature
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PROGETTO DEFINITIVO 156
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I partecipanti al percorso partecipato Eâ&#x20AC;&#x2122; doveroso e onorevole nominare, ringraziandoli, tutti i concittadini che a vario titolo e con diverse modalitĂ e impegno hanno partecipato al percorso e hanno contribuito, generosamente e con alto senso civico, alla elaborazione di tutto il materiale che è stato qui raccolto e presentato. Aline Montinari Remo Bertani Beatrice Buzzanca Maria Rosa Butini Paolo Ameglio Janet Zadow Marta Brovelli Maria Cristina Cincidda Rossella Rossi Manlio Marchetta Carolina Capitano Fausto Giampellegrini Leif Karlsson Moreno Mugelli Stefania Vitali Andrea Peru Luca Biagi Mozzoni Alberto Di Cintio Michela Moretti Fiorella Grilli Nicoletta Benedetti Corinna Vasic Barbara Nozzoli Agnese Coppini Stefano Bausi Marco Bini Noa Karavan Izhar Cohen Piero Masini Giovanna Balzanetti Ubaldo Lanari Antonio Napolitano Monica Sgherri Alessandra Panunzio Simona Scardia Pasquale Bellia Giovanni Carli Rosa Costabile
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Analisi e saggi A corredo del materiale di studio e di progetto, raccolto commentato e illustrato precedentemente, presentiamo una raccolta di saggi e di scritti individuali che intendono approfondire alcune delle tematiche affrontate, ma anche indagare e sviluppare ulteriormente, con nuovi e originali contributi, le complessitĂ emerse nel percorso partecipato, nel progetto finale, in questa ricerca sul campo in uno dei quartieri piĂš belli e significativi di Firenze.
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“Un progetto per Piazza del Carmine”: un caso singolare di progettazione partecipata di Marta Berni e Rossella Rossi Introduzione La metodologia dei casi-studio, tra le diverse tipologie, prevede quella dei casi-studio intrinseci ossia quei casi che vengono analizzati non in quanto sono rappresentativi di una categoria di casi simili, ma perché sono interessanti di per sé. Il caso del “Progetto partecipato di Piazza del Carmine” rientra pienamente in questa categoria per la singolarità del processo di “partecipazione”. Questo contributo costituisce un tentativo di affiancare alla descrizione della specifica esperienza di progettazione partecipata una interpretazione ‒ del suo svolgimento, dei suoi risultati, dei suoi effetti sui partecipanti, e dei suoi limiti ‒ svolta alla luce della concezione deliberativa della partecipazione. Questo non significa cercare di stabilire «un’astratta corrispondenza ad un presunto modello normativo della democrazia deliberativa» (Floridia 2013) quanto, più modestamente, rintracciare gli elementi che avvicinano il “Progetto partecipato di Piazza del Carmine” ad un processo deliberativo. Le premesse del percorso partecipato di “Un Progetto per Piazza del Carmine” Come la maggior parte dei processi partecipativi dal basso anche “Un progetto per Piazza del Carmine” nasce da una rilevante crisi di fiducia e di legittimazione che oggi affligge le istituzioni democratiche e la politica che ne paralizza la capacità di intervento e rende difficile la comunicazione con i soggetti sociali destinatari degli interventi pubblici (Floridia 2006). L’esperienza partecipativa “Un progetto per Piazza del Carmine” inizia infatti nel giugno del 2016 per iniziativa di un gruppo di cittadini residenti nel rione di San Frediano e può essere considerata un esito dell’iniziativa di democrazia partecipata “Cento luoghi” promossa dell’Amministrazione Comunale di Firenze nel 2010 e del successivo pacchetto di interventi “Riqualificazione dell’Oltrarno”. Si tratta però di un’iniziativa promossa in polemica, anche se non in contrapposizione, con il comune. Questi cittadini erano rimasti profondamente delusi dal modo in cui era stato portato avanti il processo di partecipazione i “Cento luoghi”, anche se nel gennaio del 2015, come previsto dal pacchetto “Riqualificazione dell’Oltrarno”, la Piazza del Carmine viene pedonalizzata e, come auspicato dai residenti, viene abbandonato il progetto di un parcheggio sotterrano (per 201 tra posti e box auto) previsto dal Piano Strutturale del 2012. Successivamente, per oltre un anno, il processo di riqualificazione si interrompe e la piazza, liberata dalle macchine, rimane transennata, ma vuota quindi disponibile ad essere utilizzata per una serie di attività che contrastano con le esigenze dei residenti come, ad esempio, l’allagamento della “movida” già presente nella vicina Santo Spirito, o per eventi e destinazioni provvisorie quali un mercatino natalizio, un “parco giochi”, giostre, ecc. A marzo del 2016 ritenendo che il degrado della piazza non fosse stato eliminato, ma continuasse in forme nuove, un gruppo di cittadini riuniti nel Comitato “Oltrarno Futuro”, chiede all’amministrazione comunale l’avvio di un percorso partecipativo per la riqualificazione della piazza. La terza commissione consigliare boccia la richiesta e il comitato decide di intraprendere comunque un proprio progetto “partecipato” di riqualificazione urbana e paesaggistica della piazza avvalendosi del sostegno di un gruppo di “esperti”. Viene quindi interpellata l’Università di Firenze e in particolare l’Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio Culturale, Progetto”. A partire dal giugno 2016, viene organizzato un ciclo di incontri e di iniziative dedicate allo studio e all’analisi della Piazza del Carmine e avviato un percorso spontaneo di progettazione partecipata. 162
Lo scopo principale ed esplicito di “Un Progetto per Piazza del Carmine” è stato, fin dall’inizio, quello di formulare una proposta progettuale, “dal basso”, di riqualificazione della Piazza che, oltre ad essere condivisa, fosse dotata di un contenuto tecnico-scientifico. Requisito che i residenti ritenevano essenziale per conferire alla proposta maggiori probabilità di essere presa in considerazione dagli interlocutori istituzionali: l’Amministrazione Comunale e il Consiglio di Quartiere 1. Partecipazione e deliberazione Alle istituzioni i cittadini non riconoscono più la capacità di rappresentare tutti i “punti di vista” né il possesso di una razionalità universale e oggettiva e, tantomeno, di tutte le conoscenze e le competenze tecnico-scientifiche necessarie per poter prefigurare l’intera gamma dei possibili effetti di una decisione (Floridia 2006). Di conseguenza, quando gli interventi incidono sul tessuto urbano e sulla qualità della vita dei cittadini, se si vogliono evitare effetti imprevisti e addirittura perversi, sono spesso auspicabili processi di co-produzione e co-gestione dei beni e dei servizi (Floridia 2006). Partecipazione1 e inclusione2 sono divenute due parole d’ordine all’interno dei processi di coinvolgimento pubblico che si attua nelle diverse sfere (politica, sociale, economica, del governo della città, ecc.). Nel rapporto tra politica, istituzioni e società infatti, il coinvolgimento dei soggetti sociali (dei loro interessi, valori, punti di vista) nei processi decisionali diventa un’esigenza fondamentale che richiede momenti, strumenti e canali di mediazione che facciano emergere la molteplicità e l’evolversi degli interessi delle aspettative, degli umori, delle tensioni, delle reazioni e addirittura delle contraddizioni del corpo sociale ogni volta che le decisioni pubbliche incidono sulle vite dei cittadini (Quick & Feldman 2011; Floridia 2006). In particolare la partecipazione si fonda sull’azione diretta e «il coinvolgimento attivo dei cittadini nei processi decisionali delle istituzioni» (Floridia 2013), comporta quindi un qualche potere decisionale3 su questioni che interessano la vita dei cittadini. Lo scopo della partecipazione è quello di aumentare il contributo della società civile alle decisioni sui progetti, i programmi e le politiche pubbliche (Quick & Feldman 2011). Possiamo quindi considerare la partecipazione come «lo strumento grazie al quale i cittadini si formano una consapevolezza critica ed escono da una condizione di passività e di minorità, facendosi costruttori delle scelte che toccano in qualche modo la loro vita» (Floridia 2013). La partecipazione evoca quindi una dimensione politica e una specifica modalità democratica decisionale. I modi nei quali si può esprimere la partecipazione sono numerosi, tra questi, la forma La concezione della democrazia alla quale fa riferimento la partecipazione «accentua, valorizza e […] auspica processi di decisione politica che vedano, quanto più possibile, l’intervento attivo e diretto dei cittadini» (Floridia 2013) nella quale sono fondamentali «una qualche forma o misura di “sovranità” e‑‑sercitata direttamente dai cittadini che intervengono su e all’interno di un processo politico decisionale» e «[l’]educazione attiva alla cittadinanza che le pratiche partecipative implicano e favoriscono» (Floridia 2013).
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Comunemente, quando si parla di inclusione si fa riferimento alla possibilità di gruppi e individui marginalizzati di accedere ai processi decisionali. In questo senso, includere significa aprire un processo alla partecipazione di attori socio-economicamente diversi. In termini più generali, l’inclusione è un processo intenzionale che ‒ favorendo la formazione di connessioni durevoli tra i punti di vista degli individui e dei gruppi, e il collegamento tra questioni, settori, e impegni ‒ mira a creare una comunità che si impegna nella definizione e nella soluzione dei problemi pubblici co-producendo progetti, processi, politiche e programmi [Quick & Feldman 2011]. Un processo partecipativo può non essere necessariamente inclusivo.
2
L’intervento diretto dei cittadini in un processo decisionale pubblico comporta necessariamente, da un lato, un esercizio della sovranità da parte dei cittadini e dall’altro, simmetricamente una “cessione” (parziale) di sovranità da parte delle istituzioni (Floridia 2013). In una società frammentata come quella attuale questo solleva due questioni: in primo luogo, il problema di chi (quali cittadini) sia legittimato a decidere e, addirittura, di chi decide chi ha diritto a decidere (Floridia 2006). In secondo luogo, quale significato deve essere assegnato al termine “empowerment”, questione che verrà brevemente affrontata nel proseguo del testo.
3
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deliberativa appare oggi come quella più promettente (Flordia, 2006). L’approccio deliberativo infatti, è capace di superare da un lato, le difficoltà in cui si trovano le istituzioni democratiche rappresentative4 e dall’altro, i limiti di un atteggiamento puramente antagonistico e conflittuale che caratterizza molti movimenti sociali e che spesso li condanna all’irrilevanza5. Il tratto caratteristico della concezione deliberativa della democrazia invece è l’enfasi posta sul processo di deliberazione e quindi l’assunzione di una razionalità di tipo collaborativo e comunicativo. Occorre chiarire subito che deliberare non significa decidere. L’elemento centrale della deliberazione è la formazione di concetti condivisi e quindi il prevalere della tesi più convincente6. La deliberazione avviene infatti in base al principio che le preferenze degli attori non sono “date”, ma si definiscono e si trasformano durante la discussione e il confronto razionale tra i diversi argomenti. Richiede inoltre una concezione più ampia dell’interesse pubblico, la disponibilità a prendere in considerazione i punti di vista degli altri attori e ad accettare opzioni innovative in vista del raggiungimento del bene comune7 (Quick & Feldman 2011). La deliberazione attiene quindi alla sfera pubblica nella quale gli attori forniscono e scambiano le proprie argomentazioni e le proprie motivazioni. È quindi la fase che precede la decisione su cosa rappresenti l’interesse pubblico (Floridia 2006 e 2013) e non comporta la funzione decisionale che attiene invece alla sfera istituzionale che, in quanto democraticamente eletta, è legittimata ad assumere decisioni vincolanti (Floridia 2006 e 2013). «Una procedura democratica deliberativa si fonda sulla discussione pubblica, sullo scambio di ragioni e di argomenti, e può ambire ad ottenere un consenso razionale o una soluzione condivisa, o produrre decisioni migliori; ma può anche limitarsi a circoscrivere le ragioni di un disaccordo o di un conflitto, a renderlo produttivo, attraverso un dialogo che riesca a trovare soluzioni innovative condivise o, quanto meno, reciprocamente accettabili» (Floridia 2013). In base ad una «visione della democrazia deliberativa come uno scambio pubblico di ragioni e di argomenti in funzione di un problem-solving collettivo, come una ricerca esplorativa di soluzioni condivise e convincenti, come processo di apprendimento collettivo, in contesti più o meno conflittuali» (Floridia 2013), deliberare significa […] «soppesare i pro e i contro delle possibili soluzioni ad un problema collettivo» (Floridia 2013). Per prendere una decisione migliore, più giusta e condivisa, infatti, non basta avere informazioni attendibili e accurate, ma occorre anche sapere come utilizzarle, cioè soppesare le prove, analizzare le contraddizioni e le incoerenze, esplicitare i valori, interpretare i risultati ed esaminare le ipotesi. In altri termini, occorre imparare a pensare in modo valutativo (Quinn Patton 2002, p. 127). A conclusione, è importante sottolineare che, quando le istituzioni pubbliche scelgono esplicitamente di affidare la definizione di un problema e/o la ricerca di una soluzione al confronto diretto tra una pluralità di soggetti interessati che rispecchiano gli interessi e i punti di vista rilevanti ‒ sia che ciò avveng in base ad una delega vera e propria o, come accade più spesso, attribuendo a tale confronto un valore puramente consultivo ‒ le istituzioni rinunciano 4
In particolare le incapacità di proposta e di decisione (Floridia 2006).
In una dialettica tra movimenti e istituzioni basata su una logica “rivendicativa” e conflittuale i “movimenti di lotta” possono, talvolta, diventare rilevanti e raggiungere una “massa d’urto” tale da costringere gli interlocutori istituzionali a tener conto delle loro ragioni, ma allo stesso tempo, affidarsi alla logica dei rapporti di forza, oltre a sollevare problemi di legittimazione delle decisioni, conduce spesso a due esiti negativi: la paralisi decisionale o, più probabilmente, una “chiusura” decisionistica con l’affermarsi degli interessi più forti (Floridia 2006).
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Quando invece le preferenze degli individui sono aggregate mediante il voto, in base al principio di maggioranza, si decide a favore dell’alternativa che prevale sulle altre.
6
La ricerca di un consenso razionale tra i partecipanti e il perseguimento del “bene comune” sono tra gli elementi della democrazia deliberativa maggiormente soggetti a critiche. Tuttavia, occorre mettere in evidenza che in questo caso il “bene comune” non è utilizzato nell’accezione ontologica del termine, non è un qualcosa già definito al quale adeguarsi, ma il risultato costruito collettivamente mediante la prassi civica di autodeterminazione dei cittadini (Floridia 2013).
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(parzialmente e temporaneamente) ad usare le procedure canoniche della democrazia rappresentativa e scelgono di cambiare il proprio ruolo: da decisori ad arbitri garanti della correttezza del confronto (Floridia 2006). Qualunque forma di intervento diretto dei cittadini nel processo decisionale pubblico pone un duplice ordine di problemi. Sul versante delle istituzioni occorre domandarsi se e in che misura un processo partecipativo può implicare una “cessione di sovranità” da parte delle istituzioni a favore della società civile intaccando però le prerogative costituzionali degli organi elettivi (Floridia 2007). Sul versante della società civile, l’interrogativo riguarda se, e in che misura, i processi partecipativi abbiano una efficacia politica. C’è infatti il rischio che il decisore istituzionale disattenda gli esiti del processo partecipativo frustrando le aspettative della società civile di influire sul processo decisionale e sulla scelta di una soluzione condivisa (Bobbio, 2006). Una possibile soluzione realistica al problema del rapporto tra decisione e partecipazione è quella fondata sul concetto di “influenza” ossia sulla «effettiva capacità e possibilità, per chi partecipa, di incidere su un processo decisionale» (Floridia 2007, p. 633). Un esempio interessante è rappresentato dal meccanismo istituzionale del “precommitment” adottato dalla Legge Regionale della Toscana (per la promozione della partecipazione nelle politiche regionali e locali) n. 46 del 2013. Con il “precommitment” il decisore istituzionale prende un “impegno preventivo” ad accettare volontariamente un vincolo alla propria azione (o decisione) in cambio di risorse o di opportunità politiche o di minori costi politici. (Floridia 2007). Tale impegno non obbliga a fare proprie le conclusioni del processo deliberativo in modo integrale, ma a “prenderle in considerazione” assumendo un obbligo di “risposta” che consiste nel “motivare”, di fronte all’opinione pubblica, le ragioni delle proprie decisioni. In altre parole, l’istituzione pubblica può non tener conto di quanto emerso dal percorso partecipativo, ma se lo fa deve assumersene pienamente la responsabilità pagando i costi politici che potrebbero derivarne (Floridia 2007). Il caso-studio di “Un progetto per Piazza del Carmine” “Un progetto per Piazza del Carmine” non è stato concepito come esperienza deliberativa classica, ma come il tentativo spontaneo di un gruppo di abitanti dell’Oltrarno, sostenuti l’Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio Culturale, Progetto” dell’Università di Firenze, di promuovere un’esperienza di progettazione partecipata con l’obiettivo di migliorare la vivibilità della Piazza “in termini qualitativi, dei sistemi di vita e di relazione. In un rione, San Frediano, dove la residenza e le funzioni siano in equilibrio. Una Piazza ecosostenibile, ad impatto zero, che diventi un modello per un ripensamento più generale degli spazi pubblici urbani. Una piazza dedicata, dopo anni di uso improprio come parcheggio, alla socialità e alle relazioni umane, con particolare attenzione ai soggetti più deboli, e con un ampio spazio dedicato alla natura» (AA.VV. 2017). Non è quindi possibile, né sarebbe utile, svolgere un’analisi per stabilire la corrispondenza di questa iniziativa ad una “ideale procedura deliberativa”, più semplicemente cercheremo di mettere in evidenza come si possano rintracciare nel suo svolgimento elementi e caratteristiche che lo avvicinano ad un approccio decisionale di tipo deliberativo. In sintesi, l’esperienza “Un progetto per Piazza del Carmine” si è sviluppata nell’arco di sette mesi ‒ dall’11 giugno al 17 dicembre 2016 ‒ e si è articolata in una serie di iniziative di studio e approfondimento all’interno di 5 gruppi di lavoro e in un ciclo di cinque incontri pubblici presso la ex Chiesa di Santa Monaca dedicati di volta in volta: alla presentazione dell’iniziativa; alla discussione su questioni generali (come le tematiche da approfondire le priorità da assegnare); al resoconto e all’analisi delle attività dei gruppi di lavoro; alla discussione delle diverse ipotesi progettuali di sistemazione paesaggistica della piazza; alla definizione e approvazione delle linee guida per la redazione del progetto finale partecipato. 165
Il percorso partecipato è iniziato con la presentazione e la discussione, nell’incontro pubblico dell’11 giugno 2016, di sei “suggestioni progettuali aperte” elaborate dai progettisti dell’ Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio Culturale, Progetto” oltre che delle proposte elaborate dall’Amministrazione Comunale8 e dalla società che doveva realizzare il parcheggio sotterraneo. Questa strategia comunicativa all’insegna della massima creatività e basata sull’immersione diretta dei cittadini nelle diverse visioni/immagini della piazza riqualificata ‒ ancor prima di aver affrontato le fasi canoniche dell’analisi dei bisogni, della definizione delle funzioni, dell’individuazione delle prestazioni, ecc. ‒ si è rivelata vincente perché ha favorito il coinvolgimento dei cittadini stimolandoli ad esprimere le proprie idee all’interno di una collaborazione su basi di assoluta parità con gli esperti. Il processo è poi proseguito con la costruzione e la condivisione di una base comune di informazioni e di conoscenze ricorrendo alla letteratura scientifica, alle banche dati disponibili presso le istituzioni pubbliche, ma anche al sapere contestuale e alla conoscenza tacita dei cittadini e alle ricerche sul campo che hanno permesso di affinare l’analisi del quartiere dal punto di vista economico, sociale e funzionale e di identificare le esigenze dei cittadini. Si è quindi dato vita a cinque gruppi di lavoro misti ognuno dei quali ha approfondito una delle tematiche individuate negli incontri pubblici e ritenute fondamentali: Banca dati e GIS; Cultura; Mobilità; Vivibilità; Struttura piazza e verde, raccogliendo e sistematizzando i contributi di idee sulla riqualificazione della piazza. In vista del confronto con l’Amministrazione Comunale, una decisione fondamentale è stata quella di “parlare con una sola voce” cioè di non sviluppare tutto il ventaglio di visioni progettuali espresse dai partecipanti, ma, in base ad una visione condivisa, di svilupparne una sola. Le diverse visioni, quindi, sono state in un primo momento aggregate e poi “asciugate” fino ad arrivare ad un progetto di piazza ecosostenibile a impatto zero individuata adottando l’accessibilità, la mobilità e la vivibilità come criteri di giudizio. L’esperienza si è conclusa il 17 dicembre 2016 con la presentazione del progetto partecipato di riqualificazione di Piazza del Carmine durante un incontro pubblico aperto a tutta la città. Come illustrato nel documento di sintesi (AA.VV. 2017), il progetto è un «mix di elaborazioni tecniche e scientifiche e di impegno collettivo di docenti e residenti organizzati in vari gruppi di studio» nel quale vengono coniugate le due idee-forza emerse nel percorso partecipato: il rispetto del preminente valore storico-architettonico del rione e della Chiesa del Carmine; e la volontà di recuperare spazi di socializzazione con l’inserimento di verde, di natura, di acqua. A livello di progetto questo ha portato ad una articolazione ideale della piazza in due spazi: il primo ampio, vuoto, contemplativo, ed essenziale che si estende davanti alla facciata nuda del Carmine e all’ingresso della cappella Brancacci focalizzando su di essi l’attenzione dell’osservatore. Il secondo, caratterizzato dalla presenza di una fontana ed una alberatura densa, ombreggiante, ma non alta, è lo spazio delle relazioni sociali, dei colloqui, della sosta delle persone, della lettura, dei giochi dei bambini, nel quale la presenza dell’acqua assume un significato simbolico, ma svolge anche una funzione ludica ed una pratica di raffrescamento. Il verde è inteso come riparo e conforto fisico e psicologico (AAVV, 2017). Nella ricerca degli aspetti che avvicinano l’esperienza di “Un Progetto per Piazza del Carmine” ad un processo deliberativo di partecipazione, un primo elemento da considerare è verificare se chi ha lo ha promosso aveva titolo a farlo. L’approccio deliberativo, consente sia iniziative dal basso che dall’alto9. Possiamo quindi avere arene deliberative promosse rispettivamente da
Come si evince dal verbale della terza commissione del 20 aprile 2016, il progetto allo studio dei tecnici dell’amministrazione comunale prevedeva l’inserimento di un elemento di verde (un “boschetto” di una quindicina di alberi su tre file) sul lato della piazza opposto alla chiesa del Carmine e l’ipotesi di una fontana al centro della piazza.
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È importante sottolineare che, a prescindere da chi promuove il processo deliberativo, tutti coloro che accettano di
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semplici cittadini, comitati o da associazioni (a fronte di un problema specifico), o da un’istituzione di governo che, prima di assumere una decisione, sente il “bisogno” di un processo partecipativo, o l’esigenza di verificare preliminarmente il grado di consenso di una scelta (Floridia 2006). Quindi, per questo aspetto, l’esperienza si conforma in linea con l’approccio deliberativo. Bisogna però osservare che, “Un progetto per Piazza del Carmine”, tra i casi di processi promossi dal basso, è un caso singolare, non attiene al campo delle decisioni pubbliche, si situa infatti in una fase che precede il momento decisionale e quindi, pur rientrando nella sfera “pubblica”, non rientra invece in quella istituzionale. Questo non significa che fuoriesca dal campo di applicazione delle procedure deliberative perché, come afferma Floridia (2013), anche se il loro campo di applicazione di elezione sono le decisioni politiche, ciò non toglie che possano essere utilizzate da qualsiasi associazione “privata”, o un gruppo di individui, per dare forma alle proprie decisioni. Un secondo elemento da considerare è se l’oggetto dell’iniziativa, che nel nostro caso è la riqualificazione urbana e paesaggistica di una piazza storica del centro di Firenze, sia tra quelli che possono essere affrontati nei processi deliberativi. Per questo aspetto, il nostro caso è perfettamente in linea l’approccio deliberativo. Infatti, sebbene in una cosiddetta “arena deliberativa” si possa discutere di tutto, è più adatta però a trattare temi specifici e circoscritti come nel caso, esemplificato da Floridia (2006), della «possibile destinazione e ristrutturazione di una piazza» all’interno di un disegno di «[ri]qualificazione degli ambienti urbani e quindi alla creazione di spazi pubblici che favoriscano la produzione e la fruizione culturale e le relazioni comunitarie tra i cittadini» che sembra proprio la descrizione del caso di “Un progetto per Piazza del Carmine”. Anche per quanto riguarda lo scopo, l’iniziativa è in linea con i principi dell’approccio deliberativo. “Un progetto per Piazza del Carmine” intendeva infatti mettere insieme il sapere comune-contestuale dei cittadini e il sapere codificato tecnico-scientifico degli esperti facendo esprimere e raccogliendo i bisogni dei cittadini e le loro indicazioni in merito alle modalità di riqualificazione della Piazza del Carmine da un lato, e stimolando egli esperti a formulare suggestioni progettuali scientificamente e tecnicamente sostenibili dall’altro. Un ulteriore elemento da verificare è il target, ossia a chi era diretta l’esperienza. “Un progetto per Piazza del Carmine” era indirizzato a tutte le categorie di attori che potevano essere in varia misura interessati o toccati dal progetto di riqualificazione, quindi: i cittadini residenti, gli esponenti delle associazioni sociali e di volontariato (più o meno strutturate), i comitati spontanei su singoli problemi già presenti nel quartiere, gli operatori economici (commercianti, artigiani, ecc.). Benché siano i detentori del potere decisionale e quindi normalmente siano gli attori chiave dei processi partecipativi, i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche non sono stati coinvolti. L’esclusione deliberata e programmatica dell’Amministrazione Comunale di Firenze, del Consiglio di Quartiere 1 (e della Soprintendenza per i Beni Architettonici, Paesaggistici, Storici, Artistici ed Etnoantropologici per Le Provincie Di Firenze, Pistoia e Prato) è stata decisa dal comitato promotore di “Un progetto per Piazza del Carmine” per due ordini di motivi: in primo luogo, evitare non solo il rischio di strumentalizzazione politica, ma anche quello che la comunità locale la percepisse come tale. In secondo luogo, sperimentare una esperienza partecipativa che non fosse, come nel caso de “I cento luoghi” 10, solo formale, ma reale, pensata cioè come un processo di «educazione attiva alla cittadinanza» (Floridia 2013b)
entrare in questo gioco cooperativo, devono assoggettarsi ad un insieme di vincoli reciproci, particolarmente impegnativi per le istituzioni. 10 I cittadini del comitato promotore avevano preso parte all’esperimento di democrazia partecipativa i “100 luoghi” (e, al suo interno, al progetto di riqualificazione di Piazza del Carmine) promosso dal Comune di Firenze, ma erano rimasti
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che, sviluppasse una consapevolezza critica nei cittadini, rendendoli agenti attivi delle scelte che toccano la loro vita favorendo quindi l’uscita da una condizione di passività. Un altro punto rilevante da considerare riguarda gli strumenti utilizzati per la selezione dei partecipanti. Un processo deliberativo è per sua natura inclusivo, questo significa che tutti i punti di vista e gli interessi rilevanti devono essere presi in considerazione e che tutti gli attori (in vario modo e a vario titolo) interessati alla decisione devono essere attivamente coinvolti. La caratteristica dell’inclusività solleva quindi il problema della rappresentanza11 e quello ad esso collegato della selezione dei partecipanti. Per dare una risposta occorre tenere presente che nella deliberazione non si è chiamati a decidere con un voto, ma piuttosto a ragionare, a confrontarsi, a cercare di convincere gli altri e, simmetricamente, ad essere disponibili a farsi convincere dagli altri, a cercare buoni argomenti a favore di una tesi, a cercare di confutare le tesi altrui, a sforzarsi di “mettersi nei panni degli altri”, ed infine a cercare di giungere ad una conclusione quanto più possibile condivisa (Floridia 2006). Non occorre quindi che le opinioni siano rappresentate nella “stessa proporzione” in cui sono presenti nell’intera “popolazione”, ma solo che siano presenti e in grado di farsi valere. In base all’approccio deliberativo, infatti, è l’istituzione pubblica (democraticamente legittimata) ad avere il potere di decidere, mentre mediante il processo deliberativo si può formulare una possibile soluzione al problema, o quanto meno un quadro delle alternative disponibili e del grado di consenso che possono riscuotere. Nel caso di “Un Progetto per Piazza del Carmine”, tenendo conto che l’obiettivo era quello di mettere insieme il sapere comune-contestuale dei cittadini e il sapere codificato tecnico-scientifico degli esperti, è stata effettuata un’auto-selezione su base volontaria12, combinata con quello che potremmo considerare un “campionamento mirato” per coinvolgere, mediante invito diretto, una serie di “esperti” dotati delle competenze tecnico-scientifiche necessarie alla progettazione. Nell’auto-selezione sono stati privilegiati due canali di comunicazione principali: il passaparola e una attività di volantinaggio. In questo modo sono stati coinvolti numerosi cittadini attratti dall’idea di una collaborazione con gli “esperti”. Per quanto riguarda invece la selezione degli esperti si è scelto di attuare una forma di campionamento mirato invitando a prendere parte all’esperienza l’Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto” dell’Università di Firenze in base a due fattori: la disponibilità dei suoi componenti ad aprire i propri processi decisionali alla partecipazione dei cittadini e profondamente delusi, sia dallo svolgimento che dai risultati, quindi diffidavano dell’effettiva volontà dell’Amministrazione Comunale di aprire i processi decisionali pubblici alla partecipazione dei cittadini. Il comitato, in particolare, riteneva che nelle “maratone dell’ascolto” la scarsa qualità della partecipazione fosse dovuta alla guida non imparziale delle assemblee da parte di un facilitatore pregiudizialmente schierato a sostegno delle posizioni dell’Amministrazione Comunale, come testimoniato dalle conclusioni tratte al termine delle sedute nelle quali trovavano spazio le tesi dell’amministrazione comunale, ma non venivano registrate le posizioni emerse nella discussione con i cittadini. Inoltre, sebbene il progetto i “100 luoghi” prevedesse la circolazione dei resoconti e degli esiti finali emersi dalle discussioni di ciascun gruppo di lavoro e dall’assemblea conclusiva, all’atto pratico, non era avvenuto. La mancanza di fiducia da parte dei cittadini nelle effettive intenzioni delle istituzioni politiche locali di aprirsi alla partecipazione era inoltre aggravata dal fatto che l’Amministrazione Comunale di Firenze nonostante le richieste dei cittadini si era rifiutato a più riprese (nel 2014 e nel 2016) di attivare uno specifico percorso partecipato per la progettazione della riqualificazione di piazza del Carmine. In relazione alla rappresentatività le domande fondamentali sono due: tutti i punti di vista rilevanti sono effettivamente rappresentati? I partecipanti sono rappresentativi delle opinioni della più vasta comunità di riferimento? 11
Le principali forme di selezione dei partecipanti sono l’auto-selezione volontaria (sostanzialmente aperta a tutti i soggetti interessati ognuno dei quali partecipa consapevolmente e di sua spontanea volontà), il campionamento casuale (nel quale i partecipanti sono estratti a sorte) e il campionamento mirato (fondamentalmente aperto a tutti i soggetti interessati, ma per aumentare la rappresentatività vengono invitate in maniera mirata singole persone o rappresentanti di gruppi specifici). 12
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la presenza al suo interno di docenti, ricercatori, e professionisti dotati di competenze e specializzazioni tecnico-scientifiche nei campi dell’urbanistica, della progettazione architettonica e paesaggistica, del disegno, della storia dell’urbanistica, ecc.13. Il risultato è stato un insieme di persone non rappresentativo di tutti gli interessi in gioco, erano infatti presenti due sole componenti: i cittadini residenti (promotori e nuovi entrati attratti dalla speranza che una proposta dotata di un maggior contenuto tecnico scientifico aumentasse le possibilità di essere presa in considerazione dagli organi istituzionali) e gli esperti dell’Unità di Ricerca “Paesaggio, Patrimonio culturale, Progetto”. In particolare, il gruppo più numeroso di partecipanti era quello dei cittadini residenti nell’Oltrarno ‒ un quartiere nel quale continua ad esistere e a funzionare un sistema vitale di relazioni sociali ‒ dotati di una spiccata sensibilità e consapevolezza e di un forte senso di identità e di appartenenza al quartiere che si concretizzano in forme di cittadinanza attiva, e, nella maggior parte dei casi, appartenenti a classi sociali medio-alte ed dotati di livelli culturali e di istruzione al di sopra della media. Mentre, come era prevedibile, la maggior parte degli operatori economici della zona (in particolare dei gestori di bar, ristoranti, trattorie ecc.) non ha preso parte all’iniziativa e anche quei pochi che inizialmente avevano assistito ai primi incontri, hanno smesso di frequentare gli incontri pubblici e le riunioni dei gruppi di lavoro. Il motivo di questa “auto-esclusione” è facilmente rintracciabile nella contrapposizione degli interessi e delle esigenze dei cittadini residenti e quelle dei gestori di bar, ristoranti, trattorie (meno di quelle degli artigiani) che ha fatto sentire gli operatori economici isolati (se non addirittura messi sotto accusa). Bisogna però sottolineare che questo non ha creato preoccupazioni nei promotori, infatti non sono prese alcuna iniziativa per superare la reciproca diffidenza ed evitare abbandono almeno di quella parte degli operatori economici (come i “piccoli negozi di prossimità” o gli artigiani specializzati o alcune categorie di albergatori) con interessi ed esigenze non lontani da quelli dei residenti. Occorre inoltre rilevare la mancata partecipazione della Comunità Religiosa dei Frati del Convento del Carmine. Il loro mancato coinvolgimento così come quello delle associazioni sociali e di volontariato non è stata una scelta deliberata dei promotori, ma un “errore di sottovalutazione” dell’importanza del loro ruolo all’interno sistema di relazioni sociali dei quartieri dell’Oltrarno e del loro interesse per le funzioni che la piazza può ospitare. La distorsione nella composizione del gruppo dei partecipanti deve sollecitare una riflessione sulla necessità di una maggiore attenzione nei processi di selezione nel caso di future esperienze, ma non costituisce un difetto tanto grave da porre il nostro caso al di fuori dell’approccio deliberativo. Infatti, visto che l’iniziativa si rivolgeva principalmente ai cittadini, gli attori interessati alla decisione erano stati tutti coinvolti ed era stata assicurata a tutti i punti di vista e a tutti gli interessi rilevanti la possibilità di essere presi in considerazione. Non essendo nata come esperienza deliberativa, non ha senso cercare di stabilire la qualità dialogico-deliberativa degli scambi argomentativi tra i partecipanti sia all’interno dei gruppi di lavoro che degli incontri pubblici. E sicuramente l’esperienza non può essere fatta rientrare pienamente all’interno di un qualche presunto modello normativo di partecipazione di tipo deliberativo, tuttavia pur con i suoi limiti e debolezze, si possono rintracciare al suo interno tracce di uno scambio di natura deliberativa. In primo luogo il fatto che quanti avevano partecipato fossero consapevoli della funzione simbolica e comunicativa dell’esperienza e delle finalità di conferire al progetto ‒ oltre che solide basi tecniche e scientifiche ‒ anche legittimità
13 Non erano invece presenti sociologi, storici dell’architettura, restauratori, valutatori, economisti, statistici, ecc. Queste competenze sono state comunque reperite tra i residenti (come nel caso di quelle statistiche) o ricorrendo ad esperti esterni.
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e consenso di modo che nell’auspicato confronto con il Comune e il Consiglio di Quartiere 1, fosse possibile “parlare con una sola voce” (Plottu & Plottu 2009). La discussione si è sempre svolta su basi di parità tra tutti i partecipanti che, conferendo reciprocamente piena dignità e legittimità a tutti i punti di vista, hanno accettato di modificare sulla base di ragionamenti logici le proprie opinioni, le proprie preferenze, e i propri giudizi per arrivare ad un soluzione condivisa14 (necessariamente creativa in quanto risultato non di una votazione a maggioranza, ma di uno sforzo comune di invenzione). Questo processo probabilmente è stato favorito dal fatto che il dialogo è avvenuto tra attori che condividevano modelli logici e paradigmi scientifici. Questo ha consentito un dialogo fruttuoso tra esperti e cittadini residenti che non sarebbe stato possibile se fossero state presenti posizioni antagonistiche che mettevano in discussione la legittimità e la veridicità delle posizioni degli altri attori. In questa direzione ha giocato anche il fatto che tutti i partecipanti non solo hanno messo in comune, ma hanno contribuito alla costruzione della base documentale e conoscitiva garantendo così la più totale trasparenza e condivisione delle informazioni e della documentazione, punto di partenza per qualunque effettivo dialogo. Ma forse, al di là ed accanto al risultato progettuale ottenuto, le ricadute più importanti che gli stessi cittadini residenti riconoscono e rivendicano come esito dell’esperienza sono fondamentalmente tre. In primo luogo, un rafforzamento del senso di appartenenza al quartiere e di identità e la creazione di una serie di legami di comunità che permangono nel tempo e che costituiscono la base per ulteriori esperienze di partecipazione. In secondo luogo, un processo di apprendimento in termini di nuove conoscenze e di acquisizione di un approccio “progettuale”. L’acquisizione di nuove conoscenze e informazioni ‒ ma anche lo scambio reciproco di saperi e competenze tra cittadini ed esperti ‒ è avvenuto con l’approfondimento dei problemi e delle analisi all’interno dei gruppi di lavoro, mentre dal dialogo e dal confronto diretto con gli esperti i cittadini sono entrati in contatto e hanno assunto come elementi di giudizio caratteristiche e dimensioni del progetto (vedi ad es. gli angoli visuali) prima ignorati o considerati poco rilevanti. Tutto questo si è tradotto, in terzo luogo, in quello che in letteratura si definisce il processo di empowerment dei cittadini che è l’obiettivo fondamentale della democrazia partecipativa (Bobbio 2006). I cittadini residenti, come individui e come comunità, hanno aumentato le proprie capacità di “padroneggiare” le scelte collettive, di comprendere più a fondo i problemi, di impadronirsi degli aspetti tecnici e delle soluzioni complesse. In questo modo hanno aumentato il loro potere di controllo sulle decisioni che riguardano la vita della loro comunità (Floridia 2007) È però importante sgombrare il campo dall’equivoco che il termine empowerment abbia il significato giuridico di una “delega” di potere. In realtà deve essere inteso come “capacitazione” ovvero un aumento della capacità dei cittadini di “padroneggiare” e influenzare in modo sempre più consapevole i processi di decisione collettiva e le situazioni problematiche e complesse che li caratterizzano (Floridia 2007; Bobbio 2006). Accanto a questi dati positivi non si possono trascurare alcuni limiti e debolezze dell’esperienza specialmente se questa rappresenta solo un primo passo in direzione dell’apertura dei processi decisionali riguardanti la riqualificazione spazi pubblici o, più in generale, la progettazione di interventi di trasformazione del territorio. Un primo limite che possiamo rilevare è l’altra faccia di uno degli aspetti positivi che hanno caratterizzato “Un Progetto per Piazza del Carmine”: il rapporto tra i cittadini ed esperti, impostato (con un eccesso di “entusiasmo democratico”) su basi di assoluta parità, ha avuto come effetto negativo una confusione di ruoli determinando una situazione nella quale i cittadini, 14
Poco importa se motivata in base ad un consenso sulle “ragioni” o la “preferibilità” della scelta.
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equivocando l’oggetto e quindi il tipo di decisione che può essere sottoposto a deliberazione hanno interferito direttamente sulle scelte tecniche sostituendosi agli esperto. Se infatti, come sostiene Floridia (2006) «oggetto di una “deliberazione” può essere la possibile destinazione e ristrutturazione di una piazza» è anche vero che il «confronto [deve avvenire] sulle possibili finalità, sulle forme e i criteri di progettazione», non può avvenire invece sul piano delle soluzioni tecniche dove a tali finalità, forme e criteri sono gli esperti che devono dare una traduzione operativa. In questo caso infatti, i pareri, i punti di vista, non hanno più tutti la stessa importanza, qui le diverse posizioni hanno maggiore o minore peso in funzione dei contenuti tecnici e scientifici. Un secondo limite dell’esperienza si può individuare nell’eccesso di spontaneità che ha caratterizzato l’esperienza portando alla scelta di non avvalersi delle competenze di un facilitatore15. Come si è detto, la decisione deriva dall’esperienza negativa subita nel caso del progetto i “100 luoghi” dove il facilitatore invece di essere “equidistante” mostrava una evidente inclinazione per le posizioni espresse dall’Amministrazione Comunale. La mancanza di una figura del genere ha però acutizzato alcuni scontri interni, mentre al contrario, un facilitatore esperto sarebbe forse stato in grado evitare l’abbandono di alcuni aderenti e magari impedire l’affermarsi di personalismi e il verificarsi di eccessi polemici durante la discussione. Un ultima riflessione riguarda il fatto che non si è sentito il bisogno di svolgere una valutazione. Probabilmente, il motivo principale è stato che non si riteneva che eventuali informazioni sulla convenienza economico finanziaria delle diverse soluzioni progettuali potessero essere rilevanti nella ricerca della soluzione migliore. Ed è certo vero che una valutazione di questo tipo non è la più adatta a questo tipo di problemi, ciò toglie però che una valutazione (ovviamente “diversa”) aiuterebbe il processo decisionale, specialmente quando sono coinvolti molti attori con obiettivi, interessi, strutture delle preferenze diversi e addirittura talvolta contrapposti. Una valutazione infatti può svolgere molti ruoli all’interno di un processo decisionale collegato ad un intervento pubblico sul territorio. In primo luogo la valutazione, producendo informazioni e conoscenze specializzate, può aumentare la razionalità delle decisioni riducendone la casualità e quindi il rischio di prendere decisioni sbagliate o inadeguate. In secondo luogo, può aiutare i processi negoziali o deliberativi in quanto, favorendo l’esplicitazione delle preferenze e la rivelazione degli obiettivi e degli interessi (inespressi) dei diversi attori, può mettere in luce le relazioni tra obiettivi ed azioni e/o comportamenti. Inoltre poiché si basa su ragionamenti scientificamente sostenibili, la valutazione è in grado di esplicitare i vantaggi e gli svantaggi delle diverse alternative in direzione del perseguimento dei diversi obiettivi e in base ai diversi criteri assunti. Può quindi di spiegare e sostenere le ragioni (tecniche, economiche, sociali, politiche ambientali, ecc.) che hanno portato ad una decisione. Può cioè legittimare la decisione ovvero dare garanzie sulla correttezza delle scelte effettuate. In questo modo crea le condizioni per un dialogo tra i diversi attori e rende possibile che ciascuno possa formulare un giudizio autonomo e consapevole. Per svolgere tutti questi compiti una valutazione degli interventi pubblici sul territorio non può essere svolta in base al tradizionale approccio autocratico che presuppone «la presenza di un solo decisore, la stabilità nel tempo e nello spazio delle preferenze, la linearità della relazione causa-effetto, la certezza del processo e dell’ambiente di decisione, ecc.» (Bentivegna, 2016), ma deve adottare un approccio che le consenta di affrontare la complessità di uno sviluppo urbano più equo e sostenibile e di offrire informazioni e conoscenze idonee a sostenere in modo efficace le decisioni. Recentemente, in parallelo con il diffondersi della partecipazione in tutti gli ambiti delle decisioni pubbliche ‒ compresi quelli della progettazione e dell’urbanistica ‒ si è sviluppata la 15
In realtà il ruolo è stato assunto informalmente da Alberto Di Cintio che lo ha svolto in modo apprezzabile.
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cosiddetta valutazione democratica basata su tre principi cardine: l’inclusione, il dialogo e la deliberazione (House, & Howe, 2000). Attualmente non disponiamo ancora di un modello consolidato di valutazione degli interventi sul territorio, ma può essere consigliabile l’adozione di una procedura articolata in tre fasi: - La prima fase consiste nella valutazione del processo di empowerment, che deve fornire alle persone la capacità di partecipare al processo decisionale con una quantità minima di organizzazione, di assumersi la responsabilità e di “parlare con una sola voce” (Plottu & Plottu 2009). In questa fase le persone imparano principalmente a pensare e a ragionare “in modo valutativo”, cioè ad esaminare le alternative, a soppesarne i vantaggi e gli svantaggi, a prendere in considerazione le contraddizioni e le incoerenze, ad esplicitare i valori gli obiettivi e i criteri di giudizio, ad interpretare i risultati, ecc. Il valutatore quindi svolge il ruolo di broker ‒ mediatore ‒ della conoscenza favorendo reciproco il flusso di informazioni e conoscenze tra i diversi attori e fornendo metodi e tecniche di valutazione accessibili a non specialisti. - La seconda fase investe il processo deliberativo che coinvolge tutte le parti interessate in un processo dinamico di costruzione collettiva del problema della scelta di una soluzione condivisa basata, non sull’aggregazione, ma sulla trasformazione delle preferenze. Lo svolgimento di questa fase richiede alcuni presupposti fondamentali: una comunicazione non gerarchizzata; il libero accesso alle informazioni pertinenti; il tempo necessario per la riflessione e la discussione; la legittimazione e il riconoscimento reciproci di tutti i valori, le preferenze, gli interessi e dei diversi sistemi logici e di conoscenza in gioco; la condivisione dell’impegno a ragionare sulla base di argomentazioni razionali e imparziali. - La terza fase è costituita da un’analisi multicriteriale che, secondo Plottu & Plottu (2009), è lo strumento fondamentale della valutazione democratica in quanto fornisce in primo luogo, una struttura formale all’interno della quale si svolge il processo di deliberazione e, in secondo luogo, fornisce un algoritmo per la selezione dei progetti che favorisce la formulazione di una soluzione innovativa condivisa. La valutazione multicriteri infatti è in grado di ricomprendere al proprio interno sia le diverse dimensioni del problema che i diversi punti divista dei partecipanti. Può quindi prendere in considerazione simultaneamente una pluralità di valori, di obiettivi, di interessi e di criteri, può tener conto dell’importanza relativa di ciascun criterio, può elaborare dati quantitativi e qualitativi. Inoltre, nell’approccio multi-decisore, in corrispondenza degli obiettivi e degli interessi dei diversi attori, può prendere in considerazione simultaneamente, più strutture delle preferenze e tenere conto di come si trasformano durante la deliberazione fino alla costruzione di soluzioni creative condivise.
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Le prospettive del rione di San Frediano. Identità e trasformazione nello spazio pubblico di Carolina Capitanio Tesi Possono i quadri conoscitivi fornire valide linee guida per il progetto? Il rilievo critico per il progetto urbano è in grado di fornire diversi “temi” di conoscenza utili ad indirizzare gli elementi compositivi in occasione di interventi di trasformazione ed adeguamento di contesti fortemente storicizzati? Sono queste le domande che hanno mosso la ricerca applicata nel progetto partecipato per Piazza del Carmine a Firenze, uno dei nodi principali del rione di San Frediano, nell’Oltrarno del Centro Storico di Firenze. L’esperienza si è attuata in uno degli spazi pubblici maggiormente significativi per il quartiere. Definizione di Spazio pubblico Lo spazio pubblico è non solo il luogo principe nel quale la città si rappresenta, esso è elemento essenziale per la vita delle città, insieme dei “luoghi della vita collettiva delle comunità, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità” (INU 2013). Lo spazio pubblico è bene comune. E’ quello spazio aperto al pubblico o d’uso pubblico e collettivo costituito da un insieme di fattori di relazioni sociali ed elementi materiali che ne costituiscono la scena urbana complessiva. Lo spazio pubblico è parte del nostro “Paesaggio Storico Urbano” come definito nella documentazione UNESCO.
Piazza del Carmine prima dei lavori di restauro iniziati nel luglio 2017 174
Secondo tale definizione1, l’approccio al Paesaggio Storico Urbano «ha lo scopo di preservare la qualità dell’ambiente umano, migliorando l’uso produttivo e sostenibile degli spazi urbani riconoscendone il loro carattere dinamico e promuovendo la diversità sociale e funzionale.[…]. L’approccio al Paesaggio Storico Urbano considera la diversità e la creatività culturale come risorse chiave per lo sviluppo umano, sociale ed economico e fornisce gli strumenti per gestire le trasformazioni fisiche e sociali ed assicurare che gli interventi contemporanei siano integrati armoniosamente con il patrimonio in un ambiente (setting) storico e tengano in considerazione i contesti regionali» 2. E’ necessario ribadire come le decisioni relative ad interventi da attuarsi in questi luoghi di interesse collettivo, siano necessariamente da sottoporre «a processi partecipativi comprensibili e trasparenti con l’insieme degli attori interessati» (INU 2013). Il processo di partecipazione non può ovviamente essere unilaterale a prescindere dalla sua natura, sia esso spontaneo o istituzionalizzato o regolamentato, ma deve essere visto come un diritto irrinunciabile della cittadinanza. Quali sono gli elementi chiave che caratterizzano e qualificano un progetto partecipato? I cittadini che vi partecipano innanzitutto non sono soggetti passivi, ma si muovono attivamente suggerendo spunti progettuali basati sulla conoscenza peculiare dei luoghi, delle loro criticità e delle loro potenzialità. La fase progettuale in questa maniera si può avvalere di una fase conoscitiva integrata dai saperi locali che affrontano aspetti diversi, migliorando in generale il livello qualitativo. Lo scambio di informazioni tra i diversi soggetti interessati, l’esplicitazione dei bisogni reali dei residenti e “l’ascolto critico” da parte di personale tecnico sono in grado di contribuire in maniera sostanziale all’implementazione del processo progettuale nelle sue diverse fasi3. Definizione e potenzialità del rilievo critico (tematico) nel processo progettuale La normativa italiana a particolari contesti come i centri storici, riconosce un valore culturale4, e nello stesso tempo la comunità internazionale in siti particolari, quali ad esempio il Centro Storico di Firenze, attribuisce un Valore Eccezionale Universale, includendoli nella Lista del World Heritage UNESCO. In ambito urbano, riconosciuta la complessità di certi contesti storici nei quali si intende operare, il rilievo dei dati si dovrà necessariamente fondare su una quantità cospiqua di informazioni. I dati dovranno essere quindi suddivisi in temi sovrapposti e sui quali poter leggere le relazioni dimensionali, quantitative e qualitative. Nella documentazione di World Heritage UNESCO, viene definito «Paesaggio Storico Urbano” ’area urbana intesa come risultato di una stratificazione storica di valori e caratteri culturali e naturali che vanno al di là della nozione di “centro storico” o “ensamble” sino a includere il più ampio contesto urbano e la sua posizione (setting) geografica. Questo più ampio contesto include in particolare la topografia, la geomorfologia, l’idrologia e le caratteristiche naturali del sito; il suo ambiente costruito, sia storico che contemporaneo; le sue infrastrutture sopra e sotto terra; i suoi spazi aperti e giardini, i suoi modelli di utilizzo del suolo (land use patterns) ed organizzazione spaziale; percezioni e relazioni visive, così come tutti gli altri elementi della struttura urbana. Esso include anche le pratiche e i valori sociali e culturali, i processi economici e le dimensioni intangibili del patrimonio così come collegate a diversità e identità. Questa definizione fornisce la base per un approccio comprensivo ed integrato all’identificazione, accertamento, conservazione e gestione del paesaggio storico urbano nel quadro di un generale sviluppo sostenibile». UNESCO, General Conference, 36a Session, Parigi 2011, 36C/23, 18 Agosto 2011, «Proposals concerning the desirability of a standard-setting instrument on historic urban landscapes», pag 52.
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UNESCO, General Conference, 36a Session, Parigi 2011, 36C/23, 18 Agosto 2011, «Op. cit» pag 52.
I residenti «sono persone complete e attive, sono produttori di territorio e di ambiente». Secondo questa logica “la partecipazione è un laboratorio creativo di comunicazione efficace (dai questionari agli ipertesti, dai plastici alle campagne fotografiche, dai video al teatro di strada, dai giornali di quartiere alle feste di vicinato e così via” (Caperna A. 2002).
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4 Il Codice dei beni culturali e del paesaggio, Dlgs. 42/2004 e s.m., all’art. 10, punto g) definisce come beni culturali, quindi oggetto di tutela, «le pubbliche piazze, vie, strade e altri spazi aperti urbani di interesse artistico o storico».
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Il rilievo e la sua rappresentazione divengono così strumenti privilegiati di lettura critica di realtà complesse fortemente storicizzate, nelle quali la stratificazione dei segni è costituita da una trama la cui fitta rete dovrà essere sciolta. L’obiettivo sarà quello di individuare i diversi temi, i “racconti” che insieme potranno meglio concorrere a descriverne le identità alle diverse scale e fornire linee guida per la loro trasformazione sostenibile. Nel paesaggio storico urbano di Firenze la componente antropica è strettamente connessa alla componente geomorfologica e naturalistica che vede il centro urbano legato al paesaggio collinare circostante e al sistema naturale del fiume Arno che lo attraversa. I sistemi delle aree verdi, degli edifici e delle infrastrutture sono unite in una rete più ampia di sistemi insediativi, di diversi usi del suolo, di sistemi geomorfologici, idrografici, storico-culturali che univocamente identificano il luogo. I rilievi critici e le analisi effettuate, hanno condotto ad una cartografia tematica di sintesi, dedicata alla scala urbana al patrimonio culturale ed in particolare rivolta allo spazio pubblico. Il progetto architettonico e paesaggistico di alcuni spazi-matrice della città storica sottintendono generatrici geometrico-compositive peculiari ed identitarie che nei secoli sono andate ad integrarsi creando un unicum. Rilevare come censire questi spazi significa fare propri gli aspetti quantitativi, come comprenderne gli aspetti qualitativi generali e particolari, dalla scala ampia a quella di particolare, e definire codici di lettura e temi di indirizzo per il progetto (C. Capitanio, 2014). I rilievi tematici nelle piazze o nelle vie analizzate hanno riguardato elementi di forza, elementi di debolezza, opportunità e minacce. Le “piante tematiche” eseguite alla scala 1:500, hanno descritto i principali percorsi interni al centro storico, i punti di visuale presenti verso la scena urbana, assi e coni visuali, i differenti piani prospettici, ma hanno considerato anche i principali elementi attrattori quali monumenti e edifici rappresentativi, che si qualificano come elementi focali dei diversi percorsi, e le criticità presenti su elementi strutturali o sistemi di relazione legati allo specifico progetto di Paesaggio Storico Urbano. Per le piazze è stata elaborata una pianta in scala 1:500 con indicati i diversi gradi di sensibilità dello spazio pubblico rispetto a nuovi interventi. Sono state individuate a differenti scale, Unità di Paesaggio Urbano (UPU) ed Unità di Paesaggio Storico Urbano (UPSU), contribuendo al Piano Visuale degli interventi per lo spazio pubblico interno al centro storico. La cartografia tematica prodotta su piattaforma GIS è stata tradotta in formato .kml, visualizzabile ed editabile col sistema open source Google Earth, adottando le più recenti piattaforme e filosofie di condivisione e partecipazione del dato (Open Data). I rilievi critici e le analisi effettuate, hanno condotto ad una cartografia tematica di sintesi specifica per il patrimonio culturale oggetto di tutela, ed in particolare dedicata allo spazio pubblico, in grado di fornire linee guida di progetto. Il rione di San Frediano e le linee guida per il progetto partecipato di Piazza del Carmine Il rione di San Frediano, parte del Centro Storico di Firenze situato nell’Oltrarno e da sempre caratterizzato da una vocazione prettamente residenziale, negli ultimi venti anni ha subito un processo di gentrificazione, con parallela crescita esponenziale delle residenze temporanee ed attività di intrattenimento collocate negli esercizi pubblici e nelle principali piazze e strade rivolte a tutta l’area metropolitana fiorentina. Le analisi effettuate sui dati statistici forniti dal Comune di Firenze negli ultimi 15 anni, hanno dimostrato nel rione un incremento delle attività di ristorazione ed alberghiere pari al + 39%, mentre si è registrata una parallela diminuzione delle attività artigianali manifatturiere presenti nel quartiere pari a – 31%. Elemento di novità degli ultimi dieci anni risultano certamente essere le attività di affittacamere 176
o cessione appartamenti per brevi periodi. Dati sulle disponibilità nel quartiere possono essere valutati dalla visione di portali web pubblici quali ad esempio Airbnb. Da una ricerca fatta in occasione del processo partecipato, nell’ottobre 2016, solo nella zona corrispondente al rione di San Frediano si contavano 349 offerte di affitto di cui 54 offerte di stanze singole e 295 offerte di affitto di interi appartamenti5. In occasione dell’insediamento degli Ordini Mendicanti a Firenze fra la prima metà del XIII secolo (Francescani e Domenicani attorno al 1218-1221) e la seconda metà del del XIII secolo (i Carmelitani solo nel 1268), la città di Firenze fu caratterizzata dal fenomeno di stanziamento mendicante che creò nuovi nuclei esternamente alla penultima cerchia muraria e lungo le principali direttrici viarie urbane, disposte secondo i quattro punti cardinali. I Francescani si insediarono ad est, con il complesso di Santa Croce, i Domenicani ad ovest, con il complesso di Santa Maria Novella, i Servi di Maria a nord con il complesso della SS. Annunziata, i Carmelitani a sud, con il complesso di Santa Maria del Carmine. Piazza del Carmine, nasce dunque come “piazza aula”, circa mezzo secolo prima della costruzione dell’ultima cerchia delle mura arnolfiane che intorno al 1333 ne ingloberanno integralmente i nuovi nuclei all’interno dell’area urbana murata; la piazza è elemento generatore del quartiere dell’Oltrarno, spazio storicamente baricentrico rispetto ai principali luoghi di interesse del quartiere. La chiesa del Carmine e la Cappella Bracacci contenente i famosi affreschi di Masaccio e Masolino (1425-1427) si qualificano oggi come uno dei maggiori fulcri attrattori identitari e storico-culturali della città. Oggi le principali “emergenze” storico architettoniche sono costituite, oltre che dalla Chiesa di Santa Maria del Carmine e dalla Cappella Brancacci con accesso dal convento del Frati Carmelitani, sul lato sud, dal Palazzo Rospigliosi Pallavicini, sede oggi del Collegio Missionario Femminile di San Francesco d’Assisi delle Suore Francescane Missionarie di Maria, collocato sul lato ovest, dal Giardino Feroni Magnani, con ingresso da piazza del Carmine 2, sul lato est, da un edificio privato con ingresso da piazza del Carmine 28 e 29. Quest’ultimo edificio guarda al prolungamento della piazza verso via San Frediano con un fronte di tre piani per cinque assi, di interasse diseguale, a testimonianza che il fronte è probabilmente il risultato dell’accorpamento di due edifici preesistenti (il più grande con accesso al n. 28), databile presumibilmente tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. Gli scorci prospettici legati al progetto di Paesaggio Storico Urbano, presenti nello spazio pubblico sono costituiti, dalla prima visuale che si apre da Borgo San Frediano verso la piazza, con asse direzionato verso il centro della facciata della Basilica del Carmine, dalla seconda visuale che dall’angolo nord è rivolta sempre verso il fronte della Basilica con asse parallelo al fronte est della piazza, dalla terza visuale che si apre dall’angolo est con via Santa Monaca e asse direzionato verso il portone monumentale di ingresso al giardino di Palazzo Rospigliosi Pallavicini, la quarta è collocata in Piazza della Piattellina ed ha asse direzionato verso est. Gli studi hanno evidenziato lo stretto rapporto esistente tra quinta scenica urbana e visuali principali che si aprono dalle strade di ingresso verso la piazza del Carmine. I rilievi ed i censimenti puntuali6 dei vari elementi che concorrono a definire le qualità dello spazio pubblico, hanno riguardato temi relativi alle criticità strutturali (es. degrado pavimentazione, degrado fronti stradali, materiali e elementi di design urbano non coerenti col contesto per forma <https://www.airbnb.it/> Nello stesso sito di Airbnb si evidenziavano nello stesso periodo, la grande densità di attività di affittacamere o di affitti di appartamenti privati in tutta l’area metropolitana di Firenze, con la maggiore densità presente proprio nella buffer zone del sito UNESCO “Centro Storico di Firenze”.
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Gli studi e i rilievi portati avanti dal gruppo di ricerca dell’Università di Firenze, grazie al co-finanziamento del Comune di Firenze, Ufficio UNESCO, con l’importante contributo scientifico del responsabile per l’università il Prof. Marco Bini, con il coordinamento scientifico di chi scrive, si sono concentrati sullo spazio pubblico interno all’area UNESCO del centro
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e materiali) e criticità su elementi di relazione (es. cartellonistica posizionata lungo o in prossimità dei principali assi visuali legati alla composizione prospettica della scena urbana, dehors invasivi collocati lungo i canali visuali verso la quinta scenica urbana). Le linee guida di progetto elaborate all’interno del Piano Visuale degli interventi per Piazza del Carmine, hanno condotto ad elaborare una “pianta” tematica dove si evidenziano aree a diversa sensibilità rispetto a future possibili istallazioni fisse e temporanee o per eventi periodici, divise in Aree di massima, alta, buona media e bassa sensibilità7. Dopo l’importante scelta dell’amministrazione, nel gennaio 2015, di eliminare gran parte del parcheggio di superficie e di pedonalizzare l’area centrale, la piazza è stata utilizzata per vari eventi nell’arco dell’anno. Questi però sono stati attuati, almeno fino ad oggi, senza tener conto del contesto col quale si devono confrontare, non rispettando per posizione, estensione e materiali le qualità identitarie e le emergenze storico-architettoniche del luogo. La nuova zona pedonalizzata è stata semplicemente recintata con un sistema di dissuasori dal design non coerente che richiamano elementi compositivi della staccionata che si pone in totale contrasto con uno spazio nato come unicum. La pavimentazione è ad oggi in un pessimo stato conservativo e nelle zone interessate dalla circolazione veicolare è stata sostituita con un banale asfalto, sottolineando ulteriormente con il nuovo materiale inserito, la cesura dello spazio fra parte carrabile e parte pedonalizzata. L’utilizzo della piazza del Carmine per eventi inseriti nel programma dell’«Estate Fiorentina» 2015 e 2016 hanno inoltre comportato numerosi disagi per i residenti, in primo luogo costituiti dall’inquinamento acustico registrato nelle ore notturne sopra i valori soglia. Ogni trasformazione, necessaria per la vita della città, deve avvenire con criteri di sostenibilità rispetto alle diverse componenti interessate. Il processo di progetto partecipato e di confronto con la cittadinanza, iniziato nel giugno e conclusosi nel dicembre 20168, dopo un’attenta analisi dei dati statistici circa demografia (scala comunale e rionale), parco veicolare (a scala comunale), attività economiche ed uso dei fondi ai piani terreni, presenza di esercizi storici, presenza di emergenze storico-culturali e di elementi di relazione percettiva-visuale (a scala rionale), richieste specifiche dei residenti, ha evidenziato alcuni elementi fondanti gli elementi compositivi del progetto: Alla scala di quartiere, il progetto di riqualificazione della piazza del Carmine dovrà essere inserito storico, coprendo una superficie pubblica di circa 32 ettari. Aree di massima sensibilità, sono costituite prevalentemente da strade carrabili, marciapiedi, sagrati delle chiese, o dai principali assi visuali verso emergenze architettoniche e ambientali. In tali aree non è prevista nessuna possibilità di occupazione del suolo per la specifica connotazione funzionale, compositiva, estetico-formale. Le Aree di alta sensibilità, sono costituite da parti di spazio pubblico presenti ai margini di assi visuali principali, legati al progetto di Paesaggio Storico Urbano. In queste zone è prevista la possibilità di istallazione di arredi temporanei fino ad un’altezza massima di 1 ml.quali ad esempio sedie, tavolini o piccole bancarelle senza coperture o istallazioni di strutture temporanee puntuali di altezza maggiore ma che non occludano la vista verso i punti focali della piazza. Le Aree di buona sensibilità, sono parti di spazio pubblico complementari alle prime e comunque di elevata rilevanza compositiva e percettiva complessiva in cui si ritiene possibile l’installazione di arredi temporanei fino ad un’altezza massima di tre metri, quali allestimenti per mostre e mercati temporanei. Le Aree di media sensibilità, sono parti di spazio pubblico perimetrali, rispetto alla piazza, in cui si ritiene possibile l’installazione stagionale di arredi semi permanenti fino all’altezza massima di tre metri, quali ad esempio dehor di pertinenza dei fondi commerciali privati. Le Aree di bassa sensibilità, sono parti di spazio pubblico a basso impatto percettivo-visuale ed a minor rilevanza monumentale, nelle quali è ipotizzabile il posizionamento di aree di servizio, quali zone carico scarico merci, parcheggi, servizi.
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Cfr. Benedetti Nicoletta, Bertani Remo, Capitanio Carolina, Cohen Izhar, Coppini Agnese, Di Cintio Alberto, Grossoni Paolo, Karlsson Leif, Marchetta Manlio, Montinari Aline, Mugelli Moreno, Peru Andrea, Rossi Rossella, Semboloni Ferdinando, Sgherri Monica, Tiberi Riziero, Vasic Corinna, Vitali Stefania et altr. Unità di Ricerca Paesaggio Patrimonio Culturale Progetto, in collaborazione con i Cittadini dell’Oltrarno, Un progetto per Piazza del Carmine – documento di sintesi, Dipartimento di Architettura DIDA, Firenze gennaio 2017.
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in un progetto più ampio di rigenerazione urbana dell’Oltrarno, con particolare attenzione al sistema delle piazze costituite da Piazza Pitti, Piazza S. Spirito, Piazza del Carmine, piazza della Piattellina, Piazza dei Nerli e dagli assi viari che le collegano sul lato sud-ovest, via Mazzetta, via Sant’Agostino, via Santa Monaca, via dell’Orto. A scala di particolare il progetto della Piazza del Carmine sarà teso a: - eliminare di elementi di arredo o di diverso materiale che possano costituire cesura di uno spazio nato come unicum e oggi con una vocazione prettamente residenziale e luogo di eventi culturali; - eliminare nella pavimentazione della piazza tutti quegli elementi che possano costituire barriera architettonica (avvallamenti, buche, scalini); - valorizzare la visuale che dal lato nord della piazza è direzionata perpendicolarmente ed assialmente verso il fronte della chiesa di S. Maria del Carmine; - creare le condizioni per una maggiore sostenibilità dello spazio pubblico in maniera che sia in grado di garantire elementi essenziali per la socializzazione e per la sosta pedonale e veicolare, anche attraverso la presenza dell’acqua e del verde. La proposta di progetto finale scaturita dal processo partecipato è stata verificata dalla stessa visuale centrale, dimostrando la compatibilità dell’intervento con le diverse componenti prese in esame. Conclusioni L’esperienza attuata nel progetto partecipato per Piazza del Carmine a Firenze ha dimostrato la piena ed utile applicabilità della metodologia di rilievo critico – tematico di tutte le componenti che qualificano la scena urbana e lo spazio pubblico in contesti ad alto valore storico-culturale. Le linee guida prodotte in ambito di ricerca, hanno contribuito ad indirizzare gli elementi compositivi all’interno del processo di partecipazione. Le linee guida di progetto per lo spazio pubblico nella Piazza del Carmine sono state la base per un progetto di riqualificazione che ha visto la partecipazione diretta dei residenti arrivando ad una proposta che è stata frutto di una ampia condivisione fra tutti i portatori di interesse. Bibliografia INU, 2013, Carta dello spazio Pubblico, <http://www.biennalespaziopubblico.it/wp-content/ uploads/2016/12/CARTA_SPAZIO_PUBBLICO.pdf> A. Caperna, Progettazione Partecipata, <http://www.progettarepertutti.org/formazione/lez16_ cap.pdf>, 2002. G. Orefice, da Ponte Vecchio a Santa Croce. Piani di Risanamento a Firenze, Alinea 1992. C. Capitanio, M. Bini, L. Aiello, Immagine urbana. Temi e progetti per lo spazio pubblico nel Centro Storico di Firenze, vol. 1, p. 1-220, DIDA Press - DIDA Dipartimento di Architettura - Firenze 2016. C. Francini, C. Capitanio, V. Anti, C. Aprile, I. Romano (2014). Spazio pubblico. Linee guida per l’immagine urbana del Centro Storico di Firenze, vol. 1, p. 1-104, Comune di Firenze, Firenze 2014. M. D. Papi, Confraternite ed Ordini Mendicanti a Firenze. Aspetti di una ricerca quantitativa. In: Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes, tome 89, n°2, pp. 723-732, Roma 1977, <http://www.persee.fr/doc/mefr_0223-5110_1977_num_89_2_2421> UNESCO, General Conference, 36a Session, Parigi 2011, 36C/23, 18 Agosto 2011, Proposals concerning the desirability of a standard-setting instrument on historic urban landscapes.
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Una piazza per tutti di Alberto Di Cintio San Frediano incarna sicuramente uno dei rioni più rappresentativi di Firenze e in particolare della fiorentinità, ovvero di quel sentimento di fortissima appartenenza al genius loci della città del giglio. Un sentimento di amore viscerale per il passato e presente di “fiorenza” che diventa un mix passionale di gelosia ed esclusività verso la città. Un rione peraltro tradizionalmente popolare e popolano, ovvero con una rappresentanza sociale orgogliosamente legata al mondo del lavoro piuttosto che a quello della rendita. Un rione che cerca di mantenere, con tutte le sue forze, questa peculiarità nonostante le fortissime criticità in essere come lo spopolamento, la gentrificazione, la pressione del turismo, la chiusura delle attività artigianali. In questo quadro il recupero e la riqualificazione della Piazza del Carmine rappresenta certamente una occasione straordinaria per valutare se la città ancora crede e vuole difendere i suoi valori di riferimento. Così dopo anni di degrado e abbandono in cui la piazza è stata utilizzata come megaparcheggio di superficie, recuperare questo sfregio non rappresenta solo sanare, sia pur con grave e colpevole ritardo, questo abuso quanto riconoscere pienamente quel ruolo fondamentale che deve avere una piazza, ovvero il luogo delle relazioni umane in un ambito spaziale ampio, significante, ricco di storia e di valori. Ma soprattutto tornare a mettere al centro la civitas e con essa ruolo e spazi per le espressioni sociali e culturali della comunità, ovvero una piazza per tutti come luogo di appartenenza e scambio, di riferimenti e di relazioni, di bellezza e di vita. Ora del progetto abbiamo già ampiamente scritto e quindi mi premeva qui inquadrare la vicenda di Piazza del Carmine nel più ampio dibattito che si è sviluppato sul destino di Firenze e del suo centro storico in particolare. Innanzitutto questa esperienza di percorso partecipato ha fatto emergere vieppiù la necessità da un lato di rafforzare la “regia” pubblica delle trasformazioni e, dall’altro, quella di una maggiore interazione tra l’Amministrazione Comunale e la cittadinanza, nelle sue varie espressioni, al fine di dare impulso e spessore sociale/economico alle scelte urbanistiche, cioè che sia condivisa tra amministratori e cittadini l’esigenza di concretizzare quei principi che migliorino, attraverso indicazioni concrete, la vita, l’ambiente, il lavoro, la residenza e la mobilità, entro un progetto e una visione comune. Questi principi devono corrispondere ai concetti ormai noti di biocompatibilità ed ecosostenibilità, perseguendo quindi gli obbiettivi generali del progetto sostenibile, di salvaguardia dell’ambiente e di uso razionale delle risorse e delle potenzialità offerte dal sito, in relazione agli obbiettivi di risparmio energetico e della valorizzazione delle risorse ambientali. Tanto più tali concetti saranno approfonditi da indicazioni puntuali e precise tanto piu’ i risultati saranno tangibili e i miglioramenti ambientali verificabili soprattutto in termini di miglioramento della vivibilità e della qualità urbana. Parimenti evocata l’importanza del ruolo del disegno urbano, sia come “disegno strategico” complessivo da costruire alla scala cittadina, sia come strumento per dare coerenza alle trasformazioni previste nelle diverse aree di rigenerazione evitando la frammentazione, sia come metodo esplorativo di soluzioni puntuali (“micro-urbanistiche”) da portare avanti in forma partecipata all’interno dei quartieri. In questo quadro proprio la piazza contiene le maggiori potenzialità per costruire una nuova qualità urbana. Quanto alla rigenerazione urbana è senz’altro decisiva la scelta di favorire mix funzionali (residenza, commercio, artigianato, servizi) e di tutelare le attività sociali e ricreative, così come le iniziative associative, soprattutto giovanili. Individuare quindi obiettivi sociali ed economici e corrispondenti strategie morfologiche che facciano leva sulle specificità dei contesti. D’altra parte, un approccio integrato, che recuperi la dimensione morfologica e la renda coerente con gli obiettivi ambientali, sociali ed economici che si intendono perseguire, consente di ottimizzare le ricadute positive delle trasformazioni risultando molto più incisivo della sommatoria di singoli interventi, pur migliorativi, a carattere puntuale. Un 180
aspetto emerso con chiarezza, sia pure con angolature diverse, riguarda la necessità di un approccio strategico alla trasformazione urbana (non contraddittorio col ruolo “regolativo” della pianificazione urbanistica) e quindi di una “regia” pubblica, per riempire di “contenuti” - e non solo di “funzioni” - i diversi ambiti urbani, in modo anche da riequilibrarne la capacità di attrazione, favorire uno sviluppo urbano multicentrico e, conseguentemente, ridurre il ruolo esclusivo di attrattore di rendita del centro storico (con tutte le conseguenze che ne derivano – dall’espulsione dei residenti, alla banalizzazione turistica, alla movida selvaggia). Perché questo avvenga occorrono strumenti adeguati: - per ricondurre le trasformazioni almeno degli ambiti urbani ritenuti più importanti ad un disegno strategico, che tenga conto in maniera integrata delle componenti fisiche, ambientali, sociali ed economiche massimizzandone le ricadute positive sul territorio (secondo il principio do more with less); - per governare le dinamiche di trasformazione del centro storico nel segno della tutela dei beni culturali e del mantenimento della residenza e delle attività non solo rivolte al turismo (Firenze è l’unica grande città d’arte italiana a non aver mai avuto un piano per il centro storico, cosa che ha rappresentato un limite anche per uno sviluppo equilibrato delle aree esterne); la colonizzazione turistica, l’adeguamento degli spazi urbani alle esigenze di un turismo di massa ha cambiato profondamente il volto di alcune aree centrali della città; questi luoghi, svuotati delle attività funzionali alla normale vita quotidiana degli abitanti, stanno subendo un progressivo impoverimento sociale e di perdita di spazio pubblico; - per far incontrare efficacemente domanda e offerta di spazi di lavoro e aggregazione, rendendo più dinamica e creativa la gestione – anche temporanea - delle aree e degli immobili in disuso; - per migliorare la comunicazione e aumentare i momenti di confronto verso e con i cittadini, dando riscontro alle proposte che nascono dal basso e favorendo gli interventi di micro-urbanistica partecipata a livello di rioni, così come ben emerso dall’iniziativa fatta per Piazza del Carmine e anche dalle esperienze portate avanti in Oltrarno; - per favorire gli interventi dei singoli proprietari di immobili - per es. nella riqualificazione energetica degli edifici - e valorizzarli in una logica di rigenerazione urbana capillare; - mettendo in atto “formule transitorie” coerenti con uno sviluppo orientato al riequilibrio territoriale, alla qualità insediativa e ambientale, al diritto di tutti alla città. Indirizzi capaci di omogeneizzare le scelte future del governo territoriale coerenti con uno sviluppo orientato al riequilibrio territoriale, alla qualità insediativa e ambientale, al diritto di tutti alla città, dando così il via a una nuova stagione di programmazione e governance urbana, sulla base di una visione strategica condivisa, a un nuovo progetto di città per il XXI secolo che sappia conservare ma anche trasformare, con equilibrio ed attenzione, il suo territorio, i suoi diversi ambiti. Capace di combattere e vincere sui mali endemici: la rendita fondiaria, la desertificazione abitativa e la musealizzazione del centro, le aree monofunzionali, le storiche criticità ambientali, l’aumento delle aree dimesse, l’espulsione delle attività artigianali, ecc. Per questo occorre assumere dei parametri significativi ed esplicativi, con indicazioni che riguardino: - la qualità urbana che deve essere garantita da norme che prevedano il miglioramento dei “luoghi” ove si svolgono le relazioni cittadine, fondamento della città; - la sostenibilità attraverso un programma che selezioni, suggerisca e incentivi tutte quelle azioni che costruiscono un processo generale, continuo e verificabile di rispetto dell’ecosistema e dell’equilibrio fra uomo e natura; - l’ambiente con il miglioramento della qualità, quantità e fruibilità del verde convinti che tale scelta sia determinante per il benessere, attraverso una serie di indicazioni e programmi 181
specifici. Interventi su aree pubbliche che attraverso l’uso del verde pubblico ottengano effetti di mitigazione ambientale di fenomeni come le isole di calore; - la residenza con l’incentivazione delle soluzioni che ne favoriscano la permanenza in particolare nel centro storico, nonché con gli interventi di rigenerazione urbana ispirati ai principi dell’ecoquartiere, volti a conseguire la autosostenibilità energetica mediante l’uso integrato di fonti rinnovabili, la resilienza ai cambiamenti climatici, la gestione razionale delle risorse, l’impiego di tecnologie a bassa emissione di carbonio, sistemi di mobilità multimodale sostenibili; - la mobilità urbana con l’incentivazione della scelta della rinuncia all’auto privata per favorire lo sviluppo di quella pubblica anche ecoefficiente, incentivazione del traffico ciclabile con iniziative specifiche che prendano esempio dai tanti progetti che, non solo in nord Europa, hanno ottenuto risultati molto positivi; - la bellezza con indicazioni specifiche volte a migliorare non tanto il cosiddetto decoro (ad esempio con la drastica diminuzione e revisione della cartellonistica stradale urbana), ma a sviluppare nei cittadini un senso di appartenenza al luogo e alla sua identità, migliorandone il rapporto con esso e favorendo i processi di partecipazione attiva non solo in forma di contrasto e di critica, ma anche di espressione propositiva; - il silenzio con l’incentivazione delle soluzioni che favoriscano interventi infrastrutturali ed edilizi specifici, oltre a misure gestionali come la diminuzione drastica della velocità dei veicoli all’interno del tessuto urbano, con un programma preciso di chiusura veicolare di parte del centro storico e relativa incentivazione del traffico ciclabile. La città sta perdendo la propria identità e con essa se ne vanno le ragioni della sua configurazione e soprattutto le motivazioni per la sua sopravvivenza, ovvero la visione dei suoi obbiettivi futuri. È sempre più chiara e concreta l’idea che l’insieme degli spazi urbani e le loro relazioni, cioè il loro “sistema”, costruisca, consolidi e caratterizzi la città incidendo in modo significativo sulla qualità della vita della comunità urbana. Dobbiamo allora realizzare progettualità innovative dedicate alle nuove esigenze di organizzazione spaziale ed abitativa per le nuove soggettività, in particolare per quelle più “deboli” e per una nuova società fatta di una cittadinanza attiva e partecipante alla vita di relazione, solidale e democratica. Una comunità molto articolata che ha bisogno degli spazi urbani per aggregarsi, riconoscersi, svilupparsi. Spazi urbani materiali insostituibili: gli attuali spazi virtuali, pur così presenti e attivi non possono però surrogare gli elementi valoriali della vita di relazione. Per garantire libertà, democrazia e solidarietà gli spazi urbani materiali sono ancora essenziali. E poi vi è la necessità di un riequilibrio fra la città pubblica e privata, che è un tema sempre più centrale e prioritario ed è associato al fatto che debba essere guidato e sostenuto dai principi etici fondamentali. Come la sacrosanta difesa delle proprie radici, della storia, dell’identità di un quartiere, specie se popolare. Attività di resistenza civica contro le trasformazioni in atto che mettono in pericolo il tessuto sociale originario, come l’aumento del valore degli immobili, la variazione della componente residenziale originaria. È il fenomeno della “gentrificazione” e riguarda i quartieri popolari a ridosso del centro, sempre più orfani dei residenti storici, così come abbiamo chiaramente rilevato in Oltrarno e nel rione di San Frediano. Si è così generata una protesta consapevole e intelligente, capace di leggere i fenomeni in corso, di creare spazi di cittadinanza attiva, con un presidio sociale continuo assicurato dai suoi abitanti, la cui nazionalità non ha importanza. Anzi, i nuovi residenti, sono ancora più consapevoli della necessità di preservare il diritto di vivere il quartiere a tutte le classi sociali. Occorre quindi promuovere e favorire questa auto-organizzazione da parte dei cittadini nella riqualificazione del proprio ambiente di vita e di relazione. E per questo attivare strumenti innovativi, atti a promuovere dinamiche di solidarietà, in grado di rendere i cittadini veri protagonisti delle trasformazioni della propria città, in una nuova forma di democrazia del futuro, come la massima trasparenza e pubblicità degli atti della pubblica amministrazione, o come la 182
facilitazione e l’approfondimento del dialogo fra cittadini e istituzioni. Il governo del territorio, in una accezione moderna e innovativa, può contribuire a creare un ambiente, un luogo, favorevole all’incontro/confronto. Occorre individuare la strategia, e poi attivare le risorse e le variabili necessarie per realizzarla. Questo insieme al contributo fondamentale del “volontariato civico”, quello che forma la buona cultura che fa pensare che il bene pubblico è anche mio, e che trasforma degrado e abbandono dei luoghi in nuovi punti di riferimento e di aggregazione, solidarietà, bellezza, legalità, condivisione. E insieme occorre una architettura “aperta”, nel disegno, nelle funzioni, ma soprattutto nella ricerca del dialogo e il contatto con il genius loci, con le persone che lo abitano, con i cittadini che fanno comunità. Regolamentare il processo urbanistico ed edilizio oggi vuol dire perseguire obbiettivi di sostenibilità, riconoscendone il valore strategico e innovativo proprio per la qualità dell’architettura della città. Il governo della città, se assume questi valori deve farsi anche carico, attraverso le sue indicazioni strategiche ed anche operative, di incidere e modificare operando per un sostanziale mutamento della prassi e dei comportamenti, “obbligando” i diversi operatori del processo edilizio ad acquisire linguaggi e strumenti che permettano di dialogare, scegliere, assumere decisioni in maniera realmente integrata e multidisciplinare. Assumendo quindi precise indicazioni prioritarie quali: - l’attenzione agli abitanti, giacchè tutte le scelte e le azioni verso la sostenibilità sono a servizio del cittadino che rimane il punto di riferimento principale del processo urbano; - l’attenzione al luogo, laddove l’edilizia sostenibile è necessariamente legata al luogo dell’intervento ed alle sue caratteristiche peculiari; - l’attenzione alle diverse scale progettuali, quali quelle territoriale, urbana, insediativa, edilizia, perché il progetto deve essere omogeneo ed equilibrato per essere compiutamente unitario; - l’attenzione alla interdisciplinarietà nell’affrontare gli aspetti ambientali, sociali ed economici dell’intervento, con il necessario coinvolgimento e coordinamento, in tutte le varie fasi del processo, di tutte le componenti attive della comunità; - l’attenzione alle fasi di indirizzo ma anche di controllo, attraverso l’utilizzo di opportuni strumenti metodologici ed operativi e attraverso la verifica delle scelte progettuali durante l’intero arco di vigenza del piano e del regolamento.
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Come diversamente muoversi nel tessuto storico di San Frediano di Manlio Marchetta In San Frediano, nell’Oltrarno dell’antica Firenze, occorre mettere in campo, una evoluzione, prima di tutto culturale, della attuale utilizzazione dei mezzi di locomozione personali e introdurre gli strumenti della “Mobilità per tutti”. Nel contempo appare necessario applicare la “ordinaria”, almeno in Italia, tecnica raffinata di “restauro delle superfici e dei colori” di edifici, strade, piazze e spazi in genere e i conseguenti accorgimenti esteticamente e artisticamente adeguati. Ciò con estensione agli spazi adiacenti e a suggerimenti per migliorie agli esterni degli immobili di contorno. Come è naturale inquadrando tutto ciò nell’obiettivo di provvedere in tempi rapidissimi a superare gli attuali stati e pericoli di degrado e assicurare, prima di ogni altro intervento, la tranquillità e l’incremento qualitativo della vita residenziale ordinaria, il movimento (anche assistito adeguatamente) delle persone tutte, anche in termini di comodità e di sicurezza e la massimizzazione dello scambio sociale e fra le generazioni. Il contesto urbano di preesistente ma insoddisfacente vitalizzazione, ove “curata” e portato a eccellenza, cioè quello che fa capo, da un lato, alla Piazza de’ Pitti e alla Via Romana e, dall’altro, alla Porta S. Frediano/Arno e oltre, necessità prioritariamente di rivisitazione razionale e di vedere presto realizzato un assetto delle superfici e delle fonti edificate degno dei caratteri precipui di un ambito storicizzato, ma nello stesso tempo del tutto vivo, potenzialmente fra i pregevoli della nostra città e oggettivamente diversificato e diversificabile. L’ambito, infatti, “coinvolge” direttamente e strategicamente le fondamentali piazze di S. Spirito, del Carmine, Tasso, dei Nerli, del Cestello e di Verzaia e reclama da tempo il suo accurato restauro materico, la sua rigenerazione come snodo fondamentale dello scambio sociale: in breve la sua evoluzione programmata da condizioni spaziali imprecisate e equivoche per l’occupazione permanente da parte di mezzi di ogni genere a eccellenza urbano e di area, specie in quanto a vivacità e pregnanza socio-relazionale per piccoli e adulti. L’evoluzione comporta, fra le altre metodiche, fra cui quelle educativo/formative, quelle sanitarie, quelle della fruizione degli spazi pubblici e collettivi e quanto altro, l’applicazione di metodiche e indicazioni ben ponderate e ben collocate concernenti direttamente il movimento assistito delle persone e delle merci quotidiane, dei mezzi ciclabili anche supportati da tecnologie opportune (compreso l’attrezzaggio con mezzi messi a disposizione degli utenti e sempre disponibili ovunque, i tipi innovativi di movimentazione per piccoli gruppi e simili. In genere concernenti tutte le suscettività della cosiddetta mobilità dolce, unitamente, come è ovvio, a quelle del trasporto pubblico, da convertire, però, nelle tipologie e nelle dimensioni dei vettori. Allo scopo precipuo di assicurare la compatibilità dei mezzi con il tessuto specifico dell’Oltrarno e con netta esclusione, per esempio, dei mastodonti utilizzati per le “visioni” della città. Più in generale, ciò, mediante lo studio e l’applicazione di soluzioni consone ai caratteri architettonici di spazi, tessuto e monumenti e la esclusione delle alimentazioni inquinanti e in contrasto con la ecologia e la silenziosità degli spazi. Può risultare importante la estensione all’area, lungo i viali, della rete delle tramvie cittadine ovvero, anche nel medio periodo, delle busvie (percorsi esclusivi ben individuati), con principali fermate coincidenti con focus organizzati per la sosta media e lunga di automezzi . Previa accurata verifica, in confronto con l’Ufficio mobilità del Comune, dei dimensionamenti di flusso e, in specie, delle intersezioni con i flussi generali della città e dei parametri tecnici dei percorsi e delle fermate “attrezzate”. Le quali saranno, quindi, i capolinea di “mini-navette” a servizio dei contesi residenziali e dei servizi dell’Oltrarno tutto, con orari articolatissimi di funzionamenti e 184
dotate di servizio di chiamata/prenotazione telefonica. La conseguente e non rigida rete delle navette, a trazione elettrica e di dimensioni specificamente progettate e realizzate (peraltro da imprese già operanti in area, es. elettrokar, pasquali etc.)‑ supporterebbe vettori di dimensioni ridotte in larghezza, dotati di alta frequenza (nei periodi di maggiore domanda con cadenzamento non superiore a 3 minuti) e attrezzata per la movimentazione di tutti; rete fondata su accessi assicurati e articolati opportunamente nell’arco delle 24 ore per i residenti e gli utenti tutti, dalle fermate di tramvie/busvie ai luoghi preminenti e alle autorimesse interne agli immobili ed agli isolati, sia attuali che programmati. Il presupposto per programmare tali realizzazioni è costituito dal rafforzamento e dalla consistente intensificazione, rendendolo effettivo, del regime di ZTL 24 ore, con estensione temporale non fittizia. Fondati sulla introduzione, temporalmente calibrata, di sistemi aggiornati e sostenibili di mobilità di merci e colli. Oltre che sul perfezionamento dello stesso servizio degli autobus cittadini nei riguardi delle esigenze di vita serena degli abitanti e degli utenti dell’area e netta esclusione dei grandi e incompatibili bus dei giri turistici, i cui utenti usufruiranno degli stessi servizi degli altri utenti, pur se organizzati in gruppi guidati. Il ruolo determinante e le dimensioni stesse del “reticolo dei marciapiedi” (da ampliare quanto possibile, estendere e potenziare, unitamente alla protezione/agevolazione, anche con semafori specifici e/o con mezzi meccanici di supporto) deve essere posta al centro dell’attenzione e delle realizzazioni urgenti. In consonanza e coordinamento spaziale stretto col “reticolo continuo” della ciclabilità, completato da postazioni frequenti di depositi di cicli pubblici, agibili con normali “carte” di pagamento e con rilascio dovunque.
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Quando la piazza è un simulacro di Roberto Masini Piazza del Carmine in San Frediano è una ampio invaso quadrangolare circondato da cortine perimetrali molto diverse tra loro. E’ forse una delle piazze più singolari per la presenza di un muro di recinzione la cui proporzione e muta presenza, contrasta con la stratificazione dei volumi che si stagliano sullo sfondo. Un dettaglio che non è sfuggito ad Ottone Rosai e che si regge nel suo insieme sul contrappunto della cupola della chiesa di San Frediano in Cestello, quasi in asse con la navata della chiesa di Santa Maria del Carmine. E’ con quest’ultimo edificio che la piazza si relaziona e da cui prende il nome, pur senza obbedire alla sua geometria, generando angoli e visuali che provocano un dinamismo percettivo che attende di essere controllato ed esaltato. Conformazioni di questo tipo conservano enormi potenzialità che attendono di essere svelate. Si pensi alle condizioni di partenza in cui si trovarono ad operare Bernardo Rossellino a Pienza e Michelangelo per il Campidoglio. Sebbene nel nostro caso l’obbiettivo non sia quello di monumentalizzare la piazza ma piuttosto di esaltarne l’appartenenza popolare, è indubbio che il dato compositivo si rivela di grande interesse. Fino agli anni 20 del secolo scorso, Piazza del Carmine, era ancora sterrata con tigli lungo i bordi che, già nel 1929, erano quasi tutti periti come ci ricorda Angiolo Pucci nella sua opera “I giardini di Firenze”, e bisogna ammettere che non ha mai goduto di una organizzazione spaziale definita in senso architettonico, ne tantomeno di una struttura in grado di interpretare i fenomeni sociali che la coinvolgono. Negli ultimi anni si è molto parlato di dare alla piazza questa opportunità, ma l’amministrazione ha deciso di intervenire con un progetto non discusso con la cittadinanza. L’unica occasione dal 1317, anno dell’ordinanza della Repubblica fiorentina che la decreta come spazio pubblico, si concluderà con un progetto dove la cittadinanza viene interpellata solo per la scelta delle finiture, in un operazione squisitamente comunicativa che, dietro la retorica della partecipazione, serve a dare forza e giustificare i piani del Comune già in fase esecutiva, senza alcun confronto sul progetto. Forse una piazza così grande in un quartiere così fiorentino meritava un percorso diverso. Eppure i cittadini dell’Oltrarno storicamente hanno sempre partecipato al futuro del quartiere ma questo evidentemente non viene considerato un valore aggiunto. Si preferisce arredare uno spazio perché risulti gradevole ad un turista di passaggio verso la cappella Brancacci, piuttosto che interrogarsi sulle attese, le speranze e la voglia di vivere determinati luoghi da parte di chi ci abita e lavora. L’obbiettivo perseguito sembra essere quello di costruire un’immagine dello spazio pubblico che corrisponda ad una versione esportabile e facilmente comunicabile. La sua organizzazione ne farà uno spazio vero, ma il suo significato non corrisponde alla realtà di un luogo che rischia di divenire il simulacro di se stesso. Come un grande vestibolo, la piazza proposta dal comune rischia di acquisire permanenza d’immagine ma con funzione precaria di transito verso altre mete, quasi sempre identificate con i luoghi di attrazione culturale e ludica che tematizzano questo brano di città. Non è un caso che il noto editore di guide turistiche Lonely Planet abbia recentemente decretato il quartiere di San Frediano come il più cool del mondo, che tradotto significa che offre le maggiori attrazioni per il turismo di moda. Questo riconoscimento dovrebbe renderci felici se non fosse che il rovescio della medaglia ci illustra un luogo che sta abbandonando la quotidianità che ha fatto la tradizione e la storia di questo quartiere. Una storia centenaria che sta abdicando al suo ruolo identitario per servire solo ed esclusivamente da cornice ad un immagine da esportare. Nel caso specifico di Piazza del Carmine, ma lo stesso discorso vale anche per altre piazze 186
fiorentine come Piazza dei Ciompi, non si tratta di una evoluzione del luogo, ma di una sostituzione. Questa traumatica operazione non può, a mio avviso, essere realizzata senza il consenso del cittadino che riconosce quel luogo come una parte di se. Convincerlo della bontà dell’intervento a posteriori, nonostante le migliori armi di comunicazioni è, e resta, un’azione di forza il cui esito non è facilmente prevedibile. Molti fiorentini ancora sentono viva l’appartenenza ad un quartiere della città, che generalmente è il luogo a cui sono legati per storia familiare o professionale, e sentirsi escluso dal suo processo di trasformazione può innescare un fenomeno di distacco e, in alcuni casi, di abbandono. L’abbandono di residenti dai quartieri del centro è un fatto che va in parallelo con l’aumento dell’offerta turistico ricettiva e la conseguente mutazione delle attività ai piani terra. Significa che Firenze sta marciando verso una venezianizzazione, un termine che andrebbe associato non solo al “caso Venezia”, ma che può sincronizzarsi con il processo di trasformazione che ha coinvolto da molti anni i centri storici di città grandi e piccole di matrice veneziana. Si pensi alle cretesi La Canea e Retimo, dove l’esperienza urbana è fatta dal susseguirsi di attività legate al turismo in modo così pervasivo da far pensare che nel passato, non abbiano conosciuto altra funzione che quella di attrazione. Un luogo antropizzato che voglia mantenere la sua funzione di città dovrebbe dotarsi di politiche urbane ed economiche in grado di mantenere un equilibrio fra le molteplici domande che contribuiscono al bene comune. I primi interlocutori dovrebbero essere quei cittadini che sono destinati ad esperire non episodicamente determinati spazi urbani, e dunque coinvolgerli nella prefigurazione del loro futuro quando se ne ipotizza un cambiamento. Ridurre questo processo ad una campagna comunicativa di promozione del prodotto finito, significa non considerarli parte attiva della storia urbana passata, presente e futura. Il calvario che è stato riservato al futuro di Piazza del Carmine avrebbe dovuto insegnare qualcosa in merito. Nella sua storia recente abbiamo assistito a proposte contraddittorie, da parcheggio interrato senza nessun disegno dello spazio pubblico, alla totale pedonalizzazione ottenuta con l’interdizione al passaggio e sosta dei mezzi, ancora una volta senza un progetto. Alla fine un progetto è arrivato, una proposta che di fatto si è dimostrata inappellabile e che è stato mostrata poche settimane prima l’avvio dei lavori, una soluzione che è il frutto della mancanza di dialogo di quelle passate, ma che non ha inteso correggere né approccio né metodo. Eppure in questi anni sono state prodotte su questo luogo, idee alternative da professionisti e studenti, come anche il forte interessamento e disponibilità dei cittadini residenti a dare un contributo attivo ed aggiornato. Se il Comune non ammette interferenze alle idee che elabora nei propri uffici tecnici, diverso è stato il percorso elaborato dall’Università di Firenze che su questo spazio ha deciso di intraprendere un cammino condiviso con alcuni abitanti del quartiere. Dal confronto, condotto seguendo le regole della partecipazione, è emersa una soluzione metaprogettuale condivisa che può costituire la base del progetto da affinare negli uffici dell’amministrazione o per un auspicabile concorso di progettazione. Quello fatto dal Dipartimento di Architettura di Firenze dovrebbe essere l’iter di progettazione standard di uno spazio pubblico il cui successo o insuccesso viene determinato dal grado di condivisione dei soggetti che si son impegnati in questo percorso. Ci si domanda perché una città come Firenze sia così ostile a tale pratica. Raccogliere le istanze dei cittadini, la memoria e le dinamiche della vita sociale, costituisce una base dati irrinunciabile del progetto di uno spazio pubblico che venga amato e tenuto vivo. Il risultato ottenuto dall’Università, è una visione alternativa a quella del Comune, ed il 187
ragionamento si sviluppa sull’idea di uno spazio che sia percettivamente il più ampio possibile per non tradirne la memoria spaziale, e contemporaneamente garantire quella flessibilità e adattabilità d’uso quale tassello di una città che tende alla resilienza. L’inserimento di nuovi elementi di arredo urbano che non interferiscano con alcuni coni visivi provenienti dalle strade principali, permettono alla Piazza di relazionarsi con l’edificato esistente, definendo in modo finalmente evidente il suo rapporto con la Chiesa, edificio simbolo e identitario. Un cuneo di alberature, che in questa proposta ha una valenza strutturale piuttosto che decorativa, individua uno spazio in grado di creare dinamiche di socializzazione e vita di quartiere favorite da una corretta esposizione, prossimità alle funzioni e percezione della città. I dati acquisiti dal percorso di partecipazione fatto con l’Università ha permesso una soluzione basata su dati oggettivi che se fossero stati messi a disposizione di un concorso avrebbe consentito una panoramica di soluzioni ampia da confrontare. Purtroppo pare che la nostra città abbia deciso di perdere anche questa occasione dimenticando che attrae proprio per il valore progettuale del suo spazio pubblico, il cui significato intenzionale va oltre la logica del decoro urbano.
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Oltrarno: non un posto per gente da marciapiede di Andrea Peru Fortuna grama quella dei marciapiedi. Luoghi di perdizione e malaffare secondo un abusato tòpos letterario, hanno un’immagine così compromessa da non poter esser riscattata nemmeno da alcuni esempi di magnificenza assoluta. Eppure cosa sarebbero gli Champs Elysées, senza i marciapiedi? un banale viale tra l’arco e l’obelisco; sparita tutta (quasi) l’allure che li ha resi l’icona di una città, già essa stessa icona di fascino ed eleganza. Qualcuno potrebbe obiettare che - poco conta la chiara etimologia francese - a chiamare marciapiedi quelli degli Champs Elysées si rischia l’incidente diplomatico con i cugini d’oltralpe, ma se per marciapiede si intende, “parte della sede stradale riservata al transito dei pedoni, per lo più ai fianchi della strada, rialzata o altrimenti delimitata” (vocabolario Treccani), è evidente che i marciapiedi dei boulevards parigini e quelli delle strette vie d’Oltrarno, oggetto della presente disamina, attengono alla stessa categoria semantica. Unicuique suum si sarebbe detto nell’antica Roma. L’Urbe non è qui citata a caso, e non per questioni di diritto. All’epoca dell’insediamento della prima colonia romana risale, infatti, la netta differenziazione tra riva destra e sinistra dell’Arno che caratterizza la città fin dalle sue origini. Il castrum romano di Florentia si è sviluppato sulla riva destra secondo il classico modello urbanistico articolato sulla direttrice nord-sud del cardus maximus (attuali via Roma e Calimala) e quella est-ovest del decumanus maximus (oggi Corso, via degli Speziali e Strozzi) con il foro nell’odierna piazza Repubblica in cui si ritrova oggi uno dei pochi esempi (un altro in piazza della Libertà) di portici nel centro storico (ci si tornerà). Per contro, la prima comunità cristiana di Firenze si sviluppò sulla sponda sinistra del fiume, tra la povera e generosa gente d’Oltrarno (Bargellini dixit), quartiere popolare da sempre, fatto di orti e botteghe, luogo di incontro di abitanti e pellegrini di umile condizione. In epoca moderna, poi, nessun Haussmann ha pensato di sventrare interi quartieri per trovare spazio a boulevards e avenues per cui gli unici viali sono rimasti quelli tangenziali al centro e nel cuore della città i marciapiedi “da struscio” si contano sulla punta delle dita e tutti sulla riva destra dove si veneravano gli “dei falsi e bugiardi” (sempre Bargellini, citando Dante): via dei Servi, via Cavour (non a caso, originariamente detta via Larga) e via Tornabuoni, il salotto buono della città. Salotto già elegante di suo, ma che in occasione dei recenti campionati mondiali di ciclismo l’amministrazione ha ritenuto meritasse marciapiedi ancora più ampi ed eleganti. Scelta legittima, ci mancherebbe, ma certo fa specie lasciare il lastricato di via Tornabuoni, attraversare ponte Santa Trinità per arrivare in Oltrarno e trovare subito diversi esempi di marciapiedi francamente imbarazzanti. Citazione particolare per via de’ Coverelli e via del Presto di San Martino, ma il primato spetta a via dei Geppi dove sul lato destro della direzione di marcia il marciapiede è largo un palmo mentre sul lato opposto – botta di vita – arriva a 30 cm. Comunque, fosse solo un problema di larghezza, molti marciapiedi di Oltrarno potrebbero essere promossi, alcuni pure a pieni voti (fuor di metafora, si parla di larghezze uguali o superiori a 140 cm), come piazza Nazario Sauro e i principali assi est-ovest (via Santo Spirito; via Sant’Agostino e via Mazzetta; il tratto di via della Chiesa antistante la scuola elementare), ma anche con direzione ortogonale (e.g. via del Drago d’Oro; via di Camaldoli) qualcun altro meriterebbe una sufficienza più o meno risicata (e.g. Borgo Tegolaio, piazza Piattellina; via dell’Orto; via del Campuccio per qualche tratto; via Maffia; via del Leone; via San Giovanni; persino un tratto di via del Presto di San Martino, tutti con larghezze intorno al metro); molti però verrebbero bocciati, se non con l’ignominia degli esempi di cui sopra, certo per gravi lacune (e.g. via dei Preti; via dell’Ardiglione; altri tratti di via del Campuccio e via della Chiesa, 189
via delle Caldaie; Borgo Stella). In tutti questi casi la larghezza è inferiore agli 80 cm, molto spesso ai 60 cm della larghezza delle spalle di una persona adulta. Come a dire: in molti marciapiedi d’Oltrarno manca proprio lo spazio fisico perché ci si possa camminare sopra. A questo punto la domanda sorge spontanea: se non sono percorribili dai pedoni, possono ancora dirsi marcia-piedi nel senso letterale del termine? E, soprattutto, allora a che servono? Non li si chiamasse più marciapiedi un altro nome bisognerebbe comunque trovarglielo e dato che battiscopa, barriera etc. non paiono scelte più felici, tanto vale continuare a chiamarli con il nome originario. Resta da stabilire a che servono, ma anche questa è questione velocemente risolvibile: a nulla; un marciapiede non transitabile è più di intralcio che di scopo; di fatto, non è: e se non è, si vede che qualcuno non vuole che sia, che si ha interesse a che non assolva la sua unica funzione primaria. Quali ragioni potrebbero ispirare tale volontà? Prosaicamente, per non doversi sobbarcare interventi certamente onerosi. Finora si è glissato sulle condizioni in cui versano questi marciapiedi, ma se oltre alla quantità (nel senso della larghezza) si volesse considerare pure la qualità (nel senso della integrità e della regolarità della superficie), allora, per molti marciapiedi d’Oltrarno la promozione di cui sopra diverrebbe un autentico miraggio. Un intervento di ripristino è stato più volte promesso, in qualche sporadico caso realizzato, ma troppe volte si è assistito a interventi sulla strada senza toccare i marciapiedi. Si sa che a pensare male si fa peccato, però…. Non è che se si allargano i marciapiedi poi non resta più posto per parcheggiare le auto? Teoricamente parlando, in quasi tutte le strade dei quartieri di Santo Spirito e San Frediano vige un divieto di sosta assoluto e indistinto, ma – fatte salve alcune fortunate eccezioni - nella pratica il divieto è grandemente disatteso e la sosta vietata largamente tollerata. Addirittura, nei momenti clou (serate di movida, domenica, eventi), in strade quali via Santo Spirito, Borgo Tegolaio, via Sant’Agostino etc. è tipica e costante la sosta, non a lato dei, ma sui marciapiedi (che un po’ disturbano, in effetti: intanto devi salire e scendere un dislivello che a gomme e sospensioni benissimo non fa e poi, malauguratamente ti comminassero una contravvenzione, il costo sarebbe ben più salato del buffetto previsto dal divieto di sosta semplice: meno che sostare un intero giorno nel pertinente parcheggio pubblico partecipato al 50% dal comune). Che non si voglia, come pare a molti residenti, o non si riesca, come asseriscono le istituzioni, stroncare definitivamente il fenomeno della sosta selvaggia, sta di fatto che di giorno e di notte molte auto sono parcheggiate sopra o a latere di marciapiedi larghi molto meno del limite di un metro previsto per consentire la sosta lungo la carreggiata. In un quartiere ad elevata densità abitativa e con molte botteghe artigianali, ciò comporta che molte auto sostano davanti agli usci e così altrettanti residenti e artigiani sono gravemente penalizzati nella loro libera fruizione dell’accesso all’abitazione e/o al fondo. Quando poi il discorso riguarda persone a mobilità ridotta (dai neonati agli anziani, passando per i disabili) il problema finisce per assumere le dimensioni di un’inaccettabile preclusione del fondamentale diritto ad entrare e uscire da casa propria. Si capisce, quindi, che quando si parla di mobilità bisognerebbe rendersi conto che la prima che meriterebbe essere considerata è quella dei pedoni. Se uno manco esce di casa, poi non si sposta né in auto né con altri mezzi privati o pubblici che siano. In questo senso il marciapiede ha una valenza anche metaforica, di spazio di transizione tra la dimensione privata rappresentata dalla propria abitazione e la dimensione pubblica propria della strada. Capita spesso di osservare qualcuno che spazzi o pulisca il “proprio” marciapiede, mai nessuno che spazzi la strada. Questo senso di appartenenza potrebbe e dovrebbe essere alimentato e declinato a vantaggio della collettività. Già in diverse occasioni si è proposto di incentivare i residenti del centro storico ad “adottare” i loro marciapiedi: con la formula dell’anticipo di tasse destinate a finanziare gli interventi di ripristino del marciapiede antistante la propria abitazione. La proposta ha destato curiosità e interesse, ma al di là di questo non si è andati.
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Piuttosto, si è fatto un gran parlare di estendere le aree “pedonalizzate” (di particolare attinenza al discorso qui svolto l’ipotesi di pedonalizzare l’area intorno a ponte Santa Trinita), ma sempre intendendo il termine con un’accezione “autocentrica”: pedonalizzare uguale vietare l’accesso alle auto. Prevaricare il transito ai veicoli è condizione necessaria, ma non sufficiente per poter parlare di “pedonalizzazione” che richiede, invece, tutta una serie di interventi di micro e macroprogettualità che da un lato rendano meno necessario ed appetibile l’uso del mezzo privato, dall’altro favoriscano gli spostamenti a piedi o con mezzi a nullo impatto ambientale. In una parola, sancire e a parole e ribadire nei fatti che la mobilità dolce deve prevalere sul traffico veicolare, soprattutto se privato. Da questo punto di vista, al di là di alcuni proclami, Firenze è molto in ritardo rispetto all’idea di città “green” e “smart” che sta caratterizzando lo sviluppo di molte realtà del nord come del sud di Europa. E all’interno della città l’Oltrarno è la zona più in sofferenza (almeno dall’altra parte hanno e avranno le linee della tranvia). L’estensione e la diffusione di piste ciclabili e percorsi pedonali sicuri sono ancora troppo limitate per consentire e incentivare significativamente queste forme di spostamento. Clamoroso che, in alcuni casi, le due soluzioni, anziché complementari finiscano per confliggere l’una con l’altra (e.g. lungarno Serristori), con esiti facilmente prevedibili. Sarebbe, finalmente, ora di procedere ad un vero e proprio ridisegno dei percorsi pedonali, ancora troppo penalizzati dalla presenza di una grande quantità di barriere architettoniche, da pavimentazioni inadeguate, da situazioni di promiscuità con altri mezzi, etc. Non più differibile, quindi, un piano di rifacimento dei marciapiedi secondo una priorità dettata dalle condizioni attuali, a partire dalle strade prive, per passare a quelle con marciapiedi più stretti per finire con quelle già dotate di marciapiedi di dimensioni congrue. Integrazione, mixitè: gran belle parole, ma difficili da tradurre in pratica quando mancano gli spazi di contatto e condivisione. Firenze è una città molto verde vista dall’alto, molto grigia se vista dal basso, soprattutto in Oltrarno. Grandi spazi verdi sono privati (es. giardino Torrigiani), monumentali (es. Boboli) o preclusi (es. giardino Porta Romana). Molte piazze mancano di attrattiva (es. Carmine), nessuna biblioteca è aperta nei festivi, la sera solo le Oblate. Le sale civiche sono di complicata fruizione, scomparse o quasi le sedi di partito, senza fissa dimora gran parte dei comitati e delle associazioni. Il comitato di san Niccolò con palestra e giardino una felice, ma sparuta eccezione in un panorama desolante di carenza di spazi per la relazione sociale che non siano i locali commerciali. Emblematica al proposito la vicenda Nidiaci con spazi sottratti al pubblico e consegnati alla fruizione privata. La mixité non si realizza se i cittadini non escono di casa e nessuno esce se non ha dove andare e/o un percorso agevole e gradevole per giungere a destinazione. E allora non resta che auspicare che sempre più gente d’Oltrarno possa battere felicemente i marciapiedi (absit iniuria verbis).
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Progettare lo spazio pubblico urbano. La metrica fiorentina e il Carmine di Riccardo Renzi La complessità del fenomeno relativo allo spazio pubblico risulta, nella dimensione contemporanea assunta dai centri storici europei ed in particolare anche nel caso italiano1, oggetto di ricerche e studi che sembrano non condurre ancora a sintesi capace di offrire soluzioni ad interpretazioni analitiche definitive. L’articolata natura del problema è principalmente legata ad un insieme di fattori non limitati alla componente progettuale quanto piuttosto essa mantiene un legame con i caratteri identitari dei luoghi; ciò non permette la definizione di una serie di risposte, di intenti o di disegno, applicabili aprioristicamente al panorama globale2 ma induce lo studio dell’argomento ad una specificità legata al singolo caso. Lo spazio pubblico urbano si definisce attorno al ruolo della strada e della piazza, i due soggetti tipologici che ne classificano la connotazione fisica all’interno della trama urbana3 e che si distinguono per mancata presenza di elementi costruiti, che non siano effimeri, al loro interno. Essi rappresentano per ogni ambiente urbano una specificità propria che nella cultura collettiva assume un ruolo familiare principalmente legato, nel tempo, alle funzioni che vi sono svolte, sia in forma permanente che maniera temporanea, portando a far collidere l’immaginario ideale con le forme reali4. Se per tale insieme di motivi definire una strategia esaustiva del problema senza scendere nel singolo caso risulta un impresa inattuabile, al contempo la necessità di operare interventi concreti sul panorama urbano contemporaneo, detta l’esigenza di trovare elementi su cui poter costruire dei quadri analitici in grado di scomporre il problema attorno a nodi-chiave da interpretare per mettere a sistema una guida di parametri per successivi interventi. La gestione dello spazio collettivo attualmente riveste infatti uno dei punti di crescente attenzione5 nelle logiche urbane europee6. Quando correttamente impostato, esso risulta l’immediata verifica di una chiara programmazione e permette attraverso azioni di progetto ben definite, di stimolare l’uso e la partecipazione da parte della società, libera di esprimere il proprio carattere collettivo. Allo spazio pubblico ultimamente si è teso inoltre a riattribuire con forza il ruoto primario di elemento integratore della cittadinanza, che possa favorire non solamente lo sviluppo di attività comuni ma che fornisca la base attorno cui costruire una consapevole conoscenza del 1
Cfr. S. Boeri, L’anticittà, Laterza, Bari, 2011, pp. 7-17.
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Cfr. V. Gregotti, Contro la fine dell’architettura, Einaudi, Milano, 2008, pp. 91-93.
Cfr. U. Tramonti, Il problema progettuale della piazza, in L. Macci, Materiali per un progetto d’architettura, Teorema, Firenze, 1980, pp. 139-160.
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Cfr. M. Romano, La piazza europea, Marsilio, Venezia, 2015, pp. 7-9.
Azioni mirate alla rigenerazione dello spazio pubblico coinvolgono attualmente anche alcuni quartieri periferici delle maggiori città italiane che sono adesso oggetto di concorso di progettazione promosso dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Direzione Generale Arte e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane emanato a Luglio 2017. Il concetto di rammendo urbano promosso inoltre da Renzo Piano ha avuto come considerazioni iniziali una serie di interventi legati alla modifica dello spazio collettivo al fine di riportare spazi ad essere riutilizzati. Cfr. «La Repubblica», edizione Milano, del 8/11/2015 e relativa intervista di Fulvio Irace a Renzo Piano. Riguardo al tema dello spazio pubblico nei quartieri periferici si veda inoltre il saggio Interni urbani e interni domestici. Lo spazio collettivo e lo spazio individuale, in R. Renzi, Abitare Sociale, Edifir, Firenze, 2013, pp. 48-65.
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Fin dalla seconda edizione del bando internazionale di progettazione Europan-Europe, 1990-91, lo spazio pubblico risulta una costante tra le tematiche richieste, a cavallo tra intervento architettonico ed elemento fortemente sociale. L’undicesima edizione, 2011, ha avuto come tema chiave la riorganizzazione urbana proprio a partire dal concetto di vita collettiva nello spazio pubblico attraverso la proposizione di quarantanove aree di intervento sparse su diciassette diverse nazioni; tale interesse è stato confermato nelle successive tre edizioni. Riferimenti sono sul sito www.europan-europe.com e sulle relative pubblicazioni parziali dei risultati di progetto suddivise per aree-nazionali.
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prossimo, al fine di permettere al cittadino di riconoscersi all’interno di una collettività urbana. I tempi recenti hanno visto sommarsi alla mutazione complessa7 dello spazio pubblico dovuta ad un’alterazione funzionale frutto di una sommatoria di intenti urbani che risulta soprattutto evidente nella tipologia della piazza, anche la perdita graduale da parte del singolo di un proprio riconoscimento quale membro consapevole di una collettività condivisa e ben definita8. Tale fattore, dovuto prevalentemente a motivazioni di stampo sociale piuttosto che derivanti dalla conformazione dell’ambiente fisico, ha determinato una graduale ma crescente perdita di affezione verso quei luoghi votati alla collettività stessa. In tali condizioni il grande interno urbano pubblico fino all’intima piazza italiana9, corre il forte rischio di venire avvertito come uno spazio di tutti e lo spazio di nessuno. Grazie allo strumento del concorso la tematica della configurazione e del ruolo dello spazio pubblico in relazione alla mutazione della città a cavallo tra locale e globale, è diventato a partire da circa vent’anni uno dei soggetti rilevanti nel dibattito architettonico internazionale10. Seppur volendo analizzare positivamente l’emersione del tema rispetto alla mancata considerazione precedente, risultano però alcuni fattori che ne hanno determinato alcuni parziali perdite di risultato. L’eventuale mancanza di consapevolezza e di accuratezza analitica sul tema da parte degli enti banditori, che, soprattutto per piccole entità locali, quasi mai ricorrono all’aiuto di esperti nella redazione di linee guida o che raramente considerano l’ipotesi di interpellare le esigenze della loro comunità, hanno permesso la pubblicazione di bandi i cui obiettivi potevano risultare incompleti. Da qui inevitabilmente le risposte progettuali non avranno che potuto fornire ipotesi compositive limitate a determinate impostazioni richieste. Sempre più spesso inoltre si tende a limitare il problema di come poter vivere uno spazio collettivo pensando erroneamente che esso sia espresso unicamente attraverso gli oggetti d’arredo che lo compongono. Interpretando il luogo a comune in virtù solo di elementi d’arredo e mantenendo l’analisi superficialmente limitata a livello estetico, il rischio è quello di incorrere nella promozione di interventi che non siano in grado di operare scelte corrette ed anzi di limitare la messa in campo di strategie più complessive che porterebbero un effettivo miglioramento duraturo nel tempo dello spazio pubblico. Tale processo elude alcune delle caratteristiche fondamentali proprie della disciplina progettuale, ossia una lettura del luogo e delle sue componenti ambientali, geometrie costruite e non, e la messa a sistema di una metrica dello spazio in cui i singoli elementi11 determinano un insieme
Le ragioni della complessità sono una caratteristica dominante della cultura urbana contemporanea e ne delineano il profilo attraverso la profonda mutazione avvenuta tra la fine del ventesimo secolo e l’inizio del ventunesimo. Per alcuni minimi ma essenziali riferimenti, Cfr. La città generica, in R. Koolhas, Junkspace, Quodlibet, Macerata, 2006, pp. 25-60; V. Gregotti, Op. Cit., pp. 39-40; P. Eisenmann, La fine del classico, Mimesis, Milano, 2009, pp. 149-153.
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Le dinamiche sociali hanno visto in tempi recenti l’alterazione delle componenti della collettività grazie anche a flussi migratori che sono gradatamente aumentati; tale aspetto, ancora relativamente recente e di minor impatto in Italia rispetto alle altre nazioni europee, tende ad amplificare temporaneamente il fenomeno già in atto della perdita di identità. Riguardo un’analisi della composizione sociale Cfr. G. Martinotti, Metropoli, Il mulino, Bologna, pp. 137-198.
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“Piccole piazze con l’aria di stanze”, Cfr. G. Ponti, Quartiere all’italiana, in «Domus» n.293 del 1954. La definizione della piazza nell’immaginario italiano trova un’interessante descrizione in uno scritto di Bontempelli: “La piazza brulica, perchè è domenica, e i tavolini del caffè hanno invaso il marciapiede come una marea fino all’orlo. Nella piazza girano le automobili, il vespero è tiepido: voglia di gioia riempie l’aria di polline d’oro, gli stridii delle rondini calano tra la gente a eccitarla dal cielo, che è un gran fascio di rose. Il tempo scivola tra i tavolini come un bambino che non ha voglia di andare a letto”. Cfr. M. Bontempelli, Domenica, 1934.
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Da una verifica dei bandi di concorso relativi allo spazio pubblico della piazza ne risultano circa cinquemila fra procedure aperte, ristrette, affidamenti di incarico ed appalti integrati in Italia tra il 2001 ed il 2016, un numero estremamente alto a conferma della proprietà del tema nel dibattito contemporaneo. Fonte www.europaconcorsi.com. 10
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I. Gamberini, Per una analisi degli elementi dell’architettura, Lef, Firenze, 1959, pp. 10-21.
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armonico ed equilibrato con il contesto urbano esistente12. Alla progettazione architettonica dello spazio collettivo a cui dovrebbe essere richiesto il ruolo di distinguere formalmente metodi di vita delle attività da svolgere attraverso una classificazione e suddivisione spaziale, viene invece frequentemente richiesto il compito di supplire ad una carenza redazionale del bando, ossia di proporre le attività da insediare demandando parte essenziale dell’analisi del problema a chi, il progettista, non ha tutte le informazioni necessarie e gli strumenti analitici in proprio per poterlo risolvere. Prassi operative e ricerche sulla condizione contemporanea della città europea stanno fortunatamente offrendo alcune recenti strategie di impostazione del problema. La questione dell’attrattiva dei luoghi pubblici viene sempre più interpretata come proiezione alternativa alla dimensione domestica dell’abitante, e una programmazione funzionale viene assunta come elemento rigeneratore dello spazio collettivo. L’articolazione degli usi appare oggi non poter essere più risolta con unica funzione ma passare da un’offerta ampia e variabile, in grado di attrarre varie fasce che compongono la società, all’interno di cicli temporali: il giorno e la notte, il fine settimana, le stagioni. Questo approccio ha in seno il rischio di investire i luoghi pubblici di una forte sovraesposizione funzionale, per cui nell’accuratezza delle analisi e nella bontà del processo di redazione delle linee guida alla progettazione dovrebbe sempre risiedere il compito di fornire un sistema equilibrato tra uso e stress dell’ambiente. Esiste inoltre un’ulteriore aspetto critico che riguarda principalmente i centri storici e le delicate condizioni della città italiana. La strada e la piazza appaiono a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, e vorticosamente in tempi recenti, investiti da una mutazione di uso, veloce e spesso invasivo, che ne ha stravolto il carattere. Il luogo pubblico in generale, avvertito maggiormente in città dai fragili contesti come Venezia o Firenze, risulta oggi un duale sistema ibridato fra traguardo ad uso e consumo turistico13 e, minimamente, spazio per la collettività. Difficilmente entrambi, mai, per permeabilità funzionali e per dotazione di fatti urbani14, solo uno o l’altro. Questa aggiuntiva condizione si è gradatamente posta come un ostacolo all’utilizzo degli spazi pubblici da parte degli abitanti, incrementando le criticità in molti casi producendo una netta riduzione di frequentazione da parte della cittadinanza a favore di un crescente utilizzo turistico. A Firenze, il cui centro è ormai fortemente caratterizzato dalla presenza di visitatori, alcuni casi prevalenti sono ben rappresentati da Borgo de Greci divenuto ormai collegamento turistico fra Palazzo Vecchio e Piazza Santa Croce, da Por Santa Maria e da Via de Bardi che connettono il nucleo centrale con Palazzo Pitti e da Piazza della Signoria ormai costantemente più che affollata. Proprio Firenze, come molte città, ha visto mutare la propria condizione urbana, di derivazione secolare e frutto di un sistema di sovrapposizioni eterogenee e diacroniche, alla fine del diciannovesimo secolo15, con alcuni aspetti peculiari che ne rendono però le logiche progettuali distinte e uniche. Il centro storico prima degli interventi era prevalentemente costituito da un fitto, fittissimo in alcuni punti, edificato raccolto entro un perimetro murario intervallato da rari episodi di diradamento in cui trovavano posto le attività collettive. Le poche piazze fiorentine, tolta la Signoria ed il Mercato Vecchio, esprimevano il posizionamento dei quartieri e l’insediamento delle strutture monastiche principali che della codifica spaziale avevano fatto propria una metrica 12
Cfr. G. Grassi, Architettura lingua morta, Electa, 1988, pp. 23-32.
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Cfr. G. Martinotti, Op.Cit., pp. 155-156.
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Cfr. A. Rossi, L’architettura della città, Cluva, Venezia, 1966, pp. 21-67.
15 I lavori di trasformazione del centro storico, previsti fin dal 1865, furono eseguiti dal 1885-1895; gli interventi di abbattimento delle mura furono eseguiti a partire dal 1865. Cfr. G. Orefice, Rilievi e memorie dell’antico centro di Firenze, Alinea, 1986, pp.13-28 e G. Fanelli, Firenze, Laterza, Bari, 1980, pp. 204-205.
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in linea con il tessuto urbano. L’abbattimento delle mura difensive permettendo un’ordinata espansione urbana spinta verso l’esterno in grado di alleggerire il carico insediativo del centro, offrì anche l’opportunità, a lungo cercata politicamente, di smembrare il centro storico della città cambiandone irrimediabilmente la vocazione spaziale, dell’ambiente costruito e dello spazio pubblico. La destituzione del “Ventre della città”16 a favore di un ben più igienico intervento risanatore-generatore di nuove e più ampie strade e di una grande piazza centrale17, si trovò a sostituire un sistema di misura proprio dello spazio aperto pubblico interno alla città che si era consolidato nella costruzione progressiva dell’edificato18. La perdita di tale sistema originario di bilanciamento e di equilibrio tra edificato e strada e tra edificato e minimi spazi e piazzette19, ha significativamente ed irreparabilmente leso ribaltandolo il sistema di misura che esisteva tra l’esiguo spazio pubblico del centro e le ampie piazze religiose a servizio dei quartieri presenti attorno ad esso20. Al contrario oggi il centro presenta una dimensione dello spazio pubblico più estesa, grazie alla grande capienza della monumentale Piazza della Repubblica ed alla larghezza delle strade attorno ad essa, rispetto alle piazze religiose dei quartieri storici. Quello spazio fiorentino definitosi nel tempo attorno al nucleo centrale storico, misurato attorno a stretti passaggi, chiassi e buchi, minimi slarghi in fronte alle piccole chiese21, aveva in comune alcune invarianti con il sistema delle piazze nate in espansione alle sedi monastiche. La caratteristica prevalente poteva considerarsi la presenza di pavimentazione in pietra e l’assenza senza eccezione del verde a terra, dovute all’uso da parte di una grande quantità di persone ad eventi religiosi o collettivi, lasciando la logica del verde fiorentino ad altri ambiti22. La genesi della piazza fiorentina, proprio grazie a tale carattere, è rintracciabile nel tema duale con il ruolo ascritto alla strada. Nella densa cortina edificata sia del centro storico che dei quartieri entro le mura, le strade principali, poco più ampie di quei chiassi e buchi, alla necessità Conformatosi attorno all’area del mercato vecchio e della metrica con cui le strette vie avevano, nel tempo, determinato la misura prevalente dello spazio pubblico. Cfr. G. Conti, Firenze Vecchia, Bemporad e figlio, Firenze, 1899, pp. 413-439. 16
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Vittorio Emanuele oggi Repubblica.
Il nuovo sistema spaziale, prima impostato su minimi interni urbani concatenati tra loro e su un’alta densità dello spazio pubblico, ha visto prevalere una dimensione spaziale ampia frutto di un’operazione sincronica e caratterizzata dall’impiego di linguaggio degli edifici estraneo all’identità architettonica fiorentina. Cfr. C. Cresti, Firenze capitale mancata, Electa, Milano, 1990, pp.94-133. 18
Per comprendere meglio il tipo di rapporto tra la partitura urbana originaria ed il nuovo intervento sono di seguito riportate alcune misurazioni eseguite sovrapponendo il rilievo dello stato preesistente e la cartografia attuale fornita dalla Regione Toscana. La dimensione media dello spazio stradale della zona del Mercato Vecchio era di circa tre metri di larghezza, raggiungendo circa cinque metri all’imbocco di via Calimala e di meno di un metro nei piccoli passaggi interni agli isolati, mentre quella dell’invaso della piazza, presa nei punti più stretti, era di circa trentacinque metri per cinquantaquattro; questo spazio era originariamente occupato dalla beccheria, un elemento architettonico realizzato per le merci al coperto. La dimensione media della sede stradale dopo gli interventi è invece di circa undici metri, con larghezza massima di dodici in via Calimala e di nove in via de Brunelleschi, mentre la Piazza della Repubblica ha lato massimo di circa settantacinque metri per sessantasette. 19
L’ordinamento dei quartieri fiorentini entro le mura, tutti individuati dalla presenza di strutture monastiche, quali Santa Croce, Santa Maria Novella, Santissima Annunziata con San Marco, Santo Spirito e del Carmine, ha rappresentato un sistema unico scandito da diverse nature con elementi in comune. Alla densità insediativa, diversa e minore rispetto a quella del centro, per ogni quartiere ha da sempre avuto un unico spazio aperto-piazza di genesi religiosa divenuto nel tempo simbolo stesso del quartiere per funzioni e per appartenenza identitaria. Cfr. M. Romano, Op. Cit., pp.149-160. 20
Un’accurata restituzione planimetrica degli spazi costruiti nel centro storico distrutti dagli interventi del 1885-1895 si trova come allegato fuori testo in E. Detti, T. Detti, Firenze Scomparsa, Vallecchi, Firenze, 1977. 21
22 Il verde a Firenze è qualcosa di profondamente diverso dalla piazza; è legato all’interpazio tra edificato e perimetro murario difensivo con l’unica eccezione, di fine Ottocento nei nuovi quartieri di Barbano e della Mattonaia dove le piazze, ora Indipendenza e D’Azeglio, presentano un modello di riferimento ascrivibile allo square inglese con presenza di alberi. Cfr. L. Zangheri, Storia del giardino e del paesaggio, Olschki, Firenze, 2003, pp. 211-220.
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provvedevano ad allargarsi per divenire piazze23 potendo così ospitare un maggiore numero di fedeli, prima, e di cittadini poi. Tale sistema vale anche per l’Oltrarno, che presenta una struttura generativa del quartiere la quale si regge su alcuni assi predefiniti e che, per quanto di dimensioni minori rispetto all’estensione del centro, vede nascere ben tre piazze principali: Pitti, Santo Spirito e Carmine. Piazza Pitti, invaso di dimensioni estremamente ampie caratterizzato da una pendenza tra i suoi due lati maggiori che ne rende difficoltoso l’utilizzo per eventi collettivi, risulta la mèta turistica predefinita nel percorso impostato da Ponte Vecchio e Via de Bardi e ne è la logica conclusione. La vicina Piazza Santo Spirito gode di una struttura architettonica legata alla facciata principale della chiesa ma è principalmente vissuta dalla collettività, anche turistica ma limitatamente alla chiesa, grazie dall’offerta funzionale ben articolata su tutto l’arco della giornata. Il mercato la mattina, i ristoranti ed i locali la sera, il mercato dell’usato a cadenza mensile, permettono alla piazza di essere la più frequentata dai fiorentini. Piazza del Carmine, raggiungibile proseguendo da Pitti, passando per Santo Spirito provenendo dal cammino del centro storico, risulta attualmente un invaso da poco liberato dal ruolo di parcheggio ed in cui la viabilità ancora non è ben definita, invece è scarsamente frequentata e scarna di funzioni che ne possano far prevedere un’attrattiva. In una logica di coinvolgimento da parte della popolazione in un insieme di usi che possano permettere alla piazza di ritrovare una giusta collocazione nel panorama dello spazio pubblico fiorentino risulta impensabile evitare una variata offerta funzionale a cui il grande spazio, ex parcheggio, dovrebbe offrire sostegno. Un contributo alla conoscenza di alcuni dei codici che regolano lo spazio del Carmine è una delle preliminari operazioni proprie della progettazione architettonica e, come sopradescritto, fornisce una delle necessarie fasi analitiche senza la quale un ipotetico intervento non avrebbe elementi solidi attorno a cui costruirsi e misurarsi24. Leggendo la conformazione insediativa dei piani terra degli edifici, ideale sezione orizzontale in grado di tagliare l’intero quartiere, emerge che il rapporto tra lo spazio edificato e lo spazio pubblico adotta nell’ambito del Carmine, fino all’attuale piazza Tasso, un interessante sistema basato sulla cellula abitativa del lotto gotico fiorentino. La misura, quella misura persa negli sventramenti del centro storico avvenuti fino al 1895, mantenuta con forza in Oltrarno più volte minacciato da interventi che ne avrebbero voluto demolire grande parte del tessuto in ottica igienista25, segna uno dei principali aspetti caratteristici dell’area. La costituzione di un sistema insediativo semplice e ripetuto, progressivamente modificatosi rispetto all’impostazione originale espandendosi verso gli interni riducendo gli orti retrostanti degli isolati compatti, ha potuto permettere allo spazio di rimanere prevalentemente inalterato trasmettendo fino ad oggi un delicato sistema in equilibrio armonico fra edilizia residenziale e strada, fra chiesa e piazza. La metrica spaziale del grande invaso detta un sistema armonico insieme alla partitura delle grandi volte che compongono l’interno della navata della chiesa; quest’ultime divengono a
23
Cfr. G. Fanelli, Brunelleschi, Becocci, Firenze, 1977, p. 24.
Si deve alle ricerche svolte in seno alla Facoltà di Architettura di Firenze condotte nel quinquennio 1970-1975 all’interno della Cattedra di Composizione Architettonica del prof.Macci se ad oggi è possibile una lettura analitica dello spazio edificato e dello spazio pubblico nell’area del Carmine. La metodologia compositiva impostata da tali ricerche fonda la propria tesi sulla necessità di conoscere e valutare sia l’aspetto fondativo degli insediamenti quanto i parametri evolutivi dei sistemi consolidati di un ambiente prima di poter considerare l’azione progettuale quale elemento da operare per la modifica dello spazio. Cfr. L. Macci, V. Orgera, Contributi di metodo per una conoscenza della città, LEF, Firenze, 1976. 24
25 Progetti di Gori del 1889 e di Bellincioni con il piano regolatore del 1915 prevedevano, fra l’altro, aperture di nuove larghe strade che avrebbero demolito il tessuto residenziale delle aree adiacenti al Carmine. Cfr. O.F. Micali, La città desiderata, Alinea, Firenze, 1992, pp.177-187 ; G.Trotta, Da borgo medievale a quartiere, Messaggerie toscane, Firenze, 1990, p. 17 e p. 25.
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loro volta elemento di proiezione concreta dello spazio interno verso l’esterno. Lo studio delle tipologie insediative, oltre allo studio della Piazza e della chiesa, svela un sistema di misura che lega l’intero insieme attraverso una cellula dimensionale. Permanenza di segno ed invarianti compositive del Carmine risultano ruotare attorno alla misura di circa sei metri per sei. Essa definisce la cellula minima attorno a cui l’edilizia residenziale costruisce il suo impianto originario nei singoli lotti di proprietà26 del vicino complesso religioso camaldolese; ogni fronte affaccia su strada per una misura di circa sei metri e si espande in profondità per ambienti quadrati aderenti alla dimensione della cellula27. Lo stesso modulo appartiene alla definizione della grande navata della chiesa del Carmine e coincide con l’innesto del transetto e dell’abside, definendo per ogni campata un sistema di tre cellule in larghezza e di due in profondità. Il grande tema dello spazio unico su cui è costruita la chiesa trova una diretta rispondenza in una proiezione esterna retta dal sistema della piazza, nata come espansione per accogliere fedeli durante eventi religiosi. Ma l’edificio e lo spazio esterno non sono stati legati nel tempo solamente da un rapporto immediatamente leggibile, di dipendenza funzionale. Essi condividono nuovamente una misura che dall’interno della navata uscendo costituisce la base spaziale della piazza. Il grande spazio aperto, il cui perimetro alterna edifici residenziali, edifici pubblici e murature di confine con spazi verdi, nasconde una regola condivisa con la cellula del quartiere; lo spazio piazza è misurabile secondo un quadrato di dodici cellule per dodici, il cui spigolo coincide con lo spigolo della navata della chiesa sebbene i due sistemi di imposta siano ruotati secondo un angolo concavo. La conferma dell’esistenza di un’uniformità comune sia dei sistemi insediativi che dello spazio piazza tradisce un’operazione compositiva fondata su segni permanenti, seppur dilatata nel tempo a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo e conferma ancora una volta, semmai ce ne fosse bisogno, che il tessuto urbano della città storica europea è simbolo di un’attenta azione antropica mai frutto di disegno casuale. Il presente contributo, assieme al grande lavoro svolto dal gruppo del processo partecipato al progetto di piazza del Carmine, ha l’obiettivo di contribuire a richiamare l’attenzione sul problema della piazza all’interno del delicato contesto fiorentino, affichè possa essere condivisa la necessità di uno sguardo d’insieme in grado di porre obiettivi comuni a tutti i contesti pubblici, seppur distinguendone i singoli caratteri costitutivi della loro natura.
26
V. Orgera, De aedificus communibus, Alinea, Firenze, pp. 33-38, p. 40, pp. 75-83.
27
Cfr. C. Chiappi, G. Villa, Tipo/Progetto/Composizione architettonica, Alinea, Firenze, 1980, p. 27 e seg.
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Narrazione e immagine dell’Oltrarno fiorentino di Fabrizio Violante «Amo il cinema che penetra nella memoria, ti arricchisce, dilata il tuo modo di vedere, illumina certe falde del non conosciuto, le rende visibili». Mario Luzi È noto che la colonia romana di Florentia sia stata fondata nel punto dove il torrente Mugnone confluiva nell’Arno e questo si stringeva maggiormente, così da facilitarne il guado, prima in imbarcazione e poi attraverso il primo ponte che vi fu eretto alla metà del I secolo a. C. È dunque sulla riva destra che nasce la città, è di qua d’Arno, come nell’accezione locale, che verranno edificati i maggiori luoghi di culto e i principali palazzi amministrativi e di rappresentanza. Ancora oggi la Firenze più nota all’immaginario turistico, l’Atene del Rinascimento, secondo una retorica cara ai politici come ai visitatori, soprattutto stranieri, è quella del cosiddetto quadrilatero della zona pedonale, corrispondente al perimetro delle mura romane, sempre chiaramente leggibile nel tessuto urbano del centro storico. Il territorio di là d’Arno si popolerà sin dall’epoca altomedioevale dei cosiddetti burgenses, gli immigrati dal contado, lungo le direttrici radiali che si dipanavano dalle porte della città murata, incrementando dapprima il Borgo di Piazza (corrispondente all’attuale via dei Guicciardini), il Borgo San Jacopo (menzionato nei documenti dal 1173, che conserva ancora lo stesso toponimo) e il Borgo Pidiglioso o Petecchioso (oggi via dei Bardi), così chiamato perché «abitato da vile gente»1. Soltanto la quinta cerchia di mura difensive, la prima del periodo comunale, terminata nel 1175, includerà anche i quartieri della riva sinistra, che saranno sempre caratterizzati da una immagine architettonica meno monumentale e scenografica rispetto alla città principale della parte destra dell’Arno. Anche il cinema, arte urbana per eccellenza, dedicandosi alla città di Firenze riconosce questa distinzione storica, sociale e ambientale tra le due città a destra e a sinistra del fiume, accentuata dai pesanti lavori di risanamento del centro antico negli anni ottanta e novanta del XIX secolo. Il costo sociale dell’operazione di demolizione del Mercato Vecchio, della sua «lenta ma progressiva uccisione», fu altissimo, riflettendosi anche sull’Oltrarno, dove «gli strati più bassi [della popolazione], resi più miserabili dallo stato di abbandono dell’intera zona, dovettero andare ad alzare ancora la densità […], soprelevando edifici e coprendo cortili e altri spazi»2. Nei primi decenni dello sviluppo della cinematografia italiana, Firenze funziona da perfetto palcoscenico architettonico e urbanistico, non tanto per la sua riconoscibilità geografica, ma soprattutto per la sua consistenza simbolica ed evocativa di una precisa epoca culturale ed estetica, come quella medioevale o rinascimentale. Il patrimonio artistico e architettonico della città storica appare, in brevi sequenze dal vero o riprodotto in panorami scenografici posticci, in film come Giovanni dalle bande nere (1910), Dante e Beatrice (1912), entrambi diretti dal pioniere del nostro cinema Mario Caserini, l’imponente La mirabile visione (1921), realizzato da Luigi Sapelli per commemorare il sesto centenario della morte del sommo poeta, Lorenzino de’ Medici (1935, di Guido Brignone), Giuliano de’ Medici (1941, dell’ungherese Ladislao Vajda). Eppure fino al secondo dopoguerra il cinema italiano si rinchiude soprattutto nei set inventati e plastificati degli studi di produzione e nelle ricostruzioni di improbabili interni ungheresi, come andava di moda nelle commedie leggere del periodo fascista. Saranno i maestri del neorealismo a portare la macchina da presa fuori dai teatri di posa e dalle scenografie decorative dei telefoni bianchi, facendola finalmente incontrare (e scontrare) con la città, con lo splendore del vero, secondo un’espressione rosselliniana, scandendo il tempo della nuova consapevolezza dell’Italia calpestata dalle distruzioni del conflitto mondiale. Proprio uno dei capostipiti del nuovo corso, il celebre Paisà (1946) di Roberto Rossellini, nel 198
quarto dei sei episodi di cui si compone, in un vero e asciutto itinerario geografico e morale che segue l’avanzata delle truppe alleate di liberazione lungo lo stivale, si sofferma sulla città di Firenze. Il regista, con la collaborazione tra gli altri dello scrittore Vasco Pratolini alla sceneggiatura, rievoca i drammatici giorni dell’agosto 1944 durante i quali, liberata nei suoi quartieri d’Oltrarno, la città, ancora in gran parte in mano ai soldati tedeschi, è teatro di una guerra fratricida tra partigiani e fascisti, che si combattono strada per strada, casa per casa. In questo imprescindibile caposaldo della cultura del nostro paese, Firenze è luogo espressivo di una vicenda d’amore nella cornice della grande storia: giunta nella città divisa da un ospedale militare delle retrovie, la giovane infermiera inglese Harriet si mette alla ricerca del pittore Guido Lombardi, conosciuto durante un soggiorno fiorentino di qualche anno prima, per il quale nutre evidentemente un sentimento disperato. Con l’aiuto di un amico incontrato tra gli sfollati che bivaccano nel piazzale del Palazzo Pitti, raggiunge i quartieri a nord del fiume percorrendo il Corridoio Vasariano, dimenticato e lasciato incustodito dai tedeschi. Dopo un percorso labirintico tra tetti, scale e altri passaggi contorti che restituiscono l’ansia di una ricerca che sente sempre più vana, Harriet scoprirà dalle ultime parole di un partigiano colpito dal fuoco nemico che Guido è diventato il leggendario Lupo, l’eroico capo della Resistenza fiorentina purtroppo caduto in battaglia. L’immagine dell’infermiera che abbraccia il corpo esangue del combattente richiama la composizione della Pietà michelangiolesca, citazione colta di un film dallo stile rigoroso e documentaristico, che pone in tragico contrasto la natura placida della collina di Boboli, dalla quale due ufficiali inglesi ammirano i tesori architettonici oltre il fiume, e il caos inquietante delle macerie dei palazzi in testa al Ponte Vecchio, lungo Borgo San Jacopo e via dei Bardi, sventrati dalle mine dei nazisti in ritirata. Le rovine ancora persistenti della città ferita appaiono anche nell’episodio intitolato Mara, che costituisce uno dei capitoli del film di Alessandro Blasetti Tempi nostri - Zibaldone n. 2 (1954), tratto da un racconto di Pratolini, autore anche della sceneggiatura. Ambientata nella città dei
Paisà
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primi anni del dopoguerra, la storia dal sapore autobiografico riporta un episodio tipico del realismo rosa, così come fu definito dalla critica il filone filmico che stempera e alleggerisce la narrazione tragica e dolente del neorealismo, riconciliando il pubblico con le istanze sociali di quel movimento innovatore. Il genere è ravvivato dall’ottimismo dei poveri ma belli, ingenui e speranzosi giovanotti e ragazzotte maggiorate non ancora delusi da un paese che non riesce a ricostruirsi più giusto e più libero. Qui i giovani si chiamano Vasco e Mara, appunto, e si conoscono in una modesta latteria di fronte a un piatto di uova affrittellate. Usciti a passeggiare nella quieta notte della città, i due giovani attraversano l’Arno sulla passerella provvisoria costruita per collegare il Lungarno Corsini al Lungarno Guicciardini in sostituzione del ponte alla Carraia, distrutto dalla guerra e non ancora ricostruito all’epoca delle riprese. La donna confessa che l’indomani inizierà a lavorare in una casa di appuntamenti, unica soluzione trovata per la sopravvivenza, ma lui, che svolge il rassicurante mestiere del maestro elementare, riesce a farla desistere dal triste intento invitandola a stabilirsi nel suo appartamento. Come si vede, quelli amati e descritti da Vasco Pratolini sono i fiorentini anonimi, che compongono la moltitudine inascoltata dei sottoproletari e della borghesia minima, uomini e donne senza nome che abitano il ventre affamato della città appena uscita dalla guerra, gli indomiti borgatari con il fazzoletto rosso al collo che resistono alla dittatura fascista e vivono la storia senza lasciare altro segno che il proprio nome scolpito su una targa corrosa dal tempo. Indissolubilmente legato alla città natale, Pratolini ne è il cantore principale, l’artista che più ha trattato i riferimenti topografici, urbani e sociali di Firenze come un irrinunciabile protagonista delle proprie storie, al pari dei personaggi. Nato nella centrale via dei Magazzini, il giovane Vasco matura la propria formazione da autodidatta e, dopo aver praticato mille mestieri per garantirsi la sussistenza, entra in contatto con Ottone Rosai, Elio Vittorini, Alfonso Gatto, grazie ai quali inizia la collaborazione con alcune riviste letterarie. Dopo i romanzi Il Quartiere, uscito nel 1944 e dedicato a Santa Croce, e Cronache di poveri amanti, del 1947, incentrato sulle vicende del popolo brulicante di via del Corno, lo scrittore volge il proprio sguardo all’Oltrarno con Le ragazze di Sanfrediano, in cui la dimensione cronachistica e autobiografica si coniuga al timbro da divertita commedia letteraria. Le sue opere incontrano il favore del pubblico e, prima ancora di quello della critica, l’interesse del cinema. Del resto si è già detto che lo stesso romanziere impegnerà la propria arte come sceneggiatore per registi come Rosellini, Visconti, Bolognini. Il cinema è il testimone privilegiato del presente, memoria immediata della realtà, dove, come sostiene Pratolini, i personaggi della pagina scritta si vivificano e si rafforzano. Accade così che l’opera dell’autore fiorentino sia una di quelle più frequentemente tradotte dal cinema e dalla televisione. Il primo lungometraggio che trasferisce sul grande schermo un suo romanzo è Le ragazze di San Frediano (1954), esordio alla regia di Valerio Zurlini, libero adattamento dell’omonimo libro pubblicato nel 1949. Come chiarisce lo scrittore nell’incipit del racconto, il rione dell’ambientazione «è quel grosso mucchio di case tra la riva sinistra del fiume, la Chiesa del Carmine e le pendici di Bellosguardo; dall’alto, simili a contrafforti, lo circondano Palazzo Pitti e i bastioni medicei». Sanfrediano è tradizionalmente un quartiere popolare, «il più malsano della città», dove «le case sono antiche per le loro pietre, e più per il loro squallore; formano, l’una a ridosso dell’altra, un immenso isolato, qua e là interrotto dall’apertura delle strade, con gli improvvisi, incredibili respiri del lungofiume e delle piazze, vaste ed ariose queste, come campi d’arme, come recessi armoniosamente estesi», animati dal «rissoso clamore della sua gente»3. Oggi anche questa parte dell’Oltrarno ha subito i contraccolpi del turismo di massa, le sue strade sono invase da ristoranti e trattorie per lo più bugiardamente tradizionali, da caffè e locali al servizio di una movida caciarona e disordinata, ma rispetto al resto della città riesce a conservare una sua genuina fiorentinità che è invece andata quasi completamente perduta nella Firenze più monumentale. Quando Zurlini sceglie i set reali del suo primo film fiorentino (tornerà nella città del giglio per un ulteriore adattamento da Pratolini), Sanfrediano è ancora come la descrive lo scrittore, abitata dallo stesso popolo vivace del romanzo: uomini «sentimentali e spietati ad 200
Le ragazze di San Frediano
un tempo, […] caparbi ed attivi»; donne e fanciulle «belle, gentili, audaci, sfrontate; e nel volto, nelle parole e nei gesti delle quali la castità medesima acquista il significato di un misterioso e irresistibile adescamento, e la licenziosità il senso tutto esplicito, ignaro e disarmato del candore»4. Il regista, in realtà, ha all’inizio molti dubbi sulla realizzazione del film e non ha particolarmente amato il romanzo, che considera minore nella produzione pratoliniana. «Si trattava di una commedia ‘all’italiana’ tutta incentrata sui giovani – afferma in un’intervista – […]. A dargli un certo che di freschezza fu il fatto che a interpretarlo fossero dei debuttanti. Ne venne fuori una cosa vivace e spiritosa, ma anche venata da una sorta di malinconia di fondo»5. La pellicola non entusiasma i critici, ma si fa notare per il ritratto ironico e credibile della gioventù sanfredianina e per l’attenzione al contesto urbano che la circonda. I titoli di testa de Le ragazze di San Frediano scorrono sulle immagini del lungarno Corsini, percorso dal protagonista Andrea Sernesi, detto Bob, in sella a una moto lanciata a forte velocità. La sua corsa è però fasulla, come le avventure di cui si pavoneggia spacciandosi per un corridore professionista. Dopo aver attraversato il campo aperto della piazza del Carmine, che appare spoglia e assolata, libera dalla coltre di lamiera delle automobili parcheggiate che l’ha ricoperta per anni fino alla recente pedonalizzazione, il giovane ritorna alla verità più semplice del suo modesto lavoro di meccanico nell’officina guidata dal fratello maggiore. La bottega è in via dei Preti e nel palazzo di fronte abitano il bullo e la sua famiglia. Il mondo del fascinoso Andrea Sernesi è tutto nei limiti della strada e del rione, con le sue piazze e i suoi ritrovi, fuori dal quale non è più nessuno. A nord dell’Arno, nella città monumentale, non potrebbe permettersi di farsi amare da tante donne contemporaneamente come invece gli riesce per tutto il film, fino all’umiliazione subita nella sequenza di chiusura, con le sonore pedate inflittegli dal fratello. Diversamente dal romanzo, le ragazze della sua Sanfrediano sembrano non avere altro orizzonte di vita che il matrimonio, sono donne perennemente controllate dai maschi di famiglia, relegate negli interni domestici, lontano dagli appetiti maschili. 201
La città di Bob e delle fanciulle che inganna è un territorio a parte, un luogo vivo prima che storico, genuinamente popolare, pittoresco forse, ma senza scadere nell’estetica mortifera della cartolina turistica. Un tessuto urbano di chiara ascendenza neorealista, un intrico viario palpabile e quotidiano, sottolineato dal vociare degli artigiani e dai rumori dei loro mestieri, punteggiato dalle urla delle donne che chiamano i propri uomini dalle finestre o litigano con le vicine di appartamento. Uno spazio filmico vero e poetico, insomma, al quale Zurlini guarda con partecipato mestiere di cineasta colto e attento6. L’Oltrarno acquista valore di significativo luogo dell’anima, dove risuonano memoria e senso di appartenenza, nel quasi coevo Porta un bacione a Firenze (1955), diretto da Camillo Mastrocinque. Questa commedia sentimentale, contrappuntata dalle canzoni di Odoardo Spadaro, Claudio Villa, Nilla Pizzi e Carlo Buti, vede protagonista la bella Simonetta, figlia di fiorentini emigrati a New York, decisa a tornare nella terra natìa per un lungo periodo di vacanza, in seguito alla fortunata guarigione da una grave malattia agli occhi. Qui incontra Alberto, uno scultore galantuomo che la accompagna nella visita della città dai capolavori artistici ineguagliabili e dalle bellezze paesaggistiche senza pari. Firenze è dunque filmata dal regista Mastrocinque come un lirico sfondo turistico, una quinta scenica di retorica ripetitività. Non mancano naturalmente limpide riprese del panorama cittadino dal Piazzale Michelangelo, dei lungarni, delle piazze e degli edifici più noti, del tradizionale incontro di calcio in costume, che allora si svolgeva in piazza della Signoria, dell’affollato e variopinto struscio per la via dei Calzaiuoli. Eppure la raffinata e benestante Simonetta, che soggiorna in una villa aristocratica sulle colline, in un momento di intima confidenza con l’amico scultore, di fronte alla spettacolare vista di Firenze dalla balaustra del Piazzale, rivela che con la sua famiglia, prima di fare fortuna oltreoceano, «abitavamo laggiù, vicino alla chiesa del Carmine. Eravamo gente modesta». Il ricordo si fa subito nostalgico, il sorriso della ragazza si spegne ritrovando il pensiero della madre morta tanti anni prima, ma poi lo sguardo si raddolcisce riandando agli anni dell’infanzia, allietati dai dolci di una rassicurante caramellaia. Nella sequenza successiva vediamo Simonetta e il fido Alberto in piazza del Carmine, nel tratto in cui si restringe convergendo nel Borgo San Frediano. L’ormai anziana venditrice di caramelle è sempre al suo posto, seduta dietro il piccolo banco con le variegate chicche, riconosce nella donna la bambina degli anni andati e le consegna il velo da sposa materno che ha conservato per tanti anni: «Sarebbe ora che l’adoperassi te», le augura infine. La piazza, con la sua composta serenità, la facciata disadorna e sincera della chiesa sullo sfondo, incornicia l’abbraccio delle due figure femminili, che rappresentano l’incontro delle diverse età della vita, in una elegiaca e familiare cartolina della memoria. Così per Mastrocinque New York, ripresa nelle sequenze di apertura, è la città dove ha luogo l’audacia dell’architettura moderna, Firenze per contrasto è la città del cuore, dove Simonetta può rivelare felice: «Soltanto ora mi sento soddisfatta»7. Anche la città protagonista dell’opera narrativa di Pratolini non è quella problematica e corruttrice del romanzo urbano moderno, contrapposta all’innocenza primitiva del mondo rurale; la sua Firenze ha nel quartiere il proprio fulcro emotivo, dove nessuno è veramente solo, ma condivide l’abbraccio dell’amicizia solidale, il calore di una umanità che si riconosce nello stesso destino. Lo scrittore, per il quale la rabbia non è mai disperazione, riporta alla propria poetica anche le sceneggiature alle quali lavora, come nel caso de La viaccia (1961), diretto dal pistoiese Mauro Bolognini, liberamente tratto dal romanzo L’eredità (1889) dell’amiatino Mario Pratesi (che aveva invece ambientato la vicenda a Siena), interpretato dalle giovani star Jean-Paul Belmondo e Claudia Cardinale. In questa umanissima riproposizione letteraria, il regista, laureato in Architettura all’università fiorentina, conoscitore della città fin nei suoi scorci più nascosti, filma una Firenze nostalgica e storicamente accurata, ispirata alle vedute dei macchiaioli e alle fotografie dei fratelli Alinari. Lontano dal moralismo di Pratesi, stemperato dalla riscrittura di Pratolini, Bolognini è intento piuttosto alla ricostruzione figurativa degli ambienti dei bordelli di lusso e della vie della città, animate da signorine intriganti e giovanotti esuberanti, da una 202
borghesia elegante e viziata, in netto contrasto con gli intrighi familiari e la rabbia sopita che abitano il podere che dà il nome al film. Il giovane Ghigo fugge dalla casa paterna, la iaccia, dove il destino di ognuno è segnato dal legame indissolubile con la terra e dalla rassegnata sopportazione dei capricci del padrone, per vivere una impari lotta d’amore con la volubile e ambita prostituta Bianca.
La viaccia
Ghigo giunge a Firenze imboccando il lungarno Soderini, lo vediamo attraversare l’inquadratura a bordo di un carro ripreso dalla piazza di Cestello: la sequenza, che incornicia il lungofiume nebbioso e sullo sfondo il profilo autunnale della città storica, nel bianco e nero lattiginoso del fotografo Leonida Barboni, compone un’accorata elegia visiva che riporta lo spettatore ad un Oltrarno vernacolare ormai scomparso. Scene come questa, e soprattutto come quella dell’incontro tra il magnetico Belmondo e l’indomita donna di vita impersonata dalla Cardinale, che avviene nel campo aperto e battuto dalla pioggia della piazza del Carmine, in un quadro che rimanda alle vedute urbane degli impressionisti, sembrano giustificare le accuse di calligrafismo che i recensori rivolsero al film. Eppure la colta ispirazione figurativa e la ricercatezza formale del regista, trovano un giusto punto di mediazione negli accenti di irrequietezza esistenzialista e nel ribellismo tutto attuale del protagonista, nella tematica narrativa di derivazione naturalista e nella scelta dei set adeguati al contesto sociale. Bolognini sceglie opportunamente di muoversi nella Firenze meno riconoscibile, utilizzando alcune strade dell’Oltrarno: ad esempio la casa dove lavora Bianca è in via via del Presto di San Martino, di fianco alla chiesa di Santo Spirito, ma non mostra mai le sue piazze includendo nell’inquadratura le facciate delle chiese che vi prospettano (e che ne hanno determinato la formazione nel complesso urbanistico della città a sud dell’Arno), come a volerne fare spazi qualsiasi della laicità borghese, anticamere espressive della licenziosità degli interni dove avvengono gli incontri amorosi tra meretrici e clienti. Nel 1962 Zurlini ritorna a Firenze per girare Cronaca familiare, film crepuscolare e dolente che mette in scena il romanzo autobiografico del 1947, un lancinante diario intimo e personale in cui Pratolini mette a nudo il difficile rapporto con il fratello minore e i contrastanti sentimenti di rabbia e rimorso in reazione alla sua scomparsa prematura. In questo fedele adattamento8, premiato con il Leone d’oro alla Mostra di Venezia, il regista e il direttore della fotografia Giuseppe Rotunno scelgono di ricreare un’immagine degli spazi il più possibile bidimensionale, come la definisce lo stesso Zurlini, ispirata alla pittura di Matisse e alle atmosfere coloristiche di Rosai. La troupe gira allora in inverno e solo nelle giornate senza sole, per evitare le ombre e appiattire 203
Cronaca familiare
gli sfondi. L’occhio del regista guarda attraverso l’obiettivo di una macchina da presa gestita in modo asciutto, secondo riprese quasi statiche o che comunque evitano movimenti elaborati. «Lasciai che a rendere l’epoca e l’ambiente fossero pochi tocchi discreti, appena simbolici»9, ammette, filmando una città fin troppo estetizzata, quasi irreale, impassibile di fronte allo strazio dei due fratelli protagonisti, interpretati da un compenetrato Marcello Mastroianni e dal giovane Jacques Perrin. Alle critiche che lo accusano di aver ritratto una Firenze troppo cerebrale, pittorica, Zurlini risponde semplicemente che è Firenze ad essere troppo bella, e che lui ha soltanto portato la cinepresa nelle sue strade, seguendo l’ispirazione alla pittura che preferisce, quella di Rosai, dove la città è sempre deserta, svuotata da ogni presenza. Piazza del Carmine, l’Oltrarno, i paesaggi urbani preferiti dal pittore, rappresentano l’intuizione visiva che orienta il film, in un mondo invernale e solitario, in una verità ambientale raggelata, il funereo preludio urbano al calvario del fratello più giovane. L’accentuata sapienza figurativa che Zurlini dimostra in Cronaca familiare, le studiate composizioni cromatiche, i colori raffreddati, spenti e le ombre dense, le prove attoriali in sottrazione, i movimenti di macchina rallentati e riflessivi accompagnano e visualizzano l’atmosfera intima e toccante della storia, che si svolge alla periferia dell’Oltrarno, dove la città sfuma nella campagna, nelle vie della prima collina, via di San Leonardo, dove Rosai ebbe il suo studio, costa San Giorgio, costa Scarpuccia, costa dei Magnoli. Strade, scelte dopo accurati sopralluoghi in compagnia del pittore stesso, desertificate, come se l’umanità fiorentina fosse scivolata nell’ombra per lasciare spazio solo al disincanto dei protagonisti. La scelta di girare nei luoghi canonici citati nel romanzo caratterizza anche il lavoro di Bolognini per Metello (1970). Sempre in bilico tra populismo e preziosismi espressivi, la pellicola del regista pistoiese mostra una città in fermento, politicamente vivace, in cui si muove sicuro il giovane muratore Metello Salani, interpretato da un giovanissimo Massimo Ranieri. Se i riferimenti figurativi di Zurlini sono pittorici, quelli di Bolognini sono qui derivati dalle vedute fotografiche d’epoca, grazie alle quali riesce mirabilmente a ritagliare nella Firenze moderna scorci credibili di sapore ottocentesco. La città è per lui un teatro, i suoi luoghi concrete quinte sceniche per raccontare una vicenda che intreccia coscienza sociale, protesta sindacale e dramma sentimentale. La giovane e battagliera Ersilia che Metello sposa, è una ragazza di Sanfrediano e corrisponde in pieno alle descrizioni delle donne del rione che ne fa Pratolini: sposa, madre, lavoratrice è l’amore della vita 204
Metello
dell’imberbe muratore anarchico, del quale condivide gli ideali di classe, ma che non rinuncia a menare decisamente le mani quando scopre la tresca tra il maritino e la frivola vicina di casa. L’Oltrarno, Santo Spirito, il Cestello, piazza Demidoff sono lo sfondo di un racconto di amore e di lotta che ancora una volta appartiene alla carne e al carattere di questa parte di Firenze10. L’ingresso della Camera del Lavoro11 di fronte al quale si riuniscono gli operai in sciopero è filmato in piazza Tasso, il cantiere edile dove ha inizio la protesta è in piazza Paolo Uccello: luoghi operai, aperti in epoche più recenti, dall’architetto Giuseppe Poggi il primo (ma solo nel 1952 ha assunto l’attuale sistemazione a giardino) e il secondo ridotto oggi a infernale incrocio viario invaso dal traffico automobilistico. Un ultimo merito va riconosciuto a questo affresco storico sentimentale che Bolognini dedica a Firenze, quello di aver incluso nei suoi dettagliati panorami anche i mestieri andati che raccontano del rapporto ormai perduto dei fiorentini con il fiume della città: i renaioli sui tradizionali navicelli e le lavandaie chine sul greto a lavare i panni sporchi delle signore. Pochi anni dopo la seconda incursione cinematografica fiorentina di Bolognini, il pubblico delle sale italiane premia con uno straordinario e inaspettato successo quella che sicuramente rappresenta l’opera filmica in cui maggiormente si può gustare il sapore dolceamaro della capitale toscana e della fiorentinità, il citatissimo cult Amici miei (1975). Il soggetto era stato pensato dal genovese Pietro Germi per la dotta e grassa Bologna poiché, pur rifacendosi a personaggi ed episodi successi a Firenze, pensava che il vernacolo toscano non portasse fortuna al cinema, che risultasse poco simpatico agli spettatori non toscani. Preso in mano il progetto del collega ormai gravemente malato12, Mario Monicelli ha invece la felice intuizione di riportare le zingarate della cinica e immatura banda di amici che animano il film in riva all’Arno, aprendo le porte al ricco filone della commedia beffarda e malinconica alla toscana. Ancora oggi un nutrito gruppo di comici fiorentini e toscani beneficia delle intuizioni di Monicelli (e dell’affiatato cast di sceneggiatori che comprende, oltre al regista genovese, Leonardo Benvenuti, Piero De Bernardi e Tullio Pinelli), anche se l’ironia sferzante e sboccata di allora si è via via annacquata in una forma di umorismo innocuo ed evasivo, buono solo per un pubblico natalizio o televisivo. Le burle degli amici protagonisti, sia del film originale che dell’ancora più nostalgico seguito Amici miei - Atto II (1982), sono un modo, nemmeno tanto nascosto, di esorcizzare l’angoscia di non volere invecchiare, un modo di scacciare il pensiero della morte dietro l’affermazione brutale 205
della vita, soprattutto in una città di pietre secolari, pensata e costruita da generazioni sepolte da secoli, che hanno lasciato figli testimoni impotenti di una grandezza che non sanno ripetere. Ugo Tognazzi, Philippe Noiret, Gastone Moschin, Duilio Del Prete (sostituito nel secondo atto da Renzo Montagnani) e Adolfo Celi indossano le maschere inquiete di cinque sodali, figli di una Firenze maledettamente pagana e disillusa, genuinamente irriverente e popolare che non esiste più, come il bar Necchi, il loro ritrovo d’elezione, rinominato Amici miei in ricordo delle riprese del film che vi si erano svolte, che da anni ha cambiato insegna e faccia, trasformandosi in un cocktail bar, in linea con i ritmi e le tendenze della nuova vita notturna che popola l’Oltrarno e snerva gli abitanti. Quella di Monicelli e compagni è un’amara incursione nelle strade di una Firenze invernale e provinciale, un po’ cialtrona, con i muri delle case scrostati e i marmi dei monumenti anneriti dal tempo e dallo smog; una città con i vestiti logori, che non si è ancora messa in ghingheri e snaturata per corrispondere alla cartolina stereotipata del turismo di massa. I suoi rioni sono come piccoli paesi, che tutti insieme formano la città, isole di identità eterogenee che si riconoscono nel giglio e nella torre di Arnolfo, nel Duomo e nella Fiorentina. Di questa Firenze andata, che Monicelli coglie al suo crepuscolo, rimangono soprattutto negli occhi e nel cuore del cinefilo due immagini: quella del bar del Necchi, il più distaccato dell’allegra brigata, che è in via dei Renai, alle spalle di piazza Demidoff, e quella dell’epilogo in piazza Santo Spirito dove si svolge il funerale del Perozzi, il giornalista interpretato da Noiret (significativamente doppiato da Montagnani nel primo episodio).
Amici miei
Anche in questo caso, quindi, i set ubicati sulla riva meridionale dell’Arno accolgono e sottolineano due momenti importanti del film. In via dei Renai si svolge la famosa supercazzola, la zingarata linguistica che il conte Mascetti impersonato da Tognazzi elabora ai danni di un frastornato vigile urbano, mentre in Santo Spirito, dove risiede il Necchi, si vede partire il corteo al seguito del feretro del Perozzi, durante il quale i buontemponi sopravvissuti sugellano con l’ennesima burla il loro patto d’amicizia e la rinuncia a piegarsi all’ordine morale della società borghese. Il film si chiude così, con un’ultima risata di fronte alla morte, con un malinconico sguardo a una piazza che sta per trasformarsi nel ritrovo nottambulo del divertimento spensierato giovanile. 206
Da qui in poi non ci sarà molto più posto per location significative in Oltrarno. Piazza del Carmine appare in una breve sequenza di Eutanasia di un amore (1978), tratto dal successo narrativo di Giorgio Saviane e diretto dall’attore Enrico Maria Salerno, ma è trattata come un set anonimo. Il protagonista è seduto a un caffè della piazza completamente indifferente a quello che lo circonda, inebetito dalla fine di un amore che gli ha spezzato il cuore. Vediamo solo l’ingresso del bar e uno scorcio del parcheggio ingombro di macchine, uno spazio senza alcuna aggettivazione che potrebbe essere ovunque, così come l’uomo avrebbe la stesso sguardo perso nel vuoto anche se si trovasse in qualunque altro bar della città o in qualunque altro luogo del mondo.
Eutanasia di un amore
Alessandro Benvenuti, regista e interprete con il suo trio dei Giancattivi dello stralunato A ovest di Paperino (1982), ha la felice intuizione di un titolo che definisce Firenze come un luogo geograficamente posto ad occidente di un assai meno conosciuto paesino della piana verso Prato (incredibilmente omonimo dell’antropomorfo volatile disneyano), ma la svagata e goliardica flânerie che filma, attraversa molte delle strade minori del centro storico, però senza mai arrivare a coinvolgere quelle di là d’Arno a parte una breve incursione in via del Giardino Serristori e alla scalinata dei Bastioni. Così l’ampia filmografia di successo di comici registi come Francesco Nuti o Leonardo Pieraccioni comprende certo numerose location fiorentine, anche con fugaci apparizioni di scorci dell’Oltrarno, ma si tratta sempre di fondali urbani inconsapevoli, di contorno, motivati più da finanziamenti e agevolazioni regionali, da interventi delle film commission locali, da ragioni pubblicitarie o di product placement che non dalla ricerca di una topografia simbolica, di un’ambientazione espressiva, rivelatrice dello stato d’animo dei personaggi. Anche film più vicini ai nostri giorni come Matrimoni e altri disastri (2010, diretto da Nina Di Majo) o C’è chi dice no (2011, regia di Giambattista Avellino), quasi interamente realizzati a Firenze, non riescono in nessun modo a costruire un nuovo immaginario della città. 207
Cari fottutissimi amici
Unica eccezione che torna prepotente alla mente è Cari fottutisimi amici (1994), ancora di Monicelli, che si apre su una piazza del Carmine ingombra di macerie. Siamo nell’agosto del ’44, quando Firenze è appena stata liberata dalle truppe alleate, ma ancora in balìa dei cecchini fascisti che sparano dai tetti. Di fronte alla chiesa si ritrova un gruppo di improbabili pugilatori, guidati da un ancor meno credibile impresario interpretato da Paolo Villaggio. Dietro di loro le rovine di alcuni edifici ricostruiti avanzando il lato nord della piazza, creando uno scenario inesatto dal punto di vista storico, dal momento che qui non sono mai arrivate le distruzioni della guerra, ma del tutto coerente con l’idea di visualizzare un abitato di cittadini affamati e senza lavoro, disposti a partire per una sgangherata tournée di spettacoli di boxe pur non avendo mai calcato un ring. Infine, mentre si diffonde, soprattutto tramite i canali dei media di socializzazione virtuale, la notizia (allettante per gli urban trend setter vacanzieri e modaioli) che la guida Lonely Planet avrebbe eletto Sanfrediano come il quartiere «più cool del mondo» (sic!), la nostra segreta speranza è che invece il popolo della rete dimentichi presto questa informazione e l’Oltrarno ritrovi la sua antica dimensione vernacolare, recuperi la sua vocazione artigianale, tornando ad essere il luogo di Firenze dove, citando un verso dell’ode alla città di Pablo Neruda, la «maestà del popolo governava»13. G. Villani, cit in G. Fanelli, Le città nella storia d’Italia. Firenze, Laterza, Roma-Bari, 1988, pag. 14. E. Detti, Firenze scomparsa, Vallecchi, Firenze, 1970, pag. 87. 3 V. Pratolini, Le ragazze di Sanfrediano, Mondadori, Milano, 1997, pagg. 5-6. 4 Idem, pagg. 6-7. 5 V. Zurlini, in F. Faldini e G. Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano. Da Ladri di biciclette a La grande guerra, Cineteca di Bologna, Bologna, 2011, pag. 354. 6 A riprova della irripetibilità di una così riuscita ambientazione, gli esterni della deludente fiction televisiva Le ragazze di San Frediano, trasmessa dalla Rai nel 2007, sono stati girati soprattutto a Pistoia, perché oggi le strade del suo centro storico si adattano meglio alle atmosfere che si respiravano nel capoluogo toscano negli anni quaranta. 7 Firenze può diventare al cinema anche una città del cuore infranto, come avviene nel misconosciuto Good bye Firenze - Arrivederci Firenze (1958), film regionale di Rate Furlan, che vede anche la partecipazione di Narciso Parigi, voce della canzone popolare fiorentina, dove i dolori amorosi di uno squattrinato e tormentato artista e della donna che ha abbandonato, si rivelano e si sciolgono in una inusualmente torva piazza del Carmine, dove l’uomo vive e cerca l’ispirazione perduta. 1 2
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Pratolini non aveva apprezzato l’eccessiva libertà con la quale Zurlini aveva affrontato la trasposizione de Le ragazze di Sanfrediano, fino a rompere i rapporti con il regista. Il film del 1962 è invece l’occasione della riconciliazione. 9 V. Zurlini, in F. Faldini e G. Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema italiano. Raccontata dai suoi protagonisti. 1960-1969, Feltrinelli, Milano, 1981, pag. 169. 10 Tra la fine dell’ottocento e i primi del novecento le categorie dei lavoratori più poveri, gli edili e le lavoratrici della paglia e del tabacco, sollevarono pesanti proteste popolari contro i salari irrisori che erano costretti a subire. Sanfrediano rappresentava una delle sacche tradizionali della miseria fiorentina, era il rione che contava il numero maggiore di membri di queste categorie e, su poco più di trentamila abitanti, ben tremilacinquecento erano pregiudicati o ammoniti. 11 A Firenze il socialismo fece forte breccia tra le classi dei lavoratori, tanto che qui nel 1893 fu inaugurata la seconda Camera del Lavoro d’Italia, dopo quella di Milano. In realtà la prima sede fu in piazza degli Agli, in seguito trasferita in piazza Strozzi, ma la scelta di Bolognini di localizzarla in piazza Tasso appare certo più coerente con l’ambientazione generale del film. 12 Germi morirà proprio il giorno dopo l’inizio delle riprese, il 5 dicembre 1974. 13 Il poeta cileno, premio Nobel per la letteratura nel 1971, soggiornò a Firenze nel 1951. Durante la sua permanenza fiorentina scrisse due poesie, La città, da cui è tratta la citazione, e Il fiume, dedicata naturalmente all’Arno. 8
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La genesi del progetto di Stefania Vitali L’esperienza di coordinamento dello studio di un progetto di assetto generale della piazza del Carmine a Firenze, ha dato spunti interessanti nel ripensare alla perenne discussione scientifica che interessa nuclei così fortemente storicizzati come è l’Oltrarno ed in particolare il quartiere di San Frediano. Nel 1317, a seguito anche della petizione dei religiosi della chiesa del Carmine, che avevano chiesto di porre rimedio alle vergognose condizioni dell’area circostante, divenuta deposito di rifiuti, lo spazio davanti alla chiesa è trasformato dalla Signoria in piazza, per il diletto dei passanti, il decoro della città e l’utilità della chiesa1. In tali contesti, la forte identità e la stratificazione storica, sembrano essere un ostacolo alla possibilità di accogliere nuove istanze ed attivare un processo di ridefinizione dei significati e ripensamento e dello spazio. Il carattere mistico e l’asprezza della nuda facciata in pietra forte della chiesa del Carmine suggeriscono oggi come allora un sentimento di silenziosa reverenza che molti cittadini, partecipanti alle assemblee pubbliche del percorso, hanno compreso e sottolineato. Altra esigenza che però è emersa fortemente dell’assemblea è il grandissimo desiderio di ritornare a vivere questo luogo. Le molte mani alzate delle prime assemblee pubbliche volte per lo più a raccogliere i “desiderata”, espressi dai comitati di cittadini, chiedevano a gran voce di riportare la piazza ad una condizione di maggiore confort per migliorarne la fruibilità dove poter socializzare, fermarsi, rilassarsi. Si chiedeva di riappropriarsi di questo luogo, viverlo, renderlo gradevole e vivibile anche nel periodo estivo, di riconquistare un luogo dalla fortissima impronta identitaria utilizzato negli ultimi decenni come deposito pressoché permanente di mezzi meccanici, incompatibile con la qualità’ dello spazio urbano, espropriando di fatto gli utenti di «7,343 mq»2 di città. Un equivoco e male interpretato approccio “funzionalistico” era prevalso sulla vocazione storica, che ha sempre fatto di questo luogo un punto di riferimento, fulcro di aggregazione, luogo assembleare volto un tempo ad accogliere pellegrini e fedeli, oggi i suoi residenti e persone da ogni parte del mondo. A differenza dell’utilizzazione di questo luogo nel passato, dove le occasioni di fruizione erano perlopiù legate al calendario religioso per i fedeli, oggi l’uso è essenzialmente legato allo svago, alla opportunità di socializzazione e relazione decretando un profondo cambiamento della ragion d’essere dello spazio pubblico. La piazza diventa luogo ludico-ricreativo spostando di fatto la fruizione al periodo estivo nel quale, un clima meno piovoso e maggiore disponibilità di tempo durante la pausa del calendario scolastico, implicano la necessità di risolvere il forte disagio che la calura estiva causa in una piazza di pietra assolata e nuda. L’elemento ombra e la necessità di raffrescamento estivo si sono imposti come nuovi e forti obiettivi, da non potere-dovere trascurare nella opportunità di ripensare a questo spazio. Le esigenze e alcune utili indicazioni di molte persone appassionate vedevano nell’introduzione dell’elemento “natura” l’opportunità per riportare nello spazio desolatamente vuoto e degradato dall’uso improprio, un elemento vivo, attrattore di vita e vitalità, rinfrescante, ristoratore.
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G. Fanelli, Firenze, in Le città nella storia d’Italia, Bari, Laterza 1997, p. 42
Dato estrapolato da Relazione finale illustrativa Urban Critical survey: le piazze FASE I (2014), dell’Accordo di Ricerca del 24/09/2012 tra il Comune di Firenze e l’Università degli Studi di Firenze, Responsabile scientifico, Prof. Marco Bini, Coordinamento Prof. Co. Arch. Carolina Capitanio, Responsabile per il Comune di Firenze Dott. Carlo Francini
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L’approccio adottato nel lavoro di coordinamento del gruppo deputato allo sviluppo delle idee progettuali del percorso partecipato, ha richiesto una profonda riflessione cercando di orientare le proposte progettuali verso soluzioni che interpretassero prima di tutto l’incombenza spaziale dell’architettura della facciata e in generale il luogo, ma soprattutto, introducessero considerazioni architettoniche e di assetto planialtimetrico, lavorando al contempo sul concetto di “diritto alla Città” e, di conseguenza, riformulando lo spazio sui nuovi modelli comportamentali, sulle effettive esigenze espresse. Nodo cruciale del dibattito è stato accogliere la nuova esigenza di creare uno spazio di socialità e relazione, in luogo di quello assembleare-religioso. […] Se il problema, della «strutturazione dello spazio» può identificarsi con quello della «progettazione dei comportamenti», le fughe nel passato (storia) o nel futuro (utopia) risultano quanto meno paradossali di fronte alla crisi generalizzata della città. Altemative?. […], lavorare alla rifondazione di un discorso sullo spazio che scaturisca rigorosamente dalla progettazione di nuovi modelli comportamentali, immagine effettiva del «diritto alla Città». «Progettare comportamenti» in luogo di «involucri» formalistici, siano essi imposti dal potere, o ereditati dall’uso, o dalla stessa «tradizione del nuovo». […]. In conclusione, realizzare il passaggio da uno «spazio formalistico» allo «spazio» vissuto3. In una fase di analisi preliminare, ho preso in esame il comparto urbano da piazza Pitti a Porta San Frediano evidenziando la differente fruizione e cura delle piazze ed ho evidenziato l’importanza di concepire la piazza oggetto di intervento, come parte di un sistema più complesso di vuoti nella trama urbana che inevitabilmente nel centro storico di Firenze si caratterizzano per essere tutti fortemente connotati e con vocazioni molto specifiche. L’approccio progettuale degli uffici comunali purtroppo si è sempre mosso pianificando sottodimensionati interventi puntuali, che mal traducono le potenzialità che lo stesso luogo rivela se inteso come parte integrante di un sistema. Un sistema virtuoso dove ogni porzione di spazio risente positivamente dell’influenza degli altri. Per far sì che questo proposito non rimanga su carta, è necessario pensare ad un progetto di riqualificazione di tutte le piazze e soprattutto dell’asse di collegamento tra esse. Osservando le maglie del tessuto urbano sono arrivata all’ipotesi di assumere come asse di collegamento di Viale Ariosto, Piazza dei Nerli, Piazza del Carmine, Santo Spirito e Piazza Pitti, le strade di via dell’Orto, piazza Piattellina, via santa Monaca, via Sant’Agostino e via Mazzetta. Oltre a queste, fondamentali nello studio sono le piazze Tasso e Cestello, con le relative vie di collegamento al suddetto piano. Il carattere “rionale” tipico rispetto al centro storico preserva questa porzione di città dal “turismo mordi e fuggi”, […] L’Oltrarno appare, infatti, come il regno del turista indipendente che qui ha la possibilità di distinguersi nei percorsi, nelle visite, negli acquisti e nelle foto ricordo, separandosi dai turisti di comitiva che rimangono ingabbiati in zone che è bello vedere ma da cui, al contempo, è bello fuggire4. Creare un percorso pulito e sgombro, riqualificato e decoroso, dove prevedere ambiti di sosta per le persone ed ombra, assieme a politiche ad hoc per incentivare gli esercizi commerciali di vicinato, la presenza di artigiani, le attività commerciali rivolte a studenti, pensionati e famiglie, sono due punti che costituiscono fondamentale condizione per rivitalizzare il percorso, e le piazze e, di conseguenza, tutto il comparto urbano.
A. L. Rossi, D. Mazzoleni, “Spazio e comportamento” in B. Zevi, Architettura concetti di una controstoria, Roma, Newton Compton editori, 1994 , p.72
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G. Gugliotta, “La commercializzazione dell’immagine di una città turistica. Il caso di Firenze” in G. Amendola, La città vetrina. I luoghi del commercio e le nuove forme del consumo, Napoli, Liguori, 2006 p.182
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La progettazione dell’asseto generale, da precisare esecutivamente, di piazza del Carmine si è posta, in questo schema, come primo studio del sistema più allargato di assi e piazze, che mette l’accento sul carattere “rionale” da preservare, pur sottolineando ed enfatizzando le unicità dei luoghi che si incontrano lungo il percorso oggetto di studio. La piazza, abbastanza regolare nella forma planimetrica, in realtà offre all’osservatore prospetti dal peso percettivamente molto diverso. La lunga cortina di edifici ad est, l’imponente e visivamente “attrante” facciata della Chiesa e gli edifici ad essa confinanti a sud e la chiusura a nord, ne spostano il peso percettivo creando una piazza eccentrica. Ad ovest, il lungo fronte costituito dall’incantevole muro di recinzione del giardino di Palazzo Rospigliosi Pallavicini attuale sede Collegio Missionario Femminile di San Francesco d’Assisi, svela un vuoto urbano piantumato adiacente alla piazza e lascia intuire lo splendido giardino all’italiana retrostante. L’altezza dello skyline perimetrale qui si riduce drasticamente. Gli elementi che come capisaldi hanno guidato la traduzione compositiva del progetto raccogliendo anche i bisogni rilevati delle persone sono: la fortissima presenza della Chiesa con i punti visuali notevoli5 da presevare da via Borgo San Frediano dalla piazzetta del Carmine a nord e da via Santa Monaca e piazza Piattellina; la possibilità di mantenere uno spazio per piccoli eventi, concerti e rappresentazioni; conciliare ed armonizzare due esigenze, apparentemente ma errroneamente distinte, in qualche modo emerse, che sembrano volere esiti progettuali differenti: una “nudità compositiva” come contrappunto reverenziale alla sacralità del luogo, l’altro della piazza di quartiere, con sedute, giochi, ombra. Altro elemento notevolissimo nella piazza, nell’area attigua al sagrato, è l’ingresso turistico alla cappella Brancacci, che avviene dal chiostro del complesso religioso del Carmine. Il progetto parte con l’individuazione di un primo forte segno, elemento ordinatore dell’intero progetto. Esso riprende l’orientamento del fianco della chiesa proiettandolo in pianta e tracciando il segno generatore delle “due piazze”. L’asse tracciato viene sottolineato da un cambio della trama pavimentale e dall’introduzione di alberi nell’ambito di piazza a ovest, che trovano sull’asse stesso il loro limite, segnando anche in alzato tale direzione. Il nuovo segno crea un invaso che esalta prospetticamente la visuale da via Borgo San Frediano e “accoglie” il visitatore in un abbraccio, ponendo la facciata nel punto di fuga centrale. Al contempo, accompagnando visivamente fino all’ingresso della biglietteria e del portico monumentale di accesso specifico alla suerlativa per Cappella Brancacci, diviene segno che indica ed orienta: una ideale guida verso la visione degli affreschi. Dovendo provare a dare risposta progettuale con una coraggiosa operazione di ridisegno della piazza storica introducendo nuovi elementi, si è tentata una soluzione che tenesse conto dello studio delle proporzioni nel tentativo di controllare armonicamente gli esiti percettivi. La porzione di piazza antistante la chiesa, l’invaso appunto, risulta così riproporzionato, con la dimensione maggiore perpendicolare alla facciata e con una lunghezza di circa il doppio della altezza della chiesa. A ben riflettere ci si convince che una simile piazza sviluppata in profondità produce un buon effetto soltanto se l’edificio dominante sullo sfondo (dunque situato su uno dei lati minori) presenta un analogo rapporto tra le sue dimensioni, cioè se predomina lo sviluppo in altezza (e ciò avviene, di solito, per la facciata delle Chiese).[…] nella maggior parte dei casi si dovrebbero trattare le piazze delle chiese come piazze in profondità e le piazze dei palazzi comunali come piazze in larghezza; […] Tenendo presenti tali relazioni si ammetterà che la dimensione assunta 5
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come principale di una piazza deve essere come minima uguale all’altezza dell’edificio e che per conservare un effetto piacevole, essa non deve superare, come misura massima, il doppio di quell’altezza…6 La lezione di Sitte non può essere assunta come regola assoluta perché per sua stessa ammissione “il confronto delle piante è sufficiente a mostrare una diversità che sconfina nell’arbitrario”7. Tuttavia l’opera di classificazione condotta dal succitato autore, riporta criteri progettuali basici, confortati da uno studio puntuale e scientifico, ai quali potersi riferire. L’introduzione delle alberature, pur indirizzando lo sguardo, costituiscono un elemento percettivamente leggero e permeabile che consente di cogliere nella sua interezza il lungo muro di recinzione del giardino del Palazzo Pallavicini senza minimamente ostruirne la visuale con le chiome che risulteranno alte di più del doppio rispetto al muro. La trama in pietra naturale della pavimentazione sottolinea la diversità dei due ambiti della piazza pur presentando un trattamento materico e cromatico uniforme. Il disegno pavimentale di fronte alla chiesa dovrà riportare un disegno essenziale, dove la trama, posta orizzontalmente rispetto alla visuale da via Borgo San Frediano, è interrotta da ricorsi di diverso taglio e orditura a riprenderne gli allineamenti della trama del tessuto urbano perimetrale. Lo spazio riservato alla zona alberata, il carattere di socialità e di relazione vuole essere esaltato con un trattamento pavimentale frammentato e organico e con l’introduzione delle alberature, intese come riparo e conforto fisico e psicologico. Il rigore viene rotto dal posizionamento casuale degli alberi e dal disegno di posa del pavimento. Qui elementi lapidei scultorei saranno studiati per essere comode sedute o elementi-scultura per il gioco dei bimbi. Così la “piazza della chiesa” e la “piazza del quartiere” coabitano in uno stesso luogo e si fondono in uno schema fluido, senza recinti, scalini e drastici cambi materici, dove la semplicità di impianto offre flessibilità fruitiva oggi ed in futuro. Gli spazi così concepiti hanno prodotto un consenso finale, tra le persone che hanno confortato l’azione progettuale, che costituisce la vera ricchezza di questo percorso progettuale. Lo schema progettuale è unico ed è figlio di questa esperienza di partecipazione. L’esperienza di questo percorso svolto assieme ai cittadini, biunivocamente formativa, ha posto non poche difficoltà nel cercare una sintesi tra le istanze dei cittadini e le prerogative dei tecnici. Il risultato, da approfondire e specificare, ha avuto consistenza in un progetto, un ridisegno non facile di uno spazio urbano in un contesto di fortissima impronta identitaria. Non ho mai predetto e non credo che si possa predire il futuro, ma sono certo che l’architettura non morirà. Lo sforzo di organizzare e dare forma allo spazio fisico continuerà a essere esigenza impellente e passione umana. Ma per non morire l ’architettura dovrà coinvolgere chi direttamente o indirettamente la utilizza. Non sarà facile, perchè la società è sempre più intricata: infinite sono diventate le classi, le categorie, i gruppi sociali. Ma questa è la bellezza del periodo che stiamo vivendo8.
C. Sitte, “L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici” in Saggi di Architettura, Jaca Book, Milano 1981, pp. 67, 68, 73, 74
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C. Sitte, op. cit., p. 73.
G. De Carlo, postfazione “La progettazione partecipata” in M. Sclavi, Avventure Urbane. Progettare la città con gli abitanti, Elèuthera 2002, p. 246
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Bibliografia G. Amendola, La città vetrina. I luoghi del commercio e le nuove forme del consumo. Liguori, Napoli 2006 G. Amendola, La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea. Laterza, 2005 G. Amendola, Paure in città. Strategie e illusioni delle politiche per la sicurezza urbana. Liguori, Napoli 2003 Relazione finale illustrativa Urban Critical survey: le piazze FASE I (2014), dell’Accordo di Ricerca del 24/09/2012 tra il Comune di Firenze e l’Università degli Studi di Firenze, Responsabile scientifico Prof. Marco Bini, Coordinamento Prof. Co. Arch. Carolina Capitanio, Responsabile per il Comune di Firenze Dott. Carlo Francini F. Dallari, “Il progetto del territorio: gli scenari turistici della sostenibilità” in Restauro del paesaggio e sostenibilità. Unitarietà d’azione per la governance territoriale-paesaggistica, a cura di S. Van Riel e M. P. Semprini, convegno di studi Rimini 2005, Alinea, Firenze 2006 G. De Carlo, postfazione “La progettazione partecipata” in M. Sclavi, Avventure Urbane. Progettare la città con gli abitanti, Elèuthera 2002 G. Fanelli, Firenze, in Le città nella storia d’Italia, Laterza, Bari 1997 F. La Cecla, Mente Locale. Per un’antropologia dell’abitare. Carocci, Roma 2006 A. Mela, M. C. Belloni, L. Davico, Sociologia e progettazione del territorio, Eleuthera, Milano 1996 C. Sitte, “L’arte di costruire le città. L’urbanistica secondo i suoi fondamenti artistici” in Saggi di Architettura, Jaca Book, Milano 1981 B. Zevi, Architettura concetti di una controstoria, Newton Compton editori, Roma 1994
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Appendice Piace qui concludere questo volume con un omaggio gradito e sentito. Ovvero, ritrovata da Nicoletta Benedetti presso il Fondo Ricci della Biblioteca Comunale Centrale di Firenze, riportiamo le pagine integrali della stampa della Conferenza che il Prof. Piero Bargellini tenne il 16 luglio 1954, in occasione e in onore della consacrazione della Chiesa del Carmine a Basilica minore. Si tratta di un documento prezioso, che testimonia sia della straordinaria sensibilitĂ e capacitĂ storica e letteraria del futuro Sindaco di Firenze, come anche della sua forte sollecitazione alla partecipazione della cittadinanza, sia religiosa che laica, al bene comune e al senso della collettivitĂ , qui rappresentato e chiaramente indicato proprio per la Chiesa e la Piazza del Carmine.
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Finito di stampare nel mese di Dicembre 2017 Presso la Tipografia del Comune di Firenze