Oltre mezzo secolo di Provincia

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DI PROVINCIA

PROVINCIA DI TREVISO

oltre MEZZO SECOLO

la trasformazione del vivere e il cammino dell’Istituzione





Provincia di Treviso

di provincia

oltre mezzo secolo

la trasformazione del vivere e il cammino dell’Istituzione


Provincia di Treviso Prima edizione 2003

Seconda edizione 2016

Cura editoriale Toni Basso

Cura editoriale Carlo Rapicavoli

Ringraziamenti Il curatore della presente ricerca ringrazia per la collaborazione pronta, generosa e paziente:

Responsabile di redazione Franca Tonello

Ex Presidenti, ex Assessori, ex Consiglieri Carlo Bernini Domenico Citron Ivo Dalla Costa Giacomo Dalla Longa Pietro Ferracin Lino Innocenti Lorenzo Manildo Ugo Marchesi Giuseppe Marton Giovanni Mazzonetto Personale dell’Amministrazione provinciale in servizio e in quiescenza Personale dell’Ufficio Protocollo Personale del Foto Archivio Storico Bepi Bisetto Franco Botteon Giancarlo De Nardi Carlo De Roberto Adriano Favero Domenico Giacuz Gianluigi Masullo Giuliana Meneghetti Elizabeth Och Sergio Pavan Franca Ravaziol Tarcisio Romanello Gianni Scarpa Bruno Termite Maria Rosa Visentin Toni Basso Altre disponibilità di Enti e Persone Prefettura Archivio di Stato Biblioteca Comunale Biblioteca del Seminario Automobile Club di Treviso Dr. Francesco Bianchi Associazione “Trevisani nel Mondo” Don Canuto Toso Responsabile di redazione Albina Podda Progetto grafico ed impaginazione Ubis, Treviso

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Finito di stampare nel mese di gennaio 2003 Grafiche Pietrobon srl, Fontane di Villorba, Treviso

Ringraziamenti Il curatore e il responsabile di redazione della presente ricerca ringraziano per la collaborazione pronta, generosa e paziente: Ufficio stampa Alberto Polita Ufficio Comunicazione Consuelo Ceolin Eleonora Valier Personale dell’Amministrazione provinciale Chiara Casarin Antonella Gorza Maria Rosa Visentin Stampa Angiolino Piva Rossano Vettori Finito di stampare nel mese di maggio 2016




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Presentazione Luca Zaia e Leonardo Muraro

12 Strade nella terra, strade nella storia di Toni Basso 1951 Rinascita democratica della Provincia 44

di Bepi Bisetto

La Provincia di Treviso oggi 64 70 Come cambiano le province: la legge Delrio

di Carlo Rapicavoli

Il governo democratico della Provincia 78 a cura di Toni Basso 79 I Presidenti della Provincia 81 Le deputazioni, i consigli, le giunte I deputazione provinciale 82 II deputazione provinciale 83 I Legislatura 84 II Legislatura 85 III Legislatura 86 IV Legislatura 87 88 V Legislatura VI Legislatura 90 VII Legislatura 92 VIII Legislatura 93 IX Legislatura 94 96 X Legislatura XI Legislatura 98 XII Legislatura 99 100 XIII Legislatura XIV Legislatura 102 104

bibliografia

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La conclusione della Seconda guerra mondiale ha segnato anche la fine della occupazione straniera e della dittatura istituzionale. La ricostituzione dello Stato ha recepito e adeguato quella forma di decentramento amministrativo che fin dal 1815 è stata la Provincia, e ha prefigurato la istituzione dell’ente Regione, attraverso una dinamica legislativa ancora in evoluzione.

Dopo sei anni dal termine del conflitto militare, durante i quali la Provincia è stata amministrata in successione da due Deputazioni Provinciali, nominata la prima dai protagonisti della Liberazione, e la seconda dal Prefetto, il 27 maggio 1951 è stato eletto il primo Consiglio Provinciale. L’anno scorso, nella ricorrenza cinquantenaria dell’evento, si era pensato a una tappa di riflessione su questo percorso, per rendere gratitudine a quanti vi hanno dato il loro contributo, ma anche per meglio comprendere, nel mutare delle situazioni, le attese dei cittadini che attraverso le loro scelte democratiche ne affidano l’interpretazione e le soluzioni ai propri rappresentanti. Si è preferito tuttavia attendere la conclusione della legislatura in corso, anche perché, su una celebrazione che intende essere al di sopra delle competizioni politiche, non gravasse il sospetto di una strumentalizzazione ai fini elettorali. Affinché della celebrazione sia reso disponibile a ogni Trevigiano il contenuto e le riflessioni, ne è stato fermato il senso sulle pagine di questo fascicolo, per la ideazione del quale, per la ricerca storica e iconografica, e per il coordinamento dei contributi, l’incarico è stato affidato al dott. Toni Basso, testimone attento e appassionato di questi decenni, il quale ha saputo stemperare in una vena narrativa il rigore di una necessariamente essenziale documentazione analitica, quale si imponeva per una pubblicazione che potesse andar franca in mano a tutti. 10

Luca Zaia Ex Presidente della Provincia di Treviso

Provincia di Treviso


Nel 2001, in occasione dei 50 anni dall’elezione del primo Consiglio Provinciale di Treviso dal dopoguerra, veniva prodotto un volume che raccontava la storia della Provincia, Ente che ha contribuito rendere grande la Marca Trevigiana, svolgendo il proprio ruolo di coordinamento nello sviluppo tra Comuni e Regione.

Un volume ricco di documenti, appassionato nella narrazione quanto nella ricerca. Ora che l’esperienza della Provincia così come l’abbiamo conosciuta sta per terminare, ora che l’Ente a elezione democratica diretta dei cittadini si sta trasformando in un Ente di secondo livello amministrato dai Sindaci e che si apre un nuovo scenario istituzionale di gestione dell’area vasta, abbiamo pensato che era giunto il momento di aggiornare e ristampare quel volume. Completandolo con i momenti fondamentali dell’ultimo decennio, come il recupero architettonico del Sant’Artemio e la restituzione alla cittadinanza del complesso monumentale, caduto in disuso, diventato ora sede della Provincia. Seguire il corso della storia della Provincia di Treviso è come seguire la storia della Marca Trevigiana. Un territorio che dal dopoguerra in poi si è rimboccato le maniche, facendo fiorire un tessuto produttivo di piccoli e grandi imprenditori che hanno saputo conquistare il mondo. Un territorio dalle innumerevoli qualità: lavoro, solidarietà, volontariato, sport, enogastronomia, attenzione per l’ambiente, gestione dei rifiuti, bellezze paesaggistiche e architettoniche, storia e tradizioni. La Provincia, in oltre 60 anni, ha saputo governare il cambiamento trevigiano. Come ultimo Presidente eletto dai cittadini nella storia di questo Ente, mi sento in dovere di ringraziare tutti gli Amministratori che mi hanno preceduto e, al contempo, augurare buon lavoro a chi verrà dopo di me. Leonardo Muraro Presidente della Provincia di Treviso

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strade nella terra strade nella storia

di Toni Basso


Man mano che la corriera si allontanava lungo il viale dei Passeggi, diveniva sempre più piccola la bifora d’angolo della Casa Antoniutti inquadrata dall’arcone di Porta San Tomaso. Dal finestrino posteriore cercavo di fissare nel ricordo l’ultima immagine della città dalla quale me ne stavo andando, senza sapere se e quando sarei tornato, e se ancora la avrei trovata. Nella mente tornavano con insistenza ossessiva visioni di case crollate, e sguardi pieni d’angoscia, e stupore paralizzante di provvisorio sopravvissuto. Il 13 aprile 1944 mi avevano imbarcato sulla corriera, destinato a un paese dove qualcuno mi attendeva, e dove sarei stato raggiunto dai miei, tutti presi dall’affanno di raccogliere quanto si poteva portare via, sempre che avessero trovato un camion disponibile al trasporto. Sapevo solo il nome del paese, e non mi sarei potuto sbagliare perché la corsa finiva lì. Arrivai che era buio. La mattina dopo vidi, alle spalle del paese, i monti. Seppi che ero ai confini della provincia. Era la prima volta che uscivo da Treviso per andare in qualche posto della provincia. Un viaggio che pareva interminabile, forse perché nessuno mi parlava e con nessuno riuscivo a parlare, sicché sentivo con angoscia ancor più accorata come lo scorrere del tempo mi allontanasse dalla città che lasciavo dietro di me.

Dei 35 bombardamenti aerei sofferti durante la seconda guerra mondiale dalla città di Treviso quello del 7 aprile 1944 fu di gran lunga il più tragico per la quan­­tità di vittime e per le devastazioni prodotte nel tessuto urbano. Né le esperienze di altre città, né le modeste incursioni fino allora subite, e neppure la propaganda che mirava a presentare gli incursori come barbari nemici della popolazione erano riuscite a indurre a un consistente abbandono della città. Il 7 aprile rimosse ogni indugio, e lo sfollamento assunse le forme di una fuga terrorizzata e precipitosa. Ogni veicolo pubblico o privato venne sottoposto a viaggi stremanti per trasportare nelle campagne persone e masserizie. Uno degli imbarchi più affollati era fuori Porta San Tomaso: pur di andare si viaggiava accovacciati sui portabagagli sopra le corriere o aggrappati ai predellini dei camion. Foto da collezione privata

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Per noi sedentari ragazzi di città, che la bicicletta non ponevamo neppure nell’anticamera dei più audaci desideri, le Mura costituivano la barriera dell’ignoto, il trampolino di una fantasia che ci proiettava verso distanze non definibili, in continenti irreali, dove incrociavano i Tigrotti della Malesia, Tom Mix, e i moschettieri di D’Artagnan. Paesaggi dell’immaginario animati dal colore dell’emozione, tanto diversi dalle statiche vedute che la memoria geografica riprendeva dai libri di scuola, dove l’Altare della Patria, la Torre di Pisa, il Vesuvio fumante, e le campagne dell’Agro Pontino bonificate dal Duce costituivano il noioso ripetitivo repertorio delle immagini che spaziavano oltre quel vissuto orizzonte urbano, che fuori porta si dilatava appena nella passeggiata autunnale lungo la Restera per andare alle Fiere di San Luca, oppure lungo il Terraglio fino al cimitero per salutare i nonni. Ci parevano già abbastanza foresti quelli che al martedì e al sabato, avvolti d’inverno nel tabarro, arrivavano dalla campagna col calesse o la carretta tirate dal cavallo a montare i bancheti in Piassa del Gran. Chissà da dove arrivavano. A scuola c’era un ragazzo che giungeva ogni mattina a piedi nientemeno che da Selvanabassa. Dov’era mai Selvanabassa? Chi c’era mai stato? La donna che al mattino ci portava il latte dentro a due lucenti brocche di rame appese al manubrio della bicicletta veniva da un altro paese lontano che si chiamava Fontane: immaginavo dovesse partire alle tre di notte. Quando la lontananza non consente di vedere non v’è dubbio che anche le relazioni si affievoliscono. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. I saluti e gli auguri riuscivano a superare le distanze solo grazie alle immagini trasportate dalle Regie Poste. Fin dal loro primo apparire, ancora nel 1871, le cartoline illustrate ebbero un clamoroso successo non solo agli effetti della comunicazione emotiva tra mittente e destinatario, ma an-

che e forse soprattutto per la divulgazione visiva di luoghi lontani, tanto che ben presto sarebbero diventate oggetto di raccolta a formare le schede di una rudimentale enciclopedia geografica popolare. Qualche periodico illustrato non era mancato nell’editoria trevigiana prima della seconda guerra mondiale, tuttavia accessibile a un pubblico elitario, come del resto lo fu il primo libro illustrato dedicato alla provincia “Treviso - Piave - Grappa - Montello”, addirittura stampata a Novara tanto eccezionale apparve l’impresa editoriale che poté realizzarsi nel 1938 solo per il contributo dello Stato assegnato in vista di una operazione propagandistica che aveva preso a pretesto le celebrazioni del ventennale della vittoria nella Grande Guerra. La conoscenza delle realtà lontane era legata, oltre alla capacità di saper leggere e alla disponibilità economica di procurarsi libri e giornali, anche dalla possibilità di rendersi conto de visu della realtà esistenti all’esterno del proprio ambito di frequentazione. Se nel 1931 l’analfabetismo in provincia era stimato al 9,3 % della popolazione di età superiore ai sei anni, nel 1951 il fenomeno era quantificato nella percentuale del 5,4, andando poi nei decenni successivi verso lo zero con valori del 3,2 (1961), dell’1,5 (1971), e dello 0,8 (1981). La popolazione della provincia, che nel 1936 risiedeva in case sparse nella campagna, costituiva il 56% degli abitanti; l’indice era sceso nel 1951 al 43%, e nel 1961 al 35%. L’andar a botega o alla messa in paese era già un viaggio (naturalmente a piedi), tanto che non appariva un’impresa organizzare un pellegrinaggio (sempre a piedi) a qualcuno dei numerosi capitelli diffusi nel territorio. Restava pur sempre un avvenimento riservato a pochi l’andare al mercato nei grossi borghi o in città; e il primo spostamento singolo per i maschi era segnato sulla cartolina rosa del precetto militare, mentre per le ragazze, quando non veniva-


Per la maggior parte dei residenti nella città la campagna costituiva un mondo sconosciuto, o per meglio dire conosciuto solo attraverso le immagini parziali e deformate che giungevano attraverso il cinema, o la letteratura, o il sentito dire; infatti la disponibilità elitaria dei mezzi di locomozione non consentiva di prendere visione sul posto della realtà rurale. Tutto sommato era più frequente che i ceti medio-bassi della campagna venissero in città piuttosto che quelli della città uscissero in cam­­­­­­­­­ pagna. Foto F.A.S.T. fondo Valmareno dereccop - 194

no collocate al servizio domestico “fisse” (per distinguerle da quelle pendolari che lavoravano “a ore”) si concentrava nell’atmosfera romantica del viaggio di nozze in una Venezia, ancora dalle modeste pretese. Il treno per le lunghe distanze, con posti distinti in ben tre classi, la corriera per raggiungere i paesi, altrimenti i birocini o qualche sgangherata carretta affidati alla velocità del cavallo, la cui autonomia non andava oltre cinque campanili: erano questi i mezzi per spostarsi. La bicicletta nuova era già un lusso per il giovin signore un po’ turista e un po’ zerbinotto, quella de seconda man doveva servire a più persone in famiglia secondo prestabiliti turni d’utenza, con indiscussa priorità per andar a lavorare. Ed apparteneva alle abitudini l’uso di cederla in prestito per favore o per lucro. L’automobile era proprietà di facoltosi benestanti, pochi in verità, tanto che si costi-

tuirono in associazione, il Reale Automobile Club d’Italia, al fine di conoscere attraverso l’edizione dei primi atlanti stradali l’esistenza e il percorso delle strade “carrozzabili” sulle quali potersi avventurare. I disagi e i rischi del viaggio nonché la velocità, tutto sommato modesta, più si conciliavano con le consuetudini sobrie di una pionieristica pratica sportiva che con le ambizioni di comfort pretese dal livello sociale dei proprietari. Che imponeva lo chauffer per la guida della vettura, la cui capienza di carico era oltretutto limitata a bagagli bastanti per le necessità di percorsi brevi ed estemporanei, dal momento che le stazioni climatiche o di soggiorno, o i lussuosi hotel delle città esigevano il corredo di voluminosi bauli guardaroba, per spostare i quali ci voleva il treno. La motocicletta poi rappresentava una ricercatezza stagionale, un cavallo meccanico più veloce e resistente di quello animale,

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Il Giro d’Italia, seguito alla radio come episodio sportivo ma anche come evento che compattava l’unità nazionale, contribuì non poco alla diffusione di questo mezzo di trasporto personale che aveva iniziato la sua gloriosa storia come un lusso per giovani benestanti. Le guerre assegnarono alla bicicletta benemerenze militari attra­verso i ber­­­sa­glieri, ma tornò nell’ulti­­mo con­­­­flit­to anche con me­riti civili nel consentire lo sfollamento durante le incursioni aeree. Il cinema neorealista del dopoguerra fece della bicicletta la preda ambita dai ladruncoli metropolitani. La ricostruzione delle città deve alla bicicletta un particolare tributo di riconoscenza per aver consentito il quotidiano arrivo della manodopera dalle compagne limitrofe. Tuttavia una bicicletta nuova ad uso turistico rimase fino all’arrivo dei primi scooter uno status symbol. Foto F.A.S.T. fondo Valmareno, benincce 709

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capace di soddisfare ambizioni turistiche di prestigio, o audacie temerarie che trascinarono sulle glorie sportive molti trevigiani tra i quali Omobono Tenni stroncato sul circuito di Bremgarten il primo luglio 1948. Con la guerra i viaggi cessarono di essere esperienze piacevoli. Erano solo angosciosi strappi, disagevoli tragitti, lunghe distanze, mete internazionali finora sconosciute che ben presto sarebbero diventate tristemente familiari: Nairobi, Tobruk, Nicolajewska, Cefalonia, Dachau. Per quelli che erano rimasti a casa la bicicletta si rivelava una risorsa di salvezza dai costi di esercizio inesistenti: consentiva la fuga dai bombardamenti e la ricerca di uova, conigli, polenta, formaggio, per integrare le diete imposte dalle restrizioni alimentari. La gente di città scoprì così la campagna, e quella di campagna conobbe consuetudini urbane.

Non erano razionati solo i viveri ma anche i vestiti, il sapone, le scarpe, le sigarette. Si arrivò a pagare un chilo di sale trecento lire, mille volte cioè il valore di un francobollo per spedire una cartolina. L’approvvigionamento percorse i sentieri del mercato nero, del cambio-merce, ma anche quelli più illegali della truffa e del furto. Arrangiarsi, era questo il verbo che neppure la fine della guerra era riuscita a cancellare dal vocabolario della sopravvivenza. D’altra parte gli spazi dell’illecito non erano poi tanto esigui se all’ammasso obbligatorio del 1945 furono conferiti solo 80 mila quintali di grano dei 435 mila ottenuti in provincia. Con l'approssimarsi dell’inverno di quell’anno, al disagio per le scarsità alimentari si aggiunse anche quello indotto dal freddo: a scuola si andava solo per qualche ora al giorno, con cappotti e sciarpe che ci si teneva addosso durante le lezioni, mentre


L’ultima lira di carta stampata in Italia: venne emessa nel novembre 1944 sotto la Luogotenenza di Umberto II°. La serie rappresentò le prime banconote post-fasciste e andò a integrare la serie di am-lire emessa fin dal 1943 dalla amministrazione militare alleata nei territori liberati. La circolazione di questo “Biglietto di Stato a corso legale” si protrasse fin oltre il 1950, quando già dal 1946 erano state coniate le prime monete della Repubblica Italiana (nei pezzi da lire 1, 2, 5, e 10), serie che a partire dal 1951 venne sostituita da quella rimasta in vigore fino all’avvento dell’euro. Collezione privata

nelle case l’unico calore era prodotto con la legna da quell’oggi introvabile cimelio che fu la cucina economica, con la quale oltre a cuocere i cibi si riscaldava la stanza. L’Amministrazione Provinciale, in quegli anni retta da una Deputazione di nomina prefettizia, nella seduta del 19 novembre 1945 concesse l’autorizzazione ad abbattere i platani che fiancheggiavano la strada Noalese per farne legna da ardere. L’incalzante, drammatica istanza del primum vivere non lasciava molto spazio alla riflessione progettuale su quel futuro, per il quale erano stati pagati altissimi prezzi in termini di vite umane, di sofferenze fisiche e morali, e di danni materiali. La ricostruzione edilizia, il rilancio delle attività produttive, la riorganizzazione delle istituzioni, nel loro pur faticoso incedere, non riuscivano andare oltre la medicazione delle ferite prodotte dai recenti traumi sociali e bellici.

L’elaborazione dello stesso progetto sociale, la costituzione dello Stato, non poté vedere la luce che dopo trentadue mesi dal termine del conflitto. Alla carenza delle più elementari risorse sovvennero gli aiuti materiali e il credito finanziario concessi dall’estero. L’economia pareva non sapesse discostarsi dalla tradizione agricola se il motto che campeggiava nel manifesto pubblicitario della fiera campionaria allestita in città dal 2 al 22 ottobre 1946 recitava vistosamente “Per la rinascita edilizia e la rieducazione del lavoro agricolo”. Il fervore di rinascita era più avvertito nella città, dove maggiormente si erano fatti sentire i traumi, e dove erano più concentrati i centri direzionali della attività economica, della amministrazione pubblica, e del dibattito politico. Lungo le vie disseminate di buche e cosparse di polvere, le jeep e i dodge dei soldati americani e inglesi pare-

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Il proporsi della provincia al di fuori del proprio ambito territoriale aveva già avuto incoraggianti riscontri: all’indomani dell’unità nazionale, nel 1872, con la Esposizione Regionale Agricola Industriale e di Belle Arti tenutasi dal 5 ottobre al 1° novembre, e quindi nel 1888 con la Esposizione di frutticoltura, floricoltura e piccole industrie relative inaugurata il 26 agosto. Alla fine della Seconda guerra mondiale l’idea riemerse nel 1946 prendendo la forma di una Fiera Campionaria (ripetuta anche nei successivi anni 1947 e 1948). Lo slogan “Per la rinascita edilizia e la rieducazione del lavoro agricolo” esprimeva sì la volontà di rinascita ma ignorava totalmente la prospettiva di una industrializzazione, quale invece sarebbe andata affermandosi nei decenni successivi. Manifesto dell’epoca

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vano sfidare il penoso via vai dei cavalli infaticabilmente al tiro dei vecchi carri a un asse e due grandi ruote che uscivano di città con le macerie e ritornavano con sabbia, ghiaia o calce. Gli americani non avevano solo i camion, e la benzina, e il pane bianco, e le sigarette, e il cioccolato: avevano la gomma da masticare, che chiamavamo cingun, e una musica vorticosa, il bughibughi che metteva addosso una gran voglia di vivere e di far festa; erano pieni di soldi, le am-lire, che spendevano per divertirsi, facendo la fortuna di quanti (e quante) avessero avuto qualcosa da offrire. Il mito della modernità, che dall’America si riversava sulla città con parole e immagini, con beni e mode, rimbalzava nella campagna distribuito dall’onda delle biciclette sulle quali, con una gavetta di minestra e una bottiglia di robusto vino rosso dentro a una vecchia borsa da scuola, arrivavano ogni mattina muratori e manovali a ricostruire le case. A braccia, con crostose zappe, veniva impastata la malta per terra; a braccia venivano tirati sulle legnose impalcature secchi di malta e di mattoni, non ancora forati come si sarebbe usato più tardi. Nell’attesa che le fabbriche si mettessero a costruire motori per l’edilizia, corde e carrucole era tutto quello che la tecnologia concedeva al duro lavoro dei muratori. Eppure la città, che consumava energie e salute, richiamava irresistibilmente quegli stessi uomini la domenica pomeriggio a vedere Bing Crosby ed Ingrid Bergman, oppure Gianni e Pinotto, stipati in sale fumose, alcune frettolosamente allestite in locali di recupero come il Cinema Piave vicino allo stadio in quello che era stato il deposito del tram numero tre, e il Cinema Canova davanti ai resti di Casa Da Noal in una ex camerata al primo piano della caserma del 55 Fanteria. Oppure al ballo in dancing (una delle prime parole mutuate dalla lingua delle truppe d’occupazione) proliferati un po’ dovunque dai


Nell’area dell’attuale Piazza Borsa sorgeva il prestigioso Hotel Stella d’Oro frequentato durante l’occupazione dagli ufficiali tedeschi. Tale circostanza, e il fatto che l’albergo fu colpito durante il bombardamento del 7 aprile 1944, hanno alimentato la credenza che il motivo dell’incursione fosse stato un convegno di alti ufficiali tedeschi in quell’edificio e in quella data. Dopo la guerra, nei resti dell’albergo, si insediarono negozi e un’autofficina, mentre la piazza Fiumicel­ ­­­li con­­sentiva alle poche automobili allora in circolazione un parcheggio in pieno centro. Foto da collezione privata

nomi seducenti come il Mulino d’Argento, il Gatto Nero, l’Angelo Azzurro, l’Eden, e ancora nei sopravvissuti bordelli di Cae de Oro, sui muri residui dei quali era stata spennellata col catrame la scritta DDT I.I.A.M.C.U. e una data che credo d’aver capito si riferisse ad un’operazione igienica di disinfezione dei locali interni eseguita dai sanitari alleati. Ben presto ci si rese conto che la parola liberazione aveva un più intimo e diffuso vissuto personale che non quello connesso al crollo del fascismo e alla cacciata dei Tedeschi dal suolo italiano. Da una povertà ancestrale c’era ancora attesa di riscatto. Ben lo sapevano quelli che a Cinecittà s’erano messi a girare i film con Vittorio De Sica e la Lollobrigida, dove le parti del “dritto”

risuonavano in romanesco, mentre quelle del sempliciotto o della servetta finivano inevitabilmente per echeggiare il cantilenante dialetto veneto, per dire a tutti quanto pora zente fossero i Veneti. Solo che quei Veneti di solide non avevano solo le braccia ma anche le spalle: bastava loro venir fuori dalla fame. Per il resto sapevano anche trarre da antiche doti quella serena rassegnazione e garbata arguzia per sorriderci sopra. Ma anche la fantasia e il coraggio per inventarsi mestieri nuovi, rinunciando a rimpiangere e rincorrere privilegi o diritti travolti dalla storia recente, per cui qui, meno che altrove, mise radice il piagnucoloso accattonaggio o l’attesa inerte di assistenza. E quando non

Della Loggia dei Cavalieri, colpita durante il bombardamento del 14 maggio 1944, così ne scrisse Mario Botter in un suo libretto di appunti ”... mi sono recato immediatamente sul posto con i miei figli e abbiamo raccolto tutti i modiglioni dipinti caduti, le catinelle decorate, molti travi e col carro a mano le trasportammo al Da Noal...” Foto Botter

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L’imponente mole della chiesa di San Nicolò e il suo campanile, il più alto della città, uscirono pressoché integri dai bombardamenti che nel popolare quartiere omonimo avevano seminato distruzione e morte. Un progetto di risanamento edilizio e sociale, avviato fin dal 1935, era giunto a tracciare il percorso della Via D’Annunzio con gli espropri dei terreni privati. Lo scoppio della guerra interruppe l’esecuzione dei lavori stradali e la costruzione degli edifici che avrebbero dovuto affacciarvisi. Proprio su questi terreni fu individuata l’area per costruire un rifugio antiaereo che purtroppo fu colpito in pieno, mentre intorno continuava in alcune delle vecchie case superstiti l’attività del più vecchio mestiere di questo mondo. Foto di Guido Botter

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si profilavano soluzioni utili, quella gente seppe cercar fortuna sotto altri cieli, trascinandosi una valigia di cartone legata con lo spago: in Argentina, in Australia, in Canada. E se tra uno spettacolo e l’altro i cinegiornali della Settimana Incom mostravano ne L’aurora della Rinascita le immagini della ricostruzione nazionale, la vecchia radio, ammodernata dalla strepitosa invenzione di quel sintonizzatore semiautomatico che era l’occhio magico, riusciva a ricrearci un clima di prestigio internazionale attraverso l’annuncio in più lingue col quale il lunedì sera erano trasmessi dall’auditorium di Torino i concerti della Martini & Rossi, oppure le cronache delle partita di calcio contro l’Inghilterra di Mortensen sospese al racconto vivace di Nicolò Carosio, oppure del duello tra Bartali e Coppi sulle salite del Tour de France nella voce trafelata di Mario Ferretti. Già la pubblicità aveva ripreso a farsi strada nei collegamenti in diretta con i teatri della provincia italiana in quel programma di indovinelli proposti da Silvio

Gigli nella fortunata trasmissione settimanale Botta e risposta che approdò anche al nostro Comunale. Ma per i vincitori non c’erano gettoni d’oro o crocere alle Hawai, si accontentavano di qualche pacchetto di Proraso Frabelia e di Lamette Barbone. E a casa i radiascoltatori, mentre sorridevano sulle spumeggianti satire di Franca Valeri nei panni della Signorina Snob immerse in un costume improvvisamente salito di tono, rimanevano dubbiosi se credere o meno a quel dura minga - el po’ no durar col quale immancabilmente si concludevano le riflessioni di due nostalgici aristocratici da caffè interpretati Nunzio Filogamo e Fausto Tommei. In fondo, pur concedendo la dimensione dell’immaginario, faceva pur voglia di credere che potessero essere alla portata di tutti le storie raccontate dalla narrativa sentimentale grafica nelle pagine di Grand Hôtel dall’audace pennello di Walter Molino e Giulio Bertoletti. Era però nell’aria la percezione che la corsa lenta dei carri, la limitata autonomia


L’occupazione militare alleata fu mantenuta per tutto l’anno 1945. Il cinema Hesperia venne adibito a proiezioni di film in lingua inglese. La tradizione dei cinegiornali Luce fu ripresa da una società che distribuiva la “Settimana Incom”, una proiezione che, come dichiarava il sottotitolo, documentava . Una buona lente ha consentito di vedere che al momento della foto si proiettava nella sala il cinegiornale della Settimana Incom n° 23, mentre il film in presentazione era “Furia nel deserto”. Foto Fini, collezione privata

del cavallo, la pur economica e volonterosa caparbietà della bicicletta non sarebbero potute bastare a liberare tutte le risorse di iniziativa e grinta della gente trevisana, che si sentiva intrappolata dai condizionamenti di percorso e di orario dei treni e delle corriere. In ogni caso anche dallo stato delle strade, quando si pensi che degli oltre tremila chilometri che nel dopoguerra costituivano l’intera rete viaria della provincia, appena centocinquanta costituivano le strade statali, e altrettanti quelle provinciali, per le quali la “bitumatura a caldo” era privilegio di appena 85 chilometri, mentre per gli altri 65 il mantello era costituito da pietrisco macinato e costipato ad acqua, definito in termine tecnico “macadam”, condizione che faceva indicare la strada come “bianca” dal colore del velo di polvere che i carri e il vento sollevavano e deponevano tuttintorno. è fin troppo evidente come in quelle condizioni la fatica e il disagio degli spostamenti fosse riservato appena alla necessità di procurarsi da vivere, cioè al viaggio per

andar a lavorare. I giovani che avessero voluto proseguire negli studi postelementari, se non favoriti nella quotidiana escursione da un breve tragitto in bicicletta o da comodi orari di corriere, dovevano arrangiarsi in fortunose sistemazioni presso parenti o conoscenti, oppure, se la famiglia poteva permetterselo, venivano accolti come convittori nei collegi retti da religiosi, allora presenti anche con scuole interne in diversi centri della provincia. Coloro che si erano alzati di buon mattino per raggiungere la scuola, e rientravano magari nel pomeriggio inoltrato quando l’unica corsa della corriera era quella che portava a casa anche i lavoratori pendolari, di tempo restante per fare i compiti era spesso rimasto solamente quello dopo la cena, magari al lume della lampada a petrolio. Un’inchiesta del 1957 svolta su 87 dei 94 comuni della provincia rilevò che il 10,86% delle famiglie era sprovvisto di corrente elettrica, e di queste poco meno d’un terzo risiedeva in borghi o frazioni, e le restanti in case sparse. Il rilevamento era sta-

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L’avvio dei lavori stradali rispondeva primariamente all’esigenza di creare cantieri di lavoro per la manodopera bracciantile improvvisamente e abbondantemente riaffluita da tutte quelle condizioni che il regime e la guerra avevano creato distogliendola da una occupazi­one pro­dut­tiva pacifica. Foto F.A.S.T., Fondo Valmareno, gallonlu 14

Durante e subito dopo la guerra il “birocio” tirato dal cavallo costituiva il mezzo ordinario per il trasporto delle persone. Ovviamente a beneficiarne erano soprattutto gli abitanti della campagna, favoriti dalla tradizione e dalla disponibilità di fieno. Foto F.A.S.T., Fondo Valmareno, gallonlu 14

L’indisponibilità di mez­zi meccanici, faceva apparire ordinario l’uso di piccone, badile e carriola per quei lavori di cui sono oggi difficilmente immaginabili i ritmi, i disagi e i compensi. La foto è ripresa lungo la strada Castelfranco Cornuda nel tratto Caerano - Ca’ Fasan. (dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956”). Foto F.A.S.T., Fondo Valmareno, gallonlu 14

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Lo Schieson Trevisan appeso alla porta ambienta subito la fotografia all’interno di una cucina della campagna trevisana. La precoce oscurità dell’inverno (il ragazzo tiene il berretto in testa) costringe all’uso della illuminazione artificiale per vederci a fare i compiti scolastici. La luce è quella di una lampada a petrolio che scende dal soffitto. Nel 1958 quasi l’11 per cento delle famiglie della provincia era sprovvisto di corrente elettrica. Condizione certo non incoraggiante per quei ragazzi che volevano studiare e che magari dovevano portarsi lontani da casa in bicicletta o con la corriera.

to promosso dalla Provincia per finanziare un piano di contributi onde agevolare gli allacciamenti, che le società elettriche si facevano pagare in base alla distanza, condizione questa che indusse alla nazionalizzazione del servizio. La mancanza di elettricità nelle famiglie non significava solo la privazione della illuminazione notturna, ma anche della radio che veicolava con tempestività le notizie del mondo, e quindi degli elettrodomestici che al lavoro in casa hanno conferito una dimensione imprevista riducendo tempi e fatiche ma anche proponendo inedite prestazioni. La corriera, che pur rappresentò il primo strumento di progresso sociale non era priva d’altre fatiche e incognite come il superamento della distanza dalla casa alla fermata e viceversa. Il territorio provinciale era allora servito per il trasporto delle persone (e della posta) da ditte concessionarie diverse, che effettuavano corse spesso con

problematiche coincidenze d’orario che allungavano in maniera scoraggiante i tempi necessari a percorrere distanze anche modeste. Alla vecchia Siamic, che copriva le tratte principali della rete provinciale, si aggiungevano altre sigle operanti in zone satellitari: la Fap di Ferrari nell’Opitergino, l’Aia di Armellin nel Vittoriese, Mutton a Conegliano, Baratto a Valdobbiadene e a Pieve di Soligo, Cecconi a Castelfranco; mentre vincolata dal suo particolare sistema di alimentazione era la filovia della società mestrina, erede dal 1938 della vecchia linea tramviaria che, oltre a garantire un frequente collegamento con Venezia, assicurava il servizio alle popolazioni lungo il Terraglio non servite dalle stazioni ferroviarie di Mogliano o Preganziol. Quel bianco parallelepipedo dalla spigolosa carrozzeria, che silenziosamente scivolava giù dal cavalcavia spingendosi dopo la guerra fino a Piazza della Vittoria,

Foto dalla rivista “La Provincia di Treviso” anno 1858, n. 1

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Dal cavalcavia della Stazione di Treviso l’obiettivo spazia sul piazzale pressoché dese­rto: una cor­­riera in atte­ sa, uno “schinsa-sassi” che sistema alla meglio il fondo stradale, due ciclisti e un pedone in posa, un altro piccolo gruppo in fondo, un carretto e un camion, e lontano la bianca filovia. Se del passato rimangono i resti (a sinistra) della quasi centenaria bombardata stazione, del futuro è promessa la grande gru installata, che costituì una autentica attrattiva per i grami diversivi dell’epoca. Sulla destra i lavori di correzione della rampa del cavalcavia, che avrebbero consentito la edificazione del Caffè Mokabon con attiguo diurno (ora biglietteria autobus). Il fumo delle locomotive a vapore (a sinistra) e quello della ciminiera dell’officina del gas (in fondo a destra) sarebbero poi definitivamente scomparsi dal cielo di questa inquadratura. Foto - Sig. Antonio Soligo

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dava un tono metropolitano alla città lusingando audaci prospettive, tanto che nel 1947 la Provincia giunse ad auspicare che lo Stato le concedesse di costruire e gestire a proprie spese ben quattro nuove linee filoviarie sulle tratte Treviso-Conegliano-Vit­ torio, Treviso-Montebelluna-Valdob­biadene, Treviso-Castelfranco e Montebelluna-Asolo. Ma la corriera andava confermando la sua indiscutibile maneggevolezza e versatilità al punto che finalmente nel 1964 avrebbe anche soppiantato la filovia sulla affermata linea del Terraglio. Eppure nella esiguità delle linee allora attive e dei veicoli disponibili, le corriere pare rappresentassero nell’immediato dopoguerra una quota rilevante del traffico stradale, se nei verbali della Deputazione Provinciale si arriva a leggere (29 novembre 1949, strada provinciale Castelfranco-Asolo) che “il traffico è talmente aumentato da richiedere lo spargimento di ben circa 1.500 metri cubi di ghiaia contro gli 800 occorsi nel 1938, e che uno dei motivi principali dei danneggiamenti è la aumentata velocità e pesantezza degli automezzi, oltre che l’intensificato servizio delle

autocorriere”. A ridimensionare tanto enfatica aggressività delle corriere basterà notare come quelle dell’intera provincia di Treviso iscritte al Pubblico Registro degli Autoveicoli alla data del 31 dicembre di quell’anno erano solamente 106, mentre i camion erano 3.295, le automobili 3.599, le moto 2.634. L’incremento numerico degli autobus dal 1946 al 1951 fu del 51%, delle vetture del 62%, dei rimorchi del 68%, degli autocarri del 95%, dei motocarri del 205%. Questi ultimi, passati dai 180 del 1946 ai 549 del 1951, furono i più generosi artefici della ricostruzione: duttili, versatili, incuranti delle intemperie alle quali erano esposti i conduttori, che erano poi i carrettieri di qualche anno addietro finalmente sollevati dalla cura del cavallo e dalle limitazioni di velocità, autonomia e forza che quel genere di trazione aveva fino allora imposto. Il camion rappresentava un bene strumentale che solo le grandi ditte potevano permetterselo. Generosi e indistruttibili risultarono i Dodge lasciati dagli Americani. Attrezzati con rudimentali panche servirono per il tra-


Le foglie hanno ormai abbandonato i platani che in lunghi filari fiancheggiano il Terraglio e le infiorescenze sferiche ancora persistenti avvertono della stagione invernale, mentre le ombre lunghe convincono di un’ora più prossima al tramonto che all’alba. Occorre una lente per scoprire uno scooter che, sulla sinistra, viene incontro al fotografo, sfidando l’irreale - per noi - solitudine del traffico su questa strada e in questa ora. Foto di Giuseppe Mazzotti dal volume “Immagini della Marca Trevigiana”, 1957

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L’invenzione dello scooter offrì un mezzo motorizzato dal costo e dal consumo notevolmente più economico della pur utilitaria autovettura. Elegante e fruibile anche da parte delle donne non ancora familiarizzatesi con i pantaloni, consentiva un turismo di piccolo cabotaggio. Attivissimo fu il club di Treviso tra quelli che organizzavano gite col­ lettive e raduni con premi ai gruppi più numerosi e ai partecipanti dalle provenienze più lontane. Targa - collezione privata

Il potenziamento dei centri industriali esistenti e l’avvio di nuovi hanno offerto opportunità lavorative non solamente ai dirigenti, agli impiegati e ai tecnici, ma anche a tutta quella manodopera non qualificata che soprattutto nella campagna costituiva un esubero. L’uso della bicicletta per la copertura totale o parziale del percorso da casa al lavoro comportava fatiche e disagi, per cui allo scooter, economico nel costo e nei consumi, agile e svincolato dagli orari dei mezzi pubblici, arrise ben presto una insperata fortuna. Manifesto dell’epoca

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sporto delle persone, offrendo una confortevolezza tutta spartana, tollerata grazie alla modestia dei costi o allo spirito d’avventura che animava i primi gruppi di turisti domenicali. Era anche abbastanza consueto l’uso di agganciare al camion uno o addirittura due rimorchi, scena che nelle strade evocava il ricordo delle carovane del luna park viste negli acquerelli struggenti di Sante Cancian. Tuttavia il trasporto delle persone che cominciavano a sentire il bisogno di liberarsi dai condizionamenti di percorsi e orari imposti dai mezzi pubblici, se ancora non disponeva di quel confortevole mezzo autonomo che sarebbe poi diventato per tutti l’automobile, aveva visto nascere un veicolo intermedio tra questo e la bicicletta: lo scooter. è una motocicletta con motore a due tempi, dal telaio con centro abbassato in modo che il guidatore risulta seduto a gambe ravvicinate e non a cavalcioni, consentendone quindi l’uso alle donne (che

non avevano ancora imparato a sostituire la gonna col pantalone) e alle persone che per età o condizioni fisiche personali difficilmente potevano cavalcare la moto. Il nuovo mezzo nasceva senza necessità di immatricolazione al P.R.A. e per la sua guida non era allora richiesta alcuna patente; tale fu il successo da rallentare l’incremento numerico delle tradizionali motociclette, aumentate nel citato quinquennio 1946-51 in provincia di appena il 22%. A dare un volto agli utenti dello scooter che, la Piaggio aveva denominato Vespa, e la Innocenti chiamò Lambretta, è una statistica del 1951. Il 32,2 % erano impiegati e operai, il 22% rappresentanti e piccoli commercianti, il 15,5% medici; seguivano altri professionisti (8,8 %), agricoltori (7,1), artigiani (7 %), esercenti (3,4 %), maestri (1%), sportivi e studenti (1,3 %), altri (1,7 %). Dopo che il giubileo del 1950 con i pellegrinaggi a Roma aveva dissolto l’inviolabilità delle grandi distanze nazionali, sulle an-


cora polverose strade della provincia, scooteristi e ciclomotoristi davano vita a un turismo domenicale casereccio all’insegna di robuste colazioni al sacco consumate sotto gli alberi delle colline. Appena la ricostruzione restituì alla città il Palazzo dei Trecento, dal 14 al 30 settembre 1952 vi fu aperta la Mostra delle Ville Venete, riscoperta e valorizzazione del gioiello più prestigioso di un’architettura civile abbondantemente diffusa in quella che era stata la Terraferma della Repubblica di Venezia, modello originalissimo di una geniale sintesi tra azienda agricola e residenza aristocratica, esempio affascinante di armonia col paesaggio circostante. E se la mostra rappresentò per i Veneti la provocante stimolazione a riappropriarsi della propria identità culturale, per Treviso diede la misura di quale eco e riscontri avrebbe potuto avere la creatività e la caparbietà di questa gente una volta che l’intelligenza e il cuore avessero saputo organizzare la promozione dell’immagine. All’insegna del turismo vennero mosse cultura e spettacolo, gastronomia e artigianato, tradizioni popolari e prodotti tipici, con risvolti determinanti nella economia locale. Dalle Strade del vino ai Festival della cucina, dalle mostre del radicchio a quelle degli asparagi, la vita nella provincia trevigiana andava animandosi di sagre paesane e pranzi in trattoria sull’andante perbenista e godereccio fotografato da Pietro Germi nel film Signori e Signore. Gli insediamenti abitativi della popolazione delle campagne, sparsi nel territorio come erano stati per secoli, se per un verso avevano diradato le relazioni sociali all’esterno della famiglia, per altro avevano consolidato i vincoli interni dell’unità patriarcale consentendo, o forse imponendo, una simbiosi con la terra, un patto di fedeltà reciproca secondo il quale la fatica delle culture veniva ripagata dalla puntualità dei raccolti, scandito il tutto da una sacralità che legava insieme le devozioni propiziatorie e la ras-

La presenza della donna nella società si andò incrementando con l’accesso sempre maggiore nelle scuole e nei luoghi di lavoro. Rimanevano tuttavia antiche remore che frenavano la promiscuità dei sessi, specie nella vita ricreativa, per cui non era raro vedere anche nelle più innocenti festicciole le ragazze che ballavano facendo coppia tra di loro, oppure dar vita a scampagnate in bicicletta, forse alla ricerca di favorevoli incontri. Foto F.A.S.T., fondo Valmareno, rossatoc 502

Collocato nel cuore della città, orgoglio della sua storia, il Palazzo dei Trecento gravemente danneggiato dal bombardamento, fu prima salvato dalla demolizione che lo minacciava a motivo della pericolosa inclinazione dei suoi muri, e poi ricostruito utilizzando i materiali pazientemente recuperati. Il restauro e la ricostruzione, iniziate nel 1946, divennero il simbolo stesso della ricostruzione cittadina, edilizia e civile. Foto da collezione privata

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Nel 1952 venne riaperto il restaurato Palazzo dei Trecento con la Mostra della Ricostruzione curata dal direttore dell’Ente Provinciale per il Turismo Giuseppe Mazzotti, il quale, qualche mese dopo nella medesima sede, attraverso la Mostra delle Ville Venete lanciò una titanica impresa per valorizzare e recuperare questo patrimonio della storia culturale ed economica della Repubblica di Venezia in Terraferma. Il successo della Mostra, successivamente esportata in Italia e all’Estero, valse a richiamare l’attenzione degli amatori e dei politici sulla necessità di tutelare questo patrimonio attraverso la legge istitutiva dell’Ente Ville Venete. Locandina dell’epoca

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segnazione nelle avversità. Nella sua crudele durezza, l’esperienza della guerra aveva dischiuso orizzonti lontani e prospettive nuove di lavoro. Dalla fine della seconda guerra mondiale si è calcolato che almeno 170.000 persone siano emigrate dalla provincia trevigiana all’estero, non solo verso gli approdi tradizionalmente costituiti dal Sud America, dal Canada e dall’Australia, ma anche e soprattutto nella stessa Europa: le miniere del Belgio, le industrie della Germania, le campagne della Francia, i cantieri edilizi e stradali della Svizzera e del Lussemburgo, esportando sì la forza delle braccia, ma anche la tenacia dell’impegno lavorativo, il rispetto della dignità personale, la carica animatrice di valori morali radicati nella fede religiosa e nella unità familiare, la gioia della festa e della convivialità proponendo con successo le tradizioni gastronomiche ed enologiche trevisane andatesi affermando all’estero più per il vissuto degli emigranti che per la pubblicità commerciale. Nelle piccole distanze, quelle delle intimità domestiche, continuavano tuttavia a consumarsi i grandi drammi delle nascite

non accolte, delle turbe mentali che laceravano le famiglie, della tubercolosi ancora aggressiva. Mentre a livello istituzionale si dibatteva la disputa politica sul ruolo e assetto che avrebbero dovuto assumere gli enti pubblici locali, la Provincia di Treviso usciva dalla congiuntura bellica con una presenza non interrotta di servizi in ambito socio-sanitario che, pur con i limiti dell’epoca, rappresentavano la forma più diretta di rapporto dell’Ente con il cittadino. Oltre agli interventi di consulenza ambulatoriale, e di sussidio economico alle famiglie, rivolti anche ad altre emergenze socio-sanitarie, come la protezione dell’infanzia, il supporto alle ragazze madri, l’assistenza ai minorati psichici e fisici, la Provincia aveva continuato a gestire un complesso di presìdi residenziali. Nel 1951 il brefotrofio, ancora sfollato ad Asolo, accoglieva 90 bambini, mentre un’ottantina erano ospitati in altri istituti; in quello stesso anno i degenti nell’Ospedale psichiatrico provinciale e nelle succursali erano complessivamente 1.359; il Consorzio provinciale antitubercolare registrava una media di 156 presenze giornaliere nel sanatorio di Vittorio Veneto, 353 nella Sezione

Sembra un altro mondo quello di cinquant’anni fa, quando l’unico mezzo che accompagnava la sposa in chiesa erano le scarpe, e se pioveva si ricorreva all’ombrello. Unico lusso l’abito bianco per lei e quello scuro per il padre. Alla cerimonia sì e no un fotografo, qualche fiore; e poi tutti a casa della sposa ad aprire il pranzo con risi co la luganega, carne lessa con giardiniera sottoaceto, e nei casi più fastosi fisarmonica e violino per interrompere la seduta prima di passare al taglio della torta. I confetti si usavano già, e se le finanze lo consentivano il viaggio di nozze aveva come meta agognata una notte a Venezia. Oggi, prima di divorziare c’è l’intermezzo del viaggio alle Maldive. Foto F.A.S.T., fondo Postioma, album 3, foto 09

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L’Amministrazione Provinciale aveva costituito fin dal 28 aprile 1935 il Consorzio Provinciale Antitubercolare per la prevenzione e la cura della tubercolosi, essendone socia a metà con l’associazione di tutti i Comuni della provincia che concorrevano in pari quota alle spese mediante un contributo in relazione all’entità delle rispettive popolazioni. Oltre ai dispensari periferici e al laboratorio centrale, la Provincia partecipava alla costituzione del Sanatorio di Vittorio Veneto e dell’Ospedale Marino di Jesolo. Nel 1951 questo presidio registrava 353 presenze giornaliere nella sezione specializzata per la tubercolosi extrapolmonare e 80 nella Colonia profilattica annessa. Foto - dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956” - i bambini ospiti della Colonia.

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ospedaliera specializzata per la tubercolosi extrapolmonare dell’Istituto Marino di Jesolo, e 80 nella Colonia profilattica annessa al medesimo Istituto. Da antica data i capitoli di spesa della Provincia riguardanti questi servizi erano rubricati sotto le voci assistenza e beneficenza. La lontananza delle residenze agricole dai centri urbani, dove avrebbero potuto essere reperibili modalità alternative di affrontare e risolvere il disagio, aveva reso ancor più sentita la condizione di subalternità degli abitanti delle campagne. A costo magari di sacrifici e debiti, la conquista di un titolo di studio per i figli apparve per molti come la prospettiva liberatoria, presupposto indispensabile, se non sempre per imparare un mestiere o raggiungere una professione prestigiosa in qualche modo prefigurata, almeno per conseguire una sistemazione comunque decorosa ed economicamente tranquilla. Senza escludere che sarebbe potuta rivelarsi utile per entrare nel giro di amicizie, conoscenze, e clientele che, nella navigazione strapaesana di piccolo cabotaggio avrebbe potuto consentire approdi al profitto o al potere, evitando la trafila delle lente e fatico-

se promozioni, legate alla capacità individuale e alla assiduità nel lavoro. Una rivincita, in fondo, nei confronti di quanti avevano trovato spianata la via del successo grazie a risorse piovute senza meriti personali dalla tradizione familiare. Ma quella della politica non fu dai Trevisani una strada percorsa con troppa convinzione. La partecipazione alle consultazioni elettorali, pressoché totale nell’immediato dopoguerra grazie anche a una disciplina spesso acritica, sarebbe poi venuta meno lasciando comprendere come questo serbatoio di consensi venisse utilizzato al servizio di giochi decisi altrove, e senza ritorni consistenti di benefici altrove sbarcati, forse anche perché era mancata una vigile e costante presenza di incisive personalità locali nella stanza romana dei bottoni. Lo zoccolo duro della sapienza popolare continuava tuttavia a credere più al vovo in man che non alla galina sui copi, per cui si andava rivalutando la manualità e la versatilità dell’artigiano, l’intuito e l’efficienza dell’imprenditore, che non quel titolo di studio verso il quale le seduzioni del riscatto sociale sembravano lusingare tante ambizio-


Il massimo del divertimento domenicale per gli uomini che abitavano nei paesi della campagna o nelle case sparse, quindi impediti a raggiungere i diversivi della città, consisteva nel ritrovarsi all’osteria per giocare a carte nelle giornate invernali, oppure nella buona stagione per giocare alle bocce. La buona stagione poteva concedere le sagre di paese allietate da attrattive ambulanti, o le feste nell’aia in occasione di qualche particolare raccolto come la trebbiatura e la vendemmia.

ni, su molte delle quali il tempo ha finito per stendere la delusione, consegnando una gioventù scoraggiata e disarmata. Scuole professionali private, come l’Istituto Turazza di Treviso e molte altre sparse nella provincia, sebbene di modesta prestanza istituzionale erano riuscite a immettere nella nascente industrializzazione del territorio quei saperi tecnici che avrebbero dovuto non solo far funzionare le macchine, ma anche intuirne e progettarne l’ammodernamento, quando non l’invenzione di nuove. Giovanissimi imprenditori riuscirono a “mettersi in proprio” nella creazione di piccole aziende fornitrici di beni e servizi, rivelatisi poi supporti nodali determinanti per lo sviluppo dell’industria e del terziario. E tutto questo spesso anticipando le intuizioni e i provvedimenti dello Stato, talvolta anzi in un conflitto di ritmi e stili con la classe politica, la burocrazia e il fisco che non poteva non sfociare in un lento logoramento della fiducia verso quelle istituzioni alla edificazione democratica delle quali queste terre avevano pur pagato un oneroso tributo. Fu proprio recependo le intuizioni e il coraggio dell’iniziativa privata che la Pro-

vincia di Treviso, intervenne a sostegno dell’Opera Pia “Colonia Agricola” di Vascon nella crisi dell’indirizzo formativo manifestatosi al termine della guerra, istituendovi nel 1948 un corso di disegno professionale con annessi laboratori di falegnameria e di meccanica. Nel 1954 l’Istituto fu provincializzato, e nel 1956 venne trasferito a Lancenigo, in una sede intorno alla quale sarebbe poi sorto l’attuale centro. In materia d’istruzione la legge faceva carico alle Province solamente di provvedere alle sedi, attrezzature e servizi relativi alle scuole tecniche, sedi che per l’intero territorio nell’immediato dopoguerra erano costituite dall’Istituto Riccati e dal Liceo Scientifico, mentre per l’Istituto Enologico di Conegliano il ruolo della Provincia era di limitata compartecipazione gestionale. A partire dal 1955, con una iniziativa pionieristica, allora unica in Italia, la Provincia prima in forma consortile con i comuni, e successivamente con gestione propria, ha dato vita a scuole di formazione professionale mirando e aggiornando gli indirizzi sulle richieste in evoluzione del mercato del lavoro, con la preoccupazione di mettere in mano ai giovani,

Foto F.A.S.T., fondo Valmareno, demarann foto 348

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In seno alla Colonia Agricola, sorta come Opera Pia nel 1927 a Vascon di Carbonera per l’assistenza agli orfani, l’Amministrazione Provinciale ritenne nel 1947 di attivare una scuola di Disegno Professionale che assunse poi la fisionomia di Scuola Professionale di Falegnameria e Meccanica. Questo inter­vento, seguito nel 1954 dalla provincializzazione dell’Istituto, diede avvio a quell’indirizzo formativo che avrebbe caratterizzato la programmazione scolastica tecnico-professionale attuata dalla Provincia con l’istituzione di Scuole Professionali distribuite nel territorio e successivamente accorpate nella sede centrale di Lancenigo. Foto - dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956” - la scuola di falegnameria di Vascon

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più che un titolo, una competenza sia teorica come pratica, così da consentire una rapido, sicuro e proficuo collocamento. Vastissima è stata la gamma delle qualificazioni attivate: dai mobilieri agli arredatori ai vetrinisti, dagli installatori ai manutentori agli operatori di apparecchiature meccaniche ed elettroniche, dai parrucchieri agli estetisti, dai pasticceri ai tipografi, dagli operatori nel settore dell’abbigliamento ai manutentori dei mezzi di trasporto. L’insediamento dei nuovi centri aveva privilegiato le zone meno favorite dai collegamenti così da agevolare l’accesso ai giovani dei territori più svantaggiati. Questi sorsero a Cordignao (1956), a Pieve di Soligo (1958), a Crocetta (1960), a Fagarè (1961), a Roncade (1961), a Tezze di Vazzola (1961), a Giavera (1961), a Codogné (1967). L’alluvione del Piave del 1966, durante la quale andarono sommersi ventritremila ettari di campagne può rappresentare l’apice emblematico della depressione del territorio: in quegli anni si andava estinguendo

l’esodo emigratorio verso l’estero, si consolidava l’ammodernamento tecnico e imprenditoriale dell’agricoltura. La sede di Lancenigo inaugurata nel 1956, una volta che l’evolversi dei trasporti rese meno problematici i viaggi, si rivelò opportuna e strategica per consentirvi l’accorpamento delle scuole dislocate, così da offrire insegnamenti reciprocamente integrabili e sussidi didattici più qualificati. Era rimasto parzialmente attivo solo il centro di Fagarè, al quale recentemente si sono aggiunti, per trasferimento dalla Regione, quelli di Vittorio Veneto e di Treviso. Una diligente e progressivamente affinatasi attenzione a interpretarne le capacità individuali diede luogo alla creazione nel 1968 di un qualificato centro di orientamento professionale, nonché all’istituzione di corsi di formazione per disabili. L’edilizia, che nell’immediato dopoguerra aveva intensamente partecipato a ricostruire gli edifici danneggiati assorbendo una notevole quantità di manodopera,


esaurito il primo slancio si trovò a fare i conti con una congiuntura sfavorevole, superata solo grazie all’intervento delle istituzioni nel finanziare l’edilizia popolare, e nel promuovere agevolazioni creditizie a favore dei cittadini che avessero contratto mutui al fine di costruirsi una casa propria. Il coraggio col quale erano stati affrontati i disagi della guerra e la ricostruzione dei guasti aveva reso audaci anche gli abitanti delle campagne nell’aspirazione a liberarsi dall’atavico incubo di perdere l’alloggio a causa della rottura di un contratto agricolo o di uno sfratto per insolvibilità. Ma era soprattutto la costante presenza dell’agricoltore pretesa dalla terra, se non più la fatica divenuta meno gravosa grazie alla meccanizzazione, ad apparire inaccettabile. L’operaio in fabbrica alla domenica non lavorava, e d’estate andava in ferie, e se si ammalava continuava a percepire il salario, e né tempesta né siccità potevano privarlo del pane per la famiglia, e nel cantiere o nello stabilimento si poteva parlare con altri, si poteva alzare le pretese nei riguardi del datore di lavoro, si poteva far carriera e guadagnare di più, insomma non si era più un contadino. La progressiva diserzione dell’attività agricola ha portato dal 1951 al 2000 il numero degli addetti da una percentuale sul totale della forza lavoro della provincia dal 49,6 al 6,1. Se l’industria ha costituito il primo richiamo per nuove forze lavoro, l’evoluzione dei sistemi amministrativi, delle applicazioni tecnologiche, e dei servizi in generale ha finito per costituire il settore preponderante dell’occupazione: nel cinquantennio considerato l’industria è passata dal 30,9 al 50 % degli occupati, e il terziario dal 19,5 al 44,2%. A dare rilievo e colore alla dinamica del fenomeno sono le trasformazioni mentali e comportamentali degli individui. La subalternità, e la povertà che ne esprimeva spesso l’aspetto sociale, furono rapida-

mente messe in crisi da un più disinvolto superamento della tradizione, travolgendo tutto ciò che richiamava alla mente quelle esperienze: dalla casa agli oggetti della vita, dai rapporti sociali alle relazioni familiari, all’uso di quel nuovo bene che è andato diventando il tempo libero. E, mentre i primi caroselli televisivi riproponevano quella cura dell’aspetto fisico e quella ricerca del diletto che un tempo erano risuonate sulla melodia liberty della canzone “balocchi e profumi”, la celebrazione dei consumi spostava velocemente verso l’alto il livello separatore tra indispensabile e voluttuario, lasciando dietro di se una sempre più preoccupante frangia di rifiuti prodotti dall’usa e getta. Il fascino di novità, apparse più facilmente accessibili dai pagamenti dilazionati, le cosiddette vendite a rate, decretò una rapida obsolescenza dei manufatti, la nascita di nuovi bisogni e quindi di maggiori consumi, e di nuove attività. Non è stato forse ancora attribuito abbastanza merito a quell’elettrodomestico che ha tolto la donna dai fossi e dai mastelli dove per generazioni il suo volto era stato costretto a guardare incessantemente verso il basso: la lavatrice. Oltre che sollevarla dal peso della fatica e da protratti orari d’impegno, il nuovo ausilio, al quale l’industria trevigiana ha dato un rilevante contributo produttivo, ha concesso alla donna disponibilità e agilità di spostamenti fino a consentirle l’assunzione di occupazioni extrafamiliari redditizie o gratificanti, che hanno via via modificato il suo ruolo nella famiglia e nella società. La disponibilità nelle giovani coppie di un secondo stipendio ha consentito loro di realizzare la scelta di vivere per proprio conto piuttosto che in coabitazione con la famiglia di uno dei coniugi. Di qui l’esigenza di costruire nuove abitazioni che fossero anche in grado di ostentare l’avvenuta promozione sociale:

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Nella lontana storia dell’uomo il passaggio dalla vita nomade a quella stanziale è stato spinto dal bisogno di ancorare sulla terra un’esistenza irta di precarietà. L’agricoltura si è così sviluppata stabilendo per l’uomo un vincolo vitale con la terra. Fisico e psicologico, che ha resistito per millenni, qua e là divelto dall’audacia di pochi che hanno aperto inediti orizzonti alle attività umane. L’industrializzazione è giunta anche nelle nostre campagne a proporre modelli nuovi di vita che hanno rapidamente modificato le prospettive. Foto F.A.S.T., fondo Postioma, album 2, n. 26

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un’architettura che ambiva richiamare il modello edilizio della villetta unifamiliare borghese; recinzioni e cancelli che avrebbero voluto isolare e distinguere dal contesto ambientale il nuovo insediamento; e ancora stravaganti arredi degli spazi aperti come piante allogene o addirittura esotiche, quando non grottesche civettuolerie come i nani in cemento colorito, per arrivare alla taverna sotterranea, sacrario di un’ospitalità in funzione esclusiva della esibizione. Per non dire di tutta quella corsa ostentativa che a partire dagli anni Sessanta determinò l’incremento esplosivo della spiaggia di Jesolo o della villeggiatura montana, estiva e invernale. Già una indagine condotta dall’Ufficio studi della Provincia e pubblicata nel 1969 su Alcuni aspetti dell’andamento dell’attività edilizia in provincia di Treviso dal 1955 al 1964 quantificava la pesante incidenza del prezzo delle aree fabbricabili sul costo della abitazione finita, così da indurre l’affermarsi della costruzione di edifici plurifamiliari,

sviluppati su piani sovrapposti, e risultanti di singoli appartamenti costituenti unità condominiali. Sorti inizialmente nei comuni urbani dove il costo delle aree risulta più elevato, i condomini sono andati progressivamente diffondendosi anche nei comuni periferici, con una tendenza a guadagnare per quanto possibile la vicinanza ai centri urbani divenuti sempre più invasivamente luoghi di lavoro terziario, e pertanto meglio dotati di servizi quali la distribuzione commerciale, gli studi professionali, gli uffici amministrativi, le scuole superiori, i nodi della rete di trasporti pubblici, e i più qualificati centri di aggregazione. Il condominio ha reso ancora più ravvicinato il confronto competitivo con i vicini di casa per cui la esibizione si è spostata dall’esterno, comune a tutti i condòmini, all’interno dei singoli appartamenti attraverso l’arredamento e le suppellettili. Si pensi allo sviluppo che nella provincia hanno avuto le industrie che si sono occupate di


La vasta area della Piazza d’Armi, che esisteva a Santa Maria della Rovere di Treviso, tra la Caserma Salsa e il Viale Felissent, fu tra le prime utilizzate nel dopoguerra per avviare la costruzione di edifici plurifamiliari sviluppati su piani sovrapposti risultanti di singole unità. Era il preludio di quella edilizia condominiale che avrebbe consentito l’acquisto dell’appartamento, attraverso la contrazione di mutui agevolati, anche da parte di ceti economici fino allora esclusi dalla proprietà edilizia. Dalla pubblicazione “Casa, città, territorio” I.A.C.P. Treviso 1979

mobili: cucine, soggiorni, salotti, per non dire delle librerie, nelle quali dalle legatorie affluivano a far bella mostra di se, senza essere state minimamente sfogliate, le edizioni a dispense direttamente traslocate dall’edicola dove giacevano prenotate, e scelte solo per l’aspetto specioso della legatura che si affacciava alla vista. Altresì un ruolo qualificante è venuto attribuendosi alle suppellettili: dai tappeti ai quadri e a tutte quelle chincaglierie che una moda, a quanto pare ancora montante, delizia i praticanti di quello sport domenicale che è la visita ai cosiddetti mercatini di antiquariato. Ma in definitiva ogni prassi domestica o attività del nucleo familiare fuori casa, specialmente nell’uso del tempo libero, è stata caricata di una funzione qualificante, uno status symbol: dalle pratiche sportive o turistiche dei genitori alle attività parascolastiche dei figli. Il progressivo potenziamento delle attività nei centri urbani è avvenuto a spese

delle abitazioni, per cui l’espulsione dei residenti ha reso più dense le periferie. Il caso del comune di Treviso, che dispone di una esigua corona territoriale periferica, ha prodotto un incremento della popolazione nei comuni confinanti e ad un certo momento un calo degli abitanti nel capoluogo. Il fenomeno assume dimensioni vistose a partire dal 1971, allorché il trend di crescita subisce una inversione di tendenza. Dal 1951 al 2000 la popolazione complessiva del capoluogo e di otto comuni limitrofi è passata gradualmente da 112.796 a 174.044, ma gli abitanti del comune di Treviso, saliti dai 63.437 del 1951 ai 90.446 del 1971, sono da allora scesi agli 83.598 dell’anno duemila. Progressivo invece, oltre che generale, è stato l’incremento nei comuni contigui specie a partire dal 1961, con valori particolarmente eclatanti a Casier dove gli abitanti sono passati dai 3.376 del 1951 agli 8.564 del duemila. Va solo rilevato come nei comuni limitrofi di Preganziol e

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La foto scattata intorno al 1950 (è già costruito il palazzo INA ma non ancora l’Hotel Continental) mostra il piazzale della Stazione Ferroviaria di Treviso incredibilmente deserto. Verrebbe da pensare che si tratti dell’ora meridiana d’una giornata canicolare, ma le ombre lunghe degli alberi ci avvertono che è verso sera, e l’abbigliamento del pedone che si avventura solitario nella piazza non sembra deporre per una stagione estiva. Verisimilmente è dunque quella che oggi consideriamo l’ora di punta di una giornata autunnale. Il confronto con il traffico attuale in quel luogo e in quell’ora è sufficientemente indicativo delle trasformazioni che sono avvenute nel modo di vivere. Da una cartolina illustrata dell’epoca, collezione privata

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Villorba l’incremento era iniziato ancor prima del 1961, dovuto quindi ad altra causa, probabilmente individuabile nella loro dislocazione sulla direttiva stradale Pontebbana, come del resto confermerebbe analogo incremento riscontrato per altri comuni, tra i quali Mogliano e Spresiano. Se i movimenti demografici, almeno fino all’anno duemila, sono significativi delle trasformazioni sociali della popolazione di un territorio, si può già fin d’ora affermare che il capoluogo con il suo hinterland e la strada Pontebbana hanno costituito condizioni favorevoli di crescita. Altresì va rilevato come anche Conegliano con i vicini comuni di San Vendemiano e Santa Lucia di Piave hanno presentato valori di rilevante incremento, indubbiamente legato alle attività industriali di questa città dove la Zoppas era passata dagli 840 addetti del 1952 ai 3949 del 1967, come altre positive realtà vengono evidenziate dai dati di Castelfranco e suo hinterland e della Pedemontana da Pieve di Soligo a San Zenone degli Ezzelini, mentre da valori stazionari o lievemente scostati in positivo o negativo sono caratterizzati gli altri comuni, salvo alcuni in deciso regresso demografico come Cessalto che dai 5.718 abitanti del

1951 è sceso ai 3.065 dell’anno duemila, seguito con coefficienti meno pesanti dai comuni di Chiarano, Fregona, Portobuffolè, e Sarmede, penalizzati probabilmente dalla loro dislocazione rispetto alle direttrici del grande traffico indirizzato e proveniente dai poli industriali di Mestre, del Pordenonese e del Veneto occidentale-Lombardia. Non è chi non veda come le comunicazioni, i trasporti, la viabilità abbiano giocato un ruolo determinante nella trasformazione di una società come quella trevigiana fortemente caratterizzata dall’iniziativa individuale, che, grazie alla sempre più diffusa disponibilità dei mezzi autonomi di trasporto delle persone e delle merci, è andata esprimendosi attraverso una proliferazione parcellizzata dei centri di produzione, per lo più dalle dimensioni medio piccole, spesso ruotanti intorno a persone legate da vincoli familiari. L’aumento del traffico è sufficentemente documentabile dall’incremento dei veicoli immatricolati al Pra, passati dai 13.126 del 1951 ai 605.179 del 2001. Clamorosi apparvero i primi interventi sulla viabilità promossi cinquant’anni fa dalla Provincia nelle strade di propria competenza, come la rettifica della “doppia curva di


Il traffico nella strada del Foresto Nuovo ad Asolo, quale appariva in una foto pubblicata nella rivista “La Provincia di Treviso” dell’anno 1958, numero 1.

Il traffico nella strada per Farra di Soligo, quale appariva in una foto pubblicata nella rivista “La Provincia di Treviso” dell’anno 1958, numero 2.

Degli oltre 3.000 chilometri che nel dopoguerra costituivano l’intera rete viaria della provincia, appena 150 appartenevano alle strade statali, tutte asfaltate. Altrettanti i chilometri di strade provinciali: 85 asfaltati, e 65 con fondo costituito da pietrisco macinato e costipato ad acqua, definito in termine tecnico “macadam”. Per tutte le altre, come questa nell’Asolano, solo terra battuta, con polvere e buche alle quali veniva ogni tanto rimediato con riporti di ghiaia depositata ai bordi della strada. Foto da collezione privata

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Quinto” sulla Noalese, come il rifacimento del “cavalcavia della morte” sulla Feltrina viziato anche questo da una doppia curva a suo tempo impostasi per superare ortogonalmente un tracciato ferroviario, come ancora la costruzione di quel primo esperimento di tangenziale praticato a Follina, fino alla progettazione della “Cadore-Mare” che, col pretesto di agevolare l’afflusso turistico alla nascente spiaggia di Jesolo, mirava a sollevare il degrado dei territori della Sinistra Piave. In cinquant’anni, per l’acquisizione dai Comuni o per la costruzione di tracciati ex novo la rete stradale la cui manutenzione è a carico della Provincia, che nel 1951 misurava 147 chilometri, in cinquant’anni è stata decuplicata, avendo recentemente assunto l’onere manutentivo anche di quelle strade che nel corso di questi cinquant’anni erano state nazionalizzate (come la Feltrina, la Jesolana, la Noalese, la Schiavonesca, e altre). L’estensione dei tracciati si è progressivamente accompagnata dall’allargamento delle sedi stradali e dall’adeguamento del fondo all’uso dei pesanti veicoli di trasporto merci, nonché dalla costruzione di opere per agevolarne lo scorrimento. Svincoli, tangenziali, cavalcavia, sottopassi, rotatorie sorgono ora su terreni che cinquant’anni fa erano campi coltivati o stradine percorse da carri trainati da buoi. Non v’è dubbio che siffatta, e per certi versi tumultuosa e incontrollata, evoluzione non ha mancato di creare invasioni di cemento e asfalto capaci di turbare l’equilibrio ambientale, biologico ed estetico, dei territori campestri, e ha scaricato una congestione veicolare sulle limitate recettività dei cosiddetti centri storici, oggi travagliati da inconcludenti dibattiti sulla regolamentazione del traffico, sui parcheggi, sulle aree pedonali e sui servizi d’autobus, dibattiti che rivelano una incapacità di prendere atto come non si possano conciliare le attuali pretese del traffico nelle pubbliche aree dei

centri abitati, con le dimensioni e conformazioni di questi, specie di quelli che sono stati modellati da una lontana e ben diversa maniera di vivere. La dimensione comunale ha rivelato altresì la sua inadeguatezza non solo nella necessità di preveggenti e coordinati progetti viari e insediativi, ma anche nella gestione di altre risorse e problematiche territoriali quali la protezione civile, la regimentazione dei corsi d’acqua, la regolamentazione della pesca e della caccia, l’approvvigionamento idrico e alimentare, lo smaltimento dei rifiuti, la programmazione economica, la tutela del patrimonio ambientale, la valorizzazione dei prodotti tipici e delle culture locali, la promozione turistica. è sembrato che le diverse aspirazioni alla sussidiarietà tra gli enti locali e al decentramento amministrativo delle competenze statali trovassero un pur dinamico equilibrio nella istituzione delle Regioni a statuto ordinario e nella ridefinizione dei ruoli delle Province. Il dibattito in sede di diritto amministrativo appare a dir poco complesso: il cittadino ha la percezione che le distanze con le istituzioni anziché ridursi si allunghino, più che sollevato si sente umiliato dalla necessità di ricorrere sempre più frequentemente (e purtroppo anche sempre più costosamente) a professioni e organizzazioni intermediatrici non solo per far valere i propri diritti ma addirittura per conoscere se ancora gliene rimangono, e quali siano. Il territorio si è così venuto a definire come l’ambito qualificante della politica amministrativa di un ente locale quale è la Provincia ancor prima del 1978, quando la riforma sanitaria sollevò d’un tratto le province da tutte quelle competenze operative e amministrative che direttamente o indirettamente le avevano rese interlocutrici dei cittadini, attraverso i servizi resi negli ospedali psichiatrici, nei centri d’igiene mentale, nei


La strada Noalese attraversava l’abitato di Quinto con due pericolose curve ad angolo retto destrorsa e sinistrorsa in immediata successione, il cui tracciato è tuttora visibile. Non certamente per incoraggiare una velocità maggiore, ma per agevolare il transito dei mezzi pesanti, dal 1952 al 1954 venne eseguita la rettifica realizzando un nuovo tracciato con una unica curva avente un raggio di 380 metri, e la costruzione di tre ponti sul Sile.

consorzi antitubercolari, nei laboratori d’igiene e profilassi, nell’Opera Nazionale Maternità e Infanzia. Frattanto la riduzione spontanea o provocata della natalità aveva ridotto anche l’oneroso impegno finanziario e gestionale delle province nei riguardi dell’assistenza ai minori illegittimi in sedi proprie o convenzionate. Il brefotrofio, costruito con aggiornati criteri e inaugurato nel 1954, cui fece seguito nel 1955 l’apertura dell’Istituto “Corazzin” per l’assistenza e l’educazione degli illegittimi in età adolescenziale non ancora adottati o affidati a famiglie, venne chiuso nel 1986 dopo che nell’anno precedente era stata registrata la presenza di due soli ospiti. Su ben altro e più difficile terreno le istituzioni sono ora attese dai nuovi e incalzanti problemi educativi. La flessione della capacità formativa della famiglie, quando non la loro dissoluzione di fatto o di diritto, il proporsi di allettanti modelli comportamentali esogeni, la disponibilità da parte dei giovani di risorse, tempi e iniziative che superavano le modeste misure consegnate dalle

consuetudini, hanno consentito o favorito il rifiuto della tradizione, per quanto di fatica, ritmi e umiltà essa usasse nel proporsi. Senza una identità radicata nel passato, e senza una progettualità proiettata verso il futuro, la dimensione temporale della vita di relazione è per molti apparsa limitata al solo presente. Il vivere alla giornata e della giornata rischia di bruciare le ore saziandole dell’emozione di un istante, in un delirio individualista di potenza, di velocità, di ebbrezza, omologato dai mezzi di comunicazione come ordinaria cronaca mondana, sportiva o artistica. Al punto da ingenerare la convinzione, o da indurre alla concessione, che basti l’apparenza della trasgressività o dell’anticonformismo per avvallare pretese di affermazione. Quando la cesura generazionale ha raggiunto le forme drammatiche della incomunicabilità, la società ha assistito incredula e sguarnita all’affermarsi di una conflittualità elevata a sistema, di una propensione all’aggressività, e di un rifiuto dei canoni della socialità che hanno fatto approdare

Foto dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956”

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Colpito dal bombardamento del 7 aprile 1944, il Brefotrofio Provinciale, che aveva sede nell’ex Collegio Donadi-Zacchi in Via Marchesan, fu trasferito ad Asolo, ospite delle scuole comunali dove rimase fino al 1953 allorché fu approntata la nuova sede in Via Cal di Breda (nella foto), costruita secondo le più moderne indicazioni. La riduzione generale della natalità e l’aumento delle adozioni andavano però riducendo progressivamente la necessità di accoglienza dei minori illegittimi, per cui nel 1986 il Brefotrofio venne definitivamente chiuso, e l’immobile temporaneamente adibito a sede dell’Istituto Tecnico per geometri “Palladio”. Foto dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956”

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molti giovani nelle acquiescenti atmosfere oniriche create dagli allucinogeni, oppure in aggregazioni contestatarie più o meno strutturate e ideologizzate, talvolta supportate o addirittura manovrate da centrali politiche alla ricerca di consensi peraltro negati dalla consultazione democratica. Già la maniera di far politica aveva dato segnali ingravescenti di logoramento: nella delusione delle utopie trascinate dal crollo del muro di Berlino si dissolvevano buona parte delle tensioni dialettiche tra i partiti, lasciando trapelare come non fosse trascurabile la quota delle presenze nei diversi schieramenti sostenuta più dagli apparati organizzativi e dai vantaggi personali che non dalle risorse ideali. Né è mancata da queste parti l’impressione che la fatica e la tenacia della gente siano state disattese dalle istituzioni di vertice, alimentando in tal modo motivazioni e consensi per continuare a rimboccarsi le maniche e arrangiarsi, tornando a tirar fuori quella grinta con la quale si erano

sollevati dalla sciagura della guerra e da quelle venute dopo, come l’alluvione del Po e il terremoto del Friuli. Parallelamente alla progressiva defezione dalla vita politica, già manifestatasi peraltro anche in altre regioni italiane, sono qui venute germinando e consolidandosi forme associative di supporto alla iniziativa privata, come le associazioni di categoria, i consorzi e le cooperative nei vari settori della vita produttiva. Anche la solidarietà, che aveva le sue radici nelle tradizioni della famiglia e della parrocchia, ha conosciuto nuove e più dinamiche modalità di espressione e di coinvolgimenti, connotate dall’associazionismo e dal volontariato, in controtendenza con quell’assistenzialismo che appesantisce e diseduca la crescita democratica della società. Se la prospettiva della promozione nella scala sociale ed economica ha mobilitato individui, famiglie e istituzioni in una generosa opera formativa, può essere che di non pari intensità sia stato l’impegno in


quella formazione culturale che dovrebbe rendere l’uomo non tanto più ricco o più potente ma semplicemente più uomo. Quando anche lo stesso concetto di cultura appare di equivoca definizione, nel rimpallo tra gli operatori che chiedono spazi e mezzi per affermarsi e il cittadino indifferente cui la carenza educativa ne ha fatto mancare l’esigenza, può apparire poco comprensibile quel divario rilevato tra il livello del fervore culturale e quello della condizione economica di una provincia passata in cinquant’anni da patria di emigranti a terra di immigrati in cerca di fortuna. Muoversi in questo terreno, delicato per la materia e per gli interlocutori, è impresa difficile: si sa quanto gli artisti, i letterati, i musicisti, gli studiosi, ancorché associati, siano gelosi di quella individualità che li rende creativi, e perciò meno agilmente siano inquadrabili nelle logiche e nei ritmi delle istituzioni. Sono apparse pertanto più praticabili in questo ambito le formule del patrocinio, della comparteci-

pazione, della sponsorizzazione, le quali recependo caso per caso le creatività e le risorse manifestatesi nel territorio hanno conferito loro valorizzazione e sostegno, anche attraverso opportune iniziative di coordinamento e promozione. Fin dagli anni Cinquanta, con le lontane partecipazioni assieme ad altri Enti (Comune di Treviso, Camera di Commercio, Cassa di Risparmio, Ente Provinciale per il Turismo) a quel Comitato Manifestazioni che è stato promotore di iniziative culturali di grande livello, la Provincia, si è resa presente nella valorizzazione degli artisti locali da Giambattista Cima ad Antonio Canova, da Luigi Serena a Noè Bordignon, da Arturo Martini a Carlo Conte, da Giuseppe Berto ad Andrea Zanzotto, e così nella ricerca storica riguardo ad eminenti personalità della nostra terra da Giuseppe Corazzin a Pio Decimo, e nella ricerca ambientale sulle tematiche della Collina e del Piave, per non dire del recupero e restauro di architetture e dipinti variamente sparsi nella provincia

Nel 1952, con la riapertura del restaurato Palazzo dei Trecento, si rendeva disponibile al centro della città una sede espositiva di vasta capienza e notevole prestigio. Tra le varie mostre di grande richiamo internazionale che vi si succedettero è da ricordare quella del 1952 dedicata alle Ville Venete, quella del 1962 dedicata al pittore Giambattista Cima da Conegliano e nel 1985 all’altro pittore trevigiano Paris Bordon. Con iniziative di elevata qualità scientifica e di grande richiamo internazionale, accompagnate da altre che in città, negli altri centri e nei borghi della provincia andavano sviluppandosi, la qualità della vita culturale trevigiana è emersa dalla modestia delle dimensioni culturali provinciali. Foto dalla rivista “La Provincia di Treviso”, anno 1959, n. 3

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come il Barco della Regina Cornaro o i dipinti nel duomo di Castelfranco, nel sostegno alle manifestazioni folcloristiche che vanno oggi sotto il nome di Marca Storica, quali la Dama Castellana, e ancora nella organizzazione di manifestazioni teatrali e concertistiche itineranti dal Teatro in Villa giunto alla 17a edizione, alle esecuzioni dell’orchestra Filarmonia Veneta, e tutte le partecipazioni alle iniziative editoriali e alle manifestazioni culturali locali. E ancora l’istituzione di una propria attività permanente con la creazione del Parco di Risorgive della Storga, del Foto Archivio Storico che ha finora raccolto duecentomila documenti, e, in collaborazione col Gruppo Folcloristico Trevigiano, la istituzione di quel centro studi e documentazione della cultura popolare trevigiana che è il museo etnografico provinciale “Case Piavone”. Se cultura è consapevolezza del luogo, del tempo e delle circostanze in cui viviamo è appena il caso di avvertire come il

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confronto a distanze ravvicinate con culture diverse dalle nostre, quale si va ineluttabilmente proponendo, sarà per tutti tanto più proficuo quanto più ciascuno saprà conoscere ed essere se stesso. è presumibile che i nuovi mezzi di comunicazione multimediale consentano di evitare in futuro tanti spostamenti di persone per l’espletamento di funzioni che potrebbero essere svolte rimanendo fermi, sempreché ci sia la civile volontà di non condizionare l’inconscio collettivo alla insostituibilità dell’uso dei mezzi meccanici di trasporto, così da restituire all’uomo la strada come spazio di conoscenza e di dialogo, di incontro con la natura e con la gente, di incontro anche con se stessi nei silenzi e nelle pause che ritmi più naturali potrebbero consentire. Incontri e conoscenze che la montagna, o il bosco, o i corsi d’acqua concedono ancora generosamente, in questo territorio meraviglioso che è la provincia di Treviso.


Agli inizi degli anni Cinquanta venne aper­­ta la via di scorrimento tangenziale che avrebbe dovuto direttamente collegare il Nord di Treviso con l’incrocio delle Stiore, la località ad Ovest della città dalla quale si dipartono le strade per Padova, Vicenza e Feltre. Alla strada pertanto venne attribuito il nome di Strada Ovest, nome che tuttora mantiene nonostante l’ufficialità toponomastica la indichi come Viale della Repubblica. La fotografia di Giuseppe Mazzotti (pubblicata in Fotostorica n. 5/6 del 1996) ci restituisce tutta la suggestione pionieristica di questa realizzazione dove la misura del traffico attuale riesce a dare anche la misura del tempo trascorso. Ancora una volta la strada ha segnato nella terra il passo della storia.

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1951

rinascita democratica della Provincia

di Bepi Bisetto

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MONTI MUSONI PONTO DOMINORQUE NAONI Questa iscrizione, che come un collare corre intorno allo stemma della Provincia di Treviso, risale all’epoca medievale, quando la città di Treviso era sede di un libero Comune, il cui territorio si estendeva appunto dalla montagna alla Laguna, tra il corso dei fiumi Muson e Noncello. La definizione della giurisdizione territoriale, integrando la rappresentazione iconografica sintetica della città capoluogo, andava a costituire nel sigillum magnum, impresso sulle ceralacche dei documenti, l’autenticazione dell’autorità. I confini così definiti erano stati raggiunti nella seconda metà del Duecento, e, pur avendo subito nel tempo continue modifiche, sono assurti a connotato storico-simbolico del territorio trevigiano. Nel periodo comunale il governo del territorio e dei suoi abitanti non era certo una democrazia come noi oggi la intendiamo, ma era quella che i tecnici del diritto definiscono una autarchia: traeva cioè origine dalla popolazione locale seppur selezionata da criteri aristocratici. Durante la dominazione veneziana, iniziata nel Trecento e conclusasi1 sotto l’incalzare delle armate napoleoniche, pur essendo state nominalmente conservate molte delle magistrature amministrative preesistenti, il potere passò di fatto nelle mani del patriziato veneziano, penetrato e radicatosi nella Terraferma, così da assicurare la presenza dei propri uomini nei posti chiave. La ripartizione territoriale veneziana ricalcava per lo più i preesistenti confini; nel caso di Treviso vedeva l’insediamento di un Capitanio per la amministrazione militare del territorio, che poi sarebbe diventato la provincia, e di Podestà e Feudatari per la amministrazione civile delle ripartizioni territoriali subalterne. Il Capitanio era il Podestà della città di Treviso. Il leone marciano divenne allora l’unico simbolo dell’autorità in Venezia, e nei suoi domini che

Lo stemma della Provincia, adottato nel 1910, si rifà all’antico sigillo di Treviso, quando la giurisdizione territoriale del Comune (individuata dalla parole che ne delineano i confini) si identificava all’incirca con l’attuale territorio provinciale. All’interno lo stemma è diviso in due parti da una fascia con la scritta “Tarvisium”. Nella parte superiore appaiono tre torri e due bandiere, nell’inferiore una porta cittadina si apre sulle mura, dalle quali emergono quattro torri e quattro campanili, a indicare emblematicamente i poteri civile e religioso della città medievale.

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Carta del Territorio Trevigiano al tempo della Repubblica di Venezia. Appartiene all’opera “Guil. et Joannis Blaev, Theatrum orbis terrarum, sive atlas novus. Tertia pars cum appendice I. et II. partium antehac editarum Amsterdami, apud Ioh. et Cornelium Blaev. 1640”.

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Intestazione di proclama all’epoca della dominazione francese che nel 1805 aveva istituito il Dipartimento del Tagliamento, col quale veniva allora indicata la giurisdizione territoriale corrispondente alla Provincia di Treviso.

Intestazione di proclama all’epoca della dominazione autroungarica (18151866) durante la quale la Delegazione Provinciale costituiva l’istituzione amministrativa corrispondente alla Provincia di Treviso.

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costituivano lo Stato da Terra e lo Stato da Mar. L’antico sigillum di Treviso scomparve dall’uso corrente, sopravvivendo solo nelle memorie degli eruditi2. L’uso della parola provincia, per indicare con precisione topografica ciascuno dei territori nei quali è ripartito lo Stato, emerge sul finire della amministrazione veneziana: in una pianta stampata a Venezia nel 1782 da Antonio Zatta si legge “Lo Stato Veneto da Terra diviso nelle Provincie…”. Tuttavia il termine sarebbe comparso nel linguaggio amministrativo, seppur timidamente, solo dopo la caduta della Repubblica3, quando vennero definite come città provinciali quelle città venete nelle quali aveva sede l’organo amministrativo periferico dello Stato competente sul territorio; nel nostro caso il territorio di competenza corrispondeva all’incirca a quello che attualmente costituisce la provincia di Treviso. Questo territorio ha subito nel tempo alcune variazioni dei confini, ed ha avuto definizioni diverse secondo le dominazioni francesi e austriache più volte alternatesi. Il 16 marzo 1803, sotto l’Austria, vengono istituite le sette province che costituiscono il Ducato di Venezia; l’8 giugno 1805, sotto i Francesi, i territori vengono denominati dipartimenti del Regno Italico ciascuno contraddistinto dal nome di un fiume che nel caso di Treviso sarebbe stato il Tagliamento; il 30 novembre 1815, sotto gli Austriaci, gli ex dipartimenti riprendono definitivamente il nome di province del Regno LombardoVeneto, e vengono individuate, come ora, dalla città capoluogo. Ed è di quest’epoca4 la ricomparsa dell’antico sigillum nei documenti amministrativi, come stemma e sigillo solamente della città di Treviso. Il suo utilizzo come stemma e sigillo anche da parte della Provincia appare accertato quantomeno dal 1903, ma è solo a partire dal 1910 che fu assunto in esclusiva. Durante il Regno Lombardo-Veneto l’organo amministrativo che governava i ter-


Proclama emanato dal Comitato di Liberazione Nazionale di Treviso il 28 aprile 1945, all’indomani della Liberazione della città dall’occupazione tedesca. Vi si configurano le istituzioni e si indicano gli uomini che avrebbero immediatamente assunto i poteri nella provincia e nella città capoluogo come si legge “in forza del mandato conferito dal Governo Democratico Italiano… riconosciuto dalle Autorità alleate”.

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La Giunta di Governo, istituita il 28 aprile 1945, assumeva le funzioni corrispondenti a quelle del Prefetto. Ne facevano parte come presidente l’avv. Leopoldo Ramanzini (il secondo da sinistra), come vicepresidenti l’avv. Domenico Sartor (primo da sinistra), e il rag. Arturo Galletti (terzo da sinistra). All’estrema destra della foto il capo di gabinetto dr. Gioacchino Boglic.

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ritori era ovviamente di nomina statale, e trattandosi di dominazioni straniere pesava ancor più su di esso l’assenza di ogni principio democratico. Nel 1866, con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, veniva qui esteso l’ordinamento amministrativo italiano varato l’anno precedente5, il quale prevedeva la ripartizione territoriale del Regno in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni. Nel definire le materie oggetto di rispettiva competenza, la legge ne affidava l’amministrazione ai Comuni e alle Province che deliberavano attraverso Consigli (Comunale e Provinciale) eletti dai cittadini. Le delibere venivano attuate da un organo (Giunta Comunale e Deputazione Provinciale) eletto dai rispettivi Consigli, convocato e presieduto rispettivamente dal Sindaco (di nomina reale) e dal Prefetto (rappresentante del potere esecutivo statale, con funzioni di controllo e di intervento a salvaguardia delle prerogative dello Stato nei confronti degli Enti locali).

L’analisi delle materie di competenza degli enti locali come pure le modalità di quella che già allora la legge stessa definiva “l’ingerenza governativa” sulle amministrazioni locali evidenziano un assetto centralistico che non lasciava molto spazio alle autonomie locali, appena mitigato con le riforme degli anni 1888-18896 che resero elettiva la nomina del Sindaco e del Presidente della Deputazione Provinciale, da allora trasformata Giunta Provinciale. Il Prefetto continuava a mantenere il controllo sugli atti amministrativi di Provincia e Comuni attraverso un nuovo organo, la Giunta Provinciale Amministrativa, composta di quattro membri nominati dal Consiglio Provinciale e due dal Prefetto. L’avvento al potere del fascismo segnò un deciso passo indietro nel lungo cammino per l’emancipazione delle autonomie locali: tra il 1926 e il 1928 alcune leggi7 modificarono il nome del Sindaco con quello di Podestà, e quello di Presidente della Deputazione Provinciale con quello di


Preside, rendendoli di nomina governativa; i Consigli Comunali e Provinciali furono ridotti a funzioni consultive, e la loro composizione attribuita agli organi dello Stato e del partito al potere. La Deputazione Provinciale assunse il nome di Rettorato e i loro membri quello di Rettori. *** Il 28 aprile 1945, in un manifesto affisso sui muri della città, ancora in qualche modo occupata dai tedeschi, si poteva leggere: “Il Comitato di Liberazione Nazionale di Treviso, espressione unitaria delle forze che hanno collaborato alla lotta di liberazione nazionale per volontà ed azione del Popolo, in forza del mandato conferito dal Governo Democratico Italiano al Comitato di Liberazione Nazionale dell’Alta Italia, rappresentante legittimo del Governo stesso e come tale riconosciuto dalle Autorità Alleate, assume tutti i poteri di amministrazione e di governo nel territorio della Provincia di Treviso”. Il “Governo Democratico Italiano” al quale faceva riferimento il manifesto era quello presieduto da Ivanoe Bonomi che, nell’Italia già liberata dall’occupazione tedesca, ancora il 4 aprile 1944 quand’era presidente Pietro Badoglio, aveva provveduto alla emanazione di norme transitorie8 per l’amministrazione dei comuni e delle province “in attesa di poter indire le elezioni amministrative dei Comuni e delle Province, ritenuto che si versa in stato di necessità a causa di guerra”. La Giunta provvisoria, composta di 13 membri, era presieduta dall’avv. Antonio Mazza. Se i Comuni, che godevano di una antica tradizione, riuscirono in breve tempo a disporre di una legge che ne ricostituisse i ruoli e le competenze, per la Provincia il percorso si profilò subito difficoltoso, anche perché la gestazione della Costituzione repubblicana, sollecitata ad istituire le Re-

gioni, stentava a definire un ruolo per le province al punto da metterne in dubbio il mantenimento. Fu solamente nel 1951 che venne approvata la legge ricostitutiva delle Province e furono avviate le procedure per l’elezione degli organi istituzionali previsti: il Consiglio, la Giunta e il Presidente9. Nel frattempo la Deputazione nominata dal C.L.N. continuò ad amministrare fino alle elezioni del 1946, che avevano configurato un diverso equilibrio politico rispetto a quello rappresentato dalla composizione uscita alla Liberazione. La Deputazione ritenne di doversi dimettere il 19 giugno, e venne pertanto ricostituita dal Prefetto il 24 luglio con undici componenti. Si insediò il successivo 1° agosto, eleggendo a Presidente l’avv. Ruggero Lombardi, che eletto poi parlamentare fu sostituito dal geom. Mario Ferracin. In attesa di conoscere il proprio destino e le eventuali competenze che le sarebbero state riservate dalla legge, la Provincia continuava ad amministrare in base alla normativa stabilita nel 193410 dall’ultimo dei Testi Unici precedenti le leggi fasciste, che indicando i titoli delle spese obbligatorie, lasciava un margine finanziario esiguo per quelle facoltative, praticamente togliendo alla Provincia la facoltà di dar vita a iniziative autonome. E sono proprio le delibere riguardanti le “spese obbligatorie” che riempiono per la quasi totalità i verbali delle riunioni della Deputazione dal 1945 al 1951, spese che sono così rubricate a bilancio: Oneri patrimoniali (per il mantenimento degli immobili di proprietà), Spese generali (per le sedi istituzionali la loro funzionalità e per il compenso agli addetti), Sanità ed igiene (per la profilassi delle malattie infettive tra cui il laboratorio d’igiene), Opere pubbliche (soprattutto concernenti la viabilità), Educazione nazionale (per le sedi e la funzionalità nonché per il personale non docente degli

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Nel periodo in cui la Provincia era amministrata dalla Deputazione Provinciale (1945-1951) non sono mancati audaci progetti, come quello di dar vita a una idrovia che attraverso il Sile avrebbe potuto collegare Treviso a Venezia, e quindi lungo il Po e il Ticino spingersi fino a Locarno. Il Comune di Treviso, la Provincia e la Camera di Commercio avevano fondato un Consorzio per la costruzione di un porto fluviale a Silea, per il quale furono avviati i lavori fin dal 1946 secondo un progetto che prevedeva un traffico commerciale annuo di trecentomila tonnellate, e il sorgere di una attigua zona industriale collegata anche da ferrovia.

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istituti di istruzione tecnica come il Liceo Scientifico e l’Istituto Riccati, e del Provveditorato agli Studi), Agricoltura (sotto forma di contributi alla lotta antiparassitaria), Assistenza e beneficenza (titolo di grande peso finanziario soprattutto per il ricovero degli infermi mentali e degli illegittimi, che nel bilancio del 1949 incide per tre quinti sulle spese ordinarie obbligatorie). Rilevanti appaiono le decisioni della Deputazione riguardo alla costruzione del nuovo Brefotrofio e l’acquisizione a favore dell’Ospedale psichiatrico di una campagna di cinquanta ettari da adibire a Colonia ergoterapia, oggi divenuta parco naturalistico della Storga. Tra le acquisizioni immobiliari risultano anche quelle per la costruzione del Liceo scientifico in un’area attigua al Liceo Canova, per la costruzione dell’Ufficio d’Igiene e Profilassi in Via d’Annunzio, per l’insediamento del Provveditorato agli Studi in Via Bailo, e per la caserma dei Vigili del Fuoco in Via Sant’Antonino: sulle quali il

tempo ha poi decretato l’inadeguatezza. Di minore impegno finanziario ma di significativa valenza politica appaiono i dibattiti e le decisioni riguardanti la partecipazione della Provincia all’Ente Fiera di Treviso che ebbe tre edizioni negli anni 1946, 1947 e 1948, la partecipazione al Consorzio Portuario di Silea che avrebbe dovuto collegare Treviso ad una idrovia padana con terminal a Locarno, e ancora la partecipazione della Provincia al Consorzio Provinciale per l’Istruzione Tecnica, la provincializzazione delle principali arterie viarie che erano a carico dei Comuni, nonché gli interventi su queste con opere di rettifica, allargamento, rifacimento e bitumatura del fondo, oltre all’ideazione di quella strada di grande scorrimento da Conegliano a Jesolo che è andata sotto il nome di “Cadore-Mare”. A titolo di pura curiosità, anche per dare la dimensione nella quale si muovevano le problematiche finanziarie dell’epoca, è il caso di accennare come nel 1949 la Depu-


Quel segno di autonomia politica dalla Prefettura che, ancor prima della guerra aveva indotto la Provincia ad acquistare l’area dove poi sarebbe stata costruita l’attuale sede, con la fine della guerra assunse concretezza anche in forza di esigenze logistiche. L’ambiente temporaneamente utilizzato fu il Palazzo Scotti a Sant’Andrea, già prima sede dell’Istituto Riccati, e poi dell’Istituto Commerciale, quindi, con la guerra, prima Comando della Milizia Territoriale e poi Comando Militare Tedesco.

tazione si trovò a ripartire tra tutti i Comuni della Provincia, in proporzione al chilometraggio delle rispettive reti stradali comunali, il provento lordo relativo all’anno 1947 della tassa sui veicoli a trazione animale che ammontava nientemeno che a lire 2.215.240! Il tribolato periodo delle incertezze legislative sul destino delle province italiane si concluse nel 1951, con il varo di una legge istitutiva e delle successive disposizioni applicative. In quell’anno la provincia di Treviso contava una popolazione di 612.800 abitanti, suddivisi in 94 comuni, con una densità di 247 unità per chilometro quadrato (226 se si esclude il capoluogo). Di costoro, 375.583 erano in età elettorale, ovvero ventunenni d’ambo i sessi, con una percentuale del 4,5% di analfabeti. Proprio in quei giorni, il PSDI (Partito Socialista Democratico Italiani), fondato da Saragat nel ’47, facente parte della coalizione di governo, e il PSU (Partito Socialista Unitario), fondato da

Matteotti nel ’22, si fusero, dando vita al PSULI (Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani) che uscì dalla coalizione; così il Governo Italiano, guidato fin dal dicembre del ’47 da Alcide De Gasperi, già al suo sesto mandato, subì un rimpasto, dal quale il 27 luglio sarebbe uscito il 7° governo De Gasperi, composto da DC e PRI. Dalle votazioni, alle quali partecipò l’85,6% degli aventi diritto, uscirono eletti 20 consiglieri della DC, 5 del PSULI, 2 del PCI, 1 del PRI, e 1 della lista Tarvisum (MSI). Ancor prima dello scoppio della guerra, l’amministrazione provinciale aveva progettato una sede propria nel luogo dove sorge l’attuale, progetto che la guerra costrinse ad accantonare. Continuò a rimanere con gli uffici nel Palazzo del Governo (Prefettura), fino al bombardamento del 7 aprile 1944 allorché dovette sfollare in seguito ai danni subiti dall’edificio. Al termine della guerra la Provincia veniva provvisoriamente alloggiata nel Palazzo Scotti a

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Nel 1955, dovendosi parzialmente demolire il Palazzo Scotti per tracciare la Via Toniolo, la Amministrazione Provinciale trasferì la propria sede, ancora provvisoriamente, in un edificio appena costruito lungo la circonvallazione interna presso il Varco Filippini, e lì rimase fino alla edificazione della attuale sede in Viale Cesare Battisti inaugurata nel 1960.

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Sant’Andrea, che era stato la sede del Platzkommandantur durante l’occupazione tedesca, e dove rimase fino al 1955 allorché si trasferì, ancora provvisoriamente, in un edificio di nuova costruzione all’interno del Varco Filippini, dove rimase fino all’inaugurazione dell’attuale sede. Ospiti della Prefettura nel salone sovrastante il portico dei Soffioni, l’8 giugno 1951 alle ore 9,40, i consiglieri neoeletti si costituirono in Consiglio Provinciale sotto la presidenza del più anziano di loro che era Giuseppe Novello, che così salutò i colleghi “un privilegio della legge al quale avrei ben volentieri rinunziato mi dà il diritto di presiedere questa prima seduta del Consiglio Provinciale del quale non si parla più da diversi anni. Fare quindi un discorso non è né il luogo, né il momento. Io soltanto porgo a tutti i 29 colleghi presenti il mio saluto augurale per una buona amministrazione, perché noi dobbiamo ricordare che la politica qui sparisce, che ci sono degli altri luoghi dove la si discute. Qui si tratta di amministrare bene la Provincia”. Accertato, come vuole la legge, il

possesso del requisito dell’alfabetismo da parte di ogni eletto, il Consiglio eleggeva quindi il suo presidente nella persona di Mario Ferracin, che già aveva retto la Deputazione Provinciale dal 2 marzo 1948. Dal suo discorso d’investitura si legge: “Dopo circa venticinque anni, da quando cioè il regime fascista volle soppressi i gloriosi Consigli Provinciali, gli Organi Legislativi ed il Governo, in ottemperanza alla Costituzione della Repubblica Italiana, hanno voluto costituiti i medesimi. Sebbene con altro ordinamento, torna quindi a rivivere anche il Consiglio Provinciale di questa nobile e laboriosa terra trevigiana e tocca proprio a me ad essere designato quale primo Presidente; a me che soffrii intensamente quando, ancor giovane, vidi inferire contro i diritti civili dei cittadini e far scempio delle libertà, sommo bene dell’uomo; a me, che avevo gioito nel veder assurgere alla onorifica carica di Presidente del Consiglio Provinciale di Treviso nella sessione straordinaria del novembre 1920 Giuseppe Corazzin, primo Presidente dopo la guerra 19151918. A Lui, nobile figura di soldato, di so-


ciologo e apostolo, a Lui, che mi fu di esempio e di guida, per l’alto suo sentire ed operare per il bene degli umili e dei poveri e per l’ascensione delle classi lavoratrici, sento il dovere di rivolgere da questo banco il mio memore ed affettuoso ricordo”. E così proseguiva “Onorevoli Colleghi, Noi siamo chiamati dalla volontà popolare a reggere la cosa pubblica nel maggior ente: la Provincia. Questa ha dei ben precisi e determinati scopi, quali la pubblica viabilità, l’ospedale psichiatrico, il brefotrofio, l’igiene e la profilassi, le scuole, l’agricoltura, ecc. Ritengo però che Essa debba interessarsi al Bene pubblico nel senso più ampio possibile, senza eccessive limitazioni e con una larghezza di iniziative che valga ad esprimerle una benefica ed operosa vitalità. Nel cercare un giusto equilibrio in queste iniziative, assecondando nella misura possibile compatibilmente con i mezzi finanziari di cui si può disporre, mi sembra debba risiedere il nostro essenziale compito”. La ricostituita Provincia di Treviso aveva finalmente la sua guida ufficiale democraticamente eletta, cui sarebbero stati affidati tutti i successivi adempimenti. In una successiva seduta, tenutasi il 18 giugno, il Consiglio procedette alla elezione della Giunta composta dal presidente Ferracin, da sei assessori effettivi e due supplenti. A questo punto l’archivio provinciale non appare molto generoso e lo storico in cerca di testimonianze e documentazioni, nei tre mesi successivi, trova soltanto un curioso richiamo da parte del Prefetto di Treviso, Osvaldo Fontanelli, datato 13 luglio 1951, e indirizzato ai sindaci dei Comuni della Provincia e al Presidente della Giunta Provinciale, in cui si notifica che: “Il Ministero dell’Interno ha avuto modo di rilevare, più frequentemente in questi ultimi tempi, che seguitano ad essere esposti nelle sedi dei Comuni e di Enti pubblici locali, emblemi e bandiere di partito. è su-

perfluo insistere sulla inammissibilità di tali esposizioni, che sono, anzitutto, in contrasto con le funzioni e il carattere istituzionale degli enti locali, e, in particolare, dei Comuni, le cui amministrazioni rappresentano non una determinata maggioranza di opinioni politiche, ma la comunità di tutti i cittadini. […] A tale riguardo si precisa che l’uso della bandiera nazionale è disciplinato dalla legge 27 maggio 1949, n. 250, che all’articolo 4 specifica i giorni in cui gli edifici pubblici vanno imbandierati. Fuori dai casi previsti dalla detta legge non è consentita la esposizione della bandiera nazionale, se non previa autorizzazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui è affidata la disciplina della materia. Si prega di voler curare che le discipline citate abbiano la più scrupolosa osservanza”. Sarebbe stato necessario attendere quattro mesi per la successiva riunione del Consiglio Provinciale che, convocato per le ore dieci antimeridiane dell’otto ottobre 1951, si trovò a dover deliberare sulla nomina dei propri Revisori dei conti, dei componenti le Commissioni e Sottocommissioni elettorali Mandamentali, dei rappresentanti della Provincia in seno alla Giunta Provinciale Amministrativa, e in alcuni consigli di Amministrazione tra i quali quelli del Consorzio Portuario di Treviso, della Colonia Agricola Provinciale, del Pio Istituto Turazza, dell’Istituto Tecnico Agrario di Conegliano, del Patronato Scolastico di Treviso. In tale riunione il Consiglio ratificò anche una delibera di Giunta per la costruzione del tratto di strada Treviso-Jesolo scorrente nel territorio dei Comuni di Casier e di Casale sul Sile; approvò il progetto esecutivo di costruzione della sede del Liceo Scientifico, e il cambio di nome del comune di Riese con l’aggiunta della dizione “Pio decimo”, l’aumento del sussidio per “l’allevamento (sic) di minori illegittimi”; ma anche l’attribuzione e la misura del rimborso spese di viaggio e soggiorno ai Consiglieri Provinciali per intervento alle se-

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Nella crisi dell’indirizzo formativo manifestatasi al termine della guerra in alcune Opere Pie, la Colonia Agricola di Vascon nel 1948 ricevette il sostegno della Provincia che vi istituì un corso di disegno professionale con annessi laboratori di falegnameria e di meccanica. Fu l’inizio di una politica di qualificazione professionale (nel 1954 l’Istituto venne provincializzato) che portò alla creazione di tutta una rete scolastica, dalle cui maglie uscì gran parte di quella classe di piccoli e medi imprenditori ai quali si deve l’industrializzazione della Marca Trevigiana.

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dute del Consiglio. La legge aveva stabilito che le funzioni dei Consiglieri Provinciali erano gratuite, ma recepì poi il principio che per i membri del Consiglio non residenti nel Capoluogo venissero corrisposte medaglie di presenza corrispondenti alle spese di viaggio e di soggiorno. Venne pertanto approvata una delibera: “di rimborsare ai Consiglieri, per l’intervento alle sedute le spese di viaggio e di soggiorno, le prime rappresentate dal biglietto delle ferrovie di seconda classe o di altri pubblici servizi, le seconde rappresentate da una medaglia di presenza alle sedute di £ 1.500, aumentata a £ 3.000 in caso di pernottamento”. Il pernottamento in città si rendeva necessario dal momento che, protraendosi le sedute del Consiglio nelle ore serali, i Consiglieri non potevano rientrare a casa, essendo a quell’ora cessati i pubblici servizi di autocorriere, e non avendo essi ancora la disponibilità di un mezzo autonomo di trasporto. Sulla nuova denominazione da attri-

buire al comune di Riese, aggiungendovi il nome del suo più illustre concittadino, Giuseppe Sarto elevato al soglio pontificio nel 1903 col nome di Pio X°, si scatenò in Consiglio una garbata ma vivace polemica che lasciava presagire come d’ora in avanti il tono delle discussioni non avrebbe potuto ignorare le affermazioni di parte politica di cui i Consiglieri erano portatori. Vale la pena darne un saggio stralciando dal verbale qualche passaggio. Il Papa trevigiano morto nel 1914, era stato beatificato da pochi mesi, primo passo alla santificazione, che sarebbe stata decretata tre anni dopo nel 1954. Nel quadro delle celebrazioni per la beatificazione, il Comune di Riese aveva deciso di mutare la propria denominazione, tuttavia la legge prevede che il Consiglio Provinciale debba dare il proprio parere in merito, prima che la deliberazione del Comune di Riese venga sottoposta al Capo dello Stato. Il consigliere Giuseppe Mazza, parlando a nome dell’intero grup-


Sullo sfondo, la casa natale di Giuseppe Sarto, assurto nel 1903 al soglio pontifico col nome di Pio X. Quando già la Chiesa romana aveva proclamato Beato questo figlio di Riese, nel 1951 il Comune natale deliberò di modificare il proprio nome aggiungendovi quello di Pio X. Il necessario passaggio della delibera attraverso la ratifica da parte della Deputazione Provinciale scatenò una polemica i cui toni lasciarono presagire come il dibattito amministrativo avrebbe d’ora innanzi fortemente risentito delle motivazioni politiche.

po di minoranza, faceva presente che “Non ci sono ragioni di carattere toponomastico in quanto in Italia non ci sono altri comuni con il nome di Riese. Si tratta invece di evidenti motivi sentimentali e morali, per i quali i buoni compaesani di papa Sarto intendono legare il nome del paese a quello di Pio X°. Con questo però essi porterebbero la religione in un campo ove sarebbe meglio che fosse assente. Gli abitanti di Riese potrebbero degnamente ricordare Pio X° erigendo un monumento o un altare e ciò dico senza voler mancare di rispetto al papa Pio X°, ma soltanto guidato dal buon senso e dal rispetto reciproco dei sentimenti religiosi, che ognuno è libero di coltivare nel suo animo, o di manifestare in chiesa, senza invadere i campi che possono essere aperti alle polemiche politiche”. In replica, a nome del gruppo di maggioranza, prese la parola Gualtiero Baldoin: “Le ragioni esposte dal consigliere Mazza rivelano un certo animus verso

nostre amministrazioni comunali, quasi noi cercassimo di dare a tutti i nostri atti una intonazione confessionale. La questione del cambiamento di denominazione del comune di Riese è invece una cosa ben diversa e al di sopra di ogni faziosità politica appunto per l’universalità del nome di papa Pio X° che ha saputo farsi amare proprio dalle classi diseredate dell’umanità. Pio X° non è un capo politico, né le ragioni addotte dalla minoranza poggiano su basi obiettive, perché allora, per gli stessi motivi, si potrebbero muovere osservazioni per i cambiamenti di denominazioni di molti paesi in Italia, i quali hanno legato il loro nome a persone illustri, come Castagneto-Carducci, San Mauro-Pascoli, senza ricordare le Stalin-Grado e Lenin-Grado di altri paesi. Se la popolazione di Riese è felice di apportare il cambiamento della denominazione in Riese Pio X°, non vedo perché il Consiglio Provinciale debba opporsi a questa più che legittima aspirazione”.

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Il pranzo dei bambini ospiti del Brefotrofio Provinciale. L’assistenza ai minori illegittimi costituì per decenni uno dei maggiori oneri economici e gestionali sostenuti dalle Amministrazioni Provinciali. Non si trattava solo della accoglienza dei minori in sedi proprie dell’Amministrazione, ma anche della erogazione di sussidi per coloro che avessero assunto presso di sé l’allevamento dei piccoli attraverso l’adozione o il riconoscimento da parte della madre. La diminuzione (spontanea o provocata) delle natalità ridusse drasticamente la necessità del mantenimento di queste forme di assistenza pubblica.

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Il verbale della stessa riunione del Consiglio ci dà anche la misura degli interventi finanziari della Provincia, o meglio ci consente di percepire come si sia modificato il valore della lira nel mezzo secolo che ha preceduto l’entrata in circolazione dell’euro, e di come nello stesso tempo si sia diversificata la ripartizioni dei costi di beni e servizi. Dovendosi in quella riunione approvare il progetto esecutivo di costruzione della sede del Liceo Scientifico attiguo al Canova, veniva approvata la relazione previsionale di spesa il cui totale ammontava a lire 66.780.800, delle quali 43.863.851 per opere murarie, 2.813.668 per opere in legno, 5.393.681 per opere in ferro, 1.500.000 per l’impianto idraulico-sanitario e di gas, 5.177.600 per l’impianto di riscaldamento, 7.342.000 per spese di progetto, per la gestione tecnico-amministrativa dei lavori e per spese impreviste. Le cifre a bilancio di un altro argomento all’ordine del giorno di quella riunione ci illuminano sulla realtà di un problema sociale più che mai sentito in epoca che ancora doveva definirsi post bellica, i cui

strascichi avrebbero segnato per sempre la vita di molte persone: il problema dei figli illegittimi, purtroppo costantemente ineliminabile ma che assume proporzioni abnormi quando i paesi e i popoli sono devastati dalle guerre, dalle invasioni, dalle occupazioni, dalle lotte interne ed esterne, che inevitabilmente finiscono per colpire i valori più fragili e spesso più calpestati della società umana. Dovendo la Provincia provvedere per compito istituzionale alla assistenza ai minori illegittimi, se per gli abbandonati era provveduto direttamente attraverso l’ospitalità nel brefotrofio provinciale o in altri istituti convenzionati, per quelli riconosciuti dalla sola madre e con essa conviventi, e per quelli allevati presso affidatari era previsto un sussidio economico sulla misura del quale si andava a discutere. Si legge nella relazione del Presidente “la misura di tali sussidi è così esigua da distogliere quasi gli interessati dal proposito del riconoscimento o dell’allevamento. Sembrano infatti da considerare del tutto irrisorie le attuali tariffe che prevedono sussidi di £ 90 mensili per


l’allevamento diretto dei minori riconosciuti dalla sola madre dopo il terzo anno di età, e sussidi da £ 600 a £ 200 mensili ai tenutari di minori non riconosciuti. Si impone, pertanto, un provvedimento di revisione delle relative tariffe in modo da adeguare i sussidi stessi al variato potere di acquisto della moneta e sarebbe equo elevare ed unificare, con effetto dal 1-1-1952, i sussidi alle madri a £ 900 mensili e quelli per gli allevatori a £ 2.100 mensili, adottando analoghi ritocchi alle tabelle dei premi di riconoscimento. […] Si potrà anche dire che con tale provvedimento non si fa abbastanza, perché il costo della vita richiederebbe anche un aumento maggiore; ciò è vero, però bisogna tener presente le disponibilità del bilancio e le esigenze degli altri servizi”. Sulla relazione prese la parola il consigliere Menenio Bortolozzi il quale tra l’altro disse che “le parole del Presidente hanno illuminato il Consiglio sul contenuto del provvedimento che la Giunta propone di adottare; però, se si guardano le cifre, si osserva che l’aumento di spesa per la Provincia è di 16 milioni circa per sussidi alle madri, mentre per i sussidi agli allevatori è soltanto di 2 milioni e mezzo, il che vuol dire che i figli illegittimi, per la maggior parte, sono mantenuti ed allevati dalle loro madri, alle quali viene corrisposto un premio di riconoscimento ed un sussidio mensile. Egli ritiene che l’importo di £ 900 mensili, corrisposto a titolo di contributo alle madri che devono mantenere ed allevare le loro creature, sia troppo esiguo, una cifra addirittura irrisoria. Propone quindi che tale importo di £ 900 sia…”. Il verbale, incompleto, si interrompe qui, ma la relazione giornalistica ci fa conoscere che le vecchie tabelle furono aumentate di 50 volte, andando ben oltre quanto proposto dalla Giunta. Il Consiglio aveva peraltro deciso solo l’aumento, dando mandato alla Giunta di stabilire secondo giusto criterio le singole somme da devolvere, tenendo conto che

per favorire il riconoscimento il maggiore sussidio avrebbe dovuto essere devoluto alla madre naturale, e non a quella adottiva. Alcuni giorni dopo, ai primi di novembre, le piogge torrenziali che imperversavano da giorni su tutta l’Alta Italia e le pessime condizioni del mare, nel quale i fiumi non riuscivano a sfociare convenientemente, provocarono l’ingrossamento del Po, elevandone la portata al livello record di 12.000 metri cubi d’acqua al secondo. In tali condizioni, l’argine sinistro cedette a Occhiobello, a Malcantono e a Paviole. Circa tre miliardi di metri cubi d’acqua si riversarono in 113.000 ettari di territorio nelle provincie di Venezia, Rovigo e Mantova, coinvolgendo trentotto comuni. Devastati 60 chilometri di argine, abbattuti 50 ponti, distrutte 900 case, con il conseguente esodo di 160.000 profughi. La provincia di Treviso, immediatamente impegnata nella gara di solidarietà verso i colpiti dal disastro, fu direttamente coinvolta nell’ospitalità da dare ai rimasti senza tetto, ai quali nient’altro che che la vita e il dolore era rimasto. “Al primo annuncio che i profughi sarebbero arrivati anche nella nostra Provincia, la Prefettura, l’Amministrazione comunale cittadina l’ECA, la Pontificia Commissione Assistenza, la Croce Rossa, l’Ispettorato Scolastico, le Associazioni Sindacali, gli Enti cattolici, le Associazioni economiche, la Camera di Commercio, i Partiti politici e numerosi altri sodalizi pubblici e privati hanno immediatamente iniziata l'opera di organizzazione per preparare gli alloggi di fortuna e per accogliere le offerte in denaro e viveri. - scrive il Gazzettino - Mentre i militari della Divisione Folgore, con i propri automezzi provvedono a trasportare paglia e coperte di lana nei diversi alloggiamenti, il Prefetto Fontanelli convocava ancora nella serata di venerdì [6 novembre] le autorità cittadine e provinciali per coordinare l’opera di soccorso”. A una settimana dal disastro, il 10 novembre, i profughi ospitati nella Marca

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Dopo che una legge del 1904 aveva fatto carico alle Province dell’assistenza ai malati mentali, e dopo che nel 1907 ne fu approvato il regolamento applicativo, è solo nel 1911 che poté venir aperto a Sant’Aremio l’Ospedale psichiatrico della Provincia di Treviso. Ampliato successivamente con la istituzione di una colonia ergoterapia, rappresentò per la Amministrazione Provinciale l’onere organizzativo e finanziario più impegnativo fino alle riforme che modificarono l’assistenza sanitaria ai malati mentali, e quindi il passaggio di queste competenze al Servizio Sanitario Nazionale. (dalla pubblicazione “Opere nuove nella Marca Trivigiana dal 1951 al 1956”).

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erano quattromila, ed erano già cinquemilacinquecento la mattina del 24 novembre quando alle ore 9 si riuniva in seduta straordinaria il Consiglio Provinciale per valutare tra l’altro quale contributo la Provincia avrebbe potuto dare nella situazione di emergenza creatasi. Dopo avere argomentato sulla grave situazione determinata dalla sciagura che ha colpito le genti del Polesine, il Presidente Ferracin ha relazionato l’attività svolta per l’occasione dalla Provincia: “Fin dai primi momenti l’Amministrazione Provinciale ha partecipato all’assistenza degli sfollati. Il Prefetto di Treviso ha istituito un Comitato Provinciale pro alluvionati, al quale partecipiamo. Tale Comitato ha espresso nel suo seno una Giunta esecutiva di sette membri della quale faccio parte. Vi posso dire che l’opera procede seriamente e va sempre più perfezionandosi.

è un’azione di soccorso immediata di viveri, di vestiario, di trasporti e di ricerche di congiunti, che si è dimostrata assai efficace. Per conto nostro abbiamo messo a disposizione della consorella di Rovigo numerosi posti letto per alienati mentali, tubercolotici e profilattici. L’O.M.N.I. ha fatto giungere alcune migliaia di copertine di lana, viveri e indumenti per neonati. Il tutto è stato distribuito ai Comitati comunali dell’Opera stessa. Anche il consorzio antitubercolare si è messo a disposizione per assistere i profughi che ne avessero bisogno”. Nel prosieguo del suo intervento, il Presidente ha rilevato come, oltre a soccorsi in generi di consumo e quant’altro, era necessario un intervento in denaro: “A nome della giunta egli ha pertanto proposto un primo intervento a favore degli alluvionati da concretarsi nello stanziamento di dieci milioni, dei quali due da versarsi


Mentre si ricostruisce il Palazzo dei Trecento, si ricostruisce anche l’assetto democratico delle istituzioni. La partecipazione dei cittadini alla vita pubblica avviene attraverso i partiti politici che animano le competizione elettorali. Le votazioni sono precedute dai comizi tenuti nelle piazze, affollati e animati da vivaci contrapposizioni verbali, e talvolta anche non solo verbali. La propaganda tuttavia si avvale anche di affissi murali delle più svariate forme e dimensioni che, in mancanza di dettagliate norme, invadono strade e piazze conferendo alle città e ai paesi un aspetto che da anni è pressoché del tutto scomparso.

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immediatamente al Comitato provinciale, presieduto dal Prefetto. Gli altri saranno erogati con deliberazioni della Giunta a seconda dei bisogni che si presenteranno di volta in volta”. Una vivace polemica si è poi accesa in seno al Consiglio dopo la proposta avanzata dal consigliere Antonio Mazza, il quale aveva chiesto “che l’Amministrazione Provinciale di Treviso abbia a partecipare al prossimo convegno di Mantova ove sono stati convocati dallo stesso Prefetto della Provincia di Rovigo rappresentanti di Enti pubblici, di Associazioni economiche, sindacali e politiche, e tecnici, allo scopo di studiare la situazione creata nel Polesine dalle inondazioni e trovare i rimedi per risolvere il grave problema”. Gli aveva risposto il presidente Ferracin “che la Provincia di Treviso ha già partecipato alla riunione di Venezia dove erano presenti tutte le province venete e che in quella sede è stato tracciato un piano di coordinamento per le opere di soccorso agli sfollati delle zone alluvionate”. A scatenare la polemica sarebbe stato il successivo intervento del consi-

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gliere Gualtiero Baldoin “sembra fuori posto parlare di nuovi convegni, cosiddetti «a larga base popolare» nei quali, come sicuramente anche in quello di Mantova, non si andrà più in là delle solite critiche al governo, mosse più che altro da motivi politici”, al quale il consigliere Ugo Marchesi replicò ribadendo la necessità di partecipare al convegno di Mantova, contrapponendo alla lentezza degli interventi governativi (democristiani) la tempestività di quelli locali (comunisti), affermando che “il Comitato di emergenza costituito a Rovigo dal Presidente della Provincia De Polzer, intervenne per primo nell’opera di soccorso, quando ancora nessun organo governativo si era mosso”. All’insorgere della maggioranza fece seguito un acceso scontro verbale sedato dal Presidente, ma era apparso chiaro che ormai la battaglia politica era incominciata anche nella Amministrazione Provinciale senza esclusione di colpi, e che il tempo dell’emergenza post bellica del “tiriamoci intanto su le maniche tutti insieme” si era definitivamente concluso.

12 maggio 1797.

2 Vedasi di Bartolomeo Burchelati l’opera Commentariorum memorabilium multiplicis hystoriae tarvisinae locu-

ples promptuarium, pubblicato a Treviso nel 1616. Regolamento provvisorio per la Terraferma, Padova 6 febbraio 1798. 26 luglio 1826, v. Luigi Coletti Lo stemma e il sigillo della città di Treviso, Treviso 1910. Legge n° 2248 per l’unificazione amministrativa del Regno d’Italia, Torino 20 marzo 1865. Legge n° 5865 del 30 dicembre 1888, poi confluita nel Testo Unico R.D. n° 5921 del 10 febbraio 1889. Legge n° 237 del 4 febbraio 1926; R.D.L. n° 1910 del 3 settembre 1926; R.D.L. 1959 del 17 agosto 1928; e Legge 2123 del 21 dicembre 1928. 8 R.D.L. n° 111 del 4 aprile 1944. 9 Legge n° 122 dell’8 marzo 1951; Legge n° 328 del 18 maggio 1951; T.U. del 5 aprile 1951. 10 R.D.L. n° 383 del 3 marzo 1934. 3 4 5 6 7

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Lo stendardo della Provincia ha recuperato il colore rosso della bandiera del Comune medievale. Al centro lo stemma della Provincia e intorno quelli dei Comuni capoluogo di mandamento. Dall’alto, e con decorso orario, si incontrano quelli di Treviso, Conegliano, Valdobbiadene, Oderzo, VittorioVeneto, Castelfranco, Montebelluna e Asolo.

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La Provincia di Treviso oggi

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IL SANT’ARTEMIO Il Sant’Artemio: un complesso monumentale, ex ospedale psichiatrico, restaurato e trasformato nella sede della Provincia di Treviso. L’ex manicomio, inaugurato nel 1913, era articolato in una ventina di edifici tra direzione sanitaria, ambulatori e servizi, all’interno di un grande parco. Già all’epoca era considerato un istituto estremamente innovativo “per il carattere edilizio e per le sue finalità di funzioni”. Nel 1978, in occasione della riforma sanitaria, l’ospedale del Sant’Artemio, che ospitava soprattutto pazienti affetti da problemi di natura psichica (ricordiamo il grandissimo pittore Gino Rossi), venne ceduto dalla Provincia di Treviso, in quel momento proprietaria dell’immobile, al Comune di Treviso. Lo scopo del passaggio di proprietà, sancito dal decreto del presidente della Giunta Regionale il 24 ottobre 1980 n. 2874, era quello di destinare lo stabile all’Ulss di Treviso. L’azienda sanitaria gestì la struttura fino al 2005. Nonostante la caduta in degrado di molti edifici e il successivo abbandono, il complesso ha sempre esercitato un forte fascino sui trevigiani per la sua eleganza discreta e la sua valenza storica.

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Bozzetto a mano libera del Sant’Artemio. Realizzato dell’Architetto Toni Follina

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Il 4 febbraio del 2004 l’Amministrazione Provinciale dà il via all’operazione Sant’Artemio, che da ex ospedale psichiatrico diventerà la nuova sede della Provincia. Dalla firma del Protocollo d’Intesa tra l’allora presidente della Provincia, Luca Zaia, e l’allora direttore dell’Ulss 9, Claudio Dario, passa un solo anno prima della compravendita ufficiale. Il progetto di restauro conservativo del complesso monumentale viene steso dall’architetto Toni Follina che, nella sua analisi iniziale, sottolinea l’importanza di recuperare la struttura originaria sia nell’aspetto architettonico che compositivo,

mantenendo i 9 ettari di terreno, i padiglioni isolati, i viali alberati rettilinei e la rete stradale interna, già esistente. Viene inoltre preservato l’aspetto gerarchico degli edifici con il padiglione centrale, cuore della nuova sede, dove sono collocate le funzioni direttive e di rappresentanza e da cui passerelle sopraelevate, in acciaio e vetro, collegano una parte degli edifici. Nel 2006 avviene l’aggiudicazione del bando di gara europeo per l’esecuzione dei lavori e la cessione degli immobili alienati, mentre nel 2009 inizia il trasferimento nella nuova sede sotto la presidenza di Leonardo Muraro. Dotata di tutte le più moderne tecnologie, la


Veduta aerea complesso Sant’Artemio

cittadella offre inoltre un asilo nido, l’auditorium, una mensa, il bar, una chiesa dedicata a San Giovanni di Dio e ampi parcheggi esterni e interni. Il rapporto armonioso fra il Sant’Artemio e l’adiacente Parco dello Storga, ex colonia agricola dell’ospedale Psichiatrico ora il più grande Parco Urbano d’Europa, garantisce la tutela di un grande polmone verde di 80 ettari, habitat naturale per diverse specie animali. Il Sant’Artemio è una struttura moderna dal cuore verde. Nel rispetto di una visione ecocompatibile, pone particolare attenzione alle fonti rinnovabili che garantiscono l’autosufficienza energetica: il calore viene

prodotto attraverso la combustione di biomasse; l’energia deriva da un sistema fotovoltaico con un impianto di circa 200 KW; l’impianto idrico è duale ovvero non c’è spreco d’acqua considerato che quella per l’irrigazione o per gli sciacquoni non viene purificata. Il Sant’Artemio rappresenta oggi la “casa dei trevigiani”, un’area pubblica attrezzata, un luogo di svago e incontro per la cittadinanza, situato a pochi minuti dal centro di Treviso.

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del


L’opera d’arte che si incontra all’ingresso del Sant’Artemio, composta da parallelepipedi colorati apparentemente distribuiti in modo casuale, forma in realtà una spirale logaritmica visibile solo dall’alto. Una figura armoniosa spesso presente in natura, simbolo di energia, sviluppo e crescita, scelta a identificare il complesso architettonico del Sant’Artemio, sede della Provincia di Treviso.

UNA NUOVA IMMAGINE

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Lo stemma araldico della Provincia di Treviso, usato per molto tempo come sigillo del Comune, fu ideato ed inciso intorno al XIII secolo. Il più antico documento che porta la riproduzione in cera del sigillo è una pergamena dell’archivio Capitolare di Treviso, datata 1330. Le parole del moto leonino “Monti Musoni Ponto Dominorque Naoni” (dominio fino al monte, al Musone, al mare e al Noncello) significano che il Comune aveva signoria a nord fino alle Prealpi, ad ovest fino al fiume Musone, a sud fino al mare e a sud-est fino al Novello, affluente del Livenza.

Nel 1826 la Consulta Araldica Austriaca approvò lo stemma della Provincia anche come stemma del Comune di Treviso al posto dell’antico scudo rosso con croce d’argento e due stelline bianche a otto punte. Quest’ultimo, che era lo storico stemma del Comune fin dal tempo dei Crociati, venne successivamente riadottato dal Comune di Treviso nel 1910, mentre la Provincia continuò ad usare il proprio.


Il logo istituzionale

Il logo turistico-promozionale

Nel 2003 è sorta la necessità di studiare una nuova immagine per rappresentare a livello nazionale e internazionale la Marca “Gioiosa et Amorosa”, una brand identity che puntasse sulla valorizzazione e promozione di un territorio dinamico, giovane, sportivo, aperto all’innovazione. Il nuovo progetto di logo, seguito nel 2003 dall’agenzia di comunicazione “Fabrica”, si è focalizzato sui confini della provincia di Treviso che sono stati rappresentati da pixel all’interno di un quadrante arancione. Il colore arancione nasce dall’unione del rosso e del giallo; richiama il desiderio e l’emozione ed è legato all’energia, all’attività, alla creatività, il dinamismo; stimola il movimento, l’indipendenza, la fiducia in se stessi. Da un lato, per il turista, rappresenta il desiderio di conoscere nuovi luoghi e la ricerca di emozioni, dall’altro, per il cittadino, la consapevolezza di vivere in un territorio dinamico, creativo e giovane.

ll logotipo può essere accompagnato dal pay-off “Provincia di Treviso, ti resta nel cuore Inizialmente il pay-off aveva preso ispirazione dalla scritta che compone il logo araldico “Gioiosa et Amorosa” diventando “Provincia di Treviso, se la vedi t’innamori”. Dal gennaio 2007, lo slogan ha subito un’evoluzione trasformandosi in “Provincia di Treviso, ti resta nel cuore”. Resta nel cuore al turista che visita la provincia e ne porta con sé il ricordo. Resta nel cuore ai cittadini trevigiani che quando viaggiano, portano con sé l’amore per la loro terra.

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Come cambiano le Province: la legge Delrio

di Carlo Rapicavoli

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La legge 7 aprile 2014, n. 56, recante “Disposizioni sulle Città metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e fusioni di Comuni” (Legge Delrio), ha ridefinito l’assetto delle istituzioni locali ed ha disciplinato l’organizzazione e le modalità di riordino delle funzioni di competenza dell’ente provincia, quale ente territoriale di area vasta. La Legge Delrio giunge dopo vari e controversi tentativi di riforma, tanto da rendere il cosiddetto riordino delle Province quasi l’emblema della schizofrenia normativa che ha caratterizzato gli ultimi anni. Una breve ricostruzione dell’iter di riforma rende palese l’idea del caos che si è determinato. Il tema della cancellazione delle Province era tornato formalmente all’attenzione delle istituzioni e degli studiosi negli ultimi giorni del maggio 2010, in occasione della predisposizione della manovra finanziaria, allorché, per trovare le risorse necessarie, si era ipotizzato – e poi escluso – di operare con legge statale (o meglio con decreto-legge) la cancellazione delle Province con meno di 220.000 abitanti. La Camera dei Deputati il 7 luglio 2011 ha bocciato a larga maggioranza un ordine del giorno sulla soppressione delle Province. L’art. 15 del Decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138 aveva quindi previsto la soppressione delle Province diverse da quelle la cui popolazione rilevata al censimento generale della popolazione del 2011 sia superiore a 300.000 abitanti o la cui superficie complessiva sia superiore a 3.000 chilometri quadrati. La soppressione doveva decorrere dalla data di scadenza del mandato amministrativo provinciale. La Legge 14 settembre 2011 n. 148, di conversione del D. L. 138/2011, ha soppresso le previsioni dell’art. 15. Subito dopo il suo insediamento, il Governo Monti è intervenuto numerose vol-

SERIE GENERALE abb.post. post.- art. 45%1, -comma art. 2,1 comma 20/b Spediz. abb. 23-12-1996,n.n.46662 - Filiale di Roma Legge 27-02-2004, - Filiale di Roma

Anno 155° - Numero 81

GAZZETTA

UFFICIALE

DELLA REPUBBLICA ITALIANA

SI PUBBLICA TUTTI I Roma - Lunedì, 7 aprile 2014 GIORNI NON FESTIVI DIREZIONE E REDAZIONE PRESSO IL MINISTERO DELLA GIUSTIZIA - UFFICIO PUBBLICAZIONE LEGGI E DECRETI - VIA ARENULA, 70 - 00186 ROMA DIREZIONE E REDAZIONE MINISTERO EDELLA - UFFICIO PUBBLICAZIONE LEGGI - VIA ARENULA 70 - 00186 ROMA AMMINISTRAZIONE PRESSO PRESSO L’ISTITUTOILPOLIGRAFICO ZECCA GIUSTIZIA DELLO STATO - VIA SALARIA, 1027 - 00138 ROMAE - DECRETI CENTRALINO 06-85081 - LIBRERIA DELLO STATO AMMINISTRAZIONE L'ISTITUTO POLIGRAFICO E ZECCA DELLO STATO - LIBRERIA DELLO STATO - PIAZZA G. VERDI 10 - 00198 ROMA - CENTRALINO 06-85081 PIAZZA G. VERDI, 1 -PRESSO 00198 ROMA La Gazzetta Ufficiale, Parte Prima, oltre alla Serie Generale, pubblica cinque Serie speciali, ciascuna contraddistinta da autonoma numerazione: 1ª Serie speciale: Corte costituzionale (pubblicata il mercoledì) 2ª Serie speciale: Comunità europee (pubblicata il lunedì e il giovedì) 3ª Serie speciale: Regioni (pubblicata il sabato) 4ª Serie speciale: Concorsi ed esami (pubblicata il martedì e il venerdì) 5ª Serie speciale: Contratti pubblici (pubblicata il lunedì, il mercoledì e il venerdì) La Gazzetta Ufficiale, Parte Seconda, “Foglio delle inserzioni”, è pubblicata il martedì, il giovedì e il sabato

PA R T E P R I M A

AVVISO ALLE AMMINISTRAZIONI Al fine di ottimizzare la procedura di pubblicazione degli atti in Gazzetta Ufficiale, le Amministrazioni sono pregate di inviare, contemporaneamente e parallelamente alla trasmissione su carta, come da norma, anche copia telematica dei medesimi (in formato word) al seguente indirizzo di posta elettronica certificata: gazzettaufficiale@giustiziacert.it, curando che, nella nota cartacea di trasmissione, siano chiaramente riportati gli estremi dell’invio telematico (mittente, oggetto e data). Nel caso non si disponga ancora di PEC, e fino all’adozione della stessa, sarà possibile trasmettere gli atti a: gazzettaufficiale@giustizia.it

SOMMARIO LEGGI ED ALTRI ATTI NORMATIVI

DECRETI, DELIBERE E ORDINANZE MINISTERIALI

LEGGE 7 aprile 2014, n. 56. Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni. (14G00069). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag.

Ministero dell’economia e delle nanze 1 DECRETO 26 febbraio 2014.

Ministero dell’economia e delle nanze

Rideterminazione del conanziamento na-

DECRETO 20 febbraio 2014, n. 57.

zionale pubblico a carico del Fondo di rota-

Regolamento concernente l’individuazione delle modalità in base alle quali si tiene conto del rating di legalità attribuito alle imprese ai ni della concessione di nanziamenti da parte delle pubbliche amministrazioni e di accesso al credito bancario, ai sensi dell’articolo 5-ter, comma 1, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modicazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27. (14G00068) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 23

zione di cui alla legge n. 183/1987 per il Programma Operativo Regionale (POR) Calabria FESR dell’obiettivo Convergenza, programmazione 2007-2013, per le annualità dal 2007 al 2013 al netto del prenanziamento. (Decreto n. 15/2014). (14A02679) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Pag. 28

te in materia di autonomie locali territoriali, con una copiosa legislazione statale emergenziale, motivata dalla necessità di ridurre, a causa della recessione economica, i costi di funzionamento degli enti territoriali. Prima, con il decreto-legge n. 201/2011 (c.d. salva Italia), convertito con modificazioni dalla legge n. 214/2011, le Province sono state trasformate in enti locali con rappresentanza politica di secondo livello, poi, con il decreto-legge n. 95/2012 (c.d. spending review), convertito con modificazioni dalla legge n. 135/2012 , il Governo ha predeterminato i criteri per il riordino delle stesse, situate in Regioni a statuto ordinario, attraverso un’apposita deliberazione, adottata dal Consiglio dei Ministri il 20 luglio 2012. L’accorpamento delle Province doveva garantire il rispetto dei seguenti requisiti: - popolazione residente di almeno 350.000 abitanti;

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Edificio 1, complesso Sant’Artemio, sede presidenza.

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- dimensione territoriale di 2.500 Kmq. Esaurito l’iter previsto dalla Legge 135/2012, il Governo interviene con un nuovo decreto legge 5 novembre 2012 n. 188. Secondo le previsioni del decreto: a) Il numero delle Province delle Regioni a statuto ordinario si ridurrà da n.86 a n.51 (ivi comprese le Città metropolitane); b) Il decreto legge, dopo aver ribadito all’art. 1, ai fini del riordino delle Province, il riferimento ai requisiti minimi fissati dalla deliberazione del Consiglio dei Ministri (350.000 abitanti e 2.500 km²), all’art. 2 elenca le nuove Province con efficacia dal 1° gennaio 2014. Il decreto legge non è stato convertito in legge e pertanto non è entrato in vigore definitivamente alla scadenza dei 60 giorni. La Legge di stabilità 2013 (Legge 228/2012) interviene nuovamente sulle Province, disponendo la sospensione fino al 31 dicembre 2013 dei termini per l’elezione dei

nuovi organi di secondo grado e per il riordino delle funzioni. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 220/2013, ha dichiarato quindi incostituzionali tutte le disposizioni del Governo Monti per violazione dell’art. 77 Cost. - in relazione agli artt. 117, 2° comma lett. p) e 133, 1° comma Cost. - in quanto il decreto-legge, atto destinato a fronteggiare casi straordinari di necessità e urgenza, è strumento normativo non utilizzabile per realizzare una riforma organica e di sistema quale quella delle Province. Dopo i vari tentativi di riforma falliti, dunque, la Legge 56/2014 detta finalmente una disciplina apparentemente organica del riordino delle Province; viene superato l’ordinamento provinciale uniforme dello Stato unitario, per costruire un assetto dei poteri locali che si basa sui principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attraverso l’istituzione delle Città metropolitane e il riordino delle Pro-


Edificio 2, complesso Sant’ Artemio, Sala Consiglio.

vince in enti di secondo grado, strettamente legati ai Comuni del loro territorio. Da due livelli di governo separati e talvolta conflittuali, si è passati ad un impianto unitario dell’amministrazione locale, nel quale i Sindaci sono protagonisti sia del governo di prossimità, sia del governo di area vasta che, infatti, è riconfigurato come governo di secondo livello di derivazione comunale, senza una diretta legittimazione popolare. Le nuove Comunità locali di area vasta, Province e Città metropolitane, sono enti di secondo grado governati dai Sindaci (e dagli amministratori comunali) dei territori e non più enti eletti direttamente dai cittadini, che hanno alcune definite funzioni di area vasta, ma si caratterizzano soprattutto come “Case dei Comuni”, con un grande ruolo di supporto ai Comuni del loro territorio.

Le funzioni dei nuovi Enti di area vasta sono di tre tipi: 1 Funzioni fondamentali proprie: - Funzioni di tipo gestionale, viabilità, edilizia scolastica e ambiente, sulle quali nei territori possono essere avviate sperimentazioni per mettere a fattor comune in modo funzionale risorse e competenze gestionali; - Funzioni di programmazione e pianificazione che devono essere rilette oggi in una prospettiva di “programmazione condivisa” in cui l’area vasta diventa la sede di coordinamento delle autonomie locali, anche sulla base dei compiti di programmazione che provengono dalla legislazione regionale; 2 Funzioni delegate dalle leggi regionali, laddove la Regione ritenga che il livello ottimale sia quello dell’area vasta, anche con la forzatura sul personale imposta dalla Legge di Stabilità per il 2015, trovan-

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do un nuovo equilibrio tra Regione stessa, Enti di area vasta e i Comuni del territorio; con la L. R.. 19/2015, la Regione Veneto ha dato attuazione alla L. 56/2014, anche attraverso un lavoro complesso dell’Osservatorio regionale, confermando tutte le funzioni già delegate; 3 Funzioni trasversali di supporto ai Comuni (assistenza tecnica, raccolta dati, statistica, sistemi informativi, avvocatura, uffici Europa, centrali di committenza, stazioni uniche appaltanti, gestione unitaria di procedure selettive e concorsi) che possono offrire un grande risultato di recupero di ruolo e identificazione, a condizione che si accetti un risultato non omogeneo a livello nazionale.

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Nel percorso tracciato è intervenuta la legge di stabilità per il 2015, che avrebbe dovuto assicurare alle Province i fondi necessari da corrispondere agli enti subentranti per le funzioni trasferite, ma che, in concreto, in vista di una significativa e progressiva riduzione della spesa corrente, ha imposto alle Province ingenti tagli alle risorse disponibili, a prescindere dal completamento della ridistribuzione di funzioni ed una riduzione della dotazione organica in misura pari al 50% della spesa sostenuta alla data di entrata in vigore della Legge 56/2014 per il personale di ruolo. Il taglio immediato delle risorse finanziarie relative alla legge di stabilità 190/2014, a partire dal mese di gennaio 2015, sommato a quello degli anni precedenti, ha posto in seria difficoltà la Provincia nel rinvenimento delle risorse finanziarie di parte corrente necessarie all’esercizio delle funzioni. La legge di stabilità 2016 – Legge 208/2015 – ha confermato l’ulteriore riduzione delle risorse ribadendo, come già avvenuto nel 2015, l’eccezionalità e transitorietà della gestione, rappresentata in modo evidente dalla previsione di un bilancio solo

annuale, da approvare entro il 31 luglio 2016, in deroga ai principi contabili che impongono la programmazione triennale. Il Processo di riforma costituzionale dopo il referendum, se approvato. Tutte le istituzioni della Repubblica devono ora fare i conti con il processo di riforma costituzionale avviato che, dopo l’approvazione definitiva della Camera dei Deputati, si completerà con il referendum costituzionale previsto nell’autunno 2016. Con il Senato composto da rappresentanti dei territori e con la rivisitazione delle competenze legislative statali e regionali, si supera l’approccio federale spinto degli anni precedenti e si torna al modello regionalista precedente alla riforma del titolo V del 2001. Le Regioni partecipano alla funzione legislativa insieme allo Stato e le funzioni amministrative sono allocate a livello locale, in primo luogo ai Comuni, come previsto dall’articolo 118 della Costituzione, in base ai principi di adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà. Le Province vengono eliminate quali enti costitutivi della Repubblica individuati, dalla nuova formulazione dell’art. 114 della Costituzione, nei Comuni, Città Metropolitane, Regioni e Stato. Perdono quindi la loro connotazione di enti autonomi. Tuttavia l’eliminazione delle Province dalla Costituzione non significa il venir meno dell’esigenza di un governo di area vasta. La stessa riforma offre copertura costituzionale al processo di riordino degli enti locali avviato con la legge 56/2014, mantenendo le attuali garanzie per le Città metropolitane e prevedendo, all’articolo 40, comma 4 (“Per gli enti di area vasta, tenuto conto anche delle aree montane, fatti salvi i profili ordinamentali generali relativi agli enti di area vasta definiti con legge dello Stato, le ulteriori disposizioni in materia sono adot-


Manifestazione sindacale

tate con legge regionale. Il mutamento delle circoscrizioni delle Città metropolitane è stabilito con legge della Repubblica, su iniziativa dei Comuni, sentita la Regione”), che nel resto del territorio siano confermati Enti di area vasta disciplinati dal legislatore statale e dal legislatore regionale, in una nuova forma di concorrenza. Il nuovo Ente si caratterizza come un livello amministrativo intermedio tra i Comuni e la Regione, che si occupa di pianificazione, programmazione e gestione del territorio, delle risorse e dei rapporti tra Enti locali, per tutte quelle attività che debbono considerarsi sovracomunali in quanto interessano il territorio e i cittadini di più comuni; tutte le funzioni che non possono essere esercitate a livello (del singolo Comune devono essere esercitate dalla Provincia a livello di area vasta. Le funzioni di area vasta devono però trovare una necessaria copertura finanzia-

ria, sia attraverso una revisione dei tributi provinciali e una riforma del sistema di finanziamento che consenta agli enti di area vasta di disporre delle risorse necessarie a garantire lo svolgimento delle funzioni fondamentali previste dallo Stato, sia attraverso un’adeguata copertura finanziaria di tutte le funzioni delegate dalle Regioni. Per evitare la confusione e ricostruire un sistema di enti locali equilibrato, la Regione dovrebbe porre in capo a questi Enti le funzioni di coordinamento rispetto ai processi associativi comunali, valorizzando le assemblee dei Sindaci come luoghi per individuare, in modo condiviso, quali sono le zone omogenee nelle quali i Comuni organizzeranno unitariamente i servizi comunali in forma convenzionale, in forma associata attraverso le unioni di comuni, o attraverso vere e proprie fusioni di Comuni. Inoltre, la Regione Veneto dovrebbe finalmente dare piena attuazione al comma

75


Edificio 3, complesso Sant’Artemio, Auditorium.

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90 della Legge 56/2014, attribuendo ai nuovi Enti di area vasta le funzioni di organizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica, di competenza comunale o provinciale. Proprio perché governati dai Sindaci e non in competizione con i Comuni del territorio, i nuovi enti di area vasta diventano la sede naturale per l’organizzazione e la gestione delle reti e dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, come il gas, i rifiuti, i servizi idrici, i trasporti pubblici locali, attraverso il riordino della legislazione di settore statale e regionale che, in attuazione del comma 90 della Legge 56/2014, che deve attribuire dette funzioni agli enti di area vasta, riconducendo in tale ambito le diverse strutture diverse (ATO, enti, società,

agenzie, ecc.) che operano in ambito provinciale o sub-provinciale. Si tratta di un di un principio di coordinamento della finanza pubblica che dovrebbe essere finalmente attuato, con gli opportuni incentivi, interventi sostitutivi e sanzioni. La lunga transizione verso il nuovo assetto delle Istituzioni Locali non si è ancora conclusa. La scelta strategica della Regione Veneto, contenuta nella L. R. 19/2015, finalizzata alla valorizzazione delle autonomie e alla conferma delle deleghe in capo alle Province ed alla Città Metropolitana, è solo il primo passo verso un effettivo riordino che dovrà vedere coinvolti e protagonisti tutti i soggetti rappresentativi delle comunità locali.


Complesso Sant’ Artemio, Chiesetta

Il Governo e il legislatore nazionale, una volta approvata definitivamente la riforma costituzionale, dovranno adeguare la legislazione vigente per fornire un quadro di riferimento certo, e non più provvisorio, agli enti locali. In questa prospettiva sarà possibile adeguare le disposizioni della legge 56/2014 e la normativa del testo unico degli enti locali al nuovo assetto costituzionale, favorire il riassetto degli enti superando i divieti esistenti nella gestione del personale e migliorare il sistema di governo degli enti di secondo grado per renderlo veramente funzionale al modello di quella che viene chiamata la “Casa dei Comuni”. 77


il governo democratico della Provincia

a cura Toni Basso


Lombardi Ruggero

nominato dal Prefetto il 24 luglio 1946

Ferracin Mario

nominato dal Prefetto il 2 marzo 1948 e successivamente eletto dal Consiglio il 18 giugno 1951

Marton Bruno

eletto dal Consiglio il 28 giugno 1956 e rieletto il 6 novembre 1960

Ferracin Pietro

eletto dal Consiglio il 15 febbraio 1965 e rieletto il 4 settembre 1970

Bernini Carlo

eletto dal Consiglio il 13 aprile 1971 e rieletto il 27 agosto 1975 Carraro Luigi subentra quale Presidente ff. il 12 luglio 1975

(essendo Assessore Anziano)

eletto dal Consiglio l’1 settembre 1980

Marton Giuseppe Innocenti Lino

eletto dal Consiglio il 30 novembre 1985

Dalla Longa Giacomo Citron Domenico

Zaia Luca

Muraro Leonardo

eletto dal Consiglio il 7 settembre 1990 eletto dal Consiglio il 20 luglio 1993

Mazzonetto Giovanni

dalla liberazione a oggi

nominato dal C.L.N. il 28 aprile 1945

presidenti della provincia

Mazza Antonio

proclamato eletto il 10 maggio 1995

Cabrini Francesco subentra come Presidente vicario il 23 febbraio 1998 (essendo Assessore Anziano)

proclamato eletto il 13 giugno 1998 e proclamato eletto il 12 giugno 2002 Muraro Leonardo subentra come Presidente vicario il 10 giugno 2005

proclamato eletto il 31 maggio 2006 e proclamato eletto il 18 maggio 2011

Dal 1995, per una nuova legge, il Presidente della Provincia è eletto direttamente dai cittadini, con eventuale turno di ballottaggio; la Giunta viene nominata dal Presidente.

79


80


CCD Centro Cristiano Democratico CDU Cristiani Democratici Uniti CI Comunisti Italiani DC Democrazia Cristiana Democratici Patto dei Democratici Dini Patto Dini Dipietro

Lista Di Pietro

DL Democrazia è Libertà DN Destra Nazionale

dalla liberazione a oggi

Tabella orientativa sulle denominazioni delle liste elettorali corrispondenti alle abbreviazioni indicate (tra parentesi) per ciascun componente delle Deputazioni e dei Consigli Provinciali.

le deputazioni, i consigli, le giunte

Abbreviazioni

DS Democratici di Sinistra FI

Forza Italia

FM

Forza Marca

Fronte

Fronte Popolare (PCI + PSI)

IVa Italia dei Valori IVe Insieme per il Veneto Lega

Lega Nord - Liga Veneta Padania

MSI

Movimento Sociale Italiano

NE Nord Est NI AV Nuova Italia Autonomia Veneta PCI Partito Comunista Italiano PCS Partito Cristiano Sociale PdA Partito d’Azione PLI Partito Liberale Italiano PNM Partito Nazionale Monarchico PPI Partito Popolare Italiano PRC Partito della Rifondazione Comunista PRI Partito Repubblicano Italiano PSDI

Partito Socialista Democratico Italiano

PSI Partito Socialista Italiano PSIUP Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria PSU Partito Socialista Unitario (PSDI+PSI) PSULI Partito Socialista Unitario dei Lavoratori Italiani RI Rinnovamento Italiano SDI

Socialisti Democratici Italiani

Tarvisium

(lista locale)

UDC

Unione Democratici di Centro

Verdi Verdi

81


Prima deputazione provinciale

nominata dal C.L.N. il 28 aprile 1945, dimessasi il 19 giugno 1946

DEPUTATI (28 aprile1945 - 1 agosto 1946) 1. Basso Giorgio*

(PdA)

13 febbraio 1946: Della Porta Vittorio

2. Bossum Alberto

(PCI)

3. Candiani Luigi

(PCS)

19 novembre 1945: Vendrame Antonio

4. Colles Antonio

(PCI)

5. Corbolante Francesco

(PLI)

6. De Marchi Giuseppe

(PLI)

7. Ferraresi Umberto

(PSI)

8. Gallina Elio

(PdA)

9. Mazza Antonio

(PSI)

10. Paludetti Giovanni**

(DC)

11. Pantaleoni Clemente

(DC)

12. Perusini Cesare

(PCS)

13. Zavan Giuseppe

(PSI)

14. Zorzi Silvio

(PCS)

15. Zuccardi Merli Ferruccio

(PdA)

PRESIDENTE (28 aprile 1945) Mazza Antonio VICEPRESIDENTI Zorzi Silvio Zuccardi Merli Ferruccio Surroga di persona Cambiamento di partito

82

* nel manifesto del C.L.N. del 28 aprile 1945 viene erroneamente indicato col nome di Guido ** nel manifesto viene indicato col nome di Giuseppe


(PCI)

2. Ferracin Mario

(DC)

3. Ferraresi Umberto

(PSI)

4. Gandin Giovanni

12 agosto 1946: Corborante Francesco

5. Grava Carlo

9 gennaio 1947: Dal Canton Maria Pia

28 giugno 1948: Marcolin Vittorino

6. Lombardi Ruggero

* (PLI) (DC)

(DC)

28 giugno 1948: Wallomy Giacomo

7. Mazza Antonio

9 gennaio 1947: Turcato Palladio

12 febbario 1949: Serena Pietro

8. Milani Angelo

9 gennaio 1947: Bortolozzi Menenio

1 settembre 1950: Mestriner Antonio

(PSI)

(DC)

9. Sanson Lino

(PdA)

10. Signori Achille

(PRI)

11. Zorzi Silvio

nominata dal Prefetto il 24 luglio 1946

1. Colles Antonio

Seconda deputazione provinciale

DEPUTATI (1 agosto 1946 - 18 giugno 1951)

(PCS)

12 agosto 1946: Perusini Cesare

PRESIDENTE (24 luglio 1946)

Lombardi Ruggero 2 marzo 1948: Ferracin Mario

VICEPRESIDENTE Ferraresi Umberto 83

* la stampa locale lo indica come rappresentante della Associazione Partigiani


elezioni il 27 maggio 1951

Prima Legislatura 1951-1956

CONSIGLIO (insediamento il 18 giugno 1951) 1. Baldoin Gualtiero 2. Bettazzi Raffaello 3. Bortolozzi Menenio 4. Brandolini D’Adda Annibale 5. Camerotto Raimondo 6. Concas Franco 7. D’Andrea Antonio Giovanni 8. Daniotti Pietro 9. De Sandre Domenico 10. Favaro Giulia 11. Ferracin Mario 12. Ferraresi Umberto 14 agosto 1955: Bernardi Amedeo 13. Fuser Giuseppe 14. Gallina Guido 15. Marchesi Ugo 16. Martellone Giuseppe 17. Mazza Antonio 18. Pantaleoni Clemente 19. Pegoraro Cesio 20. Perencin Pietro 21. Quarisa Aldo 22. Rossi Francesco 23. Rottini Angelo 24. Sartor Gino 25. Sembiante Alberto 26. Simonetti Bruno 27. Tonon Angelo 28. Trabucco Renato 29. Vanin Abramo 30. Wallomy Giacomo

(DC) (DC) (DC) (Tarvisium) (DC) (Fronte) (DC) (PLI) (DC) (DC) (DC) (PSULI) (DC) (PRI) (Fronte) (PSULI) (PSULI) (DC) (DC) (Fronte) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSULI) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC)

GIUNTA (18 giugno 1951 - 28 giugno 1956) Ferracin Mario P Wallomy Giacomo Vp De Sandre Domenico A Pantaleoni Clemente A Pegoraro Cesio A Rottini Angelo A Vanin Abramo A Favaro Giulia A Trabucco Renato A 84


(DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (PCI) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSI) (PSDI) (DC) (PSDI) (DC) (DC) (DC) (PSI) (DC) (PSI & PSIUP) (DC) (DC) (PRI)

elezioni il 27 maggio 1956

(PSDI) (DC) (PLI) (DC) (PNM-MSI) (DC) (DC)

Seconda Legislatura 1956-1960

CONSIGLIO (insediamento il 28 giugno 1956) 1. Baradel Attilio 2. Bottari De Castello Alba 3. Brandolini D’Adda Brandolino 4. Brunello Bruno 5. Brustolon Gino 6. Cadamuro Lorenzo 7. Facchin Giuseppe (28 agosto 1960: non surrogato) 8. Favaro Giulia 9. Forin Gino 10. Fuser Giuseppe 11. Galletti AnnaMaria 12. Manildo Lorenzo 13. Marchesi Ugo 14. Marchetti Gino 15. Marta Antonio 16. Martini Giuseppe 17. Marton Bruno 18. Mazza Antonio 19. Molinini Gioacchino 20. Pagnin Pietro 21. Pascon Ferdinando 22. Pavan Vittorino 23. Perencin Ampelio 24. Petterle Giacomo 25. Pontiggia Emilio 26. Schiavon Primo 27. Sembiante Alberto 28. Volpato Antonio 29. Wallomy Giacomo 30. Zanin Italo

GIUNTA (28 giugno 1956 - 6 novembre 1960) Marton Bruno P Wallomy Giacomo Vp Favaro Giulia A Forin Gino A Manildo Lorenzo A Marchetti Gino A Volpato Antonio A Marta Antonio A Martini Giuseppe A 85


elezioni il 6 novembre 1960

Terza Legislatura 1960-1965

CONSIGLIO (insediamento il 22 dicembre 1960) 1. Bernini Carlo 2. Bozzo Davide 3. Brunello Bruno 4. Cadamuro Lorenzo 5. Cappellotto Girolamo 6. Carraro Ferdinando 7. Cecchinel Giuseppe 8. Concas Corrado 9. Dal Sasso Carlo Aristide 10. Dalla Costa Ivo 11. Dalla Zentil Giovanni 12. Ervas Armando 13. Fabbri Francesco 14. Favaro Giulia 15. Favotto Erminio 16. Ferracin Mario 17. Franceschi Riccardo 18. Gregory Alfredo 19. Manildo Lorenzo 20. Marchetti Gino 21. Marton Bruno 22. Mazzarolli Antonio 23. Mazzocco Angelo 24. Orsi Dina 25. Porrazzo Fortunato 26. Rossetto Mario 27. Scotti Renzo 28. Sembiante Alberto 28 giugno 1962: Urso Federico 29. Sperandio Amedeo 30. Volpato Antonio

(DC) (DC) (DC) (DC) (PCI) (DC) (DC) (PSI) (MSI) (PCI) (PSDI) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSI) (PLI) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSDI) (DC) (PSI) (PSI) (DC) (DC)

GIUNTA (22 dicembre 1960 - 15 febbraio 1965) Marton Bruno P Fabbri Francesco Vp Cecchinel Giuseppe A Favotto Erminio A Manildo Lorenzo A Orsi Dina A Rossetto Mario A Bernini Carlo A Ervas Armando A 86


(DC) (PSI) (DC) (PCI) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSI) (DC) (DC) (DC)

elezioni il 22 novembre 1964

(PSDI) (PSI) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (PCI)

Quarta Legislatura 1965-1970

CONSIGLIO (insediamento il 15 febbraio 1965) 1. Baga Walter 2. Baldotto Giovanni 3. Bello Luigi 4. Bernardi Tarcisio 5. Bernini Carlo 6. Bozzo Davide 7. Brunello Bruno 8. Cadamuro Lorenzo 9. Cappellotto Girolamo 11 dicembre 1969: Cibin Elio 18 dicembre 1969: Baggio Gino 10. Cecchinel Giuseppe 11. Concas Franco 12. Corder Marino 13. Dalla Costa Ivo 14. Ervas Armando 15. Ferracin Pietro 16. Fuser Giuseppe 17. Giardini Sergio 18. Lorenzoni Umberto 19. Marcolin Lino 20. Mazzarolli Antonio 21. Orsi Dina 6 aprile 1967: Innocenti Lino 22. Porrazzo Fortunato 20 luglio 1966: Greco Iseo 23. Schiavon Giovanni 24. Sembiante Alberto 25. Sperandio Amedeo 26. Ulliana Mario 27. Volpato Antonio 28. Zanatta Vincenzo 29. Zara Rino (PCI) 11 dicembre 1969: Ferreri Leonardo 30. Zava Silvio

(PSDI) (PSDI) (PSIUP) (DC) (DC) (DC) (DC) (PLI)

GIUNTA (15 febbraio 1965 . 04 settembre 1970) Ferracin Pietro P Ulliana Mario Vp Bernardi Tarcisio A Bernini Carlo A Cecchinel Giuseppe A Ervas Armando A Orsi Dina A 6 aprile 1967: Innocenti Lino Volpato Antonio A Zanatta Vincenzo Vittorio A

87


elezioni il 7 giugno 1970

Quinta Legislatura 1970-1975

88

CONSIGLIO (insediamento il 3 agosto 1970) 1. Battistella Gilberto 2. Bernini Carlo 3. Bigi Lino 4. Carraro Luigi 5. Concas Corrado 6. Corder Marino 7. Da Dalt Roberto 8. Dal Sasso Aristide 29 gennaio 1973: Bonotto Sergio 9. Dalla Costa Ivo 10. Della Bella Renato 11. Dottori Attilio 12. Familiari Stanislao 13. Ferracin Pietro 14. Ferreri Leonardo 15. Gava Umberto 16. Gazzola Mario 17. Gentilin Cesare 12 ottobre 1972: Forti Luigi 18. Giardini Sergio 19. Greco Iseo 20. Innocento Lino 6 novembre 1972: Armellin Lino 21. Manildo Lorenzo 22. Maso Marco 23. Migotto Antonio 24. Paier Lino 25. Prevedello Giovanni 26. Quargnali Giovanni 27. Schiavon Giovanni 28. Steccanella Alberto 29. Tomasi Antonio 30. Volpato Antonio

(DC) (DC) (PCI) (DC) (PSI) (DC) (DC) (MSI) (PCI) (PSI) (DC) (PSI>PSU) (DC) (PCI) (PLI) (DC) (PRI) (DC) (PSI) (DC) (DC) (PSU) (DC) (DC) (DC) (PSIUP) (PSDI > PSI) (DC) (DC) (DC)


GIUNTA (4 settembre 1970 - 13 aprile 1971) Ferracin Pietro P Bernini Carlo Vp Battistella Gilberto A Carraro Luigi A Giardini Sergio A Manildo Lorenzo A Prevedello Giovanni A Da Dalt Roberto A Gazzola Mario A GIUNTA (13 aprile1971 - 26 agosto1975) Bernini Carlo P Carraro Luigi Vp Battistella Gilberto A Giardini Sergio A Manildo Lorenzo A Prevedello Giovanni A Tomasi Antonio A Da Dalt Roberto A Gazzola Mario A

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elezioni il 15 giugno 1975

Sesta Legislatura 1975-1980

90

CONSIGLIO (insediamento il 27 agosto 1975) 1. Armellin Lino 2. Bernini Carlo 3. Bianchin Franco 31 marzo 1976: Dapporto Laura 29 gennaio 1979: Bandiera Giuseppe 4. Binotto Roberto 5. Bolis Roberto 6. Brescacin Antonio 7. Campoccia Salvatore 8. Carraro Luigi 9. Concas Corrado 10. Concini Francesco 29 gennaio 1979: Tormena Loris 11. Corder Marino 12. Corletto Gianfranco 13. Da Dalt Roberto 14. Dalla Costa Ivo 28 gennaio 1977: De Bianchi Luciano 15. Danieli Carlo Pietro 16. De Nardi Aldo 29 giugno 1979: Baldotto Giovanni 17. Della Libera Franco 18. Ferreri Leonardo 19. Forti Luigi (PRI) 20 novembre 1975: Cohn Guglielmo 20. Gazzola Mario 21. Giardini Sergio 22. Gorghetto Paolo 23. Greco Iseo 24. Lorenzon Serena 25. Marton Giuseppe 26. Moratto Eligio 27. Piccoli Giampietro 28. Prevedello Giovanni 29. Rossi Lino 30. Toffoli Aldo

(DC) (DC) (PCI) (DC) (PCI) (DC) (MSI) (DC) (PSI) (PCI) (DC) (DC) (DC) (PCI) (PSDI) (PSI) (DC) (PCI) (DC) (DC) (PCI) (PSI) (DC) (DC) (PSDI) (PSI) (DC) (DC) (DC)


GIUNTA (27 agosto 1975 - 16 luglio 1976) Bernini Carlo P Marton Giuseppe Vp Binotto Roberto A Carraro Luigi A Da Dalt Roberto A Giardini Sergio A Toffoli Aldo A Armellin Lino A Gazzola Mario A GIUNTA (16 luglio 1976 - 12 luglio 1980) Bernini Carlo P Carraro Luigi Vp Giardini Sergio A Brescacin Antonio A Da Dalt Roberto A Toffoli Aldo A Binotto Roberto A Armellin Lino A Gazzola Mario A GIUNTA (12 luglio 1980 - 30 settembre 1980 in seguito alla elezione a Consiglieri regionali di Bernini, Da Dalt, Toffoli) Carraro Luigi Assessore Anziano ff. di Presidente Giardini Sergio A Binotto Roberto A Gazzola Mario A Brescacin Antonio A Armellin Lino A

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elezioni il 8 giugno 1980

Settima Legislatura 1980-1985

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CONSIGLIO (insediamento l’1 settembre 1980) 1. Anzanello Rolando 2. Barro Ilario 3. Bettarel Pierluigi 4. Bolis Roberto 5. Brescacin Antonio 6. Brunetto Arnaldo 7. Dalla Valle Luigi 8. Danieli Carlo Pietro 9. De Bianchi Luciano 10. De Biasi Graziano 11. De Zan Pietro 26 luglio 1982: Cohn Guglielmo 6 dicembre 1982: Cornuda Edo 12. Fabris Pierantonio 13. Gardenal Mario 14. Gasparetto Giovanni 15. Gazzola Mario 16. Giardini Sergio 17. Giotto Fortunato 10 maggio 1982: Moratto Eligio 18. GirardiPaolo 19. Giuliato Zenone 20. Greco Iseo 21. Maccari Adriano 22. Maccari Antonio 23. Marchesin Sergio 24. Marton Giuseppe 25. Perini Umberto 26. Piccoli Giampietro 27. Silvestri Fiorenzo 28. Zanardo Amedeo 29. Zannol Silvio 30. Zanoni Adriano

(PSI) (DC) (DC) (PCI) (DC) (DC) (DC) (PSDI) (PCI) (PSI) (PRI) (PLI) (DC) (DC) (DC) (DC) (PSDI) (MSI) (PCI) (PSI) (DC) (DC) (PCI) (DC) (PCI) (PSI) (DC) (DC) (DC) (DC)

GIUNTA (30 settembre 1980 - 18 novembre 1985) Marton Giuseppe P Brunetto Arnaldo Vp Barro Ilario A Bettarel Pierluigi A Giardini Sergio A Silvestri Fiorenzo A Zannol Silvio A Maccari Adriano A Zanoni Adriano A


elezioni il 12 maggio 1985

(PLI) (PSI) (DC) (DC) (PCI) (DC) (DC) (Lega) (DC) (DC) (DC) (PSDI) (PSI) (Lega) (PCI)

Ottava Legislatura 1985-1990

CONSIGLIO (insediamento il 18 novembre 1985) 1. Agostini Silvio 2. Antoniazzi Giorgio 3. Barro Ilario 4. Bastasi Giancarlo 5. Bolis Roberto 6. Brunetto Arnaldo 7. Cagnato Gianfranco 8. Calzavara Fabio 9. Canzian Giuseppe 10. Citron Domenico 11. Dalla Longa Giacomo 12. Danieli Carlo Pietro 13. De Biasi Graziano 14. De Zen Giovanni 15. Donazzon Renzo 13 gennaio 1986: De Bianchi Luciano 16. Eugenio Luciano 17. Ferreri Lorenza 18. Furlan Pietro 19. Gasparetto Giovanni 20. Gava Tiziano 21. Giardini Sergio 22. Girardi Paolo 23. Innocenti Lino 24. Maccari Antonio 25. Malvestio Massimo 26. Marton Giuseppe 27. Moscatelli Riccardo 28. Perini Umberto 14 novembre 1988: Ciabatti Umberto 29. Piccoli Giampietro 30. Piccoli Romano 31. Scarabellotto Pietro 32. Silvestri Fiorenzo 33. Tiziano Giancarlo 34. Zaccariotto Pierantonio 2 maggio 1989: Mauro Renato 35. Zanoni Adriano 36. Zuccarello Manuela 16 marzo 1987: Falcoz Massimo

(PRI) (PCI) (DC) (DC) (PCI) (DC) (Msi-Dn) (DC) (DC) (DC) (DC) (DC) (PCI) (PSI) (PSI) (DC) (DC) (PCI) (PSI) (PCI) (Verdi)

GIUNTA (19 novembre 1985 - 7 agosto 1990) Innocenti Lino P De Biasi Graziano Vp Brunetto Arnaldo A 28 settembre 1987: Dalla Longa Giacomo Gasparetto Giovanni A Marton Giuseppe A Silvestri Fiorenzo A Zanoni Adriano A Furlan Pietro A Piccoli Romano A

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elezioni il 6 maggio 1990

Nona Legislatura 1990-1995

94

CONSIGLIO (insediamento il 2 luglio 1990) 1. Barel Bruno 2. Bonemazzi Angelo 3. Bordin Adolfo 23 luglio 1991: Fanton Alfredo 7 settembre 1992: Sandri Giacomo 4. Bottacin Diego 6 ottobre 1992: Perissinotto Maurizio 5. Bovo Alberto 2 agosto 1993: De Marchi Renato 6. Caon Luciano 31 maggio 1994: Furlanetto Giuseppe 7. Cardani Gemma 8. Celotto Giuseppe 9. Citron Domenico 10. Da Ros Giancarlo 11. Dalla Colletta Francesco 12. Dalla Longa Giacomo 13. De Bianchi Luciano 14. De Biasi Graziano 15. Facin Pietro 16. Falcoz Massimo 6 ottobre 1992: Della Bella Giuliano 16 novembre 1992: Tonellato Paola 17. Favaro Fausto 18. Feltrin Umberto 19. Ferreri Lorenza 13 ottobre 1994: Stefanato Franco 20. Gasparetto Giovanni 21. Gava Tiziano 22. Girardi Paolo 23. Macor Sandro 24. Maddalon Giovanni 25. Malvestio Massimo 5 agosto 1993: Pellegrino Nicola 26. Mauro Renato 27. Michielon Mauro 6 ottobre 1992: Gobbo Paolo 30 marzo 1993: Durighello Emilio 14 dicembre 1993: Foci Renato 28. Padoin Antonio 29. Piva Sergio 30. Pizzol Claudio 31. RedĂŹgolo Gino 21 ottobre 1994: Gionco Ugo 32. Rossetto Mario 33. Sartori Valerio 34. Silvestri Fiorenzo 35. Zanatta Pietro 15 febbraio 1992: PettenĂ Fulvio 36. Zanoni Adriano

(DC) (PLI) (PRI) (Verdi) (DC) (PSI) (DC) (DC) (DC) (PSI) (PCI) (DC) (PCI) (PSI) (DC) (Verdi) (DC) (PSDI) (PCI) (DC) (PCI) (MSI) (PCI) (Verdi) (DC) (PSI) (Lega)

(DC) (DC) (PSI) (DC) (PSI) (DC) (DC) (Lega) (DC)


N.B.: Durante questa legislatura diversi membri del Consiglio hanno modificato la denominazione della lista elettorale nella quale si erano presentati, o si sono costituiti in gruppi di diversa denominazione.

GIUNTA (7 agosto 1990 - 14 settembre 1992) Dalla Longa Giacomo P De Biasi Graziano Vp Bovo Alberto A Caon Luciano A Malvestio Massimo A Mauro Renato A RedĂŹgolo Gino A Silvestri Fiorenzo A Zanoni Adriano A GIUNTA (14 settembre 1992 - 28 luglio 1993) Dalla Longa Giacomo P Redigolo Gino Vp Bovo Alberto A Malvestio Massimo A 16 novembre 1992: Sartori Valerio Silvestri Fiorenzo A Zanoni Adriano A Gasparetto Giovanni A Cardani Gemma A Padoin Antonio A GIUNTA (20 luglio 1993 - 10 maggio 1995) Citron Domenico P Feltrin Umberto Vp Rossetto Mario A Padoin Antonio A Redigolo Gino A 19 ottobre 1994: Celotto Giuseppe Cardani Gemma A Sartori Valerio A Marchi Enrico A Bolla Pierluigi A

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elezioni il 23 aprile e 7 maggio 1995

Decima Legislatura 1995-1998

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Mazzonetto Giovanni (10 maggio 1995 - 23 febbraio 1998) Cabrini Francesco (Presidente vicario dal 23 febbraio 1998 - 13 giugno 1998) GIUNTA (15 maggio 1995 - 9 giugno 1998) Bassetto Daniele Vp 5 novembre 1997: dimissionario non surrogato Battocchio Gianni A Cabrini Francesco A 23 febbraio 1998 come assessore anziano assume l’incarico di Presidente Vicario Canonico Renato A 5 novembre 1997: dimissionario non surrogato Fanton Ubaldo A Frare Gian Pietro A 30 novembre 1995: Albuzio Antonio 7 maggio 1998: dimissionario non surrogato Trevisan Flavio A 5 febbraio 1997: Sgambaro Maria Antonietta 7 maggio 1998: dimissionaria non surrogata Zaia Luca A

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CONSIGLIO (insediamento il 22 maggio 1995) 1. Atalmi Nicola 12 settembre 1995: Botteon Mario 2. Baggio Loreta 3. Baron Natale 4. Bassetto Daniele 15 maggio 1995: Pasqualato Sergio 5. Bergamin Mauro 6. Bertapelle Alessio 7. Bortolomiol Mauro 12 settembre 1995: Dalla Riva Caterina 8. Campoccia Stefano 9. Cavallin Maurizio 10. De Bertolis Michele 26 ottobre 1995: Boscheratto Renzo 11. Favaro Fausto 12. Favero Marzio 13. Ferrante Alvaro 14. Gava Tiziano 15. Gazzabin Fabio 16. Geronazzo Alfio 17. Iossa Luigi 18. Lapasini Giulio 19. Lucchi Gianfranco 14 luglio 1997: Felici Giuseppe 20. Maddalon Gianni 21. Milani Roberta 22. Ortica Letizia 23. Pagotto Giovanni 24. Palazzo Antonio 25. Pellizzari Guido 26. PettenĂ Fulvio 27. Piovesan Mario 28. Pizzinato Italo 29. Pozzebon Anna Cristina 30. Serrajotto Ermanno 31. Stocco Riccardo 32. Tittonel Giampietro 33. Tomasella Doimo Evelina 34. Zanette Tiziano 26 ottobre 1995: Maset Giuseppe 35. Zamuner Tecla 36. Zanchetta Roberto

(PRC) (FI-CCD) (NI.AV) (PPI) (Lega) (FI-CCD) (NI.AV) (AN) (PPI) (Democratici) (FI-CCD) (Lega) (AN) (DS) (Lega) (Lega) (FI-CCD) (DS) (FI-CCD) (Verdi) (Lega) (FI-CCD) (NI.AV) (DS) (FI-CCD) (Lega) (Lega) (Lega) (PPI) (Lega) (PPI) (PPI) (Lega) (Lega) (Lega) (PPI) 97


elezioni il 24 maggio e 7 giugno 1998

Undicesima Legislatura 1998-2002

98

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Zaia Luca (13 giugno 1998 - 12 giugno 2002) GIUNTA (17 giugno 1998 - 12 giugno 2002) Battocchio Gianni Vp 23 novembre 1999: Napetti Giorgio Fanton Ubaldo A Favero Marzio A Gazzabin Fabio A Muraro Leonardo A Piovesan Mario A Speranzon Paolo A Zanette Noemi A CONSIGLIO (insediamento il 19 giugno 1998) 1. Benazzi Francesco 2. Bergamin Mauro 3. Botteon Mario 4. Bressan Leopoldo 5. Busolin Stefano 6. Cenedese Alessandro 7. Ciciliot Claudio 8. Colmaor Loris 9. De Guarda Andrea 10. Ferrante Alvaro 11. Geronazzo Alfio 12. Giorgi Giorgio 13. Lapasini Giulio 14. Lorenzon Mirco 15. Lovisotto Arcangelo 16. Maddalon Gianni 17. Marchesan Alessandro 18. Mardegan Giuseppe 19. Mazzer Edward 20. Miotto Cesare 6 marzo 2000: Schiavon Bruno 21. Perissinotto Moreno 22. Pescarollo Antonio 23. Pettenà Fulvio 24. Picciol Giovanni 25. Pizzinato Italo 26. Puppinato Carla 27. Roma Fiorenzo 28. Rossetto Marlene 29. Sartor Ivano 6 marzo 2000: Zanotto Vittorio 30. Serrajotto Ermanno 31. Tesser Pietro 32. Tomè Elio (Lega) 33. Tonin Renzo 34. Zamuner Tecla 35. Zanatta Pietro 36. Zanette Roberto

(CCD-FI) (Lega) (PRC) (NE) (Lega) (Lega) (Lega) (Lega) (Lega) (AN) (Lega) (Lega) (DS) (Lega) (Lega) (NE) (Lega) (PPI-Dini-RI) (Lega) (DS) (Lega

11.07.00: AN) (CCD-FI) (Lega) (Lega) (Lega) (CDU) (PPI-Dini-RI) (Lega) (PPI-Dini-RI) (Lega) (CCD-FI) (DS) (Lega) (Lega) (Lega)


CONSIGLIO (insediamento il 24 giugno 2002) 1. Baggio Luca 2. Beninatto Alfonso 3. Bet Roberto 4. Bottacin Diego 5. Carniel Maurizio 6. Cenedese Alessandro 7. Cester Giorgio 8. Colmaor Loris 9. Conte Franco Guido 10. Covre Giuseppe 11. Dal Vecchio Franco 12. Davì Pietro Giorgio 13. De Marco Luca 14. De Zen Daniele 15. Fazzello Domenica 16. Gentilini Giancarlo 24 luglio 2002: Gatto Pietro 17. Geronazzo Alfio 12 febbraio 2003: Rosin Romeo 18. Giacomin Francesco 19. Giorgi Giorgio 20. Marchetti Sante 21. Marcolin Marco 22. Marson Guido Mario 23. Mazzer Edward 24. Milani Luciano 25. Noal Michele 26. Olivato Donatello 27. Pandolfo Gian Francesco 28. Pettenà Fulvio 29. Picciol Giovanni 30. Prosdocimo Marco 31. Rigato Renato 32. Targhetta Giorgio 33. Tomé Elio 34. Tovenati Antonio 35. Vallardi Gianpaolo 36. Varago Tiziano

(Lega) (DL - Ive) (FM) (SDI - DS - Dipietro - IVa - CI - DL) (Lega) (Lega) (Lega) (Lega) (FI - AN - UDC) (Lega) (FM) (AN) (DS) (Lega) (DS) Lega Nord - Liga Veneta Padania

elezioni il 26 maggio e 9 giugno 2002

GIUNTA (15 giugno 2002 - 31 maggio 2006) Muraro Leonardo (il 10 giugno 2005: assume l’incarico di Presidente Vicario) Vp Busolin Stefano A Fanton Ubaldo A Favero Marzio A Gazzabin Fabio (dal 17 settembre 2004) A Lorenzon Mario A Piovesan Mario A Speranzon Paolo A Zanette Noemi A

Dodicesima Legislatura 2002-2006

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Zaia Luca (12 giugno 2002 - 10 giugno 2005) Muraro Leonardo (Presidente vicario 10 giugno 2005 - 31 maggio 2006)

Forza Marca (FI) (Lega) (FI) (Lega) (FI) (Lega) (UDC) (FI) (Dipietro - IVa) (FI) (Lega) (Lega) (Lega) (Lega) (DL -IVe (Lega) (FM) (Lega) (Lega)

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Tredicesima Legislatura 2006-2011

elezioni il 28 maggio 2006 e 11 giugno 2006 (eventuale ballottaggio)

100

PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Muraro Leonardo (31 maggio 2006 - 18 maggio 2011) GIUNTA (30 giugno 2006) Zambon Floriano Vp Conte Franco A Fanton Ubaldo A Farnea Denis A Favero Marzio A Lorenzon Mirco A Noal Michele A Prosdocimo Marco A Puppinato Carla A Speranzon Paolo A Trentin Barbara A 23 agosto 2010: De Mitri Alessio Zanette Noemi A CONSIGLIO (insediamento il 21 giugno 2006) 1. Baggio Dina 2. Biagi Lorenzo 3. Bordignon Oscar 4. Casagrande Gian Luigi 5. Conte Franco 5 luglio 2006: Marson Guido Mario 6. Dall’Agata Stefano 7. Davi’ Pietro Giorgio 8. De Marco Luca 9. Dematte’ Donata 10. Dus Claudio 11. Favaro Gian Pietro 12. Favaro Mauro 13. Fighera Marco 14. Gazzabin Fabio 16 Giugno 2008: Pizzinato Italo 15. Giovine Gianfranco 16. Lorenzon Mirco 5 Luglio 2006: Dal Vecchio Franco 17. Marcolin Marco 18. Marostica Speranza 19. Mestriner Stefano 20. Milani Luciano 23 Aprile 2007: Bortolato Graziano 21. Noal Michele 5 Luglio 2006: De Mitri Alessio 15 Settembre 2010: Salatin Remo 22. Panto Giorgio 4 Dicembre 2006: Perin Alvaro 23. Pettena’ Fulvio 24. Piovesan Mario 19 Dicembre 2007: Frezza Vanni

(Lega) Ulivo (AN) (Lega) (FI) Ulivo (AN) (Ulivo) (Ulivo) (Ulivo) (FI) (PNE) (FI) (Lista Zaia) (FI) (Lista Zaia) (Lega) (FI) Unione Per La Marca U.D.C. (FI) (PNE) (Lega) (Lista Zaia)


25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36.

Prosdocimo Marco (Lega) 5 Luglio 2006: Granello Giorgio Rossetto Marlene (PNE) Sartoretto Sebastiano Ulivo Scolese Marco Rifondazione Comunista Silvestri Fiorenzo (U.D.C.) Silvestri Roberto (PNE) Trentin Oscar (Ulivo) Vallardi Gianpaolo (Lega) 16 Giugno 2008: Scotta’ Giancarlo Zaia Luca (Lista Zaia) 16 Giugno 2008: Lovisetto Marco Zambon Floriano (FI) 5 Luglio 2006: Szumski Riccardo Zava Mariano (Lista Zaia) Zoccarato Luigi Ulivo

Durante questa legislatura alcuni membri del Consiglio hanno modificato la denominazione della lista elettorale nella quale si erano presentati o si sono costituiti in gruppi di diversa denominazione. 24 luglio 2006 I consiglieri eletti con la Lista Zaia dichiarano di confluire nel gruppo Lega Nord - Liga Veneta. 19 ottobre 2007 I consiglieri Dall’Agata Stefano e De Marco Luca escono dall’Ulivo e costituiscono il gruppo Sinistra democratica per il Socialismo europeo. 23 aprile 2009 Il consigliere Scolese Marco comunica nuova denominazione del proprio gruppo (Rifondazione Comunista), che diventa Movimento per la Sinistra. 26 giugno 2009 I consiglieri Favaro Mauro e Silvestri Roberto escono da Progetto Nordest e costituiscono il gruppo Per le Autonomie. 11 settembre 2009 Il consigliere Trentin Oscar esce dall’Ulivo e aderisce al gruppo Lega Nord - Liga Veneta. 31 marzo 2010 Il consigliere Perin Alvaro esce da Progetto Nordest e aderisce al gruppo Lega Nord Liga Veneta. 22 luglio 2010 I consiglieri Dall’Agata Stefano e De Marco Luca comunicano nuova denominazione del loro gruppo (Sinistra democratica per il Socialismo europeo), che diventa Sinistra Ecologia Libertà. 27 dicembre 2010 Il consigliere Scolese Marco esce da Movimento per la Sinistra e aderisce al gruppo Sinistra Ecologia Libertà. 28 marzo 2011 Il consigliere Marostica Speranza esce da Forza Italia e aderisce al gruppo Lega Nord Liga Veneta. 28 marzo 2011 Il consigliere Marson Guido Mario esce da Forza Italia e aderisce al gruppo Lega Nord - Liga Veneta.

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Quattordicesima Legislatura 2011-2016

elezioni il 15 maggio 2011 e 29 maggio 2011 (eventuale ballottaggio)

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PRESIDENTE DELLA PROVINCIA Muraro Leonardo (18 maggio 2011 - in carica) GIUNTA (13 giugno 2011 in carica) Zambon Floriano Vp 13 Febbraio 2014: Bonesso Franco Contarin Gianluigi A Lorenzon Mirco A Mazzocato Eugenio 13 Febbraio 2014: Moro Silvia Noal Michele A 17 Marzo 2014: dimissionario non surrogato Speranzon Paolo A Villanova Alberto 15 Luglio 2015: dimissionario non surrogato Zanette Noemi A CONSIGLIO (insediamento il 1° giugno 2011) 1. Amendola Luigi Sinistra Ecologia Libertà 2. Battaglion Bruna (PD) 3. Berton Fiorenzo (Lega) 4. Bonesso Franco Il Popolo Della Libertà 24 Febbraio 2014: Bonotto Maurizio 5. Cappellotto Mario (Lega) 6. Casellato Floriana (PD) 18 Marzo 2013: Sartoretto Sebastiano 7. Ceccato Fabio (Lega) 8. Contarin Gianluigi (Lega) 27 Giugno 2011: Toaldo Michele 9. Conte Franco Il Popolo Della Libertà 10. Dus Claudio (PD) 11. Franco Fabrizia (PD) 12. Gabrielli Mario Forza Veneto Per L’italia 13. Giacuzzo Marco (Lega) 14. Granello Giorgio (Lega) 18 Aprile 2012: Vettori Firmino 15. Lorenzon Mirco (Razza Piave) 27 Giugno 2011: Prosdocimo Marco 16. Marzullo Daniela (PD) 17. Michielan Andrea (PD) 18. Noal Michele Il Popolo Della Libertà 27 Giugno 2011: Fava Roberto 19. Pettena’ Fulvio (Lega) 20. Serena Aldo (Lega) 21. Silvestri Fiorenzo Terzo Polo - U.D.C. 22. Speranzon Paolo (Razza Piave) 27 Giugno 2011: Ravaziol Monia 23. Villanova Alberto (Razza Piave) 27 Giugno 2011: Tommasella Lisa 24. Zabotti Marco Terzo Polo - U.D.C. 25. Zambon Floriano Il Popolo Della Libertà 27 Giugno 2011: De Mitri Alessio 24 Febbraio 2014: Gallina Roberto


26. Zanata Franco (PD) 9 Settembre 2013: Bortoluzzi Antonio 27. Zanoni Andrea Di Pietro - Italia Dei Valori 26 Ottobre 2011: Maschera Gianluca 26 Novembre 2014: Mari Francesco Mattia 28. Zava Mariano (Lega) Durante questa legislatura alcuni membri del Consiglio hanno modificato la denominazione della lista elettorale nella quale si erano presentati o si sono costituiti in gruppi di diversa denominazione. 30 luglio 2013 I consiglieri Bonesso Franco, De Mitri Alessio e Fava Roberto escono da Il Popolo della Libertà e costituiscono il gruppo Verso Forza Italia. 19 settembre 2013 Il consigliere Conte Franco comunica nuova denominazione del gruppo (Il Popolo della Libertà), che diventa Forza Italia. 30 ottobre 2013 Il consigliere Gabrielli Mario aderisce al gruppo Forza Italia (cessa l’attività del gruppo Forza Veneto per l’Italia). 6 novembre 2013 I consiglieri Bonesso Franco, De Mitri Alessio e Fava Roberto aderiscono al gruppo Forza Italia. 20 novembre 2013 Il consigliere Zabotti Marco costituisce il gruppo Marca Civica. 20 novembre 2013 Il consigliere Maschera Gianluca aderisce al gruppo Marca Civica (cessa l’attività del gruppo Di Pietro Italia dei Valori). 22 novembre 2013 Il consigliere Gabrielli Mario esce da Forza Italia e costituisce il gruppo Forza Veneto per l’Italia - Nuovo Centro Destra. 4 dicembre 2013 Il consigliere Conte Franco esce da Forza Italia e aderisce al gruppo Forza Veneto per l’Italia - Nuovo Centro Destra. 28 febbraio 2014 Il consigliere Gabrielli Mario comunica nuova denominazione del gruppo (Forza Veneto per l’Italia - Nuovo Centro Destra), che diventa Nuovo Centro Destra. 10 novembre 2014 Il consigliere Gabrielli Mario esce da Nuovo Centro Destra e ricostituisce il gruppo Forza Veneto per l’Italia. 5 febbraio 2016 I consiglieri Fava Roberto e Gallina Roberto escono da Forza Italia e costituiscono il Gruppo Misto - Conservatori e Riformisti. 103


bibliografia

Il curatore, testimone diretto o indiretto della situazione e degli avvenimenti, ha attinto principalmente ai ricordi personali, integrati e puntualizzati da fonti documentarie, le più significative delle quali sono qui di seguito indicate Amministrazione Provinciale di Treviso La Provincia di Treviso (poi) Treviso Provincia [periodico dell’Amministrazione], Treviso 1958-1990 Amministrazione Provinciale di Treviso Alcuni aspetti dell’andamento dell’attività edilizia in provincia di Treviso dal 1955 al 1964 Treviso 1969 Amministrazione Provinciale di Treviso 1985 - Formazione Professionale - Trent’anni di intervento Treviso 1985 Amministrazione Provinciale di Treviso Il governo del possibile - luglio 1993 / aprile 1995 Treviso 1995 Amministrazione Provinciale di Treviso Profilo storico della Provincia di Treviso [a cura di Adriano Favaro], (s.i.d.) AA.VV., Ascom 1945 / 1995 - Cinquant’anni di storia Treviso 1995 AA.VV., IACP Casa, città, territorio nella storia trevigiana dell’ultimo secolo Treviso 1979 Altarui Mario, Ca’ Spineda Treviso postbellica Treviso (s.i.d.) Brunetta Ernesto La Camera di Commercio - 180 anni di storia economico sociale trevigiana - 1811 / 1991 Treviso 1991 Bernardi Ulderico Paese Veneto Firenze 1990 Filippi Vittorio Treviso tra modernizzazione e tradizione Treviso 1988 Netto Giovanni La Provincia di Treviso - 1815 / 1965 Treviso 1966 Pozzi Alberto [a cura di] L’industrializzazione in una prospettiva globale e locale Oderzo 2001 Tramontin Silvio La ricostruzione democratica della Provincia di Treviso Treviso, 1985

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Vanzetto Livio, Brunetta Ernesto Storia di Treviso Padova 1988 e inoltre i verbali del Consiglio Provinciale, nonché periodici locali diversi.

…eppure non è trascorso che mezzo secolo da quando le acque del Sile rappresentavano per l’andare delle merci ciò che oggi sono, nella loro convulsa congestione, le strade e le autostrade… foto di Renato de Giorgis






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