TRIMESTRALE
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AUTUNNO 2008
ANNO 1 | N. 2
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€ 7.00
S O M M A R I O
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L’UOMO NERO VA IN PENSIONE PAROLE | Marco Montanaro ILLUSTRAZIONE | Efrem Barrotta
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CHI HA PAURA DELL’UOMO NERO? PAROLE | Michele Bee ILLUSTRAZIONE | Emiliano Properzi
PENNA & MATITA
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DINO BUZZATI FOCUS | Giuliana Zeppegno ILLUSTRAZIONE D’AUTORE | Dino Buzzati
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POSTER
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LE BABBUCCE DELL’UOMO NERO PAROLE | Donatella Neri ILLUSTRAZIONE | Laura Giorgi
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PRONTO... POLIZIA? PAROLE | Manuela Piovesan ILLUSTRAZIONE | Iroki
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L’OMBRA DI MIO PADRE PAROLE e ILLUSTRAZIONE | Francesca Quatraro
ILLUSTRAZIONE |
Philip Giordano
RACCONTARE IL BUIO
STELLARIUM
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FRAMMENTI DI LIBRI E TEATRO
Vito Greco, Josè Luis Molteni, Antonio Miccoli, Stefania Ricchiuto
TESTI |
| Osvaldo Piliego ILLUSTRAZIONE | Erik Chilly PAROLE
HANNO COLLABORATO:
PROGETTO GRAFICO
Efrem Barrotta | efrem@efrem.biz Michele Bee | beemichele@gmail.com
Farm - Comunicazione e progetti culturali www.farm37.it
Philip Giordano | sigur451@gmail.com
COPERTINA
Laura Giorgi | laura_giorgi@libero.it
Erik Chilly | erikchilly@libero.it
Iroki | mr_iroki@yahoo.it Laboratorio di Carta Trimestrale | anno 1 - n° 2 | autunno 2008 c/o Manifatture Knos Via Vecchia Frigole, 34 73100 Lecce redazione@unduetrestella.org www.unduetrestella.org
UNDUETRESTELLA
Marco Montanaro | b_nabbaloni@libero.it Gianluca Moro | giallomoro@yahoo.it Donatella Neri | dona47@alice.it Manuela Piovesan | manu.piovesan@libero.it Emiliano Properzi | emi.pro@gmail.com
EDITO E STAMPATO DA
Lupo Editore www.lupoeditore.it Unduetrestella - Laboratorio di Carta è un progetto nato da un’idea di Cosimo Lupo, Paolo Guido e Alessandra Lani.
Francesca Quatraro | officinamezzaluna@quipo.it Giuliana Zeppegno | giuzz@hotmail.com
Abbonamenti | Tramite bollettino postale. Prezzo unico
LE RECENSIONI SONO DI: Vito Greco, Antonio Miccoli,
testato a Lupo Editore - Copertino. Causale: abbonamento
Josè Luis Molteni, Stefania Ricchiuto. Moro
Unduetrestella 2008.
Andrea De Ferraris | andrea@unduetrestella.org
SI RINGRAZIA:
te di questa rivista può essere riprodotta senza il preventivo
Vito Greco | vito@unduetrestella.org
Il Prof. Livio Sossi per il sostegno e i preziosi consigli.
assenso dell’Editore.
DIRETTORE RESPONSABILE:
Osvaldo Piliego | redazione@unduetrestella.org REDAZIONE:
Antonietta Rosato | redazione@unduetrestella.org
TESTO QUARTA DI COPERTINA: Gianluca
annuale: € 28 per 4 numeri, da versare su c/c 65527681 in-
© Lupo Editore 2008 - Tutti i diritti riservati. Nessuna par-
Finito di stampare nel mese di settembre 2008.
“Il babau simboleggia il sogno e il volo della fantasia che l’uomo perseguita in nome di un progresso cieco e spietato...” Così diceva Buzzati riguardo al suo bellissimo uomo nero. Figura antica dai contorni sfumati che da sempre accompagna la nostra immaginazione. L’uomo nero è più vicino di quanto immagini. L’uomo nero è la paura, la nostra paura. Ogni giorno quando arriva la sera c’è un momento in cui le nostre ansie, le incertezze ci vengono a trovare, proprio quando vorremmo spegnere il giorno e non pensare a niente. Ecco perché l’uomo nero resiste ai cambi di stagione, sempre lì ad aspettarci in un angolo del nostro armadio, con i nostri incubi ben stretti nella mano. Fa parte della nostra vita, della nostra storia, ne abbiamo bisogno. Sarà per questo che gli autori delle tavole e delle storie di questo numero di Unduetrestella hanno deciso di dipingerlo quasi sempre positivamente, quasi volessero tenerlo a bada.
Noi vorremmo proteggerlo, messo un po’ da parte da paure più grandi, da effetti speciali che spesso ci fanno dimenticare cosa realmente ci spaventa. L’uomo nero è un po’ come uno sguardo verso l’interno alla scoperta del nostro intimo più nascosto. È bello, anche saper raccontare il buio, la parte più oscura delle cose. Non può fare altro che dare più luce al bello. Numero strano, questo del nostro laboratorio. Rivoluzione di carta e, una rivista completamente diversa nelle vostre mani, sempre fedeli al filo della discontinuità. Un nuovo esperimento per vedere, come sempre, l’effetto che fa. Buona lettura e... sogni d’oro.
| Marco Montanaro ILLUSTRAZIONE | Efrem Barotta PAROLE
Si era chiuso nell’armadio. È vero che qui c’è buio, pensava, ma lo spazio è poco e posso controllarlo. E se quel farabutto vuol venire, dovrà almeno bussare o forzare le ante. Qualcuno bussò. «Perché non vai a letto, Jan?» Era la mamma. Qualche minuto dopo Jan giaceva sotto le lenzuola come in un sarcofago. Guardava sua madre con gli occhietti che spuntavano appena dall’ammasso di stoffa, buttando di tanto in tanto uno sguardo alla lampada ai piedi del letto. «Ora la spegniamo, eh, Jan?» «No! La spengo più tardi, quando ho sonno!» «Certo Jan, come ogni sera. Va bene, ma cerca di dormire subito.» Jan tirò un sospiro di sollievo. Forse anche per quella notte era salvo. Fuori dall’armadio, la sua unica speranza era la lampada con gli adesivi degli animali della giungla. Subito però il sospiro si trasformò in respiro affannoso. Era da solo in uno spazio troppo grande. L’ideale sarebbe stato montare una lampadina nell’armadio e dormire là. Poco spazio, facilmente controllabile. Jan pensò che il giorno dopo ne avrebbe dovuto parlare con sua madre con estrema fermezza: cara mamma, da oggi si dorme nell’armadio, anzi, consiglio a te e a papà di fare lo stesso. Potremmo trasferire la casa e l’essenziale negli armadi, scavare dei tunnel per comunicare direttamente da un armadio all’altro… Mentre allungava la mano verso il bicchiere d’acqua vicino alla lampada, Jan vide un’altra mano con dei lunghi artigli muoversi sul muro. Ritirò di scatto la sua e l’artiglio svanì nel nulla. Niente da fare, sentiva che quella notte non ce l’avrebbe fatta. Altro che armadio: quelle pareti così alte sembravano fatte apposta per lasciarsi attraversare meglio dal suo arcinemico, l’Uomo Nero. La cosa peggiore era la natura di quest’Uomo. Era un bambino come lui a cui un altro Uomo Nero, cioè un altro bambino a cui probabilmente avevano negato di dormire nell’armadio, aveva mangiato il cuore. Nel mondo c’erano milioni di bambini trasformati in Uomini Neri che azzannavano il cuore di altri fratellini.
Si fece coraggio. Se quei burocrati dei suoi genitori non volevano farlo dormire nell’armadio, doveva sbrigarsela da solo. Con lo sguardo deciso si mise seduto sul letto. Quello che vide fu terribile: parallela a lui una raccapricciante figura nera si levava sul muro. Jan ripiombò sotto le lenzuola col sudore freddo appiccicato sulla fronte. Si maledì per esser stato tanto imprudente. Era una guerra che lo avrebbe logorato, s’immaginava adulto che combatteva ancora nel letto contro il terribile Uomo Nero. Jan aveva due possibilità: lasciarsi consumare dalla guerra con l’inutile fine di logorare anche il suo nemico, oppure arrendersi. Ma sì: lasciarsi mangiare il cuore e diventare un Uomo Nero anche lui. In fondo si sarebbe potuto togliere qualche soddisfazione, come terrorizzare quel bambino che gli stava tanto antipatico. Senza neppure accorgersene, Jan era in piedi sul letto e muoveva le mani nell’aria mimando colpi netti e veloci. La vide di nuovo: l’ombra, immensa e spigolosa, era sul muro e sembrava avere una piccola spada tra le mani. L’Uomo Nero voleva tagliargli la testa. Immediatamente Jan si ritrovò sotto le lenzuola col cuore che batteva forte. Sono proprio un coniglio, pensava. Aveva sudato di nuovo e sentiva caldo, come se avesse la febbre. Così gli venne da starnutire, più volte, seduto sul letto, con la testa che faceva avanti e indietro. Notò qualcosa sul muro. Un’immensa ombra che faceva avanti e indietro con le mani sul naso proprio mentre lui starnutiva. Anche l’Uomo Nero era raffreddato, oppure… Non c’era dubbio: Jan era diventato l’Uomo Nero. Poi ci pensò meglio, controllandosi il petto: il cuore era al suo posto, quindi non era così. Allora… Sono proprio un coniglio, pensò ancora Jan, e compose la testa di un coniglio con l’indice e il medio e la vide allungarsi sul muro. L’Uomo Nero non era nient’altro che un’ombra. La sua. Jan si tranquillizzò. Si sentiva un po’ scemo e un po’ dispiaciuto perché non avrebbe più potuto terrorizzare nessuno. Fece ‘ciao’ verso il muro e l’Uomo Nero ricambiò il saluto. Poi spense la luce. Nel buio pensò a una cosa che gli aveva detto suo cugino: altro che Uomo Nero, il vero arcinemico dei bambini è il Mostro Sotto il Letto! Jan sbarrò gli occhi e ricominciò a sudare freddo. Stavolta gli starnuti non lo avrebbero salvato.
Ogni sera era la stessa storia. L’Uomo Nero si appostava chissà dove in quella immensa stanza e aspettava di colpire il povero Jan. Ma lui si era fatto furbo e con la luce accesa rimaneva vigile cedendo solo alle lusinghe del sonno. Forse anche l’Uomo Nero si stancava e per questo non gli aveva fatto niente finora. Jan lo aveva visto più volte affacciarsi sui muri bianchi e avvicinarsi al letto, ma non ne era mai stato sfiorato.
I RACCONTI
UNDUETRESTELLA
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| Michele Bee ILLUSTRAZIONE | Emiliano Properzi PAROLE
Sorrideva il sole splendente in quel piccolo borgo disteso tra ruscelli, vallate e montagne innevate. Il falegname, il pescatore e il maestro elementare erano convinti, assieme a tutti gli altri abitanti del paese, di vivere nel più bel posto della terra. Gli uccellini fischiettavano, le signorine sorridevano e i contadini cantavano con le falci brillanti tra le spighe di grano. Un giorno però venne una strana pioggia, fitta fitta, che non si vedeva ad un palmo dal naso. Fu in quella anomala mattinata di agosto che giunse chi turbò la pace del paese. Era arrivato, chissà da dove, uno strano figuro. Scuro come la pece, non vi era ombra sul suo viso tale da permettere di intravedere naso, zigomi, guance o narici. Nessuno infatti era in grado di riconoscerlo. Al suo arrivo, tutti ebbero molta paura e nessuno gli si avvicinò per chiedergli alcunché. Ben presto si sparse la voce che era stato cacciato dal proprio paese di origine. E così, se quell’uomo nero entrava a comprare il pollo in macelleria, la cassiera gli regalava lunghi sorrisi come faceva con tutti i clienti, ma appena usciva in strada, un brusio cresceva nella bottega. Lo stesso accadeva appena l’uomo usciva dal negozio di alimentari o dalla lavanderia. Il macellaio, un uomo dalla grossa pancia bianca e rossa, sosteneva di aver sentito dire che quell’uomo nero era un gran furfante, un ladro sfuggito alla legge. Qualcuno disse che praticava una religione sconosciuta, mentre qualcun altro che doveva trattarsi sicuramente di uno zingaro pericoloso. Il fabbro, un omino magrolino con grandi occhialoni e mani ingrossate dal duro lavoro, diceva, quasi bisbigliando ad ogni avventore del suo laboratorio, di avere prove certe che a quell’uomo non piacevano le donne. E fu proprio tra le donne del paese che si sparse, veloce come un fulmine, la voce che il nuovo arrivato aveva l’abitudine di rubare i bambini e di mangiarseli vivi due alla volta. Fu così che le mamme non fecero più uscire per strada i loro bambini, i quali iniziarono a mal sopportare la presenza di quell’uomo dal volto e dalla voce sconosciuti: non potevano uscire di casa da soli, altrimenti l’uomo nero li avrebbe fatti sparire; dovevano mangiare tutta la minestra, altrimenti sarebbe venuto quell’uomo e li avrebbe mangiati come antipasto saziandosi poi con ciò che avevano lasciato nel piatto; non potevano più gridare come facevano di solito, altrimenti l’uomo nero si sarebbe accorto di loro e sarebbero state le prossime vittime. Insomma la vita divenne un inferno, il cielo sempre più grigio e quasi nessuno sorrideva più. Intanto, quell’omaccio scuro più del carbone se ne andava tranquillo gironzolando come se niente fosse. Un giorno, però, accadde qualcosa che fece inalberare tutti gli abitanti del paese: qualcuno si era introdotto nottetempo in casa della vedova dell’arrotino, rubando tutta la preziosa argen-
I RACCONTI
teria che l’anziana donna custodiva come un tesoro. Fatto sta che la vedova, con il suo bernoccolo peloso al posto del naso, le lunghe sopracciglia sale e pepe e gli occhi spigolosi più degli angoli di una finestra, dichiarò solennemente e senza l’ombra di alcun dubbio di essere certa di aver riconosciuto l’uomo nero mentre scappava con il bottino dal retro del giardino. Allora gli abitanti del paese decisero di prendere delle contromisure. Ecco che quando l’uomo nero andava in lavanderia, trovava le lavatrici sempre occupate e quando andava a fare la spesa, il pane era finito proprio allora. Giorno dopo giorno l’uomo nero non ebbe più nulla da mangiare e nessun vestito pulito con cui uscire di casa. Inoltre, il maestro carpentiere, suo datore di lavoro, lo licenziò in tronco senza alcuna motivazione, sebbene questi avesse sempre lavorato più degli altri facendo anche i lavori più pericolosi. L’uomo nero si trovò così sempre più solo e stava ormai per morire di fame quando decise di abbandonare quel luogo così ostile. Riempì una saccoccia con le sue povere cose e la prima notte disponibile si mise nuovamente in marcia verso un luogo più ospitale. Il giorno dopo nel paese ci fu una grande festa e tutti ballarono e bevvero di gioia per la liberazione da quell’ombra funesta che per mesi aveva attanagliato la loro anima. Pranzarono tutti assieme in piazza, portando ciascuno da casa propria le sedie, i tavoli e le vettovaglie. La lavandaia prese da un cassetto delle posate che non riconobbe e, presa dell’euforia, non si chiese affatto come fossero arrivate lì. Una forchetta capitò però nelle mani della vedova dell’arrotino, che a quella vista si mise a gridare a squarciagola. Quella posata faceva parte del suo piccolo tesoro! A quel punto andarono tutti a casa della lavandaia, dove trovarono sotto un letto tutta l’argenteria rubata. Si scoprì che il ladro era stato il figlio della lavandaia, che non sapeva più come ripagare il macellaio, il quale gli aveva prestato dei soldi volendone in dietro più del doppio. Poco alla volta si venne a sapere che il figlio della lavandaia doveva quei soldi al sarto, il quale gli procurava sottobanco della merce illegale. Il sarto, a sua volta, era indebitato sino al collo debiti di gioco con il pescatore, il quale aveva bisogno presto di quel denaro per fuggire via con la moglie del fabbro, che voleva scappare dal marito violento e ubriacone. Mentre la moglie del fabbro e il pescatore scapparono la notte stessa con la loro povera barchetta, molte furono le malefatte che vennero alla luce in quei giorni. Molto presto, però, il giornale del paese smise di parlarne, preferendo concentrarsi sul rischio dell’arrivo di un nuovo uomo nero che sembrava aggirarsi nei paesi vicini, creando già nuovi trambusti.
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PENNA & MATITA
DINO BUZZATI VOLI DELLA FANTASIA
IL BABAU (Le notti difficili, 1971) FOCUS
| Giuliana Zeppegno
Che cos’è il mostro che levita a mezz’aria sopra i tetti della città? È il babau, un gigantesco animale volante che discretamente si avvicina, di notte, ai letti dei bambini e penetra nei loro sogni per rimproverarli e spaventarli un po’. Apparentemente orribile, il babau ha invece, a guardarlo bene, un’espressione bonaria e occhietti rischiarati da un luccichio quasi affettuoso. Una notte il babau fa visita all’ingegnere Roberto Paudi, un uomo freddo e razionale che non crede alle favole e disprezza ciò che non capisce, forse perché ne ha paura. Ma l’ingegnere è un uomo potente, e riesce a convincere il consiglio comunale della sua città a sbarazzarsi del ‘mostro’: si organizza così una spedizione armata e in una notte di luna l’indifeso babau viene abbattuto dai colpi dei mitra e si dissolve senza lasciare traccia. L’uccisione del babau − ci dice Buzzati − è l’ennesimo colpo scagliato contro “le ultime rocche del mistero”: “buffo amico-nemico” dei bambini, il babau simboleggia il sogno e il volo della fantasia, che l’uomo perseguita in nome di un progresso sempre più cieco e spietato. Ma l’immaginazione, ridotta alla fuga, sopravvive nonostante tutto: tant’è vero che la ritroviamo, a distanza di anni, tra le pagine di racconti come questo e chi la sa riconoscere può vederla scintillare, qua e là, negli angoli più nascosti.
IL BUZZATI «FANTASTICO»
BIO
Autore versatile e curioso, Dino Buzzati si è cimentato, nel tempo, nei generi e nelle forme artistiche più svariate, dalla fiaba, al romanzo realistico, alla narrazione fantascientifica, al racconto, alla poesia, al teatro, all’opera, alla pittura e al fumetto: ciò che lo ha reso celebre e ne ha fatto conoscere l’opera anche all’estero è però, soprattutto, la sua produzione fantastica: tra le molte raccolte di racconti fantastici, ricordiamo I sette messaggeri (1942), Paura alla Scala (1949) e Il crollo della Baliverna (1954), oltre al volume Sessanta racconti (1958), dove l’autore ha voluto radunare tutte le sue storie più belle.
Il Babau |
DISEGNO ORIGINALE DI DINO BUZZATI. ©Copyright Eredi Dino Buzzati. Tutti i diritti riservati.
Dino Buzzati nasce a San Pellegrino, vicino a Belluno, il 16 ottobre 1906, nella villa dove la sua famiglia, che in inverno vive a Milano, è solita trascorrere le vacanze estive. Fin da ragazzino è un lettore avido e un grande appassionato di montagna, due amori che coltiverà per tutto il resto della sua vita. A soli ventidue anni viene assunto dal quotidiano il Corriere della Sera, dove svolgerà, nel tempo, le più diverse mansioni, da quella di cronista, a quella di critico musicale, di inviato speciale, corrispondente di guerra (è il 1940: l’anno d’inizio, per l’Italia, della seconda guerra mondiale), critico d’arte e redattore capo. Laureatosi in Legge, inizia a pubblicare i primi racconti, e nel 1940 esce il romanzo destinato a renderlo famoso in tutto il mondo, Il
PENNA & MATITA
Oltre a descriverlo con le parole, Buzzati ha raffigurato più volte il suo babau, per esempio in questo dipinto (a pagina 8) del 1970. Considerato per lo più un grande narratore, fu infatti anche pittore e disegnatore, e si lamentò in più occasioni del “crudele equivoco” di essere ritenuto uno scrittore che ogni tanto si dedica alla pittura, mentre egli si considerava “un pittore il quale, per hobby (…) ha fatto anche lo scrittore e il giornalista”. Buzzati è autore di numerosi quadri, ma anche di libri composti di parole e immagini, come la favola illustrata dal titolo La famosa invasione degli orsi in Sicilia (1945) e lo straordinario Poema a fumetti (1969): i quadri e i racconti sono popolati spesso, come in questo caso, dagli stessi personaggi, e in entrambi si respira un’identica, inconfondibile, atmosfera fantastica.
deserto dei Tartari. Seguono le varie raccolte, la produzione teatrale e poetica, le prime mostre, lo sfortunato romanzo Un amore (1963), l’allora originalissimo e contestato Poema a fumetti. Se si escludono i viaggi che compie come giornalista, Buzzati vive a Milano per tutta la sua vita, in casa della madre fino a due anni prima della scomparsa di lei, che avviene nel 1961. All’età di sessant’anni sposa Almerina Antoniazzi. Alcuni anni dopo si ammala gravemente, e muore a Milano il 28 gennaio 1972, poco dopo l’uscita della sua ultima raccolta di racconti (Le notti difficili).
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ILLUSTRAZIONE
| Philip Giordano
| Donatella Neri ILLUSTRAZIONE | Laura Giorgi PAROLE
L’altra sera zitta zitta son salita su in soffitta dove restano nascoste cose vecchie là riposte.
Mentre stavo per servirmi ho sentito… come un verme camminare sulle dita ed ho urlato inorridita!
Poverino, che tristezza! Lui mi ha fatto tenerezza, l’ho portato giù da me e gli ho fatto un bel caffè.
Su quei ripidi gradini camminavo coi calzini per non fare del rumore, e batteva forte il cuore.
Da quell’ombra allora è uscito un lamento un po’ stizzito, una voce cavernosa… e una mano un poco ansiosa
L’Uomo Nero pensionato or si sente un po’ più amato; io lo curo con affetto… e mi dorme sotto il letto!
In quel grande polverone io cercavo cose buone tra barattoli e cartacce, specchi rotti e brutte facce.
mi ha afferrata per un braccio mentre udivo un gran versaccio! Io tiravo per scappare, ma non mi lasciava andare!
Un’immensa ragnatela mi spegneva la candela, mentre ragni birbantelli mi esploravano i capelli.
In quell’orrida apertura abitava la paura, ma una voce finalmente mi ha parlato gentilmente.
Vecchie sedie e scarpe rotte, un catino ed una botte in un angolo assai scuro si appoggiavano sul muro.
“Qui da tanto son rinchiuso, come fossi fuori uso, mi hanno ormai dimenticato… voglio esser liberato!
Sopra un brutto manichino ho intravisto un topolino ch’è scappato silenzioso dentro un cesto polveroso,
Una volta i genitori mi trattavan con gli onori, ricevevo ogni premura ché sapevo far paura!
ma ho sentito in quell’istante il rumore un po’ agghiacciante di un antico finestrino che oscillava pian pianino.
Ora sono qui smaltito, triste solo ed avvilito; senti quello che ti dico: Ho bisogno di un amico!”
Sotto il basso davanzale c’era un piccolo scaffale storto, lercio ed azzoppato, tanto è stato caricato.
“Ma chi sei, si può sapere?” gli domando assai severa. “Visto che ti ho detto il vero? Non conosci l’uomo nerooo ???!”
E lì accanto una gran cassa e di lane una matassa, un armadio sgangherato dentro il quale io ho guardato!
Ed in men che non si dica se n’è uscito con fatica un omino un po’ acciaccato, con gli occhiali e assai pelato.
Sotto gli abiti alle grucce ho trovato due babbucce, un cuscino rattoppato, uno scialle ripiegato.
Si è infilato la babbuccia per lasciare la sua cuccia, e si è messo sulle spalle quel suo vecchio e brutto scialle.
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UNDUETRESTELLA
I RACCONTI
| Manuela Piovesan ILLUSTRAZIONE | Iroki PAROLE
Ero solo una bambina, ma me lo ricordo bene. Succedeva in pieno giorno e ce lo ritrovavamo in casa all’improvviso. Si chiamava Viurna. Non ho mai saputo se Viurna fosse il nome o il cognome, ricordo solo che, a sentirlo pronunciare, mi si contorcevano le budella per la paura. Indossava un cappotto grigio scuro, quasi nero, che si teneva incollato sulla pelle anche d’estate. Temevo che lo aprisse all’improvviso e tirasse fuori qualche trappola che aveva portato con sé. Una volta credo anche di aver visto un serpente spuntare da una delle tasche, perchè ricordo che mi si ghiacciò il sangue nelle vene. Come se non bastasse, Viurna puzzava come un facocero e ti alitava in faccia sempre le stesse parole: “C’è niente per me?... Dài, tira fuori un po’ di pane…Ho fame!” E lo chiedeva inarcando le sopracciglia. Si capiva che era pronto a tutto se non lo avessimo accontentato. Non ho mai pensato che avesse fame per davvero, pensavo solo che fosse cattivo e che avrebbe potuto farmi del male. Anche mangiarmi, se solo lo avesse voluto. Nonostante tutto, avevo una gran voglia di affrontarlo quando, per fortuna di rado, spuntava in casa all’improvviso. Se fossi stata un cane, forse avrei ringhiato, di sicuro avrei puntato alle caviglie. Le mie due sorelle, invece, si facevano scudo l’una con l’altra e tremavano come foglie.
stracarico di paura. No…no…meglio dire di terrore! Eravamo a casa da sole. Noi tre, senza la mamma. Quel giorno non sarebbe proprio dovuta uscire. Stavamo facendo i compiti quando, come per una magia, Viurna apparve lì, in cucina. Aveva portato con sé una scia puzzolente e ci stava chiedendo da bere. Da dove poteva essere entrato? E perché la mamma tardava tanto? Guardai le mie due sorelle di sventura, bianche come lenzuola appena lavate. Io avevo il cuore che ormai stava uscendo dal petto per andarsene in un posto più sicuro, ma non esitai. Fu un attimo. Mi avvicinai con passo veloce al telefono, senza voltarmi, e composi un numero a caso: “Pronto…Polizia? Parlo proprio con la Polizia? Sì…il mio numero è 2089…” Ce l’avevo fatta. Ero al settimo cielo! Tornai in cucina, ma Viurna non c’era più. Corremmo in cortile tutte e tre, per cercare di capire come aveva potuto dileguarsi in un lampo. Era già lontano. Riuscimmo a scorgere solo due gambe nude e secche, radici di un albero avvizzito, che se lo stavano portando via. Oggi penso che Viurna potrebbe avere più di cent’anni, ma non credo che sia ancora vivo. E’ rimasto solo dentro ai miei pensieri che hanno deciso, dopo tanto tempo, di tornare bambini. Soltanto per dirmi, che era lui l’uomo nero.
Poi, quando Viurna se ne andasva, negavano tutto a una voce sola. In fin dei conti, potevamo star tranquille, perché in casa c’era sempre la mamma. Nemmeno a lei faceva pena Viurna. Un giorno, lo affrontò decisa, con un coraggio che non le conoscevo. Lui era già in cucina…chissà come aveva fatto! “Chi ti ha detto di entrare?” gli gridò. Viurna le rise in faccia e sputò sul pavimento. Roba da strangolarlo. Poi si passò un dito sui denti e lo asciugò su un fianco del suo lurido cappotto. Ci guardò tutte e quattro, momentaneamente in suo ostaggio, e sputò un’altra volta. Allora la mamma, viola in viso, prese la scopa dal bagno e la alzò su di lui che, con un braccio, la fermò. Poi Viurna sputò di nuovo, ma stavolta sul manico della scopa. “Boia chi molla” sentii dire qualche anno più tardi e il pensiero mi corse subito alla mamma che non si era mai arresa di fronte a Viurna. Nel frattempo, io mi ero fatta l’idea che questo losco figuro passasse attraverso le porte e che anche il giorno può essere carico di paura, non solo la notte. Quel pomeriggio di gennaio, fu davvero un pomeriggio
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UNDUETRESTELLA
I RACCONTI
PAROLE E ILLUSTRAZIONE
| Francesca Quatraro
L’Uomo diventò nero quando chiuse il suo cuore nel rancore quando le sue labbra smisero di pronunciare parole d’amore quando le sue mani dimenticarono d’abbracciare suo figlio. L’Uomo diventò nero uno strato alla volta una carezza non data, uno strato di nero un bacio tradito, tre strati di nero dimenticare se stessi, dieci pesanti strati di nero E così ancora. E così sarebbe continuato. Invece. Il Figlio prima si spaventò di quello che suo padre era diventato. Poi ne ebbe compassione. L’abbracciò. E, come se fosse un rito magico, scrisse sul suo volto parole nuove. Scrisse canzoni affinché ballasse, scrisse poesie così che si commuovesse, e disegnò alberi, e fiori, e colori perché ricordasse di essere vivo.
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UNDUETRESTELLA
I RACCONTI
STELLARIUM FRAMMENTI DI LIBRI E TEATRO
LA VERA PRINCIPESSA SUL PISELLO
| Octavia Monaco CASA EDITRICE | Orecchio Acerbo ANNO | 2007 AUTORE
C’erano una volta le principesse dolci e belle, quelle che attendevano il principe del caso, il cavallo bianco annesso, il dettaglio di un castello. Tra notti insofferenti e giorni sospiranti, vivevano nell’ansia di una scelta non loro, docili soggette alla schiavitù di un sogno ripetuto, poco padrone di un destino ormai meccanico. Incantevoli creature certo, ma incapaci, di arrischiare una fuga per il solletico di un’illusione, di osare ribellione contro una storia incollata, di perdersi nel bosco per non tornare più. Che fosse per il volere di un re padre severo, il sentimento di un pretendente sempre mantellato, l’invidia della sorellastra aspra perché racchia, l’arroganza di una strega solita zitella, poco importa: in ogni caso, le principesse dolci e belle sopportavano sempre che il cammino fosse indicato dagli altri, e boicottavano senza coscienza la luce buona della luna, mancando così gli approdi sconosciuti e differenti. Octavia Monaco, briosa autrice francese, non ci sta a tutto questo e urla riscatto, e scuote il ritratto immodificabile di fanciulla aggraziata quanto indolente, e il paesaggio fisso e stanco fatto di torri merlate e pos-
di
Stefania Ricchiuto
senti! Prova così a narrare una principessa diversa, rubandola ad Andersen, ai guanciali e ai piselli, e donandole dose sana di dispetto ed energia. La “vera” principessa sul pisello, dopotutto, non conduceva affatto vita meravigliosa, e si agitava alquanto tra i sospetti di una suocera malfidata, e le assenze di un consorte distaccato. Non resta che ritrovarla, quindi, e alimentarla con il sacro cibo della rivolta giusta. Per farle scoprire che esiste la rabbia e che le mura di un maniero si possono anche scavalcare, e che una donna non deve ridursi a un ruolo perfetto e senza grinza alcuna. Alla scoperta della propria identità selvaggia, la principessa rifiuta dimora, marito e tristezza, per accogliere nuovi orizzonti e soprattutto la libertà. Magistrale fiaba femminista, l’ultima novità di Orecchio Acerbo invita grandi e piccoli ad accettare le diversità di ognuno, a fuggire il più possibile dai conformismi, e soprattutto a non sottovalutare mai i piselli sotto i materassi: i fastidi, infatti, vanno sempre ascoltati e capiti, per poterli trasformare in illuminanti verità.
RECENSIONE
di
Vito Greco
L’ISOLA DEL PICCOLO MOSTRO NERO-NERO SAMARCANDA
(libro + cd)
La casa editrice Gallucci pensa da sempre infinite copertine cartonate, incorniciate da cerchi continui e quasi smaltati, a far da custodia a storie disegnate nell’immenso. Da un po’ di tempo, la scelta di narrare anche le canzoni, intrecciandone il testo con i colori, e accompagnando il libro illustrato con un cd musicale, che faccia di lettura, visione e ascolto un incantesimo unico e potente. | Roberto Vecchioni ILLUSTRATRICE | Corallina De Maria CASA EDITRICE | I Gallucci ANNO | 2007 AUTORE
Ne son passate tante da qui, di note conosciute, e tutte hanno rintracciato dei segni fedeli all’emozione originaria. Lo stesso accade, e forse di più, con questa “Samarcanda” ritrovata, capolavoro eccitato e impetuoso del Vecchioni migliore, finemente accolta dalle ombre in foglio dell’illustratrice Corallina De Maria.
MAMMAFOBIA Ma è sempre vero che “la mamma è sempre la mamma”? Curioso sarebbe chiederlo ai piccoli figli protagonisti di Mammafobia, opera di Simone Nuzzo dalle vivaci tinte noir.
| Simone Nuzzo | Erik Chilly CASA EDITRICE | Lupo Editore ANNO | 2007 AUTORE
ILLUSTRAZIONI
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UNDUETRESTELLA
Nei 5 racconti emergono delle figure materne piuttosto singolari e volutamente estreme, ma a volte sorprendentemente moderne e attuali: la mammaperfida capace di scherzi terribili, la mammapprensiva con le sue folli soluzioni, la mammasportiva che trasforma una festa in una gara massacrante, la mammadistratta che dimentica una figlia su una giostra e la mammamagò dalle tante sorprese. Queste mamme riescono a mettere a dura prova i propri bambini che riescono sempre, fortunatamente, “a scamparla”, il tutto avvolto in un atmosfera simpaticamente horror.
di
Stefania Ricchiuto
TEATRO/ANTEPRIMA
di
Josè Luis Molteni
VOLO DI NOTTE Principio Attivo Teatro Un sogno, un incubo o forse un gioco. In un essenziale quadrato bianco, metafora di una stanza ideale si danno battaglia due personaggi: un uomo in pigiama con palloncino bianco e la sua ombra travestita da morte. Il duello è ambientato tra l’interno della stanza del protagonista e un fuori carico di pericoli e paure.
| Davide Calì ILLUSTRAZIONI | Philip Giordano CASA EDITRICE | ZOOlibri ANNO | 2008 AUTORE
L’artista ha di fatto ricamato il brano affidatole, rendendo tutti i ghirigori della trama, e gli arabeschi di una terra dai dettagli conosciuti ma lontani. Scorci, sapori, olezzi, tocchi, rumori: non c’è senso che sfugga all’arte maestra di un miraggio velato, perché si può, nell’incontro tra luce e buio, riunire tutti i particolari sfuggenti della storia che canta un paesaggio distante. Notevole l’effetto, non può che ammaliare.
Due compagni di viaggio: un piccolo mostro nero nero e un pipistrello anch’esso nero nero.
Per grandi e bambini, insieme sedotti, che posson fare di un gioco di carta e pentagramma un esercizio di estasi e memoria, riconoscendo così un patrimonio musicale comune, ed abbattendo le barriere dell’età al suono/visione di una canzone illustrata.
Immagino di fotografare anche il fondo del mare, contorni di pesci e piante, altri animaletti che non ho visto mai. Sono su di una barca costruita in fretta e furia e vedo isole di tanti colori.
Provo a chiudere gli occhi e immagino di fotografare tutto quello che penso, le immagini nascoste che vorrei far uscire fuori, quei colori che non vedo al parco e quell’amico sempre al mio fianco.
Questo libro è un piccolo gioiello, una lettura dalle mille suggestioni impreziosita dalle tavole di Philip Giordano, che in queste pagine ci ha regalato le immagini nascoste nella fantasia di ogni bambino.
Gli inseguimenti e gli scontri sono caratterizzati dall’uso del corpo attraverso un linguaggio a volte poetico e a volte clownesco con numerose gag esilaranti al ritmo di una costante colonna sonora suonata dal vivo. Oltre ai due attori un musicista con chitarra e vari effetti sonori colpisce non solo il ritmo ma anche lo spazio della scena. L’ambientazione va dai film muti alle comiche fino a diventare quasi un cartone animato con attori in carne ed ossa. I due personaggi rimandano alle paure umane e soprattutto alla possibilità di guardare a quelle paure con uno sguardo leggero e ironico. Forse solo così quelle stesse paure possono trasformarsi in coraggio e voglia di crescere. Lo spettacolo è rivolto ad un pubblico ampio, dai 6 ai 99 anni.
di
Antonio Miccoli
questo paese senza nome, le mamme costituiscono sempre un punto fermo nella vita dei loro bambini che riescono sempre a comprendere le loro stramberie e a prendersene quasi cura, tanto che anche loro sarebbero d’accordo nel dire che “la mamma è sempre la mamma”. Con questo libro Simone Nuzzo si allontana dall’atmosfera tra cielo e stelle del suo lavoro precedente, Il Cacciatore di Stelle, sempre edito da Lupo Editore nel 2006, e ci porta in un’atmosfera forse meno magica, ma in una formula letteraria limpida e diretta che rende la lettura del libro davvero molto gradevole. Un libro per ragazzi ma anche per adulti; in quest’ultimo caso un invito a sorridere un po’ di sé stessi.
Situazioni e ambientazioni atipiche per un testo per ragazzi, ma in realtà il vero e grande punto di forza del libro. Nonostante la quotidianità grottesca in
STELLARIUM
NEL PROSSIMO NUMERO: LO SPECCHIO INCANTATO Il fascino perturbante del “doppio”, l’inquietante sensazione di non essere soli se in una stanza ce n’è uno, riproduzione fedele e ingannevole al tempo stesso, perché bidimensionale e senz’anima, la percezione di un altro da noi, di una realtà al di qua e al di là dello specchio: ecco solo una piccolo quadro delle mille suggestioni che questo oggetto può evocare. A voi trovarne delle altre e imprimerle su carta... Il termine ultimo per la presentazione degli elaborati è il 31 OTTOBRE 2008. MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE • per iscriversi è necessario compilare la scheda di adesione scaricabile all’indirizzo www.unduetrestella.org. Non è richiesto alcun contenuto economico. • i racconti e le illustrazioni possono appartenere a qualsiasi genere e stile purché inerenti al tema proposto; • le opere devono essere inedite; • le illustrazioni (formato tiff/300dpi o formato cartaceo) devono avere esclusivamente dimensione di cm 30b x 45h per esigenze di impaginazione;
STELLARIUM
• i testi (formato rtf) non devono superare le 5.000 battute; • l’autore concede la pubblicazione delle proprie opere in forma cartacea ed elettronica; • la redazione, in caso di anomalie, può escludere un’opera dal concorso sottraendosi da ogni responsabilità; • tutte le immagini ed i testi presentati sono valutati da un’apposita commissione redazionale. Il giudizio della commissione è insindacabile; • le opere non saranno restituite.
MODALITÀ DI SPEDIZIONE • in busta chiusa a: Unduetrestella - Laboratorio di carta - c/o Manifatture Knos - Via Vecchia Frigole 73100 Lecce • via e-mail (solo testi) all’indirizzo: redazione@unduetrestella.org
UNDUETRESTELLA
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L’uomo nero non usa porte o finestre, e nemmeno il camino per entrare. Non bussa, né ti chiama con la voce grossa, chiedendoti di aprire. È già lì che ti aspetta, nella casa, da sempre, un tempo che non puoi ricordare perché non eri ancora nato.