VS VERO SPORT MAGAZINE - N 2

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A T I U T A GRA

COPI VERO SPORT MAGAZINE 02.11

SCALARE IL GHIACCIO

ANGELIKA

Rainer OVER THE TOP Equitazione

BAMBINI SIAMO A CAVALLO Storie di campioni

PAOLA

PEZZO

Stili di vita

EXTRA

SNOW

Non solo atleti, non solo sportivi ma snowboarder nell’anima

In questo numero parliamo di Mountain Bike Arrampicata su ghiaccio Snowboard Nordic Walking judo Podistica Freestyle sci Bike trial Equitazione Ippoterapia Deca ultratriathlon

VS - VERO SPORT MAGAZINE Distribuzione gratuita - Free Magazine ANNO 1 - NUMERO 2 / NOVEMBRE 2011 Pubblicazione trimestrale - In attesa di registrazione presso il Tribunale di Verona

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a e n i l a v o La nu e l i b i d n o f n o c n i ’ l l e d

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DIRETTORE ZENO DELAINI

VS - VERO SPORT MAGAZINE ANNO 1 - NUMERO 2 / NOVEMBRE 2011 Pubblicazione trimestrale In attesa di registrazione presso il Tribunale di Verona

L’EDITORIALE Le piccole cose

Edizioni Mediaprint Srl San Giovanni Lupatoto - Verona Direttore responsabile Zeno Delaini Progetto grafico e impaginazione UNIT|ADV

Le piccole cose che amo di te, raccontava lo scrittore Stefano Benni con ironia e

sarcasmo, sono quelle che fanno amare e odiare al contempo l’oggetto delle nostre attenzioni. È un po’ così anche per il nostro amato/odiato sport, che ci fa esultare, adirare e, talvolta,

Contributi Zeno Delaini Fabio Fraccaroli Massimo Lenotti Enzo Lonardi Luca Poltronieri Carmen Santi Matteo Trombacco Alessandro Zampini

amaramente piangere come per la morte di Marco Simoncelli. È stato detto tutto e, forse, troppo. Non vogliamo millantare credito vantando amicizie o intimità che non possiamo vantare. Solo rischiare una provocazione, da quel che si è visto e appreso, vedendo e

rivendendo le sue tante interviste in televisione e su internet, Marco, aveva nel correre con la

Stampa e distribuzione Mediaprint Srl Sede Operativa di San Giovanni Lupatoto Via Brenta, 7 – 37057 Verona tel. 045 9250920 www.mediaprint.org Pubblicità e spedizioni Mediaprint Srl tel. 045 9698045 michele@mediaprint.org Lorenzo Recchia tel. 393 5248677 lorenzo@mediaprint.org

Saranno, forse, le piccole cose, le pratiche individuali e quotidiane a salvarci dalla frenesia odierna

motocicletta, la serietà del bambino.

Osservate un bambino che gioca, è capace di unire caratteristiche apparentemente agli antipodi: serietà, appunto, e spensieratezza, candore e determinazione assoluta. Nelle

pagine che andrete a leggere troverete sparpagliata tra le righe di questo o quell’articolo, una grande attenzione ai bambini. Perché è a loro che pensiamo quando parliamo di vero sport. Vanno incoraggiati, stimolati, lasciati liberi di esprimere la loro vitalità, educati e aiutati a veicolare l’energia nella giusta direzione.

È cosi che scopriamo che sono state le madri di Paola Pezzo, due volte campionessa

olimpica di mountain bike e Angelika Rainer, due volte campionessa mondiale di arrampicata su ghiaccio, ad incoraggiarle a praticare sport. O che, Alberto Limatore, campione di bike

trial, ha iniziato emulando con la bicicletta le imprese del padre con la moto. Per non parlare di uno sport come l’equitazione, dove il rapporto bambino-cavallo diviene addirittura

simbiotico e prosegue ugualmente nell’età adulta, spingendosi ad arrivare aiuto e sostegno

On line! V E R O S P ORT è S BARC ATO S U L WEB AL L’I N DI RI ZZO WWW.VEROS P ORT.I T FAC I L E N O?

nel caso dell’ippoterapia. In una società sempre più estremizzata, aggressiva e ricca di stimoli mediatici che a nostro avviso ci rendono più passivi che attivi. Saranno, forse, le piccole cose, le pratiche individuali e quotidiane, a salvarci: preferire un sorriso al posto di un’offesa, un gesto di solidarietà ad un atto di egoismo, una paio di scarpe da corsa alle pantofole.


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IN QUESTO NUMERO

SOMMARIO 02.11

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S TART 6 PEZZO DI STORIA

APPUNTAMENT I 40 UNO SPLENDIDO CONNUBIO

WIN TE R 11 LA FORZA E LA GRAZIA 14 A RITMO DI SNOW

MANGIOERGOSONO 45 LEGGENDE METROPOLITAN

LA PROVA 17 MENS SANA IN CORPORE SANO ALTE RN ATIVE 22 LA VIA DELLA CONSAPEVOLEZZA CON TROCORRE N TE 30 IL FUOCO DENTRO VS KIDS 30 SENZA CONDIZIONAMENTI F OTOS TORIA 34 FREESTYLE

foto di andrea costa

PE RCORS I 36 SALTA CHE TI PASSA

Oversize Quando si partecipa ad un evento sportivo quello che conta non è vincere o perdere. Quello che conta è quanto ti ubriachi. HOMER S I MP S ON

EX TREME 49 ULTRAMAN

FACCE DA SP ORT 25 UNA VITA IN MARCIA CAVOL I A MERENDA 29 LAY ME DOWN A RUOT E SCAL ZE 20 IL RIPIDO DENTRO DI NOI VE RSUS 42 QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE

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Focus l’unica bi ker , insieme a Gunn- R ita Dahle, ad aver vinto sia ai giochi olimpici, sia ai mond iali, sia la classifica finale d ella coppa d el mond o

PEZZO La campionessa veronese racconta a VS il suo rapporto con lo sport, dagli inizi alle vittorie, dal professionismo alle passeggiate con i figli. Dall’agonismo al puro piacere di pedalare all’aria aperta TESTO ZENO DELAINI

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STA RT

DI STORIA P

aola Pezzo ti spiazza, unisce grinta e dolcezza in un continuo altalenarsi, pensi di parlare ad un cerbiatto e ti trovi di fronte una pantera. Tanta timidezza e determinazione nella stessa persona mettono quasi a disagio, non fosse per la serenità che trasmette, quel dono dato a pochi che hanno raggiunto ciò che volevano raggiungere, un posto nella storia dello sport. In principio non fu la bicicletta… No, fu lo sci di fondo. Il primo amore, è stato quello. Non è difficile per una che è nata a Bosco Chiesanuova del resto. Mi ci ha

mandato mia madre, ero magra e non mangiavo volentieri, una volta usava così. Pensava mi venisse appetito andando sugli sci… Fame di vittorie soprattutto? Sì, anche di quelle. Ho sempre avuto voglia di vincere. Mi piaceva molto allenarmi sia d’inverno che d’estate con la corsa campestre. L’ho praticato dagli 8 anni fino ai 20, non poco insomma. Con che risultati? Mi sono impegnata molto e sono arrivata alle prime gare verso i 17 anni, ho vinto un Campionato Nazionale Giovani, sono arrivata alla Nazionale, cominciavano a darmi i materiali

per gareggiare ed era un bel risultato già quello, sognavo di andare alle Olimpiadi, anzi volevo andarci. E poi cos’è successo? Andavo bene, ottenevo risultati, ma ad un certo punto mi hanno esclusa dalla Nazionale. Mi sono ritrovata a vent’anni con il sogno della mia vita infranto, nessuna possibilità di andare alle Olimpiadi. Perché è stata esclusa dalla Nazionale? Non so il perché. Come ci è arrivata alla mountain bike? È passato un anno di inattività, durante il quale mi sono dovuta trovare un lavoro perché a

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PA OLA P E Z Z O STA RT

Flash

“La mia esperienza può aiutare anche altri. Vorrei lavorare con i bambini, aprire sul Lago di Garda un Bike park. I bambini si devono divertire, lo sport deve essere gioia e spensieratezza”

casa soldi non ce n’era. Ho fatto l’operaia, lavoro duro. Non riuscivo ad allenarmi. Un momento difficile. Poi un giorno un amico di famiglia, Ginepro Sauro detto Peppo, mi regala la mia prima bicicletta dicendomi. “Vedrai che ti trovi bene e ti diverti con questa”. Gli devo molto. Sono andata a lavorare in Posta perché c’erano i turni e riuscivo, così, ad allenarmi. Aveva ragione evidentemente… Ho avuto subito facilità con la bici, il fatto che si dovesse fare tanta salita, portare la bici in spalla, fare tratti a piedi, l’allenamento del fondo mi ha aiutato. Di lì in poi è stata una bella ascesa (sorride, ndr) e nel ’93 è arrivato il primo mondiale vinto in Francia, a Métabief. Tanti successi, cosa resta alla fine, dopo un po’ di anni? Ricordi indelebili senza, dubbio. Ma più di tutto il fatto di aver scritto un pezzo di storia dello sport. Io volevo vincere un’Olimpiade, volevo sempre arrivare prima. Ero determinata. Mi allenavo per questo, ho fatto sacrifici per ottenere i risultati. Sono andata negli Stati Uniti da sola per confrontarmi con le più

Non ci si d eve abbattere se un obbiettivo per il q uale si è tanto lottato fallisce poiché ci ò potrebbe rappresentare un grand e colpo d i fortun A d alai lama

grandi campionesse e conoscerle, capire come si muovevano in gara. Studiare le loro tattiche, imparare. Sono stata una sportiva professionista e ho avuto 7 anni di magnifiche vittorie. Se dovesse dire il perché di tanto successo? La testa comanda il corpo, determinazione e allenamento fanno la differenza. Il lavoro svolto in preparazione delle gare è tutto. Sacrificio e voglia di arrivare. È stata una grande rivincita per la delusione precedente. Cos’è lo sport, oggi, per Paola Pezzo? Lo sport è la mia vita, viene secondo solo alla famiglia, ai miei figli Kevin di 9 anni e Patrik di 8. Una donna non ha solo lo sport. Come lo vive oggi? Collaboro con la Federazione, seguo le ragazze. Nel 2012 ci aspetta il grande impegno delle Olimpiadi di Londra. Va ancora in bicicletta? Certo, è un piacere immenso. Il silenzio, la natura, la solitudine. Per me è avventura, esplorazione, mantenersi in forma. Fa bene. Brucia i grassi, lo consiglierei a tante ragazze invece di faticose diete, meglio un po’ di mountain bike.

Cosa le ha insegnato praticare sport? A vincere la mia grande timidezza, a crescere, a rispettare gli altri, conoscere mondi nuovi, altre culture, scoprire il mondo. Sono stata ovunque con la bici. Cosa chiede ancora alla mountain bike? Nulla, mi piacerebbe restituire. Insegnare ai giovani ad impegnarsi, a non sprecare la vita, a credere nelle proprie capacità, a non mollare mai. A coltivare la passione. La mia esperienza può aiutare anche altri. Vorrei lavorare con i bambini, aprire sul Lago di Garda un Bike park. I bambini si devono divertire, lo sport deve essere gioia e spensieratezza. Altrimenti a 12 anni smettono. Invece devono amare quello che fanno, la passione è tutto. Se sono campioni si vedrà. Se potesse scegliere, cosa vorrebbe imparassero da lei i suoi figli? Il valore del sacrificio. Vedo troppi giovani che non conoscono il significato del sacrificio che è la porta da cui passano i successi.

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Focus nel 2 0 0 8 è stata la prima donna a salire in libera “ I talia ‘6 1 ” , storica via artificiale del P iz C iava zes, Dolomiti

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W I N TE R

OVER THE TOP

LA FORZA

E LA GRAZIA

Angelika Rainer, campionessa mondiale di arrampicata su ghiaccio racconta i suoi successi, come atleta e come donna. Una dichiarazione d’amore per il suo sport TESTO ZENO DELAINI

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a gli occhi color ghiaccio, Angelica. E il ghiaccio è la sua vita. Ci si arrampica. E vince. Il bello della questione è che te lo racconta sorridendo, mentre, per dar ascolto alle domande, si gioca un quarto d’ora della sua pausa pranzo. Lavora presso un Centro di Sperimentazione Agricolo. È nata a Merano, ha appena compiuto 25 anni, è laureata in Scienze Agrarie ed è due volte campionessa mondiale di Arrampicata sul Ghiaccio. La prima, nel 2009, a Saas Fe in Svizzera e la seconda, nel febbraio 2011, a Busteni in Romania. Al momento si allena per la Coppa del Mondo che inizierà a gennaio in Corea. “La montagna ce l’ho nel cuore, sono sempre andata con mia madre a camminare, a 12 anni ho cominciato ad arrampicarmi per provare, avevano appena aperto una palestra artificiale per arrampicare a Merano, la mia città natale. Il ghiaccio è arrivato nel 2005, ho provato e mi sono sentita subito a mio agio, così ho iniziato con le gare”, spiega con un tono allegro che contagia. Parla di cose straordinarie come fossero semplici: “È un’emozione sempre diversa, sempre nuova, una sensazione meravigliosa, arrivare in cima, aprire una nuova via.” Certo con le debite proporzioni: “Sì spiega Angelika - in gara c’è la tensione, sai che non puoi permetterti pause o ancor peggio incertezze, devi spingere al massimo. E hai una sola possibilità. Mentre in arrampicata non agonistica, ti puoi rilassare godere il rapporto con la natura, con la bellezza del paesaggio, condividere la salita con gli amici.” Ne parla sempre con una semplicità che destabilizza, insomma questa ragazza così dolce che unisce la forza alla grazia e che ha un nome da romanzo fa sembrare tutto facile, ma

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WI N TE R A ngel ika R ainer

è poi così? “No – ribatte lei decisa, mostrando la grinta dell’atleta – gli allenamenti sono duri, in fase di preparazione alle gare mi alleno 6 giorni su 7, minimo 2-3 ore al giorno alle volte in una sola sessione, alle volte in due sessioni giornaliere. Il fisico dopo un po’ si abitua ma è dura.” Infatti servono, braccia, mani e dita d’acciaio, addominali e una tenuta mentale da supereroi dei fumetti. Con la differenza che qui è tutto vero. “L’aspetto fisico è fondamentale evidentemente – precisa Rainer – a livello psicologico poi ci sono risvolti banali ma imprescindibili: non avere paura dell’altezza, per esempio, forti motivazioni, andare avanti anche quando sembra di non farcela, tenere duro, lottare contro la fatica e le difficoltà. Se una gara va male non bisogna arrendersi.” Un insegnamento non da poco insomma, riattacca Angelika Rainer: “Devo molto a questo sport, mi ha permesso di viaggiare in Paesi sconosciuti e scoprire luoghi e culture diverse, ma ancor di più mi ha permesso di maturare, di svegliarmi. Già a 15 anni dovevo prendere il treno, fare le trasferte per andare alle gare. Tutto da sola. Una grande indipendenza, per me che ero particolarmente timida e non avevo una gran fiducia in me stessa è stata una medicina. Dopo aver scalato una parete, poi un’altra e un’altra ancora, le cose sono migliorate parecchio”.

È quasi ora di riprendere il lavoro, Angelika esita un attimo, poi prende la parola, quasi si tirasse su col braccio appesa a una roccia: “È uno sport meraviglioso, può essere svolto all’aria aperta, immersi nella natura. Per i bambini è uno spasso. Ogni arrampicata è diversa dalla precedente, quando arrivi in cima non solo hai superato una parete ma anche una paura che avevi dentro.”

“ARRAMPICARSI È un’emozione sempre diversa, sempre nuova, una sensazione meravigliosa, arrivare in cima, aprire una nuova via”

photo © paolo brutti

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In queste pagine Foto di Icefight Rabenstein (sotto) Foto Lukas Warzecha (a sinistra) Nella pagina precedente Foto di Thomas Ulrich

La buona rilegatura è nella nostra natura

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W I NT E R

Playlist i 5 gruppi che Paco ama ascoltare quando scende sulla tavola ( a seconda dello stato d’animo ...)

A RITMO DI SNOW C’erano una volta le settimane bianche, quando andare in montagna, era sinonimo di sciare. Da ormai vent’anni però c’è una disciplina che sembra aver conquistato il cuore dei più giovani: è lo snowboard, uno sport fatto di velocità, evoluzioni, musica e colore TESTO ALESSANDRO ZAMPINI

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La differenza tra lo sci e lo snowboard? Il primo è uno sport, il secondo uno stile di vita”. Non ha dubbi “Paco” Pasquale Ronzo quando inizia a raccontarci della sua passione per questo sport, nato in America trent’anni fa, e ormai popolarissimo in tutto il mondo. Fonico, musicista e produttore veronese, proprietario dello studio di registrazione “Le pareti sconnesse”, (da anni punto di riferimento della scena musicale scaligera), Paco scopre lo snowboard a inizi anni Novanta quando, anche sulle piste italiane, fanno la loro comparsa le prime, coloratissime, tavole. “Allora avevo tredici, quattordici anni – racconta divertito – e assieme ad altri ragazzi della mia età passavo i pomeriggi sullo skateboard: il “Monu” ai giardini Pradaval e i marciapiedi di Via Magellano, vicino a Ponte Catena, erano i nostri punti di ritrovo a Verona. A quei tempi, d’inverno, con la mia famiglia si andava a sciare a Moena, in Val di Fassa: fu proprio lì che, per la prima volta, vidi uno snowboarder in azione. Me ne innamorai immediatamente – svela con un sorriso – del resto era come se avessi scoperto un modo per scendere dalla montagna con lo skateboard!”. C’è un rapporto indissolubile, infatti, che accomuna dalla nascita lo snowboard e lo skateboard (entrambi a loro volta figli del surf ): non si tratta solo del fatto che tutte e tre le discipline si praticano su una tavola, ma si basa anche sullo stretto legame che questi sport hanno con lo stile di vita “street” (della strada ndr), fatto di musica, improvvisazione e di ricerca dell’estremo, inteso nel senso di superamento ed evoluzione. “Chi va in snowboard veste largo e colorato – spiega Paco – perché riporta in montagna la moda, lo stile e le tendenze tipiche della cultura urbana. In questo contesto anche la musica ha, ovviamente, molto importanza: hip hop, punk rock e hardcore sono solo alcuni dei generi musicali che dalle strade dei quartieri si sono spostati sulle piste innevate. Fare snowboard significa

quindi sposare una cultura che va oltre lo sport in sé. Se lo sci nasce come risposta all’esigenza di spostarsi e muoversi sulla neve, e permette quindi di andare sul piano e anche in salita, lo snow, invece, si afferma fin da subito come mezzo di divertimento estremo e acrobatico, studiato per fare evoluzioni e andare in discesa a tutta velocità. Inoltre è sicuramente più facile da imparare rispetto allo sci: per questo la sua diffusione è stata così rapida e inarrestabile”. Con l’aumento dei praticanti è cresciuto anche il numero delle piste dedicata allo snow: “All’inizio gli snowboarder erano mal visti dagli sciatori classici: portavano disordine, confusione, e spesso facevano paura per la loro velocità e le loro evoluzioni. Ora la situazione si è un po’ tranquillizzata, anche grazie ai numerosi snow park che sono stati creati per permettere ai più spericolati di provare le manovre e i salti più estremi: i miei preferiti sono quelli di Madonna di Campiglio, di Passo San Pellegrino e di Obereghen”. Ma più che le evoluzioni, il vero chiodo fisso di ogni snowboarder sembra essere la powder (neve fresca non battuta) “Scendere sulla neve fresca, magari in un fuoripista, tra il silenzio dei boschi e delle vallate – ci confida Paco, salutandoci – è una sensazione che tutti dovrebbero provare almeno una volta nella vita. La tavola sembra quasi galleggiare sulla neve, scivola in discesa come un surf sull’acqua. Sono attimi in cui ti sembra di essere sospeso, fuori dal tempo e dallo spazio: istanti in cui provi una sensazione di libertà e di avvicinamento alla natura davvero indescrivibile. È in quei momenti che capisci davvero tutta la bellezza di questo sport: che riesce a farti ascoltare e riscoprire l’essenza stessa della tua anima”.

“La differenza tra lo sci e lo snowboard? Il primo è uno sport, il secondo uno stile di vita”

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DAINESE.COM

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LA P ROVA

MENS SANA IN CORPORE SANO

Dopo l’afa estiva, prima della neve, il Nordic Walking è un’attività perfetta per stare all’aria aperta e fare movimento sano, completo, antistress. Uno sport portatore di benessere, ma anche mezzo divertente di esplorazione del territorio e dei centri di interesse TESTO CARMEN SANTI

L’

l’abbiamo incontrato in una sera ancora calda di fine settembre in un parco cittadino, dove un istruttore della Scuola Italiana Nordic Walking, trovato su internet, ci aspettava con appositi bastoncini per insegnarci la tecnica. Eravamo molto curiosi, ci chiedevamo perché questa tecnica necessitasse di istruzione, in fondo sapevamo già utilizzare i bastoncini da trekking. Ma è proprio questo l’errore che fanno tutti, o almeno tanti. Il Nordic Walking non è il trekking. Sì, certo, si cammina utilizzando i bastoncini, ma questi, a differenza di quelli tradizionali, hanno un lacciolo particolare che viene infilato nella mano quasi come un guanto, consentendo un movimento molto fluido delle braccia senza che il lacciolo non si stacchi mai dal palmo. Ecco la differenza, in questo tipo di attività sportiva lavorano molto anche le braccia, la schiena, gli addominali, oltre che glutei e gambe. Si tratta

insomma di una tecnica nuova che coinvolge praticamente l’85% della muscolatura e che, una volta che è stata correttamente acquisita, arriva ad ottenere un allenamento completo del corpo. Importata direttamente dai paesi nordici, nata per allenare gli atleti di sci di fondo durante l’estate e recapitata a poco a poco a tutte quelle persone che vogliono semplicemente tenersi in forma durante tutto il tempo dell’anno, richiede un movimento molto naturale che non presenta particolari controindicazioni e che è adattissimo all’allenamento del sistema cardiocircolatorio. In quanto movimento aerobico aiuta a ridurre il peso, ma, a differenza della corsa, non affatica le articolazioni. E poi, coinvolgendo le braccia nel movimento, implica necessariamente il rafforzamento della muscolatura delle spalle, dei pettorali e anche della muscolatura cervicale, diminuendo il carico sulle anche, sulle ginocchia, sui piedi. A questo punto vi chiederete qual è questa tecnica miracolosa. Diciamo che per capire bene sarebbe meglio provare, ma tentiamo

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N ORDIC WA LKI N G LA P ROVA

Per tutte le età Il Nordic Walking ha preso piede, a partire dal Nord Europa, anche tra gli over 60, che hanno trovato in questa disciplina il giusto equilibrio da impegno sportivo e attività salutare

di spiegare in poche parole. Come dicevamo, questa tecnica si rifà ai movimenti dello sci di fondo e quindi utilizza quello che gli esperti chiamano “movimento diagonale” sul quale viene inserito l’utilizzo dei bastoncini. Il risultato è una successione di movimenti alternati di braccio e gamba opposti, in modo da creare una spinta efficace con il bastoncino che scarica il peso del corpo e allunga il passo, senza abbandonare la fluidità del movimento. Per apprendere la tecnica in modo esatto è consigliabile rivolgersi ad istruttori qualificati, che in due o tre incontri sapranno darvi tutte le indicazioni necessarie per approcciarvi a questa nuova rilassante e divertente attività sportiva che può essere praticata ovunque, all’aria aperta, in ogni stagione.

I BENEFIT DELL’ATTIVITà

a differenza della corsa, non affatica ARticolazioni, E In quanto movimento aerobico aiuta a ridurre il peso

Il Nordic Walking è più efficace del 40% rispetto al Walking senza bastoncini, aumenta il consumo energetico visti i muscoli coinvolti e alleggerisce il carico sulle caviglie, sulle ginocchia e sulla colonna vertebrale. Grazie al coinvolgimento attivo della muscolatura ausiliaria dell’apparato respiratorio, incrementa l’ossigenazione dell’intero organismo e aumenta la resistenza, la forza, la mobilità e la coordinazione. Infine aiuta anche l’eliminazione degli ormoni originati dallo stress e permette di raggiungere una forma fisica in modo dolce.

Dove si è svolta la prova Presso la Scuola Italiana Nordic Walking Via Montichiari 89 – 00188 ROMA www.scuolaitaliananordicwalking.it

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RUOTE SCALZE DI LUCA POLTRONIERI

IL RIPIDO DENTRO DI NOI

PERCHè QUESTA RUBRICA

Vorrei riuscire, attraverso questa rubrica, ad “offrirvi”una (condi)visione/senzazione, del pedalare, più con l’anima del ciclista errante, che con i suoi pensieri o i suoi muscoli. Per errante, sto ad immaginare qualsiasi forma del “procedere”, forte o piano, con la testa bassa o affacciati con ammirazione da quel balcone privilegiato e mobile che si chiama bicicletta, attraverso il contatto sferico che offrono le ruote appoggiate a Madreterra, sentirne la voce, gli odori, i colori. Non con le orecchie e il naso, gli occhi, ma attraverso il Respiro. Ottavo senso, dote degli sportivi sbuffanti in genere, respirare, vivere. La Bicicletta e Tu... a Ruote Scalze.

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Vi parlo di una gara entrata nella storia delle ruote grasse (mtb) e, oserei dire, anche del ciclismo “assoluto”. Ma che tale non è più! Stiamo parlando della Bikextreme. Arrivata alla sua 21°edizione, la “mitica” gara di fine stagione si ripropone al pubblico con un percorso radicalmente cambiato, a tal punto da non essere più “mitica”, per lo meno come lo era un tempo! S’era resa famosa per annoverare nel percorso una salita di 32 km da Limone fin su al Tremalzo (1870 mt dislivello) dove avevi tempo per ri-proiettare mentalmente il film della stagione e capire o riflettere su tante cose, comunque per applaudirti “pedalando” nell’aver per l’ennesima volta, conclusa un’altra stagione. Un compleanno del “ciclista”che c’è in te, atteso (forse) più di quello del cambio di età. E poi giù dai tornanti della Grande Guerra, a contare cippi e ciottoli e crampi, via a via sempre più irti e ripidi e dolorosi. Qualche occhiata al panorama da aereo sulle acque del lago, tu intrepido pilota di un velivolo con ruote e una sella. Un tuffo di 27 km interminabili che sommati all’eterna ascesa hanno fatto diventare questa gara, la gara! La Bikextreme! Un esserci per confermare un sono. Senza presunzioni ma con una consapevolezza scritta sul corpo segnato come un ulivo, ma elastico, ed una mente forte ma piena di commossa partecipazione, personale e di chi è lì con te… a condividere… tanta severa

ciclomagnificenza. Ora venendo al sodo, per “problemi” (irrisolvibili?) la gara si ripeterà con nome di fatto… Extreme, ma con una modifica che toglie l’ascesa al Passo e riduce la discesa al “solo” tratto finale, dimezzando di fatto chilometri, panorami, fantasie. E comunque diventerà un’altra cosa. Sarà perché le ho fatte tutte e questo appuntamento era diventato il mio momento per essere un Ambasciatore dello sport (alla Marcialonga-sci chi ha tutte le partecipazioni viene chiamato appunto Ambasciatore), e questo riconoscimento di fatto mi pare desse forza alla persona e sostegno alla manifestazione, in quanto portatori entrambi di ideali umani e sportivi, valori che assieme alle classifiche e al sano agonismo,”sarebbero”, e dovrebbero essere l’identità, di una manifestazione. Proteggere tutto ciò, sarebbe l’ovvio che uno s’aspetta… ma tant’è, non è così. Quindi all’Alpe ci son tornato quest’anno senza numero e in compagnia d’amici, addirittura con sosta mangereccia a quel rifugio che sempre ho visto, sbuffando, “scorrermi di fianco”; e con un sentito ma sereno rammarico, ho chiuso la mia personale Ambasciata di questo prezioso “ciclostato” aperto venti anni fa da intraprendenti appassionati organizzatori. A voi nuovi organizzatori, la responsabilità, d’aver interrotto una “Storia di ciclismo vero”, scritto da migliaia di partecipazioni, da campioni che hanno segnato i loro record, da addetti e volontari che ci hanno messo e rimesso la loro vita, da anonimi ciclisti che son venuti da lontano per “conoscere” un percorso unico, da chi è venuto per sfidare quota, freddo e tutto il ripido che c’è in noi. A me, comunque m’avete fatto involontariamente un “regalo” (anche se per ora non sono contento), ovvero di poter già scrivere una storia. La chiamerò “1000 km di B-Xtreme”.


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A LT ER N AT I V E

柔道 JUDO

dell’educazione nazionale, e che doveva soprattutto servire lo scopo di educare i giovani del tempo ma essere duttile e malleabile per adattarsi anche alle generazioni future. “Questo è il punto fondamentale – precisa Tessaroamo molto vedere e assistere i bambini che praticano judo. Si capiscono molte cose si nota la loro evoluzione, la loro spontaneità nell’approccio al judo. La freschezza mentale, l’assenza di preconcetti, la fantasia. Io cerco sempre di privilegiare un approccio induttivo, dove il bambino sia portato a trovare una soluzione propria ad un problema. Perché la bellezza di questo sport, anche se non amo definirlo così, sta proprio nel fatto che rispetta l’identità di ognuno, le caratteristiche fisiche, la postura, il carattere. Tira fuori il meglio che ognuno ha dentro di sé. Non tutti pongono attenzione all’aspetto educativo e formativo purtroppo, spesso si tende a trasformali in atleti preparatissimi e pronti per la competizione, ma non per la vita. Io intendo diversamente le cose: prima spero di contribuire a far sì che un ragazzo diventi un uomo e poi un atleta, almeno in parte, è quel che credo sia accaduto dentro di me, anche se l’atleta, forse, l’ho un po’ perso per strada. Devo dire grazie di questa crescita al mio maestro Fidelio Franceschetti, sono 42 anni che pratica judo e mi ha fatto cambiare modo di fare judo, pratica che mi aiuta anche a mantenere l’equilibrio mentale per la vita”.

LA VIA DELLA CONSAPEVOLEZZA

Denis Tessaro, classe ‘81, racconta come il judo abbia cambiato il suo modo di approcciarsi alla vita, fino ad arrivare ad aver voglia di trasmetterlo agli altri, in particolar modo ai bambini TESTO ENZO LONARDI

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e ne accorgi già da come ne parla, che il judo è molto più che una semplice disciplina sportiva, qualcosa che va oltre la passione. Qualcosa che, come dice lui, “ti entra dentro come una malattia”. Denis Tessaro, veronese classe ’81, misura le parole e il respiro mentre parla. Riattacca deciso: “Ammesso che esistano, ho cominciato grazie ad una coincidenza: mia madre è tornata a casa con un volantino di una palestra in cui si insegna judo. Sapeva che ero interessato, ma non mi decidevo ad iniziare. Era il 2000, di lì in poi non ho più smesso”. Infatti, fino ad allora, Denis ne aveva provati tanti di sport, ma nessuno lo aveva spinto a fermarsi, tranne uno. E il suo è stato un percorso di crescita umana e sportiva: “Il judo ti insegna ad avere un approccio diverso con la vita, il mio avvicinamento a questa disciplina è stato tormentato fatto di alti e bassi, ma alla fine ho trovato la mia dimensione. Lo dice la parola stessa, composta da due ideogrammi, ju che significa flessibile e do che significa via. Inteso in questo modo, è come sintonizzarsi su un dato segnale e seguirlo, come il salice che si piega sotto la neve e non si spezza, al contrario di alberi apparentemente molto più forti che vedono, però, squarciati i propri rami ”. Questo almeno il senso di una delle tante storie a cui la tradizione giapponese lascia il compito di spiegare il senso profondo di questa attività nata per volere di un imperatore, di un ministro

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Chiosa sorridendo e riprende: “I livelli su cui agisce il judo sono tre: quello fisico che contempla un equilibrio della muscolatura che viene interessata totalmente, dalla testa ai piedi, quello mentale che include l’imparare a capire e conoscere l’altro, comprenderne il movimento e il cuore che insiste sulla determinazione, sulla forza dello spirito, sul coraggio e sulla voglia di mettersi alla prova”. Ci spiega che esistono ragioni profonde, quelle che stanno sotto al semplice praticare un’arte marziale, Denis soddisfa la nostra curiosità, con semplicità e umiltà: “Praticare judo – spiega – significa cogliere l’opportunità ed avere il coraggio di metterla in atto, significa perseguire il massimo risultato con il minimo sforzo, in senso di consapevolezza e saggezza, non di pigrizia, significa far parte di una comunità che scambia le conoscenze per progredire tutta insieme. Cose troppo spesso dimenticate nelle palestre. Dal canto mio, ormai, non potrei più farne a meno, perché è diventato una parte di me.”


judo, che passione! Nella foto a sinistra, un primo piano di Denis Tessaro. A destra, la fase di un incontro

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FACCE DA SPORT DI ZENO DELAINI

LUIGI CASTIONI UNA VITA IN MARCIA

Luigi Castioni è un o dei padri della podistica veronese, ci racconta come è nata l’Associazione Marciatori Veronesi e con che spirito. Non bastano le parole. Luigi Castioni, classe 1925, gesticola animatamente per farsi largo tra i tanti ricordi che affiorano alla mente. È un pomeriggio uggioso di fine ottobre nel quale veniamo accolti nella sua abitazione di Lugagnano di Sona, a pochi chilometri da Verona. Il motivo della nostra visita è che Castioni, tra le tante cose fatte, annovera anche la paternità dell’Unione Marciatori Veronesi, nata ufficialmente nel maggio del 1973. “Non è solo merito mio, c’erano anche Presutti, Pennacchioni, Maccaferri e Foroni e tanti altri che non se ne abbiano a male se non li cito, ma a ricordarli tutti facciamo sera.” Si appresta a specificare con un’umiltà che contrasta con una certa somiglianza con l’Avvocato Agnelli. Riprende divertito dopo l’accostamento che, confessa, non è nuovo: “Mi è capitato anche quando ero giovane che me lo dicessero, non ci ho mai creduto tanto”. Poi riprende lesto il cammino dei ricordi: “Forse devo tutto al fatto che ho avuto la fortuna di andare in pensione piuttosto giovane, fino al 1967 sono stato ferroviere, poi mi sono potuto dedicare a seguire tante iniziative, tra cui le marce non competitive”. Una storia nata in

parrocchia dopo aver partecipato ad una marcia domenicale, spiega Gigi , soprannome con cui preferisce essere chiamato, precisa:“Non usava ancora praticare queste marce, se ne faceva qualcuna la domenica, ma non molte. Mi venne l’idea di provare a farne una anche qui. Diciamo che il tutto è cominciato un pomeriggio passato in amicizia dietro la chiesa parrocchiale, dove avevamo fondato, nel 1972, il Comitato Parco Giochi di Lugagnano, ci buttammo nella nuova avventura e ancora

provvedimenti di targhe alterne e pensammo che sarebbe potuto essere un incentivo a passare le domeniche camminando. Ci fu un incontro all’Osteria dello Scalin, vicino la sede dei Veterani Sportivi. Avevamo invitato anche delle personalità dello sport che rappresentavano le federazioni a Verona: Mario Farinati per il Coni, Graziano Rugiadi per il C.S.I e un delegato della Fidal. Abbiamo esposto il caso ma non è stato raggiunto un accordo”. Ma Castioni non è tipo da arrendersi: “Eravamo tutti determinati.

Nel 1972 ci furono i primi provvedimenti di targhe alterne e pensammo che sarebbe potuto essere un incentivo a passare le domeniche camminando

La delusione fu forte ma riprendemmo le fila del discorso e riuscimmo a concretizzare la nostra iniziativa nel 1973 con la costituzione dell’associazione autonoma e provvisoria denominata Unione Marciatori Veronesi, di cui fu presidente Vincenzo Presutti, Athos Maccaferri vicepresidente e segretario Eddo Foroni, io ero consigliere insieme ad altri.” Nonostante ne abbia viste tante gli occhi celesti si fanno lucidi e spiega: “Non avevamo in testa di fare qualcosa per noi, ma per la comunità, promuovere l’attività sportiva, in particolare quella podistica, per aiutare la formazione sia fisica che morale delle persone, incoraggiando la vita associativa, lo stare insieme spontaneo e gioioso”. E tanti altri scopi che Gigi Castioni così sintetizza: “Partecipare è un modo di parlare, di comunicare, aiuta ad allargare le amicizie e la solidarietà.”

siamo qui a contare gli iscritti”. Allora come oggi, il problema maggiore era reperire i fondi ma, ricorda Gigi Castioni: “Ci venne in aiuto Arena che sponsorizzò l’iniziativa, regalandoci, tra le altre cose, le medaglie. Così da quella domenica non ci siamo più fermati”. Bastava poco, questo forse è l’aspetto più importante da ricordare, come sottolinea lo stesso Castioni: “Non c’erano grandi pretese, lo spirito che ci animava era quello di far stare insieme le persone, fare in modo che praticassero sport nelle loro strade, contrade e campagne. La cosa bella è che non c’era distinzione di classe sociale o economica: si trovava di tutto e tutti familiarizzavano con tutti. Le marce hanno un grande valore di coesione sociale”. Del resto un piccolo aiuto lo diede anche l’annoso, e ahinoi ancor ben presente, problema dell’inquinamento dovuto ai gas di scarico delle auto, racconta Gigi: “Parliamo del 1972 e c’erano i primi

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CONT R O C O R R E NTE

IL FUOCO

DENTRO è possible modificare, volontariamente, la temperatura corporea in risposta ad una condizione ambientale estrema? Forse sì TESTO MASSIMO LENOTTI

Il nostro ‘Iceman’ Uomo dei ghiacci per antonomasia, Armin Zöggeler - nella foto in alto - si è guadagnato l’epiteto di “il Cannibale” dello slittino mondiale. È l’italiano che ha vinto più gare di coppa del mondo negli sport invernali, davanti anche ad Alberto Tomba.

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A Sittard (Olanda) vive un uomo, Wim Hof, 52 anni, le cui capacità fanno sicuramente esultare quelle persone che, come me, seguono con una punta di sano scetticismo ma con profondo interesse e coinvolgimento quelle pratiche esoteriche che sembrano spesso stravolgere alcune certezze della scienza medica. Hof è stato soprannominato ‘Iceman’ per l’ inspiegabile e sovrumana tolleranza del suo corpo al freddo: fra i vari records in suo possesso, il primato mondiale di permanenza in una vasca riempita di ghiaccio (1h 44min. Tokio - 2010), la scalata e discesa del Kilimangiaro in cinque giorni indossando solo un paio di pantaloncini ed il completamento di un’ intera maratona (42,195 kilometri) ai confini finlandesi con il circolo polare artico con temperature di -20°C. In 5h e 25 min. Sempre e solo in pantaloncini e scalzo. Wim Hof ha più volte affermato che il suo non è un dono unico ed irripetibile, bensì il frutto di una pratica che affonda le sue radici nella tradizione tantrica buddhista; tale pratica è quindi accessibile a chiunque sia disposto ad accoglierla. La tecnica jogica Tum-mo , questo è il suo nome, è stata osservata e studiata sistematicamente fin dagli anni ’80, in particolare

dal Dottor Herbert Benson, professore emerito alla Harvard Medical School. Benson, per toccare il cuore di questo affascinante fenomeno decise, con la benedizione del Dalai Lama, di effettuare le sue ricerche direttamente nei monasteri himalayani e le scoperte che ne derivarono furono sensazionali: i monaci dediti alla meditazione avanzata Tum-mo erano in grado di abbassare il loro metabolismo corporeo del 64% (durante il sonno, il metabolismo di un essere umano normale si abbassa di appena il 10-15 percento) e di innalzare la temperatura delle loro dita di 17 gradi. Benson ed i suoi collabolatori assistettero regolarmente a sessioni meditative nelle quali i monaci erano in grado di innalzare la loro temperatura corporea fino ad asciugare le lenzuola zuppe d’acqua gelata in cui erano stati avvolti. È bene ricordare che un soggetto novizio che si volesse cimentare in tale pratica incorrerebbe quasi immediatamente in una reazione di tremore incontrollato provocata dallo shock ipotermico e dopo pochi minuti rischierebbe la morte. Ritornando ai giorni nostri, lo stesso ‘Iceman’ è stato sottoposto ad esami fisiologici estremamente accurati: in particolare il Dottor Pickkers, professore di terapia intensiva sperimentale al Radboud


cartotecnica

Sirio

Ipse dixit N on basta un giorno di freddo per gelare un fiume profon do P ROVERBI O C I N ES E

I monaci dediti alla meditazione avanzata Tum-mo erano in grado di abbassare il loro metabolismo corporeo del 64% e di innalzare la temperatura delle loro dita di 17 gradi.

University Nijmegen Medical Centre, gli ha somministrato un’ endotossina innoqua, ma in grado di attivare quelle risposte immunitarie che ci si aspetterebbe nel caso di raffreddore, influenza e mal di testa. La somministrazione, avvenuta in concomitanza con la pratica meditativa di Hof, ha evidenziato un decremento del 50 percento della sua risposta ‘infiammatorià (rispetto ai parametri di altri soggetti ‘normalì) ed un notevole aumento del cortisolo, ormone coinvolto nella risposta nervosa allo stress. Come dire: Iceman ha sconfitto la tossina nel suo corpo. Pickkers, dopo aver preso visione dell’evidenza dei risultati, ha dichiarato che ulteriori ricerche dovranno essere attuate poichè Hof potrebbe essere la classica eccezione che conferma la regola. Noi per ò sappiamo che il Dr Benson, molto cortesemente, avrebbe motivo di dissentire. Ecco le sue convinzioni in queste poche parole: “I buddhisti percepiscono la realtà in cui viviamo non come definitiva. Una più profonda dimensione è raggiungibile, non soggetta alle emozioni ed all’esistenza mondana. Essa diviene accessibile facendo del bene agli altri ed attraverso la pratica meditativa. Il calore che essi generano è solo un sottoprodotto di tale pratica” .

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CAVOLI A MERENDA DI FABIO FRACCAROLI

Lay me down, the lie will unfurl? lay me down to crawl Mettimi a terra, la bugia si svelerà? Mettimi giù a gattonare

Tempo permettendo, anzitutto lo sport ci piace farlo, e talvolta - ma con minor piacere - pigramente osservalo, certo non poco ci compiacciamo se su di esso possiamo riflettere, analizzarlo, quasi svisceralo per coglierne i molti segreti. In questa rapida quanto personale fenomenologia delle arti sportive dopo aver tentato di dir qualcosa del camminare (quasi un grado zero dello sport) ci pareva giusto, muovendoci per gradi, provare a dire qualcosa di quelle prime pratiche sportive che superata un certa spontaneità dell’agire, comportano l’acquisizione di una tecnica. Tecnica che comunque per meglio funzionare deve, quando si fa sport, come per magia (o per gioco) quasi del tutto esser dimentica proprio eseguendola costantemente. Sovente ci siamo accorti di quanto poco siamo padroni delle nostre scelte o effettivamente liberi di fare ciò che ci piacerebbe fare. Se l’agire quotidiano deve inevitabilmente venire a patti con i molti, troppi compromessi e le innegabili limitazioni contingenti, lo sport é tutt’altro.

a renderci più sicuri e abili nel nostro fare sport di quando dobbiamo agire nella caotica vita odierna?

Lo sport sembra - non nascondiamocelo affrancarci magicamente dai nostri limiti. Indossando, non solo letteralmente, gli abiti sportivi possiamo essere padroni del nostro fare (oltre che del nostro tempo), liberi nelle nostre decisioni. Certo in ogni pratica sportiva, anche nella più blanda o nella più maldestra, vi sono delle regole (più o meno rigide) da seguire. Certo in ogni pratica sportiva, anche la più spensierata o la più improvvisata, dobbiamo fare i conti col nostro corpo, scoprendolo tonico o fuori forma. Ma che é un corpo impreparato (che per altro proprio grazie all’esercizio di volta in volta migliorerà) rispetto ai molti troppi imprevisti imponderabili con cui ci dobbiamo scontrare nella vita quotidiana? Non sono anzi proprio le poche ma chiare regole di un pratica sportiva

di questa pastiglia di vera libertà concessa al uomo moderno é per Musil il nuoto (precisamente il mordace austriaco osserva con acume il crawl, quello che in italiano erroneamente chiamiamo stile libero). In questo (all’epoca) nuovo stile (Musil scrive le sue osservazioni nel 1932 quando solo da pochi decenni si erano disputate le prime competizioni olimpiche di tale disciplina) sforzando il corpo a dei gesti apparentemente innaturali o poco spontanei un nuotatore (una volta divenuto avvezzo alla pratica) si scoprirà come per magia quasi libero sicuramente a suo agio come un pesce in acqua. Ammesso e non concesso, nota salace lo scrittore austriaco che noi umani “nell’acqua siamo quadrupedi” tale stile di

L’ingegnere, scrittore e matematico austriaco Robert Musil già circa un secolo fa aveva intravisto questo valore libertario della passione, nella vita moderna, per quella particolare forma di ozio attivo che chiamiamo sport. Nel suo corroborante incompiuto capolavoro L’ uomo senza qualità sovente egli torna a riflettere su questa scheggia d’utopia liberatoria che la pratica sportiva é per l’individuo nella nostra epoca sempre più intrappolata dalle inevitabili abitudini, dal imprescindibile lavoro o dalla irrinunciabile tecnica e/o tecnologia. Un ottimo esempio

nuoto è liberatorio almeno per due quasi inscindibili ragioni. Anzitutto il crawl come tecnica sconvolge persino la pressante logica matematica, secondo la quale se A è minore di B e C e minore di D anche la somma di A e C è minore della somma di B e D. Nel crawl invece è tutt’altro. Infatti paradossalmente la somma di A e C è maggiore della somma di B e D. “Espresso in parole: solo con le gambe o solo con le braccia, alla maniera del crawl, nuoti peggio che [in qualunque altra maniera] mentre con braccia e gambe insieme, alla maniera del crawl, nuoti più velocemente”. Ora questa naturale artificiosità non solo ci rende più liberi ed efficaci in acqua ma come per gioco, ci rende spontaneamente quasi degli animali acquatici, dei veri e propri quadrupedi anfibi. Così l’uomo nuotando ritrova, abbandonandosi spensieratamente al flusso di azioni che l’assorbono, come quando giocava da piccolo, privo di altre distrazioni o futili preoccupazioni, assorbito in una folle soddisfazione intrinseca, inequivocabile seppur momentanea (flow). Difficile negare - secondo Musil - che tale stato, sorta di lapsus momentaneo di libertà, non sia simile o quantomeno paragonabile a quello che sovente provano anche gli animali agendo o, per esempio, nuotando. Certo malauguratamente la vita non é tutta un nuotata, e non possiamo esimerci dal dover comunque - prima o poi - mettere i piedi a terra. Ma lo sport farmaco ricostituente già avrà fatto il suo gioco - per chi lo saprà cogliere - non come irraggiungibile modello (frustrante negazione della imprevedibile vita reale) ma come salubre valvola di sfogo, ricordandoci, quando serve, che ogni uomo é anzitutto un animale ludico. Beh, allora giochiamo!?

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CRESCERE CON LO SPORT

SENZA CONDIZIONAMENTI Mauro Guarino, presidente della Polisportiva San Giorgio di Villafranca, spiega come sia fondamentale recuperare gli aspetti ludici ed educativi dello sport. Una strada che segue da anni TESTO ZENO DELAINI

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n bambino, per istinto, fa quello che lo diverte di più e per natura si stufa in fretta e ha bisogno di cambiare continuamente prima di capire davvero cosa vuole.” In sintesi è quello che sta alla base del lavoro di Mauro Guarino, presidente della polisportiva San Giorgio di Villafranca, che da ormai 12 anni a questa parte, si occupa di far muovere grandi e piccini.

Com’è nata la Polisportiva e con che spirito? È nata come una scommessa, un po’ per contrastare una dannosa tendenza che alcune società sportive avvallano: ovvero anticipare troppo la stagione dell’agonismo. Un costume, a nostro avviso, nocivo. I bambini hanno bisogno di divertirsi, di imparare, di essere educati un po’ per volta. Collaborano con noi diversi laureati in scienze motorie, persone qualificate per sviluppare la crescita del bambino. Siamo andati controcorrente. Una scelta che ha pagato? Direi di sì, siamo ancora qua e il numero degli iscritti cresce. Molti genitori apprezzano e condividono

il nostro modo di intendere lo sport. Che approccio proponete ai più piccoli? Per i bambini che frequentano le prime tre classi delle elementari, puntiamo sulla psicomotricità, l’attività ludico-motoria e la pluridisciplinari età. Praticano vari sport alternati dal calcio al basket, volley, rugby e atletica. Per quelli che frequentano la materna, invece, si parla di giochi veri e propri: dal disegno a schemi motori semplici e sempre giocosi. Come rispondono i bambini? Il bambino capisce dove si diverte di più. Senza condizionamenti o pressioni. Abbiamo pensato a come eravamo noi, più liberi e ci muovevamo di continuo. Oggi sono più sacrificati, non hanno strade sicure, campi a perdita d’occhio, aie di campagna. Paradossalmente vanno aiutati, incoraggiati. Ma va fatto in modo naturale, spontaneo che gioiscano del muoversi come di un gioco, altrimenti scappano e preferiscono la playstation. Ottenete risultati? Abbiamo fatto di recente una delle nostre periodiche riunioni, preceduta da una attività di confronto che facciamo andando nelle

Lo sport si fa strada Immagini di una manifestazione della Polisportiva San Giorgio con i ragazzi di Villafranca, verona

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POLISPORTIVA SAN GIORGIO La polisportiva San Giorgio conta 150 persone tra dirigenti e allenatori e più di 1000 tesserati, di cui circa 750 atleti, nei quali spiccano gli oltre 550 under 18. I colori sociali sono il giallo ed il verde ed il Draghetto, ispirato al drago di San Giorgio, è il simbolo della polisportiva. È una delle realtà più grandi del Veneto. Non si occupa esclusivamente di giovani ma sono molte le attività rivolte agli adulti. Una buona percentuale delle attività è rivolta agli amatori. Una delle prime vocazioni della polisportiva è quella di essere strumento di aggregazione sociale. Nata l’8 dicembre 1957 vede quest’anno cadere il suo 55° anniversario.

scuole con i nostri docenti. La sera della riunione abbiamo avuto 115 iscrizioni. Molte rispetto allo standard, le famiglie accettano la sfida. Che qualità sviluppa un ragazzino che cresce facendo tante attività? Innanzitutto non arriva settorializzato. Sviluppa molte qualità fisiche e psicologiche. Nonché motorie. Sono più dotati facendo più percorsi. Poi ognuno ha le sue caratteristiche. Campioni si nasce o si diventa? I campioni nascono per i fatti loro, si vedono subito. Se poi uno non ci mette tutto il resto però, non arriva. Passione, dedizione, impegno, sacrificio e testa. Ci vogliono molte componenti. Ci sono tanti ragazzini che sembrano goffi, ma con la tenacia e la forza di volontà fanno miracoli. La soddisfazione più grande? Pensare che tutto si basa sul volontariato. Che ragazzi appena diciassettenni hanno già voglia di occuparsi e impegnarsi per i più piccoli. È difficile spiegare l’affetto che si crea tra le persone, per tante che siano sembriamo una bella famiglia.

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F O T OS T O R I A

Nato in Norvegia nel 1930 dalle mosse acrobatiche che alcuni sciatori di sci alpino e di sci di fondo usavano durante gli allenamenti è, solo, molto 30 anni dopo, nel 1960, che sarà praticato come sport agonistico negli Stati Uniti. Nei suoi primi anni di vita ha sofferto della mancanza di un codice regolamentare e della fama, in parte meritata, di sport pericoloso. Fu nel 1979 che assurse al rango di vera disciplina sportiva, decisamente con norme di sicurezza ben più severe: un nuovo regolamento sancì la certificazione degli atleti e delle tecniche di salto, togliendo gli elementi più pericolosi.

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Ipse dixit Esteriormente, un paio d i sci non presenta per sĂŠ stesso nulla d i straor d inario. Nessuno potrebbe immaginare, cosĂŹ a prima vista, il potere che in essi si occulta A RTHU R CO N A N D O Y LE

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SALTA

TESTO ZENO DELAINI

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“Il Biketrial non è uno spettacolo, ma una disciplina rigorosa che vuole dedizione” Alberto Limatore

P ER C O R S I

CHE TI PASSA


Palmares 14 volte Campione Italiano A ssoluto V incitore della C oppa d el Mon d o V ice Campione d el Mon d o V incitore d ella C oppa d ei C ampioni 2 G uinness World R ecor d V incitore C oppa Italia M iglior Pilota Italiano d i B i ke Trial

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edala pedala, di strada ne ha fatta tanta: “A dir la verità alle volte non esco da un metro quadrato” ironizza Alberto Limatore, alludendo al recente record mondiale di palleggi su ruota posteriore. “Il 3 agosto scorso, 401 rimbalzi eseguiti in 3 minuti e 10 secondi, una bella soddisfazione e un modo per avvicinare i giovani a questa disciplina fantastica”. Cos’è il Bike trial? È una forma di ciclismo estremo,che prevede il superamento di ostacoli e barriere, siano esse naturali o create artificialmente. Con una regola: non si mettono mai i piedi a terra, sempre sui

pedali. Tanto che le bici non hanno la sella. Comporta un mix di resistenza ed esplosività, dal punto di vista fisico è completissimo. Dal punto di vista mentale fortifica la concentrazione, l’attenzione e l’autocontrollo. Per questo lo consiglio ai giovani. Come ha iniziato? Seguivo papà Gaetano da bambino. Lui faceva le gare di trial con la moto e noi figli imitavamo i padri con le biciclettine. Uno spasso, di lì non sono più sceso, a parte una parentesi. Che parentesi? Proprio con la moto, ho seguito le orme di mio padre, ho fatto 5 anni di gare, piazzandomi

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PER C O R S I A L BERTO LIMATO RE

“Un mix di resistenza ed esplosività, dal punto di vista fisico questa disciplina è completissima. A livello mentale fortifica la concentrazione, l’attenzione e l’autocontrollo. Per questo la consiglio ai giovani”

al 30° posto come miglior risultato nella massima categoria. Buono, ma non eccellente. Non era la mia. Così è tornato alla Bmt... Sì, nel ’92, e fino ad oggi non mi sono ancora fermato. Con risultati strepitosi, giusto? Sì, lo dico con soddisfazione perché sono sudati. È uno sport duro, per il quale bisogna allenarsi con serietà e professionalità. Lo ripeto quotidianamente ai ragazzi che vengono ai miei corsi: non è uno spettacolo, ma una disciplina rigorosa che vuole dedizione. Ma tu spettacoli ne fai, però? Sì, preferisco chiamarle esibizioni, certo, oggi, vivo di bicicletta, quindi sono doppiamente felice. Cos’è che ti da più soddisfazione? Vedere quanto si divertono i bambini a praticare Bike Trial, superare le difficoltà, gli ostacoli. Tutto in assoluta sicurezza, lo dico a beneficio delle mamme. Il ricordo più bello? Una gara di Coppa del Mondo a Jesolo, 1985, una giornata incredibile, una lotta contro il tempo. Come anche l’ultima competizione a cui ho partecipato, avevo già corso 4 gare e vinte 3, mi mancava la 5 per arrivare primo, sotto una pioggia torrenziale, da 30° siamo arrivati a 7° di temperatura esterna. Freddo, acqua, ho fatto una gara strepitoso, andato più veloce di tutti, ma soprattutto ho vinto contro me stesso, non credevo di farcela, ho dato tutto e sono arrivato primo. Una soddisfazione incredibile.

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Photo © Agence Zoom

AMAZING WORLD CHAM PION

RADICAL SI 130

C. INNERHOFER E IL NUOVO RADICAL 9GS

Lo sci da slalom gigante. Il Radical 9GS è stato testato e utilizzato durante i maggiori eventi del circuito internazionale. “Uno sci aggressivo e performante.” Queste le parole di Christof Innerhofer, Campione del Mondo di Super G, vice campione in Discesa e medaglia di bronzo in Combinata ai Mondiali 2011, per definire questo nuovo sci. Preciso e dinamico, il 9GS soddisfa le esigenze di sciatori esperti che ricercano emozioni e potenza. facebook.com/SkiRacingCommunity

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er la 113° edizione Fieracavalli propone un calendario ricco di attività ludicodidattiche dedicato ai protagonisti del Villaggio del Bambino. Ragazzi di ogni età saranno coinvolti in esperienze interattive da vivere individualmente o in gruppo. Dalla fattoria sociale ai primi approcci alla nutrizione, alla pulizia e alla cura del cavallo, fino all’emozionante battesimo della sella. Non mancherà l’intrattenimento nell’area del teatro, dove tutti i giorni si alterneranno spettacoli e celebri canzoni dello Zecchino d’Oro. Star d’eccezione Kenya, la dolce zebra selvatica che si lascia cavalcare senza redini né sella. Uno spazio a misura di bambino dove i “cavalieri di domani” si avvicinano al mondo del cavallo attraverso giochi, musica, laboratori interattivi e percorsi didattici. Bambini e cavalli sono fatti per vivere insieme, gli uni arricchiscono e completano gli altri. Per “i cavalieri di domani” sono stati pensati laboratori ludici e percorsi didattici finalizzati all’educazione alimentare, alla conoscenza della storia e del nostro patrimonio culturale attraverso esperienze rurali, sempre più rare nel frenetico ritmo cittadino. Entreranno in contatto diretto con i cavalli imparando così, attraverso l’addestramento all’empatia nei loro riguardi, ad avere fiducia nell’animale e in se stessi. Rispetto, comprensione e amore sono le parole chiave di questo padiglione formato bambino. “Un cavallo per amico”, che propone alle scuole primarie del Comune di Verona spettacoli e percorsi alla scoperta del mondo del cavallo. L’iniziativa è organizzata da Fieracavalli in collaborazione con l’Assessorato dell’Istruzione del Comune di Verona e la Banca Popolare di Verona.

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NON SOLO EQUITAZIONE Novità assoluta della 113° edizione di Fieracavalli è l’International Pony Auction, organizzata in collaborazione con l’Associazione Sportiva Centro Ippico Novese. Una vera e propria asta privata dove sarà possibile vedere e acquistare pony esperti, di diverso livello tecnico e preparazione, provenienti da tutta Europa. Sarà un evento che consentirà di ammirare pony campioni nelle discipline del dressage, del salto ostacoli e del completo, presentati al pubblico in una formula innovativa.

Info Fieracavalli è d a oltre un secolo il punto d i riferimento nel panorama eq uestre mond iale. Nata nel 1898 come semplice mercato eq uino è oggi, alla sua 113° ed izione, un appuntamento d al sapore internazionale. A V erona d al 3 al 6 novembre 2011 www. fieracavalli.it

UNO SPLENDIDO

Bambini e cavalli instaurano un rapporto simbiotico, dove i piccoli cavalieri imparano giocando, sia a salire in sella che a rispettare l’animale

CONNUBIO

A PP UN TA M E N TI


Da un’indagine effettuata da Studio Bocconi per conto dell’Osservatorio Fieracavalli emerge che ben il 70% degli intervistati farebbe praticare l’equitazione ai propri figli, se ce ne fosse l’opportunità. I genitori vedono infatti nell’equitazione un’esperienza molto formativa (29%), uno sport bellissimo (19%), un’esperienza “da provare” (17%) e molto divertente (15%), un’attività salutare (13%) e un ottimo strumento per superare insicurezze e paure dovute alla crescita (9%).

Tutti a cavallo!

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VERSUS ATLETI CONTRO

QUESTO PICCOLO GRANDE AMORE

Tra di loro non servono parole: bastano un gesto o uno sguardo. Spesso incomprensibili a tutto il resto del mondo. Il loro è un legame speciale e profondo. Non è amore, ma nemmeno affetto, simpatia o amicizia, ma molto di più. È un sentimento unico, un’empatia totale e viscerale che nasce da dentro. Un sentimento, ancora, che esula da qualunque umana regola basata sul “do ut des” (dare per avere, ndr.), ma un impulso disinteressato. È quello che si crea tra un essere umano ed il proprio animale. Soprattutto se, come sempre più spesso accade, il vincolo viene contratto tra un diversamente abile ed il ‘suo’ cavallo. L’ippoterapia – spiega Sebastiano Todeschini, titolare del Circolo ippico ‘Vola con Pegaso’ di Zevio, in provincia di Verona, dal 2009 impegnato nella terapia con i cavalli – è l’insieme di tutte quelle tecniche che utilizzano il cavallo per migliorare lo stato di salute di un soggetto. Ogni fase di lavoro è una tappa del percorso riabilitativo e l’effetto terapeutico della riabilitazione equestre si basa proprio sul

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particolare rapporto dialettico che si instaura fra il soggetto ed il cavallo. L’ippoterapia si fonda su un linguaggio prettamente motorio, ricco di sensazioni piacevoli, rassicuranti e coinvolgenti sotto il profilo emotivo.” Il progetto ‘ippoterapia’, posto in essere da Sebastiano e dalla madre, Giuliana Fabris, in pochi anni ha raccolto il sostegno dei Ceod, Centri educativi occupazionali diurni, di Bovolone e Zevio, ma anche il plauso dello psicologo Diego Ruzza, Assessore alle Politiche Sociali del Comune di Zevio, che ha deciso di finanziare il progetto facendo pagare

L’ippoterapia si basa sul particolare rapporto dialettico che si instaura fra il soggetto ed il cavallo dall’Amministrazione comunale metà della quota oraria per ciascun paziente: “L’ippoterapia – ha, infatti, chiarito l’Assessore – è riabilitativa: migliora la postura e l’equilibrio, rinforza il tono muscolare, aumenta la percezione positiva di se stessi tramite il controllo sul cavallo ed è un’attività socializzante.” Di fatto, la Pet Therapy ha ormai quasi cinquant’anni di vita: erano, infatti, gli Anni Sessanta quando il neuropsichiatra infantile Boris Levinson iniziò ad applicare l’uso degli

animali da compagnia come facilitatori delle relazioni sociali nei confronti di bambini con difficoltà affettive e relazionali. Decretando, di fatto, la nascita della Pet Facilitated Therapy. Cavalli, quindi, ma anche cani, gatti, conigli, asini o delfini che, interagendo con l’uomo, sono in grado di dar vita ad una possibile terapia complementare, capace di conseguire obiettivi di carattere ricreativo - assistenziale o terapeutico. “Una vera e propria cura dell’affetto - spiega il dottor Lino Cavedon, psicoterapeuta e responsabile scientifico del progetto ‘Pet Therapy’ posto in essere dall’Ulss 4 di Montecchio Precalcino, in provincia di Vicenza, e sottoscritto anche dalle altre tre Ulss del territorio vicentino - che, pur non potendosi completamente sostituire alla psicoterapia, le si affianca, divenendone un valido strumento ausiliario. Tra paziente ed animale si viene, di fatto, a creare un vero e proprio legame affettivo, onesto perché non filtrato dal linguaggio o dal pensiero razionale. Il cavallo, infatti, non racconta bugie, non finge e non ha un comportamento mosso dall’opportunismo, ma, al contrario, è sincero ed immediato”. L’ennesima dimostrazione, quindi, che tutte quelle teorie speciste che vedono gli animali come una ‘razza’ inferiore e, come tale, necessariamente sottomessa all’uomo, dovrebbero quantomeno essere riviste. Perché, come affermava il filosofo e giurista inglese Jeremy Bentham, “un cavallo o un cane adulti sono senza paragone animali più razionali, e più comunicativi, di un bambino di un giorno, o di una settimana, o persino di un mese. Ma anche ammesso che fosse altrimenti, cosa importerebbe? Il problema non è ‘Possono ragionare?’, né ‘Possono parlare?’, ma ‘Possono soffrire?’.” MATTEO TROMBACCO


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M A N GI OE RGOSON O

LEGGENDE METROPOLITANE C TESTO MATTEO TROMBACCO

Carl Lewis? Un vegano vincente Il ‘Figlio del Vento’ è uno dei numerosi campioni dello sport che ha rinunciato alla carne

osa accomuna i tennisti Boris Becker e Martina Navratilova, la fondista Manuela Di Centa, il corridore campione olimpico Edwin Moses, l’olimpionico di salto in lungo e di velocità Carl Lewis, il primatista della traversata a

nuoto della Manica Bill Pickering, il culturista campione mondiale Piero Venturato, il primatista mondiale di lotta François Paradis, Alex Rabassa, capace di correre trentaduemila chilometri in cinquecento giorni, il ginnasta Dan Millman ed il recordman mondiale di stile libero Murray Rose? Semplicemente che tutti questi grandi atleti, che durante la loro vita agonistica hanno saputo riportare risultati eccellenti, comprovati da medaglie d’oro alle Olimpiadi e vittorie ai Campionati del mondo, sono tutti vegetariani. Anzi, non tutti, perché Carl Lewis, soprannominato non a caso ‘il figlio del vento’, nonché vincitore di diciassette medaglie d’oro, due d’argento ed una di bronzo tra Olimpiadi e Campionati del mondo, ecco, lui è addirittura vegano.

Senza voler citare per forza grandi menti quali Edison, Einstein, Dostoevskij, Hugo, Freud, Tolstoj, Lennon, Sting, McCartney, Dylan, non il Dog di Sclavi, benché anch’esso vegetariano, ma Bob, Celentano o la Garbo, e rimanendo, quindi, solo nell’ambito sportivo, pare piuttosto sconfessata quella (radicata) credenza secondo la quale un’alimentazione di tipo vegetariano, o addirittura vegano, non sia conciliabile con l’attività fisica, tanto amatoriale quanto a livello agonistico. Per quanto riguarda l’aspetto ‘intellettivo’, infatti, un gruppo di ricercatori della ‘Southampton University’ aveva già evidenziato un collegamento tra il Quoziente intellettivo e la scelta dietetica e ideologica dell’essere vegetariani. Secondo gli studiosi, su un campione di 8.179 persone, “coloro che hanno scelto di rinunciare alla carne avevano, da bambini, un quoziente di intelligenza di centosei punti, contro i centouno punti dei non vegetariani. Proporzioni simili anche per le donne, che registrano un punteggio medio di centoquattro tra le vegetariane e di novantanove tra le non vegetariane” (Corriere della Sera, 27 dicembre 2006). Secondo la dottoressa Luciana Baroni, specialista neurologo e geriatra, nonché Presidente della Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana, infatti, “i dati relativi agli Studi epidemiologici sui vegetariani dei Paesi Occidentali, condotti negli ultimi quarant’anni, hanno documentato un ridotto rischio di malattie croniche, un aumento della longevità, ridotti valori di peso corporeo e pressione arteriosa, ed un miglior stato generale di salute. Gli individui che consumano elevate quantità di cibi vegetali evidenziano un rischio ridotto per molte malattie croniche, mentre gli individui che consumano elevate quantità di carne e grassi animali presentano un rischio aumentato. Sulla base di tali

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acquisizioni – prosegue la Baroni –, condotte da studiosi di tutto il mondo, le principali Società scientifiche internazionali per la prevenzione dei tumori e dell’arteriosclerosi hanno prodotto delle Linee Guida per un sano ‘Stile di vita’, atto a ridurre il rischio di queste malattie. L’alimentazione ideale per la loro prevenzione risulta ricca di fibre, povera di grassi (specialmente animali), con abbondanti porzioni di frutta e verdura. È facile riconoscere le caratteristiche della dieta vegetariana. L’Ada, ‘American Dietetic Association’, dal 1987 ha, inoltre, emanato la propria posizione ufficiale sulle diete vegetariane, in cui dichiara che ‘le diete vegetariane, correttamente bilanciate, sono salutari, adeguate dal punto di vista nutrizionale e comportano benefici per la salute nella prevenzione e nel trattamento di alcune patologie. Tale posizione viene periodicamente aggiornata’. L’Ada sancisce, inoltre, che le diete vegetariane e vegane ben bilanciate sono adatte a tutti gli stadi del ciclo vitale, inclusi gravidanza e allattamento, e che soddisfano le esigenze nutrizionali di neonati, bambini e adolescenti, garantendo una crescita normale”. E per quanto riguarda il rapporto tra dieta vegetariana e sport? “Per il supporto dell’attività fisica di allenamento e per

“I VEGETARIANI EVIDENZIANO un rischio ridotto per molte malattie croniche, mentre gli individui che consumano elevate quantità di carne e grassi animali presentano un rischio aumentato”

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l’agonismo – spiega la Baroni – è fondamentale la scelta di una dieta appropriata, che soddisfi l’elevato fabbisogno energetico e calorico e risponda alle esigenze necessarie per le funzioni vitali, per i processi di termoregolazione, la compensazione delle perdite e il turnover dei tessuti. Negli ultimi anni le diete ad elevato contenuto proteico sono state grandemente pubblicizzate per aumentare le prestazioni atletiche. A supporto di questo tipo di diete non esistono, tuttavia, molti dati scientifici. Come già spiegato, tali diete favoriscono la comparsa di arteriosclerosi e cardiopatie e, per questo, non sono raccomandate dall’‘American Heart Association’. Diete ad elevato contenuto di carboidrati, basso contenuto di grassi e moderato contenuto di proteine sono indicate per ottenere le migliori performances atletiche. I carboidrati costituiscono, infatti, la fonte energetica primaria utilizzata durante l’esercizio fisico intenso e prolungato. In assenza di un adeguato apporto calorico fornito dai carboidrati complessi, l’organismo è costretto a utilizzare i grassi di deposito e le proteine tissutali”. E la tanto celebrata carne? “La presenza o meno di carne nella dieta – chiosa la dottoressa – appare irrilevante per il livello di prestazioni

raggiunte dagli atleti. Cereali integrali, frutta, verdura costituiscono fonti ideali di carboidrati e proteine; quindi un’alimentazione basata su una varietà di cereali, legumi e verdure è facilmente in grado di fornire tutti gli aminoacidi essenziali e il substrato energetico richiesto dall’organismo dell’atleta. L’elevata assunzione di antiossidanti è, poi, in grado di proteggere i tessuti dai danni secondari allo stress ossidativo causato dal pesante esercizio fisico. Considerato che il grande apporto di carboidrati, indispensabile per l’atleta, è più facilmente ottenibile con questo tipo di alimentazione, le diete vegetariane e vegane ben bilanciate risultano del tutto compatibili con attività sportive - anche molto intense - e sono addirittura consigliabili per chi pratichi sport di resistenza”. Chissà, quindi se gli eccellenti esempi sportivi e le parole di un medico non possano convincere anche i più scettici che si può effettivamente praticare sport, anche ad alti livelli, persino senza mangiare carne. Che, di fatto, essendo per lo più ricavata da animali d’allevamento intensivo, non è certamente uno degli alimenti più sani, per il nostro organismo.

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ULTRA MAN TESTO MATTEO TROMBACCO

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NOME EROS COGNOME BRAVO SPORT IRONMAN* NAZIONALITà ITALIANA *gira la pagina...

ra il 1978 e, probabilmente, nessuno dei dieci atleti schierati ‘ai blocchi di partenza’ si sarebbe aspettato che, nel giro di trent’anni, i partecipanti sarebbero stati qualche migliaio. Ma proprio in quell’anno, sull’isola hawaiiana di Oahu, dal 2004 balzata ‘all’onore delle cronache’ per la serie televisiva ‘Lost’, è nato l’Ironman, la distanza ‘regina’ del triathlon, caratterizzata da 3,86 chilometri di nuoto, 180 di bicicletta e 42,195 di corsa. Uno sport massacrante, il triathlon, che negli ultimi anni ha coinvolto un numero sempre maggiore di appassionati ed atleti, una disciplina sportiva, ancora, nella quale il triatleta, prima che contro i propri avversari, gareggia ‘contro’ se stesso. Come se non bastasse, accanto alla distanza ‘super lunga’, appunto l’Ironman, sono nate le ultra distanze: il Double, il Triple, il Quadruple, il Quintuple ed il Deca Ultratriathlon, che prevede 38 chilometri di nuoto, 1.800 di bicicletta e 422 di corsa. A fare la parte del leone, all’interno del panorama degli ‘ultra sport’ è anche l’Italia, che ha visto, nell’agosto scorso, il friulano Eros Bravo trionfare ai campionati europei di Double Ultratriathlon di Murska Sobota, in Slovenia. “Ho iniziando praticando il duathlon (una versione del triathlon senza il nuoto) poi, era il 1998, ho cominciato a cimentarmi nel triathlon. Da lì, il passaggio all’Ironman è stato breve: in Austria, nel 1999, è iniziata la mia ‘malattia’ – spiega divertito Eros, che abbiamo raggiunto durante un momento di pausa dagli allenamenti -. Dopo quello austriaco, ho partecipato all’Ironman in Francia, uno dei più duri al mondo: a quel punto è nato in me il desiderio di provare

a superare i miei limiti. Nel 2002 ho partecipato al Double Ultratriathlon in Austria (7,6 chilometri di nuoto, 360 di bicicletta e 84,4 di corsa) , senza, tuttavia, riuscire a terminare la gara. Senza darmi per vinto, ho partecipato anche all’edizione dell’anno successivo, classificandomi sesto. È stato – prosegue Eros – l’inizio di anni di soddisfazioni: nel 2010 ho battuto il mio record, completando un Ironman in meno di dieci ore e quest’anno, dopo un prestigioso nono posto ai campionati del mondo in Austria, è arrivata la vittoria, tra l’altro inaspettata, agli europei in Slovenia”.

Ma qual è la tua disciplina preferita? “Amo particolarmente la bicicletta – risponde prontamente Eros – che, delle tre, è la disciplina nella quale sono più forte. Quella, invece, nella quale sono più debole è il nuoto, che ho cominciato a praticare solo a trent’anni: diciamo che mi manca ancora la tecnica... Ma, nel Double, il nuoto non è fondamentale, come può esserlo, invece, nel triathlon classico”. E per quanto riguarda gli allenamenti e l’alimentazione, come ti regoli? Sei seguito? “In effetti no – spiega con rammarico -: sono io che devo prendermi cura di me stesso. Gli ultra sport sono amatoriali, non professionistici, e, come tali, attività con pochi sponsor ed ancora meno soldi. Per questo motivo la mia alimentarista è mia madre, che mi prepara qualunque cosa: poi, fondamentale, è imparare a nutrirsi durante la gara. Per quanto riguarda gli allenamenti, mi alleno tutti i giorni, solitamente con un solo giorno di pausa ogni quindici giorni. Si tratta di allenamenti molto lunghi, perché basati sulla resistenza e sulla durata e che, quindi, portano via molto tempo. D’inverno, anche per cambiare ‘genere’, solitamente mi alleno facendo sci di fondo”. Lasciamo Eros ai suoi allenamenti: lo sguardo è, infatti, già rivolto ai prossimi campionati europei, sempre in Slovenia. La speranza è quella di poter bissare il risultato di quest’anno. La certezza è che, qualunque sarà il risultato, Eros saprà dare sempre il meglio di se stesso. E che a vincere, alla fine, sarà sempre lui. Perché, come ci ricorda, “l’importante è praticare sempre uno sport”. E lui, di fatto, ne pratica almeno tre!

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ULTIMO METRO

GLI SPORT PER ULTRA-ATLETI BICICLETTA

NUOTO

Il Triathlon ‘super lungo’, detto comunemente Ironman, é anche una specialità olimpica maschile e femminile su distanze più brevi. Le prove classificabili come “Triathlon olimpico” si svolgono sulle distanze di 1500 metri di nuoto, 40 km in bicicletta e 10 km di corsa a piedi. In questa versione del Triathlon vengono esaltate le doti di velocità dei vari atleti nella somma delle discipline, mentre nell’Ironman oltre alla velocità, vengono esaltate e sono certamente predominanti per il risultato finale, le capacità degli “Ironmans” di resistere alla fatica.

CORSA

Esiste anche il 10-Days-Triathlon che prevede la distanza Ironman ripetuta per dieci giorni di fila, e l’inimmaginabile Double Deca Ultratriathlon che raddoppia la già considerevole distanza del Deca Ultratriathlon

ULTRATRIATHLON TOTALE IRONMAN 226 km 3,8 km (2.4 miglia) + 180 km (112 miglia) + 42,2 km (26.2 miglia) TOTALE 452 km 7,6 km (4.8 miglia) + 360 km (224 miglia) + 84,4 km (52.4 miglia) double ULTRATRIATHLON

TRIPLE ULTRATRIATHLON

TOTALE 678 km

11,4 km (7 miglia) + 540 km (335 miglia) + 126,6 km (78.6 miglia)

QUADRUPLE ULTRATRIATHLON

TOTALE 904 km

15,2 km (9.4 miglia) + 720 km (447 miglia) + 168,8 km (104.8 miglia)

QUINTUPLE ULTRATRIATHLON

TOTALE 1130 km

19 km (11.8 miglia) + 900 km (559 miglia) + 211 km (131.1 miglia)

dECA ULTRATRIATHLON 38 km (23.6 miglia) + 1800 km (1,118 miglia) + 422 km (262.2 miglia)

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TOTALE 2260 km


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