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RASCHIO DI PENNA E RESPIRO AFFANNOSO

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la mamma

la mamma

Sento la mamma parlare al telefono e poi salire le scale. Va piano. Le tocca fermarsi più volte per riposare. Quando fa le scale o le salite, le manca l’aria. Bussa alla mia porta. È l’unica della famiglia che lo fa e aspetta che io dica “avanti”. Il papà bussa e apre la porta contemporaneamente. Lucas la spalanca e basta, poi entra e prende quel che sta cercando. Di solito il mio caricabatterie. Perché non trova mai il suo.

Io non entro mai in camera di Lucas. Se lui è in casa. Se lui non c’è, ci entro volentieri. Io e Noa di solito andiamo a curiosare. L’ultima volta abbiamo trovato un pacchetto di sigarette in un cassetto. Quindi adesso ho paura che venga il cancro anche a Lucas. Non so se dovrei fare la spia ai miei genitori.

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«Entra, se proprio devi» dico, in risposta al bussare della mamma.

Lei apre la porta e si siede sul mio letto sfatto a riprendere fiato. Faccio finta di non vederla. Odio il suo respiro affannoso. Fa un rumore terribile. Perché non può essere come le altre mamme? Come le mamme sane con i capelli sulla testa che vanno al lavoro invece di starsene sedute con i tubicini nel naso e il respiro schifoso.

Trovo una pagina bianca nel mio blocco e comincio a disegnare. Mi piace disegnare, quando sono arrabbiata o triste. E felice. A pensarci bene, mi piace sempre disegnare.

«Ha chiamato Anna» dice la mamma quando ha ripreso fiato. Anna è la mia maestra.

«E…?»

Continuo a disegnare senza voltarmi.

«Ha detto che tu e Noa avete fatto a botte».

«Allora ha detto una bugia» dico. «Perché sono stata solo io a dare le botte».

«Racconta».

«No» rispondo, continuando a disegnare e disegnare.

Si sente solo il respiro della mamma, il raschiare della penna e il mio cuore ancora rotto.

Il disegno diventa brutto, quindi strappo il foglio e lo appallottolo.

«Vieni qui» dice la mamma battendo con la mano accanto a sé sul letto.

«No» rispondo, rimanendo seduta a fissare la parete per un bel po’. Fisso la parete finché gli occhi non si dimenticano come si fa a battere le palpebre. Fisso la parete finché non si riempiono di lacrime. Allora mi volto.

«Mamma, adesso morirai?» domando. «Noa dice che morirai. E grazie, per essere stata in televisione. Adesso tutto il mondo sa che hai il cancro. Magari io non volevo!»

«Ma Resina, amore». La mamma mi guarda con aria preoccupata. «Lo sai che l’ho fatto per raccogliere fondi per la ricerca».

«E a me non pensi? Magari non mi piace che la mia mamma dica proprio a tutti, tranne che a me, che sta per morire».

Anche se ci provo, non riesco a non piangere.

«Scusa» dice la mamma. «Scusami. Però non ho detto che sto per morire».

Non so se le credo.

Ci infiliamo sotto la coperta con le lenzuola di Star Wars. Non esistono lenzuola più belle! Perlomeno non per me e la mamma.

Per un po’ rimaniamo lì sdraiate in silenzio. In giardino canta un merlo. O almeno, credo sia un merlo.

«È vero?» chiedo, guardando la mamma che tiene gli occhi chiusi. «Morirai?»

«Tutti moriremo» dice lei. «E nessuno di noi sa quando».

Mi tira a sé e io affondo il naso nel suo collo.

«Non voglio» dico.

«Lo so».

«E tu?»

La mamma mi fa una carezza sulla guancia.

«No. Voglio vederti diventare adulta. Lo desidero più di ogni altra cosa».

«Perfino più della pace nel mondo?» domando.

«Perfino più della pace nel mondo. Sono orribile, vero?»

«Anch’io sono orribile» dico. «Perché io lo desidero più di quanto desidero che nessun bambino patisca la fame».

«Sì» dice la mamma.

«Ma allora guarisci!» sussurro.

«Ci sto provando. Se solo sapessi quanto ci sto provando».

Rimaniamo sdraiate in silenzio a guardarci negli occhi.

Quelli della mamma strabordano di lacrime.

Anche i miei.

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