No all’agricoltura feudale Il premio Nobel Borlaug e la sua Rivoluzione verde, figlia di ricerca e mercato. La terra diventa più produttiva e meno arcigna, se Vandana Shiva consente di Giordano Masini | 17 Settembre 2014 ore 06:30
Il padre della Rivoluzione verde. Norman Ernest Borlaug (1914-2009), agronomo e ambientalista statunitense, vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1970
Partiamo da un dato, forse il più sorprendente: l’estensione della copertura forestale francese negli ultimi 500 anni. Una linea perennemente in calo, dal 40 per cento dell’intera superficie all’inizio del XVI secolo, fino al 12 per cento, a metà dell’800. Poi, un periodo di stabilizzazione, prima di tornare a crescere di nuovo, fino al 25 per cento e più dei nostri giorni. E sono cifre davvero sorprendenti, se si considera che l’aumento recente della copertura forestale è avvenuto in concomitanza con l’impennata demografica che ha portato la popolazione francese da 6 a 60 milioni di abitanti: più bocche da sfamare, dieci volte di più, meno campi coltivati. Come è possibile? La risposta si trova nel saldo ambientale positivo dell’intensificazione agricola. Nel corso del ’900 non abbiamo solo imparato a produrre di più, ma abbiamo anche imparato a farlo utilizzando meno suolo di quanto non facessimo in passato: all’esodo dalle campagne verso le città ha corrisposto l’affermazione di un’agricoltura che, per nutrire le grandi popolazioni urbane, ha intensificato la produzione sui terreni migliori, abbandonando progressivamente quelli più marginali, che sono stati restituiti agli ecosistemi naturali. Un saldo positivo tangibile anche nel nostro paese: negli ultimi 40 anni, sono dati del ministero dell’Agricoltura, sono stati sottratti alla coltivazione circa 5 milioni di ettari. Di questi, però, solo 1,5 milioni sono stati “cementificati”, cioè sottratti all’agricoltura per fare posto a strade e palazzi. Il resto, circa 3,5 milioni, sono stati semplicemente abbandonati, perché non sufficientemente